§
PARAGRAFO
RIVISTA DI LETTERATURA & IMMAGINARI
Paragrafo
Rivista di Letteratura & Immaginari
pubblicazione periodica
coordinatore
FRANCESCO LO MONACO
Redazione
FABIO CLETO, DANIELE GIGLIOLI, MERCEDES GONZÁLEZ DE SANDE,
FRANCESCO LO MONACO, FRANCESCA PASQUALI, VALENTINA PISANTY,
LUCA CARLO ROSSI, STEFANO ROSSO, AMELIA VALTOLINA
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Questo numero è pubblicato con il contributo
del Dipartimento di Lettere, Arti e Multimedialità
© Università degli Studi di Bergamo
ISBN – 978-88-95184-97-5
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Stampato da Stamperia Stefanoni - Bergamo
Paragrafo
IV (2008)
Sommario
INCONTRI
§1. GIOVANNI SOLINAS, La critica tra dialogo e conflitto. Conversazione
con Romano Luperini
9
FIGURE
§2. NICCOLÒ SCAFFAI, Fortuna e sfortuna di un poeta editore. Inediti
di Domenico Buratti
31
§3. PAOLA DI MAURO, Da dandy. L’intellettuale dada contro la guerra
55
§4. GABRIELE BUGADA, La pazzia del tiranno. Ritratti di un potere
bandito
73
QUESTIONI
§5. LUIGI MARFÉ, In viaggio con Erodoto. Appunti per una tipologia
dell’anti-turismo contemporaneo
99
§6. GIANPAOLO IANNICELLI, Tra le crepe della memoria. Dinamiche e
criticità del processo di trasmissione del passato
113
STERNIANA
§7. STEFANIA CONSONNI, Schemi di costruzione spaziale del tempo in
Tristram Shandy
135
§8. STEFANO A. MORETTI, “Quell’inquieto calesse”. Deviazioni spaziotemporali in Laurence Sterne e Prosper Mérimée
163
I COLLABORATORI DI QUESTO NUMERO
183
NUMERI ARRETRATI
185
§
5
Luigi Marfé
In viaggio con Erodoto
Appunti per una tipologia dell’anti-turismo contemporaneo
Benché l’oggetto di In viaggio con Erodoto – il reportage del giornalista di
guerra polacco Ryszard Kapuściński apparso nel 2004 – siano i viaggi
compiuti in Medio Oriente e in Africa, il riferimento del titolo non ha
una valenza esclusivamente geografica. A mettere Kapuściński sulle tracce
dello storico greco, infatti, è soprattutto il proposito di imitarne il metodo di indagine. La sua poetica intende la letteratura odeporica come inchiesta conoscitiva, secondo quanto François Hartog – in un lavoro il cui
titolo evoca la stessa figura – ha dimostrato essere implicito fin dall’etimologia greca, che considera lo storico (historié) prima di tutto un cercatore. In quest’ottica, il valore di un reportage dipende dalla trasparenza
dello sguardo con cui il suo autore dà voce alla realtà dei luoghi che attraversa. Per le proprie corrispondenze, Kapuściński ha usato la definizione
di ‘opera collettiva’, il cui vero autore sarebbe l’insieme delle persone cui
si è rivolto nel corso del viaggio.1
Seguendo le tracce di un viaggiatore precedente, Kapuściński compie
un’operazione letteraria comune a molti resoconti della letteratura odeporica contemporanea. In un mondo che Claude Lévi-Strauss e Marc Augé
hanno definito di fine dei viaggi e di nonluoghi, gli scrittori di viaggio
hanno infatti provato a sviluppare un rapporto con i luoghi diverso dall’omogeneizzazione del turismo, trasformando i propri itinerari in metadiscorso. Questo articolo illustra le strategie retoriche che hanno permesso alla letteratura odeporica di rinviare la propria fine. Per delinearne la
poetica, si descrive in primo luogo la prospettiva dell’anti-turista come
1
Cfr. Ryszard Kapuściński, Podróze z Herodotem (2004), trad. it. di Vera Verdiani, In
viaggio con Erodoto, Milano: Feltrinelli, 2005; François Hartog, Le miroir d’Hérodote
(1980), trad. it. di Adriana Zangara, Lo specchio di Erodoto, Milano: Saggiatore, 1992.
PARAGRAFO IV (2008), pp. 99-112
100 /
LUIGI MARFÉ
personaggio letterario (§ 1), quindi se ne definisce una tipologia (§ 2) e
infine si evidenziano i limiti della sua prospettiva (§ 3).2
1. In Bazar express (1975), Paul Theroux si interroga sulla necessità della
letteratura odeporica nel mondo contemporaneo: se i resoconti di viaggio
si scrivevano un tempo per coloro che non viaggiavano, per chi scriverli
oggi se tutti viaggiano? Tutti fanno l’amore – è la sua risposta – ma non
per questo si è cessato di scriverne. Il mot juste indica l’appartenenza di
Theroux a una generazione letteraria che ha iniziato a pubblicare a metà
degli anni settanta, re-inventando la figura del viaggiatore come personaggio letterario. Si tratta di scrittori come Bruce Chatwin, Redmond
O’Hanlon, Jonathan Raban, Colin Thubron. Alcuni di essi hanno legato
il proprio nome alla rivista Granta, che dal 1979 ha pubblicato molti resoconti di viaggio animati dal desiderio di esorcizzare il turismo di massa
con un dandismo esibito in chiave ironica.3
La nascita dell’anti-turismo rimonta in verità a un secolo prima. Studi
sui rapporti tra la letteratura e il turismo nel XIX secolo come L’idiota in
viaggio (1991) di Jean-Didier Urbain e The Beaten Track (1993) di James
Buzard dimostrano come il termine turista assuma una connotazione negativa intorno al 1850. Da allora, gli scrittori contrappongono il byronismo dei propri itinerari ai viaggi di gruppo di turisti schiavi delle loro
guide. In questo senso, in un saggio sulla letteratura inglese tra gli anni
venti e gli anni quaranta, intitolato significativamente All’estero (1980),
Paul Fussell ha definito il viaggio come parentesi intermedia tra l’esplorazione e il turismo. A suo avviso, i luoghi si offrirebbero nelle condizioni
ideali per essere descritti quando già sono stati scoperti, ma ancora sono
2
Cfr. Claude Lévi-Strauss, Tristes tropiques (1955), trad. it. di Bianca Garufi, Tristi tropici, Milano: Saggiatore, 1965; Marc Augé, Non-lieux. Introduction à une anthropologie de
la surmodernité (1992), trad. it. di Dominique Rolland, Nonluoghi. Introduzione ad un’antropologia della surmodernità, Milano: Eleuthera, 1993; Id., L’Impossible voyage. Le tourisme et ses images (1997), trad. it. di Alfredo Salsano, Disneyland e altri nonluoghi, Torino:
Bollati Boringhieri, 1999; Id., Le temps en ruines (2003), trad. it. di Aldo Serafini, Rovine
e macerie. Il senso del tempo, Torino: Bollati Boringhieri, 2004.
3
Cfr. Paul Theroux, The Great Railway Bazaar: By Train Through Asia (1975), trad. it.
di Francesco Franconeri, Bazar express. In treno attraverso l’Asia, Milano: Mondadori,
1982. Granta ha dedicato alla letteratura di viaggio i seguenti numeri monografici: Travel
Writing, 10, 1983; In Trouble Again, 20, 1986; Travel, 26, 1986; Necessary Journeys, 76,
2001; On the Road Again: Where Travel Writing Went Next, 94, 2006. A questi numeri, occorre aggiungere due volumi: The Granta Book of Travel, London: Granta, 1998, e The
Granta Book of Reportage, London: Granta, 1998.
IN VIAGGIO CON ERODOTO
/ 101
stati visti da pochi. È quello che è successo tra le due guerre, quando
molti scrittori, da D.H. Lawrence e Christopher Isherwood a Henri Michaux e Michel Leiris, hanno affidato al racconto di viaggio nuove sperimentazioni poetiche.4
Al tramonto di quest’epoca, nell’introduzione a Quando viaggiare era
un piacere (1945), Evelyn Waugh scrive che il tempo di viaggiare è finito
per sempre. Invece dei pericoli dell’avventura, la diffusione del turismo
ha infatti imposto la ‘dépense depotenziata’ – per richiamare una categoria
di Georges Bataille, di cui Rossana Bonadei si è servita recentemente,
spiegando proprio queste dinamiche – di chi evade dalla gabbia per una
rivolta controllata, mai più lunga di due settimane. Il desiderio di accaparrarsi il maggior numero di turisti fa aderire i luoghi agli stereotipi cui
sono associati nell’immaginario comune, fino alla loro riduzione a nonluoghi identici tra loro.5 Alla letteratura di viaggio non rimane che raccontare la fine di quei rifugi aristocratici che erano stati fonte di ispirazione di molti artisti, come l’Engadina che Eugenio Montale tratteggia con
nostalgia in Fuori di casa (1969). Emblematico è però soprattutto il caso
di Lawrence Durrell: tornato a Corfù negli anni sessanta, infatti, vi trova
frotte di turisti in cerca dei luoghi che egli stesso aveva descritto in Prospero’s Cell (1945).6
Dal momento che la ricerca del pittoresco si rivela deludente, per
mettere i luoghi nella condizione di dire ancora qualcosa, i viaggiatori ap4
Cfr. Jean-Didier Urbain, L’idiot du voyage. Histoires de turistes (1991), trad. it. di Chiara Barbarossa, L’idiota in viaggio, Roma: Aporie, 2003; James Buzard, The Beaten Track:
European Tourism, Literature, and the Ways to Culture, 1800-1918, Oxford: Clarendon
Press, 1993; Paul Fussell, Abroad: British literary Traveling between the Wars (1980), trad.
it. di Grazia Biondi, All’estero. Viaggiatori inglesi fra le due guerre, Bologna: Mulino, 1988.
5
Cfr. Evelyn Waugh, When the Going Was Good (1946), trad. it. di David Mezzacapa,
Quando viaggiare era un piacere, Milano: Adelphi, 1996; Georges Bataille, “La notion de
dépense” (1934), trad. it. di Francesco Serna, “La nozione di dépense”, in Id., La parte
maledetta, preceduta da La nozione di dépense, Verona: Bertani, 1972; Rossana Bonadei, I
sensi del viaggio, Milano: Angeli, 2007. Sui risvolti sociologici della diffusione del turismo,
cfr. almeno Dean MacCannell, The Tourist: A New Theory of the Leisure Class (1976;
1999), trad. it. a cura di Luigi Guiotto, Il turista. Una nuova teoria della classe agiata, Torino: UTET, 2005; John Urry, The Tourist Gaze: Leisure and Travel in Contemporary Societies,
London: Sage, 1990; Id., Consuming Places, London: Routledge, 1995; Chris Rojek, Ways
of Escape: Modern Transformation in Leisure and Travel, London: McMillan, 1993; Chris
Rojek e John Urry (a cura di), Touring Cultures: Transformations of Travel and Theory,
London-New York: Routledge, 1997.
6
Eugenio Montale, Fuori di casa, Milano: Mondadori, 1969; Lawrence Durrell, Prospero’s
Cell: A Guide to the Landscape and Manners of the Island of Corcyra, London: Faber, 1945.
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LUIGI MARFÉ
prontano una serie di accorgimenti che sono anche gli strumenti retorici
del loro racconto. C’è chi ha provato a cambiare la velocità del viaggio,
cercando nuove possibilità di espressione nella velocità, come il Paul Virilio de L’orizzonte negativo (1984) o nella lentezza, come José Saramago
nel Viaggio in Portogallo (1981). Altri hanno scelto mezzi di trasporto obsoleti, come nel caso della Topolino di Nicolas Bouvier ne La polvere del
mondo (1964), dei treni regionali usati da Theroux in Da costa a costa
(1983) o addirittura del vagabondaggio a piedi di Patrick Leigh Fermor
in A Time of Gifts (1977). Il richiamo del nomadismo ha spinto qualcuno
verso gli antipodi, come Chatwin in Patagonia e in Australia, e altri a
esplorare le realtà sommerse delle periferie delle metropoli come se si trattasse di mondi sconosciuti, al modo de Les passegers de Roissy-Express
(1990) di François Maspero o di London Orbital (2002) di Iain Sinclair.7
I viaggi dell’anti-turismo mirano a costruire un rapporto nuovo tra il
viaggiatore e il luogo, in modo da fare dell’uno l’orizzonte di comprensione dell’altro. Con un’eco letteraria dal viaggio di Arthur Rimbaud in
Dancalia, Chatwin ha riassunto questi sforzi nella domanda Che ci faccio
qui? (1989), il titolo di un volume che raccoglie alcuni dei suoi reportages
usciti perlopiù sul Sunday Times. Attraverso di essa, egli pone in maniera
obliqua la questione dell’identità, legando il senso di un mondo franto e
pulviscolare a quello del sé di chi scrive.8
2. La prima compilazione dei possibili tipi di viaggiatore risale al Viaggio
sentimentale attraverso la Francia e l’Italia (1768) di Lawrence Sterne, allorché Yorick cerca la definizione più calzante per il proprio modo di
viaggiare. A suo avviso, infatti, l’“universalità de’ viaggiatori” sarebbe mossa da tre cause principali: “infermità di corpo”, “imbecillità di mente” e
“inevitabile necessità”. La combinazione di queste scherzose motivazioni
7
Cfr. Paul Virilio, L’horizon négatif. Essai du dromoscopie (1984), trad. it. di Maria Teresa Carbone e Fabio Corsi, L’orizzonte negativo. Saggio di dromoscopia, Genova: Costa &
Nolan, 1986; José Saramago, Viagem a Portugal (1981), trad. it. di Rita Desti, Viaggio in
Portogallo, Torino: Einaudi, 1999; Paul Theroux, The Kingdom by the Sea (1983), trad. it.
di Roberto Cagliero e Stefano Rosso, Da costa a costa, Milano: Frassinelli, 1985; Nicolas
Bouvier, L’usage du monde (1964), trad. it. di Giuseppe Martoccia, La polvere del mondo,
Reggio Emilia: Diabasis, 2004; Patrick Leigh Fermor, A Time of Gifts: On Foot to Constantinople from the Hook of Holland to the Middle Danube, London: Murray, 1977; François
Maspero, Les passagers du Roissy-Express, Paris: Seuil, 1990; Iain Sinclair, London Orbital:
A Walk Around the M25, London: Granta, 2002.
8
Cfr. Bruce Chatwin, What Am I Doing Here? (1989), trad. it. di Dario Mazzone, Che
ci faccio qui?, Milano: Adelphi, 1990.
IN VIAGGIO CON ERODOTO
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dà luogo ai diversi modi del viaggio, con cui Sterne descrive le anime che
si contendono la letteratura del Grand Tour: “viaggiatori scioperati”, “curiosi”, “bugiardi”, “ipocondriaci” e così via, fino al “viaggiatore sentimentale” cui apparterrebbe lo stesso Yorick.9
Classificazioni meno svagate, ma altrettanto arbitrarie, si trovano ne Le
voyage et l’écriture (1974) di Michel Butor, in Noi e gli altri (1989) di Tzvetan Todorov e in Per mare e per terra (1995) di Eric J. Leed. Si tratta di
strumenti utili, a patto di ricordare che lo scopo di una tipologia non è
quello di offrire una definizione univoca del territorio in analisi, ma di tagliare l’impenetrabilità di un genere letterario attraverso alcuni concettichiave – le ‘faglie del discorso’ di cui parla Michel Foucault ne L’archeologia
del sapere (1969) – in grado di portarne alla luce i meccanismi retorici e di
costringerlo a dire qualcosa in più sul suo funzionamento. Prima ancora
che i modi del viaggio, la tipologia che si intende proporre qui riguarda le
strategie retoriche su cui si basa la loro testualizzazione. Gli scrittori dell’anti-turismo non hanno infatti rinviato, esorcizzato o superato la fine dei
viaggi scoprendo nuovi modi di spostarsi nello spazio, ma inventando nuovi modi di rappresentare in chiave letteraria percorsi che potrebbero essere
seguiti anche da un turista. In questo senso, tra le strategie compositive utilizzate nei loro resoconti, si possono distinguere quattro tipi principali:
l’erudizione, il meta-viaggio, il dépaysement, e l’anti-turismo politico.10
I resoconti dei viaggiatori eruditi risolvono la letteratura odeporica
nella somma dei riferimenti colti che i luoghi mettono in moto nella loro
immaginazione. In quest’ottica, viaggiare è qualcosa di simile all’avventura semiologica descritta da Barthes ne L’impero dei segni (1970). Non si
tratta però di attribuire significato a un sistema di segni vuoto, ma di riportare alla luce le tracce dei sistemi di segni che la storia ha stratificato
nei luoghi. La portata conoscitiva dei resoconti di viaggio ascrivibili a
questa poetica si avvicina a quel processo di metaforizzazione del reale
che Hans Blumenberg ha chiamato ‘leggibilità del mondo’: lo scrittore
9
Lawrence Sterne, Sentimental Journey through France and Italy (1768), trad. it. a cura
di Giuseppe Sertoli, Viaggio sentimentale, Milano: Mondadori, 1983, pp. 17, 19.
10
Cfr. Michel Butor, Le voyage et l’ecriture, in Id., Répertoire IV, Paris: Minuit, 1974; Tzvetan Todorov, Nous et les autres. La réflexion française sur la diversité humaine (1989), trad.
it. di Attilio Chitarin, Noi e gli altri. La riflessione francese sulla diversità umana, Torino: Einaudi, 1991; Eric J. Leed, Shores of Discovery: How Expeditionaries Have Constructed the
World, (1995), trad. it. di Erica Joy Mannucci, Per mare e per terra. Viaggi, missioni, spedizioni alla scoperta del mondo, Bologna: Mulino, 1996; Michel Foucault, L’archéologie du savoir (1969), trad. it. di Giovanni Bogliolo, L’archeologia del sapere, Milano: Rizzoli, 1994.
104 /
LUIGI MARFÉ
sfoglia i luoghi come se fossero le pagine di un libro, a caccia di tutti i riferimenti storici, letterari e artistici che trova nascosti nelle sue pieghe.
Per questa poetica, in un’intervista ora raccolta ne La penombra mentale
(2001), Giorgio Manganelli ha proposto il nome di “geocritica”. È come
se il viaggiatore andasse a controllare se i luoghi corrispondono davvero ai
libri che ha letto su di essi, e, nel caso in cui l’aderenza non sia completa,
si convincesse che a sbagliare non siano i libri, ma il mondo.11
Lo sforzo enciclopedico di addobbare il paesaggio con le invenzioni
della propria erudizione implica una sorta di collezionismo antiquario. Se
si pensa alle opere di scrittori come Angelo Maria Ripellino o Alberto Arbasino, si noterà come sia proprio nella letteratura italiana che la letteratura di viaggio ha seguito più spesso il canale dell’erudizione. In libri come Parigi o cara (1960) e Lettere da Londra (1997), ad esempio, Arbasino
ha raccolto numerose sue interviste con scrittori francesi e britannici, fino
a descrivere i luoghi attraverso il ventaglio delle polemiche mondane dei
loro salotti letterari.12
Nella letteratura inglese, lo scrittore che ha espresso meglio questa
poetica sofisticata è Sacheverell Sitwell. La peculiarità di reportages come
L’Olanda (1948) o Spain (1950), in cui la figura del viaggiatore è eclissata
dietro la descrizione dell’architettura e dei costumi tradizionali, dipende
dalla scelta di raccontare lo spirito dei luoghi attraverso i dettagli poco
noti, secondo un proposito già espresso nei suoi studi sul gotico, allorché
invece delle cattedrali aveva descritto miniature e merletti. La volontà di
fuga della letteratura di viaggio tra le due guerre è volta da Sitwell nella
ricostruzione minuziosa di civiltà perdute per sempre, come quella rappresentata dall’arte barocca.13
È come se i luoghi, secondo un’espressione usata da Claudio Magris,
nell’ottica di questi viaggiatori diventassero dei gomitoli di tempo. C’è
una valenza etica in questa scrittura che cerca, attraverso l’attenzione ai
dettagli, di salvare dall’oblio l’alterità di modi di vivere diversi dal pro11
Cfr. Roland Barthes, L’empire de signes (1970), trad. it. di Marco Vallora, L’impero dei
segni, Torino: Einaudi, 1984; Hans Blumenberg, Die Lesbarkeit der Welt (1981), trad. it.
di Bruno Argenton, La leggibilità del mondo. Il libro come metafora della natura, Bologna:
il Mulino, 1989; Giorgio Manganelli, La penombra mentale, a cura di Roberto Deidier,
Milano: Adelphi, 2001.
12
Cfr. Angelo Maria Ripellino, Praga magica, Torino: Einaudi, 1973; Alberto Arbasino,
Parigi o cara, Milano: Feltrinelli, 1960; Id., Lettere da Londra, Milano: Adelphi, 1997.
13
Cfr. Sacheverell Sitwell, The Netherlands (1948), trad. it. di Enzo Siciliano, L’Olanda,
Milano: Garzanti, 1961; Id., Spain, London: Batsfod, 1950.
IN VIAGGIO CON ERODOTO
/ 105
prio. In questo senso, al viaggiare si associa una forte responsabilità morale, che coincide con la difesa dei microcosmi che si incontrano durante il
percorso dall’invadenza della storia. Da questa capacità, dipende la credibilità della letteratura di viaggio come strumento di “mediazione evanescente” – per usare una categoria di Frederic Jameson – tra le culture, come nel Viaggio in Portogallo di Saramago, in Danubio (1986) dello stesso
Magris o nel Breviario mediterraneo (1987) di Pedrag Matvejević.14
La scrittura dei meta-viaggiatori si pone su un piano poetico diverso. Per
scrittori come Chatwin, Theroux e Bouvier, contro l’omogeneità del turismo, non conta la collezione di preziosità erudite, ma la capacità di disconnettere i pregiudizi della mentalità occidentale. L’emblema di questo progetto è la figura del nomade, in cui, al di là di ogni correttezza antropologica,
essi vedono una persona che, oltre alla meta, ha rinunciato anche alla direzione. Per i meta-viaggiatori, il vagabondaggio implica una liberazione dall’ansia, connaturata alla filosofia occidentale, di porre le questioni del senso.
È quello che capita ad esempio in un resoconto come Verso la foce (1988) di
Gianni Celati, che, attraverso il lento scorrere del Po verso il suo delta, descrive le idiosincrasie di ogni visione del mondo basata sulla teleologia.15
La poetica del meta-viaggio coincide con quella descritta da Barthes
alla voce “fading” dei Frammenti di un discorso amoroso (1977). La metafora della dissolvenza cinematografica indica una poetica della sparizione, che porta il viaggiatore fino agli antipodi, alla ricerca di uno spazio libero da ogni ingerenza dell’euro-centrismo. Come sottolineano Gilles
Deleuze e Félix Guattari, il viaggio può indicare infatti un percorso di conoscenza – la “geofilosofia” – alternativo a quello della metafisica tradizionale, poiché fondato non sulla compresenza delle categorie, ma sulla
contingenza dei piani di discorso. È questo il significato di un resoconto
come America (1986) di Jean Baudrillard, che esalta le analogie tra la vita
del deserto e quella delle metropoli statunitensi, nel senso della freschezza
che entrambe possono vantare in antitesi al paralizzante storicismo connesso con la mentalità europea.16
14
Cfr. Claudio Magris, Danubio. Un viaggio sentimentale, Milano: Garzanti, 1986; Id.,
Microcosmi, Milano: Garzanti, 1997; José Saramago, op. cit.; Pedrag Matvejević, Mediteranski brevijar (1987), trad. it. di Silvio Ferrari, Breviario mediterraneo, Milano: Hefti, 1987.
15
Cfr. Paul Theroux, The Great Railway Bazaar, cit.; Bruce Chatwin, The Songlines (1987),
trad. it. di Silvia Gariglio, Le vie dei canti, Milano: Adelphi, 1988; Id., What Am I Doing Here?, cit.; Nicolas Bouvier, op. cit.; Gianni Celati, Verso la foce, Milano: Feltrinelli, 1988.
16
Cfr. Roland Barthes, Fragments d’un discours amoreux (1977), trad. it. di Renzo Guidieri, Frammenti di un discorso amoroso, Torino: Einaudi, 1979; Jean Baudrillard, Améri-
106 /
LUIGI MARFÉ
Ogni passo verso il meno, secondo Bouvier, è un passo verso il meglio. Nel viaggio come nella scrittura, i meta-viaggiatori propongono infatti una poetica del levare per cui il valore estetico si ottiene come sottrazione del noto. Deleuze dà a questo processo il nome di “de-territorializzazione”, dal momento che implica una disconnessione del territorio su
cui poggiano i pregiudizi più radicati dall’abitudine. La scommessa del
meta-viaggio è però quella di non appiattire il principio del viaggiare per
il viaggiare all’estetica post-moderna dell’equivalenza di tutte le tradizioni
e dell’indifferenza al valore. Il mondo in cui si muovono gli scrittori del
meta-viaggio è frammentario e disconnesso, ma non per questo i resoconti devono rinunciare a qualunque sforzo ermeneutico. Il loro compito è
quello di provare a ‘ri-territorializzare’ nuovi piani di significato, al di
fuori della tradizione dell’euro-centrismo.17
Il più importante cantore del meta-viaggio è Bruce Chatwin. Sia
quando racconta gli orizzonti australi che quando cerca i demoni della
campagna gallese, la sua scrittura scopre un mondo di storie che intrecciano una dimensione all’altra. Il senso dei suoi libri dipende dalla sostituzione del picturesque con un’arte di accostare coincidenze improbabili
che Susannah Clapp ha definito chatwinesque. Non importa se i dettagli
sono inventati: la credibilità di Chatwin riposa infatti nella scoperta di un
mondo fatto di esuli e migranti, in cui la normale consecuzione delle cause è incrinata. Al viaggiatore spetta il dovere di inseguire le storie che incontra durante il viaggio, come se fossero le Vie dei canti (1988) che segnano il ritmo degli spostamenti degli aborigeni australiani.18
Sia per i viaggiatori eruditi che per i meta-viaggiatori, il resoconto di
viaggio coincide con la descrizione di un viaggio di piacere. Al contrario,
per gli scrittori dépaysées implica la tragedia di un destino non scelto. Come ha scritto Tzvetan Todorov, ad accomunare i modi del dépaysement –
esilio, deportazione, migrazione – è la lacerazione del tempo doppio in
cui il viaggio li costringe a vivere. Come ne L’angolo prediletto (1908) di
Henry James, il cui protagonista torna dopo molti anni nella casa che
que (1986), trad. it. di Laura Guarino, L’America, Milano: Feltrinelli, 1988; Gilles Deleuze e Félix Guattari, Mille plateaux (1980), trad. it. di Giorgio Passerone, Mille piani. Capitalismo e schizofrenia, Roma: Istituto della enciclopedia italiana, 1987, e Id., “Géophilosophie” (1991), trad. it. di Angela De Lorenzis, “Geofilosofia”, in Geofilosofia. Il progetto
nomade e la geografia dei saperi, Milano: Mimesis, 1993, pp. 11-33.
17
Cfr. Deleuze e Guattari, “Geofilosofia”, cit.; Nicolas Bouvier, L’usage du monde, cit.
18
Cfr. Bruce Chatwin, The Songlines, cit.; Susannah Clapp, With Chatwin: Portrait of a
Writer (1997), trad. it. di Matteo Codignola, Con Chatwin, Milano: Adelphi, 1998.
IN VIAGGIO CON ERODOTO
/ 107
aveva lasciato, trovandovi il fantasma di se stesso, gli hommes dépaysées vivono l’impossibile futuro del passato della vita che avrebbero fatto rimanendo nel proprio paese d’origine. È quello che capita ad esempio ai protagonisti dei quattro racconti de Gli emigrati (1992) di Winfried G. Sebald, che non trovano alcuna ragione di vita nell’esilio e si spengono fino
a morire. Esuli o emigrati, i personaggi di Sebald soffrono per un’identità
scissa, di cui non riescono a ricostruire la continuità con il passato. In
questo senso, Sebald descrive la malinconica impossibilità di ricostruire
un rapporto limpido con il mondo, se non come rievocazione di un orrore che sarebbe stato meno doloroso dimenticare, al modo di una farfalla
rimasta per errore prigioniera di una stanza chiusa.19
A dispetto del surplus di valore estetico che, secondo Extraterritorials
(1971) di George Steiner, la ‘unhousedness’ avrebbe garantito a molti autori chiave della letteratura del Novecento, il linguaggio è infatti soprattutto un vettore di sradicamento. Romanzi come La vera vita di Sebastian
Knight (1941) e Pnin (1957) di Vladimir Nabokov, ad esempio, mostrano come il dépaysement riduca la lingua d’origine a un vocabolario di sentimenti incomunicabili e privati e quella del paese d’adozione a un crudele virtuosismo logico. Non tutti gli autori del dépaysement accettano però
la riduzione al silenzio: alcuni di essi, come Primo Levi o Iosif Brodskij,
trovano infatti nella letteratura un modo di recuperare la continuità con
il proprio passato e dare speranza al futuro.20
Tra i reduci della deportazione, la scrittura di viaggio più nitida appartiene senz’altro a Primo Levi. Un libro come Se questo è un uomo (1947;
1958) intende il viaggio della deportazione come inabissamento fisico e
morale, che impone al reduce lo strano potere di parola del vecchio marinaio di Samuel Coleridge, fino a quando non ha finito di raccontare la
19
Cfr. Tzvetan Todorov, L’homme dépaysée (1996), trad. it. di Maria Baiocchi, L’uomo
spaesato, Roma: Donzelli, 1997; Henry James, “The Jolly Corner” (1908), trad. it., “L’angolo prediletto”, in Id., Racconti di fantasmi, Torino: Einaudi, 1988; Winfried G. Sebald,
Die Ausgewanderten (1992), trad. it. di Ada Vigliani Gli emigrati, Milano: Adelphi, 2007;
Id., Austerlitz (2001), trad. it. di Ada Vigliani, Milano: Adelphi, 2002.
20
Cfr. George Steiner, “Extraterritorials”, in Id., Extraterritorials: Papers on Literature
and the Language Revolution, New York: Atheneum, 1971; Vladimir Nabokov, The Real
Life of Sebastian Knight (1941), trad. it. di Germana Cantoni De Rossi, La vera vita di Sebastian Knight, Milano: Adelphi, 1992; Id., Pnin (1957), trad. it. di Elena De Angeli, Milano: Adelphi, 1998; Primo Levi, Se questo è un uomo, Torino: Einaudi, 1958; Id., La tregua, Torino: Einaudi, 1963; Iosif Brodskij, The Condition We Call Exile (1988), trad. it. di
Gilberto Forti e Giovanni Buttafava, “La condizione che chiamiamo esilio”, in Id., Dall’esilio, Milano: Adelphi, 1988.
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LUIGI MARFÉ
propria storia. Il resoconto dell’odissea con cui Levi è tornato alla fine
della guerra dal campo di Buna Monowitz a Torino, La tregua (1963), dimostra come la sopravvivenza dipenda dalla capacità di non lasciarsi ridurre all’inumano, tenendo desta la curiosità di chi ha messo se stesso per
l’alto mare aperto. Come ha notato Piero Boitani, attraverso la figura di
Ulisse, Levi lega infatti il tema del viaggio a quello della conoscenza, nel
senso della Commedia di Dante.21
Ancora diversa è la poetica dell’anti-turismo politico. Mi riferisco ai
resoconti di viaggio che lottano contro un particolare tipo di turismo, cui
oggi si dà il nome di news management. La tendenza cioè a mistificare la
realtà, attraverso la retorica della politica e la manipolazione delle immagini, nell’ottica di compiacere il potere. Al contrario, i resoconti dell’antiturismo politico non si adeguano a questa logica e superano la fine dei
viaggi con l’atteggiamento perplesso e dubitante di chi cerca di vedere la
realtà al di là delle apparenze. Ai loro autori si può estendere il soprannome che i compagni di viaggio avevano affibbiato a Franco Fortini durante
un viaggio in Cina: je voudrais savoir…22
Da un lato, a questa poetica si possono ricondurre i reportages che smascherano le menzogne dei regimi totalitari, come Il volto della Spagna
(1950) di Gerald Brenan o Un mese in Urss (1958) di Alberto Moravia.
Attraverso la pignola discussione di ogni aspetto della vita sociale dei paesi
che visitano, essi provano infatti a sottrarsi alla cortesia degli ospiti con
cui, come ha notato Paul Hollander, i regimi totalitari hanno spesso cercato di cooptare gli intellettuali per guadagnare credibilità internazionale.
Un’altra tentazione da cui gli scrittori si sono dovuti guardare per non cadere nel turismo della politica è stata quella di trasformare l’insoddisfazione per il sistema politico del proprio paese in esaltazione acritica di quello
altrui, come è capitato a molti visitatori dell’Urss, della Cina o di Cuba.23
D’altronde, è anti-turismo politico anche il giornalismo di guerra.
Come ha notato Phillip Knightley, i corrispondenti di guerra si confrontano con la volontà dei governi di controllare le informazioni fin dalla lo21
Cfr. Primo Levi, Se questo è un uomo, cit.; Id., La tregua, cit.; Piero Boitani, L’ombra
di Ulisse, Bologna: Mulino, 1992.
22
Cfr. Franco Fortini, Asia maggiore, Torino: Einaudi, 1956.
23
Cfr. Gerald Brenan, The Face of Spain (1950), trad. it. di Donato Barbone, Il volto
della Spagna, Bari: Leonardo da Vinci, 1954; Alberto Moravia, Un mese in URSS, Milano:
Bompiani, 1958; Paul Hollander, Political Pilgrims: Travels of Western Intellectuals to the
Soviet Union, China, and Cuba, 1928-1978 (1981), trad. it. di Loreto Di Nucci, Pellegrini
politici. Intellettuali occidentali in Unione Sovietica, Cina e Cuba, Bologna: Mulino, 1988.
IN VIAGGIO CON ERODOTO
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ro comparsa nella guerra di Crimea. Nell’ambito dell’Europa, una situazione di conflitto in cui recentemente i governi si sono contesi i favori
dell’opinione pubblica distorcendo la realtà è quella che tra il 1992 e il
1997 ha visto come teatro di guerra i Balcani. In questo senso, resoconti
di viaggio come il Cahier de Sarajevo (1993) di Juan Goytisolo, Un viaggio d’inverno (1996) di Peter Handke o Maschere per un massacro (1996)
di Paolo Rumiz riescono a mettere in luce le bugie contrapposte della politica. Dietro la retorica, i corrispondenti di guerra scoprono la realtà di
un’umanità sfaccettata e mai scontata, colorando le proprie riflessioni in
chiave filosofica, come capita nei resoconti di Kapuściński.24
3. Se la letteratura odeporica è sopravvissuta alla fine dei viaggi è quindi
perché ha sviluppato una poetica – quella dell’anti-turismo – che le ha
dato i tratti di un’inchiesta conoscitiva, rimettendo in moto le possibilità
narrative connesse con la dimensione del lontano. Ponendo in chiave meta-letteraria la domanda sul senso del viaggio, i resoconti degli anti-turisti
si configurano come interrogatori della natura, che trasformano l’esperienza dello spazio in riflessione sull’identità. La portata di questo progetto poetico è espressa da un romanzo come Sulla collina nera (1983) di
Chatwin. La collina del titolo simboleggia infatti la capacità dello spazio
di influenzare la personalità dei protagonisti. Dalla sua sommità, si vedono da un lato il Galles e dall’altro l’Inghilterra. A seconda del versante
che si scelga per la discesa, non solo si avrà davanti un itinerario diverso,
ma, dal momento che strada e destino coincidono, si indirizzerà in maniera opposta il proprio futuro.25
La distanza tra il turismo e l’anti-turismo, tuttavia, è più sottile di
24
Phillip Knightley, The First Casualty: The War Correspondant as Hero, Propagandist
and Myth Maker from the Crimea to Vietnam (1975), trad. it. di Giorgio Cuzzelli, Il dio
della guerra, Milano: Garzanti, 1978; Juan Goytisolo, Cahier de Sarajevo, Strasbourg:
Nuée bleue, 1993; Peter Handke, Eine winterliche Reise zu den Flüssen Donau, Save, Morawa und Drina oder Gerechtigkeit für Serbien (1996), trad. it. di Claudio Groff, Un viaggio d’inverno ai fiumi Danubio, Sava, Morava e Drina, ovvero Giustizia per la Serbia, Torino: Einaudi, 1996; Id., Sommerlicher Nachtrag zu einer winterlichen Reise (1996), trad. it.
di Claudio Groff, Appendice estiva a un viaggio d’inverno, Torino: Einaudi, 1997; Paolo
Rumiz, Maschere per un massacro, Roma: Editori Riuniti, 1996. Sulla storia dei corrispondenti di guerra, con particolare attenzione al rapporto tra la situazione italiana e quella
anglosassone, cfr. inoltre Mimmo Cándito, I reporter di guerra. Storia di un giornalismo
difficile da Hemingway a Internet, Milano: Baldini & Castoldi, 2002.
25
Cfr. François Hartog, op. cit.; Bruce Chatwin, On the Black Hill (1983), trad. it. di
Clara Morena, Sulla collina nera, Milano: Adelphi, 1986.
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quanto gli scrittori di viaggio lascino intendere. L’errore cui la letteratura
dell’anti-turismo non sempre sa sottrarsi è infatti quello di sostituire il Baedeker con guide più raffinate, come Joseph Addison provava ad orientarsi
nell’Italia del XVIII secolo con il poema di Silio Italico. In questo senso,
l’anti-turismo si macchia talvolta degli stessi difetti riscontrati da Edward
Said in Orientalismo (1978): dal momento che l’unico canale attraverso il
quale invita all’esperienza dei luoghi è quello libresco, il progetto conoscitivo degli scrittori di viaggio finisce per perdere ogni rapporto immediato
con ciò che descrive. Leggendo L’impero dei segni di Barthes, si scopre ad
esempio che il Giappone è solo un pretesto e che il viaggio non è animato
dallo sforzo di aprire uno spiraglio di comprensione dell’altro nemmeno
nelle intenzioni.26
Se lo strano potere di parola della letteratura di viaggio si misura nella
saggezza guadagnata nell’esperienza del lontano di cui ha scritto Walter
Benjamin nel saggio sul narratore (1935), la vera frontiera della letteratura
di viaggio è oggi quella dei ‘contro-viaggi’ dei migranti che mettono in discussione le certezze dell’euro-centrismo. Nelle opere di scrittori come Hanif Kureishi o Caryl Phillips, e, più di recente, Monica Ali e Andrea Levy,
l’Europa non è più il punto di partenza di una civiltà impegnata a esportare se stessa, ma, al contrario, è il punto di arrivo di moderne odissee, che
disconnettono le certezze di superiorità della mentalità euro-centrica. Il
valore di questi counter-travels è proprio nella loro capacità di rimettere in
discussione i rapporti di forza tra le comunità migranti e le società che le
accolgono. I termini della dialettica che istituiscono non sono più quelli
del ‘noi e gli altri’, per dirla con Todorov, ma quelli plurali e frastagliati del
mondo multi-culturale, in cui, come in un disegno frattale, i confini dell’identità di ciascuno appaiono labili e sempre pronti all’ibridazione.27
26
Cfr. Edward Said, Orientalism (1978), trad. it. di Stefano Galli, Orientalismo, Torino:
Bollati Boringhieri, 1991; Roland Barthes, L’empire de signes, cit.
27
Cfr. Walter Benjamin, “Der Erzähler. Betrachtungen zum Werk Nikolai Lesskows”
(1935), trad. it. di Renato Solmi, “Il narratore. Considerazioni intorno all’opera di Nikolaj Leskov”, in Id., Angelus Novus, Torino: Einaudi, 1966, pp. 93-119; Tzvetan Todorov,
Nous et les autres, cit.; Hanif Kureishi, The Buddha of Suburbia (1990), trad. it. di Maria
Ludovica Petta, Il budda delle periferie, Milano: Leonardo, 1995; Caryl Phillips, The
Atlantic Sound, New York: Knopf, 2000; Monica Ali, Brick Lane (2003), trad. it. di Lidia
Perria, Sette mari tredici fiumi, Milano: Mondolibri, 2004; Andrea Levy, Small Island
(2004), trad. it. di Laura Prandino, Un’isola di stranieri, Milano: Baldini Castoldi Dalai,
2005. Di countertravel writing parlano Patrick Holland e Graham Huggan in Tourists with
Typewriters: Critical Reflections on Contemporary Travel Writing, Ann Arbor: University of
Michigan Press, pp. 48-53, a proposito delle opere di Jamaica Kincaid e Caryl Phillips.
IN VIAGGIO CON ERODOTO
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Non per questo va però negato il valore di un’operazione letteraria che
ha rivoluzionato il modo di intendere la figura del viaggiatore e il suo
rapporto con lo spazio, facendo proprie le intuizioni della narrativa modernista, come Heart of Darkness (1899) di Joseph Conrad. La letteratura
di viaggio contemporanea scommette infatti che l’indagine dello spazio
possa offrire un accesso obliquo alla questione dell’identità capace di superare l’impasse del dire narrativo. È questo il senso del titolo Che ci faccio qui? di Chatwin. Secondo la poetica di Theodor W. Adorno, per cui la
forma saggio è sempre una sovrapposizione, in quanto discorso che parte
da altri discorsi, la domanda ‘che ci faccio qui?’ è infatti un modo trasversale di porre le domande su ‘chi sono io?’ e ‘chi è l’altro?’ e rimettere in
moto le possibilità della letteratura di essere uno strumento di conoscenza
anche nell’epoca della fine di tutte le storie.28
In quest’ottica, il viaggiatore non riconquista l’identità come individualità compatta e immobile in se stessa, ma piuttosto come luogo dell’incontro tra le proprie convinzioni e la realtà dei luoghi che attraversa. Nei
resoconti dell’anti-turismo, infatti, il percorso di ri-territorializzazione dello spazio descritto dalla geofilosofia di Deleuze è condotto in chiave metaletteraria, in virtù della coincidenza di viaggio e scrittura. Come ha notato
Iain Chambers, il significato della letteratura odeporica dipende dalla sua
capacità di riscattare lo spazio dalla condizione di nonluogo, intendendolo
come magazzino di nuove narrazioni. Gli anti-turisti riadattano cioè allo
spazio quella capacità di produzione poietica che Paul Ricoeur attribuiva
al tempo raccontato, in quanto vestito cucito di storie.29
Non è un caso se il libro che ha più influenzato la rappresentazione
letteraria del viaggio negli anni in cui l’anti-turismo rivoluziona le convenzioni del genere odeporico – Le città invisibili (1972) di Italo Calvino
– sceglie come protagonista il primo viaggiatore occidentale, Marco Polo.
Invitato da Kubilai Khan a visitare le città del suo impero e a riportare le
sue impressioni di viaggio, il mercante veneziano intende i luoghi che at28
Cfr. Marc Augé, L’Impossible voyage, cit.; Bruce Chatwin, What Am I Doing Here?, cit.
Questa interpretazione riprende argomentazioni già sviluppate da Antonio Gnoli, La nostalgia dello spazio, Milano: Bompiani, 2000. Sul rapporto tra il paesaggio e l’identità, cfr.
anche Lawrence Durrell, “Landscape and Character”, in Id., Spirit of Place: Letters and Essays on Travel, a cura di A.G. Thomas, London: Faber & Faber, 1969, pp. 156-63.
29
Cfr. Gilles Deleuze e Félix Guattari, “Geophilosophie”, cit.; Iain Chambers, Border
Dialogues: Journeys in Postmodernity (1990) trad. it. di Wanda Balzano, Dialoghi di frontiera.
Viaggi nella postmodernità, Napoli: Liguori, 1995; Paul Ricoeur, Temps et récit (1983-1985),
trad. it. di Giuseppe Grampa, Tempo e racconto, 3 voll., Milano: Jaca Book, 1986-1988.
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traversa come episodi, facendo ogni volta sfumare le sue descrizioni in
nuove storie da raccontare. Calvino scrive che il viaggio è uno specchio in
negativo, che fa scoprire al viaggiatore il poco che è suo e il molto che
non ha avuto e non avrà. Condannando melanconicamente il viaggio,
poiché non può dare realtà ai desideri che l’hanno generato, Le città invisibili riaffermano però le sue possibilità di conoscere l’io – il poco del
viaggiatore – e l’altro – il molto che gli resta precluso.30
Allo stesso modo, sempre sospesa tra utopia e disincanto, la letteratura
di viaggio contemporanea affida alla dimensione meta-letteraria il progetto poetico di superare la fine dei viaggi e di riproporre il ruolo della letteratura nella conoscenza del mondo e dell’identità. È questa la scommessa
ad esempio delle Vie dei canti. In viaggio tra gli aborigeni australiani,
Chatwin scopre che il mito fondativo della loro cultura racconta la storia
degli antenati che hanno creato il mondo, dando il nome a ogni cosa incontrassero mentre lo attraversavano. Gettati anche a centinaia di chilometri dalla zona in cui vivono, gli aborigeni di oggi saprebbero – secondo
le Vie dei canti – ritrovare l’orientamento, cantando le Piste del Sogno dei
predecessori. Con un cortocircuito di associazioni tra l’Australia e la poetica degli indistinti confini di Ovidio, Chatwin si lascia affascinare dall’idea della musica come banca-dati per trovare la strada. La sua scrittura si
serve quindi del mito in chiave meta-letteraria, facendo coincidere il viaggio con la sua testualizzazione e sottolineando la portata poietica della letteratura odeporica. Nel momento in cui racconta un luogo, infatti, gli
scrittori di viaggio contemporanei lo staccano dall’indistinto e ne ri-territorializzano il significato. Seguendo l’etimologia del tedesco, che lega il
luogo (Ort) alla parola (Wort), Chatwin dimostra che nessun viaggio può
fare a meno della scrittura, dal momento che le sue rotte sono sempre songlines, percorsi del canto, e quindi, in chiave meta-letteraria, del racconto.
30
Cfr. Italo Calvino, Le città invisibili, Torino: Einaudi, 1972.
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5. LUIGI MARFÉ, In viaggio con Erodono. Appunti per una tipologia