Definizione di rifiuto: elemento oggettivo o soggettivo.
di Avv. Rosa Bertuzzi
Cas. Civ. Sez. II, 12/02/2013, n. 3454
Dalle considerazioni in precedenza svolte, invero, discende che anche nel caso in cui il produttore
del materiale abbia l'intenzione di riutilizzarlo e quindi certamente non abbia l'intenzione nè
l'obbligo di disfarsene, ciò non di meno, se la riutilizzazione postula un trattamento di recupero, e
segnatamente un trattamento rientrante nelle operazioni di cui all'allegato C, si è in presenza di un
rifiuto, con tutte le conseguenze in tema di norme applicabili.
Ecco la sentenza della Cassazione:
A seguito dei sopralluoghi effettuati in data 3, 7 e 8 marzo 20 0 0 presso lo stabilimento della Esso
Italiana s.r.l. - Raffineria di (OMISSIS), con verbale di accertamento ispettivo della Provincia
Regionale di Siracusa si rilevava che i catalizzatori scaricati dagli impianti da avviare a
rigenerazione non erano sottoposti al rispetto della normativa in materia di rifiuti, con violazione
del D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 11, comma 3, artt. 12 e 15 (c.d. "Decreto Ronchi").
Con ordinanza-ingiunzione n. 88/2003 la Provincia irrogava una sanzione di Euro 5.164,00, oltre
accessori, in danno della Esso s.r.l., ai sensi dell'art. 55 del medesimo decreto.
Avverso tale ordinanza-ingiunzione proponeva opposizione la Esso s.r.l., sostenendo che i
catalizzatori non potevano essere qualificati come rifiuti, poiché la Società non intendeva
disfarsene ma sottoporli a rigenerazione e utilizzarli nuovamente nel processo produttivo. Inoltre,
detti catalizzatori non potevano considerarsi inclusi tra le sostanze indicate nell'allegato A al c.d.
decreto Ronchi, in quanto non potevano essere qualificati come esausti o esauriti perché, a seguito
del processo di rigenerazione, sarebbero stati atti a riacquistare in pieno la loro funzionalità.
L'opponente inoltre contestava la qualificazione dei catalizzatori come "rifiuto" alla luce del D.L. n.
138 del 2002, art. 14, commi 1 e 2, convertito nella L. n. 178 del 2002, in quanto né Esso s.r.l.
aveva intenzione di disfarsene, né l'operazione di rigenerazione poteva essere considerata attività
di recupero e/o riciclo di sostanze inorganiche, ai sensi della lettera R.5 dell'allegato C. del D.Lgs.
n. 22 del 1997. Nel corso del giudizio instauratosi innanzi al Tribunale di Siracusa, sezione
distaccata di Augusta, veniva disposta una consulenza tecnica d'ufficio al fine di descrivere il
processo di rigenerazione dei catalizzatori in questione, e di accertare se tale operazione
costituisse riciclo e/o recupero di sostanze inorganiche ai sensi della lettera R.5 dell'allegato C del
D.Lgs. n. 22 del 1997.
Il Tribunale, sulla base della c.t.u., con sentenza n. 79 del 2005, rigettava l'opposizione ritenendo
che vi fosse corrispondenza tra la nozione di catalizzatore esausto e quella di catalizzatore
esaurito, a prescindere dalla possibilità di ripristinare l'attività catalitica mediante rigenerazione.
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Per la cassazione di questa sentenza ha proposto ricorso Esso Italiana s.r.l., affidandosi a quattro
motivi, illustrati da memoria; non ha svolto attività difensiva l'intimata Provincia regionale.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo, la ricorrente denuncia violazione del D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 6, comma
1, lett. A), in relazione all'art. 360 cod. proc. civ., n. 3, nonché insufficiente e contraddittoria
motivazione su un punto decisivo della controversia, ex art. 360 cod. proc. civ., n. 5.
A sostegno della censura, la ricorrente, richiamando il citato art. 6, comma 1, sostiene che debba
considerarsi "rifiuto" qualsiasi sostanza od oggetto che rientra nelle categorie riportate nell'allegato
A (requisito oggettivo) e di cui il detentore si disfi o abbia deciso o abbia l'obbligo di disfarsene
(requisito soggettivo). Rileva quindi che, quanto al requisito oggettivo, il Tribunale ha ritenuto che
il catalizzatore esausto, indicato nella categoria Q6 dell'allegato quale elemento inutilizzabile,
dovesse essere considerato rifiuto e sostiene la erroneità di tale qualificazione atteso che i
catalizzatori vengono nuovamente utilizzati a seguito di rigenerazione: la sentenza impugnata,
pertanto, avrebbe fornito una motivazione carente perché basata su una definizione estremamente
sterile del termine inglese spent catalyst, con assimilazione delle nozioni di catalizzatori esausti e di
catalizzatori esauriti.
2. Con il secondo motivo, la ricorrente lamenta la violazione dell'Allegato alla Decisione della
Commissione 2000/532/CE del 3 ottobre 2000 e dell'art. 6, comma 1, lett. A), e dell'allegato A del
D.Lgs. n. 22 del 1997, in relazione all'art. 360 cod. proc. civ., n. 3, nonché l'errata e contraddittoria
motivazione su un punto decisivo della controversia. In proposito, la ricorrente rileva la mancanza
del requisito oggettivo, necessario, contestualmente al requisito soggettivo, per la definizione di
"rifiuto" ai sensi del D.Lgs. n. 22 del 1997. Più in particolare, ricorda che con la richiamata
Decisione della Commissione 2000/532/CE è stato istituito un elenco rifiuti conformemente all'art.
1, lett. a), della direttiva 74/442/CEE del Consiglio, relativa ai rifiuti, e si è previsto che l'inclusione
di un determinato materiale nell'elenco non significa che tale materiale sia un rifiuto in ogni
circostanza, essendo invece necessario che il materiale risponda alla definizione contenuta nel
medesimo articolo. Il D.Lgs. n. 22 del 1997, a sua volta, ha precisato che un materiale figurante
nell'allegato A non può essere in ogni caso considerato un rifiuto, ma risulta all'uopo necessario
che venga soddisfatta la definizione di rifiuto. A tal proposito, il Ministero dell'Ambiente, con la
circolare 28 giugno 1999, riguardante chiarimenti interpretativi in materia di definizione di rifiuto,
ha affermato che il criterio tabellare espresso dal D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 6, costituisce solo un
importante elemento di riferimento oggettivo, ma non è di per sè determinante ai fini della
qualificazione di una sostanza, di un materiale o di un altro bene come rifiuto. Per tale qualifica
risulta invece determinante il comportamento che il soggetto tiene o è obbligato a tenere o intende
tenere. Risulterebbe quindi evidente, alla luce della definizione di rifiuto quale combinazione dei
due criteri oggettivo e soggettivo, l'erroneità della sentenza impugnata che non ha considerato, nel
fornire la definizione di rifiuto, l'elemento soggettivo. A tale violazione si aggiunge poi la
contraddittorietà della motivazione atteso che gli atti di causa dimostravano che la società non
intendeva disfarsi dei catalizzatori. E, secondo la circolare del 28 giugno 1999, sarebbe impossibile
considerare rifiuti e quindi sottoporre all'apposito regime i beni dei quali il detentore non si disfi o
comunque non abbia l'obbligo o l'intenzione di disfarsi, in quanto possono essere utilizzati e siano
effettivamente utilizzati per la loro funzione originaria.
Infine, l'erroneità della sentenza emergerebbe, a dire del ricorrente, dal fatto che i criteri
interpretativi della nozione di rifiuto sono riferiti agli scarti e ai residui di produzione, ossia a beni e
sostanze che derivano da un'attività produttiva, e quindi a beni la cui produzione non è voluta dal
produttore e per i quali si presume la volontà di disfarsene.
3. Con il terzo motivo viene denunciata la violazione e/o falsa applicazione dell'art. 6, comma 1,
degli artt. 31 e 33, e dell'Allegato C del D.Lgs. n. 22 del 1997, del D.M. 12 giugno 2002, n. 161,
dell'art. 1 cod. pen., dell'art. 14 preleggi e degli artt. 25 e 27 Cost., in relazione all'art. 360 cod.
proc. civ., n. 3, nonchè l'insufficienza e la contraddittorietà della motivazione su un punto decisivo
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della controversia, ex art. 360 cod. proc. civ., n. 5. La ricorrente lamenta che il Tribunale abbia
ritenuto che, secondo le risultanze della c.t.u., il processo di rigenerazione dei catalizzatori esausti
e/o esauriti potesse essere classificato come attività di recupero ai sensi della lettera R5
dell'allegato C del D.Lgs. n. 22 del 1997. Sostiene quindi che, anche qualora si volesse considerare
la rigenerazione come attività di recupero di cui all'allegato C del citato D.Lgs. n. 22 del 1997,
questo non sarebbe sufficiente a qualificare i catalizzatori come rifiuti, poiché sarebbe in ogni caso
necessaria la sussistenza degli elementi oggettivo e soggettivo di cui ai primi due motivi del
ricorso. Inoltre, il trattamento di rigenerazione non potrebbe essere considerato identico a quello
di rigenerazione dei carboni attivi esausti, espressamente qualificata come attività di recupero ex
allegato 1 D.M. 12 giugno 2002, n. 161, essendo impossibile estendere le prescrizioni di tale
decreto per analogia, sia per espressa previsione dell'art. 1 del medesimo decreto, sia per quanto
previsto dal D.Lgs. n. 22 del 1997, artt. 31 e 33, con i quali viene stabilito che i decreti ministeriali
adottano per ciascun tipo di attività le norme che fissano i tipi e le quantità di rifiuti, nonché le
condizioni in base alle quali le attività di smaltimento di rifiuti e le attività di recupero di cui
all'allegato C sono sottoposte alle procedure semplificate. A ciò si aggiunge anche quanto previsto
dall'art. 14 preleggi, dall'art. 1 cod. pen., nonché dagli artt. 25 e 27 Cost., poiché la definizione di
un bene come rifiuto determina l'applicazione di sanzioni penali del D.Lgs. n. 22 del 1997, ex art.
50, e segg., e, com'è noto, l'analogia è preclusa in materia penale. Andrebbe inoltre valutata
l'inesistenza di una specifica voce relativa alla rigenerazione dei catalizzatori a base silicea
nell'allegato C del D.Lgs. n. 22 del 1997, che elenca le attività di recupero, né potrebbe
seriamente sostenersi che la formulazione ampia della voce R5 dell'allegato C del medesimo
decreto consenta di ricondurre la rigenerazione dei catalizzatori all'attività di recupero.
4. Con il quarto motivo di ricorso, la ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione del D.L.
n. 138 del 2002, art. 14, in relazione al D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 6, ex art. 360 cod. proc. civ., n.
3, nonché della carenza e contraddittorietà della motivazione, ex art. 360 cod. proc. civ., n. 5.
La ricorrente, ritenendo di aver dimostrato che la disciplina sui rifiuti non sarebbe applicabile al
caso di specie perché il catalizzatore rigenerabile non è un rifiuto e perché la rigenerazione stessa
è mera attività di manutenzione, lamenta la violazione dell'art. 14 del citato D.L., che contiene
l'interpretazione autentica della definizione di rifiuto di cui al D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 6, n. 1,
lett. a), che non considera rifiuti i beni o le sostanze materiali residuali di produzione o di consumo
se possono essere riutilizzati nel medesimo o in un altro ciclo produttivo, ricordando peraltro che,
avendo la Corte Europea non ritenuto corretta l'interpretazione autentica di questa nozione di
rifiuto, l'unica definizione di rifiuto è quella contenuta nell'art. 6 del Decreto Ronchi, recettivo della
direttiva 442/75.
5. Il ricorso è infondato.
5.1. Occorre preliminarmente rilevare che, contrariamente a quanto affermato dalla società
ricorrente, la sentenza emessa dal Tribunale penale di Siracusa, depositata il 26 aprile 2005, con la
quale si è escluso che i catalizzatori suscettibili di essere rigenerati costituiscano rifiuti, non risulta
prodotta né all'atto del deposito del ricorso, né in occasione del deposito della memoria ex art. 378
cod. proc. civ.. Della stessa non può quindi tenersi conto nel presente giudizio.
5.2. Giova ulteriormente premettere che, ai sensi del D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 6, comma 1
(ratione temporis applicabile), "si intende per: a) rifiuto: qualsiasi sostanza od oggetto che rientra
nelle categorie riportate nell'allegato A e di cui il detentore si disfi o abbia deciso o abbia l'obbligo
di disfarsi; (...) h) recupero: le operazioni previste nell'allegato C (...)".
Ai sensi dell'Allegato A, richiamato dalla lettera a) del comma 1 citato, le categorie di rifiuti sono
costituite, tra l'altro, dagli "6. Elementi inutilizzabili (ad esempio batterie fuori uso, catalizzatori
esausti, ecc.)", mentre, ai sensi dell'allegato C, cui fa riferimento la lettera h) del medesimo
comma 1, destinato ad elencare le operazioni di recupero come avvengono nella pratica, "i rifiuti
devono essere recuperati senza pericolo per la salute dell'uomo e senza usare procedimenti o
metodi che possano recare pregiudizio all'ambiente", con la esplicita previsione sub R5 del
"Riciclo/recupero di altre sostanze inorganiche". Ai fini della ricognizione normativa necessaria per
la decisione sul ricorso di Esso Italiana s.r.l. deve poi ricordarsi che, ai sensi del D.L. n. 138 del
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2002, art. 14, comma 1, convertito, con modificazioni, nella L. n. 178 del 2002, recante
interpretazione autentica del D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 6 "le parole: si disfi, abbia deciso o abbia
l'obbligo di disfarsi di cui al D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, art. 6, comma 1, lett. a), e successive
modificazioni, di seguito denominato: D.Lgs. n. 22, si interpretano come segue:: a) si disfi:
qualsiasi comportamento attraverso il quale in modo diretto o indiretto una sostanza, un materiale
o un bene sono avviati o sottoposti ad attività di smaltimento o di recupero, secondo gli allegati B
e C del decreto legislativo n. 22; b) abbia deciso: la volontà di destinare ad operazioni di
smaltimento e di recupero, secondo gli allegati B e C del decreto legislativo n. 22, sostanze,
materiali o beni; c) abbia l'obbligo di disfarsi: l'obbligo di avviare un materiale, una sostanza o un
bene ad operazioni di recupero o di smaltimento, stabilito da una disposizione di legge o da un
provvedimento delle pubbliche autorità o imposto dalla natura stessa del materiale, della sostanza
e del bene o dal fatto che i medesimi siano compresi nell'elenco dei rifiuti pericolosi di cui
all'allegato D del D.Lgs. n. 22".
Ai sensi del comma 2 dell'art. 14 citato, poi, "Non ricorrono le fattispecie di cui alle lettere b) e c)
del comma 1, per beni o sostanze e materiali residuali di produzione o di consumo ove sussista
una delle seguenti condizioni: a) se gli stessi possono essere e sono effettivamente e
oggettivamente riutilizzati nel medesimo o in analogo o diverso ciclo produttivo o di consumo,
senza subire alcun intervento preventivo di trattamento e senza recare pregiudizio all'ambiente; b)
se gli stessi possono essere e sono effettivamente e oggettivamente riutilizzati nel medesimo o in
analogo o diverso ciclo produttivo o di consumo, dopo aver subito un trattamento preventivo senza
che si renda necessaria alcuna operazione di recupero tra quelle individuate nell'allegato C del
D.Lgs. n. 22".
6. Tale essendo il quadro normativo di riferimento, in relazione al quale non rilevano le normative
successive (D.Lgs. n. 152 del 2006 e D.Lgs. n. 205 del 2010), il Collegio ritiene che la sentenza
impugnata sia immune dalle proposte censure.
6.1. Il Tribunale di Siracusa, all'esito di una consulenza tecnica d'ufficio, è giunto alla conclusione
che i catalizzatori avviati dalla società ricorrente alla rigenerazione, dovessero essere qualificati
come rifiuti, ai sensi e per gli effetti dell'applicazione della normativa di cui al D.Lgs. n. 22 del
1997.
In particolare, nella sentenza impugnata si riferisce l'iter seguito dal consulente tecnico d'ufficio, il
quale ha dapprima descritto il procedimento di rigenerazione, ed ha quindi precisato che la dizione
catalizzatore esausto corrisponde nella letteratura scientifica a quella di catalizzatore esaurito,
riferendosi entrambe le espressioni a catalizzatori che non possiedono più la funzionalità loro
propria, a prescindere dal fatto che si possa o no ripristinare la loro attività catalitica mediante un
qualsivoglia trattamento, e cioè a prescindere dalla rigenerabilità del catalizzatore: trattamento,
questo, comunque identico a quello di rigenerazione dei carboni attivi esausti, espressamente
qualificata dal D.M. 12 giugno 2002, n. 161, come attività di recupero.
Da qui la conclusione del consulente tecnico della riconducibilità dell'attività di rigenerazione dei
catalizzatori alla attività di recupero di cui alla lettera R5 dell'allegato C al D.Lgs. n. 22 del 1997.
6.2. Con la sentenza impugnata, il Tribunale ha ritenuto le conclusioni del consulente tecnico
convincenti e coerenti con la normativa applicabile. In proposito, il Collegio ritiene che il percorso
argomentativo svolto nella sentenza impugnata debba essere condiviso, pur con alcune
precisazioni.
Nel quadro normativo delineato in precedenza assumono particolare importanza le specificazioni
contenute nel D.L. n. 138 del 2002, art. 14 e segnatamente quella secondo cui l'espressione "si
disfi", contenuta nel D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 6, deve essere intesa come qualsiasi
comportamento attraverso il quale in modo diretto o indiretto una sostanza, un materiale o un
bene sono avviati o sottoposti ad attività di smaltimento o di recupero, secondo gli allegati B e C
del D.Lgs. n. 22; nonché quelle, contenute nel comma 2, secondo cui "Non ricorrono le fattispecie
di cui alle lett. b) e c) del comma 1, per beni o sostanze e materiali residuali di produzione o di
consumo ove sussista una delle seguenti condizioni:
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a) Se gli stessi possono essere e sono effettivamente e oggettivamente riutilizzati nel medesimo o
in analogo o diverso ciclo produttivo o di consumo, senza subire alcun intervento preventivo di
trattamento e senza recare pregiudizio all'ambiente; b) se gli stessi possono essere e sono
effettivamente e oggettivamente riutilizzati nel medesimo o in analogo o diverso ciclo produttivo o
di consumo, dopo aver subito un trattamento preventivo senza che si renda necessaria alcuna
operazione di recupero tra quelle individuate nell'allegato C del D.Lgs. n. 22".
Da tali disposizioni emerge che, ove si accerti che il materiale residuato dalla (o impiegato nella)
produzione (nella specie, raffinazione) di idrocarburi per essere riutilizzato deve essere
assoggettato ad un trattamento di recupero di cui all'allegato C al D.Lgs. n. 22 del 1997, si è in
presenza di un materiale qualificabile come rifiuto. In questa prospettiva non vi è necessità di
procedere alla identificazione di un trattamento di rigenerazione analogo (quale quello praticato
per i carboni esausti), per poter affermare che il catalizzatore destinato alla rigenerazione
costituisca un rifiuto ai fini della normativa in questione. Invero, è sufficiente scorrere l'elenco
allegato C, per verificare che in esso il trattamento di rigenerazione integra in linea di principio
un'operazione di recupero, il che vale a collocare tale trattamento in un ambito che vale a
qualificare il materiale considerato come rifiuto. In sostanza, i catalizzatori soggetti a rigenerazione
prima del trattamento costituiscono rifiuti e come tali devono essere trattati.
6.3. Una simile ricostruzione non risulta validamente contrastata dalla società ricorrente. In primo
luogo occorre sgombrare il campo dal suggestivo richiamo alla sentenza della Corte di Giustizia n.
457/2002, dalla quale discenderebbe, ad avviso della ricorrente, la inapplicabilità, per contrasto
con la normativa comunitaria, del D.L. n. 138 del 2002, art. 14. La citata sentenza, invero, come
questa Corte ha già avuto modo di osservare, non esclude affatto la possibilità di riutilizzo di un
rifiuto, ma la condiziona alla circostanza che non sia necessaria alcuna trasformazione preliminare
e che il riutilizzo medesimo avvenga nel corso del processo di produzione (Cass. n. 20408 del
2009). Con ciò presupponendo la qualificazione come rifiuto di sostanze che per essere riutilizzate
richiedano l'assoggettamento a procedimenti di recupero, quale quello di cui all'Allegato C del
D.Lgs. n. 22 del 1997. In sostanza, il citato art. 14, formalmente qualificato come d'interpretazione
autentica, "ha in realtà, come rilevato dalla Corte di Giustizia Europea (cfr. sent. 11 novembre
2004, in causa C-457, Niselli), contenuto dispositivo contrastante - e perciò da disapplicare, nel
rispetto del criterio gerarchico delle fonti - con la direttiva sopra indicata, nella parte in cui sottrae
dalla categoria dei rifiuti le sostanze che possono essere riutilizzate in un diverso ciclo produttivo e
che, invece, secondo la direttiva medesima, debbono considerarsi rifiuti fino alla loro effettiva
riutilizzazione" (Cass. n. 22672 del 2009). In altri termini, deve escludersi che la disposizione di
interpretazione autentica, nella parte in cui impone di qualificare rifiuti materiali impiegati in
lavorazioni che per essere riutilizzati debbono essere sottoposti al trattamento di cui all'Allegato C,
contrasti con la normativa comunitaria, non dando luogo ad una tutela inferiore a quella derivante
dall'applicazione della normativa comunitaria e da quella interna di attuazione.
6.4. Né può considerarsi idoneo l'argomento sviluppato nel ricorso con riferimento all'elemento
soggettivo, essendo inesistente, nella specie, la volontà del produttore di disfarsi del materiale.
Come si è osservato, ciò che assume rilievo ai fini della qualificazione di un materiale come rifiuto
o no è la circostanza che sia o non sia necessario un trattamento di recupero. Ove un simile
trattamento sia necessario, il materiale costituisce un rifiuto, con conseguente applicazione della
normativa relativa anche ai fini del trasferimento del materiale stesso nel luogo ove avverrà il
trattamento di recupero, idoneo a rendere il materiale riutilizzabile.
6.5. Ed ancora, non idonea a contrastare la soluzione prima indicata è l'osservazione della
ricorrente secondo cui i catalizzatori esausti potrebbero essere inclusi in una delle categorie di
rifiuti - e segnatamente in quella di cui al n. 6 dell'Allegato A al D.Lgs. n. 22 del 1997 - solo in
quanto inutilizzabili. In proposito, è sufficiente osservare che, prima della rigenerazione, il
catalizzatore esausto è di per sè inutilizzabile; il fatto che detta condizione possa essere rimossa
solo attraverso un trattamento di recupero non vale ad escludere che i catalizzatori, prima della
rigenerazione, debbano essere considerati rifiuti a tutti gli effetti.
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6.6. Nè colgono nel segno le censure incentrate sulla asserita violazione del principio di legalità e
di divieto di applicazione analogica di disposizioni in materia rilevante anche a fini penali. Come si è
prima rilevato, alla qualificazione del trattamento di rigenerazione come "recupero", e quindi alla
qualificazione dei catalizzatori esausti quali rifiuti, non è necessario il riferimento, desunto nella
sentenza impugnata dalla valutazione espressa sul punto dal consulente tecnico d'ufficio, alla
identità del trattamento relativo ai catalizzatori a quello proprio dei carboni esausti, espressamente
considerato dal D.M. n. 161 del 2002, atteso che sono sufficienti ad affermarne la natura di
recupero le indicazioni contenute nell'Allegato C al D.Lgs. n. 22 del 1997.
6.7. Da ultimo, non appaiono meritevoli di accoglimento le censure articolate con riferimento alle
varie disposizioni in forza delle quali l'inclusione di un determinato materiale nell'elenco non
significa tuttavia che tale materiale sia un rifiuto in ogni circostanza; e la classificazione del
materiale come rifiuto si applica solo se il materiale risponde alla definizione di cui all'art. 1, lett.
a), della direttiva 75/442/CEE. Dalle considerazioni in precedenza svolte, invero, discende che
anche nel caso in cui il produttore del materiale abbia l'intenzione di riutilizzarlo e quindi
certamente non abbia l'intenzione né l'obbligo di disfarsene, ciò non di meno, se la riutilizzazione
postula un trattamento di recupero, e segnatamente un trattamento rientrante nelle operazioni di
cui all'allegato C, si è in presenza di un rifiuto, con tutte le conseguenze in tema di norme
applicabili.
7. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato. Non avendo l'amministrazione intimata svolto
attività difensiva, non vi è luogo a provvedere sulle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
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87 _ Cassazione Penale 3454 2013 (definizione di