Conflitto e
cambiamento sociale
1
Tre versioni della teoria del conflitto
a)
b)
c)
Teoria di Simmel-Coeser, interessata a costruire una teoria non
marxiana del conflitto, che mostrasse allo stesso tempo la
strutturalità quasi antropologica, della forma sociale “conflitto”.
Teoria dei gruppi di potere di Dahrendorf: interessata a ridefinire
la teoria marxiana del conflitto di classe, in modo da rendere
conto delle dinamiche conflittuali e socio-politiche, tipiche delle
società industriali avanzate.
Teoria del cambiamento sociale: di ispirazione tematica
weberiana, si interessa alle dinamiche conflittuali che conducono
alla trasformazione (specie rivoluzionaria) delle società e dei
regimi politici.
- La teoria del conflitto, per quanto riguarda la maggior parte delle sue
versioni, si concentra prevalentemente sui conflitti all’interno
delle società (ma non alle guerre civili) che sono effettivamente la
maggior parte dei conflitti.
2
La teoria di Simmel-Coser

a)
b)
La storia della teoria del conflitto inizia nei primi anni
del XX secolo, con l’opera del sociologo tedesco
Simmel (interessato a costruire una teoria non
marxiana del conflitto):
Il conflitto non è l’opposto dell’ordine sociale.
Il conflitto è una forma di interazione piuttosto
intensa, che rinforza la coesione dei gruppi (a volte
tenendo anche in piedi le società, come in quella delle
caste indiana) e possiede un lato tanto distruttivo
quanto creativo\generativo.
3
La teoria di Simmel-Coser

1.
2.
Negli anni ’50 Coser riprende gli studi di
Simmel, guardando al conflitto da due punti di
vista:
come un processo funzionale al mantenimento
stesso dell’ordine sociale e dell’integrazione.
Approfondendo la dinamica escalation\deescalation.
4
La teoria di Simmel-Coser
- Il conflitto è funzionale all’integrazione poiché:
1. rinforza i confini di gruppo e l’identità
(meccanismo del Nemico e del capro
espiatorio).
2. Porta ad una centralizzazione del gruppo.
3. Conduce alla ricerca di alleati.
5
La teoria di Simmel-Coser

-
-
Il conflitto muta nel tempo e può crescere o decrescere in intensità
(escalation\de-escalation del conflitto). Per Simmel-Coser:
Le parti in conflitto hanno l’interesse a limitare\auto-limitare la conflittualità,
per evitare che la distruttività prenda il sopravvento e faccia venir meno
l’oggetto stesso del contendere.
Per Coser, fondamentale è la dinamica dei legami trasversali tra i gruppi.
La ricerca successiva (in particolare la Peace Research) ha chiarito che:
a)
Il conflitto tende all’escalation quando si fronteggiano due
avversari in possesso di tali risorse da far si che all’uso della forza dell’uno possa
corrispondere la rappresaglia dell’altro; mentre, negli altri casi, sebbene la
repressione crei de-legittimazione, essa conduce ad una momentanea deEscalation.
a)
Tanto meno sono elevati i costi del conflitto tanto più dura l’escalation del
conflitto (sino al limite di instaurare un vero e proprio sistema spiralizzato che si
auto-rinforza).
-
6
Ralph Dahrendorf: gruppi di potere e
mobilitazione del conflitto
Egli ridefinì il concetto di classe non più nei termini marxiani della proprietà, ma in
quelli del potere e, dunque, del conflitto di classe come conflitto di potere, dato che
le previsioni marxiane non sembravano dare conto della realtà.
Perché?
In tutte le società (specie in quello industriali avanzate) esistono organizzazioni
complesse; per sopravvivere e raggiungere i loro fini, queste organizzazioni si
dividono, al loro interno, tra dirigenti (che danno ordini, hanno cioè potere) e
diretti;
questa distinzione, consente ai dirigenti di acquisire privilegi su tutte le altre
dimensioni della stratificazione (ricchezza, prestigio ecc.).
Dunque, la distinzione in classi e il conflitto di classe, ha il potere come dimensione
originaria e generale.

Nel XIX secolo potere e proprietà si sovrapponevano (Marx aveva dunque ragione).
Dal XX secolo in poi, con lo sviluppo di un capitalismo organizzazionale, dominato da
managers e burocrati, le due dimensioni divergono.
7
Ralph Dahrendorf: gruppi di potere e
mobilitazione del conflitto



In una società organizzazionale, che è anche sempre
più pluralista (trasversalità delle appartenenze di
gruppo) le possibili linee di conflitto nella società si
moltiplicano e auto-limitano allo stesso tempo.
I quasi-gruppo sono una serie di persone che
condividono la stessa posizione nella stratificazione
del potere (conflitto latente). Essi diventano gruppi
quando si mobilitano per l’azione collettiva (conflitto
manifesto).
Il conflitto manifesto tende sempre ad essere un
conflitto tra due parti, mentre gli altri soggetti sociali
devono, entro certi limiti, scegliere da che parte stare.
8
Ralph Dahrendorf: gruppi di potere e
mobilitazione del conflitto

1)
2)
3)
Quali sono le condizioni che consentono il
passaggio dalla fase latente a quella manifesta?
Condizioni tecniche: presenza di un leader e di
un’ideologia.
Condizioni politiche: libertà politica.
Condizioni sociali: comunicazione tra i membri
del gruppo, concentrazione spaziale, cultura
simile.
9
Ralph Dahrendorf: gruppi di potere e
mobilitazione del conflitto

a)
b)
c)
Conseguenze del conflitto (in termini di
intensità, violenza e cambiamento sociale):
Quanto meglio organizzati sono i gruppi di
conflitto, tanto meno violento sarà il conflitto.
La deprivazione assoluta conduce ad un
conflitto più violento della deprivazione
relativa.
Tanto più violento è il conflitto tanto più
veloce sarà il cambiamento sociale.
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Ralph Dahrendorf: gruppi di potere e
mobilitazione del conflitto

a)
b)
c)
d)
e)
Un’analisi della società contemporanea e del conflitto di classe:
Il conflitto economico si separa da quello politico con la conseguenza
che né il primo né il secondo tendono a divenire totali.
Entrambi si istituzionalizzano e frammentano (trasversalità dei gruppi,
interesse all’auto-limitazione).
Le dinamiche del potere come la composizione della classe
dominante\dirigente, è il risultato di scontri\incontri tra coalizioni di
potere.
Le élites politico-burocratiche (al governo) sono la parte più
significativa delle classi dirigenti in una società industriale, mentre al
loro interno esistono sempre uno o più gruppi economici con diritto di
veto.
Solo la permanenza al potere di una stessa élite politica può condurre a
disattendere sistematicamente gli interessi diffusi a favore dei propri
interessi di ceto: alla lunga ciò diviene insostenibile per l’aumento
inusitato della conflittualità sociale.
11
Teoria del conflitto e del cambiamento
sociale


Il cambiamento è multidimensionale e interdipendente
(nel senso che può avvenire a più livelli – economico,
culturale ecc. - e ciascuno di essi si lega agli altri);
Tuttavia:
Questa versione della teoria conflittualista mette in luce
come ogni forma di cambiamento avvenga attraverso
conflitti, provochi cioè sempre contrasti, poiché ogni
campo sociale è sempre attraversato da un’intrinseca
politicità.
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Teoria del conflitto e del cambiamento
sociale

a)
b)
c)
d)
Una teoria così impostata, al livello di cambiamento del sistema
socio-politico (o cambiamento politico), dovrebbe spiegare
(anche in un’ottica predittiva):
Le condizioni in cui emergono diversi tipi di strutture (come la
democrazia, il feudalesimo ecc.);
Chi sono gli attori del conflitto (il “dramma” del cambiamento);
Il tipo di eventi che sono più probabili e la loro sequenza tipica;
Chi e che cosa vincerà in questa lotta (posta in gioco).
Il focus principale di una teoria del cambiamento politico è stato
spesso lo Stato (definito da violenza, legittimità, territorio) e i rapporti
tra questo e le varie componenti sociali. Il cambiamento rivoluzionario
è quello considerato più tipico e più importante.
-
13
Teoria del conflitto e del cambiamento
sociale

a)
b)
-
Teoria della mobilitazione (Tilly, Oberscahall):
Il conflitto e il potere sono funzioni (in senso
matematico) delle risorse a cui particolari gruppi di
interesse possono attingere al fine di mobilitarsi per la
lotta;
Le principali condizioni di una mobilitazione politica
sono:
aspettative crescenti;
concentrazione e organizzazione sociale pre-esistente;
esposizione maggiore alla dinamicità della modernità
e in particolare, dello sviluppo capitalistico.
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Teoria del conflitto e del cambiamento
sociale

Le origini sociali della dittatura e della democrazia
(Barrington Moore):
1)
2)
3)
La modernità politica non si esprime in modo monistico:
sono esistiti almeno tre tipi di strutture politiche moderne,
la democrazia, il socialismo di Stato e l’autoritarismo;
Le condizioni che hanno prodotti ciascuna di esse si sono
determinate nella fase di avvio della modernizzazione, in
particolare nel rapporto tra i vari gruppi sociali (aventi una
scelta principale e una secondaria sul tipo di governo)
rispetto alla questione rurale;
Sono 5 gli attori sociali che interagiscono tra loro in questo
dramma: borghesia, proprietari terrieri, burocrati, contadini,
operai.
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Teoria del conflitto e del cambiamento
sociale
Le origini sociali della dittatura e della democrazia (Barrington
Moore):
Nel sistema instabile che si determina, un ruolo chiave lo
hanno i proprietari terrieri e quale tipo di strategia adottano di
fronte allo sviluppo del capitalismo:

4.
-
I proprietari diventano capitalisti e espellono i contadini = modello
inglese;
I proprietari diventano rentiers= modello francese, di una rivoluzione
dagli esiti incerti (che può anche condurre al socialismo, come in Cina);
I proprietari stanno sul mercato cercando di aumentare al massimo
produttività e sfruttamento dei contadini= modello autoritario del
Giappone (dopo la Restaurazione Meiji).
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Teoria del conflitto e del cambiamento
sociale

a)
b)
c)
La teoria di Theda Skocpol sviluppa quella di Moore,
interessandosi al quando e perché scoppiano le rivoluzioni; i
fattori da prendere in considerazione sono 3:
Forza dello Stato indebolita da una guerra persa;
Presenza di un’economia rurale ristagnante e percorsa da
una molteplicità di squilibri;
Presenza di un’élite intellettuale marginalizzata eppure in
grado di mobilitarsi.
-
La presenza di queste tre condizioni, rende più probabile il
verificarsi di una cambiamento politico rivoluzionario.
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