LA PIUMA D’ORO
Di Tommaso Allegri
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1. Selfie
Erano le 19.07. Il treno, stranamente, era stato puntuale.
Le porte si erano aperte su quel triste marciapiede di piccole
piastrelle rosse, la striscia gialla da "non superare", ormai si
stava cancellando.
Math scese da quel vagone sporco e maleodorante e si ritrovò a
camminare in mezzo ad una folla sconfinata, la nebbia era
densa e fredda, ma di questo sembrava non curarsi, era chiuso
in sé, le cuffiette nelle orecchie e proseguiva a testa bassa verso
le scale che conducevano all'uscita.
Stava pensando alla sua giornata al "Negozio". Così lo chiamava.
"Il Negozio".
Math lavorava infatti in un piccolo locale di sua proprietà. Lo
aveva aperto poco più di un anno prima, affittando un vecchio
stanzone lasciato vuoto dopo il trasferimento di un piccolo
supermercato.
Il Negozio era diviso in quattro stanze: in una era stato allestito
un piccolo bar, forse un po' spoglio, ma comunque sempre
pulito e accogliente, accanto aveva iniziato a costruire una
piccola libreria, c'era uno scaffale per ogni parete più un grosso
leggio al centro della stanza; il terzo locale invece era un vero e
proprio piccolo salotto, con tavolini e sedie sparse un po'
ovunque. Dava un'aria molto novecentesca, ma in fondo era
così che piaceva ai clienti e così andava lasciata.
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La quarta stanza era vuota. La porta chiusa a chiave. Math non
aveva ancora deciso come darle un senso che si potesse
abbinare al resto del locale.
Con lui lavorava April. Era lei l'addetta al bar. Si occupava della
tavola calda e di servire ai tavoli.
April era una ragazza di origini americane, venuta sino a Firenze
con l'idea di "studiare all'estero", di vivere in un piccolo paesino
di periferia, ma rimastaci intrappolata a causa della sua
eccessiva smania di sperperare soldi e per la mancanza di voglia
necessaria per arrivare a passare i suoi esami.
Si erano conosciuti per caso, per strada. Lei cercava di
raccogliere qualche spicciolo facendo leva sulla pietà che i
passanti, passeggeri in transito in quell’immensa stazione,
provavano per lei mentre, tra i binari sette e otto, canticchiava
malinconica dei Beatles molto poco convinti e un Bruce
Springsteen d'annata, accompagnandosi come poteva con una
chitarra classica oramai fin troppo consumata.
La sorte volle che Math fosse in cerca proprio di un qualche
"artista di strada" per riempire un po' il suo salotto, e,
sopratutto, che il treno che lo doveva portare a lavoro quella
mattina, fu deviato dal binario 2 (al quale era solito fermarsi), al
binario 7, a causa del maltempo.
Sentì la ragazza suonare e la scelse.
Lei ovviamente accettò subito, ingolosita più che mai dall'aver
finalmente trovato qualcuno disposto ad aiutarla e respirando
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così l'aria della sua New York, l'aria del ritorno a casa, sempre
più vicina.
Tra i due nacque subito un'amicizia profonda e una reciproca
stima che portò Math ad affidarle il locale intero, e non solo il
piccolo salotto, e ad assumerla per due anni come sua "socia".
Gli incassi tutto sommato erano buoni.
Certo Math viveva in una graziosa villetta con giardino e una
piccola piscina sul retro, con sua madre e sua sorella, un piccolo
lusso occasionale, dovuto ai sacrifici che negli anni i suoi
genitori erano riusciti a fare.
Il tutto si fermava lì però. L'auto, una piccola monovolume con
quattordici anni di km sulle cinghie di distribuzione, era quel
che era. Non usciva praticamente mai di casa e sicuramente i
suoi outfit non potevano ritenersi di "tendenza", ma con ciò che
guadagnava al negozio riusciva a coprire almeno in parte le
spese per le bollette di casa, e assicurava a lui e ad April il giusto
compenso per le dodici ore di lavoro giornaliere.
I guadagni erano, tutto sommato, facili.
Al”Negozio” un caffè costava solo ottanta centesimi,
invogliando così molte persone a prendersi la briga di fare
qualche passo in più, prendersi la briga di andare qualche
isolato oltre pur di risparmiare almeno qualche spicciolo.
Anche il cibo veniva servito ad un prezzo nettamente inferiore
rispetto alla concorrenza, così come gli aperitivi o i pranzi,
insomma tutto era volto ad attirare più clienti possibili.
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All'inizio era stata dura certo. Se qualcuno entrava al Negozio
era perché ci capitava per caso o per necessità, e i prezzi bassi
non servivano certo ad assicurargli comunque un buon incasso,
ma ogni qualvolta domandavano a Math l'origine dei suoi prezzi
e del motivo per cui mentre negli altri locali erano in continuo
aumento, da lui invece rimanessero sempre costanti, il giovane
ragazzo rispondeva specificando che non lo faceva per attirare i
passanti, ma semplicemente perché:
<<Il caffè alla fine è acqua sporca. A me costa cinquanta
centesimi servirne uno. Pensa che ci sono uomini e donne che
servono acqua sporca gratis ai loro figli, e di una qualità
sicuramente inferiore. Usano polvere di fango e non di caffè.
Perché io dovrei far pagare il doppio di quanto costa a me? I
miei prezzi non sono funzionali, sono giusti.>>
La piccola libreria, invece, nel momento dell'inaugurazione, era
completamente vuota. C'erano gli scaffali, ma sopra di
essi..niente.
<<Math, ma almeno lascia la porta chiusa, così nessuno vede
che la tua libreria presenta solo una vasta raccolta di acari e
granelli di polvere.>> Gli aveva detto sua madre il giorno prima.
In realtà l'idea di Math era un'altra.
Aveva pensato che su quelli scaffali potessero essere raccontate
storie che non si trovavano nelle librerie o nelle biblioteche di
nessuna città. Erano scaffali per i clienti.
<<Mamma, prova a pensare. Sai quanti ragazzi, ragazze, uomini
e donne di ogni età hanno una storia da raccontare? Ecco, sappi
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che tanti di loro non la scriveranno mai perché convinti che
nessuno abbia voglia di leggerla e poi pubblicarla. Ognuno di noi
ha una storia, ma se nessuno si prende la briga di farla
conoscere fuori da casa sua, la storia muore lì. Ecco, io lascio gli
scaffali vuoti. I clienti arrivano, domanderanno il perché e io
risponderò loro che, se hanno a casa una loro storia, breve o
lunga che sia, possono stamparla e metterla su questo scaffale.
In questo modo le storie potranno mescolarsi, intrecciarsi e
farsi conoscere.>>
Per i primi cinque mesi quegli scaffali rimasero vuoti, poi piano
piano, timidamente qualcuno recepì il messaggio ed iniziò a
lasciar sopra alle piccole mensole di legno, chi un libriccino
rilegato a mano, chi un serie di fogli tenuti insieme da qualche
spilla, e anche qualcuno che portò veri e propri romanzi
assolutamente inediti.
Sul leggio in mezzo alla stanza era collocato un grande libro.
Ogni "autore", scriveva il titolo del suo racconto su una pagina
diversa e, sotto questo titolo, ogni lettore lasciava una firma
come per dire: "ehi, ho letto la tua storia" e, se voleva, un
piccolo commento per poter così consigliare ad altri lettori
perfettamente sconosciuti, una storia piuttosto che un'altra.
Il salottino invece...beh, era una stanza assolutamente comune.
Le pareti bianchissime, le sedie e i tavolini a disposizione per
chiunque avesse voluto sorseggiare il proprio caffè in
compagnia di un amico, di un giornale o di un libro preso dalla
stanza accanto.
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Arrivò all'uscita della stazione così, sempre pensando a come
poter migliorare il Negozio.
Attraversò la piccola piazzetta alberata, imboccò la pista
ciclabile camminando non troppo velocemente, aveva voglia di
gustarsi quel tragitto.
Era venerdì sera, e il venerdì sera tutta la città sembra esser
calma. La quiete prima della tempesta.
Il venerdì sera non è fatto per correre, non è fatto per
scapicollarsi o per aver furia.
Il venerdì sera è fatto per assaporare quanti più odori possibili,
per immagazzinare quante più immagini il cervello riesca
contenere e, sopratutto, è fatto per riflettere un po' più degli
altri giorni.
Era un ragazzo solare, sempre disponibile.
Sulla strada di casa passava quotidianamente davanti ad un
giornalaio e una gelateria. Ogni giorno si fermava a salutare i
due proprietari.
<<Com'è andata oggi Math?>> Glielo chiedevano sempre.
Sandro e Paolo, gelataio e giornalaio, sembrava quasi lo
aspettassero ogni giorno. Tant'è che spesso erano in grado di
quantificare i minuti di ritardo fatti dal treno.
Gli piaceva sempre tanto tornare a casa, soprattutto nei mesi
estivi e caldi. Infatti casa sua era adiacente ad una piccola
chiesa e ad un piccolo giardino di proprietà di quest'ultima.
D'estate era sempre pieno di bambini e bambine di ogni età
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intenti a correre, piangere, urlare e comunque sia, a far sempre
festa. Math si divertiva a vedere ciò, si compiaceva e si
ricordava di quando era lui a dettare legge in quel cortile.
Si perché sin da piccolo aveva manifestato questo suo senso di
leadership; lui era il piccolo comandante di ogni gruppetto di
scalmanati, lui faceva le regole e si prendeva la briga di farle
rispettare con ogni mezzo a sua disposizione.
Con il crescere capì che ciò era sbagliato e, anche a causa di
alcune sue esuberanze fisiche che comportavano la sua
esclusione e le continue prese in giro da parte degli altri, aveva
smesso questo suo comportamento arrogante e si era chiuso in
un silenzio e in un apparente anonimato che gli permetteva di
stare al riparo da giudizi, a volte, troppo poco carini.
Gli piaceva comunque passare per quel giardino anche
d'autunno, per godersi il tappeto di foglie sotto i suoi piedi, la
scala cromatica che portava dal verde al rosso intenso lo
affascinava e non poco, e anche l'odore di bagnato, di umido
riusciva a mettergli addosso un calore tutto particolare. Si
compiaceva nella natura, senza alcun dubbio.
Passava poi per un secondo spazio verde.
Triste, vuoto e spoglio. Tre panchine sempre troppo sporche,
l'erba incolta e terreno di conquista per spacciatori o cani con
padroni non molto educati.
Lo attraversava sempre a testa bassa, quasi a non volerlo
vedere, a non volerci aver niente a che fare, il che sarebbe stato
anche semplice se non fosse stato per il fatto che la finestra di
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camera sua affacciava esattamente su quel rettangolo di
inciviltà.
<<Vieni Math, c'è papà in videochiamata.>>
Questo si sentì dire appena rincasò quella sera.
Suo padre era un militare. Un soldato semplice che aveva
giurato fedeltà allo Stato italiano tanto da essere disposto ad
abbandonare la sua casa e la sua famiglia per partire in missione
di pace nei paesi del medio - oriente.
Courty era il cognome che aveva scritto sulla targhetta
identificativa spillata sopra la divisa.
Suo nonno diceva sempre al piccolo Math: <<Courty è un
cognome che ti invidieranno in tanti, è un cognome pesante...è
courage e honesty uniti insieme. Coraggio e Onestà, vedi di far
valere sempre queste virtù Math, sii coraggioso, ma, sopratutto,
sii sempre onesto.>>
Forse per questo suo padre era partito e per questo aveva fatto
frequentare a Math l'accademia militare, perché era saturo di
una cultura coraggiosa e di onestà.
Ci voleva coraggio ad abbandonare le proprie comodità, un
coraggio che forse non era acquistabile con la larga paga che gli
veniva, almeno apparentemente, assicurata; era difficile
pensare al guadagno mentre si disinnescava una bomba o
mentre si rendeva omaggio al feretro di un proprio compagno.
Bisognava essere allo stesso modo onesti. Onesti nel giurare
fedeltà ad una bandiera, ad un'idea e, sopratutto, onesti nel
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riconoscere che quando si imbraccia un M6 la missione la si può
chiamare come si vuole, ma non certo definirla "di pace".
<<Ciao Math, com'è andata oggi al Negozio?>> chiese suo padre
vedendolo entrare nell'inquadratura.
<<Ciao papà, tutto bene...te piuttosto, come te la passi?>>
Disse mentre si sistemava dopo aver cambiato gli abiti da
“negozio” con qualcosa di più comodo
<<Diciamo che ormai da qualche settimana non siamo più in
allerta, gli animi sembrano essersi un po' raffreddati e le
pallottole non volano più con la stessa abbondanza di prima.
Pensa che stanotte son riuscito a dormire ben 5 ore, un
record.>> Suo padre stava sorridendo.
Era felice, sembrava tranquillo e consapevole che presto
avrebbe riabbracciato i suoi cari, cosa che non faceva ormai da
sette mesi visto che era ripartito all'indomani del compleanno
di Math.
Lasciò la conversazione nelle mani di sua madre e di sua sorella,
si alzò e si diresse verso la sua camera.
Era una stanza piuttosto luminosa, le pareti bianche e, su una di
esse, tre mensole celesti che davano colore. La prima teneva su
un monitor che poteva fare, all'occorrenza, sia da tv che da
computer, Math aveva voluto così in modo tale da non esser
mai "tentato" nell'usare contemporaneamente i due strumenti.
Sulle altre due teneva due distese quasi sconfinate, di cd e libri.
Gli piaceva la musica e la lettura, di ogni genere e forma.
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Credeva che per conoscere la realtà, fosse necessario vederla
da ogni punto di vista.
Sopra le mensole, sulla parete davanti al suo letto, Math aveva
incorniciato una tela bianca con dipinte sopra alcune parole,
cinque per la precisione.
"Dreaming is not a crime". Sognare non è un crimine.
Era una di quelle frasi fatte? Probabilmente si, e anche lui lo
sapeva, ma gli serviva come monito e come promemoria
quando, ogni mattina alzandosi dal letto, si trovava a dover
trovare il coraggio necessario per portare a far vedere la sua
faccia in giro.
Già perché Math era un ragazzo tutto sommato "passabile", o
almeno così gli aveva detto Anna, l'ultima ragazza con la quale
si era frequentato ormai quasi un annetto fa.
Quindi il coraggio che gli serviva non era quello di mostrare i
propri lineamenti o la propria fisicità al mondo, ma era ciò di cui
necessitava per poter andar fuori a testa alta convinto e
consapevole delle sue idee e pronto ad ogni sacrificio possibile
per poterle affermare.
Sognare non è un crimine, e anche quando qualcuno ti
condannerà per un tuo sogno, beh sappi che se davvero lo vuoi,
i sogni non possono essere arrestati da nessuno.
La finestra si affacciava, quindi, su quel pezzo di verde sporco,
su quell'area malcurata e maleodorante (quasi come i vagoni
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del treno) che, in ogni caso, aveva visto trasformarsi negli anni e
che era per lui una, forse scomoda, certezza.
Si tolse i vestiti di furia, tanto che la maglietta rimase incastrata
nelle maniche della felpa grigia che portava sopra, andò in
bagno, aprì l'acqua della doccia e la mise al massimo del calore
possibile. Si mise davanti allo specchio aspettando che dalla
cabina uscisse il vapore necessario a creare una vera e propria
sauna rilassante, toccasana per rilassarsi e rinvigorirsi dopo una
giornata fredda e stancante.
Canticchiava spesso sotto la doccia e spesso nel canticchiare
trovava ispirazione per riflettere su qualcosa.
Alla fine si sa, le riflessioni più importanti arrivano quasi sempre
sotto la doccia.
Uscì dal bagno, si vestì, indossò il pigiama e si diresse al piano di
sotto verso la sala da pranzo.
Trovò sua sorella Mary ancora incollata al monitor a parlare con
suo padre.
Gli stava raccontando la sua giornata a scuola, di come fossero
bastardi con lei alcuni professori e di come la professoressa di
matematica fosse in realtà un demone incarnatosi in una donna
di cinquant'anni avvizzita, depressa e sadica nel scaricare
addosso ai suoi studenti la sua rabbia repressa.
Storia già sentita per Math.
<<Primogenito..>> Era così che suo padre, in modo ironico, lo
chiamava nei momenti tranquilli.
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<<Il nonno come sta?>>
<<Come vuoi che stia? Un po' rintronato, come al solito. Passa
le giornate a litigare con la nonna maledicendo il giorno in cui
l'ha sposata, lucida le medaglie di guerra di suo padre e
rimpiange di non essere ancora passato a miglior vita. Un
classico>>
<<Domani vai a trovarlo mi raccomando, lo sai che lui tiene al
suo onomastico. Non scordartelo.>>
<<Venite a tavola?>> Gridò sua madre dalla cucina
intervenendo nella conversazione.
Non che fosse poi molto lontana come stanza, ma il volume
della televisione era talmente alto che era necessario alzare la
voce per comunicare e farsi sentire.
<<Papà, noi andiamo...ci vediamo la prossima settimana come
al solito vero?>> Chiese Mary.
<<Si ragazzi, se Dio lo vorrà ovviamente>> Rispose lui.
<<Sempre molto ottimista eh Giulio?>> Tuonò sua madre.
<<Amy, faccio per darvi quel po' di suspense, sennò che
divertimento ci sarebbe. Dai, buon appetito...vi voglio bene. Un
bacio a tutti>>
La videochiamata si interruppe, spensero il monitor e si
diressero a tavola.
La prima parte della cena passò nel silenzio più totale e se non
fosse stato per lo sferragliare delle posate e il rumore della
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masticazione di ognuno di loro, probabilmente potevano quasi
credere di cenare ognuno per conto suo, in stanze diverse di
case diverse.
Sua mamma accese così il telegiornale.
Dovete sapere che Math oltre al Negozio, la musica e la lettura,
aveva un'altra grande passione. L'informazione e l'attualità.
Guardava ogni genere di programma tv, i suoi preferiti erano i
documentari su i rettili dell'Amazzonia, e trovava interesse nel
vedere anche più edizioni dello stesso telegiornale.
La riteneva una cosa funzionale, un modo per conoscere e per
poter poi scegliere il proprio pensiero in tutta autonomia e
libertà. Da piccolo non sopportava quando gli dicevano "Vabbé,
tu non puoi capire, ma fidati...io che l'ho studiato so che è così."
Cosa non poteva capire? Paroloni di economia o di
giurisprudenza? Ogni tanto gli segnava su di un libriccino e poi
ne cercava il significato su internet. La maggior parte delle volte
non volevano dire assolutamente niente.
Era convinto che giornalisti e amministratori fossero d'accordo
nel far vedere e nel far sentire solo ciò che realmente tornava
comodo a loro e al loro sistema e che riempissero il tutto di
grandi paroloni in modo da sfruttare l'ignoranza del popolo
facendo credere ad esso di aver spiegato chissà cosa, quando in
realtà non dicono assolutamente niente.
Il telegiornale quella sera aveva una vasta gamma di notizie.
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Si parlava un po' della guerra, ma di questo già sapeva tutto da
suo padre, un po' di economia, ma anche qui non ci voleva
certo un genio a capire che indipendentemente dal nome dato
alla manovra, gli rubavano il pane dalla bocca, un servizio per i
"nostri amici a quattro zampe" e poi qualche assurda battaglia
femene o ambientalista caratterizzata da un genio che si
incatenava davanti al parlamento.
Sempre così andava.
<<Cioè mamma, ci rubano i sogni, il futuro. Ci privano dei nostri
soldi e del nostro pane. Ci tolgono tutto e si tengono tutto per
loro e noi che si fa? Ci incateniamo contro l'ingiusto aumento
del prezzo dei cappottini per i barboncini, che si sa, sentono più
freddo di chi si riscalda con un fuoco acceso in un bidone,
ovviamente.>>
<<Math, è inutile che ogni volta te la prendi. Il mondo va così
punto e basta. Mica puoi cambiarlo da solo.>>
<<No. Non posso.>> In questa affermazione c'era tutto lo
sconforto di un ragazzo di vent'anni, costretto ad assistere al
saccheggio del mondo impotente e privo di ogni arma per
contrastarlo.
Finirono di cenare, guardarono insieme un po' di televisione,
poi se ne andarono a dormire.
Math si addormentò subito. Era troppo stanco per leggere o per
riflettere quella sera. Chiuse gli occhi.
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Quando gli riaprì il sole era già alto nel cielo azzurro e limpido
sopra casa sua. Il sabato mattina non lavorava, al Negozio
restava solo April, la domenica poi si restituivano i favori.
Mary era a scuola, mamma Amy era uscita a fare la spesa.
Math si alzò, fece colazione, si vestì e rassettò la camera. Infilò
le scarpe e uscì di casa.
Suo nonno abitava poco lontano, sette minuti a piedi.
Faceva freddo quella mattina, ma d'altronde il 15 novembre
non si poteva aspettare diversamente.
<<Nonno apri, sono Math.>>
Nonno Gerrard andò ad aprire la porta, lo fece entrare e i due si
scambiarono un bacio e un abbraccio caloroso.
<<Sei da solo anche oggi? O finalmente hai portato la
fidanzata?>> Suo nonno faceva questa domanda ogni santo
giorno in cui Math andava a trovarlo.
<<No nonno, son solo come sempre...te invece? Abiti sempre
con la nonna o finalmente hai trovato una venticinquenne
bionda e svedese disposta a convivere con te e i tuoi
pannoloni?>>
<<Infierisci pure - disse nonno Gerry, così lo chiamavano Math e
Mary - un giorno mi libererò della vecchia se Dio vuole.>>
Non lo diceva certamente con cattiveria, ma con
quell'innocenza negli occhi tipica di chi, dopo sessant'anni di
matrimonio, battibecca su qualsiasi cosa.
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<<Dov'è la nonna?>> Chiese.
<<Sarà giù in garage ad armeggiare, lo sai che da quando non
lavora più rimette a posto gli armadi almeno sei volte al giorno,
ed ogni volta c'è qualcosa che rimane fuori e non sa come farla
rientrare...invecchia male, fidati di me.>>
<<Ah, comunque auguri di buon onomastico eh, oggi si ricorda il
beato Gerardo.>>
<<Ma quale beato Gerardo, qui l'unico beato son io che deve
sopportare la vecchia - nomignolo con il quale nonno Gerry
appellava sua moglie - anzi, ti dirò...non so se son più "beato",
oppure "beota">>
Math sorrise, era un'immagine troppo bella per essere vera. Un
uomo e una donna che si detestano palesemente davanti a lui,
ma che in realtà si amano ancora come il giorno del loro primo
appuntamento.
<<Pensa - proseguì Gerry- oggi mi ha detto "Non ci vedo bene
da quest'occhio, domani chiamo la dottoressa e fisso una visita
per tutti e due", ma perché? È lei che non ci vede, io ci vedo
benissimo. Pensa che ieri ho spostato una scatola di fagioli dallo
scaffale del supermercato per vedere un paio di mele incredibili
nel corridoio accanto. Perché deve andare a farmi vedere anche
io se qui l'unica che scambia la carta igienica per scottex, è
lei?>>
<<Ti ho sentito eh.>> Gli fece eco nonna Jennifer dal garage.
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<<Ma cosa senti te!! Se ieri la Maria - una loro vicina di casa t'ha detto "Son venuta a portarti l'acqua" e te gli hai dato in
cambio un ombrello dicendo "Come? tu sei sotto l'acqua?
Strano, nel mio cortile c'è il sole".>>
<<Non è colpa mia, è che ora parlano tutti troppo svelti e io
mica posso stare attenta a tutte la parole eh, ho da fare.>>
Finito questo bizzarro e simpatico siparietto, magari vi state
chiedendo come, tutti i nomi della famiglia di Math, abbiano
delle origini anglosassoni o comunque sia, poco italiani.
La verità è che nonna Jenny e nonno Gerry erano originari del
Canada, lei di Ottawa, lui di Montreal.
Si erano trasferiti con le loro famiglie qua appena nati ed erano
cresciuti come italiani fatti e finiti.
Tenevano comunque tanto alla loro origine, tanto da continuare
ad usare nomi particolari per il proprio figlio, e chiedendo che
ciò fosse tramandato anche ai loro nipoti.
Math stette a pranzo da loro.
Ascoltò per l'ennesima volta discorsi già sentiti.
"Si stava meglio prima", "prima almeno si credeva in qualcosa",
"la guerra ci ha formati", "c'era più rispetto". Ormai sapeva
queste frasi a memoria.
<<Bene ragazzacci, io vado a lavorare.>> Disse Math mentre si
alzava da tavola.
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<<Ci vediamo presto, ok? Nel frattempo magari evitate di
scannarvi a vicenda.>>
Si salutarono e s'incamminò verso la stazione.
In quei quattordici minuti di cammino pensò sorridendo che,
nonostante tutto, la sua vita era semplice, ma felice.
Aveva un lavoro che gli piaceva, una collega carina con la quale
non doveva passare le giornate a discutere, suo padre era il suo
eroe e magari anche l'eroe di tanti altri piccoli ragazzi, la vita a
casa procedeva con tranquillità, certo con qualche litigata ogni
tanto, ma tutto sommato in modo molto pacifico. I suoi nonni
stavano bene, la salute c'era e sapeva che se davvero ridere
allunga la vita...beh quei due avrebbero visto parecchi altri
millenni insieme.
Era dunque contento il giovane Math, felice della sua vita, delle
sue abitudini e sapeva che qualora avesse deciso di migliorarne
qualche aspetto, partiva comunque da una buona base.
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2. La piuma d’oro
Math arrivò alla stazione, attese davanti al binario il consueto
ritardo che il suo treno aveva accumulato e nel frattempo, con
la musica che scorreva veloce nelle sue orecchie, lasciò che il
suo sguardo andasse a cadere lentamente sulla banchina
opposta alla sua, come se senza volere, la sua mente fosse stata
attratta da un particolare che essa proprio non sarebbe stata in
grado di ignorare.
Fu in quel momento che la vera storia di Math ebbe inizio.
In prossimità di un distributore automatico di bevande, Math
vide qualcosa che luccicava e penzolava fuori dal cestino della
spazzatura.
La mente di Math ne fu attratta.
Talmente attratta che costrinse il corpo a contrarre i muscoli,
far avviare i quadricipiti e far incamminare il ragazzo verso
quella lucina splendente. Sempre la mente fece alzare il braccio,
stendere la mano facendola richiudere una volta catturato il
pendaglio.
Math aprì la mano e si ritrovo sul palmo di essa un filo rosso che
si intrecciava a formare una sottilissima cordicella, al quale era
attaccata un ciondolo a forma di piuma d’oca.
Avrebbe voluto soffermarsi a guardarla meglio, ma il treno
arrivò e Math per un soffio non lo perse. Riuscì a montarci su e
con un rapido movimento del braccio, si infilò in tasca quella
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strana collana, prese posto su un sedile sporco e logoro e per
l’ennesima volta si avviò al suo “Negozio”.
Quando arrivò trovò April, quel giorno gli sembrò essere più
bella che mai.
Era semplice, jeans e canottiera bianca. Poco trucco e i capelli
raccolti in una treccia morbida e giocosa.
Era incredibile, quella ragazza riusciva sempre a farlo rimanere a
bocca aperta, nonostante non apparisse mai come volgare o
fuori luogo.
<<Ciao capo, come stai?>> Chiese dopo averlo abbracciato.
<<Quante volte ancora April? Non sono il tuo capo, siamo una
squadra.>>
La giornata trascorse tutto sommato nella più classica delle
routine.
Il rientro in treno idem, niente da aggiungere.
Cenò, consumando ogni portata con una stranissima
consapevolezza di avvertire un qualcosa di strano intorno a lui,
un’aria un po’ più densa ed elettrica del solito. Non ci diede
peso alle sue solite sensazioni al solito molto bizzarre e, in men
che non si dica, si rinchiuse in camera sua.
Era lì, disteso sul letto. Gli faceva troppa fatica agguantare un
libro e sentiva gli occhi troppo stanchi per accendere la tv o il
suo pc.
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Se ne stava sdraiato, canticchiando un po’, quando
all’improvviso la sua gamba destra iniziò a bruciare,
sprigionando un calore ustionante.
Math provò un dolore lancinante e con la mano si tastò,
cercando di capire cosa stesse succedendo.
Non c’era alcuna fiamma e l’epicentro del calore era localizzato
all’altezza della sua tasca. Infilò la mano e ne estrasse il
contenuto.
Subito il calore cessò.
Sei monete, uno scontrino accartocciato e la collanina che
aveva trovato alla stazione.
Quello era il contenuto della sua tasca.
Cosa diavolo poteva esser successo?
Di nuovo però successe qualcosa, di nuovo la sua mente sembrò
spengersi e rivolgere la propria attenzione esclusivamente sulla
piccola piuma d’oro che adesso si trovava adagiata sul letto.
C’era qualcosa di strano e Math non ci mise molto ad
accorgersene. Sul dietro della piuma era comparsa una scritta
piccolissima, sembrava essere incisa nell’oro.
Era convinto di non aver visto quella frase mentre la osservava
con attenzione quel pomeriggio.
Non poté giurare tutto ciò, anche perché altrimenti non riusciva
a capacitarsi di quel particolare che si era lasciato sfuggire.
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Strinse con forza il ciondolo tra le sue mani e di nuovo sentì le
dita essere pervase da un fortissimo calore.
Ecco, è da lì che si sprigionava. Eppure come era possibile?
Tutto il giorno in tasca e non si era accorto di niente. Non
sembrava essere incandescente e anche se lo fosse stato, tutto
il tempo trascorso dal ritrovamento fino ad allora dove esser
sufficiente perché si raffreddasse.
Corse in bagno, tappò il lavandino e lo riempì d’acqua fredda.
Ci immerse la piuma. La tenne lì, a bagno per almeno un quarto
d’ora, l’estrasse dall’acqua e..niente bruciava ancora tantissimo.
Era confuso, non capiva se si stesse trovando all’interno di un
sogno o se tutto ciò potesse essere razionalmente reale.
Tornò in camera, facendo però prima tappa in cucina.
Mary ed Amy oramai erano a letto da un bel po’ e non c’era
nessuno a giro per casa.
Math aprì il congelatore e vi adagiò la piccola piuma dorata.
Poteva trasportarla solo avvolta in un panno che in realtà era la
sua maglietta arrotolata. Chiuse lo sportello del freezer e torno
in camera sua.
Si mise a sedere per terra, gambe incrociate e mani alzate ed
intrecciate dietro la testa.
Non si spiegava bene la cosa, ma pazienza, la mattina dopo
avrebbe portato il ciondolo al “Negozio” e avrebbe provato a
capire qualcosa di più.
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3. Tutta colpa di..
Quella notte Math non dormì bene, per niente.
Sognò tanto, sognò male. Strane figure e strani disegni dai
contorni indefiniti, passavano veloci davanti ai suoi occhi.
Paesaggi bui, tetri. Campagne desolate e praterie sconfinate si
andavano a contrapporre a paesaggi familiari; il cortile dei
nonni, casa sua e il suo “Negozio”.
Vedeva molti corpi distesi a terra, con gli occhi chiusi, ma senza
alcun segno di ferita o di malori. Non riusciva a capire se stesse
vedendo cadaveri o corpi addormentati.
Girellavano qua e là animali di ogni tipo, da bufali a lupi, ragni e
scolopendre, gatti e tartarughe. Nessuno attaccava o infastidiva
nessun’altro ma tutti sembravano essere come posseduti,
telecomandati da qualcun altro, privi di raziocinio e senso di sé.
La mattina seguente si svegliò, era completamente sudato. Si
alzò e accese la luce.
Dopo essersi dato una sciacquata si diresse verso la scrivania, si
infilò i suoi vestiti e si diresse verso la porta.
Si bloccò d’un tratto.
Tornò sui suoi passi.
È vero che era un ragazzo confusionario e spesso molto
distratto, ma di solito si ricordava bene ciò che faceva, ciò che
diceva e, soprattutto, ciò che scriveva.
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Proprio per questo era stra – convinto che quel foglio bianco
non lo avesse lasciato lui sopra la scrivania e soprattutto che
quella frase scritta su di esso non fosse opera della sua mano.
La calligrafia non era la sua. Era un corsivo tremolante, incerto
e, nella sua stranezza, sin troppo preciso.
La frase poi: “Diventa ciò che vuoi e sii ciò che vuoi diventare.”
era una frase troppo priva di senso, una frase troppo complicata
per esser frutto della sua mente.
Non era mai stato un ragazzo troppo riflessivo o con delle idee
così contorte da partorire una frase del genere.
Eppure in camera sua non era entrato nessuno e quel foglio in
qualche modo lì doveva esserci finito.
Prese il foglio, lo ripiegò quattro volte e lo infilò nella tasca dei
jeans. Scese le scale e si diresse in cucina.
<<Mamma, che c’è per colazione?>>
Nessuna risposta.
<<Mamma? Dove sei?>>
Silenzio.
<<Mary? La mamma è già uscita? Dove sei?>>
Ancora silenzio.
“Boh, saranno già andate via” pensò.
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Si sedette al tavolo. Tutto era magnificamente al suo posto,
tutto ordinato e pulito. Tutto come Amy auspicava che dovesse
essere.
Fece colazione con i cereali al cioccolato trovati in dispensa e un
po’ di latte che ancora era avanzato nel frigorifero.
Niente giornale quella mattina, strano..sua madre lo comprava
ogni mattina, doveva esser proprio di corse quel giorno.
Mangiò con calma e visto che era solo si prese anche il lusso di
accendere lo stereo della sala.
Canticchiava e rimetteva a posto ciò che aveva usato.
Quando arrivò a metter via il cartone del latte, trovò un’insolita
macchia nera, come una goccia di olio per auto, sul pavimento,
in prossimità del frigorifero.
La pulì con uno straccio e si avviò verso la porta di casa.
Uscì fuori, diede le mandate e si incamminò, zaino in spalla,
verso la stazione.
Quella mattina però notò che qualcosa non quadrava.
Ogni cosa gli sembrava sbiadita. Ogni colore un po’ meno vivo,
un po’ più pallido. Le persone sembravano essere molto
silenziose, tutte quante. Donne, uomini, bambini. Tutti come se
fossero tristi all’unisono, come se qualcuno avesse strappato via
da loro non solo l’allegria e la gioia, ma ogni qualsiasi altra
emozione. Erano apatici.
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Fu così per tutto il viaggio, anche guardando fuori dal finestrino
niente sembrava essere come al solito.
Anche le cose più scomode e meno nobili, anche i graffiti sui
muri non trasmettevano assolutamente niente.
Math trovò tutto molto strano, ma proseguì senza farsi troppe
domande verso il “Negozio”.
Appena arrivato davanti all’entrata, April corse verso di lui, lo
abbracciò per alcuni lunghi ed interminabili secondi.
<<Che succede?>> Chiese Math spaventato dalla reazione che
aveva avuto la sua collega.
<<Ma come, anche tu non ti sei accorto di niente?>> Rispose
April rompendo l’abbraccio che gli legava.
Nello spostarsi e nello sciogliersi da quel vincolo, Math ebbe
l’opportunità di guardare April negli occhi.
Lei non era come tutti gli altri, aveva tenuto vivo il suo colorito,
non era spenta, anzi..e anche le sue emozioni sgorgavano
impetuose dai suoi dolci occhi color nocciola.
I due si guardarono.
<<Eppure – riprese April – tu mi sembri esser rimasto,
“normale”>>
<<Oh..la stessa cosa che sembri anche tu.>> Balbettò incerto
Math.
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<<Che sta succedendo Math? io ho paura. È tutto così apatico,
spento. Tutto quanto privato di vita, della linfa necessaria per
essere, nel bene o nel male, ciò che realmente è.>>
<<Beh April, la stessa domanda vorrei porla a te. Tra ieri e oggi
son successe cose stranissime e..boh non so cosa pensare.>>
Il discorso di Math però si interruppe bruscamente, o meglio: fu
lui stesso a smettere di parlare.
<<Che succede Math? Perché ti sei bloccato?>>
<<Dove hai preso quella?>>
<<Quella cosa?>> Chiese April la cui curiosità stava lasciando
spazio ad un filo di paura.
<<Quell..>> Ripeté Math indicando il collo di April
<<Oh, dici la collana? Questa me la regalò mio papà quando
lasciai gli Stati Uniti. Sapeva che avevo la passione per i libri e mi
regalò questa piccola piuma dorata, simbolo di chi è legato allo
scrivere e al raccontare storie. È un simbolo. Come mai
t’interessa tanto?>>
<<Oh no, beh..solo che non l’avevo mai notata..ecco.>>
<<Ogni tanto dovresti guardarmi un po’ meglio.>> Disse April
arrossendo e abbassando lo sguardo.
I due poi rientrarono ai loro posti.
April non sapeva niente del piccolo ciondolo che Math aveva
riportato a casa il giorno precedente e che si trovava ancora nel
congelatore di casa sua.
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<<Math, non è da stamani che telefono a casa mia e nessuno mi
risponde.>>
<<April, succede, magari sono usciti per passare una giornata
fuori casa.>>
<<E non si sono portati dietro nemmeno il cellulare?>> April
sembrava spaventata.
Math allora si alzò, andò verso di lei e la abbracciò.
Nel farlo il ciondolo di April sfregò il suo collo e nuovamente
Math sentì un forte bruciore pervadere il suo corpo.
Stavolta però era un bruciore diverso, anzi stavolta sembrava
essere un freddo talmente intenso da sprigionare calore.
Math si ritrasse immediatamente.
Cosa diavolo stava succedendo?
Quasi come d’impulso pensò alla coincidenza assurda per la
quale due ciondoli perfettamente identici si trovassero in
possesso di due persone molto vicine, di come entrambi
scatenassero reazioni strani sul suo corpo. Poi quasi per
collegamento indotto dalla sua mente, fece caso che i genitori
di April non rispondevano, proprio come sua madre e sua
sorella, quella mattina, non erano in casa.
Il resto della giornata passò lentamente. I dubbi erano tanti e la
concomitanza degli eventi conferiva alla vicenda un qualcosa di
misterioso, quasi magico.
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In fondo lui ed April si erano conosciuti per caso e sempre per
caso lui aveva trovato in un cestino della spazzatura della
stazione un ciondolo casualmente uguale a quello che la sua
collega portava al collo.
La vita di Math, l’esistenza di quel ragazzo così tranquillo, così
“uno qualsiasi”, “uno dei tanti” sembrava d’improvviso aver
ricevuto un tocco di bacchetta, l’iniezione di qualcosa che,
anche se lui ancora non lo sapeva, avrebbe stravolto il resto dei
suoi giorni. Tutto questo, perché? Per colpa di..?
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4. Storia di una storia
Arrivò l’orario di chiusura ed April continuava ad apparire
preoccupata e ansiosa.
Per di più per tutto il giorno entrambi avevano provato a
mettersi in contatto con le rispettive famiglie, ma nessuno dei
due c’era riuscito.
<<Stasera vieni a cena da me.>> Disse Math.
<<Non vorrei disturbare..>> ribatté April.
<<Veramente mi sentirei disturbato se tu non venissi. A casa
mia nessuno risponde e probabilmente mangerò da solo, ho
proprio bisogno della tua compagnia.>>
April si lasciò andare ad un sorrisone, provò a soffocarlo sul
nascere per evitare che si palesasse l’idea che quell’invito lei lo
stesse aspettando da un sacco di tempo.
Chiusero il “Negozio”, abbassarono la saracinesca e si
incamminarono verso la stazione.
Camminavano a passo svelto, entrambi erano silenziosamente
pensierosi. Nessuno dei due conosceva i pensieri che
attanagliavano la mente dell’altro, anche perché se lo avessero
saputo si sarebbero accorti di come, essi, si assomigliassero
incredibilmente.
Ad un certo punto, arrivati quasi al sottopassaggio che
conduceva all’ingresso della stazione e che dava sbocco alla
scalinata che conduceva ai binari, notarono una piccola figura,
intenta a scrivere qualcosa sul muro di fronte.
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Ciò che gli incuriosì fu il fatto che entrambi si accorsero
contemporaneamente che quella figura non appariva grigia o
sbiadita come tutte le altre, ma che fosse ben distinta, i
contorni ben delineati e i colori messi bene a fuoco.
Portava un lungo cappotto marrone che arrivava fino ai piedi e
teneva un cappello dello stesso colore, ma di una tonalità
appena più chiara e tendente al beige, sulla testa.
Era irriconoscibile, e anche se poteva sembrare un tipo losco e
misterioso, non poterono saltare a conclusioni affrettate, visto
che di quello strano soggetto, non si intravedeva nemmeno un
capello.
Quello strano tipo di colpo si voltò si guardò intorno come a
controllare se qualcuno lo stesse osservando e, non appena
posò lo sguardo su Math e April indicò loro il muro sul quale
stava scrivendo, poi quasi come un colpo di vento, scomparve
nel buio della notte.
Nessuno dei due aveva il coraggio di muoversi. Erano impietriti.
Non avevano avuto paura fino a quel momento, ma perché
proprio a loro aveva indicato quella scritta? È vero che non c’era
nessun altro nei paraggi, ma non si conoscevano, eppure lo
sguardo era proprio diretto a loro.
Si avvicinarono con cautela.
Ancora nessuno dei due aveva detto mezza parola.
“C’era una volta ed è stata scritta, tocca a voi non lasciare la
vostra storia ancora zitta.”
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Una frase senza un senso logico, esattamente come quella che
aveva Math scritta nel foglietto ripiegato nella sua tasca.
A stessa calligrafia, o meglio, così sembrava al chiarore della
luna che era l’unica luce che potesse illuminare quell’angolo
nascosto nelle tenebre della notte.
Accanto alla scritta però era stato inciso un piccolo disegno.
<<Math, guarda qua..è..>>
<<Si April, è una piuma.>>
Fecero il viaggio in treno tenendosi per mano.
April tremava, Math si era tolto il giacchetto e lo aveva adagiato
sulle spalle della sua amica rendendosi conto che quel tremore
non era dovuto al freddo, ma alla paura che lei stava provando.
Non doveva esser facile per una persona essere dannatamente
lontana dalla propria casa, dai propri affetti, sentirsi sola e
abbandonata e prigioniera di una strana magia che stava
rendendo tutto così dannatamente strano e preoccupante.
Per fortuna c’era lì con lei Math.
Lui non sapeva che sotto sotto April una cotta per lui ce l’aveva
sempre avuta. Quelle poche volte in cui ci aveva pensato aveva
anche concluso che lei fosse troppo bella per filarsi un
sempliciotto così e poi, onestamente a lui non importava, erano
amici e colleghi, tutto lì.
Certo che provò una strana sensazione quando lei adagiò la sua
testa sulla sua spalla e gli sussurrò un leggero “grazie”.
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Questa sensazione però durò molto poco, giusto il tempo di
entrare in una galleria, di sentire il rumore dei freni che si
bloccavano e di iniziare a vedere le luci del treno che,
tremolando, si accendevano e si spegnevano in continuazione.
<<Cosa deve succedere ancora?>> Adesso anche Math
sembrava impaurito.
<<Qualsiasi cosa stia accadendo ti prego, non facciamo come gli
idioti protagonisti dei film horror che si separano per scoprire
qualcosa, restiamo insieme. Che poi magari è solo un guasto.>>
Mentre April diceva ciò, uno stranissimo e leggerissimo chiarore
iniziò a salire ed uscir fuori dalla sua maglietta.
<<Guarda – disse Math – cosa sarà?>>
April infilò la mano attraverso l’apertura del collo.
<<È la piuma!>> Disse.
Piano piano quella lucina iniziò a farsi sempre più debole.
April per la paura prese e strinse nuovamente la mano di Math.
La piuma iniziò a brillare di più.
I due si guardarono, cercando negli occhi dell’altro una risposta.
Non arrivò in quel momento, anche perché il treno era ripartito,
aveva riacceso le luci e stava finalmente giungendo a
destinazione.
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5. La paura è solitaria.
Non corsero per arrivare alla casa di Math, ma il loro era stato
un passo tutt’altro che tranquillo rilassato.
Per April poi, quel posto e quelle vie erano certamente
sconosciute, ma non sembrava esser quello il momento di fare
turismo.
Arrivarono, entrarono e Math, quasi d’istinto, chiuse e diede le
mandate al pesante portone in legno.
In casa sembrava non esserci nessuno.
Sul tavolo di cucina però trovarono un post-it con su scritto:
“Siamo dai nonni, stasera cena per conto tuo.”
Non era firmato da nessuno, ma tanto bastò per tranquillizzare
Math dandogli così lo spirito giusto per prendersi cura di April
che sembrava essere un vero e proprio cagnolino indifeso e
spaventato.
Ordinarono una pizza, la mangiarono davanti alla tv mentre
andava in onda un programma di comici le cui battute, un po’
per la scarsa ironia, un po’ per la situazione così pesante, non
sembravano allietare né tranquillizzare per niente April.
<<Dai forza, vedrai che non è niente. Sono solo delle
coincidenze bizzarre. Dormi qua ormai e domani vedrai che
tutto sarà sistemato.>>
Math salì in camera sua. Il suo letto era stato progettato per
“nasconderne” un altro sotto le doghe della rete. Prese lenzuoli
puliti e preparò il letto.
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Dopo di che entrambi si coricarono.
<<Ma di solito i tuoi stanno così tanto dai tuoi nonni?>> Chiese
April incuriosita.
Effettivamente Math si era appena reso conto che la sua collega
che insieme a lui mandava avanti il “Negozio”, non conosceva e
non sapeva nulla della sua famiglia.
<<Vedi, mio padre è un militare in missione e quando mia
mamma va con mia sorella dai nostri nonni, spesso rimangono lì
a dormire, si fanno compagnia. Tanto sanno che oramai so
badare a me stesso. Certo resteranno sconvolti se rientrando mi
vedranno dormire in compagnia, ma a quello penseremo dopo.
Adesso l’importante è tranquillizzarti.>>
April si alzò a sedere: <<Math, dimmi la verità, ma la tua vera
passione qual è? Per cosa pensi di esser nato?>>
Math sorrise di fronte a questa domanda: <<Beh, sai che spesso
me lo chiedo anche io? Non lo so, a me piace sentirmi libero di
scoprire nuove storie, fotografarle e scriverle così come le
sento.>>
<<Sai, io accettai il tuo lavoro proprio per questo..>>
<<In che senso – intervenne Math.>>
<<Nel senso che io non avevo nessuna intenzione di accettare
niente da nessuno, ero diffidente, avevo paura che mi sarei
complicata ancora di più la vita..Però, poi su quel binario ti ho
sentito parlare, ho ascoltato il tono della tua voce, ho guardato
la calma dei tuoi occhi e ho capito che, non si può passare la
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vita senza rischiare mai niente, nemmeno quando si sente di
potersi fidare, anche di uno sconosciuto, perché no.>>
Math si trovò un po’ a disagio. Era un gran bel complimento.
Sapere che quella ragazza così semplice ed introversa,
impaurita da tutto e dubbiosa su qualsiasi cosa, si fosse fidata di
un ragazzo così, inutile poteva definirsi lui stesso, faceva un
effetto molto molto particolare.
<<Ma io non ti ho detto niente di particolare..>>
<<Math, tu vuoi sentirti vivo, tu vuoi stare in mezzo alle
persone, raccontare loro che non per forza ci si deve arrendere.
Il coraggio è l’insieme dei fiati che si uniscono, delle parole che
si accompagnano gli uni gli altri, la paura invece sta sola. Tu non
hai paura e io non ho paura di te.>>
<<Te invece April, che cosa ti aspetti dalla tua vita?>>
<<Io voglio diventare una scrittrice, storie fantasy, storie per
bambini. Loro tirano fuori il meglio di me, non saprei
descrivertelo ma, boh..sto bene quando mi dedico a tutto ciò.>>
April aveva gli occhi da sognatrice, viaggiava con la fantasia e,
almeno in quel momento, sembrava essere assolutamente
calma e rilassata.
Era un piacere vederla e sentirla così, anche perché il suo
buonumore era contagioso e tranquillizzava di riflesso anche
Math.
Si addormentarono.
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Il sogno fu quello della notte precedente, confusione, paesaggi
complessi e disordinati.
Rivide il cortile dei nonni e il vialetto di casa sua, ma stavolta
quando lo scenario si spostò sul “Negozio” lo vide strano, un po’
più luminoso e, soprattutto vide dentro due persone, sedute
l’una sulle gambe dell’altra con in mano un bicchiere ciascuno.
Non sentì parole, né scorse movimenti particolari. Sembravano
due clienti qualsiasi.
D’improvviso però udì come il rumore di vetri infranti, i due
ebbero un sussulto che arrivò forte e chiaro anche a Math il
quale si svegliò di colpo.
April dormiva e anche lui avrebbe voluto tanto riaddormentarsi
all’istante, sentiva gli occhi pesanti.
Il battito accelerato del suo cuore però, glielo impedì. Si alzò in
piedi, guardo la sveglia, erano solo le 3:40 del mattino. Troppo
presto.
Aprì la porta di camera e scese le scale, si diresse in cucina e
bevve un paio di bicchieri d’acqua.
Si incamminò quindi nella direzione opposta, per far ritorno
nella sua camera, quando ad un certo punto iniziò ad udire uno
strano e ripetitivo rumore.
Era un leggero “toc” quasi scandito perfettamente da un
metronomo.
Il rumore proveniva dal congelatore.
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Lì per lì Math pensò si trattasse di un cassetto richiuso male che
faceva contrasto o del rumore di ghiaccio che si spezzava in
parti più piccole, ma quell’insistenza proprio non sapeva
spiegarsela.
Così decise di aprire lo sportello per controllare e rimettere in
ordine ciò che, probabilmente non lo era.
Non appena aprì lo sportello, una piccola e densa nube di
vapore uscì dal primo cassetto, insieme a qualcosa che,
cadendo, provocò un piccolo e impercettibile tintinnio sul
pavimento.
Math non sentì niente, diede una sistemata veloce al cassetto,
richiuse tutto e dopo essersi sincerato che il “toc” fosse cessato,
fece ritorno a letto.
La piccola piuma dorata era lì, a terra davanti al frigorifero.
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6. Cambiare il mondo con le parole? Si può!
Il mattino seguente April si svegliò per prima.
<<Spero che tu non ti sia offeso, ma mi sono presa la briga di
prepararti il caffè. Ho trovato tutto ciacciando qua e là. Mi
perdoni?>> Disse non appena Math aprì gli occhi.
<<Dipende – rispose lui ancora assonnato – sentiamo prima
com’è questo caffè.>>
Il clima era sicuramente più rilassato.
<<Sai cos’ho sognato? Che eravamo seduti a bere vino dentro al
“Negozio”, dopo l’orario di chiusura, stavamo bene mi sa.>>
Eccoci qua, puntualmente l’ennesimo pezzetto di un puzzle che
combaciava troppo bene in un disegno che non era chiaro
ancora a nessuno.
La stessa immagine, nello stesso posto e la stessa notte. Vabbè,
può succedere no?
<<E poi, volevo chiederti un’altra cosa..ma tutti queste frasi che
scrivi su questi fogli, che vogliono dire?>>
A sentire quelle parole Math schizzò in piedi, iniziò ad essere
alquanto agitato.
April aveva ragione, c’era un altro foglio sulla scrivania, con
un'altra frase scritta con la stessa grafia tremolante.
“Anche il miglior inchiostro, se non lo si ripassa, con il tempo
sbiadisce.”
<<April, siediti, devo raccontarti una cosa.>>
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Math raccontò tutto ad April, del ritrovamento della collana con
la piuma d’oro, al bruciore che avvertiva ogni volta che la
toccava, gli strani fogli con su scritte quelle strani frasi senza
senso e il sogno che, casualmente, era molto simile a quello
della sua collega.
<<Non so cosa sta succedendo, ma c’è qualcosa che ha deciso di
unirci e per adesso non saprei dirti se è qualcosa di più o meno
bello.>> Le disse.
Uscirono senza finire la colazione e ai loro occhi lo spettacolo fu
mortificante e spaventoso.
Tutto si stava sbiadendo ancora di più.
Il colore vivo dei fiori, il colore vetroso dei semafori, i volti delle
persone..tutto stava piano piano perdendo i propri pigmenti.
Tutto sembrava si stesse cancellando, così come si cancella un
leggero tratto di lapis a contorno di un disegno.
<<Vieni con me!>> Disse ad April, la prese per mano ed
iniziarono a correre.
<<Dove mi stai portando?>>
<<Passiamo da casa dei mie nonni, voglio vedere se stanno tutti
bene.>>
Era una corsa disperata, non si fermarono neanche un attimo
per riprendere fiato.
Svoltarono nella via dove era collocata la casa di Jennifer e
Gerry.
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<<Eccoci, aspettami qui e..>> Non finì neanche di parlare che il
suo sguardo si congelò.
Davanti a lui il piccolo cancello in ferro battuto e il vialetto,
proprio come anche quella notte era apparso nel suo sogno, ma
poi?
La casa non c’era!
Math non poteva credere a quel che vedeva.
Cioè non era possibile! Era stato lì meno di tre giorni prima e
poi anche se fosse passato più tempo lo avrebbe saputo se i
suoi nonni avessero deciso di spostare la loro casa da qualche
altra parte!
No, era impossibile.
Pensò di sognare ancora, non poteva essere vero.
<<Math, non capisco..che succede?>>
<<April, è questa casa dei miei nonni!>>
Lei iniziò a piangere, abbracciò Math il quale cadde in ginocchio
ancora sconcertato da quel che stava succedendo.
Provò a telefonare, chiamare tutti, ma nessuno rispondeva.
Anzi gli sembrò che il rumore classi del “tuuu – tuuu” dello
squillare del telefono fosse ogni volta un po’ più basso, un po’
più lontano.
<<Math hai fatto caso alle persone attorno a noi?>>
April si era accorta che effettivamente non c’era il traffico o la
confusione tipica della vita in città di una normale mattina di
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lavoro, anzi a dir la verità nessuno camminava per strada, le
auto non viaggiavano.
<<Che diavolo sta succedendo April?>>
<<Non lo so, ma qualsiasi cosa..stammi vicino ti prego.!>>
<<È tutto come nel sogno, prima casa deserta, e adesso il
vialetto del nonno..>> Bisbigliò Math con quel rauco filo di voce
rimastogli strozzato in gola.
<<Vuoi dirmi che tu hai già sognato tutto ciò?>> Chiese April
<<Sì, ho sognato tutto quanto, o meglio..ho sognato tre luoghi
ai quali in qualche modo appartengo: casa mia, casa dei miei
nonni e il “Negozio”>>
Appena ebbe finito di parlare, senza aggiungere altro i due si
guardarono e capirono che, qualsiasi cosa stesse accadendo,
l’unico passaggio obbligato era dirigersi nell’ultimo dei luoghi
apparsi in sogno a Math, il loro “Negozio”.
Quella mattina il viaggio sembrò essere molto più caotico.
Il che può sembrare assurdo visto che i due erano immersi in un
silenzio surreale, erano soli davanti alla macchinetta automatica
dei biglietti, soli sui binari ad attendere il treno e soli seduti sul
vagone numero cinque.
Si chiedevano se almeno il macchinista fosse al suo posto,
anche perché non si sarebbero proprio spiegati come il treno si
muovesse lungo i binari.
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Sembrò caotico, appunto, perché l'ansia di Math, le paure di
April e l'assoluta mancanza di risposte a quei fenomeni del tutto
privi di significato, riempivano l'aria di tensione, il grigiore di
quel che gli circondava si elettrificava e dava vita ad una mistica
sensazione d'incertezza.
I due scesero dal vagone e, sempre circondati da un vuoto
surreale intorno a loro, si diressero a passo svelto fino alla porta
d'ingresso del loro "Negozio".
La città al loro passaggio rimbombava di quegli unici passi che
colpivano i sampietrini sotto le scarpe di Math ed April.
Anche l'aria sembrava ferma. Non volavano insetti, non si
muovevano per niente i rami degli alberi. Non si sentiva nessun
odore, non si percepiva nessun suono o rumore, non c'era
nessuno alle fermate dei bus, nessuno aspettava la metro.
Nessuno comprava il pane, nessuno fuori dall'edicola. Niente,
completamente niente da nessuna parte.
Arrivarono alla loro meta e, con grande stupore e una discreta
dose di terrore, notarono che la saracinesca era alzata e che le
luci dentro al locale erano accese.
<<Strano - disse Math - ero certo di aver chiuso tutto e spento
la luce.>>
Fece poi un passo verso la porta, ma si accorse che dietro di sé
April era rimasta immobile sul marciapiede sul quale si
affacciava l’ingresso del “Negozio”.
<<Math, guarda..>>
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Math si voltò e vide l’indice di April puntato attraverso la
vetrina che dava sulla piccola sala lettura all’interno.
Capì immediatamente, segui il dito di April con lo sguardo,
finché i suoi occhi non si posarono su due figure.
Due persone erano sedute ad un tavolino, due bicchieri di vino
rosso e una bottiglia sopra di esso.
Un ragazzo ed una ragazza, lui aveva un libro in mano e
sembrava stesse leggendo la storia di quel libro alla ragazza.
Lei aveva il mento appoggiato sulle mani, i gomiti le toccavano
le ginocchia. Era accucciata e sembrava pendere dalle labbra di
lui.
Math ed April non sarebbero mai voluti entrare dentro al
“Negozio”, ma dovevano farlo.
Chi erano quei due? Cosa ci facevano lì dentro? E soprattutto,
perché le uniche due persone che avevano incontrato quella
mattina erano così vagamente familiari?
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7. Il vecchio saggio e la storia delle storie.
<<Dobbiamo entrare, qualsiasi cosa stia succedendo, dobbiamo
entrare Math.>>
April si fece coraggio e spinse la porta di vetro.
Entrò solo lei, Math rimase fuori. Il suo sguardo non si staccava
dalla coppia di ragazzi seduto nella piccola saletta.
Non durò molto il tempo che i due, April e Math, passarono
distanti perché la ragazza corse fuori dopo pochi secondi
visibilmente scioccata.
<<Ti prego entra Math, non so cosa sta succedendo, ma ti
prego..ENTRA DENTRO!>>
Lui distolse lo sguardo dalla coppia, e guardò April negli occhi.
Le pupille di lei erano dilatate a massimo e rimbalzavano
all’impazzata nel suo volto.
Sembrava che fossero in cerca di qualcosa.
Come esse incontrarono i ceruli occhi di Math si
tranquillizzarono, e tornarono alla loro natura e forma di
sempre.
Passarono alcuni lunghissimi e pesanti istanti di silenzio.
Un silenzio che si amplificò con il resto del silenzio circostante.
Diventò straziante, fastidioso più di un forte rumore.
Math sentiva solo un leggero sibilo nelle sue orecchie. Non
erano parole scandite bene, non si capivano frasi o discorsi, era
come se qualcuno ripetesse a bassissima voce la stessa parola
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all’infinito. Così tante volte da far perdere ad essa il suo
significato e farla sembrare incompiuta e vuota.
<<Ti prego Math, entra.>> Ripetè April.
Math finalmente si decise, mosse i primi passi verso la porta.
Appena arrivò a tiro, April lo prese per un braccio, ne percorse
tutta la lunghezza di esso fino a che la sua mano incontrò quella
di Math.
Intrecciò le sue dita a quelle di lui, lo guardo e lo trascinò
dentro.
Entrarono.
Il locale sembrava esattamente come era sempre stato,
ordinato, pulito.
Tutte le sedie erano capovolte sui tavolini esattamente come i
due le avevano sempre disposte ogni sera per poter pulire il
pavimento prima della chiusura.
Tutto sembrava in ordine, il bancone del bar, la macchinetta del
caffè, la zuccheriera e la lavagnetta con il menù del giorno
erano privi del più piccolo dei granelli di polvere. Tutto perfetto
insomma.
Tutto perfetto?
Non fu così che apparve agli occhi di Math il locale non appena
alzò lo sguardo.
Tremò e strinse ancora più forte la mano di April.
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Le pareti solitamente bianche e immacolate, il soffitto e il
pavimento stesso erano ricoperti di frasi, parole, scritte con la
stessa calligrafia tremolante dei fogli che Math aveva trovato in
camera sua.
Alcune frasi scritte con inchiostro rosso, altre con inchiostro
nero.
April però non sembrava essere intimorita da ciò, ma passò
oltre sempre trascinandosi dietro il suo amico e collega.
Varcarono la porticina e si diressero verso la sala lettura.
<<Finalmente sei arrivato Math!>>
Si ghiacciò.
Un brivido partì lungo la sua schiena e risalì fino alla testa, si
sentì quasi svenire.
Con una mano si appoggiò al muro, come a volersi sorreggere
per non cadere giù.
Davanti a lui non c’erano più né il ragazzo né la ragazza.
Non c’erano bicchieri né bottiglie.
Non c’era niente, ma c’era lui.
Math sapeva bene dove lo aveva già visto. Era vestito allo
stesso modo della sera precedente. Cappotto lungo marrone e
cappello beige sulla testa.
Stavolta, nel chiarore pallido del giorno, si accorse che l’uomo
portava anche un paio di guanti, sempre di tonalità marrone e
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che, tenuta ferma da una fascia di raso, sul suo cappello si
alzava imponente, una lunga piuma.
<<Chi..chi sei?>> Chiese con un filo di voce.
<<Oh, non importa adesso Math, lo scoprirai. Sono qui perché
sei stato scelto e io devo metterti al corrente dei fatti.>>
<<Sono stato scelto? Per cosa? Scusa, spiegati meglio..>> Era
visibilmente confuso.
<<Ti spiegherò tutto al tempo giusto, ma prima devi leggere
qualcosa, solo a quel punto potrò dirti tutto.>>
Detto ciò, l’uomo lasciò cadere un libriccino in pelle marrone,
completamente usurata e lacerata, poi diede un colpo al suo
cappotto, lo sfece svolazzare finché non ne fu completamente
avvolto e, scomparve.
Math ed April stralunarono gli occhi.
<<Ok, stiamo sognando April, non è possibile tutto ciò. Questa è
magia e la magia non esiste. È un sogno tranquilla.>>
Disse queste esatte parole, ma in fondo non ne era poi così
tanto convinto.
Restarono fermi per alcuni minuti, sempre tenendosi per mano
come a volersi fare forza a vicenda.
Ad un tratto, il libriccino si aprì da solo e mostrò il titolo in
caratteri dorati sulla prima pagina.
“Il vecchio, la piuma d’oro e la storia delle storie.”
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<<Math, perché non proviamo a leggerlo? Anche se davvero
fosse solo un brutto scherzo delle nostre menti, oramai che
siamo in gioco, giochiamo!>>
Math prese il libriccino e si sedette ad uno dei tavolini, April si
sistemò lì vicina a lui e intrecciò le sue gambe con quelle di
Math, sempre in segno di incoraggiamento reciproco, come per
voler far sentire la propria presenza fisicamente vicina e
complice.
“C’era una volta, in un piccolo paese a sud dell’Argentina, un
vecchio saggio che viveva da eremita in un piccolo pezzetto di
bosco, al centro di una radura nella quale scorreva veloce un
piccolo torrente.
Il vecchio aveva sempre vissuto lì, lontano da tutti e non era mai
andato nel paesino vicino, neanche per fare la spesa. Niente,
viveva solo con ciò che trovava: l’acqua del torrente, le piante
selvatiche e le bacche e i frutti che esse gli donavano.
Gli abitanti del paese parlavano poco di lui, e si diceva che fosse
il protagonista di alcune leggende terrificanti. Bambini
scomparsi, strani rumore della foresta, bestie che
saccheggiavano gli allevamenti dei pastori della zona. Tutto ciò
era colpa della maledizione del vecchio del bosco.
Il problema è che questa maledizione era molto strana e
misteriosa.
Infatti, ogni bambino scomparso riappariva tre giorni dopo più
saggio e intelligente, i rumori della foresta si trasformavano,
dopo tre giorni, in canti e musiche coinvolgenti e ammalianti e i
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greggi decimati dalle bestie feroci, ogni tre giorni contavano
una dozzina di capi in più.
Nessuno sapeva darsi una risposta, ma visto che tutto si
sistemava sempre per il meglio, tutti gli abitanti del paese
lasciavano che tutto facesse il suo corso, certi che niente
avrebbe turbato la quiete di un posto così calmo e sereno.
Un giorno Marta, figlia del mugnaio del paese, si trovava in riva
a fiume in cerca di alcune erbe aromatiche che la mamma gli
aveva chiesto.
Era la bambina più piccola del villaggio, aveva appena quattro
anni, era servizievole e molto obbediente.
Il suo unico difetto era di natura fisica, aveva una gambina più
corta dell’altra e quando camminava zoppicava vistosamente.
Questo piccolo inconveniente l’aveva resa silenziosa e taciturna.
Non usciva mai a giocare con i suoi amichetti, perché si sentiva
a disagio.
Niente nascondini, niente acchiappini, niente corse nei prati. Lei
non poteva competere con gli altri. Così preferiva starsene in
casa a cucinare con sua mamma e sua nonna e, tutto il villaggio,
era certo che Marta, anche da grande, non avrebbe mai
compicciato nulla nella sua vita.
Quella mattina però qualcosa cambiò il corso della storia di
Marta e, ad esser sinceri, il corso della storia di tutti quanti.
Mentre la piccola bambina era impegnata nella ricerca delle
erbette per la mamma, si allontanò un po’ dal sentiero che essa
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conosceva bene, finché non si trovo, disorientata ma per nulla
impaurita, nel bel mezzo del bosco fuori dal villaggio.
Non sapeva dove andare e non riusciva a ritrovare il sentiero,
così, ad un certo punto, fu attratta da un suono, una musica
melodiosa che proveniva da un piccolo cerchio di grandi abeti
poco distanti.
Seguì la musica convinta che venisse dal proprio villaggio e,
camminando per un bel po’ di tempo, si ritrovo in una radura.
Davanti a lei un piccolo ruscello e una casetta di pietre e legno.
La casa del vecchio saggio.
Si fece coraggio e bussò alla porta.
<<Prego, entra pure Marta. Ti stavo aspettando.>> disse una
voce proveniente dall’interno.
Marta entrò senza pensare a quanto fosse strano che qualcuno
la stesse aspettando proprio in quella casetta fino a quel
momento sconosciuta per lei.
<<Salve, mi sono persa e non so come ritrovare la strada di
casa, può aiutarmi a tornare al villaggio?>> Chiese con fermezza
la bambina.
<<Oh, Marta, tu non ti sei persa. Sono stato io a farti arrivare
fino a qui.>>
Davanti alla bambina era seduto un anziano signore, capelli e
barba bianca, ma non troppo lunghi, occhi piccoli piccoli e mani
molto ruvide e consumate.
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<<Ma lei chi è? E come fa a conoscermi.>>
<<Che sbadato, scusami. Ecco adesso mi presento: io sono il
vecchio saggio, lo scrittore. Sto qua da ormai un’eternità di
tempo e scrivo la storia del mondo.>>
<<La storia del mondo? Ma che significa?>> chiese Marta.
La piccola bambina era incuriosita, ma per niente spaventata
dalla situazione.
Il vecchio saggio lo notò.
<<vedo che non ti senti a disagio, forse stavolta ci siamo
davvero.>>
Versò due abbondanti sorsi di thé in due tazze e ne porse una a
Marta.
<<Sono io che scrivo la storia del mondo intero, guarda quel
librone dietro di te. Lì è tutto scritto, la storia di ogni uomo, e di
ogni donna. Tutto quanto. Ad esempio, se cerchi bene c’è anche
la tua.>>
Marta si voltò ed iniziò a sfogliare l’enorme libro dalla copertina
di legno di quercia dietro di sé.
<<Quando il mondo fu creato e tutto prese inizio, cinque grandi
saggi furono scelti per scrivere la storia di ogni individuo, e di
conseguenza la storia del mondo intero. Ad ognuno di loro fu
donata un piuma d’oro. Essa non era solo un simbolo, ma era la
fonte dell’inchiostro sacro solo con il quale si può scrivere sulle
pagine del destino. Ad ognuno di noi ne fu affidata una
contenente inchiostro di colore differente.>>
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Marta era affascinata dal racconto.
<<E adesso dove sono gli altri quattro saggi? Sparsi per tutta la
terra?>> Domandò incuriosita.
<<Oh no – rispose il saggio – purtroppo sono rimasto solo io su
questo pianeta. E non solo, a me è capitato il compito di
correggere tutti gli errori fatti dagli altri.>>
Il saggio si fermò e guardò fuori dalla piccola finestra rotonda.
<<Hanno scritto loro la storia delle guerre, dell’odio e
dell’indifferenza. Dicevano “questi uomini sennò non hanno mai
niente da fare.” Facevano a gara per chi riusciva ad essere più
crudele e maligno, loro hanno scritto la morte. Volevano sentirsi
gli unici immortali, gli unici invincibili, gli unici capaci di decidere
il proprio destino. Erano talmente tanto ciechi che hanno usato
il loro immenso dono per arricchirsi e conquistare il potere
temporale. Talmente avidi di potere che quando si accorsero che
l’uno poteva sottomettere l’altro non ci pensarono due volte e
scrissero ognuno la morte dell’altro. Così sono rimasto solo.>>
<<E non si può dare la piuma a qualcun altro?>> Chiese ancora
Marta.
<<No, la piuma sceglie il suo possessore e se il suo possessore si
rivela indegno, essa come a voler chiedere scusa per ciò che ha
scritto, si distrugge e non torna mai più.>>
Versò nuovamente un’altra tazza di tè.
<<Inoltre io adesso sono diventato troppo anziano per questo
potere, non lo riesco più a gestire. Per questo ogni tanto chiamo
55
a me qualche giovane del paese, per metterlo alla prova e
capire se posso passare a lui il destino di tutti. Per adesso non
ho trovato nessuno. Tu per esempio, cosa scriveresti come prima
cosa su questo libro magico?>>
Marta non dubitò molto. Ci pensò giusto qualche attimo.
<<Io scriverei la verità e cioè racconterei una storia in cui le
persone si vogliono realmente bene, in cui non importa la paura
né tantomeno l’odio, dove tutti i bambini possano finalmente
giocare insieme. E poi, scriverei che il vecchio saggio che per
tanto tempo è stato padrone di tanti destini e che per anni ha
vissuto da solo cercando di rimediare gli errori di noi tutti,
adesso si merita un po’ di riposo.>>
Il vecchio sorrise: <<Bene, mi sa proprio che ho trovato chi
prenderà il mio posto. Vedi se tu fossi somigliata a tutti gli altri
bambini avresti corretto il tuo difetto, per poter finalmente
sentirti libera di giocare con i tuoi amici, invece hai messo da
parte il tuo egoismo e hai pensato agli altri. Ad un povero
vecchio troppo stanco e a tutti quelli che ti mettono ai margini,
hai chiesto che i loro occhi si aprissero davvero. Questa è la
storia dei saggi del destino, raccontare al mondo cose nuove,
storie che trasmettano fiducia e speranza, solo così, quando
ogni uomo si sentirà libero di raccontare qualcosa, qualsiasi
cosa, ognuno sarà complice della bellezza del mondo in cui vive.
Il libro allora si scriverà da solo e tu dovrai soltanto correggerlo
ogni tanto, qua e là.>>
Detto ciò il saggio scomparve dagli occhi della bambina.
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Essa cadde in un sonno profondo, al termine del quale, al suo
risveglio, si ritrovò nella sua stanza, dentro al suo letto.
Un piccolo brivido partì dall’altezza della sua gola, portò la
mano vicino al collo e lo accarezzò.
Lì adesso pendeva luccicante una piccola piuma d’oro.”
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8. Sì!
Math alzò lo sguardo dalle pagine ingiallite del libriccino e
guardo verso April.
Si era addormentata con la testa appoggiata sulla sua spalla.
Pensò che la stanchezza e la tensione di quegli ultimi due giorni
l’avevano resa debole e che il suo corpo meritasse davvero un
po’ di riposo.
La prese in braccio e la portò sul piccolo divanetto in pelle
bianca nella stanza al piano di sopra. Quando l’aveva fatto
portare su,proprio davanti all’ufficio nel quale gestiva la
burocrazia del “Negozio” non era convinto che sarebbe mai
servito a qualcosa, un divano in un bar?
Ecco adesso si era ricreduto.
April non si svegliò durante il tragitto, restò addormentata,
Math gli pose addosso un piccola coperta di pile che teneva nel
piccolo armadietto dell’ufficio, anche quella sapeva che prima o
poi sarebbe stata utile e puntualmente fu così.
Dopo di che si alzò, riordinò le idee e, ripensando alla storia,
capì che anche se il senso era molto molto leggendario e
fantastico, solo una cosa lo collegava a Marta, la famosa piuma
d’oro.
Così uscì e si diresse verso casa, la piuma era lì e andava presa,
osservata e in qualche modo capita.
Quel tragitto verso casa prese caratteristiche strane. Era triste.
58
Sapeva dove stava andando, ma non sapeva se sarebbe mai
tornato, se avrebbe rivisto April, i suoi genitori o i suoi nonni.
Che tutto ciò fosse solo un sogno bizzarro era ciò che si
augurava, ma in cuor suo si preparava al peggio che, “non si sa
mai”.
Arrivò in stazione.
Era rimasto un solo binario, tutto il resto era scomparso nel
niente, tutto completamente bianco eccetto quelle due grigie
barre d’acciaio che correvano parallelamente verso un bianco,
se possibile, ancor più abbagliante.
Arrivò il suo treno. In mezzo a tutto quel candore gli sembrò più
pulito del solito, salì e ebbe la conferma di questa cosa. Tutto
era lindo, ordinato, curato e profumato.
<<Vieni Math, siediti accanto a me, forse adesso stai iniziando a
capire.>>
L’uomo con il cappotto e il cappello era lì, seduto al posto
finestrino proprio al centro del vagone.
<<In realtà no, non sto capendo. E non so nemmeno chi tu sia e
cosa tu voglia da me.>>
L’uomo si tolse il cappello e si mostrò a Math.
Il ragazzo sobbalzò: <<Papà?..>>
<<Ciao figliolo, vedo che allora ti ricordi ancora come sono fatto
eh.>> Disse Giulio sghignazzando.
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<<Ma che ci fa qui..tu dovresti essere in missione, che sta
succedendo.>>
<<Oh Math, quante cose ancora devi sapere. Mettiti comodo, il
viaggio sarà lungo.>>
Math era impazzito? “Sì, devo essere proprio in un sogno”
questa convinzione lo fece tranquillizzare, niente era reale
secondo la sua mente e perciò niente poteva spaventarlo
realmente.
<<Io Math, sono ovunque tu abbia deciso che debba essere.
Non capisci, la piuma ti ha scelto!>>
Giulio fece una breve pausa, si passò la mano tra i capelli e poi
riprese.
<<Non è una leggenda, a qualcuno è dato veramente il compito
di raccontare, di scrivere storie nuove, di dar forma e colore a
questo mondo e il destino vuole che sia tu a farlo. Ad esempio,
tu hai sempre desiderato che tuo padre fosse un eroe e così hai
scritto tu la storia della mia missione, tu hai voluto vedermi
paladino e servitore della libertà e io lo sono stato. Sei stato tu a
scrivere la storia di Jennifer e Gerry! Math, mi duole molto
dirtelo così ma, loro sono morti entrambi quando tu avevi
cinque e dieci anni. Tu hai deciso che loro non dovessero
abbandonarti e la piuma ha continuato a scrivere la loro storia e
intrecciarla con la tua.>>
Math era sconvolto. Nell’assurdità delle parole di suo padre
intravedeva un barlume di senso, di ragione, di quel briciolo di
raziocinio necessario a tramutare una leggenda impossibile in
60
una vicenda altamente improbabile, ma comunque già più reale
della prima.
<<Purtroppo – continuò suo padre – siamo davanti ad un
mutamento del corso della storia. Il libro ha esaurito le sue
pagine, alcune sono state strappate, altre macchiate
indelebilmente dal sangue che il tempo ha lasciato versare su di
esso. Nessuno si interessa più, ognuno vive la sua vita
limitandosi a ciò che vede, ciò che percepisce reale e tangibile. Il
destino sta morendo, il mondo stesso sta morendo. Lo vedi tu
stesso, tutto si sta cancellando, sta perdendo colore e forma, le
persone sbiadiscono e le loro emozioni evaporano dai loro
volti.>>
<<Papà, ti prego..dimmi in tutto ciò io cosa c’entro.>> Chiese
Math a quel punto.
<<Tu figliolo, tu che sei stato scelto per esserne custode, stai
lasciando che il tuo destino scorra lentamente, non lo controlli.
Lasci che tutto vada come pensi che debba andare. Non
combatti più per difendere le tue idee, hai smesso di scrivere,
hai smesso di sognare un posto migliore per te e per gli altri. La
piuma ha avvertito ciò ed è intervenuta, si è lasciata ritrovare
da te alla stazione, ha iniziato a bruciare affinché tu le dessi
attenzione, ha iniziato a scriverti frasi a casa, sui muri del
“Negozio”, è stata lei a scrivere la leggenda dell’antico saggio.
Vuole che tu salvi l’intero mondo dalla distruzione,
dall’indifferenza e dall’arrendevolezza che si porta via tutto il
bello del racconto.>>
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Non riusciva a capire.
Lui un comunissimo ragazzo come tanti altri, una persona
semplicemente normale, poteva essere destinato ad un
compito così grande? E perché la piuma fino a quel momento
non si era manifestata?
<<So quali sono i tuoi dubbi Math, sento i tuoi pensieri. Io
stesso non esisto realmente qui, ma tu hai desiderato vedermi
perché avevi paura e la piuma adesso ti parla attraverso di
me.>>
<<Allora dimmi, cara piuma! Rispondi alle mie domande? Non
dirmi che ti sembra tutto così semplice da capire!>>
Si era un po’ innervosito e il tono della sua voce si era fatto
quasi accusatorio.
<<Non si deve mai obbligare nessuno a far qualcosa che non
sente ardere dentro di sé e la piuma ha rispettato la tua
decisione. Da piccolo eri un amante delle favole, dei racconti e
anche per questo nel tuo “Negozio” sei circondato dai libri,
perché scorrono dentro le tue vene. Conosci i personaggi e le
caratteristiche di ognuno di loro e la piuma stessa stava ad
ascoltarti quando ipotizzavi come poterli fare incontrare tutti in
un unico grande racconto. Tutto scorreva regolarmente.>>
<<Poi?>> Chiese seccamente Math.
<<Poi si è creata una voragine che ha mandato tutto in crisi.
April.>>
<<Cosa c’entra April adesso?>>
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<<Lo dovrei chiedere io a te Math. È apparsa una seconda
piuma all’improvviso e la tua ha iniziato a temere che la storia
dei saggi potesse ripetersi, così tutto è entrato in collisione. La
piuma ha temuto il peggio, tu non ne eri consapevole e la tua
incoscienza unita all’incoscienza di April avrebbe potuto
spaccare il filo temporale del destino, distruggendo tutto
quanto..ma..>>
<<..ma? dove vuoi arrivare?>>
<<..ma mentre la piuma ha iniziato a cancellarsi e si preparava a
distruggersi per evitare i peggio, è successo ciò che nessuno si
aspettava. La piuma di April ha iniziato a parlare alla tua, i vostri
cuori, le vostre menti hanno iniziato a comunicare anche se voi
non ve ne siete mai realmente accorti. L’amore è arrivato e ha
rinsaldato gli equilibri, ha ridato forza e vigore al grande libro, lo
ha rinforzato nello spirito. La sua piuma correggeva gli errori
della tua.>>
<<Papà, ma come è possibile questa cosa? Io ed April siamo
amici certo, ma niente di più..>> Disse Math con un filo di voce.
<<Oh, voi non siete amici Math, voi siete molto di più. Tu sei
attratto dalla semplicità di quella ragazza, dalla facilità con cui
un suo solo sguardo sa allietare le tue paure, le tue
preoccupazioni, tu ami April, così come lei ama te.>>
In quel momento il treno ebbe un potente sussulto, sembrò
deragliare.
<<Presto – intervenne bruscamente Giulio – non rimane più
molto tempo, devi riportare l’ordine Math.>>
63
<<E come?>> Chiese.
<<Devi scrivere, devi ricominciare a dettare l’armonia. Però
adesso non devi farlo da solo, la storia prenderà vita e si
concretizzerà solo quando anche l’altra piuma avrà ripassato
con il suo inchiostro le parole sul grande libro.>>
<<Io non ho questo libro, dove lo troverò?>>
<<È sempre stato con te Math, sotto i tuoi occhi..>> Detto ciò,
tutto si fece scuro intono a lui.
Fu sbalzato via da una folata di vento roboante. Picchiò
violentemente la testa, o almeno così sembrò.
Quando la luce tornò a far capolino, Math spalancò gli occhi e si
trovò disteso pancia a terra nella sala lettura.
Si alzò, corse al piano di sopra e svegliò April.
La ragazza ascoltò il suo racconto sbigottita, non sapeva se
crederci veramente o meno, gli sembrava tutto così folle.
Il “Negozio” cominciò a tremare, scesero nuovamente nella
saletta.
<<Il libro deve essere qui da qualche parte April.>>
Poi di colpo l’idea!
<<Il grande libro! Quello al centro della stana dove tutti
segnano le proprie idee e le recensioni dei libri che portano e
che prendono! Deve essere quello.>>
<<Presto – urlò April – inizia a scrivere!>>
64
Tutto stava tremando, tutto piano piano scompariva e si
dissolveva in uno sfondo bianco accecante.
Math mise la mani in tasca alla ricerca di una penna e..tirò fuori
qualcosa di molto più piccolo e freddo. La piuma d’oro.
Era lì, adesso non bruciava più e dalla punta gocciolava qualcosa
simile a dell’inchiostro.
Math appoggiò la piuma sul foglio del grande libro e scrisse:
“Accetto il mio destino, scriverò nuovamente la storia con
amore e passione, mi renderò utile senza che nessuno lo sappia
affinché il destino di tutti possa esser salvo.”
April corse verso di lui, si strappo la sua piuma dal collo e
ripasso la frase.
L’inchiostro nero di Math si unì all’inchiostro rosso di April, le
parole diventarono dorate, luccicanti e come infuocate.
Tutto intorno si fermò. Il vento cessò di soffiare.
I due corsero alla finestra e guardarono fuori.
Decine di persone erano sdraiate a terra e, piano piano,
iniziavano a rialzarsi confuse e sbigottite di trovarsi lì, sedute
sull’asfalto umido di una strada senza ricordarsi come ci erano
finiti.
Mentre osservavano la scena, il telefono di April squillò: erano i
suoi genitori. Lei rispose e corse fuori dalla gioia.
Math chiamò a casa.
<<Pronto – rispose sua madre – pronto!>>
65
Math non rispose. Riattaccò.
Tutto si era sistemato e nessuno sapeva niente. Lui non avrebbe
dovuto raccontare niente a nessuno, ma da quel momento in
poi grazie alla sua piuma dorata, era diventato il custode del
destino di tante persone che non avrebbero mai saputo niente
di questa storia.
Uscì fuori anche lui, si voltò e fu soffocato dall’abbraccio
potente di April.
Stettero per più di dieci minuti, abbracciandosi e respirando
ognuno il profumo dell’altro.
<<Sai – disse Math rompendo quel silenzio – adesso non credo
che potrai tornartene in America tanto facilmente.>>
<<Dici?>>
<<Oh sì, lo dico. Il destino ci ha scelto, ha scelto di metterci sulla
stessa strada, con lo stesso grande compito, ma la sua scelta
non conta tanto quanto la mia.>>
Detto ciò si voltò e baciò April.
In quel momento si accorse di quanto avrebbe desiderato farlo
prima.
Lei aveva le lacrime agli occhi, era felice. Lei aveva sempre
voluto Math, ma aveva sempre avuto paura di mettersi in gioco,
quasi come se avesse sempre avuto paura di scoprirsi, togliere
tutte le difese con il rischio che poi si sarebbe trovata indifesa
ed abbandonata.
66
Quest’avventura però aveva insegnato loro che non c’è mai
storia più triste di quella che non si ha il coraggio di scrivere, di
raccontare.
Non esistono storie il cui primo rigo componga già il finale, il
primo capitolo non potrà mai rivelare l’ultimo, ma non per
questo sono storie non degne di esser raccontate.
Durante il loro lungo e appassionato bacio, le due piccole piume
dorate si staccarono dalle due catenine che le reggevano
attorno al collo dei due ragazzi, si incrociarono tra loro e, dopo
un lampo dorato di rara bellezza, ricomparvero più grandi e
lucenti che mai.
Adesso finalmente Math poté leggere la scritta dietro la sua.
“Una storia è il tuo destino, l’amore il tuo inchiostro.”
In quel momento i due ragazzi capirono che la coppia dentro al
“Negozio”, davanti a due bicchieri ed una bottiglia, erano
sempre stati loro due.
Le piume stavano facendo capir loro quale fosse il compimento
perfetto del loro destino. Capirono anche che il libro che
stavano leggendo, seduti nel piccolo salotto, altro non era che
la loro storia. La storia di come due vite, intrecciandosi,
potessero essere luce di speranza per tutto il mondo.
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9. Primo capitolo.
<<Math, dove sei? Guarda che poi facciamo tardi.>>
Amy era agitata, vestita di tutto punto ma con la solita fresca
semplicità che aveva sempre mostrato.
<<Arrivo mamma, un attimo.>>
<<Spero che tu non voglia far tardi per perderti la nascita di tuo
figlio!>>
Math scese di corsa le scale e salì in auto con Annah, Mary e
Giulio seduto al posto del guidatore.
<<Presto su, che quando mi ha chiamato sua mamma ha detto
che ormai era questione di attimi.>>
Arrivarono in fretta all’ospedale, scesero e corsero all’impazzata
verso la sala operatoria.
April era distesa sul lettino e teneva forte la mano di suo padre
e di sua mamma uno alla sua destra e l’altra alla sua sinistra.
Quando la bambina uscì dal ventre di April il silenzio dell’attesa
fu rotto da un pianto stridente e uno scroscio di applausi. Tutti
piangevano per la felicità e la soddisfazione che una piccola
creatura era arrivata tra loro, ad allargare la famiglia.
<<Bene adesso lo portiamo via per qualche controllo e
torniamo, si riposi April.>> Disse l’infermiera.
Math ed April chiesero ai propri genitori di lasciarli soli.
Quando nella stanza non ci fu più nessuno April sussurrò:
<<L’hai portato?>>
68
<<Sì!>> rispose Math.
Dallo zaino che si era portato dietro estrasse il grande libro e lo
posò sulle ginocchia di April.
Presero le due piume, dopo di che Math scrisse.
“A te Marta, figlia del destino e dell’amore. Che la tua storia
brilli di luce propria, che sia splendente come l’oro e ricca di
virtù. Tutto quel che vorrai noi racconteremo, ma ti lasciamo
libera di incidere il tuo personalissimo finale. Con amore
mamma e papà, padroni e spettatori di tante storie, custodi
della storia più bella, la nostra famiglia. Per sempre.”
April ripassò la frase e subito essa si accese, diventò dorata e da
quel momento fu scritta per sempre nel grande libro delle
storie del destino.
69
70
Non so se esista realmente una piuma d’oro.
Non so è possibile che qualcuno sia stato messo a guardia di
tutte le storie di ognuno di noi.
So però che ognuno di noi è autore di migliaia di storie.
Non è autore solo chi le scrive e le trasforma in libri.
È autore chiunque decida di raccontare e raccontarsi, di
mettere a disposizione la propria storia a tutti coloro che
sentono il bisogno di starla ad ascoltare, di leggerla.
Già perché ognuno di noi ha il grande dono di possedere un
qualche talento.
Se però ci ostiniamo a tenerlo per noi, a lasciarlo scivolare via
nel grigiore di una quotidianità così soffocante, ecco che tutto
sbiadisce, che tutto viene reso triste e senza colore.
Dobbiamo avere dunque il coraggio di scrivere le nostre storie,
qualunque esse siano.
Non dobbiamo temere di stravolgere il nostro presente, non
dobbiamo temere giudizi o pensieri altrui, ogni storia sarà
commentata, ma non è quello l’importante.
L’importante è averla finalmente fatta uscire fuori, fatta
conoscere. L’importante è che essa vada a parlare a chi deve
parlare, si faccia conoscere, informi il mondo che lei è lì, pronta
per essere vissuta.
Tutti noi possediamo una piuma d’oro in qualche cassetto o
dentro al nostro cuore. Essa brillerà solo alla luce del sole, ma
71
affinché un raggio la possa colpire, siamo noi a dover avere il
coraggio di tirarla fuori.
Tommaso Allegri.
72
La piuma d’oro
Capitolo
Pagina
1. Selfie
3
2. La piuma d’oro
24
3. Tutta colpa di..
29
4. Storia di una storia
37
5. La paura è solitaria
42
6. Cambiare il mondo con le
parole? Sì può!
48
7. Il vecchio saggio e la storia
delle storie
8. Sì!
55
9. Primo capitolo
80
68
73
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La piuma d`oro. A5