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2
A mia nonna Rosa Buonocore (1910-2008)
per “l‟ immensa eredità d‟affetti”,
per i suoi insegnamenti e la sua spiritualità
che sono serbati nel mio profondo
e costituiscono l'ancora che mi permette
di non naufragare tra i marosi dell‟esistenza,
una stella polare che anche al buio mi indica la giusta rotta.
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Un ringraziamento per l‟accurata revisione della trascrizione al dott. Antonello de Berardinis,
filologo ed archivista presso l‟Archivio di Stato di Pesaro.
Gratitudine agli amici dott.ssa Annamaria Pollio, dott. Pietro Antonio Palladini, dott. Yorel Zirehem
e rev. Don Pasquale Vanacore per la disponibilità espressa nel seguire quest‟opera.
Gratitudine a tutti gli eremiti che ho avuto modo di incontrare presso gli Eremi Camaldolesi
(Coronesi e Benedettini), a Francesco Pio Foglia e a Suor Gabriella Masturzo per l‟esempio di vita
appreso dalla loro testimonianza di ricercatori dell‟Assoluto.
Un ringraziamento al Priore della Confraternita Ave Gratia Plena di Arola di Vico Equense.
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Il mondo non può comprendere la “follia” di chi ama Cristo…
La follia sì, non c‟è altra parola (…). Benedetta follia
che fa vivere fuori dall‟attaccamento alla terra,
e fa che i dolori di questo esilio si vedano
attraverso il gioioso cristallo della speranza…
(fra Rafael Arnàiz Baròn)
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GLI EREMITI CAMALDOLESI CORONESI NEL REGNO DI NAPOLI
1. Prefazione (Giovanni Ponti)
2. Introduzione (Giovanni Ponti)
3. Notizie storiche sulla Congregazione Coronese (Giovanni Ponti)
4. La Congregazione Camaldolese Napoletana tra i secoli XVI e XIX (Giovanni Ponti)
5. Il Manoscritto e il suo autore: Biografia di Giovanni Avogari
6. La regola delle origini e la spiritualità camaldolese coronese oggi (Giovanni Ponti)
1.Dell‟Origine, Fondazione et Progresso dell‟ Eremo dell‟Incoronata (1576; S. Angelo a
Scala, AV)
2. Dell‟Origine, Fondazione et Progresso dell‟ Eremo di San Salvatore a Prospetto (1587;
Camaldoli di Napoli)
3.Dell‟Origine, Fondazione et Progresso dell‟ Eremo di San Michele Arcangelo
(1602; Monte S. Angelo in Torre del Greco)
4.Dell‟Origine, Fondazione et Progresso dell‟ Eremo di Santa Maria degli Angeli
(1603; Visciano di Nola)
5.Dell‟Origine, Fondazione et Progresso dell‟ Eremo di Santa Maria di Gerusalemme
(1607; Arola di Vico Equense)
- Eremo di Santa Maria Avvocata (1689; tra Maiori e Cava dei Tirreni)
- La Fondazione spagnola
- Documentazione fotografica
Appendice
1.Caratteristiche architettoniche degli eremi coronesi (Giovanni Ponti)
2. Sommario storico delle fondazioni coronesi (Giovanni Ponti)
3. Dati biografici del beato Paolo Giustiniani e alcuni scritti
4. Il regime alimentare nel primo monachesimo cristiano (Antonello de Berardinis)
5. Fonti Archivistiche e Bibliografiche
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1.Prefazione
La notte oscura che, oggi, grava su tanti cuori e di cui siamo impotenti testimoni, non è
certo quella di San Giovanni della Croce, ma di sicuro una sua parente. Lo scetticismo e l‟incuria
sbandierata dalla contemporanea civiltà dell‟immagine e dell‟effimero nei riguardi dell‟educazione
spirituale non devono essere motivo di scoramento in quanto non saranno essi a ridurre ad un vuoto
e frustrante silenzio la gentile voce dello Spirito come ben ebbe a motteggiare con il suo "grandi
scettici, grandi mistici" un esperto d'anime quale fu il Cardinale Newman.
Solo un grande scettico che non ha ancora nulla di Dio, per Dio, ne può attendere la chiamata come
solo un grande mistico che non ha più nulla di sé, per sé, può volare a Dio.
L‟uomo è depositario di un‟inestinguibile e tormentosa sete, che quand‟anche negata, è in ultima
analisi “sete di Dio”.
Nell‟effettiva impossibilità di saziare cuori inquieti assetati di verità con dei surrogati, non resta che
recuperare la ricca tradizione spirituale, i camaldolesi ne sono un fulgido esempio, e rielaborare
itinerari spirituali che hanno già supportato proficuamente nel passato numerosi cercatori
dell‟Assoluto.
Le ragioni della scelta monastica, ed in particolare di quella eremitica, sono da rintracciare nel
desiderio di perseguire un cammino spirituale improntato prettamente al lavoro contemplativo. Lo
stesso lavoro di Maria, la sorella di Lazzaro, prediletto ed encomiato da Cristo.
Un neofita può legittimamente interrogarsi circa la effettiva natura della contemplazione.
Così fu definita efficacemente da “un addetto ai lavori” ovvero un monaco cistercense: la
contemplazione è l‟espressione più alta della vita intellettuale e spirituale dell‟uomo. È quella vita
stessa pienamente cosciente, pienamente attiva, pienamente consapevole di essere vita.
È prodigio spirituale. È timore riverente, spontaneo, di fronte al carattere sacro della vita, della
consapevolezza, dell‟essere. È chiaro intendimento che la vita e l‟essere, in noi, derivano da una
Fonte invisibile, trascendente ed infinitamente ricca.
La contemplazione è soprattutto consapevolezza della realtà di questa Fonte. Essa conosce questa
Fonte in modo oscuro, inesplicabile ma con una certezza che trascende sia la ragione, sia la
semplice fede.
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La contemplazione, infatti, è un genere di visione spirituale alla quale aspirano per la loro stessa
natura, la ragione e la fede, perché senza di essa sono destinate a restare incomplete. Tuttavia la
contemplazione non è visione perché vede “senza vedere” e conosce “senza conoscere”. È fede che
penetra più in profondità, conoscenza troppo profonda per essere afferrata in parole, immagini o
anche in concetti chiari.
La contemplazione conosce per mezzo della “non conoscenza” o meglio conosce al di là di ogni
conoscenza o “non conoscenza”.
La poesia, la musica, l‟arte hanno qualcosa in comune con l‟esperienza contemplativa. Ma la
contemplazione mistica va oltre l‟intuizione estetica, l‟arte e la poesia. Essa le riassume, le
trascende e le completa tutte, eppure, nel medesimo tempo, sembra in un certo senso soppiantarle e
negarle tutte.
In altre parole la contemplazione si estende ovunque fino alla conoscenza e persino all‟esperienza
del Dio trascendente ed inesprimibile. Lo conosce come se avesse ricevuto il suo tocco invisibile, il
tocco di Colui che non ha mani, ma è pura Realtà ed è la fonte di tutto ciò che è reale! Perciò la
contemplazione è dono improvviso di consapevolezza, è un risveglio al Reale entro tutto ciò che è
reale. È un prendere viva coscienza dell‟Essere infinito che sta alla radice del nostro essere limitato.
Una consapevolezza della nostra realtà contingente come ricevuta, come dono di Dio, come gratuito
dono d‟amore. È pure la risposta ad un appello di Colui che non ha voce, ma che tuttavia parla in
ogni cosa che esiste e che, soprattutto, parla nel profondo del nostro essere, poiché noi stessi siamo
parole Sue. La contemplazione è questa eco.
È una profonda risonanza nel nucleo più profondo del nostro spirito, dove la nostra stessa vita perde
la sua voce individuale per vibrare della maestà e della misericordia del Nascosto e del Vivente.
Egli risponde a Se stesso in noi e questa risposta è vita divina, è potenza creatrice divina che
rinnova ogni cosa. E noi diventiamo Sua eco, Sua risposta. È come se, creandoci, Dio avesse posto
una domanda e ridestandoci alla contemplazione, Egli rispondesse a questa domanda. Così l‟anima
contemplativa è allo stesso tempo domanda e risposta.
E‟ una conoscenza pura, verginale, povera di concetti, più povera ancora di ragionamenti ma
capace, proprio in virtù della sua povertà e della sua purezza, di seguire il Verbo “ovunque Egli
vada”1.
1
Thomas Merton. Semi di Contemplazione; Garzanti, 1991.
16
Al contemplativo si prospetta un seducente, ma arduo e faticoso sentiero, che richiede quale tappa
obbligata la morte alle esperienze mondane, solo momentaneamente perdute, per rinascere ad un
livello di vita più elevato.
In ogni tempo e luogo ci sono stati individui che hanno avvertito e risposto alla voce dal profondo
adeguando il proprio stile di vita alle personali esigenze di ricerca spirituale. In tempi recenti un‟
eremita di eccezione, Adriana Zarri, ha esemplificato in modo mirabile, in una lettera agli amici, le
motivazioni profonde della opzione per un tale stile di vita.
<Albiano d‟Ivrea, 1° settembre ‟75
Amici carissimi,
vi chiedo scusa se ricorro alla «circolare», non disponendo, in questi giorni, del tempo necessario
per una così lunga lettera a ciascuno; però ciascuno mi è presente, con la sua amicizia unica e
inconfondibile. Dal prossimo 7 settembre non abiterò piú ad Albiano. Mentre vi invito a prendere
nota del mio nuovo indirizzo, vi comunico che non si tratta di un trasloco dovuto a motivi pratici
ma di una scelta di vita eremitica. La mia nuova residenza sarà infatti una vecchia cascina
solitaria, dove conto di trascorrere i restanti anni della mia vita nella preghiera e nel silenzio.
(…) Quando uno sceglie il silenzio dovrebbe, il piú possibile, tacere. Se sento il bisogno di
chiarificazioni è proprio per difendere questo silenzio da possibili equivoci.
Il primo malinteso potrebbe nascere dall‟opinione che la preghiera sia qualche cosa di alienante
che si estranea dalla vita del mondo. Ma la preghiera si nutre di solitudine, non di isolamento; e il
silenzio contemplativo è denso di parole e di presenze. Per questo rifiuto il verbo «ritirarsi». Nel
deserto non ci si ritira, quasi che fosse un guscio, al riparo dalle difficoltà di tutti. Nel deserto si
entra, si cammina, ci si immerge, assumendo la storia e i problemi di tutti. Impegnandosi e lottando
contro le alienazioni di questo nostro mondo, come ho sempre fatto e farò.
(…) Ci sono molti modi di sentire e di vivere il deserto, secondo la spiritualità di ciascuno. Per me
il deserto è soprattutto il luogo felice dell‟incontro con Dio e con gli uomini. E, prima di ogni altra
cosa, vorrei testimoiare quella gioia, che nessuno può toglierci, lasciataci dal Signore Gesù, nella
sua cena. È una testimonianza che – ove sia radicata nella sofferta partecipazione ai problemi del
mondo – non ritengo sia fuori tempo e fuori luogo, anche se la nostra storia è così tormentata;
anzi, proprio per questo. Mentre ci stiamo un po‟ troppo crogiolando nell‟angoscia, in un
compiacimento narcisistico che rivela il ristagno della storia e l‟incapacità di uscire incontro a
nuovi climi culturali, ciò che ci serve, più che un romantico tormento, è un segno di gioia e di
17
speranza che ci dimostri come, anche oggi, si può trovare, in Dio, la pacificazione e l‟armonia
dell‟uomo. Ecco: il mio deserto vorrei che esprimesse non la desolazione di un mondo in isfacelo,
ma lo slancio, la gioia, la speranza, l‟armonia – se si vuole, la profezia – di un mondo nuovo che è
alle porte e che sarà piú vicino a quei «nuovi cieli e nuove terre» promesse dall‟Apocalisse: un
mondo che ha bisogno di entusiasmo e di impegno ma anche di solitudine e silenzio, nella misura in
cui essi sono partecipi e impegnati.
Mi rendo conto che andandomi a <seppellire> nel silenzio (è la sepoltura in Cristo che è già, in
Cristo, resurrezione)- faccio molti passi indietro, nella scala dei cosiddetti valori sociali: esco
definitivamente (se mai vi sono stata e credo proprio di no) dal <giro> delle persone che hanno
prestigio e potenza in questo mondo. Lo so e lo voglio. E‟ anche questa una contestazione del
nostro mondo di arrivismo, di carrierismo, di arrampicementi, per vivere da poveri, tra i poveri,
puntando a ricchezze più profonde.
Vorrei infine demitizzare la figura dell‟eremita, se mai qualcuno l‟avesse incrostata di aloni
leggendari e inaccostabili; perché ritengo che la <normalità> sia un gran valore, perseguibile in
ogni situazione, e che la rinuncia a stili di vita eccezionali sia anch‟essa una forma di povertà e di
semplicità evangelica. Un eremita non è un misantropo inavvicinabile, non è nemmeno
necessariamente un recluso che non possa, di tanto in tanto, muoversi e incontrarsi con la gente,
che non possa soprattutto ricevere chi venga a condividere qualche ora della sua solitudine e a
fargli dono della sua amicizia; chè, anzi, l‟ospitalità è sempre stato carisma monastico. L‟eremita è
semplicemente uno che sceglie di vivere da solo perché nella solitudine ha il suo momento
privilegiato d‟ incontro.
Amici carissimi, questo non è un commiato, se non da un certo modo piú prossimo e frequente di
presenza. Ma, anche se le occasioni di vederci si faranno piú rare, vi porto tutti con me e vi
incontrerò quotidianamente nell‟eucarestia: al calare del giorno, nell‟ora trepida e dolcissima
dell‟incontro di Emmaus, quando avremmo paura della notte se il Signore non fosse là, con il suo
pane. In quest‟ora intima della cena siete invitati tutti, alla mia tavola; e là vi incontrerò e vi
nominerò, uno per uno. Voi non potrete forse immaginare quanto ami gli uomini uno che si
disponga a porre spazi anche soltanto materiali di distanza. È in quest‟amore tenero e profondo
che non mi accomiato ma vi incontro e vi abbraccio, uno per uno, dalla mia solitudine, abitata da
Dio e da voi>2
2
Adriana Zarri. L‟eremo non è un guscio di lumaca. Einaudi, 2011.
18
Un paradigma esaustivo è fornito dalla testimonianza di vita dei monaci che abitano gli odierni
eremi camaldolesi coronesi. Presso questi eremi coronesi (come p.es. Monte Rua, Monte Porzio
Catone, Monte Cucco ecc.) il distacco dal mondo e l‟isolamento sono realizzati efficacemente. La
solitudine ed il “deserto” sono perseguiti dagli anacoreti sia con l‟abolizione dei comuni mezzi di
informazione (internet, tv, radio, ecc.), sia attraverso l‟accurata scelta dei luoghi che con la tutela e
la protezione degli stessi.
Riguardo la solitudine dei luoghi, gli ex-eremi che sorgevano nel Regno di Napoli, protagonisti di
questa pubblicazione, nonostante fossero stati edificati dai monaci fondatori sulla sommità di
colline o montagne, per alcuni di essi ormai è stata definitivamente vanificata l'originaria
prerogativa di inaccessibilità e isolamento a causa dell‟avanzamento dissennato della
urbanizzazione non pianificata.
A tale proposito, riferendosi al secondo dei sei eremi coronesi del Regno di Napoli, San Giuseppe
Moscati già nel 1919 scriveva al Consiglio Comunale di Napoli che avrebbe discusso il piano
regolatore: “Il delirio collettivo della necessità di case fa rassegnare la cittadinanza a tutti gli
sconci. E tra breve anche la solitudine beata dei Camaldoli sarà violata, e fin sotto il cenobio lo
stormire placido dei cerri e dei castagni sarà sostituto dal rumore dell‟ascensore e dalla
orchestrina di caffè e cinematografi.”3
Questo delirio collettivo si è via via amplificato, tanto che in alcuni degli ex-eremi coronesi del
Regno di Napoli, insieme alla presenza dei camaldolesi, si è persa anche l‟originaria tranquillità ed
il silenzio di quei luoghi di deserto. Tuttavia, come recita il motto caro alla tradizione monastica
“succisa viscerit”, per cui nonostante le soppressioni e le “moderne cementificazioni”,
sopravvivono in Italia e all‟estero, eremi coronesi inviolati nelle loro caratteristiche architettoniche
coniugate ad una spiccata sensibilità ecologista antica e lungimirante, di cui i monaci camaldolesi,
ed i coronesi in particolare, hanno sempre alimentato ed alimentano tuttora la loro spiritualità ed il
loro stile di vita.
La lettura degli antichi manoscritti emoziona, non solo per la narrazione in sé delle antiche
fondazioni eremitiche, ma anche per la rivisitazione di una spiritualità monastica del tutto peculiare
improntata ad uno stile di vita al contempo eremitico e cenobitico, che ha sfidato mille anni di
3
Giuseppe Moscati. Lettera al consiglio comunale di Napoli. 1919. Archivio P.P. Gesuiti, Casa del Gesù Nuovo di
Napoli.
19
storia: dalle origini del monachesimo camaldolese benedettino (1012) passando per la riforma del
Giustiniani fino a noi propugnando con fede incrollabile il suo tanto antico ma sempre attuale
messaggio di vita.
Sarebbe auspicabile che questo "compleanno millenario", ricorreranno, infatti, nel 2012 i mille anni
dalla fondazione del primo eremo camaldolese, fosse occasione propizia per la rivalutazione e la
meditazione di tale messaggio.
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2.Introduzione
Questa seconda pubblicazione inerente la storia della Congregazione Camaldolese Coronese
nel Regno di Napoli sorge da un‟insopprimibile esigenza di allargare l‟orizzonte oltre la fondazione
dell‟eremo di Santa Maria di Gerusalemme (il Ventoso), oggetto del nostro precedente lavoro,
protendendolo ai romitori coronesi dell‟intera regione campana.
L‟ex-eremo vicano, infatti, rappresenta solo una delle sei fondazioni coronesi nel Regno di Napoli
che videro la luce tra il XVI ed il XVII secolo, periodo storico particolarmente fecondo per le
vocazioni camaldolesi.
La congregazione coronese, in particolare, fondò un primo eremo nel 1576 in provincia di Avellino
(Santa Maria Incoronata), a cui si aggiunsero altri quattro eremi nel trentennio successivo,
rispettivamente in Napoli (1585, San Salvatore a Prospetto), Torre del Greco (1602, San Michele
Arcangelo), Nola (1603, Santa Maria degli Angeli), Vico Equense (1607, Santa Maria in
Jerusalemme) ed infine l‟ultimo in Majori nel 1689 (Santa Maria Avvocata).
La consultazione dell‟opera manoscritta del monaco Giovanni degli Azzi degli Avogari, meglio
noto come l‟Avogadro, oltre ad essere stata una preziosa ed imprescindibile fonte storica fornendo i
dati relativi ai singoli atti di fondazione, ci ha svelato anche gli epiteti con cui i monaci napoletani
solevano indicare i vari eremi campani: così, oltre al Ventoso, conosceremo il Devoto (eremo di
Sant‟Angelo a Scala), il Commodo (eremo di Torre del Greco) ed il Grassoso (eremo di Nola).
E‟questo uno scritto frutto sia della fondamentale consultazione e trascrizione degli originali codici
manoscritti che di un personale percorso umano e spirituale che mi ha tratto sulle orme degli antichi
cercatori dell‟Assoluto per rendere omaggiare ed immortalare fotograficamente i luoghi dello
spirito da loro abitati in Campania.
Un iter per il quale mi sono inoltrato per impervi sentieri ed irte stradine, attraverso selve e boschi,
fino ai selvaggi rilievi montuosi prediletti dagli eremiti coronesi e ricercati appositamente per la
fondazione dei loro romitori.
E‟, infatti, ben sottolineato nei documenti degli atti di fondazione, quanto sia il Capitolo che i padri
visitatori fossero scrupolosi esecutori delle indicazioni riportate nelle Costituzioni riguardo alla
edificazione di nuovi eremi; per cui essi dovevano essere eretti in luoghi per lo più impervi,
immersi nell‟isolamento dei boschi o in cima ad alture, lontani dalle vie di comunicazione.
21
Lo stesso Paolo Giustiniani in una lettera ad una monaca sulla vita nei primi eremi coronesi scrive:
<…Ma prima che io inizi a parlarvi della santa e devota vita di questi miei padri e fratelli eremiti,
vorrei descrivervi i siti e i luoghi solitari nei quali abitano. Sono certo che se li vedeste con i vostri
occhi, non vi parranno per devozione da meno di quegli antichi eremi dell‟Egitto o della
Tebaide…> .
Nella stessa lettera, descrivendo le Grotte del Massaccio scrive: <…luogo separato, nascosto e di
difficile accesso, per cui non è meno solitario di quelli situati in terre deserte e nelle foreste…>; e a
proposito dell‟eremo di San Girolamo di Pascelupo: < L‟eremo è collocato in un luogo solitario,
deserto, orrido e arroccato su un alto monte e, sopra tale monte, ve n‟è uno ancora più alto e più
eminente>4.
L‟inconfondibile imprinting topografico dei romitori camaldolesi coronesi è stato salvaguardato nel
tempo, tanto che i Padri Coronesi più volte opposero un cortese ma netto rifiuto a donazioni troppo
prossime a strade e vie di comunicazioni come nel caso di un palazzo ubicato nel centro di Napoli
offerto dal marchese Giovanni d‟Avalos o di un terreno in Santa Maria del Castello non rispondente
ai requisiti di luogo idoneo all‟isolamento eremitico.
Oltre alla scelta dei luoghi, le Costituzioni contengono impartizioni circa le modalità architettoniche
ed ambientali inerenti la gestione delle selve e dei boschi circostanti l‟eremo, la costruzione delle
celle, della chiesa e delle varie strutture annesse all‟eremo.
A tale proposito è interessante ricordare l‟impegno che il Giustiniani profuse, quando risiedeva
ancora in Camaldoli, affinché la preziosa solitudine dell‟eremo fosse salvaguardata, oltre che dalla
costruzione di un muro di cinta, anche scongiurando il previsto abbattimento di un gran numero di
alberi destinati a legna da ardere.
Viste le difficoltà a persuadere il Generale dell‟Ordine Delfino, Giustiniani con l‟amico Quirini,
scrisse all‟Arcivescovo di Firenze perche‟ fosse risparmiato il lussureggiante bosco che li isolava e
li proteggeva, ottenendo responso favorevole.
E‟ di quel periodo la redazione da parte del Giustiniani di un testo poi accluso alla “Regola della
vita eremitica” in cui si legge: <Il consenso all‟abbattimento di abeti per le necessità dell‟Eremo
non sarà mai accordato se non con l‟approvazione del capitolo…Questa corona che circonda
l‟eremo sarà inviolabile…L‟eremo e‟ un luogo sacro…Tutto il territorio delimitato dalla corona di
4
Elogio della vita eremitica. Scritti del beato Paolo Giustiniani. A cura degli Eremiti Camaldolesi di Montecorona.
Bannò Francesco Editore, 2005.
22
abeti come pure i sentieri che conducono dalle celle alla chiesa, saranno considerati come un
chiostro…Cosi‟ nel segreto di ogni cella l‟eremita potrà gustare la profonda tranquillità della
santa solitudine>5.
Le stesse Costituzioni prescrivevano che <...le selve loro sieno ben conservate e custodite che non
si guastino, procurando di accrescerle con piantarne o seminarne di novo...>.
Il rispetto e l‟amore per la natura, sancito finanche nelle Costituzioni, garantiva che le costruzioni
fossero a bassissimo “impatto ambientale” e perfettamente integrate nel contesto paesaggistico in
cui vedevano la luce.
Vari capitoli, in linea con le Costituzioni, promulgarono divieti di abbattere alberi nelle aree di
insistenza dell‟eremo e fornirono precise indicazioni riguardo l‟edificazione delle celle eremitiche,
della chiesa e delle strutture annesse (foresteria, farmacia etc.).
Proprio le Costituzioni della Congregazione ritennero sempre indispensabile la presenza di vasti
boschi nelle immediate vicinanze degli eremi qualora questi non fossero già stati eretti all'interno di
tali ambienti naturali.
Oltre ad assolvere ad una comprensibile funzione protettrice, la selva assicurava agli eremi la legna
per il riscaldamento degli ambienti e per la costruzione degli edifici.
Già Luca di Spagna6 aveva constatato la presenza, in Monte Corona, di una considerevole quantità
di abeti e cipressi.
Il Palmieri precisa che l'abetaia fu messa a dimora nel 1850, molto tempo prima erano già stati
piantati i cipressi, tant'è che ai tempi di Luca vi erano più cipressi che abeti.
Molti degli abeti furono sacrificati nel 1826 per la riedificazione della basilica romana di S. Paolo.
In contemporanea al taglio dei boschi, i monaci eremiti provvidero a reimpiantare, oltre agli abeti,
anche pini e cipressi, introducendo per la prima volta, proprio in quell'occasione, il platano ed il
cedro del Libano.
La collocazione di tali cedri, così come quelle dei platani, fu accompagnata da un dettagliato
resoconto della benedizione e dell'apposita orazione.7
Il legame con l'ambiente viene da sempre ripreso e rafforzato, ribadendo la necessità di preservare il
silenzio e la quiete. Il valore simbolico-religioso delle essenze arboree diviene metafora delle virtù
5
Fr. Louis-Albert Lassus, o.p. “Il beato Paolo Giustiniani. L‟amante impenitente del deserto.”pag.23.
Luca di Spagna, Calmaldolese di Monte Rua e autore del lavoro “Romualdina seu eremitica Montis Coronae
Camaldulensis Historia” stampato dalla tipografia dell‟Eremo nel 1587
7
D. Filippo, Spicilegio, par.46
6
23
spirituali: nel capitolo “De Significazione septenarum arborum” (Capitolo 49 Liber)8 i sette alberi
elencati nel libro di Isaia “Io pianterò, dice Dio, nella solitudine il cedro, la spina, il mirto, l'olivo, l'
abete, l'olmo e il bosso” 9, quali segno della fertilità della terra rifondata da Dio, vengono ripresi
contemplandone le proprietà ed assimilandole alle virtù che devono appartenere ai monaci. Sia,
dunque, il monaco, cedro per nobiltà di sincerità e santimonia; spina per compunzione di correzione
e penitenza; mirto per discrezione di sobrietà e temperanza; olivo per frutto di ilarità, di pace e
misericordia; abete per altezza di meditazioni e di pazienza; olmo per forza di tolleranza e di
pazienza ; bosso per forza di umiltà e di perseveranza.
Le medesime Costituzioni, oggi, sono prese a modello per l‟edificazione di nuovi eremi all‟estero e
al contempo forniscono indicazioni utili agli archeologi impegnati nel riportare alla luce le mura di
ex-eremi andati in rovina, come nel caso dell‟eremo dell‟Incoronata di Sant‟ Angelo a Scala.
In ogni caso, il prodotto di quella coscienza ambientalista “ante litteram” è tuttora fruibile, quando
recandoci in visita agli ex-eremi possiamo godere della frescura all‟ombra dei lecceti secolari (exeremo di Vico Equense) o dei faggeti secolari (Ex-eremo di Sant‟Angelo a Scala).
È‟ un fatto notevole che la sobrietà delle costruzioni, la disposizione delle celle con i loro orti
delimitati da mura discretamente disposte dietro la chiesa si ripeta fedelmente nei diversi ex-eremi,
8
Da liber eremiticae regulae aditae, 1080 (Libro attribuito, secondo la tradizione, a Rodolfo II); De significazione
septenarum arborum. <Pianterò, Egli dice, nel deserto, il cedro e il biancospino, il mirto, l'olivo, l'abete, l'olmo e il
bosso. Se dunque desideri di possedere di questi alberi in abbondanza o se brami di essere tra loro annoverato (ut inter
eos computari), tu chiunque sii, studiati di entrare nella quiete della solitudine (in solitudine quiescere). Quivi infatti
potrai possedere, o diventare tu stesso (aut cedus fieri) un cedro del Libano che è pianta di frutto nobile, di legno
incorruttibile, di odore soave: potrai diventare, cioe', fecondo di opere, insigne per limpidezza di cuore, fragrante per
nome e fama; e come cedro che si innalza sul Libano, fiorire di mirabile letizia (mira iocunditate florescas). Potrai
essere anche l'utile biancospino, arbusto salutarmene pungente, atto a far siepi, e varra per te la la parola del profeta
“sarai chiamato ricostruttore di mura, restauratore di strade sicure”. Con queste spine si cinge la vigna del Signore:”
affinchè non vendemmi la tua vigna ogni passante non vi faccia strage di cinghiale del bosco né la devasti l'animale
selvativco. Verdeggierai altresì come mirto, pianta dalle proprietà sedative e moderanti; farai cioè ogni cosa con
modestia e discrezione, senza voler apparire nè troppo giusto né troppo arrendevole, così che il bene appaia nel
medesimo decoro delle cose. Meriterai pure di essere olivo, l'albero della pietà e della pace, della gioia e della
consolazione. Con l'olio della tua letizia illuminerai il tuo volto e quello del tuo prossimo e con le opere di misericordia
consolerai i piangenti di Sion. Così darai frutti soavi e profumati “come olivo verdeggiante nella casa del Signore e
come virgulto d'olivo intorno alla sua mensa. Potrai essere abete slanciato nell'alto, denso di ombre e turgido di
fronde, se mediterai le altissime verità, e contemplerai le cose celesti, se penetrerai con l'alta cima, nella divina
bontà:”sapiente delle cose dell'alto”. E neppure ti sembri vile il diventare olmo, perchè quantunque non sia albero
nobile per altezza e per frutto, è tuttavia, utile per servire di sostegno: non fruttifica ma vantiene la vite carica di frutti.
Adempirai così quanto sta scritto:”Portate gli uni i pesi degli altri e adempirete la legge di Cristo. Finalmente non
tralasciare di essere bosso, pianticella che non sale molto in alto ma che non perde il suo verde, così che tu impari a
non pretendere d'essere molto sapiente, ma a contenerti nel timore e nell'umiltà e abbracciato alla terra, mantenerti
verde. Dice il profeta: “Non alzate la testa verso il cielo” e Gesu' “chi si umilia sarà esaltato”. Nessuno dunque
disprezzi o tenga in poco conto i ministeri esteriori e le opere umili, perchè per lo piu', le cose che esteriormente
appaiono più modeste, sono interiormente le più preziose. Tu dunque sarai un Cedro per la nobiltà della tua sincerità e
della tua dignità; Biancospino per lo stimolo alla correzione e alla conversione; Mirto per la discreta sobrietà e
temperanza; Olivo per la fecondità di opere di letizia, di pace e di misericordia; Abete per elevata meditazione e
sapienza; Olmo per le opere di sostegno e pazienza; Bosso perchè informato di umiltà e perseveranza.>
9
(Is, 41,19)
24
contraddistinguendo inconfondibilmente l‟architettura camaldolese e rendendola funzionale ad un
percorso spirituale fatto di contemplazione, sacrificio e disciplina.
Se pensiamo, poi, che tali disposizioni architettoniche sono una rielaborazione dello stile della laura
del monachesimo palestinese antico, a cui già si rifaceva il Sacro eremo di Camaldoli eretto da San
Romualdo nel 1012 nelle foreste casentinesi, comprendiamo la forza e la saggezza di un messaggio
antico che affonda le proprie radici nella tradizione dei Padri del deserto e del monachesimo medioorientale.
<Un Eremo camaldolese visto da lontano somiglia ad un grazioso paesello (o villaggio) posto sulla
cima di un monte o sul pianerottolo d‟una collina, domina generalmente un vasto orizzonte, e
suggestivi, e talvolta grandiosi panorami. Suole distare alcuni chilometri dall‟abitato, e pone sue
delizie nell‟occupare luoghi che uniscono in sé solitudine e amenità> (“Opuscolo” manoscritto
conservato nell‟eremo di Nola).
Questa definizione è un affresco fedeledegli ex-eremi coronesi che ancora oggi, in alcuni casi,
hanno conservato la prerogativa dell‟inaccessibilità perché distanti diversi chilometri dai nuclei
abitati.
In particolare, gli eremi dell‟Avvocata in Maiori e dell‟Incoronata di Sant‟ Angelo a Scala sono
raggiungibili con non poche difficoltà e dopo diverse ore di aspro ed erto sentiero percorribile solo a
piedi o a cavallo.
Un ulteriore aspetto che accomuna le sei fondazioni coronesi campane è che le stesse sorgono in
luoghi che erano già stati nei secoli precedenti “consacrati” da noti santi eremiti (San Gaudioso nel
453 d.C. sulla collina di Napoli10; Sant‟ Antonino Abate e San Catello nel VII secolo in quella di
Vico Equense) o dalla istituzione di santuari e/o chiese (San Michele Arcangelo in Torre del Greco;
Santa Maria di Gerusalemme in Vico Equense; il Santuario dell‟Avvocata in Majori) e quindi le
diverse comunità eremitiche di volta in volta riallacciavano e rinsaldavano la continuità con il
passato, ergendosi a custodi e testimoni della sacralità di quei luoghi già da tempo meta di pellegrini
e penitenti.
Il passaggio di tante e tali personalità spirituali è rimasto impresso nella memoria collettiva delle
popolazioni dei borghi prossimi agli ex-eremi e il suo retaggio in termini di cultura umana e
spirituale tuttora trasuda dalle conversazioni con gli abitanti di quei luoghi.
10
Secondo la leggenda:< San Gaudioso Vescovo di Bitinia cacciato dall'Africa e scampato dalla persecuzione di
Genserico re dei Vandali, volle edificare, nel 439, sulla cresta del monte una chiesetta in onore della Trasfigurazione del
Signore>. (M.Renato d'Andria: Camaldoli, origine e storia, Napoli 1938).
25
Nel caso degli eremi di Napoli e di Torre del Greco è stata ripristinata, con il ritorno degli ex-eremi
alla comunità camaldolese dopo le espulsioni napoleoniche dei monaci nel 1806, la continuità del
ruolo sociale svolto durante i secoli precedenti.
Non solo la tradizione popolare orale tramandata da una generazione all‟altra, ma anche la
documentazione delle diverse fondazioni rintracciata presso gli archivi diocesani, attestano che i
monaci camaldolesi, sebbene eremiti per professione di vita religiosa, hanno sempre interagito con
le comunità locali, non limitandosi soltanto alla comunione spirituale ma costituendo veri e propri
centri di riferimento per il servizio di foresteria, di farmacia, per le attività agricole e di
sostentamento.
E‟ innegabile il ruolo cruciale rivestito da questi luoghi-simbolo ai fini della nostra identità
culturale e delle nostre radici storico-sociali donde l‟esigenza di rispolverare ed approfondire
l‟antico ma sempre attuale messaggio spirituale e sociale di cui i monaci camaldolesi coronesi, oggi
come un tempo, sono discreti e silenziosi testimoni.
L‟augurio che vogliamo esprimere è che nei prossimi decenni la Congregazione Camaldolese
Coronese possa fare ritorno con le sue comunità in almeno alcune delle ex-fondazioni campane.
In questo tempo particolare, in cui ricorre sia il quattrocentenario delle fondazioni degli eremi di
Torre del Greco e di Vico Equense (1608-2008) che il millenario della fondazione del primo eremo
camaldolese (1012-2012), l‟intitolazione di due strade nei pressi dell‟ex-eremo vicano a San
Romualdo ed al Beato Paolo Giustiniani è un modo per ricordare “da dove veniamo”, e nello stesso
tempo un iter perseguibile per un percorso di ricerca della nostra identità culturale e spirituale sia
collettiva che individuale.
26
3.Notizie storiche sulla Congregazione camaldolese di Monte Corona.
3.1 Le origini della vita eremitica
Le prime tracce della vita eremitica cristiana possono essere fatte risalire alla fine del terzo
secolo, epoca in cui furono i martiri a tenere alto nella Chiesa l‟ideale cristiano della sequela di
Cristo crocifisso.
In quello stesso periodo storico il cristianesimo, riconosciuta quale “religio licita” dall‟ imperatore,
si affermò religione di Stato; finalmente le masse popolari poterono aderire liberamente alla Chiesa
ed i monaci, nel loro distacco completo dagli affari mondani e con il proprio stile di vita conformato
ad ideali di povertà, umiltà e castità si posero quali diretti eredi della tradizione dei martiri.
Nei secoli IV e V il monachesimo sorse come grande movimento spontaneo nella Chiesa,
sviluppandosi prevalentemente in Oriente in particolare in Egitto, Palestina e Siria; in Occidente i
paesi maggiormente interessati furono Francia Meridionale, Africa settentrionale ed Italia.
Tra i nomi più celebri ricordiamo Pacomio, Simeone, Arsenio, Macario in Oriente e Martino di
Tours, Gerolamo, Giovanni Cassiano in Occidente.
Tra tutti primeggia il nome di Sant‟Antonio, morto nel 356 in Egitto, che la tradizione annovera
come “Abate” o “Il Grande”, riconosciuto ed onorato quale Padre del monachesimo.
Monaco ed eremita non fu certamente il primo in senso assoluto ma aderì per primo a quello stile di
vita riconosciuto come ideale per armonizzare l‟equilibrio e l‟intensità delle varie componenti della
spiritualità monastica.
Per tappe successive si inoltrò nella solitudine del deserto egiziano scandendo i propri giorni con la
preghiera ed il lavoro; una piccola sorgente gli assicurava l‟acqua ed alcune volte all‟anno un amico
lo riforniva di pane secco.
Trascorse in questo modo vent‟anni in assoluta solitudine, ed il suo nome, grazie alla biografia
scritta da Sant‟Atanasio, divenne celebre in tutta la Chiesa.
Una moltitudine di uomini e donne, attratti dalla sua avventura spirituale, confidando nella sola
forza dello Spirito, intrapresero l‟affascinante e, al contempo, oscuro viaggio dell‟ascesi spirituale.
27
In origine il monaco era un eremita, in greco “anacoreta” ovvero colui che vive fuori dalla
comunità, ed i suoi rapporti con la società mondana e con gli altri monaci erano molto limitati.
Successivamente si affermò una seconda forma di monachesimo per cui il monaco non era più un
solitario, ma viveva in comunità con altri confratelli in obbedienza ad un Superiore ed ad una
Regola; tali monaci furono definiti cenobiti, cioè “dalla vita in comune”.
Nel volgere di pochi decenni i cenobiti rappresentarono la maggioranza dei monaci.
I cenobi, o monasteri, si diffusero in tutto l‟Oriente e l‟Occidente amministrandosi in base a codici
ed usanze proprie circa la preghiera, il lavoro ed i rapporti fraterni.
San Benedetto da Norcia, nato verso il 480 a Norcia in Umbria e morto nel 547, con la sua Regola
enunciò i principi salienti del monachesimo dell‟Occidente cristiano che, sebbene fossero ispirati al
cenobitismo orientale basiliano, se ne differenziavano per la grande considerazione in cui tenevano
la scelta eremitica.
Il santo di Norcia indicava quest‟ultima come il coronamento del percorso spirituale del monaco,
tenendo ben presente che per la sua difficoltà e radicalità, doveva essere un‟opzione per pochi
individui ben formati da anni di esperienza cenobitica.
A Montecassino il Santo si perfezionò nella difficile arte di governo di un cenobio.
Per i suoi monaci compose una regola che lentamente prevalse su quasi tutte le altre regole dei
monasteri d‟Occidente.
La “Regula Benedicti” raccoglie in sintesi tutto il monachesimo occidentale e il suo Autore fu
presto riconosciuto quale Padre dei monaci d‟Occidente.
Il Papa Paolo VI, nel 1964, proclamò San Benedetto patrono d‟Europa, per l‟immensa opera
civilizzatrice svolta dai monaci bendettini lungo tutto il medioevo fino ai nostri giorni.
3.2 San Romualdo di Ravenna
All‟inizio dell‟anno mille nella cristianità occidentale si diffuse una nuova corrente spirituale che
tentò di coniugare la tradizione rigorosamente cenobitica dei secoli precedenti con il pensiero dei
Padri del deserto egiziani e siriaci.
Romualdo di Ravenna, vissuto tra il 950 e il 1027, diede vita al primo esempio di eremo e cenobio
uniti in originale simbiosi.
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Grazie al suo carisma ed al suo “genio” religioso, Romualdo, figlio del Duca di Ravenna, elaborò
una terza forma di monachesimo: un ibrido tra l‟eremitismo puro al modo di Antonio e il
cenobitismo pieno quale era stato regolato da Benedetto.
Romualdo fu molto stimato da Ottone III.
L‟imperatore, da parte sua, gli affidò in più riprese l‟arduo compito di riformare monasteri in
decadenza.
Egli lavorò operando prodigi nonostante i suoi fossero tempi di profonda crisi per la vita religiosa.
Dovunque passasse, soprattutto nell‟Italia centrale, otteneva la conversione dei costumi e suscitava
vocazioni religiose. Trascorse anche alcuni anni “da recluso” in una cella osservando un perfetto
silenzio.
Fu Abate di illustri cenobi e fondatore di diversi eremi tra i quali quello più famoso è certamente
l‟Eremo di Camaldoli.
Camaldoli11 è una radura sull‟Appennino toscano, in provincia di Arezzo, a 1111 metri di altitudine
dove Romualdo, sedotto dall‟amenità del posto, decise di costruire un piccolo romitorio.
Scelse cinque discepoli a cui destinò cinque piccole capanne e nominò uno di loro superiore.
Nell‟andarsene non impose loro l'ossevanza di una regola monastica ma raccomandò tre cose:
rimanere in cella, tacere, digiunare.
Questi primi discepoli vivevano da eremiti e cenobiti allo stesso tempo: eremiti, perché abitavano
separati e in silenzio; cenobiti perché sottomessi ad un Superiore e con alcune usanze e pratiche
religiose in comune.
Camaldoli fu la prima cellula da cui si sviluppò l‟ordine Monastico Camaldolese, diffusosi poi in
tutt‟Italia con un periodo di massima fioritura nei secoli XIV-XVI.
La commemorazione liturgica di San Romualdo ricorre il 19 giugno, giorno dell‟anniversario della
sua morte.
11
Secondo la tradizione più accreditata, tale località apparteneva ad un certo Conte Maldolo. Detto luogo, secondo
alcuni, veniva chiamato Casa Maldolo, oppure Campo Maldolo, secondo altri, invece, veniva chiamato Campo
Amabile. Nacque così la denominazione di Camaldoli: da ca' (campo) e Malduli (genitivo del nome di casato). In
seguito il nome Camaldoli fu esteso a tutti gli altri monasteri appartenenti alla medesima Congregazione.
29
3.3 Paolo Giustiniani e la “Compagnia degli eremiti di S. Romualdo
All‟inizio del XVI secolo, le acque al Sacro Eremo di Camaldoli erano piuttosto agitate a causa
delle difficili relazioni con quello che un tempo era il semplice hospitium di Fontebono che stava
usurpando il ruolo di monastero effettivo.
Durante il generalato di Pietro Delfino (1479-1525), i malumori degli eremiti, che si ritenevano a
buon diritto l‟aristocrazia dell‟ordine, si moltiplicarono lamentando la scarsa considerazione in cui
erano tenuti.
L‟arrivo nella comunità di Tommaso Giustiniani il 25 dicembre del 1510, fu salutato con grande
entusiasmo dagli eremiti che lo nominarono prima loro rappresentante al capitolo generale di
Firenze (in cui fu decisa l‟unione del Sacro Eremo e delle sue dipendenze con la congregazione di
S. Michele di Murano), e poi Maggiore, ossia priore claustrale.
Tommaso apparteneva ad una delle più nobili famiglie di Venezia e vantava illustri antenati tra i
quali il primo Patriarca di Venezia, San Lorenzo Giustiniani.
Aveva frequentato l‟Università di Padova ed era divenuto un fine letterato, buon latinista, ottimo
conoscitore della filosofia antica e medioevale.
Secondo la tradizione religiosa nella cerimonia di Vestizione gli venne mutato il nome di battesimo
ed assunse quello di Paolo.
L‟eremo di Camaldoli attraversava allora un periodo di serie difficoltà e la stessa vita eremitica era
messa a repentaglio perchè la pratica della solitudine e del silenzio erano sovente violate da
“interferenze esterne”.
L‟eremo, infatti, era privo di locali riservati alla clausura ed i visitatori troppo frequenti.
Era, inoltre, amministrato prevalentemente dai monaci del Cenobio di Fontebuono (a circa 2 Km di
strada dall‟eremo) più che dagli eremiti.
Pietro Delfino, il Superiore Generale, non fu capace di porre rimedio alla situazione.
Fra Paolo si trovò a dover rivestire, senza volerlo, il duplice ruolo di amministratore e guida
spiritualedell‟Eremo.
Le naturali doti di ingegno, la statura morale, l‟amicizia con illustri personaggi (Giovanni e Giulio
de‟ Medici, rispettivamente poi Papa Leone X e Clemente VII) lo resero un eremita singolare tra i
30
suoi confratelli. Il suo obiettivo principale fu di ripristinare l‟osservanza eremitica e riportare
Camaldoli allo spirito delle origini.
Trascorsi dieci anni, dopo aver lavorato alla stesura delle nuove Costituzioni, il Giustiniani
abbandonò l‟eremo nel settembre del 1520.
Visse per alcuni mesi in un luogo semi-desertico nei pressi del villaggio umbro di Pascelupo fino a
quando accettò l‟offerta dei suoi antichi confratelli che gli cedettero l‟eremo delle Grotte del
Massaccio nella diocesi di Jesi.
Il 9 dicembre 1523 con un atto stilato nel Monastero di San Biagio di Fabriano veniva riconosciuta
l‟esistenza canonica della piccola Compagnia di S. Romualdo.
L‟anno successivo si riunì il primo capitolo della neonata Compagnia che contava già una trentina
di membri tra preti e laici.
Venne approvata una Regola over institutione eremitica, che riprendeva e adattava le costituzioni
redatte dal Giustiniani pubblicate nel 1520.
La novità della nuova Congregazione creata dal Giustiniani consisteva soprattutto nel rilancio dello
stile di vita eremitico quale mezzo privilegiato di ascesi e di contemplazione: l‟eremo non era più
sottomesso al cenobio e i candidati alla vita solitaria vi potevano accedere direttamente.
Quella che più tardi sarebbe divenuta la futura Congregazione degli eremiti camaldolesi di Monte
Corona, dal nome del romitorio fondato tra Perugia e Città di Castello, sarà composta
esclusivamente da eremi.
Dopo la scomparsa del fondatore, spirato nella solitudine del monastero di S. Silvestro sul monte
Soratte (28 giugno 1528), la nuova congregazione continuò a svilupparsi con nuove fondazioni
nell‟Italia centrale e settentrionale.
Lo stemma della congregazione raffigura tre monticelli: il più alto, al centro, è sormontato da una
corona regale su cui si eleva una croce.
Nel 1542 vi fu un tentativo di riunificazione con i Camaldolesi benedettini ma tramontò dopo solo
due anni nel 1544.
All‟inizio del XVII secolo gli eremiti coronesi varcarono i confini italiani per insediarsi in Polonia,
dove erano stati chiamati dal maresciallo Wolski fondando l‟eremo di Bielany presso Cracovia.
Successivamente fondarono case in altre regioni dell‟Europa centro-orientale, quali Austria,
Ungheria, Slovacchia e Lituania.
Sempre nel corso del Seicento ci fu un‟effimera riunificazione delle diverse congregazioni
camaldolesi decretata nel 1634 per gli eremiti di Toscana, Monte Corona e Piemonte e nel 1635 con
quelli di Francia.
31
La stessa riunificazione fu abolita poi da Clemente IX nel 1667 (Lugano, pp446-447).
Un‟ultima espansione in quelle regioni europee si ebbe nel corso del XVIII e coincise con i
provvedimenti ostili agli ordini monastici adottati da vari Stati europei di modo che quasi tutte le
fondazioni furono poi soppresse.
Dopo le persecuzioni napoleoniche, gli eremiti coronesi si ripresero lentamente per essere colpiti
ancora una volta dalle leggi eversive varate dal Governo italiano nel 1861 e nel 1866.
Un ultimo periodo di sviluppo si registrò tra Ottocento e Novecento con il ripristino e l‟apertura di
nuovi Eremi in Italia, Polonia, Spagna, Colombia e Stati Uniti.
3.4 Le prime Fondazioni coronesi nel Regno di Napoli
Nonostante la notizia di un breve soggiorno di San Romualdo di Ravenna in Monte Cassino12,
l‟istituzione monastico-eremitica a cui diede slancio non si diffuse nelle regioni meridionali della
penisola italiana.
Solo con l‟arrivo in Camaldoli di Paolo Giustiniani e la fondazione della nuova Compagnia di San
Romualdo, gli eremi camaldolesi coronesi cominciarono a diffondersi nel meridione d‟Italia prima
in Molise (tre eremi) e poi in Campania (sei eremi).
Tale diffusione delle comunità nel Mezzogiorno d‟Italia non fu certo merito del talentuoso
meridionale Girolamo Nifi da Sessa Aurunca13, ex archiatra pontificio che si unì al Giustiniani nel
1521 alle grotte di Masaccio andando poi a fondare l‟eremo di Monte Rua in Veneto, bensì di un
toscano, certo fra Innocenzo,”Florentinus genere” e più precisamente di San Gemminiano.
Infatti, la prima fondazione nel Regno di Napoli fu l‟Eremo di S. Maria dello Spirito Santo, nei
pressi di Larino (Campobasso), fondato nel 1523, anno in cui Innocenzio da Firenze, che l‟anno
precedente ne aveva ottenuto l‟usufrutto dal vescovo di Larino, aderì alla Congregazione coronese.
Per rendere regolare l‟eremo, nello stesso anno il B. Paolo Giustiniani affiancò a frate Innocenzio
alcuni confratelli, fra cui Zaccaria Siculo, che fu visitatore Generale con lo stesso Giustiniani nel
152614.
12
Mittarelli-Costadoni, VIII, 34-35, 54-55
Nel Cap.1532 <Iten ad instantia del P.G. Hieronimo da Sessa fu ordinato che non possa da mo innanzi medicar senza
licenza del P. major, excetto li nostri fratelli eremiti e li seculari nostri familiari>. ACTA CapMDXXXII, C,31
(adunanza del 26 apriel). Lodato dal Bucelino come < omni scientia cultissimus et medica in primis excelleus arte,...>.
14
Mittarelli-Costadoni, VIII, 34-35, 54-55; Tria, 266; Magliano, Lario, 252; Ugo Pietrantonio. Il Monachesimo
benedettino nell‟Abbruzzo e nel Molise. Editrice Rocco Carabba
13
32
Il “loco o ver eremitorio de sancta Maria del Spirito Sancto, diocesi Larinense in Puglia” è
effettivamente menzionato nell‟elenco delle fondazioni contenuto nel documento del novembre
1523 redatto a S. Biagio di Fabriano.
Nel 1524 erano presenti, oltre a fra Innocenzio, un eremita sacerdote, un chierico, tre conversi e un
“commesso”. Due anni dopo la comunità contava otto monaci, divenuti nove nel 1527.
L‟eremo raggiunse prestissimo grande notorietà, tanto che la città di Larino lo candidò a sede del
capitolo generale del 1528.
Nell‟estate del 1529, la peste contagiò mortalmente la maggior parte degli eremiti, tra cui anche
Don Agostino da Bassano, che era stato tra i primi seguaci del Giustiniani e che rivestiva in
quell‟anno la carica di Maggiore (Lugano, pp.503-504).
Nella stessa regione, al tempo Puglia Capitanata, videro la luce, in quel periodo, altri due eremi
(<tria loca posserederunt in Apulia> di cui uno fu l‟Eremo di S. Maria del Rifugio15, anch‟esso nei
pressi di Larino (Riccia) e l‟altro di cui non viene riportata l‟intitolazione probabilmente una
grancia di uno dei due precedenti.
Le martellanti incursioni saracene, le carestie e la peste, che decimò la Congregazione riducendola a
soli 70 monaci, convinsero i Padri Coronesi, radunatesi nel 1530 a S. Salvatore di Monte Acunto,
ad abbandonare “momentaneamente” il Regno di Napoli, trasferendosi più a nord nelle Marche e
nello stato Ecclesiatico16.
15
Lugano P. La congregazione Camaldolese degli eremiti di Monte Corona,Roma 1908, 215, 223, 239; Cacciamani,
Camaldolesi, 56
16
Ugo Pietrantonio. Il Monachesimo benedettino nell‟Abbruzzo e nel Molise. Editrice Rocco Carabba
33
4. La Congregazione Camaldolese Napoletana tra il XVI e il XIX secolo
Tra gli eremiti napoletani e la Congregazione di Montecorona non sempre intercorsero buone
relazioni, soprattutto dopo la mancata unione di questa con le altre famiglie camaldolesi.
Gli eremi della Campania erano sotto il profilo economico piuttosto floridi ed animati da una
discreta popolazione religiosa intollerante all'ingerenza di confratelli di altre “nazioni”, in
particolare della Ecclesiastica e della Veneta, nel governo interno del proprio istituto.
Inoltre, il frazionamento politico dell‟Italia, le distanze geografiche, il decreto di papa Urbano VIII
che vietava il passaggio dei religiosi da una provincia all‟altra (Cgf. Sommario, pp.85-86 n.70;
Breve Ut aequalitas del 27 gennaio 1644) non incoraggiarono di certo un approfondimento della
conoscenza reciproca ed una coesione degli animi.
Il provvedimento pontificio, dettato dalle circostanze del tempo, non proibiva in modo assoluto il
“trasloco degli eremiti” ma lo subordinava al consenso di tutti i definitori del capitolo generale,
decisione estremamente complicata.
Nel 1668, quando ormai i coronesi avevano riacquistato la loro indipendenza, Clemente IX revocò
il breve di Urbano VIII, conferendo al capitolo generale e al Venerabile Tribunale la “facoltà di
trasferire i religiosi con la sola maggioranza dei voti favorevoli” (ivi, p.117,n.247, breve Alias
postquam del 23 marzo 1668).
I trasferimenti furono accordati rare volte e dovettero essere autorizzati dalla Congregazione dei
Vescovi e dei Regolari, dalla S. Penitenziaria o dalla Disciplina Regolare.
L‟inclinazione diffusa tra i Coronesi partenopei al “ricorso”, al libello anonimo o al memoriale
collettivo di protesta inoltrato a Roma o alle autorità locali assunse tra il Seicento ed il Settecento
vaste proporzioni, sintomo inequivocabile di un malessere che albergava in più strati della
Congregazione.
A tal proposito l‟elenco dei ricorsi del solo periodo 1660-1772, registra ben 137 documenti, dei
quali 61 provenivano da eremi o singoli religiosi della Nazione Napoletana (cfr.pp.330-333).
Nel 1685, il capitolo generale della Congregazione deliberò contro il vituperato malcostume del
facile abbandono della clausura instauratosi tra i monaci campani e furono sanzionati con
provvedimenti severi quei superiori che non che non lo avessero contrastato.
Quando l‟anno seguente il Maggiore e i visitatori giunsero a Napoli per l‟ordinaria visita canonica
sondarono con mano propria l'impopolarità delle misure adottate durante il capitolo.
La visita si svolse in un clima piuttosto teso e quando il Maggiore, di origine inglese, si recò dal
Vicerè per la consueta visita di congedo fu preceduto, con suo sommo disappunto, dal ricorso
presentato contro di lui dai suoi stessi sudditi (Cfr.ASV,VVRR, Sezione Regolari, positiones 1686).
34
Don Giovanni Benedetto, Maggiore dei Coronesi, dal 1685 al 1687 (cfr. Lugano p.515) era
effettivamente un uomo molto intrasigente.
Il Capitolo del 1671, edotto del fatto che la sua nomina a priore dell‟eremo di Monte Corona aveva
suscitato le “doglianze” di molti religiosi, affidò al Maggiore del tempo l‟incarico di vigilare su di
lui e di mitigarne severità (ASCM,V.T.Acg.1671,f.55r).
L‟anziano religioso, che in un primo momento aveva anche pensato di ratificare le proprie
dimissioni (ASV,VVRR, Seione Regolari, Positiones), propose una nuova visita agli eremi con
l‟eventuale partecipazione delle autorità civili.
Intanto il nunzio apostolico, edotta Roma dell‟accaduto, ne ricevette disposizioni contrarie per cui
ne annullò l‟esecuzione.
Le accuse mosse al Maggiore, di cui era a conoscenza anche il nunzio, erano di non aver “lasciato
in libertà i Padri di parlare e dir cio‟ che li occorreva” e di “non aver punito i delinquenti”.
L‟interessato aveva respinto tali accuse ma uno dei Visitatori, Don Romano da Aversa, aveva
deposto a favore.
Si pervenne, comunque, ad una soluzione di compromesso che tenne conto delle principali richieste
dei Padri napoletani: l‟uso di “neve e pianelle”, l‟accelerare la nuova Fondazione dell‟Avvocata e la
revoca delle disposizioni capitolari del 1685 circa le uscite dall‟eremo (ASV,VVRR, Regesta
Regularium 93, 17 maggio 1686, ff.82r-83v).
Nonostante il beneplacito del nunzio verso tale compromesso, Roma annullò d‟autorità gli articoli
contenuti nella transazione, comunicando le sue decisioni ai membri della dieta (riunitasi a Monte
Corona nel 1686) tramite il protettore della Congregazione, cardinale Nerli.
Gli eremiti napoletani per nulla entusiasti delle nuove disposizioni si mostrarono riluttanti a
sottomettervi.
Il cardinale Alderano Cybo, segretario di Stato, informato dal nunzio di Napoli, nel luglio 1686,
delle agitazioni tra i monaci napoletani ricorse al pugno di ferro e ripristinò, almeno
apparentemente, la calma negli eremi del Regno.
Nel Settecento si accese un‟altra vivace controversia tra i coronesi partenopei ed il vertice della
Congregazione.
I monaci napoletani accusavano i superiori di “brigare per l‟elezione dei prediletti con liste
combinate e trasmesse anticipatamente da una nazione all‟altra, sicché da dodici anni i medesimi
soggetti facevano parte del capitolo e del definitorio”.
Per tale ragione i ricorrenti chiesero l‟invalidazione del capitolo generale del 1707 ma tale richiesta
fu respinta dalla Congregazione dei Vescovi e dei Regolari.
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I malcontenti non si placarono e culminarono nella crisi vera e propria, esplosa a metà del
Settecento, conclusasi, poi, con la separazione degli eremiti della Nazione napoletana da Monte
Corona.
Tre periodi salienti scandirono il decorso degli eventi e più precisamente il 1747-48, il 1760-62 e il
1769-71.
Dopo il Capitolo del 1747, il visitatore napoletano Don Egidio Maria, da tempo sofferente, decise di
“portarsi a Napoli per prendere li bagni d‟Ischia” e prima di lasciare Monte Corona si accordò con
il Padre Lodovico Maria, visitatore collega, circa il suo successore in caso di morte o rinunzia.
Di lì a poco, nell‟agosto dello stesso anno, questi rinunciò alla carica e si ritirò nell‟eremo di Vico
Equense.
In seguito alle sue dimissioni, l‟elezione di un nuovo visitatore innescò una accesa diatriba tra gli
eremiti napoletani.
Costoro sostenevano che tale elezione fosse da rinviare a dopo la visita canonica alla propria
Nazione mentre il visitatore ecclesiastico insisteva perché si procedesse subito riunendo il
definitorio a Monte Corona.
Il cardinale protettore indisse l‟elezione in Napoli, dove per l‟occasione afferirono sia il Maggiore
che Don Lodovico, ma quest‟ultimo, avendo un proprio candidato, cercò di temporeggiare
adducendo a pretesto la personale mancata accettazione delle dimissioni del collega per cui la carica
non era da considerarsi ancora vacante.
Viste le difficoltà il Maggiore ricorse alla Congregazione dei Vescovi e Regolari, la quale gli
notificò per mezzo del protettore, cardinale Carafa, l‟ordine di riunire comunque il definitorio,
assemblandolo con i Priori che avrebbe ritenuto più adeguati e conferendogli la facoltà di sostituire
Don Lodovico qualora si fosse rifiutato di intervenirvi.
Il Visitatore ecclesiastico con i priori di Napoli e di Nola presentarono ricorso al foro laico al fine di
invalidare l‟exequatur che invece fu concesso nel 1748.
Alcuni giorni dopo si riunì il definitorio nell‟eremo di Torre del Greco e fu eletto Don Clemente da
Oriolo.
Nel 1760 un eremita di origine abruzzese, zelante priore dell‟Eremo di Napoli, Don Michelangelo
Ciavolichi, notificò al Pontefice in persona tre capi di imputazioni a carico degli eremiti napoletani,
ovvero le frequenti uscite dei monaci dagli eremi, “il non buon uso che si faceva delle elemosine
delle Messe” e ”il danno gravissimo spirituale e temporale che recava il far lavorare a conto proprio
le masserie” invece di concederle in affitto come era consuetudine nella congregazione coronese.
La congregazione dei Vescovi e dei Regolari inviò un‟ingiunzione ai visitatori generali affinchè
fosse tutelata la regolare osservanza negli eremi napoletani.
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Ne derivò un‟ulteriore tenzone tra il visitatore in carica Don Bernardo Maria da San Remo e gli
eremiti napoletani di Nola e Napoli, le due comunità maggiormente colpite dai provvedimenti, che,
oltre ad appellarsi a Roma, cercarono di coinvolgere anche il governo laico per ottenere il divieto di
elegibilità degli eremiti di nazionalità straniera alle alte cariche dei monasteri e quindi poter eludere
le disposizioni di Don Bernardo Maria da San Remo.
Il cardinale Camillo Paolucci Merlini stilò un decreto quale compromesso tra le istanze dei padri
napoletani e le disposizioni di Monte Corona.
Nel 1769 il nunzio apostolico a Napoli, Mons. Carlo Leopoldo Calcagnini, comunicava al
segretario di Stato l‟arresto del priore dell‟eremo di Torre del Greco, che per ordine di Gennaro
Pallante era stato trasferito a Napoli nell‟ex residenza dei gesuiti al Gesù Vecchio.
A capo della comunità fu insidiato il religioso più anziano, Don Mauro da Teano, benvisto dalla
corte borbonica ed in più fieramente ostile alla Curia Romana e alla Compagnia di Gesù.
Verso la fine del XVIII secolo i rapporti tra la Nazione napoletana, terza tra le provincie italiane
della congregazione coronese, ed il Venerabile Tribunale si erano lentamente deteriorati.
I superiori dell‟Istituto rimproveravano agli eremiti napoletani uno stile di vita meno rigoroso di
quello osservato nelle case dello Stato Pontificio e della Repubblica di Venezia. I religiosi campani,
dal canto loro, si lamentavano dello strapotere esercitato nel governo della congregazione dai
confratelli delle altre nazioni, essenzialmente quella Ecclesiastica e quella Veneta, opponendosi alle
numerose contribuzioni in denaro che erano obbligati a corrispondere a motivo della loro più che
discreta consistenza patrimoniale.
Il partito degli scontenti, capitanato da don Mauro da Teano, peraltro inviso agli eremiti della
comunità di Torre del Greco, nel 1769 ottenne il rifiuto da parte dei priori del regio exequatur che il
capitolo generale di quell‟anno aveva approvato per gli eremi napoletani.
Verso la fine dell‟anno don Mauro e i suoi inviarono una supplica a Ferdinando IV in cui
illustravano le ragioni che sottendevano la loro legittima richiesta di indipendenza da Monte
Corona.
Il sovrano ordinò che la petizione fosse esaminata da una giunta di cinque membri il cui responso fu
naturalmente favorevole.
La reazione di Roma alle manovre della corte napoletana fu poco incisiva e finì per promulgare, il
13 maggio 1771, un breve che costituiva in congregazione autonoma la provincia coronese
napoletana composta allora di sei eremi17.
Nel Regno di Napoli la vita interna delle comunità che costituivano la congregazione indipendente
degli eremiti camaldolesi non fu molto turbata dalla parentesi repubblicana.
17
Cfr. Croce, La “Nazione Napolitana”, p.223-235.
37
Nel 1806 al contrario, all‟indomani della caduta di re Ferdinando IV di Borbone, cominciò a
prospettarsi l‟inizio del tramonto per le comunità camaldolesi campane.
Nell‟ottobre di quell‟anno la comunità di S. Maria Incoronata, che aveva aperto la serie degli eremi
campani, veniva espulsa manumilitari perché accusata di aver offerto ospitalità ed assistenza al
brigante Michele Pezza, più noto come fra Diavolo, ed alla sua banda18.
L‟anno seguente, con la legge del 13 febbraio 180719, i camaldolesi napoletani rientravano tra gli
ordini monastici da sopprimere.
Costretti ad abbandonare gli eremi di Nola, Vico Equense, Torre del Greco e dell‟Avvocata, un
discreto numero di religiosi trovò rifugio nel monastero di Napoli dove fu loro consentito
soggiornare solo previa deposizione dell'abito monastico20.
Nel mese di maggio 1822, il Pontefice Pio VII, suppplicato insistentemente dal Padre Superiore
della Congregazione napoletana, Antonio Maria Lenzi, ricollocò la Congregazione napoletana sotto
la giurisdizione di Monte Corona.
Nel gennaio del 1826 l‟Eremo di Torre del Greco venne riconsegnato agli eremiti coronesi.
Nel 1837 venne recuperato anche l‟Eremo di S. Maria degli Angeli di Nola.
Tuttavia il periodo di pace fu di breve durata: il 19 dicembre 1837 il pontefice Greorio XVI
decretava la nuova separazione.
Nel trentennio successivo la comunità camaldolese coronese napoletana fu definitivamente
annientata dalle leggi eversive del governo italiano: gli eremiti furono espulsi, solo a Napoli e a
Nola ne rimase qualcuno in forma “privata”.
Il 31 maggio 1886 un decreto della Congregazione dei Vescovi e Regolari dispose che l‟eremo di
Napoli fosse “unito in perpetuo” ai Camaldolesi di Monte Corona “partecipando di tutti i privilegi
della medesima, tolto quello della nazionalità.
Nel 1935 anche l‟eremo di Santa Maria degli Angeli di Nola veniva recuperato dai religiosi di
Monte Corona.
18
Cfr. Croce, La “Nazione Napolitana”, p.236.
Ibidem, p.237
20
Ibidem
19
38
5. Il Manoscritto e il suo autore: Storia e caratteristiche codicologiche del manoscritto –Cenni biografici su Giovanni Avogari
Il Codice manoscritto relativo alle Fondazioni Coronesi nel Regno di Napoli, di cui presentiamo la
trascrizione, pur essendo relativo alle Fondazioni Camaldolesi Coronesi, è custodito presso la
Biblioteca del Monastero dei Camaldolesi Benedettini di Arezzo.
L'autore fu il Padre Giovanni Avogari (1634-1687), del quale, di seguito, riportiamo alcune notizie
biografiche.
Tale manoscritto ha subito nel tempo varie migrazioni. Sappiamo che la sua iniziale collocazione
era presso la biblioteca del Monastero di San Michele Arcangelo di Murano (Venezia). Il
Monastero di San Michele di Murano fondato nel 1212, è annoverato per la prima volta tra le
dipendenze della Congregazione nel privilegio di Gregorio IX del 15 giugno 1227; fu a capo della
Congregazione camaldolese di San Michele di Murano sorta nel 1474 per riunire inizialmente i soli
monasteri veneti, ai quali però se ne aggiunsero in seguito anche altri. Fu uno dei più importanti
monasteri della Congregazione dei Cenobiti. Soppresso definitivamente nel 1810, in applicazione
delle leggi di soppressione napoleoniche, vide la rovinosa dispersione della sua ricchissima
biblioteca.
Una parte dei codici fu trasportata a San Gregorio al Celio (monastero affidato ai Camaldolesi da
papa Gregorio XIII nel 1573, e divenuto sede del priore generale dei Cenobiti a partire dal secolo
XIX) da don Placido Zurla nel 1821, in occasione del suo trasferimento nel monastero romano.
Quest'ultimo fu espropriato dal Governo italiano con decreti del 26 gennaio 1873 e 25 gennaio 1874
e, successivamente, fu distrutto.
Dei circa 700 manoscritti custoditi nella biblioteca, 112 furono destinati alla Biblioteca Nazionale
di Roma e circa 400 nascosti dai monaci (in una vigna) e successivamente portati al Monastero di
Camaldoli (una parte dei manoscritti nel 1931 passò alla Biblioteca Vaticana mentre alcuni sono
39
ritrovati in biblioteche private in Italia e all‟estero)21. Gli attuali due fondi giunsero in un corpo
unico a Camaldoli, tra il 1971 e il 1972, proprio dal Monastero di San Gregorio al Celio; Insieme ad
essi giunse a Camaldoli anche il fondo S. Michele di Murano che include il manoscritto di cui
presentiamo la trascrizione.
21
Lucia Merolla. “La biblioteca di San Michele di Murano all‟epoca dell‟Abate Giovanni Benedetto Mittarelli. I
codici ritrovati” , Vecchierelli Editore.
40
Padre Giovanni Avogaro o Avogari
tratto da “Eremo di monte Rua” Richiami di storia e di spirito. Clemente Tosatto.22
<<Nato da nobile famiglia nella villa Onigi di Treviso nel 1634 gli fu imposto il nome di Augusto.
Studiò legge a Padova. Ordinato sacerdote e nominato canonico della cattedrale di Tarvisio fu poi
inviato a Roma per approfondire gli studi.
Al ritorno chiese di far parte degli Eremiti di Monte Rua dove professò il 27-VII-1669.
Tanto progredì nella religione, che fu nominato maestro, e, dopo la rinunzia del Padre Priore Don
Arcangelo da Mantova, fu nominato Priore di questo Eremo nel 1670.
L‟anno dopo fu nominato Priore a Venezia, poi Visitatore Generale e Vicario Generale per la
Germania e per la Polonia.
Fu pure Priore a Kalemberg.
Per la sua profonda cultura e spiritualità, fu graditissimo all‟imperatore Leopoldo I (1658-1705),
come pure al re di Polonia, Giovanni III Sobieski (1674-1696).
Morì nell‟Eremo di Centrale di Vicenza il 19 ottobre 168723.
Attraverso la legazione veneta aveva ottenuto dal Sultano turco Maometto IV la licenza di fondare
Eremi in tutto l‟impero ottomano senza essere soggetto a tributi.
La Curia Generale, però, non fece uso di questo permesso.
22
23
“Eremo di monte Rua” Richiami di storia e di spirito. Clemente Tosatto. EDIGAM Padova 1980
Ann. Cam., vol.III, pag. 442 e Miscellanea Camaldolese.
41
Giovanni Laterano gli lasciò una grande eredità ma Padre Giovanni Avogari ricusò di accettarla
adducendo che non voleva vedere in miseria i nipoti del defunto e che quanto a lui era soddisfatto di
vivere con i suoi romiti in quella povertà con cui erano entrati in S. Clemente.
Ha lasciato molti scritti redatti specialmente durante il suo soggiorno nel secolo. Importante la
biografia del Beato Paolo Giustiniani. Di lui si legge: <…dottissimo, inappuntabile nella
osservanza delle regole, pieno di zelo per la salvezza e la santificazione delle anime. Scrisse
moltissimo di ascetica e di mistica anche per controbbattere gli errori del Molinos>24.
Lasciò un esempio ammirabile di vero ed autentico Eremita.>>
24
Michele Molinos (1627-1696), sacerdote e mistico e padre del <quietismo> della chiesa, rigettato e condannato
perche‟ contrario allo spirito del Vangelo.
42
6. La regola delle origini e la spiritualità camaldolese coronese oggi
La Congregazione degli Eremiti Camaldolesi Montecoronesi rappresenta, oggi, uno dei
pochi settori della Chiesa non ancora scalfito dal processo di secolarizzazione che ha ormai
allontanato molti ordini religiosi dall‟originario spirito dei Fondatori.
La scarsa notorietà delle odierne comunità eremitiche della Congregazione Coronese è legata
all‟esiguità di “canali pubblicitari” o semplicemente di spazi dedicati dai mezzi di comunicazione a
tale realtà monastica ed alle sue comunità eremitiche italiane ed estere.
L‟autentica vocazione degli eremiti camaldolesi coronesi è improntata ad uno stile volutamente e
decisamente discreto conformato, sia nello spirito che nella prassi quotidiana, a norme antiche e
severe che mirano alla realizzazione dell‟ascesi spirituale attraverso una vita di nascondimento e di
isolamento dal mondo.
Avendo approfondito la spiritualità camaldolese coronese con lo studio delle fonti cinquecentesche
originali (dettati costituzionali, Regola di vita, lettere del fondatore Beato Paolo Giustiniani) e la
storia della congregazione dalle origini, posso asserire che gli odierni eremi coronesi sono del tutto
conformi all‟antica tradizione.
E‟ come se il tempo si fosse fermato di fronte all‟antico, ma sempre attuale, messaggio di riforma e
rinnovamento della vita monastica camaldolese attuato dal Beato Giustiniani circa cinquecento anni
orsono.
Ancora oggi, sulla soglia degli eremi coronesi si scorge, oltre al divieto di ingresso per le donne, in
generale, anche il divieto di ingresso per visite turistiche o devozionali.
Tuttora gli eremi sorgono molto lontani dai centri cittadini e gli eremiti che vi risiedono si dedicano
in perpetuo silenzio al lavoro dei campi ed allo studio.
43
Come consuetudine i monaci camaldolesi praticano la refezione in cella, l‟astinenza perpetua dalla
carne, lunghi periodi di digiuno, la recita del mattutino nel cuore della notte negli antichi cori lignei
posti alle spalle dell‟altare, la recita pomeridiana del rosario in latino, in ottemperanza ad una
Regola che ha radici salde, oltre che nel genio innovatore e al contempo riformatore del Beato
Giustiniani, nella spiritualità romualdina e in quella ancor più antica dei Padri del deserto che egli
aveva studiato e da cui si è ispirato.
L‟ideale monastico romualdino è bene espresso dallo stemma camaldolese benedettino raffigurante
le due colombe che si abbeverano ad uno stesso calice, simboleggianti il perfetto connubio tra la
componente anacoretica e quella cenobitica.
I due aspetti erano tenuti distinti anche nella realtà per cui a Camaldoli il monastero era posto più in
basso, quindi più facilmente accessibile ai secolari, mentre l‟eremo era custodito e nascosto sulla
sommità della foresta casentinese fitta di secolari e altissimi abeti.
Nonostante ciò il Giustiniani sperimentò che l‟eremo di Camaldoli già allora stava perdendo le sue
necessarie ed indispensabili connotazioni di silenzio e di isolamento, essendosi contaminato con la
“rilassatezza” dei costumi inesorabile retaggio dei rapporti intrattenuti col secolo, donde la necessità
di partire da capo alla ricerca di un più autentico nascondimento e di un maggiore rigore ed austerità
nello stile di vita.
Ritenne, infatti, necessario fondare la nuova Congregazione degli Eremiti Camaldolesi e dotarla di
una Regola.
Tale Regola fu elaborata durante quaranta giorni di rigida reclusione ed è ancora oggi un
capolavoro di spiritualità ascetica dove sono presenti note di pragmatismo derivanti da una
esperienza personale di vita monastica suffragate da un‟imponente cultura umanistica, filosofica e
teologica.
44
La semplicità di vita, l‟austerità dei costumi e lo spirito fraterno tra gli eremiti si possono a ragione
considerare le colonne portanti della nuova Regola di vita che il beato scrisse nell‟anno 1523,
estrapolandola in parte dalla Regola della vita eremitica che aveva scritta e fatta stampare nel 1520
a Camaldoli.
Il testo è peraltro denso di termini che rimandano alla delizia e dalla gioia derivanti dalla perfetta
solitudine e dalla preghiera individuale costante sostenuta dalla grazia della contemplazione.
Il Giustiniani esplicita e sottolinea quanto era già stato sottoscritto da Romualdo e dalla tradizione
dei Padri del deserto, consapevole di non aver aggiunto nulla di nuovo all‟esperienza del
monachesimo medio-orientale e benedettino, sapientemente ripreso da San Romualdo.
Tuttavia la novità è proprio la constatazione da parte del beato Giustiniani, allora Maggiore
dell‟Ordine in Camaldoli, che anche la cella può “tradire” qualora l‟esperienza di solitudine non sia
piena ed autentica e lo stile di vita eremitico non sia improntato ad una completa austerità ed
essenzialità dei costumi.
Questo spiccato senso di “autocritica” è sottolineato in alcune preghiere composte proprio dal Beato
in cui scrive ”Mostra me a me stesso” oppure “Signore fa che io sia eremita realmente e non solo
nel vestito che porto”.
Maggiore austerità sarà realizzata con l‟attuazione di una prassi dell‟esperienza della cella più
“integrale” e di un silenzio pressochè totale.
Il Beato, a proposito del rispetto del silenzio ovunque nell‟eremo, invita a considerare i sentieri tra
le celle, tra le celle e il bosco, come un unico grande chiostro e dedica specifici capitoli della Regola
alla complessa disciplina di tale osservanza.
45
L‟aspetto cenobitico è riservato alla recita comune nel coro delle diverse ore, ad un incontro
comune settimanale con i novizi e alla mensa comune durante poche festività solenni del calendario
liturgico.
L‟essenzialità e la semplicità sono perseguite sia nello “sfrondare” della fastosità i cerimoniali di
talune celebrazioni liturgiche, infarcite di un greve gusto popolare, che con la stessa recita dei salmi
non è piu‟ cantata ma dolcemente declinata con quelle che Giustiniani definiva le “divine
cantilene”.
La semplicità di vita, l‟austerità e l‟obbedienza spesso sono rammentate dallo stesso frate Paolo ai
novizi rifacendosi alla consegna data da S. Romualdo ai primi cinque solitari di Camaldoli:” Siediti
nella tua cella, digiuna e taci”; suggerendo e incoraggiando il desiderio della reclusione che lui
stesso aveva sperimentato; assunse poi il ruolo di guida spirituale per il confratello recluso a
Camaldoli Michele Pini per cui a buon motivo la riteneva la strada maestra per raggiungere il grado
piu‟ alto e profondo di unione con Dio.
La rigidezza dei costumi, la necessità della disposizione all‟obbedienza e alla carità delle origini è
ben illustrata dal beato in una lettera che scrive ad un giovane che chiede di entrare all‟eremo delle
Grotte: <Della vita degli eremiti, miei padri e fratelli, non ti dirò che le cose più comuni e le più
ovvie…Quasi sempre il cibo consiste in pane duro o quasi andato a male. Uno dei padri mi
assicura che in un eremo, di cui lui era responsabile, un pane del genere fu dato ad un asino che lo
rifiutò. Eppure gli eremiti lo mangiavano. In due eremi ho pure visto, nel momento in cui si metteva
il pane sulla tavola, (poiché talora quando le celle non erano ancora costruite, si mangiava
insieme), che ognuno cercava il pane più avariato…>.
Il tema dell‟obbedienza è centrale e forse addirittura enfatizzato, non tanto nella Regola, quanto nel
trattato e in altri scritti dedicati ad essa dal Beato Giustiniani.
46
E‟, infatti secondo il Beato , da considerare una pietra miliare che segna la differenza tra l‟inganno e
i pericoli a cui si espongono gli anacoreti non assoggettati ad una obbedienza disciplinata da una
Regola e quelli invece che seguono una “Ratio”, ossia una Regola aderendo ad un eremitismo non
puro in senso stretto.
La Regola, richiedendo la presenza di una specifica gerarchia ed il rispetto di essa è di ausilio nel
discernimento spirituale e nella guida dei “cercatori di Dio”, siano essi conversi, postulanti o
professi per la quale sono chiamati ad esercitarsi nella pratica dell‟umiltà, della mitezza “se hai
peccato d‟ira non aspettare che tramonti il sole per riconciliarti” e nella carità fraterna.
Un posto privilegiato occupa la carità fraterna esercitata sia verso i confratelli che verso i pellegrini
in stato di bisogno, per i quali era, ed è ancora previsto, l‟accesso unicamente nei locali della
portineria, della foresteria, e in particolari giorni dell‟anno in Chiesa.
Infatti, secondo l‟antica tradizione25, il Beato Paolo raccomandava agli eremiti di sentirsi solidali
con tutti gli uomini, perché la carità travalicasse le pareti delle celle, le mura dell‟eremo e l‟oscurità
della notte risuonante della recita del mattutino e delle lodi per espandersi sull‟intera umanità,
investendola di un‟energia rigeneratrice e salvifica.
Il monaco eremita è al contempo “isolato dagli uomini e unito a tutti gli uomini” per le cui colpe è
chiamato a piangere e a pregare perché la grazia divina dipani e rischiari i sentieri della loro vita e
soprattutto del loro spirito26.
E‟ un segno mirabile e al contempo misterioso, in particolare per la nostra epoca post-moderna,
apprendere che, nonostante siano trascorsi cinque secoli, le antiche campane degli eremi
camaldolesi ogni notte ed ogni giorno scandiscono con i loro rintocchi il tempo del lavoro e il
25
Secondo gli antichi la collettività si può salvare grazie alla trasparenza al divino di alcune persone in cui si rinnova
l‟energia universale. Il monachesimo è uno dei mezzi più sicuri per attivare questa indispensabile opera di
rigenerazione, che interviene a porre rimedio all‟inevitabile usura dell‟esistenza nutrendo il tempo di eternità. Il monaco
esplora gli spazi interiori, ne traccia per altri la mappa e può far loro da guida; è il sapiente, O Clement
47
tempo della preghiera e gli antichi cori lignei intarsiati accolgono ancora il salmodiare delle ore
della notte e del giorno, le lunghe genuflessioni, le preghiere, la letizia e le lacrime degli odierni
“testimoni dell‟Assoluto”, di questi “Folli in Dio, che con la loro sola presenza fanno emergere una
forza nuova”.
48
1577- Fondazione dell’ Eremo dell'Incoronata in Sant’ Angelo a Scala
Nel 1555 Giulio da Nardò, un eremita pugliese di nobili origini, nato a Nardò (Otranto), all‟età di
25 anni lasciò la sua terra per vivere come religioso; nel suo peregrinare, probabilmente diretto al
Santuario di Montevergine, fece la conoscenzadell‟eremita Giovanni Figuera e con questi decisero
di ritirarsi sulle alture di un piccolo paese nella diocesi di Benevento, S. Angelo a Scala, oggi
provincia di Avellino.
I due, sotto la benevola protezione del signor Carafa e della pia signora donna Laura Brancaccio,
edificarono una chiesetta rurale rispondente alle loro esigenze spirituali con l‟intento di mantenere
fervida la fede e la devozione alla Madonna tra gli abitanti di quei villaggi.
La fama di santità dei due ben presto sconfinò oltre villaggio diffondendosi in tutte le province
contigue e richiamando numerosi pellegrini che cominciarono ad affluire alla chiesa dell‟eremo.
E‟ di quegli anni il dono da parte degli abitanti della chiesa di Nola di una bellissima statua in legno
della Vergine, ornata di una regia corona, donde la denominazione di Vergine Incoronata, alla
chiesetta eretta dai santi eremiti;
Autore dell‟opera fu Giovanni da Nola, detto il Merliano (1479-1559) che in quel tempo esercitava
la sua arte proprio nella città di Nola.
Con l‟accrescersi della devozione popolare alla Vergine Incoronata sorse l‟esigenza di porre il
santuario e l‟annesso piccolo eremo sotto l‟egida diun qualche ordine religioso.
Tale preoccupazione investì principalmente i signori Carafa.
Antonio Carafa, uno dei celebri nipoti di Paolo IV, fu nominato cardinale nel marzo del 1568 da
Paolo V dopo essere sfuggito alle persecuzioni contro i nipoti ad opera di Paolo IV.
Suo zio Antonio, signore del castello di S. Angelo a Scala, su sollecitazione dei due eremiti (Giulio
da Nardò e Giovanni Figuera) impegnò il nipote cardinale per ottenere l‟affidamento della chiesa
dell‟ Incoronata; costuiinformò del caso papa Gregorio XIII che scelse e affidò quel luogo proprio
agli eremiti camaldolesi coronesi.
49
Nel capitolo del 28 aprile 1578 vi fu destinata una famiglia di sei religiosi con a capo il priore fra
Mauro da Perugia.
Nel 1806 Michele Pezza, fra Diavolo, trovò rifugio insieme ad altri amici/briganti nell'eremo
camaldolesee questa vicendasegnòineluttabilmente il destino dell'Eremo dell'Incoronata di S.
Angelo a Scala in Avellino determinandone la distruzione.
Infatti, nonostante fosse stato individuato fra Diavolo riuscì per l‟ennesima volta a sfuggire alla
catturascatenando l‟ira dei Francesi contro i monaci che furono esiliati dal Regno e il loro eremo
quasi raso al suolo.
Il generale francese Sigismondo Hugo fu decisivo nella caccia al patriota napoletano che catturato
fu impiccato con l'uniforme di brigadiere dell'esercito borbonico all'età di soli 35 anni, a
mezzogiorno dell'11 novembre 1806, in Piazza del Mercato a Napoli.
Attualmente è in corso di realizzazione un progetto di recupero archeologico delle vestigia
dell‟antico eremo coronese. Dopo aver completato lo scavo ed il recupero delle strutture ancora
presenti nel complesso facendo emergere le antiche mura, ad oggi, è in corso il recupero di ciò che
rimane delle celle e degli orti annessi.
50
Dell'origine, Fondazione, et Progresso
Dell'Eremo della Santissima Incoronata, Primo
Nel Regno di Napoli
51
52
Carta 78 recto
Dell'origine, Fondazione, et Progresso
Dell'Eremo della Santissima Incoronata, Primo
Nel Regno di Napoli
Cap.
Nella narrazione della Fondazione dell'Eremo di Santa Maria del Spirito Santo in Puglia,
dicessimo, ch'in quella Provincia, ch'è nel Regno di Napoli, il Beato Nostro Padre Paulo Giustiniano
Fondatore della nostra Congregazione Camaldolese prima di volarsene al Cielo, vi lasciò fondati tre
eremi. Ma che poco dopo la sua morte per cagione d'un male pestilenziale, che levò dal mondo
quasi tutti li nostri eremiti, et l'istesso Padre Maggiore, che erano in queste parti, furno
necessariamente abbandonati, fuggendosene quei pochi, che erano rimasti vivi ad altri eremi
d'altre Provincie di modo che per questa causa il Regno di Napoli restò privo per molto tempo
della coabitazione, et conversazione de' nostri Religiosi; sino a tanto ch'il Clementissimo Iddio
vuolse di nuovo favorire quel cattolico Regno della nostra Eremitica Religione; la qual grazia, e
singolar favore riconosce, et attribuisce totalmente all'intercessione della sua Gran Madre
Beatissima Vergine Maria, come da quello, che qui sotto scriveremo, cavato in maggior parte dalla
Storia del Padre Luca Ispano, et d'altri Scrittori, chiaramente apparirà.a,b
Nell'alti Monti, detti da' Latini Virgiliani, perché v'habitò il gran Poeta Virgilio Mantoano, et da
paesani ora detti Virginei, o monte vergine dal Monasterio dedicato alla Beatissima Vergine del
qual più sotto parlaremo, della Provincia ch'anticamente fù parte del Sannio, oggidetta Principato
Ultra, Terza Provincia del Regno di Napoli, sopra la Montagna vulgarmente nominata di Chiaja, che
è di circuito di sette miglia in circa; la quale rachiude in se molte valli, e colli; la di cui altezza verso
occidente, e settentrione s'inalza à due miglia; ma verso l'oriente, et il mezzo giorno soavemente
a
) Romualdina l. 4. C.8.
b) Giovanni Castagnizza in vita Sancti Romualdi
padre Placido Perugino M. S. Padre Fidenzio da Padoa M.S. Arch. di quest'Eremo
padre Basilio da Vicenza M.S. Li P. d' Atti de Capitoli Generali nell' Arch. de M.C.
53
và declinando, onde la sua salita per queste parti non è tanto faticosa, e grave, e tanto meno,
quanto che la via và quasi sempre coperta da grandi alberi, passando per densissime boschi di
faggi, et d'alberi d'altra sorte che la rendono soave al viandante massime nei tempi estivi: sopra
questa montagna (dico) vi è un'angusta valle, circondata da tre parti dalle cime della medesima
Montagna tutte parimente vestite di grandi faggi, Castagni, et altri Alberi; quella che stà a mezzo
giorno s'addimanda Falconasa, quella a sera Morocasa, e quella a settentrione la cima del monte
de' Lupi, et di Valoscura; Si che solamente à mattina hà l'apertura; et si può dire la stessa luce, che
guarda verso la Puglia montuosa. E nella diocese
78V
della Citta di Benevento, ch'è Metropoli di tutta la Provincia, da quale è lontana circa 12 miglia:
nella Baronia di Sant'Angelo da Scala; il qual Terra ò Castello di Sant'Angelo và alle falde della detta
Montagna; lontano da questa valle per due miglia di discesa, che gira per diverse volte e rivolte di
balze, et dirupi, ancorché la strada per industria de Padri sia larga et ben accommodata, quanto si
può dalla città gentilissima di Napoli circa trenta miglia.
In questa valle da tempo immemorabile vi era una Chiesa con altre poche abitazioni annesse; Alla
quale (seben non v'è certa et sicura memoria irrefragabile si ha però per tradizione tramandata
dall'una a l'altra generazione et per il pubblico grido di quei popoli ) che nelli tempi trasandati
fosse stato portato in processione dai cittadini di Nola, ch'è Città lontana da questo sagro luogo da
20 miglia il bellissimo Simulacro della Beatissima Vergine Maria, che qui us'ora s'adora sotto il
titolo di Santa Maria dell'Incoronata, chè prima stava in detta città: et che quivi fosse lasciato in
grazia delli signori Baroni de Sant'Angelo; ma che ben presto pentiti li medesimi Cittadini, e
parendogli d'aver fatto grand'errore in privarsene, di novo secretamente se lo ripigliassero. À che
successe un stupendo miracolo (come è fama) cioè l'istesso simolacro miracolosamente
retornasse da per se in detta Chiesa, et qui si fermasse, fosse trovato, e con grandissima devozione
poscia custodito.
54
Questo luogo perciò fù sempre abitato, e custodito da eremiti, di quella sorte che si chiamano
selvatici, e solitarj, che vivono senza regola approvata e senz'ubbidienza de Superiori; de quali
nelli tempi antichi ve n'era gran copia per tutta la Cristianità.
Et è tanto antica la venerazione di questa Beatissima Vergine dell'Incoronata che oltre l'esser
certo, che avanti la venuta dei nostri Padri in detto luogo, v'era detta Santissima Imagine, come si
ricava patentemente dall'instromento di donazione, che nella prima venuta loro gli fece della
Montagna Don Antonio Caraffa Marchese di Monte Bello, dove dice parlando di detta Montagna
in qua extant quaedam ecclesia sub vocabulo Sanctae Mariae dell'Incoronata, et quaedam
aedificia, seu domus
et è anco opinione di molti che gareggi di antichità con quell'altra
miracolosa, che fù collocata in Monte Vergine, ch'ora si venera nella magnifica Chiesa del
Monasterio, Capo della Congregazione di Monte Vergine, così denominata dal nome dello stesso
Monte o per dir meglio che hà dato il nome al stesso Monte, che avanti si diceva Monte Virgiliano,
il qual Monte è nella medesima continuata tirata della Montagna suddetta verso mezo giorno,
lontano dal luogo
79 R
dell'Incoronata circa quattro miglia, Dove il Santo Abate Gulielmo da Vercelli fondò detta
Congregazione di Monte Vergine, circa l'Anni del Signore 1120. Questa di Monte Vergine è
solamente la Festa dipinta (dicono) da San Luca Evangelista d'un grande quadro che si conservava
in Costantinopoli, et veramente à vederlo (perche và sempre coperto) apporta grande riverenza e
un non sò che di timore celeste: ne si mostra, se non con molti lumi accesi, et con i suoni di due
campanelle per invitare tutti li vicini all'adorazione; il di cui altare è ben custodito, e regiamente
adornato da quei Padri, e da tutti quei populi con gran concorso visitato per le continue grazie e
favori, chè a loro comparta la Beatissima Vergine.
Il simolacro poi della Nostra Beatissima Vergine dell'Incoronata è di rilievo, sedente con il
bambinello Giesù nelle braccia di mirabile manifattura che alcuni la stimano opera greca;
osservandosi in essa certa positura nel sedere, la scuffia in testa della medesima Vergine, et altri
segni, et delineamenti, che si sogliono vedere in simili sculture greche, come se ne potrebbe fare il
55
confronto con diverse altre, che sono per il Regno, il quale pure un tempo fù Signoreggiato
dall'Imperio greco.
La bellezza, la Maestà, gli occhi medesimi modestamente vivaci, la bocca, che spira grazia, e
insomma tutta la profilatura così ben aggiustata, et proporzionata di questa sagra Imagine pare
che superi l'arte umana, arrecando nell'animo di chi la mira intensissimi affetti di devozione,
sentimenti di profonda umiltà et incentivi di carità, et d'amor di Dio. Sta ora vestita di brocato, e
tela di oro, tutta ornata di perle et di diverse gemme et pietre preziose, con una collana di oro, e
con la corona imperiale in testa richamente guarnita dalla quale fù nominata Santa Maria
dell'Incoronata. Qui sempre gran concorso di Uomini devoti à questa Beatissima Vergine; mà
grandissima nella sua propria festa, che si celebra li 15 agosto, giorno della sua gloriosissima
Assunzione al Cielo. Questa Beatissima Vergine è grandemente miracolosa; li di cui miracoli, et
grazie vengono registrate in un libro a posta, et sono quasi innumerabili, et singulari; li voti di
tavolette, di cera, et d'altre cose, che stanno appicati dentro la chiesa d'intorno alli muri, ne fanno
buona testimonianza; L'oglio anco della Lampada che arde avanti detta Beatissima Vergine è in
grande venerazione, e con l'unzione di quello li Devoti ne esperimentano continue grazie, e favori
per miracolo della Beata Vergine.
Mà tornando à continuare la narrazione della divina disposizione, come per i meriti, et
intercessione si può pienamente credere di questa Beatissima Madre di Dio, ordinasse che in quel
luogo andassero
79V
ad abitare, et à dargli il debito culto, cantando le sue divine lodi i Nostri Eremiti Camaldolesi, quivi
edificando il loro devotissimo eremo, che fù il Primo, et è capo, e Novizziato di questa Provincia.
Si deve adunque sapere, che circa vintidue anni avanti che la Congregazione Camaldolese di
Monte Corona ottenessse detto Sacro Luogo, due nobili giovani, ch'erano al servizio nella Corte
del Vice Rè di Napoli, infiammati per improvisa pia lezione delle Vite de Santi eremiti, da un santo
desiderio della solitudine concordemente lasciando la Corte, si ritirorno all'Eremo, et guidati dal
Spirito Santo capitorno a questo Luogo; Uno de loro si nominava Giovanni di nazione Spagnolo
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della nobil famiglia Figarola; et l'altro Giulio nativo di Narbona quivi dimorando questi due eremiti
in grande austerità di vita, in lodevole perseveranza di divine contemplazioni, et uniti con vincolo
di perfetta carità: perche sebene l'uno da l'altro era di diversa nazione, il sincero amor di Dio per il
quale avevano eletto tal sorte di vita, gli aveva fatti fratelli veramente in Cristo; abitavano in una
picciola Casuccia, poco lontana dalla Chiesa della Beatissima Vergine, le di cui vestigie, et raccinate
muraglie oggidi si vedono, poste nella bocca di detta Valle nella punta della Montagna in una
precipitosa balza, che per esser come un promontorio, o collicello di detta Montagna, li Paesani la
chiamano il Castelluccio.
Il buon essempio di questi solitari uomini trasse maggiormente di quello, che per avanti soleva
essere, i popoli circumvicini alla devozione, et frequenza di questo sacro Luogo, et non solo di
tutta la Provincia, ma de la Puglia ancora, e d'altri Paesi, venendo frequentemente processioni
d'Uomini, e Donne, che offerivano non piccioli donni di Cerei, et altre limosine. Quindi essi
inspirati da Dio e dalla Beatissima Vergine andavano pensando che sarebbe stato servizio grato
alla divina Maestà, et alla Beatissima Vergine, se nel medesimo Luogo gli fosse resa più piena
servitù, maggior honore, e più regolato culto, col sotto ponere questa Chiesa à qualche approvata
Religione, et essi parimente in quella vivessero in regolar osservanza sotto la santa ubbidienza.
Questo loro buon pensiero fù in effetto adempito da Gioanni come tosto diremo, ma Giulio morì
avanti d'eseguirlo, et fù sepolto nel Cemeterio della Chiesa del suddetto Monasterio di Monte
Vergine, dove oggidì mostrano un scheletro entro una Cassa, che dicono esser di questo buon
servo di Dio, et raccontano qualche miracolo operato da Dio con il tatto di quelle Reliquie,
specialmente ne i demoniati.
Andavano aduque tra loro due discorrendo, come avessero potuto introdurre Religiosi ad abitare
questo Luogo, et sotto qual compagnia Religiosa dovessero essi medesimi sottoporsi; ne sapendo
loro ben risolversi; Dio gli mostrò il modo d'operare, et la Religione che à Lui piaceva, et tutto
quello, che in tal negozio era bisogno gli somministrò. Il Castello suddetto di Sant'Angelo da Scala,
nella
80 R
57
cui dizione è la Chiesa della Santissima Maria dell'Incoronata, et abitavano li suddetti due eremiti,
era in quei tempi posseduto con titolo di Baronia da Don Antonio Carafa Marchese di Monte Bello,
come anco Patrimonio della sua famiglia, con il quale detti Eremiti contrassero sino da principio
che quivi si fermorno grande famigliarità, et non solo con il Marchese, ma anco con Don Alfonso
suo fratello conte di Montorio, ambidue Nepoti del Pontefice Paolo IV, il quale come scrive il
Platina, nacque in questa Terra L'Anno 1476; et con tutta la Nobilissima famiglia Carafa, et con li
suoi aderenti. à segno che intesa, dal Marchese la loro Nobiltà, e di poi molto allettato dal loro
civile, et religioso trattare, et dolce conversazione, et molto più del loro pio proponimento,
talmente si mosse à pietà che diede ordine ad un suo suddito benestante di Sant'Angelo, che gli
dovesse soministrare tutto il loro necessario vitto, et sostentamento. In questa occasione di
famigliarità, che avevano con li suddetti Signori, dalli quali erano molto ben veduti, accarezzati, et
tenuti in opinione di santità, per la loro vita austera, et essemplare, che menavano, ancorche
senza professione di certa Regola, nel qual concetto erano parimente tenuti da tutti quei populi, il
suddetto Marchese grandemente edificato delli loro costumi persuase Gioanni à farsi Sacerdote,
et se bene a principio contradisse, niente di meno tanto fece, et instò il Marchese, che lo indusse à
lasciarsi ordinare Sacerdote; come in grazia del medesimo Marchese fù ordinato dall'Arcivescovo
di Benevento.
Erano dunque scorsi circa vinti due anni (come dicemo) che vivevano questi buoni Eremiti in
questo Luogo, con la provisione suddetta del Marchese, et protezione di tutta la famiglia Carafa;
quando finalmente essendogli venuto il suddetto buon pensiero di entrare in qualche Religione
(mentre non avessero potuto condurla ad abitare nel Luogo della Santissima Incoronata, come
bramavano, per unire poi se stessi alla medesima Religione, che vi fosse venuta) lo manifestorno al
suddetto Signor Marchese, et alla Marchesa sua Moglie, che era Donna Laura Brancacci, tra tutti la
più affettuosa, la più devota, et la maggior Benefatrice, anzi (come diremo) la Fondatrice di
quest'Eremo. Agradirno sommamente il pensiero dell'Eremiti; ma prima di rissolvere cosa alcuna,
volsero prudentemente darne parte, et far capo con il loro Eminentissimo Cardinale Don Antonio
Carafa; anzi secondo alcuni, li stessi Eremiti, manifestorno il loro desiderio al medesimo Cardinale,
il quale laudando, et approvando pienamente il loro proposito, promissegli che sarebbe stata sua
incombenza di redurlo al desiderato fine. Altri di più promettono (et è certo
80 V
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che l'eremita Gioanni doppo esser stato ordinato Sacerdote fù preso dalla suddetta Marchesa per
suo Confessore) che tanto affetto, et devozione, come à Padre Spirituale gl'aveva posto, che
avendogli detto, che bramando egli di darsi a maggior perfezione, pensava di partirsi di là, et
ritirarsi in qualche Religione, con tanto dolore ricevé questa nuova, che non senza lagrime gli
disse: s'averebbe più pensato di partirsi, quando essa avesse operato, che ivi fosse fondata
qualche Religione? À ch' Gioanni rispondendo, che si sarebbe fermato, potendo in questo modo
sadisfare alla Vocazione, che aveva da Dio; subito la Marchesa ne parlasse, et ne trattasse
efficacemente con il detto Cardinal Antonio. Ma sia come si voglia, ò ne parlasse prima la
Marchesa, ò il Marchese, overo tutti insieme con li stessi eremiti, non passò molto che il Cardinale
effettuò le promesse, et sodisfece alli desiderij degl'uni, et degl'altri.
Imperciòche volendo questo pijssimo Prelato in tanto importante negozio procedere con somma
prudenza, massime circa la elezione della Religione, che quivi doveva fondarsi, ne volse prendere
l'oracolo della viva voce del Sommo Pontefice, che allora sedeva Gregorio XIII, al quale avendo egli
insinuato il suo pensiero, che era di condurvi lì Cassinesi; Rispose il Papa: Non Cassinesi, ma
Coronesi, cioè li eremiti Camaldolensi della Congregazione di Monte Corona, si dovevano
chiamare; perche essi, soggionse, abitano apunto nelli Deserti, nelli Monti, e nelle Selve, et sotto
ubbidienza vivono solitaria, et contemplativa vita.
Non volle altro il fedelissimo Cardinale; ma ricevendo questa risposta, come Divino Oracolo
proferito dalla stessa bocca di Dio, pienamente accettò il consiglio, né d'altra Religione andò più
cercando, ò pensando, se non della Coronese.
Scrivono alcuni, che prima, che il Cardinale parlasse al Papa, di questo negozio, egli avesse
procurato di avere li Monachi Cassinesi; et che questi atteriti dall'asperità del Luogo, ricusassero
d'accettare l'offerta Fondazione. Il che però non repugna a quello che abbiamo detto; anzi che
forse questa fù la causa per la quale poscia lamentandosi il Cardinale di tal riffiuto, ne parlasse al
Papa, dimandandogli la licenza per avere, o di novo la Cassinense, ò qualche altra Religione.
Avuta dunque la risoluzione del Papa, che non senza particolar providenza di Dio (si deve credere)
fosse pronunciata, ne diede il Cardinale subito avviso alli Marchese, Marchesa, et Eremiti, et
immediate anco e spedì Messo a posta alla volta dell'Eremo
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81 R
di Monte Corona, che fù un suo Gentiluomo, nominato Oratio Mancino Perugino, oriundo dalla
Terra della Fratta, che sta poco distante dalle radici dello stesso Monte Corona; come quello,
ch'era ben noto à Padri, il quale con somma industria, et facondia, della quale era ornato, per il
lungo uso che aveva essercitato nella Corte, et era il primario Corteggiano del Cardinale, preiurò in
nome del Eminentissimo suo Padrone, et degli Signori Marchese et Marchesa di Monte Bello, di
persuadere alli Padri l'accettazione del Luogo et di mandarvi subito eremiti per fondare ivi la
Religione.
Ma non avendo potuto persuadere li Padri, che adducevano varie difficultà, ne diede parte al
Cardinale; per il che il pio Signore non disdegnò di portarsi sollecitamente in persona al Sacr'Eremo
di Monte Corona, per ridure a buon fine questo negozio, che altamente gli stava fisso nell'animo.
Dove giunto, coll'auttorevole sua presenza, et con l'esponere di più il sentimento di sua Santità,
meritamente ebbe forza di piegare li Padri, et in tutto indurgli ad abbracciare il suo pijssimo
projetto, risoltagli ogni difficoltà, che apportavano in contrario. (1576)
Fù adunque accettata la Fondazione di quest'Eremo capitularmente à Laude di Dio, et della
Beatissima Vergine Maria il dì vinti di Settembre dell'anno di nostra salute 1576 et non nel
Settembre dell'Anno 1577, come quasi tutti scrivono, perché prima di questo tempo cioè nel Mese
di Maggio dal Capitolo Generale fù decretato, stante l'instanza del Cardinal Carafa, di mandar due
Padri a veder il luogo per accettarlo poi, quando fosse à proposito, et il Cardinale gli statuiva
entrata sufficiente per 12 frati; cosi stà registrato nel Libro dell'Atti delli Capitoli Generali sotto
quest'Anno
1577 nel mese di maggio, nel quale fù celebrato il Capitolo Generale onde
l'acettazione suddetta fù del solo capitolo di casa, o delli soli Padri Superiori; (An 1578) perche
poscia l'anno susseguente 1578 nel Capitolo Generale celebrato nel mese di Aprile (come si legge
in detto Libro) ricevutesi nove lettere del Cardinal Carafa, con li quali faceva molte offerte per la
Fondazione; et avutosi lungo discorso sopra il loco dell'Incoronata.
Fù stabilito, che il Padre Maggiore, con un de visitatori vi andasse sopra loco à vedere e stabilire
detta Fondazione con il detto Cardinale et con quelli Signori Marchesi, et Conti; quando non vi
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siano impedimenti notabili, et abbia li requisiti necessari; et fù allora adi 26 Aprile per primo
Superiore (quando la Fondazione resti stabilita) il Padre Mauro Perugino, assignandoli di sua
famiglia due Sacerdoti un Converso, un oblato, et un Novizzo Chierico. Il Padre Maggiore fù il
Padre Luca Spagnolo, ch'era stato maggiore li due anni precedenti et in questo Capitolo fù
confirmato per un altro anno, per il di cui mezzo si può
81V
dire, che questa Fondazione sia sortita buon effetto, alla quale fu sempre molto favorevole, et
tutto quello che circa d'essa scrive nella sua Storia intitolato Romualdina merita pienissima fede,
[a) lib. op. c. 8] come scritto da chi trattò, et concluse tal negozio; Non hò trovato, se il Padre
Maggiore vi andasse sopra luogo, come gl'era stato commesso; mà hò ben trovato, che questi
istesso anno (et lo scrive gli stesso [b) loc. cit.]) fù mandato il suddetto Padre Mauro con altri
quattro compagni, con ordine però a parte del Capitolo Generale suddetto (che anco all'istesso
Padre Maggiore si può credere fosse stato ingionto) che se si poteva onestamente lasciare, et
rinonciare, tal Fondazione, la lasciasse, et rinonciasse; parendo à molti che fosse tropo lontana, et
in luogo troppo aspro con altra difficoltà, che adducevano; Ma essendovi andato il Padre Mauro,
et avendo trovato il sito molto à proposito, et tutte le altre cose ben disposte, tirò avanti la
Fondazione, avalorito specialmente dal Padre Maggiore suddetto, cominciando a dare principio
alle fabriche, et à mettervi l'osservanza regolare: non ostante che la dote di questa Chiesa et
l'assegnamento per la sostentazione de frati paresse in questo principio tenue; ma la speranza che
teneva nella liberalità della famiglia Carafa non gli permetteva il dubitare, che gli potesse mancare
cosa alcuna del necessario; come in effetto à poco à poco ottenne dalla medesima et trà tutti
quelli, che si segnalorno in questa pia opera, fù il suddetto Cardinale Carafa, che agiuntò con
unione perpetua più di cento tumuli di grano all'Anno, beneficio invero di non poco valore;
porsero anco pietosa mano il suddetto Don Antonio Carafa Marchese di Monte Bello; et Don
Alfonso Carafa Conte di Montorio Pronepote del medesimo Marchese, la di cui Madre Donna
Cornelia Carafa nel principio diede grande impulso à questa Fondazione, seben poi non potè
continuare nella pia intenzione, perche essendogli morto il marito, se ne andò altrove, e così fù
impedita. Ma niuno però fù mai verso questo Sacro Luogo, et verso li nostri Eremiti, che quivi
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abitorno, che superasse l'affetto, et l'effetto della suddetta Signora Donna Laura Brancaccia;
perche essa non si diede mai requie, finche non fù quivi edificato il non ignobile Tempio alla
Beatissima Vergine Maria dell'Incoronata, che ora si vede, con una assai commoda abitazione per
gli eremiti, somministrando del suo proprio grandissima parte o che spese per la fabrica; ne
risparmiò alle fatiche della propria mano in lavorare per la Chiesa, et Sagrestia i Sacri apparati, et
altri supellettili ultimamente essendo restato tutto il peso di questa Fondazione sopra questa
pijssima Signora perche gli mancò il Marchese suo Marito, e di violenta morte fù levato dal Mondo
il suddetto Conte di Montorio si ritirò ad abitare per il più nel suddetto castello di Sant'Angelo per
esservi vicina alli suoi eremiti, et presta alli loro bisogni, dalli quali sicome era tenuta per loro unica
Benefattrice, sostentatrice, et amorevolissima madre, cosi essa non altrimenti
82R
gli amava che come carissimi figliuoli; et come a tali finalmente gli donò ancora vivendo con
donazione irrevocabile inter vivos per il loro sustentamento tutto il suo Patrimonio di valore sopra
30 mille scudi, con la sua nobile Casa, et abitazione, che aveva in Napoli, ch'ora serve per ospizio
dei Padri, et si contentò d'abitare in un umile ospizio di Sant'Angelo suddetto, ricevendo dalli Padri
per suo vito, et sostentamento, quella porzione delle proprie facoltà, ch'à loro parse d'assegnargli
conveniente; perche cosi essa volse; fatta in questa maniera veramente povera per amor di Cristo.
Oh veramente Donna degna di ogni lode, che seppe così bene sibi thesaurizare thesauros in Coelis,
ubi tinea non demolitur, nec fures furantur; stando dunque in Sant'Angelo frequentemente
ascendeva all'Eremo, et quivi godeva le vere delizie del Spirito, anzi del dolcissimo suo Signore,
largo Rimuneratore; et della à Lei sommamente cara conversazione de suoi eremiti, li quali
vedendogli di giorno in giorno andare à crescendo in numero, et in osservanza Regolare, se ne
rallegrava estremamente non meno, che del profitto della propria prole suol fare tenerissima
madre; da quali, sicome in vita desiderò di stargli sempre vicina, così in morte non volse esser
separata, ordinando d'esser sepolta nella Chiesa dell'Eremo, come fù fatto; meritamente pertanto
vive, e viverà sempre la di Lei memoria, non solo nell'Eremiti nostri, che di tempo in tempo
abiteranno in quest'Eremo; ma anco in tutti quelli che saranno della nostra Congregazione
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partecipando questi del bene degl'altri loro fratelli, che colà vivevano coll'entrate di questa
pijssima Signora.
Ma tornando a parlare del suddetto Eremita Gioanni è cosa certa, che egli dopo Iddio fù l'Auttore
di questo Eremo, et à lui meritamente si deve la gloria di questa Fondazione, ch'è stata l'origine
d'un tanto bene, quanto poscia da questa è successo al Regno di Napoli, con la fondazione di
quattro altri eremi sino ad ora; Qui venirebbe à proposito il dire qualche cosa di questo ottimo
Religioso. Ma per non uscire fuori del proposito, che solamente abbiamo di scrivere le Fondazioni
dell'Eremi, et perche speriamo con la
82V
grazia di Dio di scrivere un tempo la sua vita, basterà per ora, il sapere, ch'egli professò nella
nostra Eremitica Congregazione Camaldolese di Monte Corona, et mutando il nome (come è
usanza di chi in essa entra) fù chiamato Ambrosio: nella quale vise sempre austero, esemplare,
specchio di tutte le virtù, et massime d'una purità, et simplicità celeste; et corrispondendo il fine a
tutto il decorso della sua vita, morse veramente mortem Iustorum, e con preciosa morte, facendo
felicissimo transito al suo Signore, lasciando di sé concetto di gran Santità.
Ora reasumendo la descrizione di questo Eremo per terminare questa Narrazione; oltre quello che
s'hà detto del sito della Montagna, et della Valle, nella quale è situato, e non nelli più alti gioghi del
Monte, dove la rigidità delle continue nevi, et l'intemperie dell'aria non ammetterebbe
conversazione umana, Egli stà quasi ch'annidato nella detta Valle, difeso dalla vehemenza de venti
dalle cime de monti, che lo circondano, facendogli quasi onorevole corona, mà grata et proficua,
alli abitanti; eccetto che dalla parte di Oriente (come s'hà detto) dalla qual parte s'entra
nell'Eremo per la porta principale, che tiene la campanella per chiamare il Portinaro. Giunti
adunque alla cima del piano di questa Valle dalla parte destra, caminando per un buon pezzo per
una commoda e larga strada, fatta alla Costa della Montagna, nel fine di essa trovasi la Porta
dell'Eremo, dentro la quale v'è un Cortile lungo palmi Napolitani 240 e largo 105 ma non di rotta
linea per la tortuosità dell' monte, et della valle, che gli stà sotto. Alla destra di detto Cortile v'è un'
corso di una lunga e molto buona fabrica, dove v'è la cella del Cellerario, del Portinaro, et altre
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stanze per li poveri, et per altri bisogni. A mano sinistra nel fine del cortile v'è la Forestaria, che
consiste in una sala con cinque stanze per li Forastieri, et Peregrini, et sotto questa fabrica vi sono
commode stalle. Dirimpetto alla porta dell'Eremo v'è
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la porta della Chiesa, con due altre porte collaterali, per le quali s'entra nell'Eremo; la Chiesa è
assai capace, di struttura modesta, et eremitica in una sola volta, et nave subito dentro à man
destra, che hà una antica Capella, ch'era per avanti la Chiesa della Santissima Vergine Incoronata,
et pero anch'essa ha porta nel suddetto Cortile; et ora è fatto un insigne Reliquiario, ricco di molte
insigni Reliquie delli Santi Pietro, Paulo, Andrea, Giacobo, Filippo, Mattia Apostoli, di San Luca
Evangelista, di Santo Stefano Protomartire, del Nostro Santo Padre Romualdo, et di molti altri
santi, et sante, con del Legno della santissima Croce, tutte divotamente, et con ordine collocate
nell'Altare, di questa Capella, il quale è privilegiato per i Morti. da questa si passa in un altra
capelletta, che stà dalla parte settentrionale, alquanto scura, ma divota per celebrarvi la Santa
Messa. Dopo due terzi in circa del corpo della Chiesa, vi è l'Altare Maggiore, et dietro d'esso il
Choro alla nostra usanza Eremitica.
Sopra l'Altare v'è un Tabernacolo d'assai eccellente manifattura, di diverse pietre fine, con
statuette, e balaustrate di rame indorata; che la bella veduta, di valor di 300 ducati Napolitani.
Dietro il Tabernacolo, et sopra di esso la statua suddetta della Beatissima Vergine Maria
Incoronata, che a bastanza di sopra abbiamo descritta. La Cima dell'Altare è di noce lavorata à
schietto, ritoccata nelle estreme parti à oro, et profilata, tenendo nel mezzo la Palla dipinta da
buona mano, della Crocifissione di Nostro Signore con la Madonna; San Gioanni, et la Madalena à
piedi della Croce.
Dietro il Choro, ma della Parte di settentrione nell'istesso ordine del suddetto Reliquiario, vi è una
Capella grande detta il Capitolo delle Colpe la Sagrestia, Lavatoio, con una altra capelletta.
La sagrestia è fornitissima di molti, varj, et ricchi Parati, et pianette di molto prezzo; di molta
Argentaria, come calice, lampade, Candelieri, et d'ogni sorte di vasi per gli Divini Misterj necessarj,
et convenienti, di grandissimo valore, et d'ogn'altra sacra suppelletile in grande abbondanza.
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Dopo questi luoghi dalla stessa parte di settentrione, v'è un'volto, et dietro un vestibolo, per qual
s'esce di Chiesa nell'Eremo; Di sopra per una scala si và nel Infermaria, che hà diverse stanze. Nella
Libraria, et nel Campanile, il quale ha una Campana di peso di libre 700 con altre due piccole, et
Veneziane con il suo orologio. A mezo giorno hà la Chiesa un'altra porta, et infaccia una fabrica
lunga quanto è la Chiesa, sotto la quale v'è il molino, Forno, Lavatoio
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Cantine, et altri Magazeni; di sopra Cucina, Reffetorio, Dispensa, et altre officine, et Celle per li
Ministri.
Dietro la Chiesa seguitano le celle solitarie al numero di 27 con li loro orticelli in 4 file; la prima
delle quali, cioè quella ch'è sotto il monte dalla parte di settentrione n'hà 5. L'altre 4 per una, tutte
molto comode.
Vi sono sufficienti ortaggie fatte dall'industria nel declivio della valle et sostenute da muraglie, e
nella parte superiore del Vallone sopra le Celle con due belle Cisterne con perfettissima, et
abondante aqua.
L'eremo è quasi tutto circondato di muro, cioè da quelle parti dove vi può esser accesso; et nel
fine d'esso dalla parte di occidente v'è un'altra porta con una commoda strada, che ascende sopra
la Cima della montagna detta Morocava, per dove i Padri vanno per la via più breve à Napoli, Nola,
et nella Provincia di Terra di Lavoro. In somma questo Eremo al presente è perfettissimo in tutte le
sue parti; et seben pare alquanto aspro l'inverno, et tanto più devoto, et atto alla vita solitaria, et
contemplativa; egli hà abondanti entrate, et ogni bene di Dio per 40 et più frati, come
ordinariamente vi stano, et qui faremo fine alla nostra narrazione, lasciando molti particulari, che
meriterebbero qualche descrizione, ma per esser tediosamente prolissi concluderemo con il
catalogo di tutti li Priori, che di tempo in tempo governorno questa Casa Reverenda.
1578 26 Aprile Padre Mauro eletto dal Capitolo Generale
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1579 15 Maggio confirmato collo stesso dal Capitolo Generale, il quale anco decretò, che per
l'avvenire le Donne non potessero entrare nell'Eremo, eccettuato il giorno di Pasqua, et il dì 5
Agosto; et eccettuata la Signora Marchesa Fondatrice, con le sue donzelle.
1580 29 Aprile confirmato il suddetto dal Capitolo Generale
1581 21 Aprile il Padre Luca Spagnolo; 1582 12 Maggio confirmato dal capitolo Generale
1583 6 Maggio confirmato lo stesso dal Capitolo Generale, il qual dichiara, che il Titolo della Chiesa
sia il giorno della Assunta.
1584 24 Aprile il Padre Benedetto Genovese eletto dal Capitolo Generale, che decretò che si
facesse la clausura di muro per evitare il concorso delle Donne; et che il simolacro della Beatissima
Vergine non si levasse del suo luogo.
1585 17 maggio Prior il Padre Ercolano eletto dal Capitolo Generale dal quale gli fù dato licenza di
ricevere Novizzi subito; che sia fornita la Clausura
1586 12 Maggio Prior il Padre Mauro. confirmato 1587 24 Aprile, et 1588 13 Maggio del Capitolo
Generale
1589 28 Aprile Priore il Padre Gerolimo eletto dal Capitolo Generale.
1590 18 Maggio Priore il Padre Serafino 1591 10 Maggio 1592 24 Aprile confirmato dal Capitolo
Generale. In quest'anno in giorno di Domenica 15 di Novembre
84 R
fù consecrata la Chiesa da Massimiliano Palumbaria Arcivescovo di Benevento in onore della
Santissima Incoronata Maria.
1593 6 Febbraio infra anno fù fatto Priore Angelico da Prato, essendo fatto Priore di Monte Corona
il Suddetto Padre Serafino.
1593 14 Maggio il Padre Simone. 1594 6 Maggio il Padre Serafino;
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1595 21 Aprile il Ambrogio. 1596 10 Maggio il Padre Barnaba.
1597 2 Maggio confirmato il Padre Barnaba. 1598 17 Aprile il Padre Serafino
1599 7 Maggio confirmato il Padre Serafino 1600 28 Maggio confirmato lo stesso.
1601 22 Giugno confirmato il Padre Serafino 1602 3 Maggio il Padre Mattheo
1603 25 Aprile il Padre Tobia; 1604 21 Maggio il Padre Giovanni Battista
1605 6 Maggio il Padre Serafino 1606 21 Aprile il Padre Tobia.
1607 11 Maggio il Padre Elia. 1608 2 Maggio confirmato il Padre Elia.
1609 14 Maggio il Padre Archangelo 1610 7 Maggio confirmato l'istesso.
1611 29 Aprile il Padre Egidio, il qual avendo rinonciato, fù eletto infra anno
1611 2 Maggio il Padre Tobia.
Mancano gli Atti
1667 21 Ottobre il Padre Bonaventura da Latina 1669 19 Maggio il Padre Franco da Lauri.
1671 24 Aprile il Padre Venanzio 1673 27 Aprile il Padre Biaggio
1675 10 Maggio il Padre Primiano 1677 15 Maggio il Padre Francesco.
1679 26 Aprile il Padre Emanuelle, che essendo fatto Priore al Salvatore
1680 15 Maggio infra anno fù messo Priore il Padre Gioseffo Maria
1681 2 Maggio il Padre Franco 1683 14 Maggio il Padre Remigio
1685 Maggio il Padre Adriano.
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c84v
Racconto delle Vite d’alcuni Padri della Nazione Napolitana di segnalate Virtù
Il Padre Giovanni Battista Cavaliere principale della Città di Napoli di Casa Loffredo figlio del
Prencipe di Cardito, e Duca di Monte Forte nel quale dominio egli succedeva, in morte del Principe
Padre; di questo nostro Padre dicono comunemente tutti non solo li nostri, ma anco Secolari, che
se ne doveva scriver la vita, stante che fù un esemplare di tutte le virtù: riluceva in lui
singolarmente la modestia, e religiosità, nel pratticare, particolarmente con Secolari. Egli fù à
maggior grado pieno di Carità verso li poveri, et infermi; per il che tutte le cose dolci, che li
venivano donate (ch’erano in quantità) le dispensava all’infermi di Casa, non riservando per se
cos’alcuna, per la gran quantità di pane che per carità dispensò a poveri, in un’anno di carestia non
morirno di fame gran quantità d’Uomini nelle ville vicine all’Eremo dell’Incoronata, di cui per
providenza di Dio lui allora si trovò Priore. Era grandemente amatore della povertà religiosa; li suoi
suppellettili di Cella erano li Peggiori dell’Eremo; le più logori vesti della dispensa si prendeva per
la sua persona. Era acerrimo dispreggiatore delle vanità del Mondo; à segno che una volta per
esercitare in se questo dispreggio passò di mezzo giorno per seggio di Nido (di cui egli era
Cavaliere) sopra un somaro con un orinale in groppa, per mezzo quei Cavalieri, ch’al solito stanno
attorno al seggio diportandosi, e li riuscì molto bene, poiche essendo conosciuto, fu con stupore
circondato da essi con affrontarlo che lui disonorava il Seggio, con l’andare così facchinesco. A
quali egli rispose (veramente da suo pari) anzi che voi il disonorate con li vostri tanti lussi, e
peccati. Fù dotato da Dio della Virtù della umiltà poiche con tutto che pieno di virtù, nobile, e
dotto (era Filosofo Teologo, e Giurista) si teneva per l’infimo di tutti, e tale in tutte le sue azioni si
dimostrava. Fù dal Capitolo Generale eletto per Maggiore, mà egli non volse in modo alcuno
accettarlo, apportando, che non aveva abilità, e sufficienza per un tanto grado. Finalmente dico,
che nel tempo che lui viveva, correva di tre Religiosi comunemente la fama di Santi, erano questi Il
Padre Antonio de Colellis de Pii operari, il Padre Caracciolo Teatino, et il Padre Giovanni Battista
Camaldolese, ma il nostro Padre Loffredo portava il Primato; anco il detto Padre Caracciolo teneva
in stima di Santo il nostro Padre Giovanni Battista, e frà loro era particolare amicizia tanto che il
Padre Caracciolo si confessò più volte da lui, stando egli nell’Ospizio di Napoli per Procura. Questo
nostro Padre era tanto stimato da Cavalieri, e Ministri del Regno, che quando occorreva per affari
della Religione andare a visitarli, quelli li facevano accoglienze
68
c85r
straordinarie ad accompagnarlo al fine delle gradi. Passò questo Padre da questa temporale al
eterna nel Cielo (come piamente si può vedere) l’anni del Signore 1638 nel Eremo del Santissimo
Salvatore.
2.Filisto converso morì con opinione di santità poiche menò una vita esemplarissima et ebbe un
dono particolare da Dio di predire le cose future; come in effetto predisse a moltissimi Novizi se
dovevano restare alla Religione o pure ritornare al Secolo. Si racconta di lui che una volta un
nostro Padre Sacerdote dicendo Messa ebbe una grave tentazione, e che nel entrare la Sacrestia il
detto Filisto se l’accostò all’orecchia, e li raccontò appunto la sua diabolica tenzone poco fa avuta.
Questi avea per solito ogni giorno leggere nel Flos Santissimo una vita di Santo dal quale poi nel
giorno esercitava qualche particolare virtù. Morì nell’Eremo dell’Incoronata l’anni del Signore
16…..(di questo nome ce ne sono stati quattro con il vivente e del primo si parla)
3.Il Padre Gioseppe di Macerata professo della Nazione eccetera che stiede nella Nazione
Napolitana
lungo tempo, nella quale anco fù Priore; questi era un Padre di tanta virtù che continuamente
aveva estasi e Ratti, e ciò viene attestato da una grande Serva di Dio chiamata Suor Orsola
Benincasa Monaca e Fondatrice del Monisterio chiamato volgarmente di Suor Orsola, di questa
Madre Suor Orsola s’è fabricato processo della sua vita e frà breve si spera la sua Beatificazione
Questa divina Serva di Dio nelle regole, che prescrisse alle sue Monache Eremite, l’esortò, che
nella guida delle loro anime elegessero i Padri Eremiti Camaldolesi del Salvatore (notasi che
quando si rinchiusero nel Romitorio le Monache suddette fecero l’istanza d’esser governate da
nostri. Però li fù negato dal Capitolo Generale il che fù li Anni del Signore), inperciòche sapeva, che
dicti Padri erano di gran spirito, e che ella veduto aveva in spirito questi Padri avere estasi, e Ratti;
il che s’attribuisce particolarmente al Padre Gioseppe, poiche allora lui era Priore del Salvatore.
Questo Padre fu ammirabile nella Temperanza, et astinenza da cibi; egli ci cibava al più d’erbe
crude, e di qualsivoglia sorte si fossero. Fù anco dotato di Spirito di Profezia, il che prova il
seguente Caso; Discorrendo egli un giorno col Padre Doroteo (seniore al vivente) di due Monache
tenute in Napoli in grande opinione di Santità, quelli erano la già nominata Suor Orsola, e l’altra
69
Suor Giulia, et racontando il Padre Doroteo al Padre Giuseppe la Santissima vita che gl’era stata
raccontata menavano queste due Monache il Padre Don Gioseppe soggionse che la prima cioè
Suor Orsola era veramente una gran Serva di Dio, ma la Suor Giulia appresso si vederebbe chi
fosse (non volendo dir cosa più chiara, forsi per scrupolo) come in effetto fra poco tempo detta
Suor Giulia fù conosciuta non gia per buona, ma per mala, anzi pessima donna poiche
c85v
per l’enormissimi peccati che occultamente commetteva fù formato processo dall’Inquisizioni del
Santo Officio, dove per penitenza fù fabricata, e vi morì (benche contrita come dicono). Nell’Eremo
del Santissimo Salvatore il Padre Gioseppe passò à meglior vita; lasciando a nostri Eremiti esempio
di rare virtù.
4. Il Padre Urbano di Napoli primo di questo nome Religioso puntualissimo in tutte le nostre Sante
osservanze; particolarmente questo buono Padre ci diede a maggior grado esempio di ritiramento;
perciòche se ne stava del continuo ritirato in Cella, restringendosi anco in stare nella stanza, ove
stà il letto con la porta serrata; si che rarissime volte fù ritrovato da Monaci fuor il Vestibolo, o
Orticello.
Fù acerrimo osservatore del Santo Silenzio, non parlando se non per necessità, e questo con
mirabile modo, cioè sentenzioso, e breve. Quel che rende questo Padre di eterna memoria s’è che
fù si esemplare, e di tanta composizione in tutte le sue azioni, ch’edificava chi che sia non solo con
le opere, ma con la sola presenza. Fu egli dotato da’Dio di un abilità singolare nel governare
Religiosi; per il che fù frà l’altre Prelature 12 anni Maggiore. La Felice Memoria d’Urbano VIII nel
tempo del suo Pontificato fè venire avanti la sua presenza tutti i Generali delle Religioni, e con essi,
tutti volse discorrere; trà questi fù il nostro Padre Urbano, il quale piacque tanto à questo gran
Pontefice ch’ebbe à dire, che di tutti i Generali delle Religioni, solamente, il Padre Urbano
Camaldolese l’aveva dato sodisfazione, e l’era piaciuto più degli altri. Morì questo gran Padre
nell’Eremo dell’Incoronata essendo Maestro de Novizij l’Anni del Signore …………
5. Del Padre Urbano di Napoli 2° di questo nome s’hà per attestazione della sua persona, che stiede
doppo sua morte, tra loro, e non più nel Purgatorio, (il che mi pare a bastanza dire di questo
70
Padre) e ciò è stato rivelato a Suor Maria Villani, fondatrice del Monasterio del Divino Amore di
Napoli de Padri Predicatori, la vita di cui è si maravigliosa, che fa stupire chi la legga, di questa
Serva di Dio si stà attendendo sicuramente essere dalla Santa Sede Apostolica annoverata frà il
Catalogo de Santi del Paradiso. Morì questo buon Padre nell’Eremo del Santissimo Salvatore l’Anni
del Signore…………
6. Il Padre Franco della Valtellina, villa vicino la città di Milano professo della Nazione Napoletana fù
egli un bonissimo Religioso, particolarmente fù dotato da Dio, d’una semplicità Colombina à segno
che di altro simile non se ne ricorda nella Nazione, se qualcheduno li diceva una cosa impossibile
c.86r
ad essere, egli non di meno la credeva. Haveva una coscienza tenerissima, onde da tutti era tenuto
per un Angelo. Esercitava del continuo atti Iaculatorj à segno tale, che anco con gli atti esterni il
dimostrava, come con gesti di mani, occhi, etcetera. Fù pontualissimo osservatore della Santa
Regola, e nostre Costituzioni anco in cose minime. Fù sempre amato da tutti, non solo nostri
Eremiti, ma anco Secolari, il che procedeva dalla dolcezza, e schettezza del suo procedere. Morì
nell’Eremo del Santissimo Salvatore l’Anni del Signore 1670.
7. Il Padre Remigio d’Avellino, Padre tanto dedito all’Orazione mentale, che sicuramente si può dire,
che la sua vita fù una continua Orazione, si racconta di Lui che, con occasione di lavare il suo corpo
doppo morto, si trovorno nelle ginocchia due calli di smisurata grandezza. Successe un giorno
ch’un Cavaliere venuto per divozione a veder l’Eremo del Santissimo Salvatore et entrando
casualmente nel Coro, trovò detto Padre che stava ivi ginocchioni con la facia verso il Cielo
talmente elevato in Dio che quantunque il Cavaliere li domandasse non sò che, e gl’andasse
d’attorno facendo rumore, il Padre Remigio non se ne accorse punto: onde il Cavaliere
osservandolo meglio s’avvidde ch’il buon Padre stava in estasi perché lo giudicò Religioso di Santa
vita. Fù il Padre Remigio di gran ritiramento; poiché continuamente se ne stava in Cella non
uscendo, per altro, che andar al Coro, al quale era puntualissimo. Osservava esattamente il
Silenzio, e anzi di più quando si dispenzava secondo l’uso non parlava più ……… si racconta di
71
questo Padre che essendo Priore della Torre del Greco fù da un Converso de nostri molto perverso
assaltato di notte nella sua Cella, e levito talmente che fù stimato miracolo non morir subito, e lui
non solo non gastigò ò pure fè castigare da Padri Superiori il Converso, come giustamente poteva;
ma anco (cosa maravigliosa) cercò lui al Converso umilmente perdono, anzi poco doppo
ritrovandosi di fameglia con esso lo confessò lungo tempo con una Carità grande. Fù Padre
Remigio assai spropriato dall’affetto de parenti: onde si racconta che avendo la madre vivente,
non andò per il spazio di 20 anni à ritrovarla, con tutto che questa grandemente desiderava
vederlo e ve s’adoprasse con ogni sforzo per mezzo de Padri Superiori. Si racconta anco di questo
Padre ch’essendo all’ultimo di sua vita si prese un Crocefisso in mano, e li bacciò successivamente
per 24 ore continue le Santissime piaghe del costato mani, e piedi, cosa che non averebbe potuto
fare uno di perfetta salute; il che fù stimato cosa miracolosa; e si noti che con questi baci morì.
c86v
E questa successe L’Anno del Signore 1669 nell’Eremo di Nola, restando nella Nazione un generale
cordoglio d’aver perso un tanto Padre.
8.Il Padre Bonaventura Pugliese fù molto segnalato in cruciare il proprio Corpo; Onde dalla sua
bocca si sentiva spesso questa sentenza, Sperne mundum, sperne nullum, spernere se ipsum in
che, diceva egli, consisteva la perfezione Religiosa; faceva questo Padre in tutto l’Anno tre
astinenze la settimana. Si cibava al più de’ frutti, e di rado quelle poche pietanze che evenivano, le
mangiava; beveva il vino in tanta sobrietà, ch’a pena arrivava ad una tazza il giorno. Fù questo
Padre assai dedito agli esercizi manuali; onde si racconta ch’essendo Maestro de Novizzi faceva
fatiche estraordinarie, quali accompagnava con le continue abstinenze; era poi tanto mortificato in
tutte le cose, che vestiva tutto rappezzato; non pigliava mai dalla communità panni nuovi, si lavava
rare volte i panni et era assiduo al coro, al quale non mancava mai. Non gustò in tutta la vita sua
carne, benche fosse stato più volte infermo; mà nell’ultima infermità non potè far di meno per
tanti precetti fattali dal Medico. Finalmente dirò una visione, successa (come diceva egli) in
persona d’un’Cappuccino suo parente quale si dubita che sia successa in persona sua, e che …iltà
l’abbia colorita col nome del Cappuccino; e con ragione poiche dalla bocca Sua S’è solamente
sentita. Disse un giorno, che un Cappuccino aveva veduto che in una giornata siano morti 80 milla
72
persone Cristiane, e che tre sole s’erano salvate, e l’altre tutte andorno nell’Inferno; e che tra
questi tre vi fù un Camaldolo. Morì questo Padre nell’Eremo del Santissimo Salvatore li Anni del
Signore 1673. Lasciò appresso di tutti grande opinione di Santità di vita.
9. Il Padre Michiel Angelo di Sant’Angelo à Scala antecessore di questo vivente, fù un Padre di gran
ritiramento continuamente se ne stava in Cella fù anco amatore del Silenzio; di gran purità di
coscienza. Fù similmente amatore, e difensore di tutte le nostre osservanze. Non volse egli mai
mangiar carne benche n’avesse gran bisogno; ne tampoco benche ammalato volse andare a
dormire all’Infermaria. Era questo buon Padre tanto contrario alle Prelature, che in persona sua
non le poteva nemeno sentire; et essendo fatto Priore una volta, non fù mai possibile farlo
accettare. Morì all’Eremo del Santissimo Salvatore l’Anni del Signore …..
c 87r
Vi sono stati nella nostra Nazione altre delli già narrati altri Padri Sacerdoti Conversi, et oblati
di segnalate virtù, come del Padre Eugenio di Napoli Zenobio di Catarizzano, Manuele Capano,
di Napoli Ambrosio Spagnolo. Frate Pomponio Converso, Carluccio Oblato, et altri; e vi sono
anco delli viventi di molta perfezione quali tutti tralascio per brevità
10.
Il Padre Agostino di Napoli fù un Padre divotissimo della Madre di Dio, la chiamava per
confidenza la Marchesa della Valle, poiche era Signora di questa valle di Lagrime. Era anco di
molta Carità verso i poveri. Era molto dotto; e compose il Prelato Religioso, stampato però
sotto nome del Padre Giovanni Santo, avendo fatto una anagrama puro; con un’altro libro
d’Orazione. Morì questo Padre nell’Eremo del Santissimo Salvatore l’Anni del Signore ….
c. 87v
73
Alcune poche notizie tratte d’altra relazione dell’Eremo dell’Incoronata
E per attestazione in parte e confermazione di ciò (cioè che vi fossero tre eremi nel Napolitano
prima della fondazione di questo dell’Incoronata abbandonati da Padri in tempo d’una pestilenza
come lo dice Luca Ispano (LBC10E18) leggesi una lettera originale del Padre Serafino di Nola in
fascicolo II di Chyaia In dove detto Padre va scrivendo essersi conferito per ordine de Padri
Superiori alla Riccia ed informatosi dei beni avevano posseduto li Padri Camaldolesi in detta Terra
e di più aver trovato L’Originale della dotazione della Chiesa nominata Santa Maria del Rifugio, e
dell’Eremo ancora, e che si vedevano le rovine della Chiesa e Celle solitarie, e che di più v’erano
vecchj nella Riccia, ricordandosi di Padri in detto luogo, che si può credere detto Eremo essere
stato infallibilmente uno delli tre avuti in Regno. L’istrumento della detta dotazione è tra le
scritture dell’Eremo dell’Incoronata fascicolo III etc.
c. 88r
Di Giovanni Eremita detto poi Don Ambrogio Fra Camaldoli
Quel buono Sacerdote dopo la venuta de’ Padri Camaldolesi in detta Montagna volontariamente
s’astima a’ voti solenni di detta Religione e fe la sua professione e li fu mutato il nome di Giovanni
in Ambrosio buonissimo Religioso, ed oltre l’esemplarità di Vita fu nobilissimo di sangue, e il suo
fratello come si racconta e si trova anco scritto e notato nei manuali d’assai stima nella Corte, che
perciò dalli Signori Viceré di Napoli quando andava a Palazzo era ricevuto fuori della Camera de’
titolati con gran dimostrazione ed onore
c 88v
Uso di pesarsi all’Incoronata
V’era ancora usanza di farsi pesare le genti in una bilancia grande ch’era a quest’effetto nella detta
Chiesa, et alla Capella delli morti oggi camera del Sacrario dove da una parte si poneva chi aveva
74
ottenuto la Grazia e dall’altra parte pane, cascio, farina, oglio conforme il voto fatto, e quanto era
il peso della persona, tanto si dava di robba. Non si deva alcuno di questo maravigliare, mentre è
stata devozione antica, e si vede nel rituale vecchio l’orazioni e preci a tal effetto
Fu questo costume, che ad altri lascerò giudicare se fosse lodevole, tralasciato da Padri Eremiti
dopo il loro ingresso all’Incoronata
75
1585 - Fondazione dell’ Eremo del Santissimo Salvatore a Prospetto (Napoli)
Nella capitale del Regno i Camaldolesi erano stimati e rispettati.
Il nobile don Giovanni d'Avalos, dei marchesi di Vasto, offrì loro, nel 1585, un sontuoso palazzo
nel centro di Napoli e 500 ducati annui, frutto di censo, per mantenervi una comunità di 8-10
monaci.
I padri capitolari di Monte Corona, attenendosi alle severe regole dell‟Ordine, opposero un cortese
rifiuto sottolineando che la natura eremitica della loro congregazione mal si coniugava con le
distrazioni della grande città.
Nello stesso anno un altro gentiluomo napoletano, Battista Crispo, offrì in dono alcuni
appezzamenti di terreno situati accanto ad una cappella diroccata dedicata al Santissimo Salvatore,
la cui fondazione era attribuita a San Gaudioso27.
Questo luogo denominato “Prospetto”, posto sulla sommità della collina che domina il golfo
partenopeo, fu ritenuto luogo ideale per fondarvi un eremo.
I Camaldolesi chiesero, quindi, al D‟Avalos di destinare la donazione ovvero la rendita di 500
ducati al mantenimento della nuova comunità che lì si sarebbe stabilita.
Nell‟ottobre del 1586 fu designato primo priore Don Girolamo da Perugia28, il quale, dopo qualche
anno, diede inizio ai lavori di costruzione della nuova chiesa.
Ecco come un ignoto frate camaldolese ci tramanda alcune preziose notizie: <Nel 1588 a 18 marzo
furono poste la campana grossa, e la piccola p(er) l‟osservanza, la grossa di Cantara tre, e rotola
39, la piccola di rotola 26, e nel med(esim)o fu messo l‟orologio grande, che suona due volte nella
Chiesa piccola del Salvatore, ed a dì 21X (dicem)bre 1596 giorno di S.Tommaso fu posta d(ett)a
campana grande nel campanile della Chiesa nuova di San Salvatore, e S.ta Maria Scala Celi con
licenza dell‟Arcivescovo di Napoli.
A dì 5 marzo 1591 il Martedì a sedici ore s‟incomincio a fabbricar la Chiesa nuova di
q(ues)t‟Eremo intitolata a S. Salvatore in S.ta Maria Scala Celi, ed alli 7 X(dicem)bre 1596
s‟incominciò ad officiare la Chiesa nuova al Vespro della Vigilia della Natività di N(ostro)
S(ignore) con licenza dell‟Arcivescovo portandovi il SS.mo Sacramento>.
<…Nel med(esim)o anno (1600) al Signor Gio-Batta Crispo li fu concessa la p(rim)a Cappella
dalla parte del vangelo per li tanti favori, e benefici rivevuti.
27
Secondo la leggenda: < San Gaudioso Vescovo di Bitinia cacciato dall‟Africa e scampato dalla persecuzione
di Genserio re dei Vandali, volle edificare , nel 439, sulla cresta del monte una chiesetta in onore della Trasfigurazione
del Signore> (M. Renato d‟Andria: Camaldoli, origine e storia, Napoli 1938)
28
Nel giugno del 1594 il Pontefice allo scopo di pacificare l‟Ospedale dell‟Annunziata di Napoli con la
Congregazione Verginiana, nominava il Camaldolese Padre Girolamo da Perugia, Abate Generale di Montevergine,
confermandolo per due successivi trienni.
76
Nel 1602 la seconda Cappella fu concessa al Signor Giuseppe de Mari.
Nel 1608 avendo fatta istanza il Signor Gio-Batta Crispo d‟aver sepoltura nella sua Cappella del
Salvatore, ed anco per la Signora luisa sua Moglie li fu concessa la grazia.
Item fu concesso anche la sepoltura al Signor Giuseppe de mari, a sua moglie che volendo
potessero seppellersi nella Cappella da loro fornita, ed adornata di tutto punto.
Item fu ordinato dal Cap(itol)o che il futuro Priore del Salvatore subito arrivato a quel luogo
dovesse fare la Clausura, e piantar le Croci discoste dalla Porta, e publicare la scomunica con
forme a nostri Privilegi, eccetto tre giorni, cioè il Martedì dopo Pasca, il giorno della
Trasfigurazione del Signore, e l‟altro da dichiararsi dalli PP. Mag(gior)e e Visit(ator)i fra anno. E
perché molte volte ha dimandato in grazia il Sig. Gio-Batta Crispo, che la Sig.ra Luisa sua
consorte facendosi la Clausura al d(ett9o luogo del Sa(lvato)re potesse venire in Chiesa solamente
con forme fu concesso all‟Incoronata alla Sig.ra Marchesa di Montebello. Con tutti li voti
favorevoli dispensarono potesse a suo beneplacito con quattro altre donne andare alla Chiesa del
Salvatore 24 giorni dell‟anno sua vita durante.
Nel 1613 la Sig.ra Giovanna Rossa domando‟ in grazia di potersi fare una Cappella nella Chiesa
del Salvatore con una sepoltura dove possi esser sepolta lei, insieme col suo figlio con tutti li
suffragi per i suoi gran meriti li fu concesso>29.
Oggi l'ex-eremo dei Camaldoli di Napoli, pur non essendo più residenza dei monaci camaldolesi,
ospita le Suore di Santa Brigida ed è conservato in ottimo stato grazie anche ad una accurata opera
di restauro che ha interessato sia le celle che la Chiesa.
29
Archivio Storico Camaldolese, Nola. Manoscritto sotto il titolo <Notizie di quest‟Eremo del SS. Salvatore,
1580-1700.
77
78
Dell‟origine, Fondazione, et Progresso dell‟Eremo del Santissimo
Salvatore detto al Prospetto di Napoli; secondo in detto Regno
79
80
C 90 R
Dell’origine, Fondazione, et Progresso dell’Eremo del Santissimo Salvatore detto al Prospetto di
Napoli; secondo in detto Regno
Cap.
Quanta utilità apportino alla Cristiana Repubblica gli essempj di pietà, da quello, che siamo per
dire, ben si potrà comprendere Uditosi in Napoli il prospero successo del suddetto eremo di Santa
Maria Incoronata, et da qualche d’uno vedutosi la pia, et esemplare conversazione delli Eremiti,
che vi abitavano desiderosi perciò quei Cittadini, non meno pij, che generosi, d’essere di tanto
bene partecipi, con avere essi Eremiti più vicini alla loro Città per poter più facilmente godere della
loro Conversazione, et approfittarsi del loro buon esempio. Et per poter ridurre ad effetto questo
loro buon desiderio, non cessavano di offerire frequentemente alli Padri varj luoghi, molti beni, et
anco magnifici Palazzi, invitandogli in questo, et in altro più possibile modo à fare una nuova
Fondazione vicina à Napoli; Ma perche tali offerte ebbero sempre tutte qualche difficoltà; et non
avevano quelli requisiti, che ricerca il nostro Eremitico Instituto, non fù possibile dare al loro pio
desiderio il bramato adempimento, se non quando la Somma Providenza di dio somministrò il
modo facile, et opportuno per fare questa pia opera. Ora per caminare con l’ordine de tempi
piglieremo più alto il principio di quest’eremo, della cui fondazione siamo per trattare. Dicendo
che nel Regno Napolitano nella Provincia di Terra di Lavoro lungi dalla Nobilissima Città di Napoli,
capo del Regno, tre miglia in circa alla parte di occidente, v’è un alto Monte, detto à prospetto, ò
dalla veduta; cosi detto per la bella, et larghissima vista, che da quello si gode per intorno. Nome
veramente non improprio; perche dalla Cima di questo Monte Guardando nello Oriente si vede la
suddetta bellissima Città di Napoli, con l’altre Città, di Castello à Mare, Vico Equense, Surrento,
Massa, et con tutta la loro dilettevole Riviera à torno il golfo di Napoli tutto pieno di Galere, di
Navi, et d’ogni altra sorte di Legno navigabile. Da mezzo giorno si vede l’isola di Carpi, et altre con
il golfo di Salerno. Da occidente si scuopre tutto il mare Tirreno con ogni suo lido, godendosi
dell’Isole d’Ischia, Pontio, et altre, con l’antichissima Città di Gaietta. et da setentrione si gode la
felice et fertile Terra di Lavoro con molte Citta, Terre, et Ville.
81
a) ex Romualdina lib. 4 c 8
Costagnizza in vita Sancti Romualdi
Nella Anotazione 28
Napoli Sagra d’Eugenio Caracioli
Nella descrizione del Santissimo Salvatore Hist dell’ant. di Napoli del suddetto Fonte lib 1
Archivio dell’eremo di Monte Corona M. S. delli Padri Basilio Fidenzio etc.
90 V
In somma dovunque si gira l’occhio si gode un’apertissima, giocondissima, et amenissima veduta;
et seben questo monte è molto alto, et il maggiore delli circonvicini, và però così à poco à poco
piegandosi verso la Città di Napoli, che rende la sua salita, et discesa molto facile, non solo per
cavalli, et pedoni; ma anco per ogni sorte di cocchi, et carrozze, con gusto de chi và et viene, qui
passando la via per grande parte del viaggio per dilettevoli Borghi, et Luoghi abitati graziosi.
Sopra dunque la cima di questo monte v’era una antichissima Chiesa, fabricata sino nell’Anni del
Signore 445 da San Gaudioso Vescovo di Bittinia in Africa, il quale (a) fuggendo la persecuzione di
Genserico Re de Vandali Ariano, se ne venne à Napoli, circa l’Anni del Signore 439 (et non da San
Gaudioso Vescovo di Salerno come alcuni hanno scritto) la qual fabricò con occasione d’un
miracolo, ch’esso santo operò in detto luogo, che fù in scacciarvia di là i demonj con la sua santa
benedizione, dove parevano, che avessero posto il loro seggio, infestando tutti i Paesi circonvicini
con le loro diaboliche tempeste, et perturbazioni, et infectioni dell’aria; et la dedicò al Santissimo
Salvator del Mondo; come si legge nell’Antico officio di questo Santo nella lectione 15 et 16. infra
octavari nel primo luogo si dice: Nam de monte qui dicitur ad aspectum etc. et nel secondo: In ipso
quippe supercilio Montis ad onorem Salvatoris Mundi mira Ecclesia fabricata ubi beneficium
petentium etc.
82
Col tempo poi questa Chiesa dalla devozione dè popoli fù ampliata, non solo di fabriche; ma anco
di rendite; imperòche gli furno donati alcuni terreni contigui ad essa, facendola Beneficio semplice
sotto la cura d’un’Abbate Beneficiato, et in questo modo perseverò la custodia di questa Chiesa
sino all’anno di nostra Salute 1588 nel quale venne con tutto il Monte in potere della nostra
Congregazione Eremitica Camaldolese di Monte Corona, il che successe nel seguente modo.
Un Gentiluomo Napolitano, chiamato Giovanni Battista Crispo, uomo insigne per li maneggi, et
governi di molta considerazione da lui laudabilmente essercitati, desiderando fondare appresso li
suoi ricchi Poderi, che contigui a detta Chiesa teneva, cosi per servizio di Dio, come per beneficio
suo, et delle circonvicine Ville qualche Monasterio di buoni Religiosi, et considerando egli la
grand’opinione di Santa Vita che per tutto il Regno di Napoli era tenuta dalli Padri Eremiti
Camaldolesi, poco fà venuti in quelle Parti, e fondati appresso il Castello di Sant’Angelo de’Scala
pensò di procurare una colonia di detti Religiosi
a) Baion. In martis sub die 28 ottobre. Delle vite de Sancti Gaudiosi Vescovi uno di Bittinia, e
l’altro di Salerno. cap. 6
91 R
Era in questo tempo posseduta la Suddetta Chiesa del Salvatore sotto titolo di Beneficio semplice
dal Abbate Don Gioanni Cappasanta, con il quale in tal maniera s’adoprò il Crispo, che se la fece
renunciare à beneficio delli Padri Nostri Camaldolesi per fargli l’accennata fondazione. Sopra di
che ne ottenne anco la’confirmazione Apostolica da Sisto V Sommo Pontefice, parendo che questo
Monte, et luogo fosse molto idoneo, e capace per edificarvi un Eremo secondo il nostro Eremitico
Instituto.
Fatto questo senza indugio cominciò a procurare con efficaci esortazioni, che Li Padri accettassero
questa Chiesa, per la dote della quale, et per il sostentamento di essi Padri offeriva tanti de’suoi
contigui Terreni, quanti avessero bisognato per una sufficiente provisione, et annua entrata.
Finalmente perche il Luogo non spiacque, et le condizioni per quel principio erano convenienti,
facilmente diedero il consenso li Padri all’accettazione con riserva dell’assenso de loro Padri
Superiori, et del Capitolo Generale della Congregazione e perche vi restava una difficultà da
83
superare, et era che il sito, et spazio della Cima del Monte, dove doveva fabricarsi l’Eremo pareva
alquanto angusto, prontamente il pio Crispo v’applicò il rimedio con l’aggiuntarvi per sua mera
liberalità una sufficiente parte di una Sua Possessione, che quivi aveva contigua, et quanto terreno
seppero addimandare li Padri, alli quali di più diede buona copia di denaro per cominciare la
fabrica.
Con tutto ciò pareva, che stasse ancora in suspeso questa fondazione, et che non fosse ancora
sicuramente stabilita per non esser sino à quest’ora stata accettata dal Capitolo Generale a cui
(come sopra) avevano rimesso li Padri l’accettazione; et ciò nascendo perche non si vedeva ancora
così bene, et sufficientemente fornita, che non si potesse quivi sperare di poter fabricare un
Eremo formale, mantenervi un conveniente numero di eremiti, et molto meno mantenervi la
regolar osservanza eremitica.
Quando a ciò il Clementissimo Iddio, che non manca mai alle pie intenzioni de’ suoi Fedeli de
opportuno agiuto, inspirò Don Gioanni d’Avalos d’Aragonia, fratello del Marchese di Pescara et
figliuolo del Marchese del Vasto, che fù già volorosissimo Generale di tutto l’Esercito Imperiale à
voler ridurre in Monasterio un suo, Palazzo, posto nel Territorio di Napoli con Mirabil arte
fabricato
assignando sufficiente patrimonio
91 v
per li Monachi, che in quello intendeva dovessero abitare; et perche egli molto bramava di aver
de’ nostri Padri Eremiti, gli ne fece l’effettiva donazione con condizione, ch’avessero da star
perpetuamente in detto Palazzo otto frati, per il cui vitto, et vestito aveva donato in detto luogo
l’entrata di 500 ducati annui in perpetuo. Così fù portato al Capitolo Generale celebrato in Monte
Corona nel Mese di Maggio di quest’anno 1585; et fattigline calde istanze per nome di detto Don
Gioanni; che fosse accettata questa sua offerta, et mandati subito i Padri destinati.
Sopra questo projetto fu lungamente trattato in Capitolo, et finalmente considerando li Padri che
non conveniva ad Eremiti, ed al nostro Instituto Eremitico abitare in un simile Palazzo, fù risolto, e
84
stabilito di fare supplicare detto Don Gioanni, che si compiacesse di Fare altra donazione, cioè delli
500 ducati in favore del luogo da farsi sùl Monte, dove era la Chiesa e Romitorio, chiamato di San
Salvatore à prospetto, il qual luogo procurato alla nostra Congregazione da Giovanni Battista
Crispo, fù allora accettato con tutti li voti, quando però il sito fosse stato capace per fargli l’Eremo,
e quando detto Don Gioanni si compiacia fare l’assignamento di ducati 500 annui d’entrata al
medesimo luogo, et che un’altro Gentiluomo napolitano dia mille ducati, che (come si diceva)
aveva promesso; Sin quì sono parole dell’Atto del Capitolo Generale 30 . Deputandovi per pigliar il
possesso del luogo del Salvatore, e per dar principio il Padre Ierolimo Perugino, con il Padre
Giovanni Battista Sacerdote, Frà Onorato chierico, et Bernardo oblato, per sua famiglia. Ciò inteso
dal Religiosissimo Don Gioanni, che era apunto gravemente infermo, essendo neanco supplicato
da Padri, non ricusò di mutare la Donazione, lasciando nel suo Testamento l’annua entrata per la
somma di ducati 500 à beneficio del Suddetto Luogo del Santissimo Salvatore, con questo, ch’in
detto luogo dovessero fabricare una nuova Chiesa sotto il titolo di Santa Maria Scala Coeli, et che
vi fosse per sepolto il suo corpo. Sotto l’undici ottobre 1585 (A 1585).
Tanto che in quest’Anno 1585 il di 8 ottobre li Padri presero l’attual possesso nelle dedite forme
della suddetta Chiesa del Salvatore, et del Monte per mezzo del suddetto Padre Geronimo,
Procuratore per questo effetto specialmente deputato in nome della Nostra Congregazione, et
subito diedero principio alla fabrica dell’Eremo per l’abitazione degl’Eremiti.
Non si deve tacere la pietà del Signore Don Carlo Caracciolo,
92R
il quale unitosi con il Suddetto Signor Crispo, fece (come dice il Padre Luca) un non picciolo sborso;
et fù quello, che nel Atto del Capitolo Generale suddetto, si dice ch’aveva promesso 2000 Ducati,
senza nominare chi sono; oltre di che, diede anco a principiò con somma carità ornamenti di
Altare, e paramenti Sacerdotali di gran prezzo. (1586)
adi primo Maggio nel Capitolo Generale fù accettata la suddetta donazione fatta da Don Giovanni
d’Avolos, et incorporato il Luogo, et Chiesa del Santissimo Salvator à prospetto alla nostra
30
ex Archivio Eremi Montis Coronae
85
Congregazione; et statuito, che per l’avenire ve s’abbia da deputare il Priore come all’altri eremi,
stante la commodità della Chiesa, et delle fabriche, et che la Chiesa da farsi in detto Luogo si
abbia da nominar santa Maria Scala Coeli, giusto alla pia disposizione del suddetto Don Gioanni,
che aveva lasciato il valente per fabricarla. riconoscendo questo divotissimo cavaliere per
Fondatore; et fù eletto per Primo il Suddetto Padre Geronimo Perugino il di 2 Maggio; che restò
confirmato l’Anno susseguente 1687 (sic) 24 Aprile per un altr’anno. (1587)
Morto adunque che fù il suddetto Don Gioanni d’Avolos, il suo fratello Marchese di Pescara, come
erede, per adempimento del Legato del Fratello, lasciato alli Padri di 500 ducati d’entrata diede
effettivamente per una volta dieci milla Scudi con li quali fù comprata una massaria detta
…………qual poscia migliorata da’Padri, ora è stimata di valor di circa 30 mila scudi et
successivamente à poco à poco furno comprati altri beni stabili; et particolarmente si fece lo
acquisto d’una Massaria detta di Sacco, che parimente, essendo stata migliorata, ora vale(A.1587)
circa à 22 mille Ducati. Così d’un’altra, dove si dice Pusilipo di valor di 5000 Scudi; et d’un’altro à
Marano Terra di valor di 2000 scudi in circa. Si che questi Eremo calcolate l’entrate di queste
Massarie, con altre entrate di Case in Napoli, et d’altri utili, aveva al presente d’entrata annua
vicino à 4000 scudi, più et meno secondo il taglio, che si fà delle Selve. Entrata soprabondante per
35, ò 40 Frati che ordinariamente vivono in questo Eremo; et perche ogn’anno avanzano qualche
cosa, hanno fatto molto belli, et ricchi apparati per la Chiesa, con altri preziosi suppellettili; et
specialmente hanno fatto una Fabrica nella Possessione d’Antigano, che sta sotto il monte poco
discosta dall’Eremo per i Frati da starvi nel tenpo di estate, quando per l’aria cattiva non possono
abitare nell’Eremo, che costerà più di 15 ò 16000 Scudi.
Oltri li sudetti nominati Benefattori , furno molti altri
92V
Nobili, et Cavalieri Napolitano, che nelli principij, donorno alli Padri molte quantità di dinari, con li
quali si proseguirno le fabriche, et à poco à poco, si fabricò la Chiesa nova, distrutta la vecchia, et
si redusse l’Eremo à quella perfezione, che ora si vede; che veramente oltre la vista, che gode,
come abbiamo detto; è cosi vago, e bello, che porta meraviglia à chi lo vede; e perciò
86
frequentemente tratti dalla sua fama vengono i ViceRé, Cardinale, Prencipii, anco stranieri, senza
numero, et tutti restano consolati, et stupiti d’una tal religiosa abitazione.
L’Eremo al presente consiste in una bellissima, e nobilissima Chiesa, ampla, et magnifica con sei
belle Capelle, tutte regiamente fornite adornate, et addobbate. Una delle quali fù fatta da Donna
Gioanna Rossa, che liberalissimamente la dotò con una eredità di forse 20 mila ducati in beni
stabili, trà quali ci è la suddetta Massaria di Pusilipo con obbligo di una Messa al giorno; L’Altare
Maggiore è di fine Pietra, et buoni marmi con ottima struttura, con il coro lucido et sonoro.
V’è un reliquiario grande vagamente ornato di statue, et reliquiarj indorati, bello, et ricco di
argenteria, ma più di Sacre Reliquie delli Santi Apostoli Filippo, et Barnaba, Stefano Protomartire,
del nostro Santo Padre Romualdo, et di molti altri Santi, Martiri, et Confessori, et Sante Vergini, et
Martiri, sopra 50 et alcune di esse sono insigni, con del Legno della Santissima Croce di Nostro
Signore Gesù Cristo.
Hà la Chiesa tre porte, la maggiore in faccia all’Altare Maggiore, et due collaterali; una per parte,
con due vestiboli all’usanza della nostra Religione.
La sagrestia è poi cosi ben addobbata di Sacri Parati, et d’ogni sorte di suppelletile ecclesiastica di
gran valore, et prezzo, come di brocati di setta, et d’ore, con una copiosa argenteria, di Calici,
Candelieri, Lampade, Vasi da Fiori, et di qualunque altra sorte, che occorrono nell’amministrazione
delli Divini Misterj, et Ecclesiastiche Cerimonie, che può concorrere con qualunque altra Sagrestia
della nostra Religione.
Stà la Chiesa situata quasi nel mezzo delle Celle solitarie, et in mezzo al piano dell’Eramo, che sono
18 tutte belle et commode, con i suoi orticelli, et con le sue strade spaziose fraposte. 12 d’esse
sono dalla parte della Chiesa, che guarda verso
93R
87
mezzo giorno, et le atre 6 dalla parte di Tramontana. In somma in quest’Eremo non vi manca
commodità,
ò delizia (diciamo cosi) religiosa, che lecitamente ammette il nostro Eremitico
Instituto, che non l’altra, perche vi sono buonissime fabriche nelle quali vi sono da 20 Celle per li
Conversi Ministri, Cuccina, Refettorio, Dispense, Infermaria, Cantine, Lavatoio, Forno, Barberia,
Foresterie due, una per i Frati, l’altra per i Forestieri, molto magnifica, et altre officine. Con due
buone e grandi Cisterne.
Tutto l’Eramo è circondato di grandi alberi, di Abetti, Pini, Elci, Quercie, et altri, che lo rendono
tanto più devoto quanto più delizioso; con la sua clausura di muro, che circonda per spazio di un
mezzo miglio, entro la quale vi sono grandi, et abbondanti orti. Et infine è tale, che la nostra
Religione non hà forse il simile per il sito, per le fabriche, et per altre circostanze, che lo rendono
contradistinto d’ogn’altro onde stimo, che non sia essagerazione il dire, (come dicono alcuni) che
sia una delle belle cose d’Europa. Et con questo termineremo la narrazione di quest’Eremo,
aggiongendovi li Priori, che di tempo in tempo furno di esso.
1688 (1588) 13 Maggio Priore il Padre Ambrogio, che fù confirmato 28 Aprile 1689 (1589) dal
Capitolo Generale.
1590 18 Maggio il Padre Mauro. 1591 10 Maggio il Padre Luca.
1592 24 Aprile il Padre Paulo 1593 14 Maggio il Padre Mauro che restò confirmato 1594 6 Maggio,
et 1595 21 Aprile
1596 10 Maggio il Padre Pietro 1597 2 Maggio il Padre Serafino. 1598 17 Maggio il Padre Pietro,
1599 7 Maggio confirmato lo stesso 1600 28 Aprile il Padre Paulo. 1601 22 Giugno il Padre
Ambrogio 1602 3 Maggio il Padre Serafino. 1603 25 Aprile il Padre Simeone. 1604 21 Maggio il
Padre Simeone 1605 6 Maggio il Padre Mauro. 1606 21 Aprile il Padre Pietro. 1607 11 Maggio il
Padre Tobia. 1608 2 Maggio confirmato il detto Padre Tobia, dal Capitolo Generale (come tutti li
sudetti) il quale decretò la Clausura dell’Eremo, con la solita pena della scommunica; lasciando il
martedì doppo Pasqua, il giorno della Trasfigurazione di Nostro Signore, et un’altro giorno da
dichiararsi dalli Padri Maggiore, et Visitatori per l’ingresso delle Donne.
1609 14 Maggio il Padre Luca d’Avella 1610 7 Maggio il Padre Alberto 1611 29 Aprile il Padre
Doroteo
88
c’è lacuna sul manoscritto autentico
1667 nel Capitolo Generale celebrato nell’Eremo di Frascati, che fù il Primo dopo la disunione da
Camaldoli con l’presidenza del Cardinal Vidoni Protettore di tutto l’ordine Camaldolese,
93V
per istanze delli Padri Napolitani, che dicevano che quest’Eremo era la sepoltura di quella Nazione
per la cattiva aria, e massima nel tempo dell’estate, fù trattato d’abbandonarlo. Supra di che fù
data piena autorità alli Padri Maggiore, et Visitatori Generali, che in atto di visita risolvettero
quello, che in Domino avessero stimato bene, cosi anco per trovare nuovo sito per la fondazione
d’altro Eremo. Fù accettato l’obbligo con segno di gratitudine d’una messa perpetua in detto
Eremo per Don Pietro d’Aragona Viceré di Napoli, Gran Benefattore, così esso instando, et
contentando tutti li Prelati di detta Nazione.
Et fù eletto in Priore il Padre Venanzio il dì 21 Ottobre.
1669 19 Maggio Priore il Padre Giuseppe Maria da Napoli; et à relazione delli Padri Maggiore, et
Visitatori fù confirmato l’Atto del Capitolo Generale passato di mutare il sito dell’Eremo per la
cattiva aria (A. 1669); et intanto che si trovi il sito et si procurino le debite licenze dalla Sacra
Congregazione.
1671 15 Marzo essendo stati li Padri Maggiore, et Visitatori Generali, con altri Padri della Nazione
Napolitana sopra luogo, et ben considerato il tutto, decretorno, ch’quest’Eremo non si doveva
altrimente lasciare; ma nel tempo della cattiva aria, che solamente è nell’estate, si dovessero
mandare, et distribuire per gl’altr’Eremi della Nazione, l’Eremiti della famiglia di quest’Eremo, sino
al tempo di miglior aria;
1671 Nel Capitolo Generale celebrato in Aprile furno levati li due giorni 6 Agosto, et 8 Settembre
d’ingresso delle donne; Massime ch’in quelli tempi non vi stà, nell’Eremo la famiglia per l’aria
89
cattiva, et lasciato solamente il giorno di San Romualdo 7 Febbraio; et fù fatto Priore il Padre
Bonaventura il di 24 Aprile.
1673 27 Priore il Padre Germano, il quale essendo stato deposto, fù eletto adi 16 Dicembre il
Padre Bonifacio, il quale essendo morto, fù eletto
1675 9 Genaro il Padre Remigio da Salice.
1675 10 Maggio Priore il Padre Venanzio del Capitolo Generale eletto
1676
Nella Dieta intendendosi, ch’era perfezionata la fabrica della nuova Infermaria nella
Massaria d’Antignano, fù decretato, che nel tempo dell’aria Cattiva, dovesse la famiglia
dell’Eremo, ivi abitare in osservanza.
1677 nel Capitolo Generale fù confirmato il suddetto Atto della Dieta d’abitar nell’Infermaria
d’Antignano nel tempo di estate; et fù eletto in Priore il Padre Remigio adi 15 Maggio; mà avendo
rinonciato adi primo Settembre fù eletto il Padre Adriano da Surrento
94R
1678 Nella Dieta fù stabilita la Clausura all’Infermaria di Antignano, e ch’ivi possa stare la famiglia
dell’Eremo da doppo le Pentecoste sino mezzo Ottobre, ogn’anno.
1679 28 Aprile Priore il Padre Giuseppe Maria, il quale l’anno venturo 1680 15, Maggio dalla Dieta
fù messo Priore all’Incoronata, et in questo Eremo per Priore il Padre Emanuelle, che era Priore
all’Incoronata.
1681 2 Maggio fù confermato il suddetto Padre Emanuelle dal Capitolo Generale.
1683 14 Maggio Priore il Padre Giovenale
1685 Maggio Priore il Padre Gierolimo
90
Notizia cavata da altra Relazione dello stesso Eremo fatta da un eremita Anonimo, che assegna
la cagione dell’aria cattiva di quest’Eremo.
“V’è un lago detto d’Agnano di tanta perfetta acqua per curar lini, ch’è giudicata la meglio cura del
Regno sicche non solo lo fa buono e fino ma in due o tre giorni al piu, a quella corruzione del lino
colla mortalità de’pesci, causa mortalità alli con vicini”
91
92
1602 – Fondazione dell’ Eremo di S. Michele Arcangelo in Torre del Greco
Tra i primi frequentatori dell‟Eremo dei Camaldoli di Napoli si distinse un certo “dottore” di
Messina, Cesare Zafferana, il quale, affascinato dallo stile di vita degli eremiti coronesi, decise con
atto testamentario rogato da Giovan Simone della Monaca, di lasciare in eredità alla Congregazione
Coronese il suo cospicuo patrimonio ponendo come condizione la fondazione di un eremo coronese
in Messina, in Palermo o in un altro luogo del regno di Napoli.
Nel 1600, deceduto Cesare Zafferana, i camaldolesi dell‟eremo di Napoli furono autorizzati dal
capitolo generale ad accettare l‟eredità.
Fu stabilito che il Maggiore ed due visitatori nell‟autunno del 1601 si unissero a fra Serafino
Fellecchia, priore dell‟Incoronata, e fra Ambrogio Figuera, priore del SS Salvatore, per individuare
il luogo idoneo per la nuova fondazione dovesse sorgere.
La scelta cadde su una collina di Torre del Greco sulla quale già era ubicata una Chiesa dedicata a
S. Michele Arcangelo.
Ricevute le necessarie autorizzazioni dall‟ordinario del luogo, il capitolo coronese decreto‟ nel
maggio 1602 che iniziassero i lavori per la costruzione dell‟eremo e come primo priore fu nominato
il Figuera.
La chiesa fu restaurata e furono aggiunti il coro, il capitolo ed edificate le celle.
Il capitolo generale del 1603 incaricò di comprare <il monte, cerqueto e selvaggio, che dista tre sole
miglia dal Vesuvio31, e vi stabilì la famiglia eremitica >.
Questa più volte, e specialmente nel 1631, ebbe a sperimentare il valido patrocinio di S. Michele
Arcangelo per aver superato incolume le terribili eruzioni del Vesuvio32.
Nel 1741 la vecchia chiesa di S. Michele Arcangelo era ormai in rovina al suo posto ne fu edificata
una nuova con otto altari e pavimenti in marmo.
Gli stalli del coro, i sedili del capitolo e gli armadi della sacrestia eranofinemente lavorati in noce.
La quiete del monastero e dei padri Camaldolesi fu bruscamente interrotta dalla legge emanata da
Gioacchino Murat il 13 febbraio 1807, per cui molti monasteri, fra cui il nostro, furono soppressi e i
padri esiliati dal Regno di Napoli.
Dopo il ritorno dei Borboni a Napoli (1822) i Camaldolesi nel 1826 riottennero l'eremo.
Nel 1867 il monastero fu definitivamente soppresso, i padri espulsi e tutto il complesso messo in
vendita.
L‟eremo e la chiesa passarono ad usi profani33.
31
Acta capit.1603, c.149 (adunanza del 27 aprile).
La comunità di Torre del Greco, vantando dei diritti sul luogo concesso dall‟arcivescovo agli
mosse lite all‟arcivescovo e ne ebbe una sentenza favorevole. Ma la S. Sede rivendicò i diritti di lui.
32
93
eremiti,
Tra i vari proprietari dell‟ex-eremo che si sono avvicendati nel tempo ricordiamo la baronessa
tedesca Maria Ursula Stohrer, che non godette del possedimento a causa della Seconda guerra
Mondiale, con la quale giunsero sulla collina batterie antiaeree. I tedeschi, e poi gli alleati, con i
bombardamenti contribuirono alla rovina del tutto. Nel 1954 la baronessa vendette l‟ex-eremo ai
padri Redentoristi di Sant‟Alfonso.
Attualmente la chiesa e parte della foresteria sono in buone condizioni mentre delle celle rimane
molto poco. La chiesa è in stile barocco e nella facciata si evidenzia il portale sormontato dagli
stemmi dei padri Camaldolesi e da quello del papa Gregorio XVI.
Nel 1991 la statua in marmo del 1740 raffigurante San Michele Arcangelo, che dopo la
soppressione era passata nella Basilica di Santa Croce di Torre del Greco, è ritornata al colle nella
sua antica e originale sede.
33
Mittarelli-Costadoni, Annales Camaldulenses, VIII, 199.
94
Dell‟origine, Fondazione, et Progresso dell‟Eremo della Torre del
Greco Terzo nel Regno di Napoli
95
96
c.96r
Dell’origine, Fondazione, et Progresso dell’Eremo della Torre del Greco Terzo nel Regno di Napoli
Cap.
Sotto il Monte Vesuvio, detto anco di Somma, circa tre miglia lontano d’esso; dalla parte di mezzo
giorno sorge un bello, e vago monticello, vestito di Quercie, et altri Alberi situato tra le due Torre,
Una detta la Torre del Greco, già anticamente chiamata Flereulianum/HERCULIANUM, del
Prencipe di Stigliano; et L’altra dell’Annunciata, prima detta Pompej, sopra essa quasi in egual
distanza di miglia …..et lontano dalla nobilissima Città di Napoli da otto miglia, nella cui Diocesi è
situato, nel più bel et ameno posto, che possa imaginarsi, cioè giusto nel mezzo del fine del golfo
di Napoli, distante dal mare due miglia, di veduta così gioconda, che quasi non cede a quella
dell’Eremo del Santissimo Salvatore; et però qui non c’allongamo in descrivere questa, perche con
la lettura di quello, ch’abbiamo scritto di quella à bastanza si può intendere esser poco, ò niente
inferiore à quella; anzi questa è tanto più gradita, quanto che in ogni tempo godono li Religiosi che
in questo monticello abitano una felicissima et saluberrima aria; Al presente questo monticello si
chiama di S. Angelo per la Chiesa, che sopra esso fù fabricata, come diremo.
V’è inveterata Tradizione, che questo monticello non vi fosse nelli tempi antichi; ma che sia stato
formato dalle svaporazioni, et immense eruttazioni di ceneri, bitume, acque, terra, et pietre
infocate, che mandò fuori il detto Monte Vesuvio nelli tempi passati, il quale sicome con altri
simili orribili empiti spiantò, distrusse, et somerse le Ville, le Terre, et tutti li paesi circonvicini; così
restando in qualche luogo la materia eruttata, venne a formare alcune Alture à guisa di monticelli,
trà quali uno è il detto di S. Angelo.
Dell’orribile furia di questa bocca (per dire come alcuni antichi anno stimato, et scritto) d’Inferno,
si leggono cose spaventose, et quasi incredibili, quando sbocca, et manda fuori fiumi, ò torrenti
impetuosissimi di fuoco, di cenere, di bitume, et altre materie ardentissime; come successe
nell’ultima impetuosa eruzione nell’anno 1631, che con tanta furia sboccò, che apportò un
lagrimevole, et spaventosissimo spettacolo a tutte quelle Terre, Ville, et Paesi vicini, che restorno
spiantati, dirocate le Case, inceneriti gl’alberi, et ogni cosa combustibile affatto; Tutto ardeva, et
97
tutto si consumava, non altrimenti che se fosse stato gettato nel Piombo, et stagno liquefatto,
oltre la materia
c. 96v
bituminosa, et sulfurea, che maggiormente accresceva le fiamme. Questi Torrenti di fuoco erano
cosi vehementi, agiutati anco da spessi, et orribili Terremoti, ò rimbombi del Monte (per non dire
mugiti dell’Inferno) et concussioni della terra per gran spazio intorno al monte, che alzavano le
Case da fondamenti all’aria, come fossero state un pallone, et poi rovesciate le gettavano altrove;
anzi in tal maniera erano impetuosi, che piantavano vicino li Colli, et promontori, solevandogli in
alto, et precipitandogli in mare, dovè andavano a sboccare con tanto terribile furore, che fù
creduto, che nello stesso Mare, si fosse aperta una voraggine di fuoco, da che gran quantità di
pesci morti, si vide sopra il mare; et dalla materia portata, si formò nello stesso mare una lingua, ò
penisola lunga più d’un’miglio; Molte altre orribili cose si leggono di questo Monte Vesuvio, che
per non dilungarsi in materia fuori del nostro instituto, li tralasciamo; questo poco abbiamo
riferito, ch’è tratto dalla Relazione
34
dell’incendio fattosi dal Vesuvio et stampata in Napoli il
suddetto anno 1631. Le due ragioni; L’una per mostrare, che sia cosa probabile che questo
Monticello sia stato formato nelli tempi antichi da simili Torrenti di materie evaporate; il che anco
si conferma dalla terra stessa d’esso Monticello; la quale dovunque si cava, si trova negra,
arsiva/arsicia, e della stessa qualità, che getta fuori il Vesuvio. Et l’altra per manifestare il miracolo,
et special protezione di Dio verso quest’Eremo per l’intercessione (si crede) del glorioso Prencipe
degli Angeli San Michiele Archangelo, al di cui nome stà consecrata la Chiesa; mentre nel predetto
miserabile incendio, ardente inondazione, et terribili Terremoti dell’Anno 1631 gli restò intatto, et
senz’alcun danno; Ancorche per la vicinanza del Vesuvio dovesse esser il primo destrutto,
abruggiato, et spianato, come furno altri Luoghi, et Terre, molto più lontane.
Ora tornando dovè eramo divertiti. Sopra questo Monticello nelli tempi passati, et secondo le
memorie, che s’anno, circa L’Anno 1400 vi fù fabricata da Popoli di quei Paesi una Chiesa ad onore
di San Michele Archangelo per implorare à punto la di Lui protezione, et patrocinio, cosi nelli soliti
pericoli del Vesuvio, essendo questo gloriosissimo Archangelo specialmente implorato contro le
34
dell‟Abbate Giulio Cesare Braccini
98
Potestà dell’Inferno del quale (come abbiamo detto) fù antica opinione, che il Vesuvio fosse una
bocca; come anco per restar difesi dall’invasioni de Turchi, et de Corsari, et preservati dalli
naufragi del mare; alli quali pericoli frequentemente s’espongono quelli Paesani, che stano à lido
del mare; et delle miracoli fatti dal S. Arcangelo, et delle grazie ricevute da fedeli, et suoi devoti
c. 97r
ne facevano piena testimonianza le molte Tavolette de voti, li zeppi, le Catene, et altre offerte che
pendono taccate alli muri della detta Chiesa.
Fù questo Luogo, et Chiesa sempre posseduto dalla Mensa Archiepiscopale di Napoli, che perciò
l’Arcivescovi, ch’erano pro tempore ne tenevano il dominio, governo, et cura, la quale
commettevano ò à Religiosi, ò à Preti Secolari, ò à Eremiti Salvatici, li quali con le limosine, che
venivano offerte, o che loro si procacciavano, vivevano; et la pietà, et devozioni de popoli
circonvicini manteneva essa Chiesa; anzi alcuni facendo ivi le loro sepolture con licenza dello
Arcivescovo si facevano sepollire in detto Luogo.
La chiesa avanti la venuta de nostri Padri, consisteva in una fabrica semisferica, ò à mezza volta,
con una cupola, eravi un’Altare, sopra il quale stavano le Imagini, ò statue della Beata Vergine
Maria con il Bambino Giesù in braccio, et del San Michele Archangelo,
situato nell’istesso luogo
dove ora stà eretto l’Altar Maggiore di marmo, fatto dalli nostri Padri, v’erano due Orti, una
Cisterna, et alcune fabriche, altre mezze dirutte, et altre in essere, che servivano per l’abitazioni di
coloro, che n’avevano la cura. tutto questo era il contenuto, il povero avere dell’antica Chiesa, et
l’angusto sito del Luogo, restando il resto del Monticello posseduto per intorno da diverse persone
secolari, da quelli poi un poco alla volta fù tutto comprato da nostri Padri.
Ora venendo al modo con il quale fù acquistato questo Luogo dalla nostra Congregazione, dico,
che l’Anno 1600
Nel Mese di Giugno morì in Napoli il Dottor Cesare Zaffarena Gentil uomo della Città di Messina,
Uomo assai pio, et molto divoto de Nostri Padri dell’Eremo del Santissimo Salvatore à Prospetto,
poco fà fondato con molto applauso, et spesa da alcuni principali segnori di Napoli, come s’hà
99
detto nella Narrazione di quella Fondazione. A quest’Eremo frequentemente si diportava il
Zaffarana, tratto dal buon odore de nostri Padri, et Eremiti, per ricrearsi spiritualmente, et per
godere della loro religiosa conversazione; et perche dalli medesimi Padri fù sempre
affettuosissimamente ricevuto, et con tutta la carità trattato, et accarezzato, talmente s’affezionò
al nostro Instituto Eremitico che trovandosi egli senza figliuoli, si deliberò all’essempio delli
predetti Signori
Napolitani, Fondatori dell’Eremo nominato del Salvatore, di voler fondare
anch’esso un nuovo eremo della nostra Religione in Messina, ò in Palermo, et quando in uno di
questi, Paesi non fosse stato possibile, almeno nel Regno di Napoli;
Et cosi venendo à morte nel suo Testamento instituì erede di tutto il suo avere il predetto Eremo
del Salvatore, con obbligo di
c. 97v
fondare un nuovo Eremo in uno delli tre accenati Luoghi, con obbligo perpetuo di due Messe al
giorno, di certi Anniversari, et altri pii legati
[luglio] nel Mese di Luglio l’Eremo nostro del Salvatore si fece dichiarare con le debite forme del
suddetto quondam Zaffarana con il beneficio della Legge, e dell’Inventario
La predetta eredità consisteva in circa a 28 mila Ducati in molti et diversi capitali, Beni stabili,
mobili, et altri effetti. L’Anno susseguente
[1601] Nel Capitolo Generale celebrato in Monte Corona nel Mese d’Aprile fù riferito il tenore del
Testamento del suddetto quondam Zaffarana, fatto à beneficio dell’Eremo del Salvatore, con
l’obbligo di fondare un Eremo, come sopra; et per parte delli Padri Napolitani fù fatta instanza, che
s’accettasse detta eredità con l’obbligo della nuova Fondazione, et cosi fù anco accettata, et
ordinato, et commessa alli Padri Maggiore, et Visitatori Generale, che insieme col Padre Serafino
Priore dell’Eremo dell’Incoronata, et col Padre Ambrosio Priore del suddetto Eremo del Salvatore,
che nell’Autuno prossimo futuro con l’occasione delle Visite del Regno, dovessero unicamente
andare à vedere alcuni Luoghi proposti per detta nuova Fondazione.
100
Venuto dunque l’Autuno, et portatisi in Regno li Padri Maggiore, et Visitatori per le Visite, unitisi
con li due Prenominati Padri Priori si conferirono sopra li Luoghi proposti, tra quali uno fù il
suddetto Luogo, et Chiesa di Sant’Angelo della Torre del Greco, che fra tutti fù dalli Padri stimato il
più atto, il più ameno, il più salubre, et il più à proposito per la vita Eremitica, et per tale anco
approvato dal Cardinal di Como Protettore di tutto l’ordine Camaldolese; et cosi concordemente
stabilirno che di questo se ne dovesse procurare l’acquisto per farvi la nuova fondazione giusto
alla pia disposizione del prefatto Zaffarana; non essendo possibile farla in Sicilia.
Informatisi adunque li Padri, che il predetto luogo, et Chiesa era allora posseduto dall’Arcivescovo
di Napoli, allora l’eminentissimo Cardinal Alfonso Gesualdo, andornò li Padri a riverirlo, ch’era
affezionatissimo delli Padri dell’Eremo del Salvatore, et portava non poca devozione al nostro
Eremitico Istituto, et gli esposero il loro desiderio di avere il suddetto Luogo di Sant’Angelo, per ivi
fare una fondazione di un nuovo Eremo in esecuzione della pia disposizione del Zaffarana, et
umilmente ne lo supplicorno per la concessione di esso.
Fù ricevuta la istanza, et supplica da Padri non solo umanissimamente, ma anco con estraordinaria
contentezza, dal ottimo Prelato, dichiarandosi, che sommamente gl’era cara tal occasione, et di
c. 98r
buona voglia condescendeva alla cessione del Luogo, stante che per il suo zelo Pastorale stava
molto afflitto, dal sentire che il predetto Luogo di Sant’Angelo per non aver entrate, s’andava
consumando, e qual ch’era peggio, che veniva profanato con molte sceleraggine, che ivi erano
commesse da Secolari, che n’andavano à godere l’amenità del luogo, et à sollazarsi, con grave
offesa di Dio, e scandalo de Fedeli.
Di più anco (disse) che per troncare certa lite, che aveva con la comunità della Terra della Torre del
Greco, che cercava introdursi in detto luogo contro il possesso, che n’aveva la sua Mensa
Archiepiscopale, prontamente incontrava tal occasione; stimando esser particolar Providenza di
Dio, et
protezione del Sant’Archangelo Michaele verso detto Luogo, l’essergli rapresentata
occasione di poter cederlo à Religiosi, come erano li Eremiti Camaldolesi della Congregazione di
Monte Corona; massime per fondare ivi un nuovo Eremo del suo essemplarissimo Istituto à
perpetuo servizio di Dio, et edificazione de popoli; mentre per altro l’animo suo amareggiato dalli
101
suddetti inconvenienti, et sceleraggini, stava applicato per demolire, et totalmente profanare
detto Luogo; et subito gli diede facoltà con cedula privata d’andar ad abitarvi, sino che si stipulasse
l’Istrumento di cessione nella pubblica forma.
Per la solicitazione della quale, et per tirare avanti in buona forma questa Fondazione, li suddetti
Padri Superiori diedero piena auttorità al suddetto Padre Priore dell’Incoronata sotto il 27
decembre; il quale poco dopo n’ottenne anco la Cessione perpetua del Luogo di S.Angelo dal
suddetto Cardinal Arcivescovo; del tenore seguente fù la Cedula privata
[1602] Alfonsus Miseratione Divina Episcopus Ostiensis Sanctae Romanae Ecclesiae Cardinalis
Giesualdus, Sacri Collegij Decanus, Archiepiscopus Napolitanus etc.
perché in più visite, che sono state fatte così à tempo nostro, come da nostri Predecessori, sempre
si è trovata la Chiesa di S.Angelo, posta in un’Monticello vicino alla Torre del Greco di questa
Nostra Diocese di Napoli, aver di bisogno di molte cose, cosi per la riparazione, et ristaurazione di
Essa, come per la conservazione del culto divino; Al che non s’è potuto rimediare sin’ora; et
volendo Noi per debito del nostro officio Pastorale provedersi, abbiamo risoluto, et deliberato di
deputare li Reverendi Padri Camaldolesi della Congregazione di Monte Corona, li quali per la loro
bontà, et esempio,
c. 98v
et carità sono grati, et desiderati in questa nostra Diocese, et particularmente dal predetto Luogo
della Torre, come in virtù della presente per tutte le cause suddette deputamo per cura, custodia,
manutenzione, uso è servizio di detta Chiesa, Cisterna, et stanze con l’Orto contiguo li suddetti
Camaldolesi, e particolarmente il Padre Ambrogio Spagnolo con alcuni altri suoi Compagni, li quali
per l’autorità, et licenza, che hanno da loro Superiori, hanno accettato, et accettano questo Carico
con obbligo di mantenere bene, et servire detta Chiesa. E questo à bene placito nostro, sinche da
noi sarà fatta altra risoluzione, o deliberazione. Data in Napoli nel nostro Palazzo Arcivescovale
primo di Marzo 1602 [1602]
Alfonsus Cardinalis Giesualdus.
102
L’istrumento pubblico, et autentico, che immediate segui, non riferiremo per disteso; ma
solamente toccheremo il contenuto d’esso per attendere alla brevità. cioè
Il prefato Cardinale donò, e cesse al suddetto Padre Serafino Prior dell’Incoronata, vivente per
nome della Congregazione dell’Eremiti Camaldolesi di Monte Corona la Chiesa di S.Angelo, vicina
alla Torre del Greco, con le stanze, fabriche, Cortile, orto, Cisterna, et con tutto quello, che si
contiene dentro il recinto del Muro, per poter ivi fondare un loro nuovo Luogo, et Eremo in
adempimento della pia disposizione testamentaria del quondam Cesare Zaffarana; et cio fece Sua
Eminenza, perche non avendo questa Chiesa entrata alcuna, con la quale si potesse mantenere,
fosse mantenuta, et accresciuta, non solo quanto alle fabriche, ma molto più quanto al culto
Divino, et devozione, in quei popoli per mezzo di detti Padri Camaldolesi, et con la loro nuova
Fondazione, che con il presente Istrumento gli diede licenza, et facoltà di fare in detto Luogo di
S.Angelo, ne risultasse maggior bene ne i fedeli.
Riservando però sopra di questo, l’Assenso Apostolico, et l’osservanza inviolabile dell’infrascritti
patti, et Condizioni.
Prima che li detti Padri debbino spedire l’assenso Apostolico prima che piglino il possesso del
Luogo.
Secondo che aspettando il Dominio di detta Chiesa, et Luogo pleno iure all’Arcivescovo di Napoli
pro tempore esistente, debbano li Padri ogn’anno il di della Traslazione di San Gennaro che si
celebra la prima Domenica di Maggio portare una Torcia di cera bianca di 4 libre in segno, et
recognizione del Dominio, et superiorità, che la Mensa Arcivescovale hà in detto Luogo, et Chiesa
di S.Angelo.
3° Ch’s’abbino da mettere L’Arme, et Insegne di Marmi della Chiesa Arcivescovile di Napoli sopra
la porta della Chiesa suddeta, di S.Angelo, ò in altro Luogo cospicuo
c.99r
4° che sia Lecito a detti Padri mettere l’arma del quondam Cesare Zaffarana nelle fabriche, che
faranno tanto della Chiesa, quanto dell’Eremo, come di Fondatore.
103
5° ch’occorrendo à Padri partirsi di questo luogo, lo debbino lasciare con tutto quello, ch’àloro è
stato concesso, con ogni augumento di più, ch’essi v’avessero fatto, dovendo il tutto tornare,
cedere, et andare à disposizione dell’Arcivescovo pro tempore; eccetto però quelli augumenti di
terreni, che essi Padri comprassero, et di fabriche, che facessero fuori delle mura, et ambito del
Sito concessogli; li quali restarano alla loro Religione, et in tal caso s’intendino liberi dall’obbligo di
presentare la Torcia.
6° che mancando li Padri per due anni di portare la detta Torcia il giorno stabilito, i pro fatti
decadano d’ogni ragione, ch’avessero per il presente Instrumento sopra detto Luogo, et Chiesa di
S.Angelo.
[Maggio] Nel Capitolo Generale celebrato nel Mese di Maggio stante la cessione fatta dal suddetto
Cardinale, fù confirmata l’accettazione del suddetto Luogo, et chiesa di S.Angelo, et ordinato, che
si proseguisca la Fondazione, et fù eletto in Primo Superiore il Padre Ambrosio adi 3 Maggio.
Contra la sudetta Cessione dell’Arcivescovo insorse la Communità della Terra della Torre del
Greco, la quale pretendendo che il Luogo, et Chiesa di S.Angelo, aspettasse alla loro Chiesa
Parrochiale, fece ricorso alla Sacra Congregazione, et ne ottene Decreto favorevole, che
dichiarava, che la concessione di detto Luogo, et Chiesa di S.Angelo aspettava, et doveva farsi dalla
Università della detta Terra della Torre. Da che furno necessitati li Padri di prendere nuova
investitura del detto Luogo, et Chiesa di S.Angelo dall’Uomini, et deputati di detta Communità, da
quelli gli fù fatta la Cessione senza peso, ò ricognizione alcuna; solamente volsero, che tre volte
ad’Anno, cioè nelle due Festività di S. Michele Arcangelo, et il secondo giorno di Pasqua di
Resurrezione potessero entrare le Donne per loro devozione dentro la Chiesa, et Forestaria de
Secolari; al che li Padri assentirono con la licenza avuta da Roma; et cosi desistirno di dare la Torcia
all’Arcivescovo per molto tempo, et sino à tanto, che essendo Arcivescovo il Cardinal Buon
Compagno, egli se ne risentì del suddetto Decreto uscito a favore della menzionata Università, et
dopò lungo litigio con Decreto della Sagra Congregazione, fù dichiarato, che l’Arcivescovo dovesse
esser mantenuto nella pacifica possessione del detto Luogo, et Chiesa
c.99v
104
di S.Angelo, et continuasse ad avere il dritto, et utile Dominio di esso.
Stante questo nuovo Decreto, l’Arcivescovo fece intendere alli Padri che per la mancanza di molti
anni, ne quali non avevano dato la Torcia, era già ricaduto il Luogo, et Chiesa alla sua Mensa
Arcivescovale; A questa nuova, subito li Padri si portarno supplichevoli à piedi del pio, et ottimo
Prelate, facendo le loro scuse, et chiedendo il perdono per questo mancamento, come facilmente
l’ottennero, con questo però, che pagassero per tutto il passato, et che continuassero à
corrispondere per l’avvenire la detta Torcia; come fecero, e seguitano a corrisponderla. E così
facilmente li Padri si possero nel pacifico possesso di questo Luogo; et à poco à poco l’abbellirno,
l’ampliorno di fabriche, et di terreni, con la rendita del suddetto Cesare Zaffarana, della quale però
à questo Luogo fù applicata solamente una parte di 12000 milla ducati, altro tanto all’Eremo di
Vico, del qual parleremo nel seguente Capitolo, et 4 in 6 mille ducati all’Eremo del Salvatore;
Ora quest’eremo è perfettamente compito, et hà tutti quei commodi, che hà qualunque altro
Eremo della Religione, anzi secondo il proverbio delli Padri Napolitani, questo si chiama il
commodo per antonomasia, perche supera tutti gli altri della loro Nazione di commodi, et però
volontieri quivi tutti vi stano, et particolarmente li vecchi per l’amenità dell’aria.
Fù ampliata la Chiesa, come si vede; fabricate commode Forestarie, et ogni sorte di officine
necessarie, et Celle solitarie numero …… et ora si sta facendo anco la clausura di muro.
La Chiesa, et Sagrestia è sufficientemente fornita di belli, et ricchi Apparati, et suppelletile, et
arrichita di argenteria di Candellieri, Lampade, et altro, non meno degl’altri Eremi.
S’hà comprato tutto il resto del Monticello per intorno, ch’à costato in diverse compre da circa à
nove mille Ducati; con due Poderi sotto l’Eremo, dove si fà il Vino detto Lagrima di Somma,
esquisitissimo, poderoso, et molto stimato; onde calculate le rendite di questi beni, et d’altre
annue entrate, et Arrendamenti in Napoli, può aver quest’Eremo di annua entrata circa a mille, et
cinquecento Ducati, ch’è sufficiente per 18 e più eremiti, che in esso sogliono abitare ch’è quanto
c’hà parso di narrare brevemente circa la di Lui fondazione et progresso; et con l’aggiunta delli
superiori, et Priori, che pro tempore sono stati, finiremo questo Capitolo.
Doppo il Padre Ambrosio, che come s’hà detto, fù il Primo Superiore eletto a di 3 Maggio 1602, et
confirmato 1603 Fù eletto
105
c 100r
1604 21 Maggio il Padre Mattheo 1605 6 Maggio il Padre Simeone
1606 21 Aprile il Padre Arcangelo 1607 11 Maggio confirmato lo stesso
1608 2 Maggio il detto Padre Archangelo 1609 14 Maggio il Padre Elia
1610 7 Maggio il Padre Serafino 1611 29 Aprile confirmato lo stesso
1616 nel Capitolo Generale fù fatto Priorato quest’Eremo, et fù eletto per Padre Priore il Padre
1617 Priore il Anselmo da Genova, che morse, et
1618 9 Marzo fù eletto il Padre Tiburtio da Brindisi
1667 21 Ottobre Prior il Padre Emanuelle 1669 rinonciò, e fù eletto
1669 11 Aprile Prior il Padre Giuseppe Maria infra anno
1669 19 Maggio il Padre Serafino 1671 24 Aprile il Padre Vicenzo che renonciò
1673 16 Genaro il Padre Germano infrà Anno
1673 27 Aprile il padre Romano 1675 10 Maggio il Padre Biaggio
1677 15 Maggio il Padre Michiel Angelo 1679 28 Aprile il Padre Geremia
1681 2 Maggio il Padre Romualdo. Rinonciò 1681 28 Maggio il Padre Urbano infrà Anno
1683 14 Maggio il Padre Urbano 1685 Maggio il Padre Serafino
c 100v
Notizia cavata da descrizione diversa del detto Eremo fatta da Eremita Anonimo più antico
106
L’Eremo della Torre del Greco lontano da Napoli otto miglia e due da detta Torre o castello del
Prencipe di Stiliano fu pigliato in questo modo l’anno 1601 per la morte d’un dottore Siciliano che
si chiamava Cesare Zaffarana perche non aveva erede ed edificato dalla nostra carità si alli poveri
come a tutti li forastieri, Lasciò una grossa eredità, ma per la poca diligenza non se n’ebbe la
metà, che furono da 30 milla ducati, e così lasciò erede L’Eremo del Salvatore con peso di edificare
un Eremo con peso d’una messa al dì. Cosi nell’anno 1601 fu mandato il Padre Frà Ambrosio
Spagnuolo di santa rita ad edificarlo nella torre del Greco. Il Signor Cardinal Gesualdo a quel tempo
Arcivescovo di Napoli donò sopra una molto bella ed amena collina la Chiesa con alcune cellette
ed altre fabbriche appartenenti alla Chiesa quali ancora sono in piedi a servizio de’ Ministri ma
perche L’anno 1604 fu mandato detto Padre Frà Ambrosio ad edificare Vico, il Padre
Frà
Arcangelo Spina nostro Eremita vi edificò sei celle solitarie molto belle e comode con due celle per
Foresteria, e cominciò la Sacrestia e restò cosi imperfetta, ora finita etc…..
La Signora Giovanna Rossa nella sua morte lasciò cinquecento scudi alla detta Torre, ed altrettanti
c101r
a Vico per 40 fabriche da’ quali danari s’ingrandì la Foresteria e se ne fece il Refettorio, e poco
appresso si è fatto anco la Foresteria de’Fratti, sicche in quanto alle officine si sta alquanto
comodo etc.
107
1603 – Fondazione dell’ Eremo di Santa Maria degli Angeli in Nola
<Nell‟ eremo di Torre del Greco dimorava e finiva i suoi giorni il 21 luglio 1601 il
patrizio nolano Pompeo Fellecchia, fratello dell‟eremita frate Serafino). Dieci giorni prima di
morire egli aveva istituito suoi eredi universali gli eremiti dell‟Incoronata, nominando esecutore
testamentario delle sue ultime volontà il proprio fratello chiamato al secolo Pier Antonio, che era
colà priore. Disponeva nel suo testamento che soddisfatti alcuni legati pii, tutta la sua sostanza
venisse impegnata per l‟erezione di un nuovo eremo coronese nel distretto nella città di Nola >.
Questo è quanto riferisce lo storico Placido Lugano a proposito della fondazione dell‟Eremo di
Nola.
Tra le motivazioni che indussero Pompeo Fellechia e altri nobili ad allontanarsi da Nola vi fu
sicuramenteil pericolo del contagio della peste nell‟anno 1600.
Nell‟adunanza del 4 maggio 160235, il capitolo generale coronese accettò la donazione di Pompeo
Fellechia nominando esecutore il fratello Serafino.
Quest‟ultimo per 1200 ducati entrò in possesso della montagna con la cessione del giuspatronato
versando un canone perpetuo al rettore di sant‟Angelo.
Il padre Serafino fece spianare un tratto della montagna nella località detta “dei Martiri”, edificò la
Chiesa, ponendola sotto la protezione di santa Maria degli Angeli, ed in ultimo fece costruire le
officine e le celle eremitiche, che nel 1607 allorchè l‟eremo fu dichiarato priorato, accolsero i
religiosi che dal 1603 già abitavano sant‟Angelo del Monte.
Le celle solitarie erano quindici e la clausura comprese nel suo recinto diciotto moggia di terreno
con orto, vigna e selva.
La chiesa fu consacrata nel 1654 e nel mezzo del presbiterio, in apposito sepolcro, furono riposte
nel 1662 le ceneri del pio fondatore Pompeo Fellecchia.
Il fratello Serafino, che fu anche il primo superiore e priore dell‟eremo nolano, vi morì nel 1628,
dopo quarant‟anni di vita eremitica abbracciata sin da quando era dottore in legge.36
Successivamente alla legge del 9 agosto 1809, n.439, emanata da Gioacchino Murat, succeduto al
cognato Giuseppe Bonaparte, che ordinava la soppressione di tutti i monasteri degli ordini religiosi
<possidenti>, la chiusura dell‟Eremo nolano fu affidata al sig. Dionisio Pipino, direttore dei Reali
Demani di Terra di lavoro.
Il Superiore Maggiore e Generale della Congregazione Camaldolese della Nazione Napoletana
Padre Antonio Maria Lenzi inoltrò supplica al Re Giuseppe, chiedendo la grazia della concessione
35
Acta capit. 1602, c.123-124 (adunanza del 1 maggio).
Cfr. Mittarelli-Costadoni, Annales Camaldulenses, VIII,200; Vincenzo Acanpora, I Camaldoli di Nola, Breve
descrizione storico-artistica, Napoli, R. Vitale, 1904, in 8°, di pp.32.
36
108
di almeno due eremi, dove egli e tutta la famiglia dei Religiosi Camaldolesi avrebbero potuto
decidere della loro sorte e del futuro.
Il Re, nel consiglio del 27 febbraio, concesse ai Camaldolesi unicamente l‟Eremo di Napoli.
L‟Eremo di Nola, invece, fu incamerato dalla Generale Direzione dei Demani.
Successivamente, con i decreti dell‟8 e 11 maggio questo Eremo fu assegnato al patrimonio del
Real Sito di Portici.
Dell‟amministrazione fu incaricato il sig. Francesco Monteforte il quale, nel 1807, affidò l‟Eremo
ed il territorio detto Sant‟Angelo del Monte al marchese di Livardi, Ferdinando Mastrilli, figlio del
fu marchese don Romualdo.
Da questi, successivamente, passò in possesso del sig. Marco Rotolo da Napoli e poi di amici di
quest‟ultimo.
Il 6 marzo 1820 venne firmato il Decreto di Ripristinazione dell‟Ordine Camaldolese, riconosciuto
e approvato dalla Santa Sede il 4 marzo 1820.
Il 28 ottobre 1825, il Re concesse anche l‟uso dell‟Eremo di San Michele di Torre del Greco.
Solo nel 1839, Decreto Ufficiale del 1839, a trent‟anni dalla vendita dell‟Eremo, i Camaldolesi
ripresero possesso dell‟Eremo di Nola.
Successivamente alle leggi del 1861 che predisposero la soppressione delle case religiose, l‟Eremo
di Nola, unitamente ad altri Monasteri compresi nel territorio comunale, fu momentaneamente
assegnato alla Cassa Ecclesiastica dello Stato e successivamente al Fondo Culti, che a sua volta, lo
cedette al Comune di Nola.
In seguito, nel 1918, l‟Eremo passò in proprietà di Padre Cesare di Sante, religioso camaldolese,
con instrumento del notaio Blasi Agostino di Roma.
Con Regio Decreto del 14 febbraio 1935, n.292 fu riconosciuta la personalità giuridica della Casa
Generalizia dei Camaldolesi di Monte Corona con sede in Monte Porzio Catone e fu autorizzato il
trasferimento di immobili da essa posseduti in epoca anteriore al Concordato intestati a terzi.
Questo decreto permise il perfezionamento ed il trasferimento dei vari eremi a favore della Casa
Generalizia degli Eremiti di Monte Corona.
Nel 1945, nel corso dell‟ultimo conflitto armato, alcune bombe sganciate da aerei nemici, esplosero
in prossimità delle mura di cinta abbattendone quaranta metri e mantando in frantumi i vetri della
Chiesa.
Oggi l'ex-Eremo è abitato dai Missionari della Divina Redenzione ai quali è stato concesso
gratuitamente dal Consiglio Generalizio della Congregazione, con verbale del 15 settembre 1990.
109
110
Dell‟origine, Fondazione, et Progresso dell‟eremo di Nola, Quarto nel
Regno di Napoli
111
112
102 R
Dell’origine, Fondazione, et Progresso dell’eremo di Nola, Quarto nel Regno di Napoli
Cap.
Da quello, che abbiamo detto, e che diremo, ben chiaramente appare quanto grande forza
abbia il buon esempio, che non solo giova a chi lo dà, ma anco con certa virtù secreta induce, e
quasi sforza altri ad imitarlo. E tanto è di maggiore efficacia, quanto che vien dato da persone
segnalate, et cospicue, forse perche essendo questi tali principali, e quasi capi degl’altri, si tirano
dietro col loro esempio gl’altri inferiori, tanto per il bene; se l’esempio è buono, et virtuoso;
quanto per il male, se l’esempio è cattivo, e vitioso.
Ma più fortemente persuade l’esempio del fatto medesimo che tutte le belle persuasioni di
parole; Verità, che con il suo esempio ce la insegnò lo stesso figliuolo di Dio, il quale volendo tirare
gli uomini alla sua sequela, et all’imitazione della sua santissima vita; prima cominciò a fare e poi
ad insegnare; perche malamente averebbe potuto persuadere con le sole parole quella verità, che
pretendeva insegnare, et insinuare, nel cuore degli uomini quel modo divino di vivere
perfettamente à Dio; se prima non avesse il tutto con l’opera, et con l’effetto praticato in se
stesso, et dategliene il vivo, et patente esempio egli, che era la verità medesima; che non inganna,
ne può essere ingannata, et l’esemplare sicurissimo d’ogni virtù, et perfezione.
Et eccone la prova di quello, che andiamo dicendo. Nelli Capitoli passati (A 1601) abbiamo veduti,
ch’alcuni principali Signori Napolitani, tutti dal buon essempio d’altri Signori, che primi fondorno il
nostro Eremo della Santissima Incoronata, volsero fondare anch’essi un’altro Eremo vicino alla
loro Città, che si dice del Santissimo Salvatore à prospetto, et dall’esempio di questi infiammato un
Nobile Missinese, ancorche d’altro Paese, emulando con commendabile emulazione di Dio cose
migliori lasciò una pingue eredità, con la quale non solo fù fondato un nuovo Luogo, et Eremo,
come esso aveva ordinato nella sua pia disposizione Testamentaria, ma due se ne fondorno, et
un’altro fù sufficientemente agiutato.
Dall’esempio di questo veramente grande Benefattore, che fù il Dottor Cesare Zaffarana, del qual
se n’hà parlato di sopra nella fondazione dell’Eremo della Torre, et se ne parlarà ancora nella
narrazione che faremo della fondazione dell’Eremo di Vico, che fù il secondo fondato con la di lui
113
eredità; fù eccitato un nobile della Città di Nola; il quale si chiamava Pompeo Fellecchia. Con
l’esempio delli primi potè trarne li secondi, e questi gli altri accennati; et tutti in conclusione furno
tirati dal buono esempio dell’esemplare vita, et religiosa conversazione de Nostri Padri, che fù
l’origine, et scaturiggine di tanti beni. A pena adunque era passato un anno, dopo la morte del
suddetto magnifico Benefattore Zaffarana, et era nel principio della fondazione dell’Eremo della
Torre del Greco, che con le forze della di lui eredità s’aveva intrapresa; ch’il suddetto Pompeo
Fellecchia venne à morte nello stesso nostro Eremo del Santissimo Salvatore suddetto, nel giorno
vent’uno di Luglio (21 Luglio) dell’anno 1601 di nostra salute.
102V
Questo pio Signore (sicome il Zafferana suddetto) talmente s’affezionò al nostro Eremitico
Instituto, così per l’esemplarità, et buona fama, che ne volava per tutto il Regno di esso; Come
anco per aver gia nell’istesso un suo fratello carnale professo Eremita ch’era il Padre Serafino, che
nel suo Testamento lasciò universali eredi di tutto il suo avere li nostri Padri Eremiti dell’Eremo
suddetto e della Santissima Incoronata della Diocese di Benevento, già primo fondato nel Regno di
Napoli, del quale allora era Priore il medesimo Padre Serafino suo fratello; il quale di più lo lasciò
essecutore di questo suo Testamento.
Con peso, et obbligo ingiunto alli nostri Padri, che dovessero erigere un nuovo eremo della Nostra
Religione nel Territorio della Suddetta sua Città di Nola; Al quale dopo esser prima sodisfatti alcuni
pii legati, ordinò, che si dovesse applicare tutto il resto della sua eredità; che restò in 26, più o
meno, mille ducati.
Di più espressamente ordinò nel detto suo Testamento, che non facendosi l’Eremo nella prefata
Diocese Nolana, è non abitando in esso dopo fatto, l’eremiti Nostri, non potessero ne meno
godere li frutti di 11 milla Ducati, che teneva investiti appresso l’Università di Capaccio, quali in
specie aveva assignati, et stabiliti per il vitto, et mantenimento delli eremiti che dovevano abitare
nel detto Eremo erigendo con la sua eredità; Mà in caso di mancanza delli nostri Eremiti, dovesse
godere li detti frutti l’Ospitale delli Incurabili di Napoli.
114
In oltre volse, che li detti nostri Padri fossero obbligati a celebrare per l’Anima sua, et secondo la
sua intenzione, due messe al giorno nella Chiesa del medesimo Eremo in perpetuo.
Fù adunque accettata quest’eredità dal predetto Padre Serafino col beneficio della legge, e
dell’Inventario per nome della Religione, reservate sopra tale accettazione l’assenso, et
approvazione del Capitolo Generale della Religione.
(1602) Adi primo di Maggio il Capitolo Generale celebrato nel sacro Eremo di Monte Corona, auta
piena informazione del tutto, come sopra s’ha’navuto circa questa eredità, confermò, ratificò, et
approvò l’accettazione d’essa fatta dal Suddetto Padre Serafino. Ordinando, che s’eseguisca la pia
disposizione del Testatore, et che si proseguisca la fondazione del nuovo Eremo nel sito, et luogo,
che offeriva l’Abbate Frigino nel Territorio di Nola; il qual sito parimente restò accettato, et
approvato; et per esecuzione di questo Decreto li Padri ne diedero le commissioni con piena
facultà al predetto Padre Serafino Priore dell’Eremo dell’Incoronata. Il sito era un Monte ameno,
et fruttifero sopra la detta Città di Nola dalla parte di levante, da due miglia lontano d’essa e da
Napoli circa quindici; tutto vestito di ulivi, di castagni, et d’altri legni boscareci, et selvaggij cedri
per il quale passa una strada pubblica, che conduce ad un casale, detto Visciano, circa un miglio
lontano dal Eremo.
Nella Cima di questo Monte v’è una bella, et spaziosa pianura,
103R
in buona parte però spianata da nostri Padri, da dove si gode un’ampla, et aperta veduta; cioè a
mattina s’estende la vista sino alli Monti Virgiliani, vulgarmente detti Monte Vergine, distanti
solamente da cinque miglia, alli quali continuano congionti li Monti della Provincia di Campagna, di
Palma, et di Sannio, donde anco vi nasce il fiume del medesimo Nome. Cosiche dall’Oriente sino
all’Austro non si vede altro che deserti Monti, la di cui vista però grandemente agiuta, et invita alla
Solitudine li Eremiti di quest’Eremo.
115
A mezzo giorno si scorgono le campagne, et li Monti di quella Città, cioè di Stabbio, di Vico, di
Surrento, et di Massa, et non molto lontano apparisce l’Isola Caprea, ò delle Capre, ne tempi
antichi delizia delli Imperatori Romani.
Della parte Aquilonare sieguono li Colli , ò Monticelli che sono uniti à quello dell’Eremo, ne i quali
sono situate le città: Caserta, et Capua.
Da Occidente si fà incontro à prima vista del riguardante, il Monte Vesuvio, nobilissimo per le sue
fiamme et incendij; oltre il quale poco più, ò poco meno di quattro, ò cinque miglia giace la
bellissima Città di Napoli, Metropoli del Regno; mà à torno à torno le radici del detto Monte
Vesuvio s’estende una grande, et aperta pianura per il spazio di 40 e più miglia tutta coltivata, e
piena de Viti, et d’Alberi fruttiferi, et ornata di molte Terre, Villagi, et Casali; et specialmente della
Città di Nola, dove et per la natura delli terreni, et per la temperie di felicissima aria si raccolgono
varia sorte di soavi, et delicati frutti, preziosissimi vini, et abondanza d’ogni sorte di grano.
Quindi lasciò scritto Plinio parlando di questa Regione: In qua summum est Liberi patris, et Cereris
certamen, et cantò il Poeta Mantoano.
Tenuisque Lageos
textatura pedes, victuraque lingua
Purpureae, pretiaeque.
Alle quali due sorti di vino sono dati altri nomi, et forse, che volevano significare li vini, che ora si
chiamano Greco, et Lagrima. Per questo ben disse Catone: Campani superbiunt bonitate agri,
fructuum magnitudine, et affluentia inde arrogantia, et luxurias: colli quali armi già vinsero lo
invitto, et Vittorioso Anibale, cioè con li troppo piaceri, diletti, et delicatezze; e pure li Nostri
Eremiti Camaldolesi, che vivono sotto la disciplina del Nostro Santissimo Padre Romualdo, come
suoi veri Alunni,
103V
116
et Settatori dell’austerità della vita, sprezzano queste tali delizie di vini et del vario del vitto, et
convertono frequentemente il povero sustentamento delle vite loro, in solo pane et aqua
consistente.
Mà con molto maggiore, et più veridica ragione si può gloriare questa Provincia; detta Campagna,
ò latinamente Campania (come vogliono alcuni) da l’esser tutta campestre, che vuolgarmente
diciamo Campagna; dal cui Nome fù denominata la Campana, per esser stata questa inventata da
San Paulino Vescovo di Nola in Campania; la qual Campana oggidi si mantiene nel Campanile di
detta Città. Si può gloriare (dico) di esser stata ferace di gloriose Piante per il Giardino del
Paradiso, et celesti frutti per la Mensa di Dio, voglio dire di gran copia di Santi, et Sante, Martiri,
Confessori, et Vergini; de quali qui non è luogo per parlarne; Solo diro, che in una nostra
Possessione, lontana dalla Città di Nola circa un Miglio, fù sepolto San Felice Prete, il quale luogo
dice il Breviario Romano nella Festa di esso Santo alli 14 di Genaro era presso Nola, et quem in
Pincis appellabant Ditto in Pinci, per esservi una Fornace dove si cuocono li Tegole, e Coppi, per
coprire le Case, le quali in Regno si chiamano Pinci.
Qual luogo stà vicino alla Terra di Cimitino, cosi detta per corruzione del vocabolo; ma
propriamente si doverà dire Cimiterio dalla parola Greca KOIMHTHRION, cioè Cimitirion, che vuol
dire Dormitorium dal verbo KOIMAΩ, cioè Dormio; essendovi Seppelliti molti corpi di Santi; Poiche
in questo Cimiterio furono Martirizzati molti Santi, ed ivi Sepolti; e Oggidì Stà in piedi la Fornace
dentro la quale Fù posto San Gennaro e quale n’uscì illeso. Fu condotto alla Città di Pozzuoli, et ivi
nel luogo della Solfataria ricevè la palma del Martirio. Sono anco in piedi li due Pareti, che
compongono l’angulo, dove San Felice fuggì, et s’ascose, miracolosamente coperto da una tela di
Ragno, subito tessuta.
Qual Cimiterio de Corpi Santi, et la Chiesa di San Felice, ivi contigua, vengono visitati con divozione
da moltitudine de populi, et particularmente nelli Venerdì di Marzo, ne quali essendo in viaggio
per Roma; et perche cavalcava esso, et il suo Diacono sopra due Asinelli, quel staliero dell’Oste
scandalizzato, et sdegnato di quest’azione, attribuendola non ad umiltà, come era il dovere; mà ad
ipocrisia, sù la mezza notte uccise le dette Bestiole; la mattina seguente il Diacono andò per fare
porre all’ordine li due Animaletti; mà nell’entrare della Stalla li vide
104R
117
stesi per terra decollati, il che riferì al Santo. Il quale sorridendo disse, che avesse cucito col filo le
teste delle Bestie morte ai loro tronchi busti; il che avendo prontamente fatto il buon Diacono, li
vide alzati da terra viventi. Ma il bello fù, che per la prescia, et oscurità (perche non ancora era
fatto chiaro il giorno) cucì il capo bianco all’Asinello nero, et quello del nero al bianco. Né questo si
deve esser stato à caso; ma per maggior evidenza del Miracolo. Questa digressione abbiamo fatto,
perche è curiosa l’Istoria, ne in più opportuno luogo potevimo riferirla, quanto ch’in questo della
descrizione di quest’Eremo, dal quale la Terra suddetta di Cimitino è solamente lontana tre miglia
in circa.
Tornando adunque al filo della nostra narrazione; dico che sopra il piano accenato del suddetto
Monte designato per la fondazione del nuovo Eremo auto prima il consenso di Monsignor Gallo
Vescovo di Nola, cominciò il predetto Padre Serafino à fabricare l’Eremo, il quale à poco à poco è
ridotto al presente di tutta perfezione; et nella polizia, et buona disposizione delle Fabriche,
supera forse ogni altro di questa Provincia. La Chiesa, ch’è consecrata, et intitolata Santa Maria
degli Angeli, è fatta à lamia, lucida, bella; non tropo grande; Mà è molto Capace, et sufficiente;
entro vi sono sei capelle con i suoi Paliotti di marmo mischio, et loro Altari, molto ben ornati, et
guarniti, con stucchi, et altri abbelimenti, oltre la capella del Capitolo, Sagrestia, et Coro, tutto con
buona archittetura compartito. La Sagrestia è fornita sufficientemente d’ogni necessaria
suppeletile, et Apparati Sacri belli, et ricchi, con la sua Argenteria, come nell’altri Eremi.
Nell’Altare della Capella del Capitolo v’è un nobile Reliquiario, copioso di Sante Reliquie di diversi
Santi, et Sante, Martiri, Confessori, et Vergini, che non le specificamo, perche non abbiamo in nota
li loro nomi. Quest’Altare è privilegiato per i Morti.
Nel Campanile, ch’è una buona Torre, vi sono due Campane, una grande, et una picciola per
significare l’Ore Canoniche, et altre ubbidienze et esercizij, come usa la Religione.
Avanti la Chiesa v’è un spazioso Cortile, con la porta battitora, ò dalla Campanella. Celle solitarie
commode, e belle al pari di qualunque altr’Eremo, colli suoi orticelli, sono 16.
V’è una vaga, et allegra Infermaria, che contiene una spaziosa sala avanti le Celle degl’Infermi, che
sono 6, oltre altre tre stanze per li Ministri, nel fine della quale vi stà il suo Altare
118
104V
per celebrare loro stessi quando sono in…
Vi sono poi tutte le officine necessarie, Reffettorio, Foresteria, stanze per poveri, altre Celle per i
Conversi, et Ministri, et in Somma tutte quelle Commodità, che può permettere il nostro Instituto
Eremitico.
Tienne quest’Eremo buone Entrate, et tali, che per esse frà l’Eremiti del Regno vien chiamato
vuolgarmente da Padri Napoletani il Grassoso; le quali per trentacinque Eremiti, più, et meno, che
vi sogliono stare sono sufficientissime, e se n’avanza ogn’anno sempre qualche cosa, che serve poi
per fare qualche ornamento nella Chiesa, et Sagrestia; ò qualche meglioramento nelle Fabriche, et
nelli Terreni.
Fuori della Clausura dell’Eremo, che parte è di muro, e parte d’un fosso circondata, v’è un non
picciolo spazio di Selva Cedua, nella quale (vogliono) che San Massimo Vescovo di Nola, diffidando
di poter resistere alli tormenti, essendo di gia per la vecchiaia molto indebolito, se ne fuggisse, e
s’occultasse; dove poscia trovato mezzo morto da San Felice Prete, ivi guidato da Dio, se lo prese
in spalla, et lo portò in casa d’una buona Vedova per reficiarlo; come dicono le Lezioni del
Breviario nella Festa di San Felice; la ricordanza del qual fatto può molto muovere il Religioso
afetto de Nostri Eremiti, quando vanno passeggiando per questa Selva, contemplando esser ella
stata Ricovero di gloriosi Santi.
1603 adi 25 Aprile nel Capitolo Generale, stante il buon progresso di questa fondazione, fù eletto
per Primo Superiore il suddetto Padre Serafino, assegnatogli un altro Padre, et un Converso di sua
famiglia, e nel medesimo officio successivamente d’Anno in Anno fù confirmato dalli Capitoli
Generali sino all’Anno
1607 Nel quale il Capitolo Generale avendo aute relazioni, che quest’Eremo era già riddoto in
buon stato per potervi fare tutte le osservanze nostre, lo fece Priorato; et per primo Priore fù
eletto lo stesso Padre Serafino adi 11 Maggio.
1608 Adi 2 Maggio fù confirmato Priore lo stesso dal Capitolo Generale, il quale approvò il titolo
della Nuova Chiesa fabricata sotto l’Invocazione di Santa Maria degli Angeli.
119
1609 14 Maggio si conferma lo stesso in Priore.
1610 7 Maggio Prior il Padre Ambrogio 1611 29 Aprile il Padre Archangelo.
1611 Nel Capitolo Generale fù osservato, che il negozio della fondazione di quest’Eremo era di
maggior importanza di tutti gli altri, che si stavano fondando, onde i Padri rinovorno i Commissarj,
cioè i Padri Priori dell’Eremi dell’Incoronata, e del Salvadore, obbligandole ad andare ogni due
Mesi insieme sopra luogo, et
105R
informarsi bene di quanto passava, et s’andava facendo per darne conto distinto a Padri Superiori;
et di farsi mostrare ad ogni loro richiesta li Conti dal Padre Procurator di Napoli, a cui era stato
commesso il maneggio di questa eredità.
1617 Leggo Prior il Padre Giovanni Battista da Napoli, il quale rinonciò, et fù
1618 eletto in suo luogo il Padre Luca d’Avella.
1654 Fù consecrata la Chiesa dal Vescovo di Sarno con licenza dell’ordinario di Nola, che stava
allora infermo.
1667 21 Ottobre Prior il Padre Biagio. 1669 19 Maggio il Padre Venanzio.
1671 21 Aprile il Padre Germano, il quale avendo rinonciato, fù eletto
1671 23 Agosto il Padre Romano. 1673 27 Aprile il Padre Elia.
1675 10 Maggio il Padre Romualdo. 1677 15 Maggio il Padre Romualdo confirmato.
1679 28 Aprile il Padre Panucio. 1681 2 Maggio il Padre Adriano.
1683 14 Maggio il Padre Michiel Angelo, il quale morse………….et in suo Luogo fù eletto il Padre
1685 Maggio il Padre Celso.
120
Famiglia di quest’Eremo del 1683 tratta da altra Descrizione
Priore il Padre Michel Angelo
Conversi
Fra Erasmo
Il Padre Savero Infermo
Fra Pionato
Il Padre Bernardo Rinchiuso
Fra Marcellino
Il Padre Panunzio
Fra Marcello
Il Padre Mariangelo
Fra Eustachio
Il Padre Romoaldo poco sano
Oblati
Fratello Giuseppe
Il Padre Tobia
Fra Luca
Il Padre Girolamo cellerario
Fra Francesco
Il Padre Doroteo poco sano
Fra Carluccio
Il Padre Gianaro
Fra Andrea di Benevento
Il Padre Onorio rinchiuso
Fra Silvestro
Il Padre Mauro
Chierici
Fra Candito
Fra Bernerdino
Fra Gabriel angelo
Fra Andrea di Vico
Fra Egidio Maria
Fra Nicola
Fra Giovanni Maria
Padre Andrea rinchiusi uno ora da più di dieci anni, ed uno da poco.
121
1607- Fondazione dell’ Eremo di S. Maria di Jerusalemme in Vico Equense.
Di questa fondazione ci siamo occupati dettagliatamente nella nostra precedente pubblicazione sugli
eremiti camaldolesi coronesi nel “Il Ventoso”37.
Nel 1603 il feudatario di Vico Equense, Matteo di Capua Principe di Conca, offrì alla
congregazione monastica Camaldolese l‟opportunità di insediarsi nel proprio territorio,
impegnandosi ad assisterla nell‟acquisto dei terreni necessari con una donazione in danaro di 1500
ducati.
Il primo sito offerto non fu gradito agli emissari dell‟ordine che optarono invece, per quello
collocato sul pianoro in località detta Astichiana.
L‟insediamento dell‟Eremo si realizzò non senza difficoltà, dovute in primis all‟indisponibilità a
vendere di uno dei proprietari del suolo poi alle incertezze della stessa congregazione camaldolese,
che cessarono con la definitiva spartizione di un cospicuo lascito di tale Cesare Zafferana, siciliano,
eredità che venne suddivisa tra l‟eremo di Vico Equense e quello di S. Michele in Torre del Greco.
A Cesare Zafferana si deve quindi la fondazione dell‟eremo nel 1604 ed il suo stemma con una
lapide commemorativa è ancora oggi presente all‟interno dell‟edificio detto foresteria grande
seppure in una collocazione diversa da quella originaria.
Prima che i monaci camaldolesi occupassero Astapiana,il luogo già conservava memoria di altri
insediamenti: i resti di un villaggio romano ed una cappella dedicata a S. Maria in Jerusalem
probabilmente dell‟età angioino-aragonese poi demolita per fare posto alla chiesa grande del
monastero.
La costruzione del complesso fu iniziata nel 1605 e sicuramente ultimata nel 1617 quando il
convento divenne priorato.
Nel 1667 nell‟eremo di S. Maria di Jerusalemme erano presenti 9 eremiti di cui 4 coristi, 2 conversi,
un chierico e 2 oblati.
Nel 1742 si arrivò a 15 monaci presenti nell‟eremo, tra sacerdoti e laici.
37
Il Ventoso. Edizione anastatica 2007 a cura di Ponti G.; Longobardi Editore.
122
La vita dei padri riconosceva il suo fulcro nella meditazione solitaria interrotta solo dalle preghiere
collettive nel coro della chiesa.
Alcuni monaci, in particolare i conversi, erano addetti a sbrigare le faccende materiali.
Il Priore curava i contatti con le autorità esterne e le relazioni con i benefattori; vi era poi un
monaco addetto alla foresteria preposto all‟accoglienza dei viandanti ed un monaco addetto al
controllo degli artigiani e dei lavoranti assunti nelle fasi piu‟ intense dell‟attività agricola.
Nonostante l‟isolamento dal mondo, l‟eremo rappresentò un punto di rilevante presenza spirituale e
materiale sul territorio come testimonia la disputa tra la diocesi di Sorrento e quella di Vico per
l‟attribuzione della sua giurisdizione.
La Santa Sede, nel 1685, risolse la questione assegnando definitivamente l‟eremo a Vico Equense.
Tra i vari edifici del complesso architettonico dell‟eremo la Chiesa è quella che ha vissuto la storia
piu‟ travagliata.
Sappiamo che nel 1641 l‟antica cappella aragonese era stata sostituita con una nuova chiesa piu‟
grande sempre intitolata a S. Maria in Jerusalem, denominazione estesa poi anche all‟eremo.
Questo edificio rimase in piedi sino alla metà del secolo successivo quando, fu demolito e sostituito
da una nuova Chiesa eretta sempre sulle stesse fondamenta.
Quest‟ultima agli inizi dell‟ottocento, a seguito della soppressione del monastero, venne spogliata
di tutto. Gli arredi piu‟ preziosi furono prelevati e trasferiti altrove.
Un altare forse è riconoscibile in quello della congrega annessa alla chiesa parrocchiale di Trinità in
Piano di Sorrento, che pare lo avesse acquistato; la campana fu trasferita nella chiesa di Pacognano;
i 500 volumi della biblioteca furono acquistati dalla diocesi di Vico.
Le tele, che adornavano gli altari, sono rimaste invece nell‟ex-eremo, in possesso dei successivi
proprietari.
Alla data dell‟acquisto, la chiesa, già in completa rovina, fu prima adibita a stalla per essere poi
demolita fino al piano di calpestio.
Oggi il suo posto è occupato da un ampio prato.
123
Nel 1807 all‟eremo di Arola toccò la stessa sorte di tutti gli altri monasteri e proprietà religiose
finite sotto il dominio napoleonico: venne dapprima soppresso ed inserito nella disponibilità
dell‟intendenza di Casa Reale da Giuseppe Bonaparte e quindi dato in affitto.
L‟atto finale della vita dell‟eremo fu sancito dall‟acquisto dell‟intera proprietà da parte del sig.
Luigi Giusso (divenuto poi Duca nel1857), commerciante di origine genovese, nel 182238.
Nel 1838 venne ristrutturata la “foresteria grande” senza eccessivi sconvolgimenti interni.
Una nuova copertura a tetto venne realizzata sulle preesistenti volte estradossate ed utilizzata, molto
verosimilmente per sistemarvi i “letti” dei bachi per la produzione della seta. Nella zona destinata
alla clausura dei monaci furono demoliti i muri che delimitavano gli orti-giardino di pertinenza
delle celle, utilizzate ormai come case coloniche e stalle. Furono demolite anche due delle celle
centrali, forse per adibire ad aia lo spazio. Venne costruito, infine, un grande pergolato in muratura
per viti, in prosecuzione del colonnato preesistente.
Le dimensioni e le caratteristiche tipologiche della Chiesa antistante la foresteria grande, diruta e
rasa a suolo nel corso dell‟ottocento, descritte da vari studiosi locali come ampia e riccamente
decorata, sono leggibili solo dalla sua pianta, rappresentata dal Castellini nella planimetria generale
della masseria. L‟impianto era a navata unica, senza transetto, provvisto di quattro cappelle con
altari in marmo ed ampio coro.
Nel 1976, al fine di preservare uno degli ultimi esempi rimasti integri dell‟architettura camaldolese
in Campania, l‟intero complesso, inclusi i possedimenti terrieri circostanti, è stato dichiarato di
particolare interesse storico ed architettonico e vincolato ai sensi della legge n.1089 del ‟39.
Alla metà degli anni ottanta, una parte degli immobili venne alienata e nel 1989 il Ministero dei
Beni Culturali intervenne nell‟acquisto di una parte della “grande foresteria” esercitando il legittimo
diritto di prelazione del bene.
Ai nostri giorni, i discendenti del Duca Luigi Giusso, hanno nuovamente valorizzato il complesso
monumentale, restaurando l‟edificio e gli annessi circostanti, creando spazi per incontri e
conferenze, realizzando un‟esposizione permanente dedicata alla vita quotidiana nell‟800. Le scuole
possono usufruire di percorsi didattici ed il turista può concedersi un viaggio temporale nel XIX
secolo grazie all‟accoglienza dell‟ agriturismo ”Astapiana Villa Giusso” creato rispettando la
compatibilità con le qualità e l‟eredità storica dei luoghi. Probabilmente in futuro verranno realizzati
38
Un genovese a Napoli. Francesco Giusso. Di Mauro Editore; 2010.
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gli scavi della collinetta antistante l‟ex foresteria per riportare alla luce le vestigia della chiesa
dell‟ex- Eremo di Santa Maria di Gerusalemme e dell‟ancor più antica cappella, sostituita dalla
nuova chiesa nel 1641.
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Dell‟Origine Fondazione et Progresso Dell‟Eremo di Vico Equense Quinto
nel Regno di Napoli.
126
127
Dell’Origine Fondazione et Progresso Dell’Eremo di Vico Equense Quinto nel Regno di Napoli.
108 R
Avendo il Dott. Cesare Zafferana lasciato la sua eredità all’Eremo nostro del Salvatore a Prospetto
di Napoli con obbligo di fondare un Eremo;
Per il quale effetto fù eletto il Monte di S. Angelo della Torre del Greco, come il tutto
particularmente et diffusamente s’ha narrato nella Fondazione del detto Eremo della Torre:
Mentre che questo s’andava fondando il Prencipe di Conca don Matteo da Capua, Padrone della
città di Vico Equense, tratto parimente come gl’altri Fondatori dalla buona fama, che scorreva per
tutto il Regno, de nostri Padri, offerse mille, et 200 Ducati per comprare un Sito per fondarvi un
nuovo Eremo nel Territorio di sua Città di Vico.
Fu per allora accettata questa offerta da Padri Napolitani, con riserva dell’assenso de Padri
Superiori, et del Capitolo Generale della Religione; Qual poscia nel Capitolo Generale dell’Anno
1603 fù accettata, ò confermata l’accettazione fatta da Padri Napolitani suddetta; et fu proposto
di più di un monte detto Circum Jerusalem; altrimenti dal vulgo Astachiana, che sta sopra la detta
Città di Vico; del qual più a basso distinta ponevano la descrizione.
Per quest’Anno però non vedo, che se ne facesse altro di questa Fondazione; non sò se per la
parte dei Padri, che non acudissero à questo negozio, ò pure per la parte del Prencipe; Mà stimo
più tosto, che tal dilazione, derivasse da Padri, poiché paresse à loro poca l’offerta del Principe, e
forse per altre difficoltà, che nascevano nel fare l’acquisto di detto Luogo, che era posseduto da
diverse persone. Et mi confermo in questo per una lettera del detto Prencipe scritta al Padre
Priore dell’Eremo del Salvatore, il cui tenore è tale:
Molto Reverendo Padre
E’ stata poca ventura la mia di non ritrovare i Padri Visitatori alla mia venuta in Napoli, ch’averei
auto grandissima consolazione di vederli; però mi guardo, che, s’è lasciato con la vista di persona,
supplivano i Padri con le loro Orazioni in pregare Iddio per questa Casa; il che doveranno fare con
tanto maggior affetto, avendomi ricevuto per Figliuolo della loro Religione, che me lò reputo à non
128
poco favore, et contento, in quanto al Territorio di Circum Jerusalemme, Io stò sempre pronto per
l’effetto, che li dissi; et quod semel scripsi, iam scriptum est.Ordinai a Giulio Cesare
108 V
Monticelli, che si chiamasse il Patrone di quel’Eremo, et che trattasse seco di comprarlo, come già
ne trattò, mà il negozio poi non è passato più avanti, perché non si vedendo qui nessuno delle
Paternità Loro, ne se ci prese niuna risoluzione; et di qui s’è tardato à trattarne altro in finora.
Onde sempre, che ci verrà, Vostra Paternità, ò altro di Loro, come richederebbe la bisogna farò di
nuovo attender al Negozio; et se gli darà quanto prima l’ultima mano; poi che io non solo, ho
animo di fare questa compra; ma già tengo i dinari pronti à posta per essa. Con che à Vostra
Paternità desidero ogni vera contentezza.
Da Vico Equense à 26 di Genaro 1604 al commando Della Paternità Vostra.
Più chiaramente lo stesso Prencipe in un’altra sua Lettera dimostra il timore, et sospetto de Padri,
et le difficultà, ch’avevano per mettersi in possesso del suddetto proposto Luogo, et scrive al
medesimo Padre Prior del Salvatore, in questa forma.
Molto Reverendo Padre
Ieri sera ad una di notte ricerej la lettera di Vostra Paternità, et all’istessa ora resposi; E cosi dico,
che se io non conoscessi, che sempre il Diavolo suol porre qualche impedimento nell’opere buone,
e sante, già avrei abbandonato l’impresa di fondare questo Eremo nel Territorio di Vico. Mà son
risoluto, non solo di non farmi vincere da lui, anzi quanta più difficultà egli và interponendo, tanto
più superarle con l’agiuto di Vostra Paternità. In tutte le difficultà, che nascono in questo Negozio,
non sono cagionate d’altro, se non che i Padri non hanno voluto intender me; anzi sempre hanno
mostrato paura di non esser gabbati: et questo timore non l’hà fatto concludere questo negozio in
sin d’ora, che già saria concluso. Dico tutto questo perché Noi non forniremo in 10 anni la compra
di questo Territorio, se le Paternità loro non si determinassero di contentarsi per ora di pochissima
quantità di Territorio: Et in esso venire à cominciare à fondare l’Eremo: et di poi per via
d’ampliazione pigliarsi tutto quello, che vogliamo; già che la Chiesa hà questo privilegio; et questo
si può fare subito questa settimana; poi che non s’averà da pigliare del Territorio del Prete, ma dal
Secolare che l’averemo subito. E poi col tempo si potrebbe avere quel del Prete, et quanto se ne
129
volessimo; Et se forse dubitano, ch’io dica questo per inspender poco nella Compra del Territorio,
dico, che farò d’ora deposito in un Banco, ò in mano di chi comanderà Vostra Paternità del sopra
più, acciò che stia à disposizione dei Padri, di poterne far sempre quello, che comandano, et
questo deposito, se commanda, che lo faccia questa sera, questa sera lo farò.
Et se si guida de altro garbo questo Negozio, vi sgravarà; già che il Prete s’è posto in un tono di
quel suo Territorio, che se gli dasse l’Arcivescovato di Toledo in ricompensa, gli pare poco; Et il
Secolare, ora sono due anni, volse vendere quel suo Territorio per 600 Ducati, et pretendeva
ancora io di averla per minor prezzo; et ora vedendo, che mei cominciamo con questa fretta, ne
109 R
dimanda migliaia, et migliaia di scudi; ch’è una vergogna. Di modo che per sopir tutte queste
difficultà, non c’è altro rimedio, che venir à piantar la prima pietra et dopo per via d’ampliazione
pigliarsi tutto quello Territorio, che si vuole; tanto più che il Patrone si offerisse di darci 10, ò 12
moggia di Territorio, per quello, che noi vogliamo; il che ben veggo, che lui non fa per carità, ma
per tanto più necessitarci à comprare il rimanente del suo territorio; Però lui che pensa di
gabbarci, resterà egli il gabbato; perche auto che s’avena questo poco, si potrà la Chiesa per via di
ampliazione pigliare tutto il rimanente, che vorrà; Altro rimedio di questo non sò conoscere in tal
negozio; Che s’eseguirà; et come si dice (vox Iacob manus Esau) io son pronto à far tutto quello,
che commandano; Più di questo non sò dire; mà li sò ben dire, ch’io hò tanta volontà di veder'
fatto quest’Eremo qui, quanto di cosa, ch’io possa desiderare in questa vita, et questo me lo può
credere certo. Et se le Paternità Vostre potessero vedere i cuori dell’Uomini, et vedessero, che
volontà ho io di fare questo Eremo, forse à quest’ora si sarebbe incominciato; mà perché gl' animi
altrui non si ponno così vedere, vanno i Padri così dubiosi di quello, che non doveriano andare; Et
questo gli lo dico, come Prencipe di Conca, et come Uomo da bene, che importa più di tutto; Et se
forse i Padri, che sono stati qui, avessero fatto fede, che la volontà mia non fosse conforme à
quello, che io dico, hanno auto il torto; però io non credo, et dagl' effetti si conoscerà, che forse si
troverebbe il bugiardo, quanto se ne volesse fare la sperienza; Et se questa fosse, prego Vostra
Paternità, che voglia più tosto attribuirlo alla poco Loro capacità; ch’alla poco pronta volontà mia;
e questo lo creda così, come Lei è Religioso; E che questo sia vero ier mattino, prima che io
130
scrivessi la lettera di Vostra Paternità spedii Giulio Cesare Monticelli con una imbasciata ai Padri à
bocca, per aver risoluzione di questo negozio. In quanto poi chè Vostra Paternità si offeresse di
pigliare a carico suo la spedizione di quelle cose di Roma, Io ne la ringrazio infinitamente, perché
con maggior efficacia s’operasse per ottenere il nostro intento; però tutti questi padri Teatini, che
si sono trovati per buona sorte in questo luogo di Santa Maria del Toro, due casitti grandi, unico
voto dicono, che il Vescovo ci possa dispensare senza niuna difficultà del Mondo, senz'andare à
Roma; pero ò dell’una, ò dell’altra maniera noi averemo lo intento nostro. In quanto a quello, che
mi dice del Signor Viceré; Egli mi conosce tanto bene, che io non dubito, che in mente sua nasca
niun dubio contro di me. Et per l’interesse mio, la strada, che si facia, ò che non si facia, m’importa
molto poco; perché Io non penso di far mai questa via di Vico a Castello à Mare per terra; si come
non l’ho fatta finora; et se pure me ne venisse voglia, credo, che si come il Signor Viceré a prieghi
109V
de Padri, hà dato ordine, che si cominci à far questa strada, così à prieghi miei la farebbe finire.
Però io gli do parola, che la tal volontà non mi verrà; ma lo dico in caso, che mi venisse, et quando
il signor Viceré per qualche suo Umore particolare, non mi volesse fare questa grazia, ben potrei io
per disvogliarmi di questo, spendervi duemila scudi; come per gusto mio ne ho speso molto
maggior summa. E per questo la assicuro Vostra Paternità che non mi viene più, ò meno voglia di
mandare in effetto la fondazione di quest’Eremo, dico il Principo, ma per sola mia devozione, ch' è
grande; et per la devozione particolare, et affezione, che porto alla persona di Vostra Paternità,
Padre mio,Vostra Paternità stia sicura; che la volontà mia intorno à questa fondazione non è
raffredata un punto, et sopra questa disponga lei tutto quello, che vorrà, che io son per fare tutto
quello, che vorrà, con che mi racomando alle sue orazioni, e gli prego dal Cielo ogni vero contento.
Da Vico Equense adi 27 di febraro 1604
(Di pugno del Prencipe) ò si faria, ò non la strada à me importa poco per il zelo dell’osservanza,
che porto alle Paternità loro, mi fa dire, che avertano bene à non impedirla più per qualche umore
salato, che poi siate li primi a pentirvene, che io li giuro da Uomo da bene, e non per interesse, che
131
ho della strada etc. Il Padre che Vostra Paternità mandò quà hà corrisposto poco all’amore, ch’io
glhò dimostrato; se ha fatto qualche fede sinistra (il che io non credo, ne devo credere da un
Religioso) Io sarò in Napoli piacendo à Dio il primo di a quaresima. Con che mi raccomando di
nuovo alle loro orazioni, al commando di Vostre Paternità etc.
Hò trascritta per disteso tutta la suddetta lettera perche include la difficultà, et dubii, che
nascevano circa questa fondazione; per maggior intelligenza della quale aggiungo, che il Viceré di
Napoli aveva principiato à fare commodare la strada di andare all’Eremo per terra, cioè da Napoli
passando per la Città di Castello à mare sino alla Città di Vico, trà le quali due città v'era la maggior
difficultà del transito, et ciò faceva per solo oggetto, che i Padri avessero comodo il camino per
terra specialmente per andare, et ritornare dall’Eremo della Torre, di Nola, et d’altri luoghi per
quella parte. E'questa è la strada, della quale parla il Prencipe nella sua Lettera.
Il quale finalmente abboccatosi, con il Suddetto Padre Priore del Salvatore, et discusse le difficultà,
concordemente agiutorno il negozio, et stabilirno di scrivere al Captolo Generale prossimo venturo
per l’assenso, et approvazione del medesimo per fare questa fondazione; il Padre Priore diede
distinto ragguaglio di tutto il fondamento d’essa, et suggerì il modo facile per poterla continuare;
et la Principessa madre al del suddetto- Prencipe scrisse come segue:
110R
Molto Reveredi Padri Osservantissimi
Sono ormai 2 anni, che sono appresso alle Paternità Vostre pregandoLe ci volessero fare grazia di
pigliare un luogo del Vostro Santo Ordine nella nostra Città di Vico. et per compiacerci ordinorno
l'Anno passato, che si pigliasse Santa Maria à Castello, et andando li vostri Padri (à quali fu
commesso il negozio) à Vico, trovorno un altro luogo molto meglio del sopradetto, chiamato Santa
Maria à Circum Jerusalemme; Il Prencipe mio figliuolo, desideroso di compiacere alli Padri,
promisse volerlo comperare, non considerando forze quanto potesse importare il prezzo di detto
Territorio: ò perché il Padrone si fosse posto in qualche posto di voler molto più di quello che
potesse valere, Le cose sin qui passate siano come si vogliano. Due cose sole mi pare di porre in
considerazione alle Paternità Vostre; cìoè l’onore loro, et il nostro insieme; et questo dipende dalla
divulgazione di questo loco, che non solo per tutto Napoli si è divulgato, m’anco per tutta l’Italia, e
132
più oltre ancora; Onde non pigliandosi (se pur non fosse, come veramente non è pregiudizio
nessuno all’onor delle Paterntà Vostre; come è in verità non di loro, ma di mio Figlio) mi pare
ch’abbino mancato; però si mettano avanti gli occhi l’onor nostro, et faciansi la carità fornita à
ordinare, che con effetto vi pigli il detto Luogo di Santa Maria a Circum Jerusalemme, giache il
Prencipe mio figlio hà dato in mano del signor Carlo Caracciolo 1000 scudi in conto del prezzo di
detto territorio, e frà poco dara altri 500 scudi et se questi non basterano appresso darà degli altri;
et se non lo farà mio figlio, prometto alle Paternità Vostre, farlo io; et considerino che non si può
far sborzo di tante monete, tutte in un colpo; ma si faranno con qualche commodità nostra et con
pienissima soddisfazione vostra; Con che li fò riverenza con raccomandarmi molto all’Orazioni
delle Paternità Vostre. da Napoli il dì 27 Aprile 1604
Di vostre Paternità Reverende Serva
La Principessa di Conca
Et lo stesso Principe figlio scrisse in conformità della suddetta lettera della madre al medesimo
Capitolo Generale, di questo tenore:
Molto reverendi Padri
Ieri ritornai da Vico, et oggi hò consignato li scudi 1000 a Don Carlo Caracciolo, conforme
all’appuntamento, potrano per ciò li Padri dar principio all’opra, parendomi bene, che si dia
principio prima ch' esca Maggio; Io non mancherò di servire li Padri, conforme meritano, et io hò
particolar devozione, assicurandogli
110 V
che sono molto più largo di effetti che di parole. Fra tanto mi raccomando alle loro Orazioni, e li
prego dal Cielo ogni compita felicità.
Dalla casa di Don Carlo oggi 28 Aprile 1604. Al comando delle Paternità Vostre
figlio amorevolissimo
Il Principe di Conca
Ancò il suddetto Don Carlo Caracciolo scrisse al Capitolo Generale, dandogline parte, come aveva
ricevuto in deposito scudi 1000 dal Principe che teneva à disposizione delli Padri per la nuova
fondazione giusto al concertato ma il detto Principe et il Padre Priore del Salvatore, et molto
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caldamente raccomanda questa fondazione, àcciò sia accettata da Padri, specialmente per L’onore
del Principe, essendo divulgata questa fondazione, il quale di più prometteva frà poco altri ducati
600. 200 alla volta; et con qualche sua commodità di fare assai più di quello, che i Padri avessero
potuto pensare etc.
Da Napoli il dì 28 aprile 1604
Nel Capitolo Generale adunque celebrato in Monte Corona nel Mese di Maggio del corrente anno,
ricevute le suddette lettere, et efficaci instanze, con le buone relazioni, che davano li stessi Padri
Napolitani circa il Sito, Fù accettato il suddetto Luogo di Circum Jerusalemme, insieme con li scudi
1000 depositati dal suddetto Prencipe per cominciare. Determinando li Padri, che la eredità
Zaffarana dovesse supplire à tutto quello, che avesse potuto mancare per continuare, et
perfezionare questa fondazione; Cosiche questa eredità fosse distribuita, et partita tra questa, et
la fondazione dell’Eremo della Torre del Greco; et frà li stessi due Eremi partiti anco et distribuiti
gli obblighi di messe, et degli Anniversari, che aveva lasciato il Testatore Zaffarana. Et in questo
capitolo fù eletto per primo Superiore di quest’Eremo il Padre Ambrosio adi 21 Maggio, che di
anno in anno fu confirmato sino al 1607.
Il quale subito, cioè in quest’anno 1604 comprò il sito prenominato da diversi particulari per
prezzo di scudi 2920; delli quali 1200 furno dal suddetto Prencipe di Conca, et gl'altri li pagò
l’Eremo del Salvatore dell’eredità Zaffarana, della quale era erede, come s'ha detto. Et
particularmente si fece anco l'acquisto di alcuni Beni Ecclesiastici, che erano posseduti d’un certo
Prete Beneficiato di Santo Spirito, et di Santa Maria del Carmine, seù Gerusalemme, ch'era quello,
che nelle suddette lettere il Prencipe mostrava, per poter portare maggiore difficoltà; s’ottenne
però con la licenza di Roma con la permuta di altri beni, comprati prima da nostri Padri per scudi
600.
111R
Non ostante che fosse comprato il Sito, s’andava tergiversando in questa fondazione per non esser
pronto il dinaro per fabricare l’Eremo, à cagione di difficoltà, che nascevano sopra la eredità
Zaffarana; sinche l’Anno 1606 Adi 20 aprile fù ordinato dal Capitolo Generale, che nel suddetto
Sito, et Monte comprato si dovesse erigere un’altro Eremo, statuendo di nuovo, et confirmando,
che le entrate della suddetta eredità zaffarana si dovessero dividere, parte all’eremo della Torre,
134
et parte a quest’eremo. come finalmente fù fatta la divisione, mentre il Prior dell’Eremo del
Salvatore sotto il di 11 maggio 1606 per pubblico Instrumento cesse in beneficio di quest’Eremo di
Vico diversi Capitali della suddetta eredità zaffarana per la summa di 9770 Ducati, tutti che
vendevano il frutto Annuo.
Si che aggiunti questi alli suddetti, dati per comprare il sito, et ad altri dati per altre occasioni,
averà avuto quest’Eremo della medesima eredità zaffarana circa a 12000 ducati, e perciò
meritamente il suddetto Cesare Zaffarana si dice Fondatore anco di quest’Eremo.
La qual divisione fù poscia approvata dà Nostro Venerato Santo Vescovo con Breve in data de di 14
novembre del Anno 1607 nel quale anno si trovava Superiore di questa nuova Fondazione il Padre
Matteo eletto dal Capitolo Generale il di 11 maggio; il quale stante la predetta Cessione di capitali,
e la confirmazione d’essa dal Papa, con la licenza, che ottenne dall’ordinario diede principio à
fabricare. Mà l’Anno 1608 Adi 2 maggio fù di nuovo eletto per Superiore il Padre Ambrogio dal
Capitolo Generale, il quale con li suddetti assegnamenti, e con l’agiuto anco d’altre limosine, et pii
legati lasciati à quest’Eremo proseguì la fabrica, più sollicitamente, che fù possibile.
La città di Vico s’obbligò à pagare ogn'anno 50 Ducati duranti però a suo bene placito.
Il Marchese di Monte Forte Fratello del nostro Padre Giovanni Battista parimente scudi 50 sua vita
durante.
Dalla Regia Camera fù provisto questi Eremo di sei Tumuli di Sale all’Anno.
Et così con diversi agiuti à poco à poco s’hà vidduto le fabriche a buon stato; onde al Presente
questo eremo si può quasi dire del tutto perfezionato; Perché ha una ampla, et bella Chiesa, e
forse la Maggiore, ch’abbia questa Provincia; sotto il titolo et Invocazione di Santa Maria in
Gierusalemme, la di cui solennità si celebra il Lunedì dopo la Domenica delle Sante Pentecoste.
Con due capelle, una per parte della Chiesa; chiuse, al nostro uso Eremitico; oltre quella detta del
Capitolo, et la Sagrestia nella quale s’à anco una cappelletta con il
111V
suo altare. La sagrestia stà à mano destra, et il Capitolo alla sinistra dell’intrata in Chiesa, con due
porte laterali, et con li loro vestiboli uno per parte, che vanno in Chiesa; sopra uno de quali v'è il
suo campanile, chè ha due campane per dare li segni delli Divini offici, et d’altre ubbidienze; et in
tutto è fabricata questa Chiesa secondo l’uso moderno, che tiene la Religione nel fabricare Chiese.
135
è vero, che non peranco la Chiesa e Sagrestia sono totalmente fornite, et proviste di Apparati, et
d’altri necessari suppellettili, con tutto ciò mediocremente hanno quanto occorre per la
celebrazione de Divini offici, et con il tempo si spera vedere l’una, et l’altra non meno abbondante,
adornata, et arrichita di quello che si sia qualunque altra; mà di sacre Reliquie stanno ancòra più
scarsamente proviste.
Vi sono già fornite 12 belle, et commode celle solitarie con li suoi orticelli, cinti di muro, con la
Infermeria, Reffettorio, altre stanze per ministri, et con tutte le altre officine necessarie; cosiche in
questa parte di fabriche stà l’Eremo molto ben provisto et fornito, ancorche il suo sito spazioso
meriterebbe 20 celle solitarie, ma perché di presente và scarso d’entrate anco per sedeci Eromiti,
che vi sogliono stare, non si può alimentare molti Eremiti, ne fabricare nuove celle, come si spera
nella Misericordia di Dio, et protezione di san Romoaldo si farà con il tempo.
Ma passiamo alla descrizione della positura di quest’Eremo, la quale è così vaga, che se non supera
quella dell'Eremo del Salvatore à Prospetto di Napoli, almeno gli và del paro; solamente ha questo
diffetto, ch’è un poco ventosa, et per ciò questi Eremo è chiamato il Ventoso; mà per altro gode
quest’vantaggio, che in ogni tempo hà almeno più perfetta l’aria di quello.
Quest’eremo dunque è posto sopra un spazioso piano della Cima d’un Promontorio, anzi d’un non
poco alto Monte, che sorge tra le due Città di Surrento, et di Vico Equense. Questa, nella cui
Diocese anco s’attrova, gli sta dalla parte di tramontana, lontana circa à due miglia, posta alle
radici del Monte sopra la riva, ò spiaggia del mare del golfo di Napoli, et lontano dall’istessa
metropoli di Napoli per mare miglia 20. viaggio che in due ore si fà in barca; ma per terra sono da
25 miglia, et si passa per Castello à mare, per la Nonciata, et per la Torre del Greco, et per gran
pezzo con via molto disastrosa, ch'è quella, che il Viceré voleva fare accomodare per beneficio de
nostri Padri, come di sopra abbiamo detto.
S’ascende questo monte da questa parte di Vico per due miglia una strada assai erta, et faticosa,
et solamente da pedoni, et cavalli è pratticabile l’ascesa da questa parte, che il Monte và à poco à
poco calando, ma dall’altre parti è inacessibile il quale se ben per intorno è magro, erto, et poco
fertile, nella cima
112 R
136
però tienne così bella, vaga, et spaziosa pianura, dove è fondato l’Eremo, che nessun'altro Eremo
di questa Provincia n’ha una migliore, ne maggiore.
Quivi dunque ascesi si trova la porta del Eremo dalla parte di Tramontana, dentro la quale v'è una
bella piazza avanti la Chiesa, che hà la sua porta maggiore verso occidente, la Cella del Portinaio,
et altre stanze per li forestieri poveri secondo il bisogno; d’una parte di questa piazza v’è un orto
chiaro a muro, et dall’altra L’apertura, che guarda verso il mare.
Dalla parte settentrionale, ch' è quella per dove si salisce, s’offerisce una gioconsissima veduta;
perché sotto il monte in prima giace la suddetta Città di Vico, con il suo Territorio, seguitando poi il
lido del Golfo di Napoli (che và girando à forma d’arco, et però questo seno di mare essendo à
similitudine d'un gran Piato tondo et sparso s’addimanda …) si trova la Città di Castello à Mare,
successivamente le Terre della Nonciata, et della Torre del Greco, sopra li quali in un monticello
stavi il nostro Eremo di S. Angelo, et più sù s'inalza il Monte Vesuvio famosissimo per le sue
continue fiamme, et frequenti incendi, che manda fuori, come di sopra s’hà detto nella fondazione
dell’Eremo della Torre.
Nel piegar della spiaggia a mano destra aparisce la Città Metropoli del Regno, che bagna le sue
falde nell’istesso seno di mare, detta già la bella Partenope, dal nome della Sirena Partenope che
(come favoleggiano li Poeti) fù una di quelle, che non avendo potuto col loro canto ingannare
Ulisse con li suoi compagni, da dolore si precipitorno in mare; l’altre furono portate in altri luoghi,
et questa capitò qui dove dal suo nome fondosi la sudetta Città, ch’ora con altri vocabolo si dice
Napoli, quasi nova Città, perche essendo stata distrutta da i Cumani, fù di ordine dell’oracolo, d’
Apollo dalli stessi più splendidamente redificata; sopra questa Città apariscono dicersi colli, et
monti tutti fertilissimi, et ornati di belle fabriche, tra questi il Monte del nostro Eremo del
Santissimo Salvatore à Prospetto fà sopra gl'altri pomposa mostra.
In mezzo il mare poi di questo Seno si offeriscono in prima à gli occhi de risguardanti più da vicino
l’Isole di Capri, d’Inarrima, e di Procida, et non molto lontano di esse il Promontorio Misero; mà
più lontana giace l’isola di Pontia, la quale molto ben si vede, quando specialmente è il Ciel Sereno.
Dalla parte poi d’occidente (se ben essendo per tutto intorno la veduta apertissima può godere
tutto il suddetto dell’altra parte) quasi senza termine s’estende l’occhio per il Mar Tirreno,
godendo d’una parte il Seno di Pozzuoli, della vastità del mare verso il Lazio, ò Romagna con la
Riviera della Città di Gaietta sino al monte Circello, e verso la Toscana; et delli lidi, et monti che
molto di longi apariscono et dall'altra si mira la parte del mare, che si volta verso la Puglia, et la
Sicilia.
137
112 V
Da mezzo giorno, giace volto il monte (che da questa parte per esser tant’erto, precipitoso, e d'
altissimi dirupi pendenti, e totalmente inaccessibile) quasi in un Teatro circondato da Colli et
monti il bellissimo, et fertilissimo Piano di Surrenti, ch’è per lunghezza da 4 miglia; e circa due per
lunghezza, nel fine del quale è situata la stessa città di Surrento, celebre; se non per grandezza,
almeno per nobiltà d’antichità; tutto questo Piano è pieno di casali, et luoghi abitati, che formano
quasi una sola Città interrotta.
Dalla fertilità, et abbondanza di questo Territorio, famoso non solo per la qualità de vini, che qui
nascono, particularmente per quello, che si dice Massicano; ma anco per ogni altra sorte di ben di
Dio, che in esso si trova, hanno li nostri Padri tutto quello, che gli occorre.
Et è tanto pendente et talmente sovrasta il monte da questa parte sopra il detto Piano, che se ben
da quello la cima di esso monte, dove è fondato l’Eremo, è lontana circa ad un miglio, et mezzo, ad
ogni modo per la gran pendenza li Padri non solo chiaramente vedono tutto quello che si fà nelli
villaggi, m’anco odono le voci d’allegrezza, et d’acclamazioni di quei popoli; et quàlche volta
ascende di là una fragranza di soavissimo odore, sino alle narrici de nostri Padri, per la quantità di
cedri, limoni, melaranci, et altre odorose piante, de quali abbonda il detto Piano. Anzi li Padri
nell’orto di questa pendenza, hanno fabricato, come un Baloardo, et puggetto, detto da loro
Belvedere, da dove la notte della sesta feria della Passione di nostro Signore, espongono una
grande Croce, che per la quantità di lumi, che d’intorno gli pongono, molto ben aparisse sino giù
nel più basso del Piano, alla venerazione, et adorazione di quei popoli, nel cuore de' quali tal vista,
causa non piccola devozione, et compunzione, con la considerazione, d’un tanto Mistero che
rapresenta.
Dalla parte finalmente d’Oriente non v’è veduta, ma dopo la Chiesa, cioè dietro il Coro, con
l’intermedio d’ una piazza, v’è una lunga fabrica, nella quale vi sono Refettorio, Cucina, Foresteria
et tutte l'altre officine necessarie; dalla parte laterale della stessa Chiesa che guarda verso mezzo
giorno, seguono dopo una bella piazza le celle solitarie, 16 sino ad ora in tre file; con suoi stradoni
molto spaziosi accompagnati da Alberi sempre verdi; et dopo tutto questo siegue una Vigna assai
grande, quale confina con il bosco, che circonda l’Eremo da due parti, et poi il Monte si và
inalzando, e toglie ogni altra vista, crescendo in un altro altissimo Monte, detto latinamente Pheta,
nome facilmente greco, dedoto dal lume, e dall’ardore, come è il vocabolo Pheton, per esser
138
questo monte arido, et per così dire vicino al Sole; nel quale però ne i tempi trasandati, ebbero
dolce ricovero diversi Santi Romiti, e particolarmente il Beato Antonio, ora Patrone della città di
Surrento; dalla memoria de quali vengono maggiormente infiammati li nostri Romiti ad
abbracciare l’incommodi della solitudine, et qualche volta l'nclemenza dell’aria,
113R
et de venti, che porta seco l’altezza del Luogo. Del quale ci pare aver parlato à bastanza, finiremo
dunque questa narrazione, col ponere alcuni Superiori, et Priori, che abbiamo trovati
1609
14 Maggio Superiore il Padre Simone da Benevento
1610 7 Maggio fù confirmato
1611
29 aprile il Padre Ambrosio
1617
Nel capitolo Generale fù fatto Priorato quet’eremo e fù eletto in Primo Priore il Padre
1667
28 ottobre Priore il Padre Severo, che rinunciò, et in suo luogo
1669
12 Aprile il Padre Bonifacio .
1669
19 Maggio confirmato il Padre Bonifacio
1670
12 Aprile fu stabilita, et determinata la clausura della Dieta.
1671
24 Aprile Prior il Giuseppe Maria, et in questo Capitolo fù levato l’ingresso delle Donne,
che soleva esser il secondo giorno della Pentecoste; mà avendo rinunciato il suddetto Padre
Giuseppe Maria, fù eletto
1671 23 Agosto il Padre Romualdo
1673 27 Aprile il Padre Michiel Angelo
1675 10 Magggio il detto Padre Michiel Angelo
1677 15 Maggio Padre Biaggio
1679 28 Aprile il Padre Felice Rinunciò
1679 8 Luglio il Padre Marino
1681 2 Maggio Padre Geremia
1683 24 Maggio il Padre Celso.
1685 Maggio il Padre Giovinalle
139
140
1683- Fondazione dell’ Eremo di S. Maria Avvocata (Maiori) sesto nel Regno di Napoli
Circa la fondazione dell‟Eremo dell‟Avvocata (1689) non ci possiamo avvalere del
manoscritto seicentesco di Giovanni Avogaro, deceduto nel 1685 presso l‟eremo di Centrale, per
essere stata questa fondazione successiva alla sua morte.
Tuttavia, molti documenti inerenti la sua fondazione sono conservati presso l‟Archivio storico della
Casa Generalitia degli eremiti camaldolesi coronesi in Monte Portio Catone e presso gli archivi
ecclesiastici sia di Maiori che di Cava dei Tirreni, essendo posizionato quest‟eremo sul Monte
Falesio “al confine” tra questi due comuni.
Nel 1683 l‟Università di Maiori offriva ai Camaldolesi un antico e rupestre Santuario, posto a 900
m.l.m., dedicato a Santa Maria Avvocata.
Detto Santuario fu edificato da un certo Gabriele Cinnamo, al quale, secondo la tradizione popolare
locale, mentre era intento a pascolare il gregge apparve la SS. Vergine.
Nel 1687 vi si stabilì la prima comunità camaldolese.
Riportiamo di seguito il testo di una pubblicazione del 1913 (L‟eremo dell‟Avvocata presso Maiori,
sac. Vincenzo Acampora) che ben illustra la morfologia del posto e la storia dell‟apparizione della
Madonna al pastore Gabriele Cinnamo, precedente all‟arrivo degli eremiti camaldolesi coronesi.
“Maiori, antica città marittima della costiera d‟Amalfi, nella provincia di Salerno, fondata dai re
Longobardi nel nono secolo dell‟era cristiana, ebbe da prima il nome di Rheginna Maior, a
distinzione della Rheginna Minor che immeditamente la segue sulla via littoranea che mena alla
città capoluogo, Amalfi.
Giace in una bella pianura circondata dalla collina di Tramonti a settentrione, da quella di Minori
a mezzodì e da occidente con la Valle Arsiccia, che la separa dalla Cava dei Tirreni: fra oriente e
mezzogiorno ha il mare che le lambisce la lunga e spaziosa riviera. Il suo clima è temperato dai
continui venti aquilonari che vi predominano. Un fiume di acqua limpida e cristallina che
scaturisce dai vicini colli che la circondano, la divide in due parti uguali sino alla spiaggia in
modo da renderne il panorama incantevolissimo, particolarmente per chi la guarda dal mare.
I suoi deliziosi giardini, che in bell‟ordine si stendono sino alla cima dei monti circostanti, ne
rendono più sorprendente l‟incanto perché ricchi di cedri, limoni, aranci, gelsi ed altre piante
pomifere ed aromatiche, che ne imbalsamano l‟aria e trasportano col pensiero sulle coste del
Bosforo e nella Persia.
141
Un gran castello, costruito dai re Aragonesi in posizione aperta ed elevata, domina tutta quanta la
sottoposta città. Gli abitanti ne sono laboriosi ed industri, cortesi nel tratto, ospitali, e, in fatto di
religione, sinceramente devoti.
In Maiori la tradizione monastica è antica, perché nel suo piccolo territorio vissero due celebri
badie benedettine di uomini ed una di donne39, oltre due conventi di frati Domenicani e
Francescani ed un monastero di Clarisse.
Nel 1685 vi si aggiunsero gli Eremiti di S. Romualdo40 della Congregazione camaldolese di
Montecorona sul monte Falesio, le cui cime viste dalla sottoposta città pare che vadano a
confondersi coll‟azzurra volta del cielo. Su questo altissimo monte che dall‟altezza di circa sei
chilometri scende a picco sul mare, in luogo alpestre e scosceso, la Beata Vergine Madre di Dio
apparve ad un povero e semplice pastorello chiamato Gabriele Cinamo e gli disse: Gabriele, se tu
ti resterai qui a pregare, io sarò la tua Avvocata. Da questo avvenimento in poi quel monte si disse
dell‟Avvocata e non più Falesio; il che accadde nell‟anno 1470.
Quasi tutti gli scrittori di cose Amalfitane e gli Annalisti camaldolesi narrano nel modo seguente
l‟apparizione, che non sarà inutile riportare con tutte le sue circostanze. Correva l‟anno 1470, ed
era il 20 novembre, quando il pastorello di Porto Pornaro Gabriele Cinnamo che inoltravasi colle
sue capre nei boschi di S.M. d‟Ogliara, in cima al Falesio, nel pascolo consueto, fissando lo
sguardo sopra alcune pietre ricoperte di edera arrampicante, s‟accorse che una bianca colomba
selvatica più volte sbucò da quei ruderi e spicco‟ il suo volo al cielo e più volte vi ritornò
scomparendo totalmente dai suoi sguardi. Mosso il pastorello da spontanea curiosità, corse veloce
verso quel luogo per spiare il nido della misteriosa colomba, ma non rinvenne che un antro, ove
entrò, rimanendovi subito colto da dolce sonno. Appena destatosi il pastorello Gabriele, corre ai
piedi dell‟abate benedettino D. Pietro Staibano, nel monastero d‟Ogliara, a cui s‟apparteneva quel
luogo, e a lui narra colla massima semplicità l‟apparizione della Madonna che lo esortava di
rimanere ivi a pregare, e la promessa di farsi sua Avvocata; espone il suo disegno di obbedire alla
Vergine e chiede la facoltà di erigere ivi in suo onore una chiesetta per raccogliervi anche altri a
pregare. Quell‟abate, udita la ingenua narrazione del sogno, si munì dell‟apostolica facoltà, ed
esaudì le preghiere del Cinnamo col concedergli in censo perpetuo tutta la sommità del monte
Falesio e l‟adiacente bosco per farvi la legna, non che l‟abito che indossano i conversi.
39
La prima fu quella di S.M. d‟Erchi o Erchia, fondata nel secolo X, ed ebbe una lunga serie di benemeriti abati che
colonizzarano le vicine campagne in favore dei contadini. La seconda, non meno illustre della prima, fu quella di S. M.
d‟Ogliara, sulla Costa, il cui solo nome è una gloria. La terza poi era situata in collina, detta S. Lucia delle Monache, di
cui oggi rimane la sola chiesa corredata di una pittura in tavola di Andrea da Salerno.
40
Fu questo Santo figlio unico del duca Sergio di Ravenna; a vent‟anni vestì l‟abito benedettino nella celebre Badia di
Classe; ebbe in dono dal conte Maldolo di Arezzo un terreno detto Campo amabile sito fra i monti della Toscana
Casentinese, dove nel 1012 istituì il primo Eremo della nuova Congregazione benedettina che dal luogo prese il nome di
Camaldoli; e Camaldoli si chiamarono tutti gli eremi abitati da questi eremiti.
142
Non meno generosi dei Benedettini di Ogliara furono i cittadini di Maiori in prò del giovane romito
Gabriele Cinnamo nel versare in sue mani frequentemente abbondanti elemosine, colle quali venne
edificata in breve tempo la chiesa sul monte dell‟Avvocata e vari edifizi ancora per ospitare i
pellegrini, ed altri romiti che volessero associarsi a lui, per menare vita comune in quel luogo, nel
servire a Dio e alla Vergine, mentre nella stessa grotta dell‟apparizione Gabriele aveva fissata la
sua dimora. Egli però non rimase solo, che la fama delle sue virtù ben presto radunò intorno a lui
un drappello di uomini volenteriosi del ben fare, e ad ogni costo decisi di vivere lassù la stessa vita
del pio Cinnamo, trascorrendo i giorni e le notti nel silenzio, nella preghiera, nella mortificazione
dei sensi, e col lavoro delle proprie mani procacciandosi il pane quotidiano.
La Beata Vergine Madre di Dio, alla quale riuscivano accettissime le ferventi preghiere dei fedeli
suoi servi, per loro intercessione largì ogni grazia ai generosi oblatori del suo santuario; ond‟è
ché, moltiplicandosi sempre più le offerte, i pii romiti decisero di ampliare la chiesa, e di
raddoppiare i locali adiacenti, costruendo una cella solitaria ed una grandiosa cisterna, per modo
che quell‟eremo potesse accogliere un numero maggiore di servi di Dio pel decoro e servizio di
quel santuario e per comodo dei pellegrini, che a torme si recavano spesso ai piedi dell‟Avvocata.
Correva l‟anno 1521 quando Fr. Gabriele Cinnamo, presentendo vicina la fine dei suoi giorni,
convocò intorno a sé tutti i suoi romiti discepoli e loro dichiarò che il suo erede e successore era il
romito Giovanni, uno dei primi compagni di vocazione, il più esperto nel maneggio degli affari, più
provetto di età e più destro nei sentieri della virtù. Difatti a questi affidò il santuario dell‟Avvocata,
a lui raccomandò caldamente la propagazione della devozione a Maria SS. Avvocata, a lui
commise il piccolo gregge de‟ romiti e poi placidamente s‟addormentò nel bacio del Signore,
lasciando gran desiderio di sé in quanti aveano la sorte di conoscerlo e praticare con lui nei lunghi
anni di sua dimora sull‟Avvocata. Dicono gli storici che tutta Maiori si dolse per la sua morte.
Il romito Giovanni fu l‟osservatore fedele del mandato ricevuto dal defunto Fr. Gabriele, sulle cui
orme camminò egli e i suoi compagni, e in tanta uniformità di volere da formare una vera e propria
famiglia con lui. Ma un sinistro avvenimento, un vero attentato diretto alla totale distruzione mise a
repentaglio l‟opera fondata da Gabriele Cinnamo sull‟Avvocata.
Un certo sacerdote Maggiordomo di monsignor Girolano Giandaroni, Arcivescovo di Amalfi,
ottenne da quel prelato la nomina di Sopraintendente del santuario per poterne disporre a suo
talento. Difatti vi andò sollecitamente e ne allontanò i romiti, tolse quanto di più prezioso vi trovò e
fattone bottino se ne partì, lasciando quel luogo nel massimo squallore. Il pio Giovanni non disperò
di ritornare nell‟amato eremo; anzi si adoperò a tutt‟uomo presso le Autorità Maioresi per potervi
ritornare coi suoi romiti. E vi ritornò con somma gioia del suo cuore, restaurò ciò che era in
deperimento, e rifece ciò che era stato distrutto, non senza gravi sacrifizi.
143
A questo primo attentato ne seguì un altro, ma con una certa parvenza di ragione. Circa
l‟anno1609 l‟Arcivescovo di Amalfi, mons. Giulio Rosini, vedendo che il numero di romiti andava
di giorno in giorno diminuendo, aggregò al Capitolo canonicale di S. Andrea d‟Amalfi la chiesa e
l‟eremo dell‟Avvocata con tutti i suoi fondi, diritti ed azioni. Fu questa la ragione per cui l‟Eremo
dell‟Avvocata si ridusse in uno stato assai più deplorevole di prima. Ma un avvenimento prodigioso
rimise le cose nel loro stato primitivo. Era il giorno 16 aprile 1626, quando l‟immagine della B.
Vergine venerata da Fr. Gabriele, a vista di numeroso popolo, trasudò e pianse più volte. La
notizia di questo avvenimento giunse all‟orecchio del padre Bernardo Da Ponte, esimio oratore
della compagnia di Gesù, che nella Quaresima di quell‟anno aveva predicato in Napoli con gran
frutto la parola di Dio. Il Da Ponte si recò subito in Maiori e sull‟Avvocata per avere precise e
sicure notizie dell‟avvenimento prodigioso e fattone coscienziosa relazione a Papa Urbano VIII,
questi emanò una Bolla che proibiva al Capito Cattedrale Amalfitano di poter erigere in benefizio
canonicale l‟Eremo-santuario dell‟Avvocata, il quale in virtù della stessa Bolla doveva rimanere
affidato al Comune di Maiori. Da quel tempo, tutto cominciò a svolgersi col maggior incremento
del santuario e della pietà dei fedeli per opera e zelo dei ripristinati romiti.
Il pubblico Consiglio Maiorese però sempre vagheggiava l‟idea di affidare definitivamente
l‟Avvocata ad una vera comunità monastica, che notte e dì avesse lodato Dio e la Vergine, e un bel
giorno vi riuscì. Nell‟anno 1683 il priore dell‟Avvocata, certo Fr. Carlo Imperiale, uomo timorato
di Dio e amatissimo dell‟Ordine Camaldolese, carezzando il proposito del Comune, accolse ben
volentieri il mandato di trattare coi Romualdini circa la cessione a loro dell‟Eremo-santuario
dell‟Avvocata.
Egli, dunque, munito di legale procura, si recò a Montecorona, in quel di Perugia, sede dei
Superiori Generali di quella Congregazione Camaldolese, e loro espose il suo mandato e la
generosa offerta del Comune Maiorese, non che i patti e le condizioni della donazione. Il Maggiore
alla sua volta ne riferì al Capitolo, che si tenne in quell‟anno medesimo, il quale facendo buon viso
alla proposta, e per riguardo all‟amenità del luogo, alla fertilità del terreno, in gran parte
coltivato, considerando che la parte boscosa avrebbe fornita la legna sufficientemente per gli usi di
casa; presa pure in considerazione la bella chiesa doviziosamente fornita di sacre suppellettili, le
rendite dei fondi annessi, e dei fabbricati circostanti, accettò l‟offerta, e delegò il P.D. Primiano
Morales, napoletano, a concludere le pratiche.
Primo atto di questo intelligente e discreto religioso fu quello di recarsi in Amalfi dall‟arcivescovo
e munirsi del suo consenso, per entrare in possesso dell‟Eremo santuario dell‟Avvocata.
Quel prelato non esitò punto a dare il beneplacito ai Camaldolesi di Montecorona perché
sollecitamente si recassero a prendere possesso dell‟Avvocata, come quelli che generalmente
144
riscuotevano la stima e la venerazione dei popoli, oltre all‟essere particolarmente designati
all‟uopo dal comune di Maiori.
Il padre Morales, ottenuto il beneplacito dall‟arcivescovo amalfitano, si recò all‟Eremo per
disporvi tutto il necessario, occorrente ad accogliervi una comunità religiosa. In quel luogo
mancavano le celle solitarie coi rispettivi giardinetti secondo il sistema dell‟Ordine; ma a questo
difetto provvide l‟Ordine stesso coll‟impiego del danaro donato all‟eremo del SS. Salvatore di
Napoli da un certo Orazio Caso a fine di erigere un nuovo eremo camaldolese nelle provincie
napoletane.
Il Capitolo generale tenutosi nel 1687, considerando che tutti gli ostacoli sorti dal cominciar
dell‟opera eransi superati, e l‟eremo dell‟Avvocata era stato già cinto delle mura claustrali con
una gran porta d‟ingresso dalla via che mena alla città di Cava dei Tirreni, vi assegnò la regolare
famiglia con a capo un superiore, che durò in carica per solo due anni. Ma nei comizi generali del
1689 fu elevato a priorato venendovi eletto priore lo stesso P.D. Primiano Morales, che tanto
aveva lavorato per la fondazione dell‟eremo.
Pel lungo spazio di un trentennio i buoni camaldolesi goderono il pacifico possesso dell‟Avvocata;
ma nel 1716 il Capitolo cattedrale di Amalfi, credendo di avere dei diritti sul monte Falesio, e
propriamente sulla chiesa ed eremo dell‟Avvocata, iniziò una lite presso la S. C. dei VV. e RR.
contro i camaldolesi, come quelli che sforniti del debito consenso dell‟Arcivescovo, si erano
stabiliti nel luogo controverso.
La Congregazione camaldolese, che fin dal 1686 era in possesso del consenso arcivescovile,
ottenne splendida vittoria, con sentenza causa finita in suo pieno favore. Allora i religiosi figli di S.
Romualdo si stabilirono più saldamente nell‟Eremo dell‟Avvocata; costruirono una nuova
sagrestia, restaurarono la chiesa e la fecero solennemente consacrare dal vescovo di Ravello
nell‟anno 171941.
Ebbe questo eremo la sua avventurata sorte di essere governato da una serie non interrotta di
Priori attivi, operosi ed intelligenti, fra i quali non mai abbastanza lodato P.D. Clemente Orioli che
nel tempo del suo priorato ampliò le fabbriche, restaurò la chiesa e migliorò i fondi del monastero
in modo da raddoppiarne il reddito. E quando nel 1740 venne eletto superiore generale di tutta la
sua Congregazione rivolse tosto le sue cure all‟amato Eremo dell‟Avvocata; venne per consacrarvi
i cinque altari marmorei della chiesa, e non contento di ciò, nel 1743, vi ritornò qual delegato del
Capitolo Vaticano per coronare con aureo diadema la taumaturga immagine di N.S. Avvocata,
41
Quanto riguarda la fondazione e le successive vicende dell‟Eremo dell‟Avvocata è narrato con esattezza dal P.
Lugano, La Congregazione Camaldolese degli Eremiti di Montecorona (Monografie di Storia Benedettina, vol I, Roma,
1908, pag.423-426).
145
ordinando ai suoi religiosi che apponessero sulla maggior porta della chiesa stessa la seguente
iscrizione:
D.O.M.
AEDEM HANC QUAM POST REPERTAM A.D. MCCCCLXX INDICIO COLUMBAE
HIC SUBIACENTEM CRYPTAM GABRIELI CINNAMI
CELITUS EDOCTA PIETAS DEIPARAE VIRGINIS OMNIUM ADVOCATAE
STRUXIT AUXITQUE A.D. MCCCCXXXV
AC DEINCEPS INTEGERRIMI SIMILI PIETATE VIRI COLUERUNT
USQUE AD ANNUM DNI MDCLXXXVIII, QUO DEFERENTIBUS MAIORITANIS
CAMALDULENSIS ORDINIS EREMITAE GUBERNANDAM COLENDAMQUE
ACCEPERUNT,
TANDEM IIDEM S.P. ROMUALDI FILII TANTAE ADVOCATAE CLIENTES
AMPLIOREM ORNATIOREMQUE REDDIDERUNT A.D. MDCCXIX.
Le tante accanite lotte che avevano minata la distruzione dell‟Eremo-santuario dell‟Avvocata, ad
altro non valsero che a farlo sempre più stabilire solidamente sulle sue basi e gittar più profonde
radici, e mentre la buona città di Maiori fisse tenea le sue pupille in cima al Falesio e beavasi a
contemplare i bianchi edifizi del santuario, superba di goderne la protezione, mercé le ferventi
suppliche degli austeri figli di S. Romualdo, repentinamente lo vide investito e scosso da
sterminatrice bufera, che doveva quasi raderlo al suolo, come una annosa quercia che, dopo tanti
secoli di resistenza al nembo e alle tempeste, da violentissimo ciclone viene schiantata ed
abbattuta. La soppressione di Napoleone I colpì anche l‟eremo dell‟Avvocata42.
Pertanto, nel 1808, il così detto giudice di pace, si reco‟ a notificare la presa di possesso
dell‟Eremo Maiorese ai santi anacoreti del Falesio: i benemeriti camaldolesi furono costretti ad
allontanarsi; i loro beni confiscati dal demanio dello Stato; le tre squillanti campane tolte dalla
torre campanaria e trasportate non si sa dove; i sedili di noce colla rispettiva spalliera esistenti
nella sala capitolare e nel cenacolo dei monaci involati insieme agli stalli del coro artisticamente
lavorati. Il maggior altare della chiesa fu asportato dai confratelli della congrega del Carmine di
Maiori e collocato nel proprio oratorio; i quattro altari minori e la miracolosa immagine di N.S.
Avvocata incoronata furono trasportati con altri sacri arredi nella chiesa collegiata di Maiori. Gli
edifizi deserti ed abbandonati dagli uomini furono lasciati in balia dei venti e delle bufere che
mano mano li rasero al suolo, rimanendo in piedi appena poche mura della chiesa e di qualche
cella, come si può vedere da fotografie prese sul luogo nel 1899.
42
P. Lugano, La Congregazione Camaldolese degli Eremiti di Montecorona, p.447.
146
Chi avrebbe mai potuto pensare ad una ricostruzione della chiesa dell‟Avvocata e degli annessi
edifizi, in tempi cosi‟ calamitosi come i nostri, in luogo piuttosto alpestre e dissito dalla città di
Maiori? Eppure essa può considerarsi come un fatto compiuto, pel generoso impulso di pia
persona che nel 1899 vi fece metter mano, secondata dal favore di uno zelante monaco benedettino
del vicino monastero della SS.Trinità di Cava.
La chiesa è già costruita ed ufficiata; accanto a lei sorgono belle e comode celle, molto adatte per
quegli stessi eremiti camaldolesi di Montecorona che dimoravano presso l‟antico Eremo santuario
dell‟Avvocata, i quali, con maggiore entusiasmo di prima sono nuovamente desiderati dal clero e
dal popolo della città di Maiori.
Il loro ritorno al santuario dell‟Avvocata sarebbe il più proficuo ricordo del nono centenario
dell‟istituzione camaldolese.”
La secolare devozione degli abitanti dei paesi limitrofi verso la Madonna Avvocata, incentivata
dalla spiritualità dei Camaldolesi, è ancora viva e palpitante.
Soprattutto nel periodo pasquale, vi accorrono pellegrini e turisti, persino in elicottero, a causa della
impraticabilità della strada mulattiera.
147
148
La Fondazione spagnola
Nell' ultimo decennio del secolo XVI e nel primo del secolo seguente la Congregazione di
Montecorona presentò uno sviluppo grandissimo accompagnato da una fervida attività. In questo
periodo si colloca anche il primo tentativo di fondazione in Spagna.
Il pontefice Clemente VIlI, per le buone informazioni del cardinale Tolomeo, vescovo di Frascati e
protettore degli eremiti romualdini, il 30 giugno 1594 elesse e nominò abate generale di
Montevergine per un triennio il coronese padre Girolamo da Perugia, con facoltà di ripristinare
lassù l‟osservanza regolare. Questi fu poi confermato per un successivo triennio durante il quale si
occupo‟, tra le altre cose, di redigere le costituzioni verginiane approvate poi da Clemente VIII nel
1599.
In quegli anni un certo don Rodolfo, monaco spagnolo di Camaldoli (che aveva invano chiesto di
essere ammesso a Montecorona), capitanava un gruppo di monaci coronesi che volevano partire per
fondare un eremo in Spagna. Condivideva questo progetto con il monaco spagnolo fra Egidio,
priore titolare di San salvatore di Fano e maestro dei novizi; entrambi si recarono a Roma, dove
nonostante il parere contrario del Cardinale protettore, riuscirono ad ottenere licenza di partire.
Tuttavia, questa spedizione, alla quale aveva aderito anche il chierico Diego di Montecorona, non
sortì buon effetto poiché, morto il padre Egidio a Granata, gli altri due monaci ritornarono in Italia.
Successivamente, intorno al 1665, vi è un ulteriore tentativo di fondazione camaldolese in Spagna
della quale l‟Avogaro riferisce nel suo manoscritto.
149
150
Per la Fondazione in Spagna
151
152
Per la Fondazione in Spagna
109 retto
Copia della lettera con l’offerta della Fondazione del nuovo eremo in Spagna dal sign. Marchese
d’Aizona, portata dal P. don Innocenzio Maria, diretta all’Em.mo Sign. Cardinale Bandinelli
Presidente, e M. R.R. P.P. Definitori del Capitolo Generale degli Eremiti Camaldolesi, che Dio guardi
molti Anni – Roma - tradotta dal Spagnuolo in Italiano.
Stimo molto, che se m’offerisca occasione, con che dar à conoscenza a V. Em.za et alle PP. VV.
molto RR. la mia divozione, et affetto al Glorioso S. Romualdo e alla sua sacrata Religione, ho
avuto à molta gran fortuna la comunicazione che in queste carta del P Innocenzio Maria per le sue
gran virtù, e prudenza accompagnata da una piacevolezza molto amabile, e il suo trattare, e
quello, che mi hà riferito di codesta santa Religione, hà accresciuto in me il sentimento di che
restiamo primi in Spagna di cosi’ gran bene, et il desiderio di vederla grandemente introdotta in
questi Regni, sicome io lo procurerò con l’aiuto del Sign.re per quanto io mai potrò, e per da
principio, et eseguire questi miei buoni desideri
1. Ho fatto proponimento di fare la prima fondazione à favor della Provincia di Camaldoli in
Toscana come capo, e principio di tutta la Religione in deserto de miei stati nove miglia
corte dalla Città di Saragozza sù la Riviera del fiume Ebro, nel Regno di Aragona. Il sito
molto piacevole, ameno, e fertile, con acqua, bosco, vigne, orti, e terre per seminare. V’è
già edificata la Chiesa sotto il titolo di S Maria Maddalena; et di piu’ io fabricherò in esso
dodici celle in quel sito che scieglieranno li Padri una ogn’anno in quella forma, che si usa in
Italia.
2. Daro alli Padri rendita in danari bastante ogn’Anno, e di piu’ le vigne, orti, e terre per
seminare, che saran di bisogno per il sustentamento di dodeci Religiosi professi quattro
oblati, e due seculari servitori, in modo che fra l’uno, e l’altro abbiano lo necessario per il
loro sustentamento, vestiario, legna, cera, e oglio per il culto divino, e tutto il bisogno per
gl’infermi.
153
3. Daro’ li calici, ornamenti, e paramenti necessari per la Chiesa et orologio se non vi fosse al
presente, e daro’ anco un carro, e due mule per una volta tanto, et anco di piu’ per una
volta tanto tutti l’ornamenti necessari per uso delli Padri.
4. Io pagherò il viatico alli primi 4 padri professi, e due oblati che verranno a questa
Fondazione
109 verso
5. Sinoche resti compito il numero, che s’è detto di dodeci padri professi , 4 oblati, e dei
servitori secoalri non voglio esser obligato à dare di tutto quello, che hò offerto di sopra,
che respetivamente corrisponderò quel numero effettivo, che la si troveranno di essi.
6. Voglio essere Patrone della chiesa, casa, e celle, e sito, e continueranno i successori del mio
Marchesato di Ayzona perpetuamente, e potranno metter come me medesimo, o tener
armi, e insegne nostre, e se ne hà da osservare tutti li onori, e privileggi dei patroni
conforme il stilo solito.
7. La Cappella Maggiore, cioe’ l’Altare Maggiore con la Sant.ma Croce ha da essere riservata
per il nostro sepolcro di me, e dei miei discendenti, e delle persone, che fosse di mia
volontà, e d’ogni uno di miei discendenti, et delle persone, che fosse di mia volontà, e
d’ogni uno di miei successori pro tempore, pero’ nel corpo della Chiesa, e nelle Cappelle,
che al presente vi sono, e che per l’avvenire si fabricheranno alli lati, resteranno à libera
disposizione delle Padri, e potranno sepelirvi le persone, che sarà di sua volontà, e potrà
render, e dar il patronato delle Cappelle alle persone che gusteran loro8. Anno li Padri da poter disponer, e fabricar conforme la sua Regola, istituto, e stilo, e come
più le piacerà, o parerà, o fosse sua volontà il choro, sacrestia, e Capitolo, nel quale sarà la
loro sepoltura.
9. Hanno anco da poter metere in clausura conforme consumano? la loro Religione la Chiesa
con quello che si fabricheranno appresso di essa, le celle, e tutto quel sito, ò Terra che sarà
sua volontà facendo le mura conforme l’uso loro in modo che nella Chiesa, e nella clausura
154
non possino entrare le Donne, e solamente se le consentirà che possino entrar nella Chiesa
il giorno di S Romualdo 7 febraro, nel secondo giorno, cioè di Pasqua di Resurrezione, et
nel giorno di S Maria Maddalena, o quando resti finita la clausura disponeranno li Padri una
Cappella appresso la porta di essa, dove si celebri una messa tutti li giorni di festa di
precetto, acciò la possin sentire le Donne, però la Marchesa mia moglie, e quelle che lo
saranno di miei eredi, e successorir potranno entrar ognivolta, che vorranno così nella
Chiesa come in tutto il sito dentro la clausura, o nelli orti delle celle con tutte quelle donne
che condurranno in sua Compagnia.
110 retto
10. Io voglio poter fabricar appresso la Chiesa nella parte, che mi parerà più a gusto, alcune
stanze per mia commodità e vivendo, amenamente? voglio poter volerne? di qualche d’una
di quelle, che già vi sono fatte, mentre però non facino mancamento alli Padri per
l’infermeria, foresteria, et altre loro officine.
11. Potranno li Padri per qual sivoglia titolo acquistare eredità, possessioni, rendite, e beni di
qualsi voglia sorte da quali si sia persona, con obligazioni di Messe quotidiane, o perpetue,
ò senza alcun’ obligazioni di esse, restandole libero il dominio, e uso del principale, e della
vendita, non volendo io per questo levarle, ne esser obbligato à meno de lo che io l’ho
offerto.
12. Saranno obbligati li PP. di celebrar per l’Anima mia, e della Marchesa mia moglie, e dei miei
Ascendenti, e successori due messe con fede? ogni settimana, et una messa quotidiana,
godendo la rendita di cinque Reali, conforme la dotò mia ava la signora Baronessa della
laguna, e quando vi sarà piu’ di sei religiosi da Messa diranno un’altra messa bassa
quotidiana.
Si stà agiustando una difficultà, che con l’aiuto di N S si vincerà facilmente, e brevemente, e
subito ne darò avviso al Rmo P Generale, et VV aciocchè VE e le PP VRR saranno servite di
approvare questa fondazione possino venir subito li PP della detta provincia di Toscana à
dar principio ad essa, et io procurerò quà tutte le licenze necessarie subito che sapro’ che
155
sarà stata approvata nel Capitolo VE’ le PPVVm RR, ricevino il mio buono affetto, et si
assicurino che in tutto che potrò ho da favorire, e portar avanti questa fondazione
giudicandola à molto servizio di NS che guardi l’Eminenza V e le PP VVm RR molti Anni,
come desidero.
Madrid 30 di Genaro 1665
BLM di VC PPvv Sr RR
Il Marchese d’Ayzona
Copia dell’agiunta all’offerta fatta dall’Ecc.mo Sign Marchese d’Ayzona, dal Sign. D Manuel
de Ferd? Zaca ? suo agente, in Saragozza per ordine libero dato dal med.mo Sign. Marchese
sopra li ponti? che il P Innocenzio Maria hà conferito, e trattato con il Sign. Marchese mio
Sign. e che porta notati
110 verso
per il suo Capitolo Generale vi sono trattati in Saragozza li seguenti riservando però il bene
placito di S Ecc.
Di piu’ delle Terre competenti per il grano, vino e orti avrà da dare S Ecc. ogni Anno per
ogni eremita, e sementi 10 scudi nolata? castigliana da 20 Reali per ognuno per la
qual’obbligazione non s’intende che accetto, e valga à più delle 15 persone che in questo
respetto monterà 36?.
Di più ha da dare S Ecc ogni anno 30 rubli? de oglio per le dette persone, e non avendole,
hà da dare la rendita al rispetto di quelle che vi saranno.
Di piu’ nel primo anno hà da dare S Ecc li grani necessari per seminare quel primo Anno
solamente, e pane, e vino, per li sei Religiosi, che han da venire subito.
Di più subito che vi saranno li detti sei Religiosi avrà da dare S Ecc cento pecore per una
volta tanto.
156
Saragozza 11 febraro 1665
Accettazione del Capitolo Generale 1665
Essendosi lungamente trattato sopra l’offerta del med. Sign. Marchese di Ajzona, che con
sua lettera sotto la data 30 genaro 1665 diretta all’Em Cardinale Bandinelli Presidente
Apostolico, et alli RR.PP. definitori del presente Capitolo Generale, che si celebra in questo
eremo Tuscolano di voler fondare un eremo nel suo stato, che possede nel regno di
Aragona, nella Spagna, per la Nazione Toscana, dando il sito con Chiesa del titolo di S.
Maria Madalena con selva, acqua viva, et altri beni, et rendite annuali sufficienti per il
mantenimento di 12 Religiosi professi 4 oblati, et dei servitori con la fabrica di 12 celle
conforme il nostro uso eremitico, con il di più contiene in detta lettera, o volendo l’Em
presidente, e Padri Definitori, condescendere alla pia disposizione del Sign. Marchese per
opera si santa, et essendo proposta la ballottazione? da S Em.za di tutto il sudd. offerto dal
detto Sign passò con tutti li voti favorevoli, et accettato per la nazione Toscana.
Concediamo tutta la facoltà
111 retto
necessaria per cio’ fare al P Maggiore, e PPVV che formano il Tribunale fra l’Anno della
nostra Congregazione quali potranno mandar dei Padri di detta nazioneToscana di integrità
à riconoscere il sito, a quanto fa di bisogno per la sud. fondazione, si come si ricerca il
nostro istituto, et Bolle Pontificie, quali ne doveranno dare piena e distinta reelazione al
sud. Tribunale, et aspettare le risposte per la risoluzione da farsi per tal stabilimento per
quello che spetta a noi, e del rimanente servatis servandis?
Nel Capitolo Generale celebrato nel Sacro Eremo di Camaldoli l’anno 1640? 29 Aprile in
lettera si legge a c 138 sotto li 9 Maggio essendo stato professo dall’Mmo Giovanni di
Moncada spagnuolo di voler fondare un eremo in Spagna, è stato rimesso al nostro P
Maggiore, et PPVV di trattare, e tirar avanti il negozio secondo l’opportunità, e facendo
bisogno manderemo persone per tale effetto, ove sarà necessario, avvertendo pero’, che
sia firmata la Bolla di Gregorio XV . Scriba del Capitolo d Maurizio da Turino
157
Documentazione fotografica degli ex- Eremi Camaldolesi Coronesi del Regno di
Napoli
Resti dell’ eremo dell’Incoronata (1576; S.Angelo a Scala, AV)
Epigrafe collocata nel 2009 nei pressi dell’ex-Eremo dell’Incoronata
158
Veduta dall’ex-Eremo dell’Incoronata
Eremo di San Salvatore a Prospetto (1587; Camaldoli di Napoli)
Panorama dall’Eremo di San Salvatore a Prospetto
159
Eremo di S Maria degli Angeli (1603; Visciano di Nola)
(foto di Bruno Passuello)
Nola - Chiesa dell’ Eremo di S Maria degli Angeli: interno
160
Veduta dell’eremo di Nola
Eremo di San Michele Arcangelo (1602; Monte S. Angelo inTorre del Greco)
Veduta dell’isola di Capri dall’Eremo di S. Michele Arcangelo
161
Epigrafe collocata nei pressi dell’ex Eremo di Santa Maria di Gerusalemme in Arola di
Vico Equense in occasione della visita dei monaci dell’eremo tuscolano; Cappella dedicata
a San Romualdo
Colonnato adiacente all’Eremo di Santa Maria di Gerusalemme (1607; Arola di Vico
Equense)
Interdizione delle donne all’eremo;
S.Maria di Gerusalemme
Panorama (Penisola sorrentina) dall’ex-Eremo di
Disegno dell’Eremo di S. Maria in Gerusalemme dell’arch. Paola Gargiulo
162
Eremo dell’Avvocata (1689; tra Maiori e Cava dei Tirreni)
Santuario dell’Avvocata presso Maiori.
di F. Autoriello dell’anno 1850.
Veduta dall’ex-Eremo dell’Avvocata in Maiori
163
Acquerello del Santuario
Monte Rua, Padova- Eremo coronese fondato nel 1537
Monte Porzio Catone, Frascati- Celle dell’eremo fondato nel 1607
Stemma della Congregazione
Eremo di S. Girolamo a Pascelupo, fondato nel 1521
164
San Romualdo. Particolare della tela cinquecentesca raffigurante la Madonna tra i Santi
Camaldolesi. (Cappella interna dei P.P. Carmelitani. Monte Chiaro in Vico Equense,
Napoli. Testimonianza del culto al Santo ravennate in epoca precedente all’arrivo dei
Camaldolesi nel Regno di Napoli.
165
Appendice
1. Caratteristiche architettoniche degli eremi coronesi
Dal punto di vista della disposizione topografica, l‟Eremo camaldolese presenta una
struttura peculiare e caratteristica chiaramente distinta rispetto alla Badia Benedettina, alla Certosa
dei Monaci Certosini, e al Convento proprio di tutti gli altri ordini religiosi.
E‟ interessante osservare come gli antichi Statuti Camaldolesi contenessero a questo proposito
norme e leggi precise e dettagliate su come doveva essere costruito un Eremo: oltre alla minuziosa
scelta del luogo, che imponeva che l‟Eremo sorgesse in mezzo a selve, distante almeno due
chilometri da ogni città o villaggio43 e possibilmente sopra una collina o un monte, anche le
peculiarità architettoniche delle celle, della Chiesa e degli ambienti comuni erano chiaramente
esplicitate nei dettati costituzionali (atti capitolari del 1607) e spesso accadeva che specifici decreti
fossero emanati per richiamare alla semplicità e austerità eremitiche.
Le disposizioni erano particolarmente precise per la costruzione della cella eremitica che costituisce
l‟elemento centrale e fondante della vita e della spiritualità camaldolese; il capitolo 3 delle odierne
Costituzioni della Congregazione dei Camaldolesi di Monte Corona si apre con l‟articolo 28 che
recita:
«Nulla vi è nell‟eremo di più confacente e di più necessario a coloro che praticano la
vita solitaria che di stare in cella, seduti in silenzio» (B. Paolo, Regola, p. 79).
Le nostre celle siano sufficientemente separate le une dalle altre, affinché, una volta
dentro e chiusa la porta, possiamo lasciar cadere ogni preoccupazione per fissare in
Dio il nostro sguardo e i nostri affetti con cuore semplice e purificato. E‟ questa,
infatti, la nostra specifica vocazione: fuggendo lontano dalle preoccupazioni di questo
mondo, consacrarci a una quiete sacra e laboriosa che consenta al Signore di
manifestarsi al cuore dell‟eremita e di prendervi dimora. La cella è il luogo più
indicato per la preghiera contemplativa. Perciò essa deve essere considerata come
luogo sacro in cui Dio viene atteso e si lascia incontrare.
La centralità e la “sacralità” della cella, che si presenta come il fulcro sia della vita spirituale che di
quella temporale, è stigmatizzata sin dalle origini della Congregazione camaldolese nella Piccola
43
Costitutiones Eremitarum Camaldulensium Congregationis Montis Coronae, Subiaco 1934, nn 1 e 2
166
Regola di San Romualdo il cui incipit < Siedi nella tua cella come fossi in Paradiso>44 ci rimanda,
oltre che alle origini di Camaldoli, anche alla tradizione del monachesimo medio-orientale e dei
Padri del deserto, di cui Romualdo seguiva gli insegnamenti appresi dalle loro Conferenze
trasmesse da Cassiano. La disposizione topografica delle celle di Camaldoli riprende proprio il
modello della laura Palestinese antica. La tipica laura palestinese sorgeva all'interno di alcuni
stretti crepacci, su versanti desolati o scarsamente coperti da vegetazione di una montagna scoscesa.
Gli edifici centrali si appoggiavano alla roccia scoscesa, quando non erano intagliati nella stessa
pietra; a volte la costruzione si articolava in gradoni. Sparse tutt' intorno si innalzavano le celle dei
solitari. Nelle laure scavate nella roccia le celle erano spesso semplici fenditure; in quelle ubicate in
pianura erano costruite in mattoni cotti o seccati al sole. Normalmente erano composte di due locali:
un vestibolo e una piccola camera interna. Il nucleo centrale era composto da una chiesa, una sala di
riunione, un forno, un magazzino e il più delle volte una stalla.
Differentemente da tale modello, le celle eremitiche coronesi, disposte non molto lontano dalla
chiesa, formano il centro degli eremi e sono composte di due parti principali: il giardino (m12x10)
chiuso da mura, e la cella, composta dal vestibolo, la vera cella (m 5x6), la cappella (metà in
grandezza rispetto alla cella) e la legnaia. Il giardino si estende dinanzi alla cella, e opportuni viali,
fiancheggiati da molte siepi di mirto o di bosso, conducono ai diversi ordini di celle. La chiesa
sorge di solito come a corpo sé stante, sebbene talora le sia addossata qualche fabbrica di grande
mole, come la biblioteca o la sala delle discussioni capitolari. Anche il cimitero non è molto lontano
dalla chiesa e, come gli altri edifici, quali la foresteria, cucina, dispense e lavanderia, resta
all‟interno delle solide mura di stretta clausura.
Questo disegno è particolarmente ben riconoscibile in quasi tutti gli eremi veneti, fatti sul modello
dell‟eremo di monte Rua (1537) e i primi Padri camaldolesi erano molto attenti che non si deviasse
mai da questo modello. A tale proposito è noto che il Padre Alessandro Secchi 45, più volte priore
dell‟eremo ruense, fu l‟apprezzato autore dei disegni - solo in parte modificati per i gravi costi degli eremi di Frascati, Centrale, Vicenza e Nola.
Diversi studiosi hanno tentato di individuare ed analizzare le caratteristiche architettoniche originali
delle prime celle coronesi e la loro evoluzione nel tempo, oltre che rispetto alle celle dell‟eremo di
Camaldoli fondato da San Romualdo nel 1012. E‟ noto che l‟originario disegno dell‟Eremo di
Monte Corona, opera del p. Benedetto da Firenze (proveniente da Camaldoli e lì ritornato dopo
44
“Piccola Regola” di San Romualdo che il Santo ravennate lascio‟ come guida per la vita a Giovanni, uno dei cinque
fratelli martiri in Polonia.
45
Alessandro Secchi da Crema (al secolo Luigi), che il Maccà ricorda come “celebre architetto e industrioso eremita”,
fece la sua professione religiosa a Monte Rua nel 1596. Più volte fu Priore in diversi eremi e anche a Monte Rua nel
1614-15 e una seconda volta dal 1626 al 1628.
167
l‟insuccesso del suo lavoro), fu radicalmente modificato nel capitolo del 1532, che dispose la
costruzione di celle più piccole richiamando il p. Benedetto al rispetto delle direttive impartite dal
Capitolo in tale materia, invece di limitarsi ad imitare il disegno di Camaldoli. Inoltre, mentre
questo veniva eretto, i monaci avevano costruito un eremo provvisorio presso l‟oratorio dedicato a
S. Savino, e qui le celle (definite da Luca di Spagna “cellulis”46 e descritte da d. Filippo Palmieri47
affini alle prime celle di Monte Corona in quanto ad ambienti angusti e all‟esiguo numero) avevano
solo due locali, il primo dei quali, denominato cella interiore, costituiva la stanza dove l‟eremita
trascorreva la maggior parte del tempo; il secondo, cella esteriore, ossia legnaia, fungeva da
vestibolo, consentendo direttamente il passaggio dall‟entrata alla camera.
Alcuni degli elementi che hanno agevolato la ricognizione delle caratteristiche architettoniche
originali della cella coronese sono stati un‟acquaforte raffigurante l‟Eremo di Monte Corona incisa
nel 1664 e, in modo determinante, gli scavi eseguiti nell‟orto dell‟eremo di Monte Corona nel 1760
che, casualmente, permisero di riportare alla luce le fondamenta delle prime due celle coronesi del
1532, che non superavano le quattro unità, e delle quali scrissero anche Luca di Spagna e Placido,
chiamandole rispettivamente <duo tuguria> e <aliquot tuguria>.
Un‟efficace descrizione di queste “primitive” dimore degli eremiti in Monte Corona è contenuta
nello Spicilegio del 1826, opera del monaco don Filippo Palmieri, che all‟argomento cella dedica
quattordici paragrafi (dal n°20 al n°30). La cella all‟interno consisteva di una <cameruccia>, o
<stanziuola da letto>, posto in un angolo vi era il camino, la parte anteriore della cella era rivolta a
sud come tutte le altre della stessa serie, internamente era lunga <tredici palmi e otto oncie di
Passetto Romano Architettonico Moderno> (ca.m. 3,00), larga non più di undici e mezzo (ca.m.
2,50) e alta, fino al soffitto a volta formato da mattoni che poggiavano sopra dei travicelli di legno
sostenuti a loro volta da un trave centrale, undici palmi e tre once (ca. m.2,50). Nella parte esposta a
nord vi era un piccolo armadio, ricavato nel muro, di due palmi in larghezza e tre in altezza (ca-m0,45 per 0,70), separato nel mezzo da una tavola. A lato della cameretta, unita a questa per mezzo di
una <porticciuola> con volta ad arco, larga due palmi e tre once (ca. m.0,50) e alta sei (ca.m.1,30),
si affianca una piccola legnaia che, posta in direzione est-ovest, era lunga meno di nove palmi (ca.
m.2,00), dei quali due (ca.m.0,45) erano occupati dal locale destinato ai servizi, la cui larghezza non
raggiungeva i sette palmi (ca.m.1,50). Davanti alla legnaia vi era una <Loggetta> della stessa
lunghezza, larga meno di sei palmi (ca. m. 1,30), misura che comprendeva anche la grossezza
dell‟arco esterno, nel quale lateralmente era ricavata una <Credenzuccia>, utilizzata dal monaco
46
Cfr. Luca, Romualdina, pp146 r°-148 V°; Premuda, trad., pp.97 r°-99 r°
don Filippo Palmieri (ASCM-Manoscritti n°13. 1826. < Spicilegio di notizie Sulla Fondazione, e primato del
Sacr‟Eremo di Monte Corona>.
47
168
addetto per deporvi il cibo o ciò che serviva al monaco dimorante nella cella. Nel lato opposto vi
era l‟entrata. Dietro alla porta d‟ingresso vi era un altro <Armario> , incavato anche questo nel
muro, con lo <Sciacquatoio> vicino al quale si teneva la brocca dell‟acqua e un catino. La stessa
parete aveva una finestra la più grande di tutte, larga due palmi e alta tre (ca.m. 0,45 per 0,70). Le
altre tre finestre si aprivano, una, nella parete laterale della camera e, le restanti due, nella legnaia.
Le finestre nel rispetto della natura eremitica, erano chiuse con delle inferriate.
Nel 1536 i padri reputarono opportuno spostare la porta d‟ingresso che, aprendosi proprio di fronte
alla camera da letto, lasciava libero il passaggio ai venti; per lo stesso motivo furono costretti in
seguito ad abbandonare l‟uso della loggetta e ad allungare la legnaia, portandola alla stessa misura
della camera; fra i due ambienti frapposero un‟altra stanza, <Vestibolo>, per mezzo della quale si
accedeva ai due locali. Il locale quadrato della camera fu ulteriormente “ampliato”, tantoché il suo
lato arrivò a misurare quattordici palmi (ca.m. 3,10), il vestibolo della stessa lunghezza, era largo
otto palmi (1,75), mentre la legnaia, lunga quanto gli altri locali, era larga undici palmi (ca. m.
2,40). Il soffitto piano, e non più a volta, era composto da tavole di legno distese su dei travicelli,
appoggiati nel mezzo sopra una trave; l‟altezza rimaneva invariata, difatti le tavole si potevano
raggiungere alzando semplicemente le braccia, e così il piano che esse formavano fu utilizzato per
riporvi le vesti.
Questa forma di celle eremitiche era comune a tutto l‟eremo coronese ad eccezione delle celle
riservate agli eremiti che volevano vivere in reclusione48, le quali si differenziavano per essere poste
48
I Camaldolesi e anche i Camaldolesi di Monte Corona, prevedono, oltre alla normale condotta eremitica, quale
ultimo e massimo stadio di perfezione la reclusione. Questa osservanza era richiesta dagli eremiti che, avendo trascorso
almeno 5 anni da professi, erano ritenuti idonei a sopportarla e solitamente veniva intrapresa solo dai monaci piu‟
anziani ed esperti. La reclusione poteva essere temporanea oppure perperpetua e, qualora non fosse durata più di un
anno, si otteneva con il solo consenso del priore, se la durata superava però tale periodo, o addirittura era perpetua, la
decisione era presa in sede di Capitolo generale.
I reclusi, detti anche rinchiusi, se non richiesto dai Definitori, non avevavo voce attiva nel capitolo, non potevano essere
eletti né priori nè correttori, ossia visitatori, e neanche maggiori. (Lugano, La Congregazione, pp.168-9.)
Dalle costituzioni del 1670 apprendiamo inoltre:
<4. Sappiano poi i Rinchiusi, che ivi (nella cella) devono osservare perpetuo, e inviolabile silentio, di maniera che non
possono ascoltare, né parlare altrui, senza espressa licenza scritta, e sigillata dal suo Superiore, eccetto i giorni di S.
Martino, e la Domenica della Quinquagesima, nei quali per ricreatione, e carità, sarà lecito loro parlare con gli Eremiti
per una volta sola insieme.
5. Non possono mandare, né ricevere lettere di altri Eremiti, né di qualsivoglia persona senza saputa del Priore, e
contrafacendo, tanto nel mandare, quando nel ricevere, siano tenuti alla penitenza di un digiuno in pane, et acqua.
6. Diranno l‟Hore Canoniche nell‟Oratorio della propria Cella, non quando essi vogliono, ma osservino il segno della
Campana commune, tanto nelle divine, quanto nelle notturne Hore, che si dicono in Choro e le dichino con tutte quelle
cerimonie, e osservanze, che in queste Costituzioni, e Rubriche del Breviario si contengono. Nell‟oratorio portino
sempre il mantello, e nell‟entrare si asperghino d‟Acqua benedetta, da benedirsi ogni Domenica, o da portarvisi
benedetta dalla Chiesa. Non si scordino di pigliare l‟Indulgenza della Congregatione, et altre, se ve ne siano nelli loro
Oratorij.
7.Il Giovadì Santo uscendo alla Chiesa commune, si trovaranno con gli altri alla Messa, e sacra Communione, alla
Refettione, e al Mandato. Il Venerdì poi, et il Sabbato Santo staranno a Nona, et alla Messa insieme con gli altri:
vivendo tutto il restante dell‟anno riserrati. E se detti Rinchiusi non sono Sacerdoti, debbono stare alla Messa dei
169
nella parte più alta e riservata dell‟eremo, per essere dotate di un piccolo oratorio, utilizzato anche
per la celebrazione della messa, e per la recinzione dell‟orto che non era di siepe, ma in muratura.
L‟uso della recinzione in muratura cominciò ad estendersi a tutte le celle coronesi dopo la metà del
diciassettesimo secolo e nel 1694 fu esteso anche alle celle dei novizi. A partire dal 1592 tutte le
celle dell‟Eremo di Monte Corona furono provviste di oratorio, rimasero escluse solo le celle
destinate ai novizi, i quali, non avendo ricevuto l‟ordine sacerdotale, non necessitavano del predetto
ambiente.
Nel capitolo generale celebrato durante l‟anno 1607, furono dettate e debitamente trascritte negli
atti, le misure le e condizioni, nel rispetto delle quali si sarebbero dovute erigere, da quel momento
le celle. Tali disposizioni furono confermate anche nel capitolo successivo. I valori stabiliti per
limitare la proporzione delle celle coronesi furono però espressi secondo il sistema di misura del
tempo, ossia in scala di <Piedi e Semipiedi Perugini>. D. Filippo Palmieri trasformò il tutto nel
sistema in corso nel 1826 e cioè in <Palmi ed Oncie di Architettonico passetto Romano>. La
motivazione che mosse i Padri a tanto zelo nell‟uniformare le proporzioni della cella eremitica è
dichiarata negli stessi atti:
<Sapendo i Padri, che per gli Eremi nostri edificate si sono alcune Celle con diversi Modelli, e
considerando pure quanto convenevole sia lo essersi, per quanto si può, in ogni cosa uniformi,
ordinarono, che per lo avvenire tutte le solitarie Celle da fabbricarsi nei Luoghi nostri presenti, e
futuri, debbano avere le qui sotto annotate Condizioni, e misure, sotto pena di privazione della voce
attiva e passiva per chi contravvenisse. Le mura, si faccino della grossezza proporzionata alla
quantità dei cementi; intonacate pel di dentro, e quanto al di fuori, semplicemente arricciate (ossia
gregge, e rozze cioè, lo com‟altramente pur da muratori suole dirsi, stuccato a matton vivo, di
manieracché vi si ristucchino bensì opportunamente coll‟impasto di calce e arena, le incollate
Sacerdoti Rinchiusi, et assistendo servire, e con licenza del Superiore ivi communicarsi; le quali cose potranno ancora
esser fatte da un Sacerdote Eremita Aperto, che deputato dal Superiore, celebrarà nell‟Oratorio del Rinchiuso.
9. Finalmente ristringhino il vitto loro piu‟ degli altri: Si che in tutto il tempo dei digiuni Regolari, possino duplicare le
solite astinenze ciascuna settimana, senza altar licenza. E se con l‟aiuto di Dio pensaranno a vivere più strettamente,
debbano ottenerne il consenso del loro Superiore.
10. Sarà in arbitro di essi Rinchiusi, portare zoccoli scoperti, di andar scalzi, e di portare il cilicio per mortificazione
della carne.
11. Quelli, che si rinchiuderanno a tempo, non haveranno voce attiva in Capitolo: E quelli che vorranno perpetuamente
esser rinchiusi, non l‟haveranno, né attiva, né passiva>.
Regola di S. Benedetto E costitutioni, 1670, p.19.
L‟istituzione della Reclusione, trova ancora oggi la sua applicazione all‟interno della Congregazione coronese, per
quanto concerne la sua pratica nulla o quasi è cambiato, mentre il regolamento della sua concessione ha subito alcune
variazioni, ossia la reclusione temporanea, fino a un triennio, può essere concessa dalla Dieta o dal Consiglio Generale,
il Priore può permettere la reclusione per la durata di una Quaresima, mentre la reclusione perpetua è riservata al
Capitolo Generale. La costituzione vigente delega inoltre ai predisposti organi la facoltà di revocare la reclusione.
Regola di S. Benedetto- Costituzioni della Congregazione , 1990, parte prima, <l‟eremita”, cap. 5 <reclusione>, pp.1256.
170
fessure, o congiunture, tra una pietra e l‟altra, ma però in guisa, che l‟esteriore faccia o punte di
essi mattoni, o pietra, non restino coperte).
Tutte le finestre abbino ferrate; e internamente i vetri, e l‟imposta di legno, alte in modo, che dal di
fuori non si possa vedere il di dentro. Alla porta di tutta la cella vi siano due gradini; e poi dentro,
siavi tutto ad un istesso piano; E non possa farvisi piucche‟ quattro vani, il Vestibolo cioè nel
mezzo; da una parte l‟Oratorio, ossia Cappelletta, e la Cella per dormire; e dall‟altra il Legnaro.
Non siavi finestre, o foro alcuno, che ne corrisponda nell‟Orto della Cella vicina. (E nemmeno,
come pure usavasi, a poter in modo alcuno mirarne veruna finestra di qualsivoglia altra cella).
Nel Legnaro siavi una finestra sola; E così pure nel Vestibolo, d‟accanto alla di lui porta. La cella
per dormire sia nel Cantone fra Mezzodì e Levante, con due finestre, e il camino; E la Cappelletta
pure con due piccole finestre, una per parte della Icona, o quadro dell‟Altare. La camera, in cui si
dorme sia per quadro 14. Palmi (ca. m. 3,10). La Cappelletta sia larga nove Palmi (ca. m.2. la sua
lunghezza era uguale a quella della camera). Il di lei altare, lungo sette Palmie cinque once,
(ca.m.1,65) e tre once buone (ca.m.0,010). Il vestibolo pure della cella sia largo palmi 9
(ca.m.1,98); ed il Legnaro, nove palmi e dieci once (ca.m.2,20). Le porte sieno alte palmi 8. E tre
once (ca.m.1,839. Larghe, tre palmi e 3 once (ca.m.0,73).
Le finestre sieno alte palmi tre, ed oncie tre (ca.m.0,73); Larghe, poco meno di due palmi e mezzo
(ca.m. 0,50); eccetto le due della Cappella, che dovranno essere dell‟altezza medesima con le altre,
ma larghe solamente un palmo e otto oncie (ca.m.0,40). Le volte si faccino puramente sopra la
Cella, Cappelletta, e Vestibolo, E dal pavimento fino all‟altezza della volta, vi corrano palmi 9.
oncie 10.(ca.m.2,20). E sopra la volta immediatamente siavi la Copertura del tetto. Il Camino della
Cella sia nel Cantone per mezzo il letto, ed alto da terra poco piu‟ di quattro palmi (ca.m.0,90). Gli
Armari, o Buche, per i Vasi, nel Vestibolo, e nella cella sieno larghe poco meno di due palmi e
mezzo (ca. m. 0,50); alte, da tre palmi e tre oncie (ca.m.0,73). Nel resto poi, non debbono esservi ne
Cornici, ne Fascie, ne Dadi, ne altro Risalto nei muri, per adornmento; ma così dentro, che fuora,
tutto sodo e schietto. E così pure i lavori di legname, come Porte, Finestre, Lettiere ecc., siano
senza alcuna cornice, o adornamento; ma bensì doppie, e schiette, come realmente convienesi alla
Semplicità Eremitica.
Tali direttive non sempre furono rispettate scrupolosamente dagli eremiti e i Padri Superiori si
sforzarono di farle rispettare per mezzo di decreti, come quello emanato durante lo svolgimento del
capitolo generale del 1671 che riguardava proprio l‟Eremo nascente di Torre del Greco:
<Nella relazione delle Visite del Regno essendosi inteso, che nell‟Eremo della Torre (del Greco)
sieno state biancheggiate al di fuori a modo di taverne le muraglie grezze delle celle solitarie, e
171
dell‟altre fabriche, con ammirazione persino dei Secolari, hanno i padri definitori ordinato
espressamente, che subito giunto colà il nuovo Priore, debba in ogni modo levare via dessa
Imbiancatura>.
Oltre alle celle, disposizioni precise e talora ordinanze specifiche riguardavano anche la costruzione
della chiesa e delle altre fabbriche che componevano l‟eremo. Nel 1610, proprio mentre nel Regno
di Napoli erano in costruzione tre eremi, fu emanato un decreto (Atti capitolari, 6 maggio 1610) in
cui si legge:
<Vedendo i Padri che a poco a poco andiamo noi perdendo la Semplicità, che deve nello Stato
nostro Eremitico mantenersi anche circa le Fabriche; avendosene già riformate le Celle, hanno
essi ora dichiarato in ordine alle Chiese, (…) che tutte quelle da farsi pello avvenire in qualunque
luogo del Mondo, sieno conformi alla foggia delle fra noi più lodevolmente costruite, cioè con due
Cappelle Serrate. Vicino alla Porta grande; ed il Capitolo, e la Sacrestia, rispettivamente, dell‟una
e dalla altra banda Superiore del Santuario, o Presbiterio. Con i loro Vestiboli; Con l‟abitazione
del Sacrestano, e la Cappelletta pur‟ anche in Sacrestia; E nella Chiesa grande, un solo Altare. La
quale Chiesa nelle dimensioni di sua grandezza, o piccolezza, non debba scostarsi molto da quella
di M. Corona; Nella quale totalmente si proibiscono le risalite, o risalti, dei Pilastri, Capitelli,
Cornici, ed altri ornamenti simili, di molta spesa, ed al tutto contrari alla Semplicità dell‟Eremitico
nostro Istituto>.
Risulta evidente un costante invito dai parte dei superiori coronesi alla salvaguardia della semplicità
e della “essenzialità” delle diverse costruzioni dell‟eremo, che ha permesso, e permette ancora oggi,
agli eremi coronesi di distinguersi da analoghe costruzioni proprie di altri ordini monastici, e di
conservare le peculiarità architettoniche originali. Ad oggi è ancora possibile ammirare in buono
stato le celle eremitiche in quattro dei sette ex-eremi napoletani (Larino, Napoli, Nola, Vico) e
colpisce, oltre alla loro sobrietà e semplicità architettonica (talora snaturate da restauri fin troppo
aggressivi), la loro collocazione centrale rispetto all‟eremo, ma al tempo stesso discreta e riservata
rispetto alla imponenza della chiesa, posta quasi sempre in prossimità dell‟ingresso dei vari eremi.
Nel caso dell‟eremo dell‟Incornata di S. Angelo a Scala, dove non solo le soppressioni ma una vera
e propria distruzione delle fabbriche pose fine alla vita dell‟eremo, solo recentemente sono state
riportate alla luce le fondamenta delle celle e sono in corso gli scavi della Chiesa; la peculiarità
della disposizione topografica delle 17 celle di quest‟eremo (3 file da 4 celle ed una da 5) e che la
serie di cinque, e una parte degli edifici comuni, fossero poste in posizione rilevata rispetto al resto
del piano che accoglie le altre celle, adagiandosi l‟eremo sul pendio del monte che da lì va
innalzandosi, e ricordando la topografia degli eremi di Monte Corona e di Monte Rua, dove le
172
diverse celle sono disposte a gradoni, caratteristica questa che non riscontriamo negli eremi di
Napoli, Nola e Vico dove le celle sorgono su una spianata unica sulla sommità dei rispettivi rilievi
montuosi.
173
Sommario storico delle fondazioni coronesi dalle origini ai giorni nostri.
1515, 9 giugno: Fra Paolo Giustiniani riceve l‟indulto da Leone X per poter lasciare Camaldoli e
diffondere l‟eremitismo romualdino (ma per ora non se ne avvale)
1520, Paolo Giustiniani lascia Camaldoli e parte verso la Verna e poi verso Perugia.
1521, Eremo di S. Romualdo, S. Giuseppe delle Grotte del Massaccio (Iesi)
Leone X e il Duca di Urbino aiutano Paolo donando l‟Eremo di San Girolamo a Pascelupo
(Gubbio).
Don Desiderio, benedettino cassinese, lascia l‟Eremo di San Benedetto e San Pietro sul Monte
Cònero (Ancona) al beato Paolo e ai suoi compagni.
1522, 29 giugno, Camaldoli dona definitivamente a Paolo l‟Eremo delle Grotte del Massaccio;
Istituzione della nuova Congregazione presso il monastero di San Biagio di Fabriano. Riforma della
regola e dell‟abito (aggiunta di un mantello con bottone di legno affibiato al petto).
2 luglio nello stesso eremo fra Paolo, in forza dell‟indulto papale del 1515, veste con l‟abito
camaldolese i suoi primi 4 discepoli; (primo Girolamo da Sessa, al quale, nel 1559, Papa Paolo IV
voleva conferire la porpora cardinalizia).
L‟Abate Gabrieli dona l‟Eremo di San Leonardo al Volubrio (Monte Fortino, Fermo)
1522, Monastero di S. Maria dello Spirito Santo in Larino (Campobasso) (Innocenzio
Fiorentino, dona a Paolo l‟Eremo di Santa Maria dello Spirito Santo in Puglia).
174
1523, Badia del SS. Salvatore di Montecorona (Perugia)
11 dicembre 1523 instrumento della unione con Camaldoli; 1525 Unione annullata .
1524, Gennaio: si tiene il primo Capitolo Generale della nuova Congregazione a San Benedetto del
Monte Conero; dal 28 luglio al 2 agosto si tiene il secondo capitolo Generale a San Girolamo di
Pascelupo.
Donazione dell‟isola di Poveggia (Venezia) a Paolo nel 1524 (Eremo di San Clemente)
1528, Verso la metà di giugno fa visita a Clemente VII a Viterbo. Viaggio verso il Monte Soratte
dove sorge l‟antico eremo di San Silvestro, che da poco ha ricevuto in dono dal vescovo di Verona,
Giovanni Mattei Gilberti. 28 giugno: muore in questo stesso eremo e qui sarà sepolto.
1530, Abbandono degli Eremi pugliesi per la peste. Eremo di Santa Maria Maddalena.
1531, Eremo del SS. Salvatore di Montecorona (Perugia).
1537, Eremo della SS.Annunziata di Monte Rua (Padova).
1540, Nuova Unione; 1542, Unione dissolta
1559, Eremo di Bergamo
1560, Eremo di Ancona (Vincenzo, Vescovo di Ancona, donò alla Congregazione una Chiesa
dedicata a San Pietro apostolo nel Monte Conero. La donazione fu confermata da papa Pio V nel
175
1751 e da Gregorio XIII fu donata una selva attorno all‟eremo. Il padre Rodolfo da Verona fu il
primo priore.
1561 Nuova unione; 1565 Cardinale Protettore (Cardinale Angelo, fratello del Cardinale Farnese)
1576 Eremo dell’Incoronata (S. Angelo a Scala)
1578 Eremo di S. Leonardo (Ospizio alla Lungara; Roma)
1585, Eremo di San Salvatore a Prospetto (Napoli)
1596, Eremo di Herrera (Spagna)
1601, Eremo di S. Giovanni Battista Vicenza (Centrale, Padova)
1602, Eremo di S. Michele Arcangelo (Torre del Greco)
1603, Eremo di S.M. degli Angeli (Nola)
1604, Eremo in Polonia (Monte Argentino vicino Cracovia)
1607, Eremo di Frascati (attualmente Casa Generalitia della Congregazione)
176
1607, Eremo di S Maria in Jerusalemme (Vico Equense)
1608, Eremo del SS Salvatore (Monte Giove, Fano)
1617, Eremo di S. M. Annunziata (Rithuany) Cracovia.
1619, Eremo di S. Benedetto (Monte Tizzano, Bologna)
1628, Eremo di San Giuseppe (Kalemberg, Vienna; Nazione Germania-Ungheria)
1634, Nuova unione con Camaldoli; 1667, Unione annullata.
1637, Eremo di S. Leonardo (Gusago, Brescia)
1645, Eremo di S. Clemente. (Isola di San Clemente, Venezia).
1662, Eremo di San Giorgio di Garda (Bardolino)
1663, Eremo dei SS. Cinque Martiri (Casimiria, Gnesna, Polonia)
1664, Eremo di Bieniszen (Kazimier Biskup)
1665, Eremo di S.M. Assunta (del Filetto) (Conegliano, Ceneda)
177
1664, Eremo della Visitazione della B.V. (Parjise; Lituania)
1667, Eremo dell‟Immacolata Concezione (Wigri; Wilna)
1687, Eremo dell’Avvocata (Maiori, Salerno)
1692, Eremo di S. Giuseppe (Nitria, Zobar; Nazione Germania-Ungheria)
1694, Eremo di S. Michele (Canonica, Todi)
1700, Eremo di S. Michele Arcangelo (Lanser, Giavarino; Nazione Germania-Ungheria)
1705, Eremo di S. Antonio Abate (Strigonia, Lechniez, Nazione Germania-Ungheria)
1734, Eremo di S. Giovanni Nepomuceno (Maik, Giavarino, Nazione Germania-Ungheria)
1863, Eremo Patrocinio di S. Giuseppe (Monte S. Genesio, Milano)
1966, Eremo della Sacra Famiglia (diocesi di Steubenville; USA)
1969, Eremo della Santa Croce (Medellin; Colombia). Nel 1993 quest‟eremo fu abbandonato per
motivi di sicurezza sociale e ne venne fondato un altro sulla cordigliera delle Ande, sull‟altopiano di
S. Rosa di Osos.
2006, Eremo di Herrera (Spagna)
178
Lugano P. La Congregazione dei Camaldolesi di Monte Corona, 1908
179
D.Giuseppe, M. Cacciamani. Atlante storico-geografico camaldolese con 23 tavole
(secoli X-XX). Edizione Camaldoli 1963
Distribuzione geografica degli eremi coronesi campani in
S. Angelo a Scala (1577), Napoli (1584), Nola (1602),
Torre del Greco (1602), Vico Equense (1608) e Maiori
(1689).
Localizzazione geografica dell'eremo coronese di Santa
Maria dello Spirito Santo in Larino del 1523; l'altro eremo
camaldolese indicato in località Penne e l' Eremo di San
Nicolò e Biagio, 1054-1055.
180
3. Dati biografici del Beato Paolo Giustiniani e alcuni scritti
1476
15 giugno: nasce a Venezia l‟ultimo figlio di Francesco Giustiniani e Paola Malipieri, nobili
veneziani; gli viene imposto il nome di Tommaso.
1493
Tommaso si trasferisce a Padova dove frequenta i corsi universitari di filosofia e teologia. Stringe
amicizia con Vincenzo Quirini, Nicolò Tiepolo e altro.
1504
Una lunga malattia lo costringe a trascorrere periodi di convalescenza in montagna e contribuisce al
suo passaggio dalla filosofia e dalla teologia scolastica allo studio dei testi biblici e patristici.
1505
Verso la fine dell‟anno ritorna a Venezia.
1506
In giugno si ritira in una sua proprietà sull‟isola di Murano, dove, durante l‟estate, compone le
Cogitationes quotidianae de amore Dei.
1507
181
Emette privatamente il voto di castità e si prepara per un pellegrinaggio in Terra Santa. 4 giugno:
parte per la Terra Santa. 30 luglio: entra in Gerusalemme. Verso la fine dell‟anno ritorna a Venezia.
1508
Riprende i contatti con i vecchi amici (Vincenzo Quirini, Gaspare Contarini, Giovan Battista Cipelli
detto Egnazio, Nicolò Tiepolo, Paolo Canal e altri), un gruppo di cui diviene animatore spirituale.
Frequenta i camaldolesi (cenobiti) di San Michele di Murano.
1509
Matura insieme ai suoi amici la decisione di ritirarsi in un ambiente religioso, senza, però, emettere
i voti. Chiedono infine, ma senza successo, di essere accettati come oblati nell‟abbazia benedettina
di Praglia.
1510
1 giugno: parte per una visita di esplorazione a Camaldoli. 4 luglio: arriva all‟Eremo di Camaldoli.
6 agosto: lascia Camaldoli con l‟intenzione di ritornarvi. Comprende la necessità di un impegno
totale nella vita monastica. 6 dicembre: parte definitivamente per il Sacro Eremo dei Camaldoli. 25
dicembre: veste l‟abito camaldolese ricevendo il nome di fra Paolo.
1511
Fa il suo anno di noviziato. In autunno arrivano all‟eremo gli amici Vincenzo Quirini e Sebastiano
Zorzi, che prendono l‟abito. Quirini diventa fra Pietro. Dopo qualche tempo, per giustificare il loro
ingresso nell‟eremo senza una precedente prova in un cenobio, il Giustiniani scrive la Lettera a
Francesco Boni.
1512
8 agosto: emette la professione religiosa insieme a Quirini e Zorzi.
182
1513
Fra Paolo e fra Pietro vengono nominati da Leone X definitori al Capitolo Generale che verte sulla
riforma dell‟Ordine. Il Capitolo si tiene a Firenze. In autunno scrive il Libellus ad Leonem X, sulla
riforma della Chiesa, e il Trattato sull‟obbedienza.
1514
23 settembre: a Roma, nelle braccia di fra Paolo, muore fra Pietro Quirini.
1515
9 giugno: riceve da Leone X l‟indulto per poter lasciare Camaldoli e diffondere l‟eremitismo
romualdino, ma per ora non ne fa uso.
1516
Durante una reclusione di quaranta giorni, compone la Regola della vita eremitica. In settembre
visita la tomba di san Romualdo a Fabriano e l‟eremo delle Grotte di Massaccio (Cupramontana),
da poco diventato proprietà di Camaldoli.
1518
A Natale viene ordinato sacerdote.
1519
Il 28 luglio viene eletto Maggiore dell‟Eremo di Camaldoli.
1520
183
Nell‟estate, insieme ad altri importanti scritti monastici, viene stampata la Regola della vita
eremitica, ampliata e approvata dalla comunità del Sacro Eremo. 20 settembre: fra Paolo parte da
Camaldoli. Dopo aver fatto tappa a la Verna, a La Fratta (Umbertide), a Gubbio e a San Girolamo
di Pascelupo, si stabilisce con alcuni compagni nell‟eremo delle Grotte.
A Gubbio, l‟eremita Tommaso lo convince di non andare nelle Indie occidentali, ma di prendersi
cura degli eremiti d‟Italia. Sempre a Gubbio, incontra il canonico Galeazzo Gabrielli (nipote del
Cardinale di Urbino), anch‟egli preso da un gran desiderio di vita eremitica.
1521
11 gennaio: gli eremiti del Sacro Eremo di Camaldoli concedono a fra Paolo l‟eremo delle Grotte di
Massaccio. L‟8 aprile Papa Leone X gli dona l‟eremo di San Girolamo di Pascelupo. Don
Desiderio, benedettino cassinese, lascia l‟eremo di San Benedetto sul Monte di Ancona (Monte
Conero) al beato Paolo e ai suoi compagni.
1522
In maggio, fra Paolo, in seguito a calunnie, viene tenuto in carcere per sedici giorni, prima della
prigione pubblica di Macerata, poi nel convento dei Francescani della stessa città. 29 giugno:
cessione definitiva delle Grotte da parte dei Camaldoli. 2 luglio: nell‟eremo delle Grotte fra Paolo,
in forza dell‟indulto papale del 1515, veste con l‟abito camaldolese i suoi primi quattro discepoli:
tra questi c‟è Girolamo da Sessa, medico molto stimato.
1523
9 dicembre: le più alte autorità dell‟Ordine Camaldolese, radunate nel monastero di San Biagio di
Fabriano, riconoscono ufficialmente gli eremiti di fra Paolo, col nome di ”Compagnia degli Eremiti
di San Romualdo”; accolgono nell‟Ordine la nuova istituzione e, allo stesso tempo, le concedono
ampia autonomia.
1524
184
Gennaio: si tiene il primo Capitolo Generale della nuova Congregazione a San Benedetto del Monte
Conero. Fra Paolo viene eletto Maggiore. Si approvano le nuove Costituzioni, cioè la Regula over
institutione eremitica. 17 marzo: Clemente VII concede alla Compagnia degli eremiti di San
Romualdo i benefici ecclesiastici finora goduti dal Gabrielli. Questa donazione costituisce il
fondamento economico per l‟ulteriore sviluppo della Congregazione.
Dal 28 luglio al 2 agosto si tiene il secondo Capitolo Generale a San Girolamo di Pascelupo. Fra
Paolo viene rieletto Maggiore. 1 agosto: Galeazzo Gabrielli veste l‟abito religioso e prende il nome
di fra Pietro da Fano.
7 agosto: durante la celebrazione della Santa Messa a San Girolamo, il beato Paolo è favorito di
un „alta esperienza mistica, da lui testimoniata e teologicamente meditata nel trattato intitolato
Secretum meum mihi. La luce di Dio lo invade al ricordo della parola del salmo 72 nell‟edizione
della Vulgata: “Ad Nihilum reductus sum et nescivi”.49
Il 16 agosto, trovandosi ancora a San Girolamo, scrive al Maggiore dell‟eremo di Camaldoli per
chiedergli una tavola inutilizzata raffigurante il Crocefisso con ai piedi Girolamo, il cardinale
eremita di Betlemme; egli supplica pure che gli venga inviata una copia del Corano.
1525
Si tiene il terzo Capitolo Generale nell‟eremo di San Leonardo sui Monti Sibillini. Fra Paolo
rinunzia pubblicamente ai vari privilegi concessigli dalla Santa Sede. Durante l‟estate visita
Camaldoli per difendere gli interessi degli eremiti del Sacro Eremo. Lo stesso avviene due anni più
tardi.
1526
Da febbraio ad aprile fra Paolo accoglie negli eremi delle Grotte e di San Girolamo i fratelli
Tenaglia, fondatori dei Cappuccini.
1527
49
Fr. Louis-Albert Lassus, Il Beato Paolo Giustiniani
185
6 maggio: si trova a Roma, insieme agli amici che lo ospitano, San Gaetano da Thiene e Pietro
Carafa, durante il “sacco”, e scampa a stento alla morte.
1528
Verso la metà di giugno fa visita a Clemente VII a Viterbo. In questi giorni viene colpito dalla peste
e corre pericolo di vita. Riavutosi alquanto, si mette in viaggio verso il monte Soratte, dove sorge
l'antico eremo di san Silvestro, che ha da poco ricevuto in dono dal vescovo di Verona, Giovanni
Mattei Gilberti. Ma, giunto lassù, ricade gravemente malato.
28 giugno: muore in questo stesso eremo e qui viene sepolto. I suoi figli spirituali ne hanno sempre
onorato la memoria con il titolo di “Beato”.
186
Preghiere per ottenere la conoscenza di se stesso scritte dal Beato Paolo Giustiniani.
<Signore Gesù, che sei la luce senza la quale nessuna cosa è illuminata, che solo vedi quali tenebre
mi attorniano, io non oso dirti: Dammi la luce perché veda la tua luce; mi basta che tu mi faccia
vedere le mie tenebre. Io sono cieco al punto di non avvedermene neppure: le scambio per luce.
Sono così immerso nell’errore da non comprendere il mio errore: scambio la menzogna per la
verità. Sono preso talmente dalla morte che quantunque ferito, tutto coperto di ulceri, non sento
il mio male e le mie ferite. Fa che torni in me stesso; nella mia miseria mi sono allontanato non
solo da te, ma anche da me stesso; sono divenuto straniero a me stesso. Fammi tornare in me
stesso, affinché possa quindi venire a te. Fammi conoscere le mie tenebre, affinché in seguito
possa guardare la luce: se non riconosco prima la miseria, non potrò ricorrere alla tua
misericordia. Per colpa dei miei peccati sono ridotto a un nulla al cospetto della tua Maestà: fa’
che io divenga un nulla anche dinanzi a miei occhi, fa’ che io mi disprezzi assolutamente, che
misuri tutta la mia impurità. Io sarò un nulla dinanzi ai tuoi occhi finché non sarò un nulla dinanzi
ai miei; non mi potrò risollevare dalla mia miseria finché non la conoscerò. Perciò io non ti dirò
come Mosè: ”Mostrati a me”; ti dirò solamente : Mostra me a me stesso”>
<”Il Signore”, come dice un salmo, “rialza coloro che cadono”. Io sono caduto, o Signore, e non
cesso di cadere. Mi sono separato da te e da me stesso, per ravvoltolarmi nei più vili piaceri.
Guarda in quale abisso di iniquità mi sono sprofondato; se avessi speranza solo in me, non ne
uscirei mai più. Se riguardassi le mie iniquità, esiterei a sperare in Dio. Ma se considero la tua
misericordia, la mia speranza non ha più limiti. “Il Signore rialza colore che cadono “: ecco che
sono caduto, che cado sempre più in basso. Rialzami, o Signore, stendimi la mano della tua
misericordia. Nel cadere mi sono rovinato, infranto e insudiciato. Chi mi raccoglierà e mi
purificherà? Chi mi renderà l’innocenza e la tranquillità? L’anima mia spera nel Signore, pone la
sua fiducia in lui, perché è lui che rialza coloro che sono caduti. Rialzami, o Signore, mi sento
schiavo delle mie iniquità, tutto il mio sguardo è fisso nel male. Ma sono il tuo servo, la tua
creatura, tuo Figlio mi ha riscattato con il suo sangue. Ecco che la tua creatura, dal fango delle sue
impurità, piangendo, ti chiede di adempiere la parola del tuo profeta, o meglio del tuo stesso
Spirito: “Il Signore rialza coloro che cadono”. Questa parola, che è il fondamento di tutta la mia
187
speranza, non mi stancherò di ripeterla. Signore, io sono caduto, ma tu sei il mio Dio e il mio Re;
secondo l’infinita misura della tua grandezza e della tua bontà senza limiti, rialzami ed io
resusciterò>50
50
F+233
188
IL REGIME ALIMENTARE NEL PRIMO MONACHESIMO CRISTIANO
La trattazione è strutturata in quattro parti:
1. Nella prima si esaminano le regole monastiche (occidentali) latine prebenedettine e la
regola di s. Benedetto, cercando di coglierne le disposizioni riguardanti il regime
alimentare dei religiosi
2. Nella seconda parte si passano in rassegna le testimonianze più rilevanti della letteratura
agiografica - comprendendo con questo termine tanto le vite dei santi propriamente dette che
i ritratti commemorativi, scritti ad esempio da Girolamo, delle figure più esemplari degli
asceti (suoi contemporanei)– alla ricerca di eventuali precedenti come pure di soluzioni
differenti rispetto alle evidenze rintracciate nelle regole monastiche, e nel tentativo di
inquadrare le disposizioni individuate nelle regole monastiche nel più ampio contesto delle
prese di posizione degli ambienti cristiani
3. La terza parte è dedicata ad una rapida esposizione delle teorie mediche dell‟antichità in
riferimento alle prescrizioni alimentari, con l‟obiettivo di rintracciare un eventuale
fondamento scientifico sotteso alle disposizioni impartite ai religiosi dalle regole monastiche
4. Seguono da ultimo sintesi e conclusioni
1. Regole Monastiche
Il tema dell‟alimentazione dei monaci e del regime alimentare in generale trova ampio spazio
nelle regole monastiche, in particolare nei passi di seguito riportati:
1.1 AGOSTINO
Nel Praeceptum manca un capitolo espressamente dedicato a prescrizioni sul regime alimentare
da osservarsi in monastero: Agostino comunque formula considerazioni al riguardo ogni volta che
gliene capita l‟occasione.
Nel primo capitolo, dedicato all’esposizione del fine della comunità monastica e dei mezzi
necessari a conseguirlo, si raccomanda al preposto di distribuire il cibo tenendo
conto delle differenti esigenze fisiche dei confratelli, seguendo l’insegnamento degli
Apostoli51:
distribuatur unicuique uestrum a praeposito uestro uictus et tegumentum, non
aequaliter omnibus, quia non aequaliter ualetis omnes, sed potius unicuique sicut
cuique opus fuerit. sic enim legitis in actibus apostolorum, quia erant illis omnia
communia et distribuebatur unicuique sicut cuique opus erat. qui aliquid habebant in
saeculo, quando ingressi sunt monasterium, libenter illud uelint esse commune. qui
autem non habebant, non ea quaerant in monasterio quae nec foris habere potuerunt.
sed tamen eorum infirmitati quod opus est tribuatur, etiam si paupertas eorum, quando
foris erant, nec ipsa necessaria poterat inuenire.
tantum non ideo se putent esse felices, quia inuenerunt uictum et tegumentum, quale
foris inuenire non poterant. (1, 3-5)
Altre prescrizioni trovano posto nella trattazione delle pratiche di mortificazione dove emergono
preoccupazioni morali, ma anche riguardo per la costituzione fisica dei confratelli che richiede
differenti attenzioni per le abitudini più agiate contratte nella condizione sociale di provenienza
come pure per malattia.
51
Cfr. L. VERHEIJEN, La Regola di S. Agostino. Studi e ricerche, Palermo 1986, pp. 71-79; 132-135
189
carnem uestram domate ieiuniis et abstinentia escae et potus, quantum ualetudo
permittit. quando autem aliquis non potest ieiunare, non tamen extra horam prandii
aliquid alimentorum sumat, nisi cum aegrotat. (...) qui infirmi sunt ex pristina
consuetudine, si aliter tractantur in uictu, non debet aliis molestum esse nec iniustum
uideri, quos facit alia consuetudo fortiores. nec illos feliciores putent, quia sumunt quod
non sumunt ipsi, sed sibi potius gratulentur, quia ualent quod non ualent illi. et si eis,
qui uenerunt ex moribus delicatioribus ad monasterium, aliquid alimentorum,
uestimentorum, stramentorum, operimentorum datur, quod aliis fortioribus et ideo
felicioribus non datur, cogitare debent quibus non datur, quantum de sua saeculari uita
illi ad istam descenderint, quamuis usque ad aliorum, qui sunt corpore firmiores,
frugalitatem peruenire nequiuerint. nec debent uelle omnes, quod paucos uident
amplius, non quia honorantur, sed quia tolerantur, accipere, ne contingat detestanda
peruersitas, ut in monasterio, ubi, quantum possunt, fiunt diuites laboriosi, fiant
pauperes delicati. sane, quemadmodum aegrotantes necesse habent minus accipere ne
grauentur52, ita et post aegritudinem sic tractandi sunt, ut citius recreentur, etiam si de
humillima saeculi paupertate uenerunt, tamquam hoc illis contulerit recentior
aegritudo, quod diuitibus anterior consuetudo. sed cum uires pristinas reparauerint,
redeant ad feliciorem consuetudinem suam, quae famulos dei tanto amplius decet,
quanto minus indigent. nec ibi eos teneat uoluptas iam uegetos, quo necessitas leuarat
infirmos.
illi se extiment ditiores, qui in sustinenda parcitate fuerint fortiores; melius est enim
minus egere, quam plus habere. (3, 1-5)
Nella sezione dedicata ai confratelli che non stanno fisicamente bene – siano essi ammalati,
convalescenti o comunque sofferenti- si dispone che il confratello addetto alla loro cura possa
prelevare dalla dispensa ciò che giudicherà necessario a ciascuno.
aegrotantium cura, siue post aegritudinem reficiendorum, siue aliqua inbecillitate,
etiam sine febribus, laborantium, uni alicui debet iniungi, ut ipse de cellario petat, quod
cuique opus esse perspexerit.
siue autem qui cellario, siue qui uestibus, siue qui codicibus praeponuntur, sine
murmure seruiant fratribus suis. (5, 8-9)
Dai passi sopra riportati del Praeceptum emergono le seguenti preoccupazioni:
A. Due di carattere morale:
1. “domare la carne con digiuni53 ed astinenze” (Aug., praec. 3, 1);
2. I confratelli che provengono da un ambiente sociale modesto sono messi in guardia da Agostino
per il fatto di poter disporre in monastero di quanto da laici doveva essere al di là delle loro
possibilità54 (Aug., praec. 3,3-4): questo ammonimento conforta nel ritenere il regime
alimentare dei monaci non particolarmente esiguo, almeno se paragonato alle condizioni di vita
della popolazione povera del tempo;
B. Altre di carattere medico:
1. Agostino raccomanda di fornire cibo secondo le necessità fisiche dei singoli (Aug., praec. 1, 3).
Sono concessi comunque dei riguardi (anche culinari) a quanti provengono dai ceti abbienti,
come a individui di costituzione delicata, ed ai malati55 perché possano recuperare al più presto
52
cfr. VERHEIJEN, La Regola cit., pp. 299-300
cfr. Aug., serm. 205, 2; 207, 2; 209, 3 e quanto argomenta L. VERHEIJEN, La Regola di S. Agostino. Studi e ricerche, Palermo
1986, pp. 138-140, in particolare p. 140 “il digiuno implica nella pratica l‟omissione del prandium e l‟astinenza da carne e vino”
54
cfr. VERHEIJEN, La Regola cit., pp. 133-134; cfr. pure I. Gobry, Storia del monachesimo, Roma 1991, vol. I, p. 525
55
cfr. VERHEIJEN, La Regola cit., pp. 142-143; cfr. pure Gobry, Storia cit., vol. I, p. 526
53
190
il vigore, con la cautela che una volta guariti il piacere non li tenga schiavi del tenore di vita di
cui avevano beneficiato durante la malattia (Aug., praec. 3, 1; 3, 3; 3, 5; 5, 8);
2. “A domare la carne” valgono bene i digiuni e le astinenze dal mangiare e dal bere 56, ovviamente
nella misura permessa dalla salute di ciascuno (Aug., praec. 3, 1). In particolare, come già
rilevato da L. Verheijen, il Praeceptum prevede per quanto riguarda il digiuno nel monastero,
tre situazioni:
 coloro che godono di buona salute digiunano, prendendo solo un pasto, la cena;
 coloro che, pur senza essere ammalati hanno una salute meno robusta, non digiunano e
consumano verso mezzogiorno la colazione;
 coloro che sono proprio malati hanno diritto alla cena come tutti, e al prandium come alcuni;
hanno poi il diritto di mangiare anche fuori da questo prandium che già costituisce un favore57.
1.2 REGULA QUATTUOR PATRUM
Nel discorso di Pafnuzio è possibile rintracciare un riferimento all‟alimentazione, sia pur
estremamente generico (non viene indicata alcuna norma sul regime alimentare, sulla quantità e
qualità dei cibi, sul divieto di consumare carne o bere vino). L‟anziano abate, disciplinando le
incombenze necessarie al funzionamento della comunità, stabilisce che nel monastero si mangi una
volta al giorno dopo le tre del pomeriggio, tranne la domenica. La disposizione sembra vigente per
tutto l‟anno senza variazioni stagionali58.
Nec hoc tacendum est, qualiter ieiuniorum ordo tenendus sit. Nec aliud huic firmum
testimonium convenit nisi in eo quod dicit: Petrus autem et Iohannes ascendebant in
templum circa horam orationis nonam. Debent ergo iste ordo teneri ut nullo die nisi
nona reficiatur in monasterio excepto dominica die. (3, 2-5)
Nell‟indicazione delle qualità necessarie al confratello da designare come cellerario della
comunità si precisa che questi deve essere morigerato in modo da non approfittare del ruolo che
riveste:
qualis debeat esse qui cellarium fratrum contineat. Debet talis eligi qui possit in
omnibus guilae suggestionibus dominari, qui timeat Iudae sententiam, qui ab initio fur
fuit. (3, 23-25)
Dai passi letti emerge pertanto un‟attenzione di carattere morale nei confronti del cibo:
il cellerario non deve essere particolarmente sensibile alle sollecitazioni della gola per non
cadere nella tentazione di sottrarre di nascosto i viveri del monastero a soddisfare i propri
desideri (R. IV P. 3, 23-25);
 i confratelli del monastero ricevono un unico pasto al giorno dopo nona secondo l‟esempio
degli Apostoli, stimolo a praticare le virtù della povertà e dell‟umiltà (R. IV P. 3, 2-5).
1.3 REGOLA DI MACARIO
Non è presente un capitolo appositamente dedicato a prescrizioni sul regime alimentare da

osservarsi in monastero e le notizie al riguardo vanno desunte per via indiretta da alcuni accenni del
testo della regola. All‟inizio della regola c‟è la descrizione, in un ritratto idealizzato, delle
caratteristiche dei monaci e tra le altre virtù si dice che i monaci sono:
56
Cfr. al riguardo quanto scrive VERHEIJEN, La Regola cit., pp. 138-143
VERHEIJEN, La Regola cit., p. 252
58
cfr. La Regola di s. Benedetto e le Regole dei Padri, a cura di S. Pricoco, Milano 1995, p. 287-288
57
191
in ieiunio hilares (2,7)
Nella sezione dedicata a prescrizioni di legislazione penale, notevolmente severa, tra le pene
comminate figura anche il digiuno, accanto alla scomunica :
ergo ex qualibet causa quis peccaverit frater, ab oratione suspendatur et ieiuniis
distringatur (26, 1-2)
Nel penultimo capitolo, a conclusione della legislazione penale della regola, si comminano
sanzioni a chi infrange il digiuno del mercoledì e venerdì, indice di un possibile rilassamento dei
costumi59:
ita et hoc observandum est quod quarta et sexta feria qui infrangunt ieiunium gravem
sibi poenam adquirunt (29)
Dai pochi passi precedenti emerge che nella comunità cui era destinata la regola di Macario si
praticava il digiuno senz‟altro il mercoledì ed il venerdì (R. Mac.2, 7; 29). Questo dato, combinato
con l‟inclusione della pena del digiuno comminata al confratello che commette infrazioni (R. Mac.
26, 1-2), lascia supporre che negli altri giorni della settimana fossero verosimilmente consentiti
pranzo e cena. L‟esiguità delle notizie desumibili dalla regola impedisce, però, di precisare se
queste disposizioni fossero in vigore tutto l‟anno oppure fossero soggette a variazioni
stagionali/legate al calendario liturgico.
1.4 REGOLA ORIENTALE
Le annotazioni sul regime alimentare da osservarsi in monastero e le precrizioni aventi un qualche
riferimento al cibo si trovano sparse nel corso della regola.
Nei divieti che riguardano il comportamento quotidiano dei fratelli si legge tra l‟altro:
Nihil in cella sua absque praepositi iussione quispiam habeat, nec poma quidem
vilissima et cetera huiuscemodi. (4, 2)
Qui autem coquinat, antequam fratres reficiant, non gustabit quicquam (6)
Degli ammonimenti con contenuti alimentari si possono leggere anche tra i precetti ed i divieti del
lunghissimo capitolo diciassette dedicato alla figura del preposto, il sostituto dell‟abate.
1. praepositus vero non inebrietur
5. dominetur carni suae iuxta mensuram sanctorum
12-14. non sit fraudulentus neque in cogitationibus verset dolos nec neglegat peccatum
animae suae nec vincatur carnis luxuria
26. non relinquat verum lumen propter modicos cibos
59
cfr. La Regola di s. Benedetto cit., p. 300
192
41. ne respiciat dapes lautioris mensae
44. non inebrietur vino sed humilitati iunctam habeat veritatem (17)
Disposizioni relative al cibo si possono rintracciare pure nel capitolo dedicato al cellerario, dove
si descrivono le mansioni attribuite ed i requisiti richiesti a chi deve ricoprire questo importante
ruolo nel monastero. Si ribadisce la necessità che questi conservi diligentemente quanto si trovi in
monastero per il sostentamento dei fratelli, evidentemente resistendo alla tentazione di sottrarre
qualcosa a suo uso esclusivo. Gli si raccomanda di considerare bisogni e fatiche dei confratelli
ammalati e, a proposito delle vivande da consegnare agli addetti per le necessità quotidiane, si
annoveranto anche condimenti :
cellararii vero cura sit ut abstinentiam et sobrietatem studens inlata in monasterio ad
sumptus fratrum diligenter et fideliter servet, nihil suscipiens nec quicquam tradens sine
auctoritate vel seniorum consilio. (...) Ad victum vero fratrum (cellararius)proferat et
tradat septimanariis. Ad condiendos cibos det necessaria secundum cotidianae
expensae consuetudinem, neque profuse neque avare, ne vitio ipsius vel monasterii
substantia gravetur, vel fratres patiantur iniuriam. Sed et necessitatem infirmorum
fratrum ac laborem considerans, nihil aegrotantium desideriis neget ex his quae
habuerit quantum illis necesse fuerit. Advenientibus diversis fratribus escas parabit.
Haec erit cura custodis cellararii, recurrens semper ad seniorum consilium et requirens
de omnibus, vel praecipue de his quae proprio suo intellectu non potuerit adimplere.
(25)
Nel regolamento penale accanto alla scomunica dai riti religiosi è prevista come sanzione anche la
privazione del cibo, pena comminata allorché i precedenti tentativi correzionali – rimprovero
dell‟abate in privato, rimprovero di pochi anziani in privato, castigo pubblico - avessero dato esito
infruttuoso :
Quod si nec sic emendaverit, excommunicetur et non manducet quicquam (32, 4)
Nell‟impartire disposizioni su questioni relative alla mensa (nei capitoli che vanno dal trentasei al
trentanove) si vieta agli addetti alla cucina di prepararsi pietanze differenti da quelle destinate alla
comunità :
ministri vero absque his quae in commune fratribus praeparata sunt, nihil aliud
comedant nec mutatos cibos sibi audeant praeparare (38,2)
Nella stessa sezione della regola è affrontato anche il problema del vitto degli ammalati cui
sembra venga concesso quanto necessario :
nemo plus alteri dabit quam alteri accepit. Quod si obtenditur infirmitas, praepositus
domus perget ad ministros aegrotantium et his quae necessaria sunt accipiet (39)
Un‟ulteriore disposizione riconducibile in qualche modo al cibo la si può leggere nella norma
relativa al comportamento da tenere nell‟orto, quasi a sottolineare che nessuno deve mangiare fuori
orario e soprattutto di nascosto, „furtivamente‟ :
nullus de horto tollat holera, nisi ab ortolano acceperit (43)
193
I passi esaminati confortano nel ritenere che l‟estensore della regola abbia avuto presenti due
preoccupazioni associate con il tema dell‟alimentazione:
1. una preoccupazione di carattere morale che può essere collegata:
a) al desiderio di dominare la carne sull‟esempio dei santi (R. Or.17, 26; 17, 41)
b) al timore del furto per procacciarsi cibo in momenti e in quantità non consentiti (R. Or. 4, 2; 6;
25, 1; 38, 2; 43);
c) alla considerazione dell‟ebbrezza come contraria alla virtù monastica per eccellenza dell‟umiltà
e al discernimento della verità (R. Or. 17, 1; 17, 44);
d) al digiuno come pratica di correzione (R. Or. 32, 4)
2. una preoccupazione di carattere medico che si può rintracciare nelle prescrizioni a favore dei
confratelli malati, in particolare nella raccomandazione di soddisfare i loro desideri
considerandone attentamente bisogni e fatiche (R. Or. 25, 8), concedendo comunque quanto
necessario (R. Or. 39)
Per quanto concerne più nel dettaglio cibi, bevande e pasti la mancanza di una sezione
appositamente dedicata all‟alimentazione dei monaci condiziona le informazioni, inevitabilmente
parziali ed incomplete, che si debbono trarre necessariamente dai capitoli della regola dedicati ad
altri argomenti. Si può affermare comunque quanto segue:
tra i cibi dovevano essere presenti almeno frutta (R. Or. 4, 2) e verdura (R. Or. 43);
in monastero si doveva fare uso ogni giorno di condimenti (R. Or. 25, 6);
 sulla tavola doveva trovare posto anche il vino (in R. Or. 17, 1 e 17, 41 si parla di ubriachezza,
cioè di eccesso di consumo di vino);
 il riferimento al digiuno come pratica correzionale (R. Or. 32, 4) lascia supporre una
distribuzione degli alimenti articolata, almeno in via ordinaria, in due pasti, pranzo e cena.
1.5 TERZA REGOLA DEI PADRI


Nella Terza Regola dei Padri manca un paragrafo specificamente dedicato a prescrizioni sul
regime alimentare. Qualche vaga notizia si ricava per via indiretta dalle norme della legislazione
penale quando si parla delle punizioni che spettano a
quis vero extra conscientia abbatis vel praepositi quocumque locum egressus gulae vel
ebrietati se sociaverit (9)
1.6 CESARIO DI ARLES
Nella Regola alle vergini accanto a notazioni sporadiche e marginali esiste un capitolo
espressamente dedicato all’ordinamento dei pasti - dove si possono leggere prescrizioni
più puntuali anche sui singoli alimenti - oltre ad un capitolo che contiene disposizioni
specifiche sull’orario dei pasti in monastero nel corso dell’anno. Le prime notazioni
riguardanti il cibo, più in particolare il vino, si trovano nel capitolo che descrive le
mansioni delle consorelle addette alla cucina, cui l’estensore della regola concede un
bicchiere di vino puro in più a ricompensa della loro fatica:
Quae coquent, singuli illis meri pro labore addantur (14, 1)
Anche dalle disposizioni riguardanti il trattamento delle sorelle malate si possono ricavare
interessanti notizie per ciò che concerne il regime alimentare monastico:
194
Aegrotantes vero sic tractandae sunt, ut citius convalescant, sed cum vires pristinas
reparaverint, redeant ad feliciorem abstinentiae consuetudinem (22, 3-4)60
Aegrotantium cura sive aliqua imbecillitate laborantium uni satis fideli et conpunctae
debet iniungi, quae de cellario petat quodcumque opus esse praespexerit (32, 1)
Et si hoc necessitas infirmarum exegerit, et matri monasterii iustum visum fuerit, etiam
cellariolum et coquinam suam infirmae in commune habeant (32, 3)61
Alle malate sono assimilate nelle attenzioni le sorelle abituate nella loro famiglia di provenienza
ad un regime alimentare più delicato e che, forse per la più rigida dieta monastica, soffrono spesso
di languori allo stomaco: a loro va dispensato quanto occorre per la propria salute
Illud ante omnia te, sancta mater, et venerabilis quaecumque fueris praeposita, etiam
quicumque cura committenda est infirmarum, primiceriam etiam vel formariam
ammoneo et contestor, ut vigilantissime consideretis, et si sunt aliquae de sororibus
quae, pro eo quod delicatius nutritae sunt, aut defectiones forsitan stomachi frequentius
patiuntur et sicut reliquae abstinere non possunt, aut certe cum grandi labore ieiunant,
si illae propter verecundiam petere non praesumunt, vos eis iubeatis a cellarariis dari,
et ipsis ut accipiant ordinetis. Et certissime confidant, quod quicquid dispensante aut
iubente seniore qualibet hora perceperint, in illa repausatione Christum accipiant. (42,
1-4)
Si possono leggere altre notizie sul vino nel capitolo in cui si descrivono le caratteristiche
della dispensiera:
ante omnia coram Deo et angelis eius obtestor, ut nulla de sororibus vinum occulte aut
emat aut undecumque transmissum accipiat (30,4)
sed quod transmissum fuerit, praesente abbatissa vel praeposita posticiariae accipiant
et canavariae tradant ; et per ipsius dispensationem secundum institutionem regulae
illi, cui transmissum est, quomodo infirmitati suae convenit, ita dispensetur. (30, 5-6)
et quia solet fieri, ut cella monasterii non semper bonum vinum habeat, ad sanctam
abbatissae curam pertinebit, ut tale vinum provideat, unde aut infirmae, aut illae quae
sunt delicatius nutrire palpentur (30,7-8)
Un ulteriore riferimento, per quanto generico, all’alimentazione lo si può rintracciare nel
divieto di fare banchetti in monastero:
Convivium etiam his personis, hoc est episcopis, abbatibus, monachis, clericis,
saecularibus viris, mulieribus in habitu saeculari, nec abbatissae parentibus, nec
alicuius sanctimonialis numquam, nec in monasterio, vel extra monasterium
praeparetis. Sed nec episcopo huius civitatis, nec provisori quidem ipsius monasterii
convivium fiat. De civitate vero nec religiosae feminae, nisi forte sint magnae
60
cfr Aug., praec 3, 5
61
cfr Aug., praec 5, 6-7-8
195
conversationis et quae monasterium satis honorent; et hoc rarissime fiat. Si quam
tamen de alia civitate ad requirendam filiam suam aut ad visitandum monasterium
venerit, si religiosa est et abbatissae visum fuerit, debet ad convivium vocari, reliquae
penitus numquam, quia sanctae virgines et Deo devotae magis Christo vacantes pro
universo populo debent orare, quam corporalia convivia praeparare (39-40, 2)
convivium nec episcopo istius civitatis, nec alterius, nec ulli virorum, sicut in hac
regula statuimus, praeparetur (53)
La distribuzione dei pasti in monastero nel corso dell‟anno è illustrata nel capitolo che tratta del
digiuno :
IEIUNIUM. A pentecoste usque ad kalendas septembris ab hinc eligite quomodo
debeatis ieiunare, id est quomodo virtutem vel possibilitatem viderit mater monasterii,
sic studeat temperare. A kalendis septembris usque ad kalendas novembris secunda,
quarta, sexta feria ieiunandum est. A Kalendis vero novembris usque ad natalem
domini, exceptis festivitatibus vel sabbato, omnibus diebus ieiunare oportet. Ante
epiphaniam ieiunandum est septem diebus. Ab epiphania vero usque ad anteriorem
hebdomadam quadragesimae secunda, quarta, sexta feria ieiunandum est. (67)
L‟intero capitolo 71 è dedicato all‟esposizione del regime alimentare da osservarsi in monastero:
71 cibaria omnibus diebus in ieiunio tria, in prandio bina tantummodo praeparentur. In
festivitatibus maioribus ad prandium et ad cenam fercula addantur, et recentes de
dulciamina addendae sunt. Cotidianis vero diebus ad prandium in aestate binos
caldellos11b, in hieme ad prandium binos caldellos, ad refectionem ternos caldellos
accipiant. Ad cenam vero bini caldelli sufficiant. Iuniores vero ad prandium, ad cenam,
ad refectionem binos accipiant. Pulli vero infirmis tantum praebeantur: nam in
congregatione numquam ministrentur. Carnes vero a nulla umquam penitus in cibo
sumantur; si forte aliqua in desperata infirmitate fuerit, iubente et providente abbatissa
accipiat.
Dai passi sopra riportati si possono trarre le osservazioni che seguono:
1. Scopo della vita monastica deve essere la cura dell‟anima e non del corpo (Caes., reg ad virg.
40, 2; 53);
2. La distribuzioni dei pasti nella giornata subisce variazioni stagionali:
 D‟estate (da Pentecoste al primo settembre) il regolamento del digiuno in monastero è lasciato
alla discrezionalità della badessa che terrà conto delle possibilità delle sue consorelle (Caes., reg
ad virg. 67, 1);
 Dal primo settembre al primo novembre come pure dall‟Epifania alla settimana prima della
Quaresima si prescrive digiuno lunedì, mercoledì e venerdì (gli altri giorni le monache hanno
pranzo e cena) (Caes., reg ad virg. 67, 2; 67, 5);
 Dal primo novembre a Natale è previsto digiuno tutti i giorni tranne sabato e festivi (Caes., reg
ad virg. 67, 3);
11b
caldello, annacquato o temperato caldo, mistura di vino e acqua; M. Campetella ritiene che l‟espressione indichi una sorta di
bevanda energetica e dissetante cfr. M. CAMPETELLA, Lingua letteraria e comunicazione di massa in Cesario di Arles (470-542).
Saggio di indagine: i neologismi, tesi di dottorato, Macerata a.a. 1999-2000, pp. 156-160
196
Prima dell‟Epifania si dispone una settimana di digiuno di preparazione (Caes., reg ad virg. 67,
4)
3. il regime alimentare ordinario (Caes., reg ad virg. 71, 2; 71, 4-5)- che non sembra registrare
apprezzabili variazioni stagionali – prevede:
 in tempo di digiuno: un solo pasto al giorno di tre pietanze con tre bicchieri di annacquato
caldo;
 quando non è tempo di digiuno: due pasti (pranzo e cena) di due pietanze l‟uno e due bicchieri
di annacquato caldo a pasto;
62
 tra gli alimenti sono espressamente vietate le carni siano esse bianche o rosse
(Caes., reg ad
virg. 71, 7-8).
4. Questo regime alimentare prevede dei fattori di correzione in circostanze particolari:
 Nelle feste solenni si aggiunge una portata a pasto ed ai dolciumi si unisce anche la verdura
fresca63 (Caes., reg ad virg. 71, 3);
 Le malate godono di un trattamento alimentare a parte perché guariscano prima (Caes., reg ad
virg. 22, 3; 32, 1; 32, 3; 42, 1-4): solo a loro viene distribuito anche il pollame ma, se le
condizioni di salute sono particolarmente gravi, non si bada a distinzioni di carne (Caes., reg ad
virg. 71, 7-9).
 Per quanto riguarda il vino bisogna registrare una duplice preoccupazione:
a) Una morale, riferita a quelle consorelle che se lo procurano di nascosto 64 (Caes., reg ad virg. 30,
4;), ma forse rintracciabile anche nella disposizione di distribuire alle consorelle giovani sempre
due bicchieri a pasto (Caes., reg ad virg. 71, 6; alle altre in caso di pasto unico vengono
distribuiti tre bicchieri di annacquato caldo Caes., reg ad virg. 71, 4-5);
b) Una seconda medica: la badessa dovrà provvedere il monastero di vino di buona qualità da
dispensare alle consorelle malate o a quelle che fruiscono di un regime alimentare più delicato
(Caes., reg ad virg. 30, 6-8).
1.7 REGULA MAGISTRI

La Regula Magistri detta stringenti prescrizioni riguardo alla dieta, in particolare nei capitoli
dedicati a determinare la quantità quotidiana di cibo e bevanda da distribuire in monastero. Altre
notizie si possono ricavare nei capitoli che trattano dell‟orario dei pasti, del regime alimentare da
osservarsi durante la Quaresima e delle cure da riservare ai confratelli malati. Non mancano
comunque osservazioni interessanti inserite anche in altri capitoli che trattano problematiche
lontane dall‟alimentazione dei monaci. Nei capitoli dedicati alla legislazione penale la privazione di
cibo figura tra gli strumenti correzionali del monastero ed è comminata dopo che sono andati a
vuoto precedenti richiami65:
Post hanc increpantis vocem ante congregationem abbatis, statim erigi iubeatur ab
oratorio, communi mensae extraneus deputetur (13, 41-42)
Quod si forte propter levitatem culpae non ei voluerit abbas duplicare ieiunia, si fratres
sexta reficiunt, illi ad nonam horam de uno pulmento et panis cibarissimi66 fragmentum
et aqua a praeposito suo pro misericordia porrigatur, si inculpabiles fratres nona hora
62
cfr. Gobry, Storia cit., vol. I, p. 643
nell‟edizione delle Sources Chrétiennes (n. 345, Césaire d‟Arles, Oeuvres monastiques, t. I, Paris 1988, p.269) i curatori – A. De
Vogué e J. Courreau - interpretano l‟espressione recentes de dulciamina come vino corretto con ingredienti vari a base di zucchero.
64
forse in 14, 1 si può intravvedere il tentativo di evitare che il lavoro in cucina fornisca il destro a mitigare il regime alimentare del
monastero
65
cfr RM 12, 2 e 13, 60
66
L‟espressione panis cibarius indica un pane grossolano, somministrato di regola agli schiavi. Cfr. Regola del Maestro, a cura di
M. Bozzi e A. Grilli, Brescia 1995, vol. II, p. 250
63
197
reficiunt, illius supradicta refectio protrahatur in vesperum, ut sentiat quid ei malorum
culpa contulit, quid per neglegentiam bonorum amisit. (13, 50-53)
Frater qui levem culpam habuerit et post primam, secundam et tertiam monitionem de
uno quocumque vitio non emendaverit, a mensa excommunicetur, non ab oratorio (13,
60)
A conclusione della sezione dedicata alla legislazione penale, il Maestro tratta della
manifestazione dei cattivi pensieri dei monaci ai propri superiori. L‟astinenza (dell‟intera comunità)
trova spazio come strumento per impetrare l‟aiuto divino quando i tentativi dell‟abate, basati su
esempi scritturistici, non sortiscono l‟effetto sperato:
unde alia die mane reinterrogetur ab abbate ipse discipulus, si cogitatio inimica
cessavit aut non. Quod si responderit non cessasse, superponatur ieiunium67 ab
omnibus. Quod item si alia die reinterrogatus responderit non transisse, reficientibus
omnibus mensis subtrahatur vinum. Nam si tertio, - quod absit iam dici, ne iudicemur
modicae fidei, ne videamur tarde credere Dei posse nobis auxilium subvenire, praeterea
cum sciamus eum nimis esse misericordem vel pium vel ad praestandum paratum, quia
non obliviscitur misereri Deus nec continebit in ira misericordias suas, - ergo, quod
supra diximus, si tertio die reinterrogatus responderit non transisse, item oleum mensis
subtrahatur cum vino, ut multorum labore vel abstinentiae cruciatione nullus pereat,
sed omnes evadant, ut in adflictione omnium divinae misericordiae remedium speretur,
ut apostolicum conpleatur praeceptum, dicens: Invicem honera vestra portate et sic
adimplebitis legem Christi. (15, 38-47)
Notizie indirette sul cibo si possono trarre anche dal capitolo dedicato all‟esposizione dei requisiti
che deve possedere il confratello designato cellerario del monastero in relazione ai compiti da
adempiere:
ergo omnia victualia monasterii, quae in praebenda operariis suis Dominus annona
distribuit, si male et fraudulenter a cellarario distribuantur et pereant, sciat se
supradictus cellararius in die iudicii divinis ante tribunal ratiociniis discuti, cum
annonam servorum suorum Dominus per neglegentiam viderit stricari, quia quod iuste
Dominus dignis tradit, indigne ab eversoribus non patitur stricari (16, 27-31)
vitia vero oris et corporis eius custodienda ab ipso abbate custodiantur, quia
cellararius sub nullius decadae numero sub praeposito continetur, ne forte, quomodo
caro amat quae sua sunt, propter aliquem adpetitum vel subministrationem gulae causa
Dei praetermittatur et pro cibu vel potu non exacta excommunicatio carnaliter
provendatur (16, 53-56)
cellararius vero ipse frater ordinetur qui probatus fuerit ab abbate fidelis et abstinens
esse, quem numquam vincit aliquando aliqua desideriorum gula vel qui non multum
amat manducare aut bibere, ne magis detur locus diabolo, sicut dicit scribtura: Nolite
67
protrarre il digiuno, senza mangiare nulla per l‟intera giornata cfr Regola del Maestro cit., vol. II, p. 259
198
dare occasionem quaerentibus occasionem, et videatur gastrimargiae gula voracibus
vel gluttonibus fratribus provideri magis quam refrenari (16, 62-66)
Trattando dei compiti degli ebdomadari di cucina, il Maestro stabilisce, a punire le loro mancanze,
sanzioni consistenti in una riduzione del vitto loro spettante:
quod si non forte occucurrerint eudomadarii, excommunicationis poenam suscipiant,
quia lassatam congregationem utrisque operibus, id est ieiunii et laboris, sua pigritia
cruciarunt. Excommunicationis vero haec sit sententia: si sexta, septem; si nona,
decem, hoc est, si ad sextae horae refectionem tricatam68 eudomadarii offenderint et
non occucurrerint, singulas quadras panis69 per sequentes septem refectiones perdant;
si nonam tricaverint, item singulas quadras per sequentes decem refectiones eis
subtrahantur. Quae sententia excommunicationis tamdiu in damno annonae
excommunicatis permaneat, quandiu satisfactio in sequenti die promissa visa fuerit
emendasse (19, 13-17)
L‟abate non lesina raccomandazioni a quanti, lavorando a contatto con il cibo, possono essere
tentati di sottrarre qualcosa a mitigare il rigore del regime alimentare monastico:
quibus exeuntibus dicat abbas: “Videte, fratres, ne ante orationem communem mensae
praebendam aliquid de cibo aut de potu suasione diaboli praesumatis – etsi nos hic
positi intus foris vos non videmus, Deus tamen, qui omni loco praesens est et omnia
videt et nihil est ei occultum, ipse vos conspicit -, ne cum viderit praesumptionem
vestram, sensum vestrum tradat in reprobum et ad poenam vobis furta vestra in iudicio
consignentur” (21, 8-10)
Anche nel capitolo dedicato alle norme che presiedono alla distribuzione dei pasti nella comunità,
si raccomanda a ebdomadari e cellerario di mangiare alla mensa comune per poter sicuramente
sfuggire alla tentazione di accontentare senza moderazione alcuna la gola:
ideo enim diximus eudomadarios et cellararium interesse mensis communiter, ut nullus
penitus semote aut infrunite absconse foris manducet, sed sit omnibus temperantiae et
sobrietatis mensura communis, quia quidquid absconse manducatur fraudulenter agitur
et, ut gulae satifaciat sine mensura, peccatur (23, 40-41)
con il capitolo ventisei inizia la sezione espressamente dedicata al regime alimentare da osservarsi
in monastero:
de mensura cibus. Sufficere namque credimus ad refectionem cottidianam tam sextae
quam nonae omnibus mensis cocta duo pulmentaria70 et tertium quodcumque fuerit
crudum cum pomis. Medius panis pensans libram71 singulis fratribus in die sufficiat
secundum formam divinae dispensationis, cum medium panis caelestis corbus Paulo
servo Dei cottidie vescendum paraverit. Quando ergo ad sextam horam tempore aestivo
vel aliis temporibus reficiunt, tertia quadra ipsius dimidii panis a cellarario per
omnium annonas in cellario substracta sera ante illum crudum pulmentarium
68
tricare, voce del linguaggio familiare che può intendersi „far ritardare, far aspettare‟ Cfr. Regola del Maestro cit., vol. II, p. 269
cfr anche RM 17, 8 per una punizione simile
70
ogni tipo di pietanza: legumi, minestre, verdure Cfr. Regola del Maestro cit., vol. II, p. 287
71
probabilmente doveva equivalere a circa un chilogrammo Cfr. Regola del Maestro cit., vol. II, p. 287
69
199
inferendum mensis ponantur. Et ideo in cellario diximus eas quadras de omnium
annonis antecessus subtrahi, ne forte cum integrae annonae in mensis fuerint positae et
forte adveniens frater novicius, nesciens adhuc mensuram regulae, putet sibi iterato ad
cenam reponi, ad prandium explicet totum et sera cum pomis habeat nihil, aut frater
multum edere amans, quamvis mensuram noverit regulae, cum petenti gulae vult
satisfacere, ad horam totum eligat manducare et ad seram putet se esse contentum.
Quae omnes quadrae cum fuerint in cellario reservatae, sera eiectae et in mensa
abbatis positae et ab eo signatae, sicut consuetudo ostendit, prius sibi vel mensae suae
tollat, et residuae in canistro a cellarario levatae, per singulas mensas ponantur
tollentibus, ut ipsae solae partes cum crudo quodcumque pulmentario mixto cum pomis,
vel si quid de pulmentariis prandii remanserit, fratrum cenae sufficiat. Nam dominico
die vel aliis diebus festis sed et propter extraneas advenientes personas quovis die,
quidquid addere abbas in cibo voluerit, utpote maiori conceditur, vel dulciorum72
aliqua secundum testimonium quod legitur in Vitas Patrum, ubi pro diebus festis
delicatum petierunt a Domino cibum et apparuit eis cum favo angelus. Tantum est ut
consideret aequalitatem et fugiat corruptelae nimietatem. Minoribus vero duodecim
annis minus a libra panis in die sufficiat. (26)
de mensura potus. mox cum sederint ad mensas fratres, antequam comedant, singulos
meros accipiant. Quos meros accipientes singuli porrigant abbati sibi signandos et per
alias mensas suis fratribus sui signent praepositi vicibus. In quibus omnibus mensis in
suos meros quisquis frater de suo pane ternos sibi, non amplius, buccillos intinguant.
Ideo non amplius, ne frater multum ibi panem expendens, cum in pulmentariis non
habuerit, voracitatis suae causa in panis suae mensura aliorum fratrum aspectum in se
provocet detrahentem. Post ergo primos meros aestivo tempore ad refectionem tam
sextae quam nonae caldos22b omnibus quaternas sufficiant extra illum merum. In eodem
vero tempore cum ad sextam reficitur, ternas sera omnibus sufficiant potiones. Quibus
completis, tam in refectione sextae quam nonae vel cenae, stans in medio mensis clara
voce cellararius dicat: “qui sitit, fiducialiter indicet”. Post hanc vocem, qui fuerit
sitiens, mox de mensa sua respondeat “Benedic”. Statim temperata in uno vaso pusca73
calida aut, si voluerint fratres, cum iotta74, quae semper amplius propter sitientes fieri
debet in pulmentariis, fortiori aut galleta aut calice sitientibus porrigatur. Nam et his
aestatis diebus cum ad nonam horam reficitur, sera antequam compleant, binas
omnibus sufficiant potiones, ita tamen ut antequam bibant, orent, et postquam
perbiberint, reorent. Item in his aestatis diebus, cum ad sextam reficitur, post dicta
nona cottidie exiens abbas de oratorio in sua sedeat cathedra, et circumadstantibus
ante eum in ordine omnibus, eiecto a cellarario vino, miscatur ab eudomadariis in
consueto vaso per singulas mensarum decadas omnium singulae potiones secundum
numerum congragationis et suum. Statim surgens abbas oret cum omnibus et post
72
pasticcini di farina cotti e cosparsi di miele Cfr. Regola del Maestrocit., vol. II, p. 288
22b
caldello, annacquato o temperato caldo, mistura di vino e acqua; M. Campetella ritiene che l‟espressione indichi una sorta di
bevanda energetica e dissetante cfr. CAMPETELLA, op. cit., pp. 156-160
73
bevanda d‟acqua con vino acido (aceto) in infusione, probabilmente affine all‟acetum in dotazione ai soldati romani Cfr. Regola
del Maestro cit., vol. II, p. 289
74
specie di bietolone Cfr. Regola del Maestro cit., vol. II, p. 289
200
orationem, antequam sedeat, oblatum sibi vas cum mixto signet eum. Mox secum omnes
ad mensas suas iubeat sicut consuerunt, sedere et bibens prius ipse, deinde singillatim
mixtum per mensas singulas omnibus faciat propinari. Quibus expletis, surgant iterato
et orent et post orationem redeant universi ad opera , quae dimisserant facientes. Ergo
quivis sitiens post nonam mox bibat. Iam si introierit decima, nemo bibat usque post
vesperam. Si vero amplius frater sitierit in ipsa nona, antequam veniat, ut diximus,
decima, et bibere si voluerit aquam, non ad orcium uno austu, sed ad calicis aut
galletae aut caucelli75 bibat mensuram, quia quod extra mensura est, hoc est nimium et
iniustum et desideriis satisfactionem ad corruptelam videbitur adimplere. Nam
secundum sententiam illam, quae dicit: ne quid nimis, potest et nimia aqua deebriare
sensum in phantasiis somniorum et corpus necessitatibus occupare, id est in venis
fluctus, in medullis frigus, in superciliis gravitas, in capite gyrus, in oculis somnus, in
naribus sternutus adsiduus. In hiemis vero tempore in sextae et nonae refectione
omnibus caldos ternas sufficiant, quia aestus non est qui provocet sitim. Illis vero
diebus in hieme, in quibus sexta reficiunt, sera penitus nihil cenetur, nisi singulae
caldos omnibus sufficiant, ita tamen ut antequam bibant, orent et postquam perbiberint,
reorent. Post nonam vero illam potionem, quae cottidie de cellario in aestate
proferebatur sitientibus, in hieme non detur, quia nec sitis suppeditat nec longe restat a
refectione in vesperam. Illis vero diebus, in quibus in hieme ad nonam reficitur, post
dicta vespera non amplius quam singulae caldos accipiantur, ita tamen ut antequam
bibant, orent et postquam perbiberint, reorent. In illis vero diebus a Pascha usque
Penticosten in quibus ad sextam reficitur, absque quinta feria et dominica aliis diebus
nihil aliud ad seram nisi binas caldos propter dies accipiantur, absque Paschae
octabarum octabas, in quibus iugiter cenent. Nam ideo supradictis diebus absque
quinta feria et dominica usque in Penticosten cenas subduximus, ut una refectio in his
diebus custodiatur et, quamvis non sua hora, consueti tamen ieiunii videatur causa
servari, cum cenae eorum mutantur in prandiis (quinta vero feria et dominica hoc
cenent ad seram, quod supra de cibis taxavimus), addito tamen uno pulmento cottidie
in prandio vel, si Paschae restiterit, mercis potio cuiuslibet. Calix vero aut galleta, per
quod erit in diversis vicibus ministrandum, talis sit qui tertius inpleat mixtus iminam.
Sed huius aequalitatem mensurae aut duo aut tres oportet calices aut galletas
mensarum ministerio deservire, ut per multa pocula universis citius erogetur. Infantuli
vero intra duodecim annos agentes in hieme binas caldos accipiant et sera singulas.
Aestatis vero tempore ternas ad refectionem et sera binas accipiant potiones propter
aestatis qualitatem. Nam sicut superius de cibis constituimus, ita et de potionibus
permittimus: dominica vel diebus festis vel propter extraneas advenientes personas,
quidquid aptum duxerit addere abbas, utpote maiori conceditur. Simul et propter
caritatem laetitiae sanctorum dierum vel amicorum adventum addat mercis cuius
voluerit potionem. Tantum est ut memor sit sobrietatem et fugiat vinolentiae ebrietatem
quia, nisi sobrium fuerit corpus, ad opus Dei vigilare non potest et anima cogitationes
libidinis non carescit. Iam si aliquis discipulorum de constituta mensura potus aut panis
sui remanente fragmento recusare aliquantulum ad mensam voluerit, spiritum plus
75
galleta, orcium, caucelli recipienti posti forse in gradazione dal più piccolo al più grande Cfr. Regola del Maestro cit., vol. II, p.
290
201
agnoscitur amare quam carnem et frenum castitatis imponit luxuriae. Nam cum hoc
ipsud recusat abstinens frater, levanti cellarario dicat lente: “suscipe et hoc quod
negatum est carni proficiat Deo” mox semote in uno vaso a cellarario hoc ipsud
mittatur Deo feliciter profuturum et pro aliquod munus adiunctum elemosynae
monasterii mendicanti paupero a cellarario porrigatur in manum. Haec omnis mensura
de inthicis monasterii. Nam si quid transmissum de foris congregationi suae
adparaverit Dominus, gratanter suscipiatur transmissum donum Domini et, si placet
abbati, mensis addatur, quippe quod nisi adparatione Domini non venisse intellegatur.
(27)
de diebus ieiuniorum vel hora refectionis. omni tempore in septimana duobus diebus ad
sextam reficere debent, hoc est quinta feria et dominica. Ceterum aliis in septimana
diebus ad nonam horam reficere oportet. (...) nam ideo ad nonam horam universis
diebus constituta sunt solvi ieiunia, ut sit aliquid prolixius quod quadragesimae diebus
addatur, id est usque ad vesperam, hoc est post lucernaria. A sexagesima vero quarta,
sexta et sabbato post lucernaria semper reficiant, aliis vero diebus usque ad
quadragesimam ad nonam reficiant (...) infirmis vero certa ieiunia resolvantur et,
quando fratres ad sextam reficiunt, infirmi tertia recreentur, absque illis qui graviter
perdefessi sunt, quia illis nulla hora decernitur, in quibus timetur mortis eventus.
Ideoque quomodo necessitas visa et pro certo probata quosdam permiserit, recreentur.
Si vero sani fratres nona, infirmi sexta reficiant. Sed hoc debet diligenti curiositati
probare quibusdam signis vel agnoscere abbas, ne quis se fingat propter refectionis
edacitatem infirmum. Nam ideo infirmis resolvi ieiunia diximus, propter fragilitatem
corporis, per quam non possunt adinplere quod cupent, dicente scribtura: Spiritus
promptus, caro infirma. Infantuli vero quarta, sexta et sabbato, in diebus tamen
minoribus, hoc est in hiemis tempore, ieiunent, aliis vero diebus ad sextam reficiant
horam. In aestatis vero maioribus diebus quarta, sexta et sabbato infantuli sexta hora
reficiant, aliis vero diebus tertia recreentur, quia in maioribus diebus minor est aetas in
viribus, sicut et sustinendi sensu discreta. Sed infantes ad hanc relaxationem tales
permittimus qui intra duodecim annos degunt aetatem; ampliori vero qui fuerit, ad
formam teneantur maiorum. Nam iusto iudicio perinfantuli et senio pervicti et infirmi
aequali debent refectionum iudicio relaxari. Nam et fratres in via dirigendi hoc
praeceptum abbatis vel praepositorum suorum accipiant: quarta, sexta et sabbato in
diebus maioribus, id est a Pascha usque VIII Kalendas Octobres, quod est
Aequinoctium hiemale, ut non in via ieiunent propter aestus et sitim. Deinde ab
aequinoctio hiemali usque ad Pascha, quia breves sunt dies, ambulantium fratrum in
quarta, sexta et sabbato ieiunia protrahantur in vesperam, ne, occupati fratres nona
hora per refectionem in via, adcelerata brevitas diei fratri mansionem protendat (...)
Aliis vero diebus extra quarta, sexta et sabbato in diebus minoribus sexta hora ad
refectionem in via repausent et sera cenent propter viae laborem.
A Pascha vero usque Penticosten, extra missis in longinqua via, in monasterio vel
ubivis sexta semper hora reficiant et cenas suas mutent in prandiis, dicente sancta
scribtura: Non licet vobis ieiunare cum sponsus vobiscum est, et non cenent nisi quinta
feria et dominica. (28, 1-2; 8-10; 13-30; 36-40)
202
Utili precisazioni si possono leggere tra le prescrizioni che disciplinano il regime alimentare
durante la Quaresima e nelle disposizioni per i confratelli malati:
de continentia ciborum et potus in quadragesima. unum coctum omnibus pulmentum
sufficiat et in secundis quodcumque fuerit crudum cum pomis, panis ordiacii quadras
duas. Ab ipso die quadragesimae usque in tricesimam, propter laborem binas ad diem
fratres, non amplius accipiant potiones, id est unam merum et unam caldum. A
tricesima vero usque in vicesimam singulos meros accipiant. A vicesima vero usque ad
Pascha vinum omnibus subtrahatur absque infirmis et infantibus intra duodecim annos
et senio iam defessis. Sed hoc de infirmis consideret abbas, ne aliquis mentiatur et
fingat infirmum. Firmis vero vel suo voto abstinentibus mixta salibus cum cymino vel
apii semine calda aqua miscatur. Oleum non in caccabis, sed in ferculis propter
abstinentes mittatur. Qui abstinentes, in ipsis tamen mensis decadum suarum, quot in
mensa unaquaque in suo numero fuerint, ordinatione maioris iuxta iubeantur sedere, ut
abstinentes de una mensa in una comedant scutella. Ideo enim diximus inter alios
fratres communiter abstinentes sedere, ut erubescant voraces in communi natura non
posse pariter gulae desideria refrenare et in eligendis bonis divinam cum abstinentibus
non posse gratiam promereri (...) merito enim de resurrectione Domini tales debent in
Pascha laetari cum Christo, qui corpus suum per abstinentiam cum eo crucifixerunt in
quadragesima. (...) in Cena vero Domini tondant capita sua et laventur et omnia quae
abstinebant accipiant praeter carnes sanguinarias terrae; de carnibus vero volucrum
vel terrenis pinnatis et quadrupedibus manducare, fratribus abbas velle comedere
bonum esse praedicet, abstinere vero melius esse hortetur. (...) A Pascha usque
Penticosten et a Natale Domini usque in Epiphaniam in comedendae carnis arbitrio
licentia tribuatur. Nam hii fratres qui comesuri sunt carnes, de suis decadis in suas
secus se sedeant mensas et semote cocta de carnibus pulmentaria eis in sequestratis
ferculis inferantur, ne abstinentium videatur munditia inquinari, ut comedentes
agnoscant quanta sit inter utrosque distantia, qui aut suis serviunt desideriis aut qui
imperant ventri. (...) Ieiunium vero in quadragesima propter supervenientem non
frangatur a domesticis fratribus, sed soli ipsi qui supervenerit, si ambulare longo
itinere cognitus fuerit, ipsi permittatur horam frangi ieiunii. Qui vero voluerint fratres
ieiunium superponere, in ipso superposito die in labore cum fratribus non spectentur.
Solummodo laborantibus fratribus legant ut otiosi non sint et pro pane de verbo Dei
reficiant. (...) Nam extra infirmos et infantes et senio pervictos quicunque de sanis
reficere voluerit, sine accepta benedictione et non signata refectione reficiant ut a gula
sua vel a semet ipsis communicati erubescant cum aliis superponentibus pro Dei
speranda mercede unum diem non posse in ieiunio voluntarie pertransire, cum aliis ab
invito interdum per triduana transire ieiunia indigentiae inponat necessitas. (...) Iam
qui sexta feria refecturi sunt, sine communione reficiant ut agnoscatur iniuste refici sine
Christo. (53, 1-10; 19; 26-27; 31-33; 36-39; 52-54; 58)
de fratribus aegrotis. fratres aegroti qui se dixerint esse et ad opus Dei se non
levaverint et continue iacuerint, ad culpam non vocentur, sed in refectione solummodo
203
sucus vel ova aut caldam aquam accipiant, quod vix possunt veri tediosi76 accipere ut,
si fingunt, vel fame conpellantur levari. Si vero post opus Dei dictum surrexerint,
excommunicentur et ad mensam carnalem non accedant, quia ad spiritalem oratorii
non adfuerunt, quia et laborem fugerunt et opus Dei contempserunt. Nam in his talibus
agnoscitur diabolum per excusationem tedii somni pigritiam ministrare. Ideoque talem
mercedem recipiant.(...) si vero post ex toto nihil laboraverit, unam quadram panis
minus in annona sua accipiat et potiones duas subductas, et hoc tantum quia vel ad
opus Dei surrexit, quia nec iustum est ut otiosus frater contra laborantem fratrem, cui
digne laboris merces debetur, aequaliter iudicetur et quia bobi trituranti non alligatur
hos. Sic et qui non laborat si propter iustitiam iam si ex toto non manducat, vel pro tedii
qualitate tantum non manducet quantum laborans aut sanus, quia inpotens qui ad
laborem proclamat se non posse item ad manducandum iudicetur non posse: quia
utrumque non posse iustitiae convenit et veram necessitatem ostendit; si vero ad
laborandum non possumus, et ad manducandum iuste non posse debemus: per pigritiam
enim otiosi gluttonis talis agnoscitur aegritudo mentiri; ut cum ad laborandum suo ore
proclamat se non posse et ad manducandum tacet, ipsud non posse si sua non vult
dicere, aliena mox incipiat lingua audire se ad manducandum velle nolle non posse (...)
o iniustitiae nefas. Caput torquetur doloribus propter laborem et venter non torquetur
propter manducare, quasi in alieno corpore ipse venter sit positus. (69, 1-8; 12-21 ; 27)
Dagli ampi e numerosi passi riportati si possono trarre divese notizie.
Il regime dell‟assunzione di cibo è regolato come segue77:
1. Per il pasto principale si prevedono due pietanze cotte cui va aggiunta una cruda con frutta (RM
26, 1)
2. Per la cena oltre a quanto è avanzato dal pranzo si distribuisce qualcosa di crudo con frutta (RM
26, 10)
3. Per il pane basta una libbra al giorno (quantità che rimane invariata anche in caso di due pasti)
(RM 26, 2-9)
Eccezioni:









ai bambini al di sotto dei dodici anni è riservata meno di una libbra di pane al giorno (RM 26,
14)
in occasione della domenica/giorni di festa o per l‟arrivo di persone estranee l‟abate ha la
facoltà di aggiungere qualunque piatto vorrà anche se si tratta di dolce (RM 26, 11)
periodo quaresimale durante il quale si prevede il seguente regime alimentare:
una sola pietanza per tutti più qualcosa di crudo con frutta (RM 53, 1);
due fette di pane d‟orzo (RM 53, 1);
gli astinenti possono scegliere di privarsi anche del condimento dell‟olio (RM 53, 7);
non si rompe il digiuno all‟arrivo di un forestiero (RM 53, 36)
il consumo di carne78 è consentito, per quanto sconsigliato (RM 53, 27-28; 53, 32-33), da
Pasqua a Pentecoste e da Natale all‟Epifania (RM 53, 31) con la distinzione tra:
animali da terra dalle carni sanguigne che rimangono sempre vietate (RM 53, 26)
76
nel latino dei medici del quinto secolo taedium vale „sofferenza fisica‟ Cfr. Regola del Maestro cit., vol. II, p. 374
cfr. Gobry, Storia cit., vol. I, p. 691
78
per un primo orientamento Cfr. Regola del Maestro cit., vol. II, p. 346; cfr. inoltre Gobry, Storia cit., vol. I, p. 691
77
204

carni di uccelli o di animali da terra pennuti e quadrupedi che invece risultano tollerate (RM 53,
27)
Il regime dell‟assunzione di bevande è regolato secondo il seguente schema79:
la quantità di vino a disposizione è pari ad una emina (RM 27, 39) per ciascuna tavola80;
All‟inizio di ogni pasto un calice di vino puro (RM 27, 1);
In estate pusca calda a richiesta dopo ogni pasto (RM 27, 7-9) inoltre:
Quando c‟è pasto a sesta sono previsti:
quattro temperati caldi durante la refezione (RM 27, 5)
un temperato caldo dopo nona (RM 27, 12-14)
tra nona e decima acqua a volontà, ma con misura (RM 27, 23-26)
tre temperati caldi la sera (RM 27, 6)
quando il pasto è a nona sono previsti:
quattro temperati caldi durante la refezione (RM 27, 5)
due temperati caldi prima di compieta (RM 27, 10)
In inverno, a prescindere dall‟ora del pasto sono previsti:
tre temperati caldi durante la refezione (RM 27, 27)
un temperato caldo la sera (RM 27, 28; 27, 31)
in tempo pasquale sono previsti:
tre temperati caldi durante la refezione
due temperati caldi la sera (RM 27, 33)/ovvero durante la cena nei giorni di giovedì, domenica e
dell‟Ottava di Pasqua (RM 27, 33-34)
6. in Quaresima le bevute sono distribuite secondo la misura che segue:
 da inizio Quaresima a Trigesima: due bevute al dì (una di vino puro ed una di temperato caldo)
(RM 53, 2)
 da Trigesima a Vigesima: rimane consentito solo il calice di vino puro (RM 53, 3)
 da Vigesima a Pasqua il vino è distribuito solo a malati, ragazzi di età inferiore ai dodici anni e
confratelli particolarmente anziani (RM 53, 4)
 sostituisce il vino una miscela di acqua calda, sale, cumino e semi di sedano (RM 53, 6)
Eccezioni:
1.
2.
3.
a)




b)


4.


5.


i bambini al di sotto dei dodici anni sono assoggettati al seguente regime di bevute:
in inverno (RM 27, 41):
a refezione due temperati caldi a testa
la sera un temperato caldo ciascuno
in estate (RM 27, 42)
tre temperati caldi a pasto
la sera due temperati caldi
 in occasione della domenica/giorni di festa o per l‟arrivo di persone estranee l‟abate ha la
facoltà di aggiungere quanto gli sembrerà opportuno (RM 27, 43-44)
 In occasione dei giorni santi o per l‟arrivo di amici si prescrive l‟aggiunta di una bevuta di
qualunque bevanda si possa procurare facilmente (RM 27, 45)
L‟orario dei pasti è regolato come segue81:







a) Regime ordinario senza differenze stagionali (RM 28, 1-2):
 Pasto a sesta giovedì e domenica
79
80
81
Cfr. Regola del Maestro cit. , vol. I, p. 303
Cfr. Regola del Maestro cit., vol. II, p. 292
cfr. Gobry, Storia cit., vol. I, pp. 691 e 693
205
Pasto a nona gli altri giorni
b) Prescrizioni particolari in occasione della preparazione alla liturgia pasquale:
 A partire da sessagesima (RM 28, 9-10):
 Pasto dopo il lucernario mercoledì, venerdì e sabato
 Pasto a nona negli altri giorni fino a quaresima
 Durante la quaresima, ad eccezione della domenica, quando si mangia a sesta in accordo con il
carattere festivo della giornata , pasto sempre al lucernario (RM 28, 8)
 Da Pasqua a Pentecoste:
 Pasto a sesta (RM 28, 37)
 Giovedì e domenica è prevista anche la cena (RM 28, 40)
Eccezioni:


Malati: il loro stato di salute impedisce di seguire le prescrizioni del digiuno e dell‟astinenza
(RM 28, 18; 28, 26) e pertanto viene concesso il ristoro dovuto a necessità fisiche evidenti e
controllate (RM 28, 15; 53, 52) dall‟abate, onde evitare che qualcuno possa fingersi malato per
avidità di mangiare (RM 28, 17; 53, 5; 69, 1; 69, 3-8; 69, 14-21; 69, 27). Viene comunque
effettuata una distinzione:
82
 Ai malati non gravi (cui probabilmente vanno assimilati gli anziani ) il pasto è anticipato di tre
ore rispetto all‟orario rispettato dalla comunità (RM 28, 13; 28, 16)
 Per i moribondi viene eliminato qualunque tipo di restrizione (RM 28, 14)
 Quanto alla misura del cibo da somministrare agli ammalati si registra una distinzione che
sembra applicata in prima battuta a quanti si dichiarano malati (probabilmente quanti
risulteranno in seguito in condizioni più serie riceveranno un trattamento diverso):
 Chi, pur provato nel fisico, ma privo di febbre, prende parte all‟Opus Dei si vede sottratte due
fette di pane e due bevute dalla propria razione giornaliera (RM 69, 12-13);
 Altrimenti si somministra al pasto tisane, uova o acqua calda (RM 69, 2)
 Bambini, intesi come individui di età inferiore ai dodici anni (RM 28, 24): l‟orario dei loro pasti
varia a seconda delle stagioni secondo il seguente schema:
 Estate:
 Pasto a terza (RM 28, 22-23)
 Mercoledì, venerdì e sabato si prescrive un differimento di tre ore (RM 28, 21)
 Inverno:
 Pasto a sesta (RM 28, 20; 53, 52)
 Mercoledì, venerdì e sabato si segue il digiuno degli adulti (RM 28, 19)
 Anche l‟orario dei loro pasti dei confratelli mandati in viaggio varia a seconda delle stagioni
secondo il seguente schema:
 Estate:
 Pasto a sesta e cena la sera (RM 28, 36) perché sarebbe troppo estenuante sostenere lunghe ore
di cammino a stomaco vuoto (RM 28, 28)
 Inverno:
 Pasto a sesta e cena la sera (RM 28, 36)
 Mercoledì, venerdì e sabato si protrae il digiuno fino a sera (RM 28, 29-30)
Ricapitolando, sono sicuramente presenti nella dieta dei monaci che seguono la regola del
Maestro, sia pure con le limitazioni già esaminate a suo luogo, i seguenti alimenti:
 Pane (RM 26, 2-9) che in quaresima è d‟orzo (RM 53, 1) mentre presumibilmente di solito sarà
di qualità migliore;
 Acqua (RM 27, 23-26)
 Vino (puro – RM 27, 1; 53, 3- ovvero mescolato ad acqua calda – RM 27, 5-10; 27, 12-14; 27,
27-31; 27, 33-34-)
82
Cfr. Regola del Maestro cit., vol. I, p. 306
206
 Tisane a base di erbe (RM 27, 7-9; 53, 6; 69, 2)
 Olio come condimento ordinario delle pietanze (RM 53, 7)
 Uova (RM 69, 2)
 Carne „bianca‟ (RM 53, 28; 53, 32)
 Dolce (RM 26, 11)
Nei passi esaminati si avverte anche una preoccupazione di carattere morale che può essere
collegata:
a) alla considerazione che le passioni trovano il loro fomite principale nell‟intemperanza
alimentare, mentre la sobrietà di nutrimento risulta rimedio utile alla custodia della castità e
pratica indispensabile per una preghiera attenta e fervorosa (RM 26, 13; 27, 4; 27, 24-26; 27,
46-48; 53, 9-10; 53, 12; 53, 19; 53, 33; 53, 53)
b) al timore di sotterfugi per procacciarsi cibo in momenti e in quantità non consentiti (RM 16, 2731; 16, 53-56; 62-66; 21, 8-10; 23, 40-41; 69, 1; 69, 3-8; 69, 14-21; 69, 27);
c) all‟esercizio del digiuno da parte dell‟intera comunità per impetrare l‟aiuto divino contro i
cattivi pensieri che eventualmente tormentino i confratelli (RM15, 38-47);
d) all‟utilizzazione del digiuno come pratica di correzione (RM 13, 42; 13, 50-53; 13, 60; 19, 1317)
1.8 BENEDETTO
S. Benedetto dedica espressamente al tema dell‟alimentazione dei monaci ben sette capitoli
consecutivi della regola, dal trentacinque al quarantuno. Comunque, disposizioni riguardanti il cibo,
per quanto a volte estremamente generiche, sono disseminate anche in altre sezioni della regola.
Nel cosiddetto “codice penitenziale benedettino”, che si articola essenzialmente nei capitoli che
vanno dal ventitre al trenta, c‟è un riferimento alla sfera dell‟alimentazione a proposito delle misure
da prendere e delle pene da erogare ai confratelli che mancano ai loro doveri. Queste sono,
nell‟ordine, ammonizioni private, ammonizione pubblica, scomunica oppure percosse (23). Più in
particolare la scomunica si articola in minore, per le colpe meno gravi, e maggiore. „Scomunica‟ è
un termine che connota una condizione esattamente contraria a quella presupposta dal vocabolo
„Comunità‟: indica infatti una pena più morale che fisica e richiede pertanto un individuo che sia in
grado di capirne il valore. La scomunica minore (24) consiste nella privazione della mensa
comunitaria che richiama simbolicamente il banchetto eucaristico. Il fratello cui è inflitta questa
sanzione mangerà come gli altri fratelli, però più tardi e da solo perché per la sua colpa non è più
degno della loro comunione83. Per correggere quanti non sono capaci di comprendere il valore della
scomunica – bambini di giovane età, ragzzi ed adulti di scarsa intelligenza – si usano digiuni e
percosse:
De pueris minori aetate qualiter corripiantur. Omnis aetas vel intellectus proprias
debet habere mensuras. Ideoque quotiens pueri vel adulescentiores aetate aut qui minus
intellegere possunt quanta poena sit excommunicationis, hii tales, dum delinquunt, aut
ieiuniis nimiis adfligantur aut acris verberibus coerceantur ut sanentur. (30)
83
Per quanto detto sin qui si può consultare a titolo di primo orientamento La Regola di s. Benedetto e le Regole dei Padri, a cura di
S. Pricoco, Milano 1995, pp 292 e 337-340
207
A proposito della disciplina del „diritto di proprietà‟ in monastero s. Benedetto avanza delle
osservazioni che risentono della riflessione agostiniana di Praeceptum 1, 3-5,
raccomandandando di distribuire a ciascuno secondo le proprie necessità, in particolare di
salute:
Sicut scriptum est: “dividebatur singulis prout cuique opus erat”. Ubi non dicimus ut
personarum – quod absit! – acceptio sit, sed infirmitatum consideratio, ubi qui minus
indiget agat Deo gratias et non contristetur, qui vero plus indiget humilietur pro
infirmitate, non extollatur pro misericordia; et ita omnia membra erunt in pace (34, 15)
Trattando dei compiti dei settimanari della cucina, s. Benedetto concede loro di bere e mangiare
qualcosa extra rispetto alla razione normale un‟ora prima della mensa comune dal momento che le
esigenze del servizio li costringono a ritardare il proprio pasto:
septimanarii autem ante unam horam refectionis accipiant super statutam annonam
singulas biberes et panem, ut hora refectionis sine murmuratione et gravi labore
serviant fratribus suis (35, 12-13)
Nel capitolo dedicato alla cura degli infermi, s. Benedetto inserisce anche delle prescrizioni
alimentari nell‟impartire disposizioni pratiche per i malati:
Sed et carnium esus infirmis omnino debilibus pro reparatione concedatur; at, ubi
meliorati fuerunt, a carnibus more solito omnes abstineant.
Curam autem maximam habeat abbas ne a cellarariis aut a seruitoribus neglegantur
infirmi. (36, 9-10)
Un intero capitolo della regola è dedicato a disposizioni riguardanti vecchi e fanciulli (senza più
precisi riferimenti all‟età) cui si concede di anticipare le ore stabilite per il pasto comune:
De senibus vel infantibus. Licet ipsa natura humana trahatur ad misericordiam in his
aetatibus, senum videlicet et infantum, tamen et regulae auctoritas eis prospiciat.
Consideretur semper in eis imbecillitas et ullatenus eis districtio regulae teneatur in
alimentis, sed sit in eis pia consideratio et praeveniant horas canonicas. (37)
Due capitoli sono dedicati alla puntuale regolamentazione dei pasti in monastero stabilendo
precise quantità tanto per i cibi che per le bevande
De mensura cibus. Sufficere credimus ad refectionem cotidianam tam sextae quam
nonae omnibus mensis cocta duo pulmentaria propter diversorum infirmitatibus, ut
forte qui ex illo non potuerit edere ex alio reficiatur. Ergo duo pulmentaria cocta
fratribus omnibus sufficiant et si fuerit unde poma aut nascentia leguminum, addatur et
tertium. Panis libra84 una propensa sufficiat in die sive una sit refectio sive prandii et
cenae. Quod si cenaturi sunt, de eadem libra tertia pars a cellarario servetur reddenda
cenandis. Quod si labor forte factus fuerit maior, in arbitrio et potestate abbatis erit, si
expediat, aliquid augere, remota prae omnibus crapula et ut numquam subripiat
monacho indigeries, quia nihil sic contrarium est omni christiano quomodo crapula,
sicut ait Dominus noster: Videte ne grauentur corda uestra crapula. Pueris vero minore
aetate non eadem servetur quantitas, sed minor quam maioribus, servata in omnibus
parcitate. Carnium vero quadripedum omnimodo ab omnibus abstineatur comestio
praeter omnino debiles aegrotos. (39)
De mensura potus. Infirmorum contuentes imbecillitatem credimus eminam85 vini per
singulos sufficere per diem. Quibus autem donat Deus tolerantiam abstinentiae
propriam se habituros mercedem sciant. Quod si aut loci necessitas vel labor aut ardor
84
La libbra romana equivaleva a circa un terzo di chilogrammo, ma pare registrasse anche variazioni locali; verosimilmente la
quantità indicata dalla regola doveva essere più consistente, tanto più che s. Benedetto si rivolgeva a monaci dediti a lovori manuali.
S. Pricoco propone un valore indicativamente intorno al chilogrammo cfr. La Regola di s. Benedetto cit., p. 351
85
I commentatori moderni ne calcolano il valore indicativamente intorno ai tre quarti di litro cfr. La Regola di s. Benedetto cit., p.
351
208
aestatis amplius poposcerit, in arbitrio prioris consistat, considerans in omnibus ne
subrepat satietas aut ebrietas. Licet legamus uinum omnino monachorum non esse, sed
quia nostris temporibus id monachis persuaderi non potest, saltim uel hoc consentiamus
ut non usque ad satietatem bibamus, sed parcius, quia uinum apostatare facit etiam
sapientes. (40, 3-7)
Conclude la sezione delle prescrizioni alimentari un capitolo sull‟orario dei pasti e sui tempi del
digiuno da osservarsi in monastero
Quibus horis oportet reficere fratris.A sancto Pascha usque Pentecosten ad sextam
reficiant fratres et sera cenent. A Pentecosten autem tota aestate, si labores agrorum
non habent monachi aut nimietas aestatis non perturbat, quarta et sexta feria ieiunent
usque ad nonam, reliquis diebus ad sextam prandeant; quam prandii sextam, si operas
in agris habuerint aut aestatis fervor nimius fuerit, continuanda erit et in abbatis sit
providentia. Et sic omnia temperet atque disponat qualiter et animae salventur et quod
faciunt fratres absque iustam murmurationem faciant. Ab idus autem septembres usque
caput quadragesimae ad nonam semper reficiant. In quadragesima vero usque in
Pascha ad vesperam reficiant. Ipsa tamen vespera sic agatur, ut lumen lucernae non
indigeant reficientes, sed luce adhuc diei omnia consummentur. Sed et omni tempore
sive cena sive refectionis hora sic temperetur, ut luce fiant omnia (41)
Nei capitoli dal quarantatre al quarantasei si può vedere come un piccolo trattato a sé stante
sulla “soddisfazione”. „Dare soddisfazione‟ significa riparare pubblicamente a colpe, gravi o
leggere, commesse pubblicamente a detrimento della comunità. E tra gli atti più importanti
della società monastica è da annoverare la mensa comune: si comminano pertanto sanzioni a
quanti arrivano tardi, dopo la preghiera, o escono prima della preghiera di ringraziamento:
Si denuo non emendaverit, non permittatur ad mensae communis participationem, sed
sequestratus a consortio omnium reficiat solus, sublata ei portione sua vinum usque ad
satisfactionem et emendationem.(43, 15-16)
A questo punto nel testo c‟è un‟annotazione, a prima vista poco congruente, sul
mangiare/bere fuori dagli orari regolari in cui potrebbe forse leggersi un‟ammonizione a
monaci impegnati in lavori agricoli e quindi sottoposti alla tentazione di mitigare anzitempo i
morsi della fame con i prodotti dei campi.
Et ne quis praesumat ante statutam horam vel postea quicquam cibi aut potus
praesumere (43, 18)
Al termine della lettura dei passi della Regola si propongono le osservazioni che seguono:
1. Il regime alimentare ordinario del monaco prevede86:
 2 pietanze cotte per il pasto principale (sia esso l‟unico della giornata in caso di digiuno ovvero
il pranzo nel caso ci sia anche la cena) (Ben, reg. 39,1; 39,3);
 se non mancano frutta o legumi freschi è possibile aggiungere una terza pietanza (Ben, reg.
39,3);
 si fissa in una libbra la quantità di pane da fornire ai monaci ogni giorno e in una emina la
quantità di vino quotidiana (Ben, reg. 39,4; 40, 3);
 si fa espresso divieto di consumare carne di animali quadrupedi (Ben, reg. 39, 11);
 non si precisa la quantità di cibo da distribuire a cena, ma, per analogia con le disposizioni
riguardanti il consumo di pane, si può ipotizzare che una parte del pranzo venisse messa da
parte per essere somministrata in occasione del pasto serale (Ben, reg. 39,5);
 per i settimanari di cucina è previsto un supplemento di pane e bevanda rispetto alla razione
degli altri monaci (Ben, reg. 35, 12-13) dal momento che sono costretti a differire il proprio
pasto per ragioni di servizio, anche se non è da escludere, forse, il timore di un possibile
mitigamento del rigore dell‟alimentazione monastica favorito dal lavoro in cucina;
86
cfr. Gobry, Storia cit., vol. I, p. 701
209
2. La possibilità di incrementare la quantità di cibo e di vino è lasciata alla discrezionalità
dell‟abate che terrà conto di esigenze particolari (siano esse locali, legate al lavoro o alla calura
estiva87) (Ben, reg. 39, 6; 40, 5);
3. La distribuzione dei pasti nella giornata variava a seconda dei diversi periodi dell‟anno
(liturgico). Dal capitolo quarantuno della Regola si può ricostruire la seguente ripartizione88:
a) Giorni con pranzo e cena: tutte le domeniche e le feste89, il periodo pasquale (da Pasqua a
Pentecoste), l‟estate (da Pentecoste alle idi di settembre) tranne i gioni di mercoledì e venerdì;
b) Giorni con un unico pasto a nona: mercoledì e venerdì dell‟estate (da Pentecoste alle idi di
settembre), tutti i giorni feriali dell‟inverno (dalle idi di settembre all‟inizio della Quaresima);
c) Giorni con un unico pasto a vespro: tutti i giorni feriali di quaresima;
d) Solo d‟estate si accorda all‟abate una possibilità di dispensa dal digiuno in caso di calura
eccessiva o per lavori particolari nei campi.
4. Nei passi esaminati pare potersi rintracciare anche una preoccupazione di carattere morale:
a) Nella Regola di s. Benedetto è ripetuto l‟invito alla misura ed alla moderazione costante, senza
rinunce disumane, con la promessa di una particolare ricompensa divina a chi fa astinenza
(Ben, reg. 40, 4; 40, 6);
b) resta ferma comunque la preoccupazione di evitare assolutamente gli eccessi con conseguenti
gozzoviglia ed indigestione (Ben, reg. 39, 7-9) come pure sazietà o ubriachezza (Ben, reg. 40,
5-7);
c) il digiuno è annoverato tra le pratiche correzionali di più immediata comprensione (Ben, reg.
30; 43, 15-16)
5. Si avverte una preoccupazione di carattere sanitario in particolare nelle seguenti situazioni:
a) Il regime alimentare è stabilito tenendo conto delle infermità dei confratelli (Ben, reg. 34, 1-5;
39, 1-2; 40, 3);
b) La disciplina delle dispense dal regime di alimentazione ordinario concede all‟abate di
considerare particolari esigenze locali, legate al lavoro o alla calura estiva90 (Ben, reg. 39, 6; 40,
5; 41, 4-5);
c) Per i fanciulli di minore età (non meglio precisata) è prevista una diminuzione della quantità di
cibo da somministrare (Ben, reg. 39, 10) ma anche l‟anticipo degli orari stabiliti per i pasti
(Ben, reg. 37, 3 quest‟ultima disposizione è comune anche ai confratelli anziani per i quali,
come pure per i più giovani, doveva risultare gravoso aspettare per assumere cibo fino a
mezzogiorno o, in caso di digiuno, fino almeno alle tre del pomerriggio);
d) Il trattamento dei malati, particolarmente gravi, prevede la possibilità di consumare anche la
carne. L‟esame congiunto dei due passi che contengono la prescrizione sul consumo di carne
(Ben, reg. 36, 9; 39, 11) fa presupporre vigente nel monastero di s. Benedetto la distinzione tra
carni rosse (quelle degli animali quadrupedi concesse solo ai malati gravi) e carni bianche
(pollame, uccelli, forse anche pesci91 che nell‟ipotesi qui avanzata dovrebbe essere concessa a
tutti i monaci) considerata più leggera e quindi meno pericolosa per le virtù monastiche
1.9 Ricapitolazione
Lo studio delle Regole Monastiche sin qui condotto ed il loro confronto portano ad appurare i
seguenti aspetti riguardo al regime alimentare dei monaci:
1. Per quel che attiene alla „dieta monastica‟, in particolare cibi, bevande e relativa distribuzione
nei pasti, si può osservare quanto segue:
87
cfr. La Regola di s. Benedettocit., p. 350
cfr. Gobry, Storia cit., vol. I, pp. 701 e 703
89
cfr. La Regola di s. Benedetto cit., p. 352
90
cfr. supra punto 2
91
L‟assimilazione di uccelli e pesci può forse avere fondamento biblico in quanto entrambe le specie furono create nello stesso
giorno (Gen. 1, 20-21)
88
210












1.
2.
3.
2.




3.
a)






b)


Sono sicuramente presenti nell‟alimentazione dei monaci, sia pure con alcune limitazioni, i
seguenti alimenti:
Pane (RM 26, 2-9; Ben, reg. 39,4) che in quaresima è d‟orzo (RM 53, 1) mentre
presumibilmente di solito sarà di qualità migliore;
Acqua (RM 27, 23-26)
Vino (R. Or. 17, 1 e 17, 41; puro – RM 27, 1; 53, 3- ovvero mescolato ad acqua calda – Caes.,
reg ad virg. 71, 4-5; RM 27, 5-10; 27, 12-14; 27, 27-31; 27, 33-34-; Ben, reg. 40, 3)
Uova (RM 69, 2)
Carne „bianca‟ (Caes., reg ad virg. 71, 7-8; RM 53, 28; 53, 32)
frutta (R. Or. 4, 2; RM 26, 1; 26, 10; Ben, reg. 39,3)
verdura (R. Or. 43; Caes., reg ad virg. 71, 3; Ben, reg. 39,3);
Tisane a base di erbe (RM 27, 7-9; 53, 6; 69, 2)
Olio come condimento ordinario delle pietanze (R. Or. 25, 6; RM 53, 7; )
Dolce (Caes., reg ad virg. 71, 3; RM 26, 11)
Il regime dell‟assunzione di cibo è regolato come segue:
Per il pasto principale si prevedono due pietanze cotte cui va aggiunta una cruda con frutta
(Caes., reg ad virg. 71, 2; RM 26, 1; Ben, reg. 39,1; 39,3)
Per la cena oltre a quanto è avanzato dal pranzo (Ben, reg. 39,5) si distribuisce qualcosa di
crudo con frutta (RM 26, 10)
si fissa in una libbra la quantità di pane da fornire ai monaci ogni giorno e in una emina la
quantità di vino quotidiana (RM 26, 2-9; RM 27, 39; Ben, reg. 39,4; 40, 3)
Nella distribuzione dei pasti durante l‟arco della giornata nei diversi periodi dell‟anno le regole
monastiche documentano una evoluzione che dovrebbe essere avvenuta nel tempo:
alcune regole prevedono esplicitamente un unico pasto al giorno, in genere dopo nona, secondo
l‟esempio degli Apostoli (Aug., praec. 3, 1; R. IV P. 3, 2-5; RM 28, 1-2).
in altre regole più recenti sono previsti:
giorni con pranzo e cena: tutte le domeniche e le feste, ma anche l‟estate tranne i giorni di
mercoledì e venerdì (R. Mac.2, 7; 29; Caes., reg ad virg. 67, 1; Ben, reg. 41, 1-5);
Giorni con un unico pasto a nona: mercoledì e venerdì dell‟estate, tutti i giorni feriali
dell‟inverno (R. Mac.2, 7; 29; Caes., reg ad virg. 67, 3; Ben, reg. 41, 6);
Nelle regole che si occupano espressamente di emanare prescrizioni concernenti modi e tempi
del digiuno, al regime alimentare dei monaci risultano esplicitamente previste eccezioni dovute
essenzialmente a:
variazioni stagionali
d‟estate:
le regole più recenti propendono per accordare ai religiosi due pasti durante la stagione calda,
lasciando alla discrezionalità del superiore del monastero la facoltà di attenuare il regime dei
digiuni tenendo conto di esigenze particolari (siano esse locali, legate al lavoro o alla calura
estiva) (Caes., reg ad virg. 67, 1; RM 28, 36; Ben, reg. 39, 6; 40, 5; 41, 1-5);
è previsto anche un incremento della quantità di bevanda distribuita (RM 27, 5-9; 27, 10; 27,
12-14; 27, 23-26; 27, 42)
d‟inverno:
si segue un regime di digiuni protratto per tutta la settimana e sospeso solo in occasione del
sabato e delle festività (Caes., reg ad virg. 67, 3; Ben, reg. 41, 6)
si riduce la quantità di bevanda distribuita (RM 27, 27-28; 27, 31; 27, 41)
La distribuzione dei pasti nella giornata varia a seconda dei diversi periodi dell‟anno liturgico
secondo lo schema seguente (cfr. Caes., reg ad virg. 67, 1):
Giorni di festa (domenica, sabato, ricorrenze dei santi) varia sia la quantità che la qualità dei
cibi: si aggiunge una portata al regime ordinario, dolciumi (Caes., reg ad virg. 71, 3; RM 26,
11;) ed una bevuta di qualunque bevanda si possa procurare facilmente (RM 27, 45)
Quaresima:
211







c)


d)





4.
a)
diminuisce quantità e qualità degli alimenti (RM 53, 1-7)
tutti i giorni feriali di quaresima prevedono un unico pasto a vespro (RM 28, 8; Ben, reg. 41, 7)
Periodo Pasquale (da Pasqua a Pentecoste): varia la quantità, la qualità e la frequenza dei pasti:
Sono previsti di solito pranzo e cena (RM 28, 40; Ben, reg. 41, 1)
Un incremento nella distribuzione di bevande (RM 27, 33-34)
è consentito, persino, per quanto sconsigliato, il consumo di carne di uccelli o di animali da terra
pennuti e quadrupedi (RM 53, 27-28; 53, 32-33)92
Prima dell‟Epifania si dispone una settimana di digiuno di preparazione (Caes., reg ad virg. 67,
4)
Età:
In relazione alla quantità di alimenti da somministrare, si prevede una riduzione per i fanciulli di
minore età (RM 26, 14; 27, 41-42; Ben, reg. 39, 10)
In relazione agli orari stabiliti per i pasti è prescritto l‟anticipo della refezione(RM 28, 13; 28,
16; 28, 20-23; Ben, reg. 37, 3) per i confratelli più giovani (di minore età) e più anziani per i
quali doveva risultare gravoso aspettare per assumere cibo fino a mezzogiorno o, in caso di
digiuno, fino almeno alle tre del pomerriggio;
condizioni di salute
Il cibo viene somministrato secondo le necessità fisiche dei singoli (Aug., praec. 1, 3; Ben, reg.
34, 1-5; 39, 1-2; 40, 3). Sono concessi pertanto dei riguardi (anche culinari) a quanti risultano di
costituzione delicata, ed ai malati93 perché possano recuperare al più presto la salute, con la
cautela che una volta guariti il piacere non li tenga schiavi del tenore di vita di cui avevano
beneficiato durante la malattia (Aug., praec. 3, 1; 3, 3; 3, 5; 5, 8; R. Or. 25, 8; 39; Caes., reg ad
virg. 22, 3; 32, 1; 32, 3; 42, 1-4; RM 28, 15; 28, 18; 28, 26; RM 53, 52).
Con riferimento alla qualità degli alimenti si registra quanto segue:
Solo ai malati viene distribuita carne, di solito pollame ma, incaso di malati particolarmente
gravi, non si bada a distinzioni di carne (Caes., reg ad virg. 71, 7-9; RM 28, 14; Ben, reg. 36, 9)
Anche il vino (di buona qualità) é dispensato ai religiosi malati o di costituzione più delicata
(Caes., reg ad virg. 30, 6-8).
Con riferimento alla quantità, almeno in prima battuta si osserva una diminuzione della razione
distribuita (Aug., praec. 3, 5; RM 69, 2; 69 12-13), ma per coloro che sono proprio malati è
prevista la possibilità di mangiare anche al di fuori degli orari stabiliti per i pasti consentiti (il
prandium a sesta e la refezione generalmente a nona) (Aug., praec. 3, 1)
Tra le motivazioni che si possono cogliere dietro l‟attenzione prestata al regime alimentare da
seguire in monastero particolarmente rilevanti e ampiamente attestate sono quelle di carattere:
Morale, il cui fondamento poggia sull‟osservazione esplicita che lo scopo della vita monastica
deve essere la cura dell‟anima e non del corpo (Caes., reg ad virg. 40, 2; 53). D‟altra parte
l‟intemperanza alimentare - che si manifesta come gozzoviglia, indigestione (Ben, reg. 39, 7-9),
sazietà o ubriachezza (Ben, reg. 40, 5-7) – è ritenuta esca principale delle passioni, laddove la
sobrietà di nutrimento, la moderazione costante, che non comporta rinunce di difficile
attuazione, è incoraggiata con la promessa di una particolare ricompensa divina per chi fa
astinenza (Ben, reg. 40, 4; 40, 6) e dalla considerazione che questa pratica risulta anche rimedio
utile alla custodia della castità, al discernimento della verità e ad una preghiera attenta e
fervorosa, tesa ad impetrare l‟aiuto divino (Aug., praec. 3, 1; R. Or. 17, 1; 17, 26; 17, 41; 17,
44; Caes., reg ad virg. 71, 6; RM 15, 38-47; 26, 13; 27, 4; 27, 24-26; 27, 46-48; 53, 9-10; 53,
12; 53, 19; 53, 33; 53, 53). Al riguardo si registra nelle regole il timore del furto e di sotterfugi
da parte dei religiosi per procacciarsi alimenti in momenti e in quantità non consentiti (R. IV P.
92
per un primo orientamento Cfr. Regola del Maestro, a cura di M. Bozzi e A. Grilli, Brescia 1995, vol. II, p. 346; cfr. inoltre I.
Gobry, Storia del monachesimo, Roma 1991, vol. I, p. 691
93
cfr. L. VERHEIJEN, La Regola di S. Agostino. Studi e ricerche, Palermo 1986, pp. 142-143; cfr. pure Gobry, Storia cit., vol. I, p.
526
212
3, 23-25; R. Or. 4, 2; 6; 25, 1; 38, 2; 43; Caes., reg ad virg. 30, 4; RM 16, 27-31; 16, 53-56; 6266; 21, 8-10; 23, 40-41; 69, 1; 69, 3-8; 69, 14-21; 69, 27; Ben, reg. 35, 12-13) e questa possibile
attenuazione del rigore dell‟alimentazione monastica potrebbe trovare proprio nel servizio
prestato in cucina un‟occasione propizia. Il digiuno trova poi ampia utilizzazione come pratica
di correzione di immediata comprensione per punire il confratello che commette infrazioni(R.
Mac. 26, 1-2; R. Or. 32, 4; RM 13, 42; 13, 50-53; 13, 60; 19, 13-17; Ben, reg. 30; 43, 15-16)
b) Scritturistiche: l‟esempio dei santi (R. Or.17, 26; 17, 41) e degli Apostoli costituisce uno
stimolo al desiderio di dominare la carne come pure a praticare le virtù della povertà e
dell‟umiltà (R. IV P. 3, 2-5)
2. Letteratura Agiografica
A questo punto della ricerca si passano in rassegna le fonti agiografiche con l‟obiettivo di
individuarvi posizioni che confermano le evidenze delle regole monastiche, ma anche usi che si
propongono come soluzioni alternative rispetto a quanto prospettato dalla normativa vigente nei
monasteri.
Si esamineranno in particolare i seguenti aspetti:
1.
2.
3.
a)
b)
c)
4.
a)
b)
1.

regime alimentare degli asceti, con individuazione dei cibi e delle bevande
distribuzione dei pasti nella giornata ed eventualmente nell‟anno
eccezioni dovute a:
variazioni stagionali/ricorrenze dell‟anno liturgico
età
condizioni di salute
motivazioni:
morali
bibliche
Il regime alimentare dei santi asceti prevedeva poche e semplici vivande. Più in particolare:
l’alimento base è costituito dal pane (Hier., vita pauli 1094; Vita Ant. 3, 695), che in alcuni
casi viene indicato come pane d’orzo (Hier. vita hil. 5, 3-496; Hier., ep. 52, 697), di qualità
quindi particolarmente scadente, per lo più consumato con sale ed acqua (Vita Ant. 7, 6-898;
94
Durante il colloqio tra Antonio e Paolo il Signore provvede al loro sostentamento: inter has sermocinationes suspiciunt alitem
coruum in ramo arboris consedisse, qui inde leniter subuolabat, et integrum panem ante ora mirantium deposuit; post cuius
abscessum: eia, inquit paulus, dominus nobis prandium misit, uere pius, uere misericors. sexaginta iam anni sunt quod dimidii
semper panis fragmentum accipio: uerum ad aduentum tuum, militibus suis christus duplicauit annonam.
95
Antonio esercita lavori manuali per scacciare l‟ozio e procurarsi il pane: operabatur ergo manibus suis eo quod audivit scriptum
esse: «vacuus autem et otiosus non manducet». De opera ipsa partem habebat ad panem, residua indigentibus erogabat. Orabat
quoque continuo, edoctus quia oportet seorsum et continuo orare.
96
Girolamo descrive l’ascesi alimentare di Ilarione: A tricesimo autem primo usque ad tricesimum quintum sex uncias hordeacei
panis et coctum modice olus absque oleo in cibo habuit. Sentiens autem caligare oculos suos et totum corpus impetigine uri et
pumicea quadam scabredine contrahi, ad superiorem victum adiecit oleum, et usque ad sexagesimum tertium vitae suae annum hoc
continentiae cucurrit gradu, nihil omnino extrinsecus aut pomorum aut leguminis aut cuiuslibet rei gustans.
97
Girolamo scrive un trattatello per Nepoziano su come debbano comportarsi i religiosi : natus in paupere domo et in tugurio
rusticano, qui uix milio et cibario pane rugientem saturare uentrem poteram, nunc similam et mella fastidio, noui et genera et
nomina piscium, in quo litore conca lecta sit, calleo, saporibus auium discerno prouincias et ciborum me raritas ac nouissime
damna ipsa delectant
98
7, 6-8 vigilabat enim tantum ut saepius totam noctem transigeret sine somno et hoc non semel, sed frequentius faciens
admirabilis videbatur. Manducabat enim semel in die, post occasum solis, aliquando post biduum, et aliquoties post quadriduum
gustabat. Erat enim illi esca panis et sal, et potus sola aqua. De vino enim et de carnibus superfluum est dicere, quando nec apud
alios qui inferiores illo erant in virtute aliquid tale inveniebatur. Ad dormire autem et in terra dormiebat. Oleo vero ungere se
213
12, 499; 40, 3100; 50, 3101; 50, 5-6102; 54,1103; Hier. vita hil. 5,1104; Hier. epp. 24, 3105; 52,
12106; 54, 12107; 79, 4108). In alternativa al pane è attestato l’uso di zuppa di farina, sorta di
polenta preparata presumibilmente con cereali di modesta qualità (Hier. vita hil. 5,6109;
Hier., epp. 52, 6110; 107, 10111).
nolebat dicens: «magis decet iuniori ex voluntate habere studium sustinentiae, et non quaerere ea quae relaxant corpus, sed magis
consuescere oportet in laboribus, in mente habentes apostoli sancti dictum ubi dicit: « quando infirmus sum, tunc potens sum» ».
99
Antonio decide di rendere più rigorosa la propria ascesi: magis ergo ac magis extendens propositum suum perrexit cum impetu in
montem, et castra deserta propter longitudinem temporis et plena repentium invenit trans flumen. In haec se transtulit et mansit in
eis. Et repentia quidem, quasi a flagello aliquo persequerentur, recesserunt, ipse autem secundum consuetudinem Thebaeorum
reposuit sibi panes ad sex menses – faciunt enim hoc Thebaei in annum et non corrumpuntur panes – et habens aquam intus gressus
castrorum clausit, et quasi in abditis absconsus in ipsa mansione solus manebat, neque ipse procedens neque aliquem venientium
videns. Ipse autem multum tempus continuavit studens, tantum bis in anno per solarium panem accipiens.
100
Antonio racconta le tentazioni demoniache cui è stato sottoposto: venit aliquando ieiunante me ipse subdolus quasi monachus
habens phantasiam panis, et coepit quasi consilium dare mihi dicens: «manduca et desine ab his laboribus omnibus. Homo enim es
tu, et incipies infirmari».
101
Antonio riceve pane dai Saraceni: ipsi quoque Saraceni, videntes ipsius Antonii animationem in bono et promptam voluntatem
affectabant ipsam viam pertransire, et gaudentes offerebant illi panes.
102
Antonio cerca di raggiungere ‘l’autosufficienza alimentare’ e si dedica anche a pratiche agricole: Antonius autem ipse, videns
quia causa panis multum laborem sustinent multi, et vexant se, parcens monachis et hoc, cogitavit apud se et rogavit aliquos
introeuntium afferre illi bidentem et securem et modicum tritici. Et allatis his, circumspexit planitiem quae erat circa montem, ubi et
invenit ibi modicum locum aptum quem coluit, et de aquae abundantia quem habuit semina rigabat, et per singulos annos hoc
faciens habebat panem, gaudens quia nulli propter hoc ipsud molestus erat, quia in omnibus se sine onere conservare eum volebant.
103
Antonio si reca a visitare degli eremiti: rogatus autem aliquando a monachis ut post tempus descenderet ad eos et visitaret eos
et loca ipsorum, surgens ibat cum ipsis. Camelus autem ferebat illis panes et aquam.
104
A vicesimo primo anno usque ad vicesimum septimum, tribus annis, dimidium lentis sextarium madefactum aqua frigida
comedit, et aliis tribus panem aridum cum sale et aqua.
105
Girolamo indirizza la lettera a Marcella e le propone come modello di vita ascetica Asella, dal momento che la castità perpetua è
una virtù particolarmente apprezzata in cielo: ieiunium pro ludo habuit, inediam refectionem; et cum eam non uescendi desiderium,
sed humana confectio ad cibum traheret, pane et sale et aqua frigida concitabat magis esuriem, quam restinguebat.
106
Girolamo dà consigli a Nepoziano sulla vita religiosa: tantum tibi ieiuniorum inpone, quantum ferre potes. sint pura, casta,
simplicia, moderata, non superstitiosa ieiunia. quid prodest oleo non uesci et molestia quasdam difficultates que ciborum quaerere?
caricae, piper, nuces, palmarum fructus, simila, mel, pistatia, tota hortorum cultura uexatur, ut cibario non uescamur pane. audio
praeterea quosdam contra rerum hominum que naturam aquam non bibere nec uesci pane, sed sorbitiunculas delicatas et contrita
holera betarum que sucum non calice sorbere, sed conca. pro pudor, non erubescimus istiusmodi ineptiis nec taedet superstitionis!
insuper etiam famam abstinentiae in deliciis quaerimus. fortissimum ieiunium est aqua et panis; sed, quia gloriam non habet et
omnes pane et aqua uiuimus, quasi publicum et commune ieiunium non putatur. caue, ne hominum rumusculos aucuperis, ne
offensam dei populorum laude commutes.
107
Girolamo esorta la ricca vedova Furia a fare elemosine a chi ha davvero bisogno : illis tribue diuitias tuas, qui non phasides aues,
sed cibarium panem coemant, qui famem expellant, non qui augeant luxuriam.
108
Girolamo nel 400 scrive a Salvina per consolarla della morte del marito Nebridio, figlio di un suo amico, ed esortarla ad una vita
continente: habentes uictum et uestitum his contenti sumus. ubi uile holusculum et cibarius panis et cibus potus que moderatus, ibi
diuitiae superuacuae, ibi nulla adulatio, quae uel praecipue fructum respicit. ex quo colligitur fidele esse testimonium, quod causas
non habet mentiendi.
109
Ilarione, ormai anziano, cambia regime alimentare ed elimina dalla sua dieta il pane: Fiebat autem ei de farina et comminuto
olere sorbitiuncula, cibo et potu vix quinque uncias appendentibus
110
cfr. n. 47
Alla fine del 400 Girolamo rivolge consigli pedagogici a Leta sull‟educazione della piccola Paola : cibus eius holusculum sit et
simila raro que pisciculi. et ne gulae praecepta longius traham, de quibus in alio loco plenius sum locutus, sic comedat, ut semper
esuriat, ut statim post cibum possit legere, orare, psallere.
111
214
 è attestato anche il consumo di vari alimenti vegetali indicati per lo più con termini generici
quali ortaggi (Vita Ant. 50, 7112; Possidius, vita aug. 22, 2113), legumi (Vita Ant. 51, 1114; Hier.
vita hil. 5,4115; Hier., epp. 22,35; 58, 6116; 66, 13117; 79, 4118; 107, 10119; 125, 11120; Possidius,
vita aug. 22, 2121), verdura tritata (Hier. vita hil. 5,6122), erbe di campo e radici crude (Hier. vita
hil. 5,2123; Sulp. Sev. Vita mart. 6,5124), succo d‟erba (Hier. vita hil. 3,5125). A volte si usano
112
Antonio coltiva degli ortaggi per rifocillare quanti si recano a trovarlo: Nam postmodum videns plurimos introire ibi, instituit
pauca olera, ut introeuntes post durum et molestae desertae viae illius laborem ut habeant aliquam resumptionem et
consolationem.
113
Possidio traccia un breve profilo di Agistino: Mensa usus est frugali et parca, quae quidem inter olera et legumina etiam carnes
aliquando propter hospites vel quosque infirmiores, semper autem vinum habebat, quia noverat et docebat, ut Apostolus dicit, quod
omnis creatura Dei bona sit, et nihil abiciendum, quod cum gratiarum actione percipitur; sanctificatur enim per verbum Dei et
orationem; cfr. I. Gobry, Storia del monachesimo, Roma 1991, vol. I, p. 521
114
Ad Antonio ormai vecchio i confratelli portano legumi, olive, olio: ipse autem sic erat in interiore monte vacans orationibus et
studio deifico. Fratres vero introeuntes post menses rogabant illum ut suscipiat ministerium eorum, afferebant illi legumen et olivas
et oleum. Iam enim senex erat.
115
cfr. n. 46
116
Nel 395 Girolamo fornisce consigli a Paolino (che poi diverrà vescovo di Nola) su come condursi nella vita religiosa: sit uilis et
uespertinus cibus holera et legumina interdum que pisciculos pro summis ducas deliciis. qui christum desiderat et illo pane uescitur,
non quaerit magnopere, quam de pretiosis cibis stercus conficiat. quicquid post gulam non sentitur, idem tibi sit, quod panis et
legumina.
117
Nel 397 Girolamo scrive a Pammachio dopo la morte della moglie e magnifica i comportamenti ascetici della suocera e della
cognata, Paola ed Eustochio:quae inmunditias platearum ferre non poterant, quae eunuchorum manibus portabantur et inaequale
solum molestius transcendebant, quibus serica uestis oneri erat et solis calor incendium, nunc sordidatae et lugubres et sui
conparatione forticulae uel lucernas concinnant uel succendunt focum, pauimenta uerrunt, mundant legumina, holerum fasciculos in
feruentem ollam deiciunt, adponunt mensas, calices porrigunt, effundunt cibos, huc illuc que discurrunt. et certe magnus uirginum
chorus cum illis habitat.
118
cfr. n. 58
119
cfr. n. 61
120
Girolamo esorta il monaco Rustico ad applicarsi ad un lavoro manuale con cui garantirsi il sostentamento ed evitare che l‟ozio
favorisca l‟insorgere delle passioni: nec uacet mens tua uariis perturbationibus, quae, si pectori insederint, dominabuntur tui et te
deducent ad delictum maximum. fac et aliquid operis, ut semper te diabolus inueniat occupatum. si apostoli habentes potestatem de
euangelio uiuere laborabant manibus suis, ne quem grauarent, et aliis tribuebant refrigeria, quorum pro spiritalibus debebant
metere carnalia, cur tu in usus tuos cessura non praepares? uel fiscellam texe iunco uel canistrum lentis plecte uiminibus, sariatur
humus, areolae aequo limite diuidantur; in quibus cum holerum iacta fuerint semina uel plantae per ordinem positae, aquae
ducantur inriguae, ut pulcherrimorum uersuum spectator adsistas: ecce supercilio cliuosi tramitis undam elicit, illa cadens raucum
per leuia murmur saxa ciet scatebris que arentia temperat arua. inserantur infructuosae arbores uel gemmis uel surculis, ut paruo
post tempore laboris tui dulcia poma decerpas. apum fabricare aluearia, ad quas te mittunt prouerbia, et monasteriorum ordinem ac
regiam disciplinam in paruis disce corporibus. texantur et lina capiendis piscibus, scribantur libri, ut et manus operetur cibos et
anima lectione saturetur. in desideriis est omnis otiosus. aegyptiorum monasteria hunc morem tenent, ut nullum absque opere ac
labore suscipiant, non tam propter uictus necessaria quam propter animae salutem, ne uagetur perniciosis cogitationibus et instar
fornicantis hierusalem omni transeunti diuaricet pedes suos.
121
cfr. n. 63
122
cfr. n. 59
123
nel quinto capitolo della sua biografia di Ilarione Girolamo descrive la variazione del regime alimentare del suo monaco nei
diversi momenti della sua vita: Porro a vicesimo septimo usque ad tricesimum herbis agrestibus et virgultorum quorumdam
radicibus crudis sustentatus est
124
quando infuriava in Italia la prepotenza degli ariani, Martino si ritira nell’isola di Gallinaria, del resto le isole piccole e desolate
erano particolarmente amate dagli asceti: cedendum itaque tempori ratus, ad insulam, cui Gallinaria nomen est, secessit comite
quodam presbytero magnarum virtutum viro. Hic aliquandiu radicibus vixit herbarum. Quo tempore helleborum, venenatum, ut
ferunt, gramen, in cibum sumpsit.
125
Ilarione decide di far fronte alle tentazioni del diavolo con un regime alimentare severo: iratus itaque sibi et pectus pugnis
verberans, quasi cogitationes caede manus posset excludere: “ego”, inquit, “aselle, faciam ut non calcitres nec te hordeo alam sede
paleis, fame te conficiam et siti, gravi onerabo pondere, per aestus indagabo et frigora, ut cibum potius quam lasciviam cogites”.
Herbarum ergo succo et paucis caricis post triduum vel quatriduum deficientem animam sustentabat, orans frequenter et psallens et
rastro humum fodiens, ut ieiuniorum laborem labor operis duplicaret.
215
termini specifici, come nel caso del consumo di lenticchie ammollate in acqua fredda (Hier. vita
hil. 5,1126). Si tratta per lo più di alimenti consumati crudi anche se risulta attestata verdura
(poco) cotta con o senza olio (Hier. vita hil. 5, 3-4127; Hier., epp. 22, 35 ; 66, 13128 ; Possidius,
vita aug. 22, 2129)
 è documentato anche il consumo di olive(Vita Ant. 51, 1130) e olio come condimento (Vita Ant.
51, 1131; Hier., vita hil. 5,4132; Hier., epp. 22, 35; 107, 10133; 108, 17, 3134);
 altri alimenti di cui è attestato l‟uso: uova (Hier., ep. 108, 17, 3135), miele (Hier., epp. 108, 17,
3136; 125, 11137), latte (Hier., vita malchi 5138; Hier., ep. 108, 17, 3139), formaggio fresco (Hier.,
vita malchi 5140) e pesci (Hier., ep. 58, 6141; 107, 10142; 108, 17, 3143; 125, 11144)
 per quanto attiene al consumo di frutta (Hier. vita hil. 5,4145; Hier., epp. 107, 10146; 125, 11147)
gli asceti si cibavano essenzialmente di fichi secchi (caricas) (Hier. vita hil. 3,1148; 3,5149) e i
frutti delle palme (Vita Ant. 50, 4150; Hier., vita pauli 5151)
126
cfr. n. 54
127
cfr. n. 46
128
cfr. n. 67
cfr. n. 63
130
cfr. n. 64
131
cfr. n. 64
132
cfr. n. 46
129
133
cfr. n. 61
Girolamo parla della pratica di astinenza di Paola e considera il suo regime alimentare ulteriore riprova di virtù: At non Paula
talis, quae tantae continentiae fuit, ut prope mensuram excederet et debilitatem corporis nimis ieiuniis ac labore contraheret, quae
exceptis festis diebus vix oleum in cibo acceperit, ut ex hoc uno aestimetur, quid de vino et liquamine et piscibus et lacte ac melle et
ovis et reliquis, quae gustu suavia sunt, iudicarit. In quibus sumendis quidam se abstinentissimos putant et si his ventrem
ingurgitaverint tutam pudicitiam suspicantur.
135
cfr. n. 84
136
cfr. n. 84
137
cfr. n. 70
138
Malco, catturato e ridotto in schiavitù da un‟orda di Ismailiti, fu reso dal Signore nel deserto quel monaco che non sarebbe stato
se fosse tornato in patria: traduntur mihi pascendae oues, et (in malorum comparatione) hoc fruor solatio, quod dominos meos et
conseruos rarius uideo. uidebar mihi aliquid habere sancti iacob; recordabar moysi, qui et ipsi in heremo pecorum quondam fuere
pastores. uescebar recenti caseo et lacte. orabam iugiter, canebam que psalmos quos in monasterio didiceram.
139
cfr. n. 84
140
cfr. n. 88
141
cfr. n. 66
142
cfr. n. 61
143
cfr. n. 84
144
cfr. n. 70
145
cfr. n. 46
134
146
cfr. n. 61
cfr. n. 70
148
Ilarione, partito da Antonio, rimasto ormai orfano, donati parte ai fratelli parte ai poveri tutti i propri beni, a quindici anni si reca
nel deserto di Gaza per iniziare la propria vita anacoretica: igitur sacco tantum membra coopertus et pelliceum habens ependyten,
quem illi beatus Antonius proficiscenti dederat, sagumque rusticum, inter mare et paludem vasta et terribili solitudine fruebatur,
quindecim tantum caricas post solis occasum comedens; et quia regio latrociniis infamis erat, numquam in eodem loco habitare
consueverat.
149
Ilarione decide di far fronte alle tentazioni del diavolo con un regime alimentare severo: iratus itaque sibi et pectus pugnis
verberans, quasi cogitationes caede manus posset excludere: “ego”, inquit, “aselle, faciam ut non calcitres nec te hordeo alam sede
paleis, fame te conficiam et siti, gravi onerabo pondere, per aestus indagabo et frigora, ut cibum potius quam lasciviam cogites”.
Herbarum ergo succo et paucis caricis post triduum vel quatriduum deficientem animam sustentabat, orans frequenter et psallens et
rastro humum fodiens, ut ieiuniorum laborem labor operis duplicaret.
150
Antonio nel suo rigore ascetico trae nutrimento anche dalla palma che cresceva presso il suo romitorio: Habebat quoque de
arboribus palmarum paucam et infirmam consolationem.
147
151
Paolo per sfuggire alle persecuzioni e alla malcelata invidia del cognato „scopre‟ la vita eremitica: quod ubi prudentissimus
adolescens intellexit, ad montium deserta confugiens, dum persecutionis finem praestolaretur, necessitatem in uoluntatem uertit, ac
216
 l‟unica bevanda che risulta usata è l‟acqua (Vita Ant. 3, 6152; 7, 6-8153; 12, 4154; 40, 3155; 50, 3156;
50, 5-6157; 54,1158; Hier., vita pauli 5159; Hier. vita hil. 5,1160; Hier., epp. 24, 3161; 52, 12162; 54,
10163)
Vino e carni risultano sempre esclusi dal regime alimentare degli asceti (Vita Ant. 7, 7164; Hier.,
ep. 108, 17, 3165). Il vino era comunque ammesso in caso di malattia166 (Sulp. Sev. Vita mart.
10,7167): d‟altra parte ai malati veniva accordato tutto con larghezza, persino la carne (Hier., ep.
108, 20, 7168).
Da segnalare il vitto di Agostino, che, pur improntato a frugalità, conformemente alla pratica della
povertà cristiana, non era particolarmente esiguo: essenzialmente a base vegetale (olera et
legumina), non era esclusa la carne e neppure il vino (Possidius, Vita Augustini 22, 2169), di cui
risulta stabilito il numero di bicchieri consentiti durante i pasti (Possidius, Vita Augustini 25, 2170)
paulatim progrediens, rursus que subsistens, atque hoc idem saepius faciens, tandem reperit saxeum montem, ad cuius radices haud
grandis spelunca lapide claudebatur.
quo remoto (ut est cupiditas hominum occulta cognoscere), auidius explorans, animaduertit intus grande uestibulum, quod aperto
desuper coelo, patulis diffusa ramis uetus palma contexerat, fontem lucidissimum ostendens: cuius riuum tantummodo foras
erumpentem, statim modico foramine, eadem quae genuerat, aquas terra sorbebat.
erant praeterea per exesum montem haud pauca habitacula, in quibus scabraeiam incudes et mallei, quibus pecunia signatur,
uisebantur. hunc locum aegyptiorum litterae ferunt, furtiuam monetae officinam fuisse, ea tempestate qua cleopatrae iunctus est
antonius. igitur adamato (quasi quod a deo sibi offerretur) habitaculo, omnem ibidem in orationibus et solitudine duxit aetatem.
cibum et uestimentum ei palma praebebat.
152
cfr. n. 45
153
cfr. n. 48
154
cfr. n. 49
155
cfr. n. 50
156
cfr. n. 51
157
cfr. n. 52
158
cfr. n. 53
159
cfr. n. 101
160
cfr. n. 54
161
cfr. n. 55
cfr. n. 56
163
Girolamo indirrizza alla vedova Furia precise indicazioni sugli alimenti da assumere e da evitare: primum igitur, si tamen
stomachi firmitas patitur, donec puellares annos transeas, aquam in potum sume, quae natura frigidissima est, aut, si hoc inbecillitas
prohibet, audi cum timotheo: uino modico utere propter stomachum et frequentes tuas infirmitates. deinde in ipsis cibis calida
quaeque deuita; non solum de carnibus loquor, super quibus uas electionis profert sententiam: bonum est uinum non bibere et
carnem non manducare, sed etiam in ipsis leguminibus inflantia quaeque et grauia declinanda sunt - nihil que ita scias conducere
christianis adulescentibus ut esum holerum, unde et in alio loco: qui infirmus est, ait, holera manducet - ardor que corporum
frigidioribus epulis temperandus est. si autem tres pueri et daniel leguminibus uescebantur, pueri erant necdum ad sartaginem
uenerant, in qua rex babylonius senes iudices frixit. nobis non corporum cultus, qui in illis - excepto priuilegio gratiae dei - ex
huiusce modi cibis enituerat, sed animae uigor quaeritur, quae carnis infirmitate fit fortior. inde est, quod nonnulli uitam pudicam
adpetentium in medio itinere corruunt, dum solam abstinentiam carnium putant et leguminibus onerant stomachum, quae moderate
parce que sumpta innoxia sunt. et ut, quod sentio, loquar, nihil sic inflammat corpora et titillat membra genitalia nisi indigestus
cibus ructus que conuulsus. malo apud te, filia, uerecundia parumper quam causa periclitari. quidquid seminarium uoluptatum est,
uenenum puta. parcus cibus et semper uenter esuriens triduanis ieiuniis praeferatur et multo melius est cottidie parum quam raro
satis sumere.
164
cfr. n. 48
165
cfr. n. 84
166
cfr. I. Gobry, Storia del monachesimo, Roma 1991, vol. I, p. 457
167
Sulpicio Severo descrive le abitudini dei monaci del monastero fondato da Martino: rarus cuiquam extra cellulam suam egressus,
nisi cum ad locum orationis conveniebant. Cibum una omnes post horam ieiunii accipiebant. Vinum nemo moverat, nisi quem
infirmitas coegisset.
168
Girolamo descrive il trattamento riservato da Paola alle malate: Quid memorem clementiam et sedulitatem in aegrotantes, quas
miris obsequiis et ministeriis confovebat? Cumque aliis languentibus large praeberet omnia et esum quoque exhiberet carnium, si
quando ipsa aegrotasset, sibi non indulgebat et in eo inaequalis videbatur quod in aliis clementiam in se duritiam conmutabat.
162
169
cfr. n. 63
Possidio racconta che nella casa di Agostino erano presenti anche ecclesiastici e la comunità provvedeva a fornire loro cibo e
vesti : cum ipso semper clerici una etiam domo ac mensa sumptibusque communibus alebantur et vestiebantur. Et ne quisquam
facili iuratione etiam ad periurium decidisset, et in ecclesia populo praedicabat, et suis instituerat, ne quis iuraret, ne ad mensam
170
217
2. Nella produzione agiografica la distribuzione dei pasti nell‟arco della giornata è menzionata
essenzialmente con l‟obiettivo di esaltare le capacità ascetiche – per lo più straordinarie, fuori
dalla portata degli individui comuni - dell‟eroe cristiano di turno. Di solito questi asceti
prendevano un solo pasto al giorno (Vita Ant. 7, 6171; Hier. vita hil. 3,1172; 5,7173; Hier., ep. 108,
1, 4174; 17,3175; Sulp. Sev. Vita mart. 10,7176; Sulp. Sev. Vita mart. 26,2177; Sulp. Sev. Vita mart.
14,4178; Paolino, Vita Ambrogi 38,1179), quando non addirittura ogni due, tre o quattro giorni
(Vita Ant. 7, 6180; Hier. vita hil. 3,5181). Si mangiava „dopo il tempo del digiuno‟ (Sulp. Sev. Vita
mart. 10,7182), indicazione temporale che alcuni agiografi intendono esplicitamente „dopo il
tramonto del sole‟, al termine della giornata lavorativa (Vita Ant. 7, 6183; Hier. vita hil. 3,1184;
5,7185). La menzione dei digiuni tra le pratiche ascetiche più efficaci può far ipotizzare che,
almeno in alcuni giorni, fossero previsti due pasti, così che fosse possibile rimarcare la
privazione come atto di contrizione e mortificazione volontaria. Conforta in tal senso la chiara
testimonianza di Paolino che, descrivendo la vita frugale del vescovo di Milano conforme alle
massime evangeliche, con particolare riferimento alla astinenza nell‟alimentazione186 precisa:
tutti i giorni Ambrogio prendeva un solo pasto, ad eccezione dei festivi (e a Milano il sabato era
considerato tale) quando faceva anche il pranzo (Paolino, Vita Ambrogi 38,1187). D‟altra parte,
lo stesso Girolamo nel racconto delle eccezionali pratiche ascetiche di Ilarione, dopo aver detto
che mangiava sempre dopo il tramonto (Hier. vita hil. 3,1; 5,7), puntualizza „anche quando era
giorno festivo oppure in caso fosse gravemente malato‟ (Hier. vita hil. 5,7188) e la precisazione
fa supporre comune e normale il comportamento contrario.
quidem. Quod si prolapsus fecisset, unam de statutis perdebat potionem; numerus enim erat suis secum commorantibus et
convivantibus poculorum praefixus
171
cfr. n. 48
cfr. n. 98
173
a conclusione del capitolo dedicato alla descrizione del regime alimentare di Ilarione, Girolamo precisa: Sicque complens
ordinem vitae numquam ante solis occasum, nec diebus festis, nec in gravissima valetudine, solvit ieiunium.
172
174
A proposito del desiderio di Paola di dissolversi in Cristo mortificando il corpo si fa menzione della pratica penitenziale del
digiuno supportata dalle prescrizioni di s. Paolo: Quotiens autem infirmitate corpusculi, quam incredibili abstinentia et duplicatis
contraxerat ieiuniis, vexabatur, hoc in ore volvebat: «subicio corpus meum et in servitutem redigo, ne aliis praedicans ipsa reproba
inveniar», et: «Bonum est vinum non bibere et carnem non manducare» et: «Humiliavi in ieiunio animam meam»
175
cfr. n. 84
cfr. n. 117
177
si espone un rapido riepilogo della vita interiore e della condotta ascetica di Martino: nam etsi facta illius explicari verbis
utcumque potuerunt, interiorem vitam illius et conversationem cotidianam et animum caelo semper intentum nulla umquam, vere
profiteor, nulla explicabit oratio, illam scilicet perseverantiam et temperamentum in abstinentia et in ieiuniis, potentiam in vigiliis et
orationibus, noctesque ab eo perinde ac dies actas, nullumque vacuum ab opere Dei tempus, quo vel otio indulserit vel negotio, sed
ne cibo quidem aut somno, nisi quantum naturae necessitas coegit.
178
Martino si dedica attivamente alla distruzione dei templi pagani per sradicare definitivamente il culto delle antiche divinità.
Trovando però un‟accanita resistenza decide di impetrare l‟aiuto divino ricorrendo a pratiche di mortificazione: itaque secessit ad
proxima loca. Ibi per triduum cilicio tectus et cinere, ieiunans semper atque orans, precabatur ad Dominum, ut, quia templum illud
evertere humana manus non potuisset, virtus illud divina dirueret.
179
Paolino descrive le qualità del vescovo: Ipse autem vir venerabilis episcopus erat multae abstinentiae et multarum vigilarum vel
laborum, cotidiano ieiunio macerans corpus; cui prandendi numquam consuetudo fuit, nisi die sabbati et dominico vel cum natalitia
celeberrimorum martyrum esset
180
cfr. n. 48
181
cfr. n. 75
182
cfr. n. 117
183
cfr. n. 48
184
cfr. n. 75
185
cfr. n. 123
176
186
cfr Vita Ambrosii, a cura di A. A. R. Bastiaensen, Milano, 1989, p. 320
cfr. n. 129
188
cfr. n. 123
187
218
3. Eccezioni al regime ordinario di assunzione di cibi e bevande sono riconducibili al verificarsi
delle seguenti situazioni:
a) Le ricorrenze dell‟anno liturgico sono celebrate come eventi gioiosi e pertanto comportano di
solito la sospensione delle pratiche di mortificazione, con riguardo sia alla quantità che alla
qualità degli alimenti da assumere (cfr. Hier., ep. 108, 17, 3189). Ad esempio il vescovo di
Milano Ambrogio, uniformandosi alle prescrizioni evangeliche, conduceva vita frugale e tutti i
giorni prendeva un solo pasto, ad eccezione dei festivi quando faceva anche il pranzo (Paolino,
Vita Ambrogi 38,1190). D‟altra parte anche gli asceti più rigorosi concedono qualcosa alle
occasioni liturgiche (Hier., ep. 108, 17, 3191), mentre sono esplicitamente indicati come contrari
all‟uso comune comportamenti particolarmente rigoristici anche durante le solennità religiose
(Hier. vita hil. 5,7192)
b) L‟ età è un fattore che incide sulla capacità del fisico di sopportare le privazioni, ma anche sul
tipo di astinenza necessaria. Gli asceti più rigorosi come Antonio ed Ilarione da giovani hanno
seguito una dieta vegetariana stretta a base di pane (d‟orzo) – con o senza sale- ed acqua (Vita
Ant. 3, 6193; 7, 6-8194; 12, 4195; 40, 3196; 50, 3197; 50, 5-6198; 54,1199; Hier. vita hil. 5,1200; 5, 34201), ortaggi (Vita Ant. 50, 7202) –termine generico che alcuni agiografi specificano facendo
riferimento a verdura più o meno cotta (Hier. vita hil. 5,3-4203), succo d‟erba (Hier. vita hil.
3,5204), lenticchie ammollate in acqua fredda (Hier. vita hil. 5,1205) e radici crude (Hier. vita hil.
5,2206; Sulp. Sev. Vita mart. 6,5207)-, frutta (Vita Ant. 50, 4208; Hier. vita hil. 3,1209; 3,5210). Con
l‟avanzare degli anni il regime alimentare si modifica e un po' si mitigano i rigori cui venivano
sottoposti i corpi in gioventù. Ad esempio Antonio da vecchio aggiunge alla sua dieta abituale
legumi (secchi= fave?), olive, olio (Vita Ant. 51, 1211) mentre Ilarione preferisce nutrirsi con
zuppa di farina e verdura tritata (Hier. vita hil. 5,6212). Se vino e carni risultano sempre esclusi
dal regime alimentare di Antonio (Vita Ant. 7, 7213) e Ilarione, Girolamo concede che la piccola
Paola possa nutrirsi anche di vino, per le esigenze dello stomaco, e di carne perché si
189
cfr. n. 84
cfr. n. 129
191
cfr. n. 84
192
cfr. n. 123
190
193
cfr. n. 45
cfr. n. 48
195
cfr. n. 49
196
cfr. n. 50
197
cfr. n. 51
198
cfr. n. 52
199
cfr. n. 53
200
cfr. n. 54
194
201
cfr. n. 46
202
cfr. n. 62
cfr. n. 46
203
204
205
206
cfr. n. 75
cfr. n. 54
cfr. n. 73
207
cfr. n. 74
cfr. n. 100
209
cfr. n. 98
210
cfr. n. 75
211
cfr. n. 64
212
cfr. n. 59
208
213
cfr. n. 48
219
c)
4.
a)


irrobustisca (Hier., ep. 107, 8214). A vecchi e più giovani Girolamo consente pure una colazione
supplementare motivandola con la necessità di sostenere l‟età cadente e di non far soccombere
nella tenera età (Hier., ep. 22, 35)
Le condizioni di salute costituiscono indubbiamente il fattore più importante nel definire il
regime alimentare. I malati meritavano un trattamento di riguardo sia in riferimento alla quantità
che alla qualità di cibi e bevande: in genere veniva loro accordato tutto con larghezza –
provvedendo a sospendere i digiuni e a rendere presumibilmente più frequenti i pasti (Hier. vita
hil. 5,7215), persino carne (Hier., ep. 108, 20, 7216) e vino, quest‟ultimo considerato una sorta di
panacea per risolvere problemi di stomaco, debolezza e frequenti malattie (Hier., epp. 52, 11217;
54, 10218; 107, 8219; 127, 4220; Sulp. Sev. Vita mart. 10,7221)
Tra le motivazioni dell‟attenzione ai consumi alimentari da parte dell‟ambiente cristiano
trovano sens‟altro spazio quelle di natura:
Morale, rintracciabili nelle seguenti posizioni:
la caduta dei protoparenti dal Paradiso terrestre è stata causata da un peccato di gola di qui la
considerazione degli asceti che la fame, l‟astinenza alimentare può essere un efficace mezzo per
ritorare a godere delle delizie celesti (Hier., ep. 22, 10).
Il digiuno è annoverato tra le virtù specificamente cristiane e quindi trova spazio tra le pratiche
ascetiche degli eremiti miranti a erigere un muro contro le tentazioni demoniache (Vita Ant. 4,
1222; 5, 4223; 23, 2224; 30, 2225; 47, 2226; Hier., ep. 108, 1, 4227; 17,3228) perché in un corpo sfinito
214
Girolamo fornisce indicazioni puntuali sul regime alimentare della piccola Paola: non uescatur in publico, id est in parentum
conuiuio, nec uideat cibos, quos desideret. et licet quidam putent maioris esse uirtutis praesentem contemnere uoluptatem, tamen ego
securioris arbitror continentiae nescire, quod quaeras. legi quondam in scholis puer: aegre reprehendas, quod sinas consuescere.
discat iam tunc et uinum non bibere, in quo est luxuria. ante annos robustae aetatis periculosa est teneris grauis abstinentia. usque
ad id tempus, si necessitas postularit, et balneas adeat et uino modico utatur propter stomachum et carnium edulio sustentetur, ne
prius deficiant pedes, quam currere incipiant. et haec dico iuxta indulgentiam, non iuxta imperium, timens debilitatem, non docens
luxuriam. alioquin, quod iudaica superstitio ex parte facit in eiuratione quorundam animalium atque escarum, quod indorum
bragmanae et aegyptiorum gymnosophistae in polentae et orizae et pomorum solo obseruant cibo, cur uirgo christi non faciat in
toto? si tanti uitrum, quare non maioris sit pretii margaritum? quae nata est ex repromissione, sic uiuat, ut illi uixerunt, qui de
repromissione generati sunt. aequa gratia aequum habeat et laborem.
215
cfr. n. 123
216
cfr. n. 118
Girolamo indirizza consigli di condotta religiosa a Nepoziano: numquam uinum redoleas, ne audias illud philosophi: 'hoc non est
osculum porrigere, sed propinare'. uinolentos sacerdotes et apostolus damnat et uetus lex prohibet. qui altari seruiunt, uinum et
siceram non bibant. sicera hebraeo sermone omnis potio nuncupatur, quae inebriare potest, siue illa fermento conficitur siue
pomorum suco aut faui decoquuntur in dulcem et barbaram potionem aut palmarum fructus exprimuntur in liquorem coctis que
frugibus aqua pinguior colatur. quidquid inebriat et statum mentis euertit, fuge similiter ut uinum. nec hoc dico, quod dei a nobis
creatura damnetur, siquidem et dominus uini potator appellatur et timotheo dolenti stomachum modica uini sorbitio relaxata est, sed
modum et aetatis et ualitudinis et corporum qualitates exigimus in potando. quodsi absque uino ardeo et ardeo adulescentia et
inflammor calore sanguinis et suculento ualido que sum corpore, libenter carebo poculo, in quo suspicio ueneni est. pulchre dicitur
apud graecos, sed nescios, utrum apud nos aeque resonet: 'pinguis uenter non gignit sensum tenuem'.
218
cfr. n. 113
219
cfr. n. 164
220
Girolamo in una lettera indirizzata a Principia ricorda la nobile figura di Marcella: moderata ieiunia, carnium abstinentia, uini
odor magis quam gustus propter stomachum et frequentes infirmitates.
221
cfr. n. 117
222
formazione ascetica di Antonio: sic ergo se educans Antonius diligebatur ab omnibus. Ipse vero ad diligentes et in sanctissimos
christianos se artabat, iens ad illos et legitime se illis subiciebat, et apud se singulorum amplitudinem studii religionis considerabat,
et videbat unius quidem gratiam, alterius autem instantiam ad orationes, et alterius considerabat patientiam, omnino sine ulla ira
esse, et alium videbat nimium humanum esse, vigilanti et legenti adtendebat, de ieiunante autem et in terra dormiente mirabatur,
et alterius lenitatem et longanimitatem observabat, omnium vero piam culturam in Christo et dilectionem in invicem, quae
diligebat, notabat sibi
217
223
lotta di Antonio contro il demonio: ille enim suggerebat cogitationes sordidas, hic autem orationibus repellebat eas. Et ille
quidem ad inmunditiam voluntatem provocabat, hic vero quasi verecundiam passus, fide et ieiuniis ut muro circumvallabat corpus
suum.
224
mezzi per resistere alle tentazioni demoniache: non oportet autem nos timere eorum in suggestiones. Orationibus enim et
ieiuniis, fide nostra quae est in Domino Iesu Christo, cadent illi continuo, et cadentes tamen non quiescunt.
220
da fame e sete il pensiero del cibo scaccia quello della lussuria (Hier., vita malchi 3229; Hier. vita
hil. 3,4230; Hier., ep. 108, 1,4231; 11, 5232; 17, 3233; 20,5234);
 Il piacere del cibo, annoverato tra i sollievi della vita, è una delle tentazioni del diavolo (Vita
Ant. 5, 2235; Hier., epp. 107, 11; 125, 7236; 125, 12237; 130, 10238). Uno stomaco sovraccarico,
infatti, intorpidisce le facoltà mentali e fa germogliare le spine della concupiscenza (Hier., ep.
22, 17): rimpinzato il ventre tutto il corpo si riscalda (Hier., epp. 22, 8; 52, 11239; 54, 7240; 54,
9241-10242; 54, 12243; 79,7244; 79, 9245).
225
Le armi a disposizione degli asceti contro i demoni: vita enim recta et fides in Domino per Iesum Christum et Spiritum Sanctum
pro magno scuto sunt adversus eos. Nam studentium secundum Deum timent ieiunium, vigilias, orationes, lenitatem,
mansuetudinem, simplicitatem, quando sine fictione, quando cupiditatem pecuniarum non habent, cum humilitate sensus, quando
pauperes amant, quando misericordiam diligunt, quando ira ad illos no accedit, et ante omnia habent Christi culturam.
226
Descrizione delle pratiche ascetiche di Antonio: Ieiunabat enim semper, vestimentum autem ipsius sacceum autem intrinsecus,
extrinsecus autem pellinum. Ad consummationem vitae suae hoc observavit.
227
cfr. n. 124
cfr. n. 84
229
Malco racconta che, a seguito delle pressioni dei suoi genitori perché si sposasse, fuggì nel deserto e si diede a vita monastica:
quid multa? perueni tandem ad heremum calchidos, quae inter immas et beroeam magis ad austrum sita est.
ibi repertis monachis, eorum me magisterio tradidi, manuum labore uictum quaeritans, lasciuiam que carnis refrenans ieiuniis.
230
cfr. n. 75
231
cfr. n. 124
232
Girolamo descrive i pensieri di Paola suscitati dalla contemplazione della terra che un giorno fu di Sodoma e Gomorra: Versa in
lacrimas virgines socias admonebat cavendum esse vinum, «in quo est luxuria» et cuius opus Moabitae sunt et Ammonitae
228
233
cfr. n. 84
Le misure correzionali seguite nel ‘cenobio’ di Paola: Lascivientem adulescentularum carnem crebris et duplicatis frangebat
ieiuniis malens eas stomachum dolere quam mentem.
234
235
Il diavolo tenta Antonio: suggerebat autem et cupiditatem pecuniarum, iactationem et cibariam voluntatem et ceteras
resumptiones vitae huius. Et ad summum suggerebat illi virtutis aspredinem, et quia multus est labor ipsius, supponebat
infirmitatem corporis et temporis longitudinem.
236
Girolamo fornisce consigli a Rustico su modi e mezzi per calmare i bollenti spiriti : balnearum fomenta non quaeras, qui calorem
corporis ieiuniorum cupis frigore extinguere. quae et ipsa moderata sint, ne nimia debilitent stomachum et maiorem refectionem
poscentia erumpant in cruditatem, quae parens libidinum est. modicus ac temperatus cibus et carni et animae utilis est.
237
Girolamo ricorda un episodio della sua vita: dum essem iuuenis et solitudinis me deserta uallarent, incentiua uitiorum ardorem
que naturae ferre non poteram; quae cum crebris ieiuniis frangerem, mens tamen cogitationibus aestuabat.
238
Girolamo esorta Demetriade ad una vita ascetica: post cogitationum diligentissimam cautionem ieiuniorum tibi arma sumenda
sunt et canendum cum dauid: humiliaui in ieiunio animam meam et: cinerem quasi panem manducaui et: cum molesti essent mihi,
induebar cilicio.
eua per cibum eiecta est de paradiso. helias quadraginta dierum exercitatus ieiunio igneo curru rapitur ad caelum. moyses
quadraginta diebus ac noctibus familiaritate et sermone dei pascitur et in se uerissimum probat: non in solo pane uiuit homo, sed in
omni uerbo, quod egredietur ex ore dei.(...)
aduersum iuuenes et puellas aetatis ardore abutitur et inflammat rotam natiuitatis nostrae et inplet illud in osee: omnes
adulterantes, quasi clibanus corda eorum, quae dei misericordia et ieiuniorum frigore restringuntur.(...) sic et in animo uirginali
rore caelesti et ieiuniorum frigore calor puellaris extinguitur et humano corpori angelorum impetratur conuersatio.
239
cfr. n. 167
240
Girolamo nella lettera indirizzata a Furia dispensa consigli valevoli per tutte le vedove cristiane decise a mantenersi continenti:
meminit pristinae uoluptatis, scit, quid amiserit, quo delectata sit: ardentes diaboli sagittae ieiuniorum et uigiliarum frigore
restinguendae sunt.
241
Girolamo prosegue la lettera a Furia indicando, anche su fondamento medico, la capacità di alcuni alimenti di favorire le passioni:
neque uero haec dicens condemno cibos, quos deus creauit ad utendum cum gratiarum actione, sed iuuenibus et puellis incentiua
esse adsero uoluptatum. non aetnaei ignes, non uulcania tellus, non ueseuus et olympus tantis ardoribus aestuant, ut iuueniles
medullae uino plenae, dapibus inflammatae.(...)
aiunt medici et qui de humanorum corporum scripsere naturis praecipue que galenus in libris, quorum titulus est peri hugiein,
puerorum et iuuenum ac perfectae aetatis uirorum mulierum que corpora insito calore feruere et noxios esse his aetatibus cibos, qui
calorem augeant, sanitati que conducere frigida quaeque in esu et potu sumere, sicut e contrario senibus, qui pituita laborent et
frigore, calidos cibos et uetera uina prode esse.
242
cfr. n. 113
243
cfr. n. 57
221
 Bisogna mangiare per non indebolirsi in quanto uomini, ma il monaco digiuna (Vita Ant. 40,
3246; Sulp. Sev. Vita mart. 26,2247) e reputa le necessità del corpo motivo di vergogna rispetto
alla natura spirituale dell‟anima (Vita Ant. 45, 2-7248)
 Cibi abbondanti e raffinati sono segno di agiata condizione (Vita Ant. 1, 4249) e la riduzione di
cibo può essere interpretata come ossequio all‟esercizio della povertà ed umiltà (Sulp. Sev. Vita
mart. 6,5250; Possidius, Vita Augustini 22, 2251)
 La mortificazione alimentare figura anche come misura correzionale (un bicchiere di vino in
meno rispetto a quanto fissato cfr.Possidius, Vita Augustini 25, 2252)
b) Scritturistica: gli usi alimentari documentati dal Nuovo e dal Vecchio Testamento, nonché le
consuetudini ebraiche, hanno esercitato una indubbia influenza sulle pratiche di sostentamento
seguite dai religiosi cristiani, specialmente nei primi secoli della nostra era, tanto in riferimento
a quantità e qualità di alimenti che ai tempi della loro assunzione. Nella corrispondenza di
Girolamo si può leggere l‟episodio dell‟angelo che porta ad Elia pane d‟orzo e brocca d‟acqua
perché se ne nutra al posto di vino aromatico e vivande cotte all‟olio (Hier., ep. 22, 9). Ancora
un esempio di alimentazione vegetariana è fornito dai figli dei profeti che mangiano legumi
selvatici lessati con un po‟ di farina (Hier., epp. 22, 9; 125, 7253: polenta ed erbe selvatiche). Un
altro personaggio del Vecchio Testamento, Samuele, allevato nel Tempio, si astiene da vino e
bevande fermentate (Hier., ep. 107, 3254). Di Giovanni Battista il monaco di Betlemme racconta
244
Giorolamo fornisce consigli a Salvina sulla dieta che dovrebbe seguire una giovane vedova continente : procul sint a conuiuiis
tuis phasides aues, crassae turtures, attagen ionicus et omnes aues, quibus amplissima patrimonia auolant, nec ideo te carnibus
uesci non putes, si suum, leporum atque ceruorum et quadrupedum animantium esculentias reprobes. non enim haec pedum numero,
sed suauitate gustus iudicantur. scimus ab apostolo dictum: omnis creatura dei bona et nihil reiciendum, quod cum gratiarum
actione percipitur. sed idem loquitur: bonum est uinum non bibere et carnem non manducare et in alio loco: uinum, in quo est
luxuria. omnis creatura dei bona est. audiant haec mulieres, quae sollicitae sunt, quomodo placeant uiris. comedant carnes, quae
carnibus seruiunt, quarum feruor despumat in coitum, quae ligatae maritis generationi ac liberis dant operam. quarum uteri portant
fetus, earum et intestina carnibus inpleantur.
245
Girolamo propone a Salvina il digiuno come antidoto alla lussuria : ira enim uiri iustitiam dei non operatur. quod de una
perturbatione dictum est, referamus ad ceteras. sicut irasci hominis est et iram non perficere christiani, sic omnis caro concupiscit
quidem ea, quae carnis sunt, et quibusdam inlecebris ad mortiferas animam uoluptates trahit, sed nostrum est uoluptatis ardorem
maiore christi amore restinguere et lasciuiens iumentum frenis inediae subiugare, ut non libidinem, sed cibos desideret et sessorem
spiritum sanctum moderato atque conposito portet incessu.
246
cfr. n. 50
247
cfr. n. 127
248
Antonio deve mangiare perché l’alimentazione rientra tra le necessità fisiche, anche se è l’anima ameritare ogni attenzione:
considerabat autem et cotidianam vitam sanctorum. Etenim initians manducare et dormire, et alias videns necessitates corporis,
confundebatur cogitans de animae suae intellectu unde sit. Saepius cum aliis multis monachis venturus ad manducandum,
commemoratus escae spiritalis, excusabat et longe ibat ab ipsis, aestimans quia confundi habet si viderint eum manducantem.
Manducabat autem tament solus propter necessitatem corporis, saepius autem cum fratribus, cum confusione propter huiusmodi
res, fiduciam tamen habebat in sermonibus. Nonnullum enim lucrum audientibus faciebat et dicebat oportere omnem otium animo
magis quam corpori dare et corpori quidem indulgere modicum temporis pro necessitatem, totam enim vacantiam et lucrum quod
invenitur ab hac vacantia animo dare ut haec acquisitio animum protrahat voluptatibus corporis et non permittat. Sed magis corpus
in servitutem redigeri debet ab animo. Hoc enim est quod dictum est a Domino: «nolite cogitare animo quid manducetis, corpori
autem quid vestiamini, neque avocetis vos de manducando. Ista enim omnia gentes mundi quaerunt. Vester autem Pater scit quia
vobis opus sunt ista omnia. Verumtamen quaerite regnum eius et haec omnia apponentur vobis».
249
Comportamento di Antonio da bambino: nec iterum ut puer, molestabat parentes amplius sibi exhibere et deliciosos cibos ad
sufficientiam quam habuerunt parentes, nec ciborum voluntates desiderabat. Contentus autem erat his quae inveniebat, nihil amplius
quaerens.
250
cfr. n. 74
251
cfr. n. 63
252
cfr. n. 120
253
filii prophetarum - quos monachos in ueteri legimus testamento - aedificabant sibi casulas propter fluenta iordanis et turbis
urbium derelictis polenta et herbis agrestibus uictitabant.
254
Girolamo fornisce a Leta esempi scritturistisci per spronarla ad un‟educazione conforme ai dettami religiosi della piccola Paola:
igitur, quae de repromissione nata est, dignam habeat ortu suo institutionem parentum. samuel nutritur in templo, iohannes in
solitudine praeparatur. ille sacro crine uenerabilis est, uinum et siceram non bibit, adhuc paruulus cum deo sermocinatur; hic fugit
urbes, zona pellicia cingitur, lucustis alitur et melle siluestri et in typum paenitentiae praedicat tortuosissimi animalis uestitus
exuuiis.
222
che mentre compiva la sua preparazione nel deserto si nutriva di locuste e miele selvatico, cibo
preordinato alla continenza (Hier., epp. 107, 3; 125, 7255). D‟altra parte anche un regime
alimentare non vegetariano poteva trovare il suo fondamento nei testi sacri: così per quanto
attiene al consumo di carne s. Agostino si avvale di citazioni scritturistiche per convalidare la
propria convinzione che l‟impurità non consiste nella qualità delle vivande, ma nel desiderio
(Possidius, Vita Augustini 22, 3-4256). Un passo della vita di Ambrogio richiama evidentemente
all‟uso degli apostoli di mangiare una volta al giorno, dopo nona (Paolino, Vita Ambrogi
38,1257).
2.1 Sintesi e confronti
Concludendo questa parte della ricerca si deve osservare una essenziale concordanza tra quanto
prescritto nelle regole monastiche e le pratiche ascetiche attestate dalla letteratura agiografica.
In particolare:
a) Tra cibi e bevande c‟è un dominio incontrastato di alimenti vegetali che però tende ad attenuarsi
nel corso dei secoli presso quanti (cfr. Agostino) si mostrano più sensibili ad una alimentazione
equilibrata dell‟organismo che comprende anche l‟apporto nutrizionale fornito da vino e
proteine animali, alimenti particolarmente avversati in ambiente giudaico-cristiano. Nelle regole
monastiche del sesto secolo l‟apertura ai consumi di carne e vino può trovare spiegazione nel
mutato contesto socio economico dell‟età romanobarbarica con conseguente livellamento verso
il basso delle condizioni di vita della popolazione: l‟incremento dell‟economia di bosco e la
diffusione di una embrionale economia curtense facevano venire meno la necessità della
mortificazione alimentare (in particolare del cibo carneo) come pratica di umiltà e povertà258.
b) L‟assunzione degli alimenti nella giornata prevede di norma un unico pasto alla sera, per quanto
gli asceti più rigoristici riescano a protrarre il digiuno fino a quattro giorni consecutivi
c) Si registrano eccezioni al regime alimentare ordinario dovute essenzialmente a:
 festività religiose: vengono solennizzate anche in campo alimentare concedendo qualcosa alla
gioia della ricorrenza liturgica, mentre solo gli asceti più „eroici‟ non attenuano mai il ritmo
delle privazioni alimentari
 età: gli asceti nel pieno della maturità fisica sembrano disponibili a privazioni alimentari
particolarmente consistenti e prolungate nel tempo. Per gli anziani è previsto un addolcimento
del regime alimentare con l‟uso di condimenti e cibi lessati. Per i bambini si concede anche
l‟uso di vino e carne perchè possano crescere ed irrobustirsi
 salute: ai religiosi malati viene concesso il conforto di una alimentazione „ricostituente‟ anche
tramite l‟apporto di vino e proteine animali
255
et iohannes baptista sanctam matrem habuit pontificis que filius erat et tamen nec matris affectu nec patris opibus uincebatur, ut
in domo parentum cum periculo uiueret castitatis. uiuebat in heremo et oculis desiderantibus christum nihil aliud dignabatur
aspicere. uestis aspera, zona pellicia, cibus locustae mel que siluestre, omnia uirtuti
et continentiae praeparata.
256
(Mensa usus est frugali et parca, quae quidem inter olera et legumina etiam carnes aliquando propter hospites vel quosque
infirmiores, semper autem vinum habebat, quia) noverat et docebat, ut Apostolus dicit, quod omnis creatura Dei bona sit, et nihil
abiciendum, quod cum gratiarum actione percipitur; sanctificatur enim per verbum Dei et orationem. Et, ut idem Augustinus sanctus
in suis Confessionum libris posuit, dicens: "Non ego inmunditiam obsonii timeo, sed inmunditiam cupiditatis. Scio Noe omne carnis
genus, quod cibo esset usui, manducare permissum; Heliam cibo carnis refectum; Ioannem, mirabili abstinentia praeditum,
animalibus, hoc est lucustis, in escam cedentibus, non fuisse pollutum. Et scio Esau lenticulae concupiscentia deceptum, et David
propter aquae desiderium a seipso reprehensum, et regem nostrum non de carne sed de pane temptatum. Ideo que et populus in
heremo, non quia carnes desideravit, sed quia escae desiderio adversus Dominum murmuravit, meruit inprobari". De vino autem
sumendo Apostoli exstat sententia ad Timotheum scribentis ac dicentis: "Noli usque adhuc aquam bibere, sed vino modico utere
propter stomachum et frequentes tuas infirmitates". cfr. Possidio, Vita di Agostino, a cura di A. A. R. Bastaensen, Milano 1989, p.
413; cfr. pure I. Gobry, Storia del monachesimo, Roma 1991, vol. I, pp. 536-37
257
cfr. n. 129
258
dalle regole del sesto secolo scompare pure ogni riferimento a regimi alimentari „privilegiati‟ in monastero a motivo di origini
sociali particolari, spiegabile probabilmente con la minore differenziazione verosimilmente esistente in epoca romanobarbarica tra i
consumi alimentari della popolazione di origine romana
223
d) le motivazioni sottese all‟interesse per le pratiche alimentari sono essenzialmente:
A. morali, esplicitate nelle seguenti posizioni:
 Adamo ed Eva sono stati espulsi dal Paradiso per un peccato di gola: i cristiani devono pertanto
cercare di farvi ritorno tramite mortificazioni alimentari
 Bisogna dedicare tutte le attenzioni alla parte spirituale dell‟essere umano più che al corpo
 L‟astinenza contribuisce a smorzare i “bollori”, specie in gioventù
 La mortificazione alimentare si configura come pratica di umiltà e povertà
B. Scritturistiche: gli esempi tratti dalle Sacre Scritture sono di conforto ed ispirazione nelle
pratiche dell’astinenza
3. Letteratura medica
A questo punto della ricerca resta da effettuare un esame, necessariamente rapido e circoscritto,
delle concezioni mediche dell‟antichità in relazione agli aspetti sin qui evidenziati nelle prescrizioni
alimentari del monachesimo di età romana.
In paricolare si verificheranno le indicazioni mediche in riferimento a:
a) valore nutrizionale degli alimenti consentiti ai religiosi
b) regime alimentare consigliato a bambini e anziani
c) dieta estiva ed invernale
d) alimentazione dei malati
La medicina antica considera un individuo in piena salute efficiente, integro, persino bello in
quanto fornito di un organismo che possiede un equilibrio armonico tra pneuma ed i vari umori di
cui è costituito il corpo, ovvero tra pneuma e le qualità dell‟aria in circolazione attraverso il corpo
(caldo/freddo, umido/secco). Questo equilibrio però può essere alterato, se non sconvolto, da diversi
fattori – climatici, conseguenze di traumi, legati all‟alimentazione, ...- e si ha così uno stato di
malattia con eccesso o difetto degli umori o delle qualità dell‟aria su menzionate. Una volta
individuato l‟elemento che turba l‟equilibrio armonico dell‟insieme perché presente in eccesso, la
medicina consiglia di porvi rimedio tramite il suo opposto, seguendo la cosiddetta “terapia dei
contrari”259. Tra le cure più immediate ed efficaci tese a recuperare all‟organismo il suo equilibrio
originario c‟è l‟assunzione controllata e consapevole degli alimenti, problema particolarmnete
avvertito dalla medicina antica. Così Celso dedica tutta la sezione finale (i capitoli che vanno dal
diciotto al trentatre) del secondo libro del de medicina all‟esame minuzioso di cibi e bevande di cui
espone proprietà e possibili usi terapeutici. Gli alimenti sono classificati in tre categorie a seconda
delle decrescenti capacità che posseggono di nutrire, fornire energia e così riscaldare i corpi.
Sono considerati caldi i seguenti prodotti260:
 legumi
 grano
 animali quadrupedi domestici
 animali selvatici di grande taglia (di mare, di cielo, di terra)
 miele
 formaggio
Sostanze di nutrimento medio tra le calde e le fredde sono261:
 vegetali con radici o bulbi commestibili
 tra gli animali di terraferma, la lepre
 tutti gli uccelli fino alla grandezza del fenicottero
 tutti i pesci non salati o salati interi (cioè di dimensioni non grandi)
alimenti freddi sono262:
 tra i vegetali, tutti quelli che crescono su un fusto/stelo (ad esempio zucche, cocomeri, capperi,
frutti in genere, olive)
259
cfr. Cels., de med. 1, 3, 1; 1, 3, 13-14; I. MAZZINI, La medicina dei greci e dei romani, Roma 1997, vol. 2, pp. 206, 290-291
cfr. Cels., de med. 2, 18, 2
261
cfr. Cels., de med. 2, 18, 3
262
cfr. Cels., de med. 2, 18, 3
260
224


lumache
i frutti di mare
Tra le bevande il vino è classificato come alimento caldo 263, l‟aceto, elemento base per la
produzione di posca264 , ed il vino „novello‟ figurano tra gli alimenti di categoria intermedia265,
mentre l‟acqua è la più fredda delle bevande266. La classificazione appena esposta ha valore di
indicazione di massima e all‟interno dei singoli gruppi esistono ulteriori gradazioni di capacità
nutritiva. Per fare un esempio, il grano figura tra le sostanze calde, ma questo calore si attenua
passando dal frumento al miglio ed all‟orzo267. Così il cosiddetto panis cibarius è il più freddo tra i
pani confezionati, come pure particolarmente freddi risultano i regimi alimentari che si basano su
pane e acqua e zuppe di cereali268. In generale, più una sostanza è calda, meno la sua digestione è
facile, ma, una volta digerita, è più nutriente. Proprio per questo gli individui deboli hanno bisogno
di alimenti freddi, più facilmente digeribili269. In base alle cognizioni sul valore nutritivo (apporto
calorico) degli alimenti, i medici antichi possono proporre diverse diete, funzionali al
raggiungimento di specifici risultati. Così, quanti sono interessati ad aumentare la propria massa
corporea e ad accrescere le propria energie (fisiche) devono nutrirsi di cibi e bevande „caldi‟ (dolci
e grassi) con pasti frequenti ed il più abbondanti possibile270. Coloro che invece vogliono ridurre la
massa corporea e le energie fisiche, „seccando‟ il proprio corpo, dovrebbero ridurre la quantità di
cibo, consumando un solo pasto al giorno271. Un fattore molto importante da tenere presente nel
proporre terapie mediche è quello dell‟età dei pazienti: a fanciulli e a persone di età avanzata, ad
esempio, sono sconsigliati i digiuni e si propone un regime alimentare con pasti frequenti272.
Anche i cambiamenti di stagione richiedono un adeguamento della dieta.
Per l‟inverno Celso consiglia un solo pasto al giorno, con più cibo, meno bevanda, ma vino più
puro273. In estate conviene mangiare spesso, ma quantitativamente meno: così è indicata la
colazione a sesta (= il pranzo) e l‟assunzione maggiore di bevande (vino) molto diluite a togliere la
sete e a non infiammare il corpo274. Ai malati si prescrive il digiuno, o comunque una
alimentazione particolarmente ridotta, all‟inizio della malattia ed un regime alimentare misurato
dopo la fase acuta275. Tra gli alimenti il vino sembra essere una vera e propria panacea. A seconda
dei differenti tipi, infatti, gli si attribuiscono effetti diuretici276, lassativi277, non risulta dannoso allo
stomaco278 ed è indicato per i soggetti affetti da stanchezza cronica279.
Conclusioni e confronti
Al termine di questa sezione c‟è da dire che la letteratura medica conferma la validità sostanziale
delle prescrizioni alimentari presenti nelle regole monastiche:
a) gli alimenti previsti per i monaci ( e le modalità della loro assunzione) sono riconducibili
essenzialmente a quelli classificati come freddi e di qualità intermedia: si favorisce così la
preghiera, la meditazione e si evitano le intemperanze fisiche indesiderate. Nelle regole del
sesto secolo il consumo di carne e vino consentito ad individui sani trova la sua giustificazione
263
cfr. Cels., de med. 1, 3, 27; 2, 18, 11
bevanda popolare non inebriante
265
cfr. Cels., de med. 2, 18, 11; 2, 27
266
cfr. Cels., de med. 2, 18, 11
267
cfr. Cels., de med. 2, 18, 4
268
cfr. Cels., de med. 2, 18, 10
269
cfr. Cels., de med. 2, 18, 13
270
cfr. Cels., de med. 1, 3, 15
271
cfr. Cels., de med. 1, 3, 16; 1, 3, 29
272
cfr. Cels., de med. 1, 3, 32
273
cfr. Cels., de med. 1, 3, 34
274
cfr. Cels., de med. 2, 3, 36
275
cfr. Cels., de med. 2, 16, 1
276
cfr. Cels., de med. 2, 31
277
cfr. Cels., de med. 1, 3, 25; 2, 29, 2
278
cfr. Cels., de med. 2, 24, 1
279
cfr. Cels., de med. 1, 3, 8
264
225
medica nella necessità di garantire un adeguato apporto calorico a soggetti dediti non solo ad attività
contemplative, ma anche a lavori manuali pesanti.
b) Per bambini ed anziani le regole prevedono pasti più frequenti - anche se (a volte) meno consistenti per i
giovani rispetto a quelli degli adulti – conformemente alle prescrizioni mediche coeve.
c) Nella stagione calda, in considerazione della maggiore durata delle giornate, regole e prescrizioni
mediche concordano nell‟ammettere oltre al pasto principale, consumato di solito al termine dell‟attivita
lavorativa giornaliera, anche un pranzo (frugale) verso mezzogiorno ed un incremento della quantità di
bevanda distribuita
d) Conferme mediche trova pure il trattamento alimentare riservato agli ammalati che nella fase acuta
vedono ridotto il proprio vitto (cfr la Regula Magistri), mentre durante la convalescenza le regole
monastiche non impongono limiti di alcun genere all‟apporto calorico necessario per favorire un rapido
ristabilimento dell‟organismo
4. Sintesi e conclusioni generali
Al termine della ricerca si sono individuate le seguenti posizioni proprie del monachesimo tardo antico in
riferimento al consumo di cibo e bevande :
1. Il regime alimentare monastico è essenzialmente a base vegetale, ma non si esclude il consumo di carne
e vino il cui apporto calorico risulta indispensabile per individui – come i monaci benedettini del sesto
secolo – dediti anche ad attività manuali. Nonstante però nel corso dei secoli si sia attenuata l‟ostilità al
consumo di vino, permane comunque la distinzione tra carni bianche e rosse, queste ultime concesse solo
in condizioni particolari (cfr. infra)
2. La distribuzione di cibi e bevande nell‟arco della giornata prevede essenzialmente un pasto unico al
termine delle attività lavorative giornaliere, eventualmente preceduto da una colazione verso
mezzogiorno, di regola in occasione delle festività liturgiche e durante l‟estate, quando le ore di luce
nella giornata sono di più, come pure più intensa è l‟attività dei campi
3. Le eccezioni quantitative e qualitative alla distribuzione dei pasti sono legate ai seguenti fattori :
a) Variazioni stagionali : in estate è prevista la possibilità di sospendere il regime dei digiuni e di
incrementare la quantità di bevanda a disposizione dei religiosi tenedo conto di singole e particolari
condizioni ambientali e lavorative, valutate discrezionalmente dal superiore del monastero
b) Ricorrenze dell‟anno liturgico : in occasioni delle festività solenni – ma anche per l‟arrivo di ospiti – si
sospendono i digiuni e si concede qualcosa anche alla qualità dei cibi a disposizione dei monaci per
partecipare così alla gioia dell‟evento liturgico. Durante la Quaresima, invece, si intensificano i digiuni e
contemporaneamente si riduce l‟apporto calorico complessivo
c) Età : per giovani ed anziani, conformemente alle prescrizioni della medicina antica, è prevista la
mitigazione del regime alimentare vigente nel monastero con pasti generalmente più frequenti. Per i più
giovani si dispone anche una riduzione degli alimenti da somministrare
d) Malati : è loro concesso tutto ciò che è necessario per favorire la pronta ripresa fisica e sono dispensati
da tutte le restrizioni ascetiche. Quanto agli alimenti, in pieno accordo con i precetti degli antichi trattati
di medicina, si concede il consumo di vino, vera e propria panacea dell‟antichità, e di carne, persino
« carne rossa » nei casi di infermità particolarmente gravi
4. Le motivazioni addotte per giustificare l‟interesse delle regole monastiche alla definizione del regime
alimentare sono essenzialmente di natura :
A. Morale :
 E stato un peccato di gola a provocare la caduta dei protoparenti dal Paradiso Terrestre e pertanto i veri
cristiani, quali si considerano i monaci, ambiscono a ritornare a godere delle gioie celesti tramite la
mortificazione alimentare
 In ossequio poi alle concezioni mediche antiche, si ritiene che le privazioni alimentari ed il consumo di
cibi essenzialmente vegetali abbiano la capacità di « raffreddare » gli ardori dei corpi e quindi di favorire
la pratica della castità
 Un corpo estenuato, liberato dall‟ossessione della lussuria, è in grado di pregare con più attenzione e
fervore
 Una alimentazione ridotta è anche un modo di esercitare l‟umiltà e la povertà, pilastri fondamentali
dell‟ascetismo cristiano
 Mortificazioni alimentari figurano come pratiche correzionali di comprensione immediata
226
B. Gli esempi forniti dalle sacre Scritture – Elia sfamato dall‟angelo a pane e acqua ; i figli dei profeti che
mangiano zuppa di cereali e verdura...- costituiscono ulteriori sproni a seguire una dieta priva di alimenti
« caldi »
227
5. Fonti Archivisiche e Bibliografiche
Bibliografia
G. Parascandolo, Monografia del Comune di Vico Equense, 1858.
A. Trombetta, Vico Equense ed il suo territorio, Esse-Gi-Esse, Roma 1967
A. Trombetta, Arola di Vico Equense, Casamari, Frosinone 1994
A. Trombetta, Monasteri e Conventi della Penisola Sorrentina, Casamari, Frosinone 1996
P. Lugano, La Congregazione Camaldolese degli Eremiti di Montecorona (Monografie di
Storia Benedettina, vol I, Roma, 1908
A. Barban e J.H.Wong, Come acqua di sorgente. La spiritualità camaldolese tra memoria
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Fonti
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Archivio P.P. Gesuiti; Casa del Gesù Nuovo di Napoli
229
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