AS.PRO.NA.DI.
Università degli Studi
di Messina
SEA-MED 2004
Structural Engineering Analysis
Marine Development Design
Messina, 02 Luglio 2004
Corso di laurea in Ingegneria Navale
Facoltà di Ingegneria
Università degli Studi di Messina
AS.PRO.NA.DI.
Associazione Progettisti Nautica Diporto
CHAIRMEN
Antonio Fiorentino
Gianni Morace
Mario Maestro
Attilio Albeggiani
Carlo Podenzana
Sergio Abrami
Eugenio Guglielmino
Berardo Cittadini
COMITATO ORGANIZZATORE
Eugenio Guglielmino (Università degli Studi di Messina)
Giovanni Grasso (Università degli Studi di Catania)
Berardo Cittadini (AS.PRO.NA.DI.)
Aldo Gatti (AS.PRO.NA.DI.)
INDICE
Modalita’ sperimentali e ricerche in corso su imbarcazioni a vela
[Antonio Cardo, Matteo Ledri, Igor Zotti]
Metodologie aeronautiche avanzate nell’analisi idrodinamica e strutturale di
appendici di barche a vela
[Stefano Targa]
Analisi numerico sperimentale e ottimizzazione di catamarano a vela
[Giovanni Grasso, Eugenio Guglielmino]
Calcolo e applicazione delle strutture geodetiche ai mezzi navali
[Oscar Carriero]
Innovazioni sperimentali nello studio di carene veloci
[Igor Zotti, Ferruccio Bresciani]
Eliche di superficie: stato dell’arte
[Marco Ferrando]
Metodi innovativi per l'analisi delle sollecitazioni e la verifica di strutture nautiche
mediante fem
[F. Palloni, S. Ragionieri]
Le prove al vero del naviglio da diporto: procedure e finalità
[Flavio Balsamo, Franco Quaranta]
La validazione virtuale di un prototipo navale
[Andrea Carignano, Matteo Gualano]
La sperimentazione in vasca navale delle imbarcazioni da diporto
[Claudio Pensa]
La costruzione navale in materiali compositi oggi e le prospettive future
[Sebastiano Rech Morassutti]
Materiali innovativi per applicazioni navali: sandwich in lega leggera (afs)
[V. Crupi, C. Frisardi, R. Montanini, S. Pirrotta]
Superyacht: acciaio, alluminio o vetroresina?
[D. Boote]
prestazioni, affidabilita’, comfort: non solo lusso l’innovazione tecnologica
sviluppata per le applicazioni commerciali approda alla nautica da diporto
[Stefano Porcini]
Pag.
1
Pag.
11
Pag.
20
Pag.
35
Pag.
47
Pag.
59
Pag.
73
Pag.
82
Pag.
91
Pag.
99
Pag. 109
Pag. 117
Pag. 129
Pag. 142
MODALITA’ SPERIMENTALI E RICERCHE IN CORSO SU
IMBARCAZIONI A VELA
Antonio CARDO, Matteo LEDRI, Igor ZOTTI
Dipartimento di Ingegneria Navale, del Mare e per l’Ambiente (DINMA)
Università degli Studi di Trieste,via A. Valerio, 10, 34127 Trieste
[email protected] ; [email protected] ; [email protected]
SOMMARIO
Saranno descritte le esperienze che possono esser condotte correntemente su carene di imbarcazioni
a vela, presso i laboratori del DINMA dell’Università di Trieste. Utilizzando questi dati
sperimentali e ricorrendo a programmi di calcolo numerico per la resistenza d’onda, è stato messo a
punto un algoritmo di previsione (VPP LED), che consente di valutare le prestazioni al vero di una
imbarcazione a vela. Attraverso la successiva attivazione di algoritmi numerici di ottimizzazione, si
riescono a definire geometrie di carena ottimizzate, per ottenere specifiche prestazioni
idrodinamiche.
ABSTRACT : New test methodology and research activity in progress on sailing yachts
The experimental tests methodology and the progressing research activity, made at DINMA
Department of the University of Trieste, on sailing yachts will be reported. The use of these
experimental data for numerical computational codes and for the wave pattern resistance prediction,
allows the implementation of new VPP programs, to design new sailing yachts. Optimisation
processes, made by using the numerical procedures, allow the definition of the optimal geometrical
data for an operational condition defined by the designer.
1. INTRODUZIONE
L’attività di ricerca su carene di imbarcazioni a vela ebbe inizio, presso l’Istituto di Architettura
Navale dell’Università degli Studi di Trieste, nel corso del 1972 quando un laureando,
particolarmente intraprendente, l’ing. Marco Cobau (che realizzò successivamente, nel cantiere
navale di Pesaro, lo yacht AZZURRA, progettato dall’arch. Andrea Vallicelli per la sfida del 1983
alla Coppa America) definì e mise a punto la strumentazione per lo studio sperimentale delle
imbarcazioni a vela, rimorchiate con traino in deriva. In questi anni l’attrezzatura, pur aggiornata
dall’ing. Roberto Starkel e successivamente da altri laureandi, è nelle componenti meccaniche ed
elettroniche, è rimasta concettualmente invariata, mentre gli studi e le ricerche nel settore numerico,
per la previsione della resistenza d’onda e l’ottimizzazione delle linee di carena, ai fini della
riduzione della resistenza al moto hanno avuto un ampio sviluppo. Per raggiungere questi risultati i
docenti e ricercatori del Dipartimento DINMA si avvalgono anche della collaborazione di studenti
1
laureandi che dimostrino interesse nello sviluppo dei progetti degli yacht a vela. Nell’anno in corso
(2004) sono state completate due tesi di laurea sull’argomento; in questi lavori [1],[2], ed in uno in
particolare, è stata messa a punto una metodologia d’indagine idrodinamica di particolare interesse,
su cui ci soffermeremo in quest’esposizione.
Figura 1 : Forze agenti su uno yacht a vela Figura 2 : Celle per la misura delle forze trasversali
2. INDAGINE IDRODINAMICA SPERIMENTALE [3]
In uno yacht in navigazione in bolina si possono individuare due sistemi di forze agenti :
a) le forze aerodinamiche, sviluppate dal piano velico e supposte applicate nel centro
geometrico della superficie velica CE (figura 1).
b) Le forze idrodinamiche, prodotte dalla carena in moto, provvista di appendici, che si
suppongono applicate nel centro laterale di resistenza CLR.
In condizioni di moto rettilineo ed uniforme il sistema delle forze agenti deve essere equilibrato,
ovvero deve presentare forza risultante e momento risultante nulli lungo tutti gli assi del sistema di
riferimento, il che si può esprimere con le seguenti equazioni :
Forze
Asse X
Asse Y
Asse Z
FT = RT
FH cosϕ = RY
FH sinϕ + P = RZ + ∆
Momenti
MSX + MHX = ∆ GH sinϕ
MSY + MHZ = ∆ GM L sinθ
MSZ + MHZ = MRZ
(1)
dove ϕ è l’angolo di inclinazione trasversale, θ l’amgolo di assetto e ∆ il dislocamento della nave. I
momenti MS sono generati dalle forze aerodinamiche (S : Sail), mentre quelli MH dalle forze
idrodinamiche della carena (H : Hydrodynamic).
L’indagine idrodinamica porta a rilevare le forze agenti sulla carena in moto, cioè RT e RY, sia in
condizioni di navigazione con flusso simmetrico, cioè in “upright position”, sia in condizioni di
flusso asimmetrico, cioè con navigazione in deriva. Nel primo caso ϕ = 0 e β = 0 (β è l’angolo di
scarroccio), mentre nel secondo caso sono entrambi non nulli.
2
Le esperienze si eseguono dapprima sul corpo canoa, cioè a carena nuda, e successivamente con la
carena provvista di appendici. Le esperienze in “upright position” si eseguono comunemente con
attrezzature tradizionali di rimorchio, mentre quelle in deriva richiedono la disponibilità di apposita
strumentazione.
2.1 Esperienze con traino in deriva
Le esperienze con traino in deriva eseguite presso il DINMA, all’Università di Trieste, richiedono
l’utilizzo di strumentazioni adatte alle dimensioni della vasca navale (50 m x 3.10 m x 1.70 m) ed
alle caratteristiche tecniche del carro dinamometrico. Per le specifiche esperienze si continua ad
utilizzare il carro lento, in grado di arrivare ad una velocità massima di 2.4 m/s, ma in grado di
trasportare persone, che possono intervenire, durante le corse, nei rilievi dei dati e delle immagini.
Nelle esperienze con modelli di yacht a vela si utilizzano correntemente modelli di lunghezza da 1 a
2 m, con pesi da 5 a 30 kg. Le forze rilevate vanno da pochi grammi a 3 – 4 kgf.
Dalle esperienze di traino in deriva si ottengono le forze laterali sviluppate dalla carena (RY) e la
resistenza totale (RT). I rilievi si eseguono attraverso un sistema di celle di carico, che costituiscono
un sistema di vincoli parziali, che consentono il traino con un prefissato angolo di scarroccio β ed
un angolo di sbandamento ϕ, che varia con la velocità e viene misurato durante la corsa. Lo
scarroccio β viene imposto ruotando lo scafo, attorno all’asse verticale passante per il suo centro di
gravità G. Le forze laterali, generate nel moto, inclinano la carena dell’angolo ϕ; la rotazione
avviene attorno ad un asse passante per le due cerniere di vincolo estreme, sulle quali vengono
rilevate, attraverso due celle di carico realizzate con lamine elastiche (figura 2), le componenti
trasversali prodiera e poppiera. Il sistema consente al modello di assumere l’assetto idrodinamico in
corsa, simulando in tal modo il comportamento al vero. L’angolo di assetto θ e quello di
inclinazione trasversale ϕ sono misurati con due inclinometri, mentre la forza di rimorchio RT con
una cella di carico.
L’angolo di sbandamento trasversale ϕ può esser modificato spostando trasversalmente un peso P,
alla stessa quota per non alterare l’ordinata del baricentro G ( KG o ZG). Operando in tal modo si
rilevano le forze RT e RY a diversi valori di ϕ (cioè a ϕ1, ϕ2, ϕ3, etc..) a parità dell’angolo β. Il
sistema di vincoli (figura 3) consente allora di rilevare sia la posizione longitudinale, che verticale
del centro di pressione CLR. La posizione longitudinale viene determinata componendo le forze
rilevate a prua ed a poppa, attraverso una semplice condizione di equilibrio :
FAV * dAV + FAD * dAD + FT * d = 0,
(2)
da cui, rilevando FAV, FAD, sapendo che FT = FAV + FAD e conoscendo dAV e dAD, di ricava d =
X(CLR); d è la distanza longitudinale del centro di resistenza laterale (o centro di pressione)
dall’asse di rotazione verticale passante per il baricentro G. La posizione verticale del centro di
resistenza laterale è calcolata imponendo l’equilibrio alla rotazione attorno all’asse passante per le
cerniere della lamina elastica delle celle di carico. Con riferimento alla figura 4 si ha :
da cui :
Essendo
∆ GZ sinϕ + P t cosϕ = D FH cosϕ ,
D = (∆ GZ sinϕ + P t cosϕ ) / FH cosϕ .
∆ GZ = ∆ ( KR – KG sinϕ) ,
si ha :
D = [∆ ( KR – KG sinϕ) + P t cosϕ)/FH cosϕ ,
(3)
dove P è il peso mobile che viene inizialmente spostato della quantità t, per variare l’angolo ϕ in
corsa. Nota l’altezza D del centro di resistenza laterale dall’asse di rotazione delle celle, si ricava la
posizione verticale del centro di resistenza laterale rispetto ad altro riferimento. Poiché il valore di
GN dipende da KG , è doveroso conoscere la posizione verticale del centro di gravità KG e
disporre dei diagrammi delle pantocarene isocline della carena.
3
Figura 3 : Posizionamento delle celle
Figura 4 : Calcolo dell’ordinata del centro di pressione
2.2 Rilievo diretto della resistenza d’onda
L’analisi idrodinamica di una carena di yacht a vela non può prescindere dall’analisi della resistenza
d’onda, componente fondamentale e di massimo interesse per la valutazione delle prestazioni di una
carena. La determinazione sperimentale di questa componente può esser fatta con le tecniche di
taglio longitudinale. I metodi usati possono esser quelli del taglio diretto, di S. D. Sharma, che
prevede la correzione per troncamento del profilo, o quelli del taglio riflesso, in cui il rilievo del
profilo d’onda si estende anche all’onda riflessa dalle pareti, ma non richiede la correzione dei
risultati del calcolo. In questo secondo caso si possono usare i metodi di N. Hogben, M. Insel, di L.
Landweber. Tali metodi richiedono però l’utilizzo di più di una sonda per ogni taglio laterale.
Nel rimorchio in deriva i rilievi d’onda (figura 5) vanno fatti su entrambi i lati del modello, a diritta
ed a sinistra. I rilievi delle altezze d’onda sono fatti con sonde capacitive, aventi risposta lineare, e
sono quindi trattati con specifici programmi potenziali per calcolare la resistenza d’onda della
carena.
Figura 5 : Rilievo diretto della resistenza d’onda.
3. SVILUPPI NUMERICI
Gli attuali filoni di ricerca sulle imbarcazioni a vela tendono allo sviluppo di procedure di
ottimizzazione delle prestazioni per applicazioni a imbarcazioni da regata stazzate secondo i
regolamenti vigenti e più specificatamente con il regolamento IMS e con quello della classe ACC
(America’s Cup Class). Tali regolamenti sono basati su algoritmi di previsione delle prestazioni,
che definiscono e vincolano linee e dimensioni delle carene partecipanti alle sfide (AAC) o, nel
4
caso IMS, permettono di calcolare gli abbuoni di tempo per ogni partecipante, consentendo ad
imbarcazioni diverse di partecipare e competere assieme.
Odiernamente le previsioni delle prestazioni sono ottenute con programmi chiamati VPP (Velocity
Prediction Program), derivati per lo più da modelli che utilizzano serie sistematiche di carene, di
profili, misure al vero ed esperienze dei progettisti.
Gli sviluppi che presenteremo, ottenuti nelle due tesi di laurea citate [1] e [2], definiscono due
diversi programmi di previsione, rispettivamente per imbarcazioni con regolamento IMS e con
regolamento ACC, utilizzando, nel primo caso un approccio numerico/sperimentale (CFD e prove
in vasca) e, nel secondo un approccio fondato su dati rilevati durante le ultime competizioni della
Coppa America, in Nuova Zelanda.
3.1 Ottimizzazione idrodinamica con tecniche CFD e sperimentali per imbarcazioni stazzate
con regolamento IMS.
Il lavoro ha riguardato lo sviluppo di una procedura analitica per l’ottimizzazione di un progetto,
definito applicando il regolamento IMS. Lo sviluppo ha avuto origine da una carena base IMS da
42’. Questo sistema prevede sia una procedura di misurazioni, in cui si definiscono alcune
caratteristiche dello scafo, delle appendici, del tipo di armo e dell’attrezzatura, sia un sistema di
gestione delle regate in cui si calcolano i tempi corretti, utilizzando l’handicap adatto alle
condizioni di regata. Prevede poi una procedura di analisi delle linee dello scafo che determina
l’input utilizzato dal VPP.
Il VPP IMS è suddiviso in due parti e cioè in un modello di determinazione delle forze (boat model)
ed in un algoritmo risolutivo. Con queste procedure si determinano i parametri cinematici della
barca (velocità, angolo di sbandamento e angolo di scarroccio) che soddisfano a due condizioni di
equilibrio, e cioè lungo la rotta dell’imbarcazione deve essere nulla :
Forza propulsiva – Resistenza = 0
(4)
Inoltre il momento sbandante aerodinamico, prodotto dall’albero e dalle vele, deve essere eguale ed
opposto al momento raddrizzante prodotto dallo scafo e dall’equipaggio :
Momento sbandante – Momento raddrizzante = 0
(5)
Risolvendo il sistema si trovano la forza propulsiva aerodinamica ed il momento sbandante del
sistema velico e della parte emersa dello scafo e dell’armo e la resistenza ed il momento
raddrizzante di carena, chiglia e timone.
L’applicazione di questo modello idrodinamico comporta delle semplificazioni, che riducono
l’accuratezza delle previsioni.. La resistenza residua è calcolata con la serie Sistematica di Delft,
integrata da ulteriori prove su modelli. A questa si aggiunge una resistenza dovuta allo
sbandamento, ricavata con formule empiriche.
L’obiettivo del VPP sviluppato nella tesi è stato quello di ridurre queste semplificazioni,
introducendo un modello più simile alla realtà. Si introduce allora una terza equazione di equilibrio,
secondo la quale la forza laterale prodotta dallo scafo e dalle appendici deve essere eguale e
contraria a quella sbandante, dovuta al sistema velico.
Il modello aerodinamico è impostato sostanzialmente sugli stessi principi che governano il VPP
IMS. Il modello idrodinamico si appoggia in parte al “Line Processing Program” contenuto nel VPP
IMS, per calcolare le lunghezze di stazza e la curva dei bracci di stabilità. Ma la resistenza e le forze
laterali sono calcolate mediante un codice CFD a pannelli, denominato REVA e sviluppato dall’ Ecole Centrale di Nantes. Alla resistenza va poi aggiunta un’ulteriore componente relativa alla
presenza dell’elica.
Viene definita quindi una matrice di condizioni di prove, che comprende diverse velocità, angoli di
sbandamento e scarroccio e viene lanciato il calcolo con la geometria del modello in esame.
5
I risultati contengono la resistenza, le forze laterali ed il momento sbandante idrodinamico. Nel
calcolo dell’equilibrio sono considerati, oltre al momento sbandante aerodinamico, il momento
sbandante idrodinamico, il momento raddrizzante idrostatico, il momento raddrizzante dinamico e
quello raddrizzante aggiuntivo (equipaggio).
Determinate le forze aerodinamiche ed idrodinamiche, si trova, per ogni intensità del vento reale e
condizione di prova, la condizione di equilibrio, applicando un algoritmo che trova la convergenza
per la soluzione, limitando al massimo il numero di iterazioni.
L’ottimizzazione idrodinamica include la generazione e la modifica geometrica della carena e delle
appendici. Il risultato è stato raggiunto utilizzando un programma di modellazione della carena,
introdotto da S. Harries et. al., denominato FRIENDSHIP –Modeler. Con questo programma, dopo
aver definito la carena base ed impostato le variazioni dei parametri geometrici, si è passati alla
definizione geometrica delle diverse carene, alla loro discretizzazione in pannelli e quindi
all’esecuzione del programma REVA. Riportiamo nelle figure 6 e 7 due immagini dell’elevazione
della superficie libera e dell’andamento del coefficiente di pressione, ottenute con i dati del
programma REVA.
Figura 6 : Elevazione della superficie libera a scafo diritto, con appendici.
Il lavoro ha avuto inizio con la realizzazione e la sperimentazione di un modello base esistente. I
dati ottenuti dalle esperienze idrodinamiche sono stati utilizzati per la validazione e/o la definizione
dei coefficienti correttivi per il calcolo della resistenza e delle forze laterali.
Si è passati quindi ad uno studio parametrico della flotta esistente, utilizzando un data base di
certificati IMS, relativo agli anni 1997-2003, contenente i parametri geometrici di imbarcazioni di
maggior successo. Ciò ha permesso di evidenziare le caratteristiche peculiari della flotta IMS ed i
parametri progettuali che influenzano maggiormente la stazza. Tutte le grandezze sono state
adimensionalizzate, per consentirne un più agevole confronto. Lo studio parametrico è servito a
definire la carena di partenza del processo di ottimizzazione.
6
Figura 7 : Coefficiente di pressione: si rileva la depressione sul profilo portante
Definita la carena base, il piano velico, quello di coperta e le disposizioni interne, si è passati a
definire i parametri geometrici che sarebbero stati oggetto di modifica ed i campi di variazione
ammissibili.
Questi processi hanno chiesto la scrittura di programmi che consentissero la compatibilità delle
letture dei dati prodotti da uno specifico programma, con quelli richiesti per l’esecuzione di uno
successivo. Ad esempio i parametri prodotti da FRIENDSHIP – Modeler devono esser utilizzati poi
da Mode-FRONTIER per l’ottimizzazione e dal codice a pannelli REVA per i conteggi
idrodinamici. Definiti i parametri che saranno oggetto dell’ottimizzazione e predisposti i programmi
di calcolo, si è passati alla fase di ottimizzazione.
Nelle regate IMS le classifiche sono stilate utilizzando i tempi corretti, tenendo conto delle
condizioni ambientali e del rating dell’imbarcazione. La velocità della barca, espressa in termini
assoluti, passa in secondo piano e l’aspetto più importante da considerare è la velocità reale
dell’imbarcazione in rapporto al proprio rating. Il VPP LED sviluppato nel lavoro di tesi, messo a
confronto con quello IMS, permette di evidenziare le differenze tra le prestazioni reali
dell’imbarcazione e quelle conteggiate nel rating. Le velocità previste nel VPP LED non sono
quelle reali, ma sono ragionevolmente più vicine alla realtà di quelle previste dal VPP IMS che,
dovendo esser applicabile ad un gran numero di imbarcazioni di tipo diverso, opera alcune
semplificazioni che riducono la precisione del calcolo.
Il processo di ottimizzazione implementato opera su una famiglia di possibili soluzioni,
considerando più configurazioni possibili e scegliendone la migliore. Si sceglie quindi un insieme di
parametri che caratterizzano il progetto, si definisce la funzione obiettivo F (Xi), che è una funzione
da massimizzare o minimizzare e che, nel caso specifico, è calcolata con codici REVA e VPP LED.
La funzione obbiettivo, soggetta ad un insieme di vincoli cj(Xi), viene quindi ottimizzata; da questo
processo si definiscono le variabili Xi, che rispettano i vincoli cj(Xi) e massimizzano (o
minimizzano) la funzione F(Xi). Durante il processo, l’algoritmo di ottimizzazione sceglie i progetti
candidati da esaminare.
Gli algoritmi di ottimizzazione utilizzati sono quelli classici (SIMPLEX o del simplesso e gli
algoritmi genetici) e possono essere di tipo stocastico o a gradiente. Sono più robusti i primi, ma
presentano maggiore accuratezza i secondi. L’applicazione di questi metodi ha imposto la
definizione di variabili di input, che sono state solo 5, per contenere il numero di configurazioni
analizzabili. La scelta è caduta su :
a) Area laterale della chiglia ; b) Lunghezza del profilo alare di chiglia (Span); c) Rapporto tra la
corda alla radice e quella all’estremità della chiglia (Taper Ratio); d) Angolo di inclinazione del
7
bordo d’attacco della chiglia rispetto all’asse verticale (Sweep Angle); e) Larghezza
dell’imbarcazione (Beam); quest’ultimo parametro definisce il rapporto B/T della barca.
Si è scelto quindi un opportuno campo di variazione delle variabili. La procedura di analisi
utilizzata è stata la seguente:
A) Si genera la carena base, la chiglia ed il timone con FRIENDSHIP – Modeler;
B) Si definiscono, con il programma PATRAN i files per l’input per il VPP IMS e per REVA;
C) Si lancia il VPP IMS, che utilizza l’offset creato e si crea un file per produrre un certificato
dell’imbarcazione;
D) Si definiscono le diverse varianti del progetto ( nel caso in esame) e si lancia REVA per una
delle condizioni previste;
Figura 8 : Diagramma di flusso generale del processo
8
E) Si rilevano tutti i risultati di resistenza e forza laterale in due files, che saranno utilizzati da VPP
LED;
F) Si attiva il programma VPP LED, che produce un file contenente la velocità di bolina VMG
(Velocity Made Good), con la predefinita velocità di vento reale;
G) Si valuta la funzione (VMG LED – VMG IMS) / VMG IMS nello spazio delle soluzioni
possibili;
H) L’algoritmo di ottimizzazione sceglie un altro set di valori di input;
I) Con le varianti ottenute si rientra nel punto D) e si ripete il ciclo con le nuove condizioni
ottimizzate; il ciclo si ripete fino a trovare la miglior soluzione.
Riportiamo in figura 8 il diagramma di flusso del processo di ottimizzazione attivato.
3.2 Ottimizzazione idrodinamica per imbarcazioni stazzate con regolamento ACC. [2].
In questo lavoro [2] il laureando ha sviluppato un programma VPP per ottimizzare un’imbarcazione
disegnata per regatare per la Coppa America, utilizzando dati ed informazioni raccolte nelle ultime
competizioni, che si sono svolte nel 2003 ad Auckland (Nuova Zelanda). L’autore ha partecipato
alle competizioni, quale componente dell’equipaggio dell’imbarcazione “Mascalzone Latino”,
ricavando, da quest’esperienza, molte informazioni e dati che ha utilizzato per la stesura di questo
lavoro.
Figura 9 : Diagramma di flusso del programma VPP per le carene di Coppa America
Il VPP realizzato in tesi prende il nome di “Statistika” e prevede i conteggi delle forze laterali
idrodinamiche, della resistenza idrodinamica all’avanzamento, calcolata attraverso le componenti
9
d’onda e indotta, e della forza esercitata dalle vele. Esamina quindi le condizioni di equilibrio in cui
si troverà l’imbarcazione.
Il programma fa ricorso ad una serie di procedimenti di calcolo tradizionali, ispirati
prevalentemente ai lavori di P.Van Oossanen [4], Hoerner [5], J. Holtrop e G.G.J.Mennen [6], H.A.
Meyers [7], L. Larsson [8] ed altri e consente di definire una velocità ottimale VMG
dell’imbarcazione. Le condizioni di navigazione esaminate sono quella di bolina e quella di vento in
poppa. Pure in tal caso vengono definiti alcuni parametri geometrici, con particolare evidenza quelli
delle appendici e si procede quindi ad un processo di ottimizzazione, al fine di definire la geometria
che fornisce il miglior VMG.
Riportiamo in figura 9 il diagramma di flusso del programma VPP implementato dal laureando.
4. CONCLUSIONI
I risultati ottenuti nei lavori presentati sono indicativi di un notevole interesse nel settore della
ricerca delle imbarcazioni a vela, che trova ampi consensi ed attenzioni a livello universitario. Le
procedure sviluppate possono avere ulteriori e significativi stati di avanzamento, operando con
tecniche numeriche più avanzate e sofisticate, come ad esempio i codici RANSE e procedure di
ottimizzazione specifiche per i settori dell’idrodinamica navale. Questi sviluppi richiedono però la
disponibilità di risorse finanziarie, mezzi ed attrezzature sperimentali e di calcolo di non agevole
reperibilità, dato lo scarso impulso che viene riservato odiernamente a questo settore, non ritenuto
strategicamente importante per l’economia nazionale.
BIBLIOGRAFIA
[1] M. Ledri, “Ottimizzazione idrodinamica di uno Yacht IMS”, Tesi di laurea, 2004, Relatore : I.
Zotti (DINMA), Correlatori : G. Contento (DINMA) e C. Poloni (Dip. di Energetica), Università di
Trieste
[2] S. Arrivabene, “Analisi delle prestazioni di uno Yacht di Coppa America: Misure al vero e
previsioni teoriche”, Tesi di Laurea, 2004, Relatore: R. Nabergoj (DINMA), Correlatore : C. Poloni
(Dip. di Energetica), Università di Trieste
[3] A. Cardo, D. Pascutti, I. Zotti, “Recenti sviluppi delle tecniche sperimentali su carene di
imbarcazioni a vela”, Bollettino n. 14, AS.PRO.NA.DI., pp. 54 – 58.
[4] P. Van Oossanen, “A method for the Calculation of Resistance and Sail Force of Sailing
Yachts”, Proc. of the Conference on “Calculation and Computer Aided Design for Small Craft –
The Way Ahead”, The Royal Institution of Naval Architects. and Marine. Engineers, Londra, 1981.
[5] S.F. Hoerner, H.V. Borst, “Fluid Dynamic Lift”, Hoerner Fluid Dynamics, Brick Town, N. J.,
1975.
[6] J. Holtrop, G.G.J. Mennen, “An Approximate Power Prediction Method”, International
Shipbuilding Progress, vol. 29, July 1982, pp. 166, 170.
[7] H.A. Meyers, “Theory of Sailing Applied to Ocean Racing Yachts”, Marine Technology,
SNAME, New York, 1975.
[8] L. Larson, R.E. Eliasson, “Principles of Yacht Design”, Adlard Coles Nautical, London .
10
METODOLOGIE AERONAUTICHE AVANZATE NELL’ANALISI
IDRODINAMICA E STRUTTURALE DI APPENDICI DI BARCHE A VELA
Stefano Targa
Socio AS.PRO.NA.DI, via Luca Signorelli, 17 - 20154 Milano, laureato in ingegneria
aerospaziale presso il Politecnico di Milano sez. Bovisa.
[email protected]
SOMMARIO
Nel presente documento si vogliono approfondire due aspetti del progetto di appendici: il
dimensionamento idrodinamico e quello strutturale. Il fine è quello di ottenere deriva e timone(i)
che garantiscano un ottimale compromesso tra prestazioni in un certo range di velocità,
manovrabilità dell’imbarcazione ed efficienza strutturali. I metodi presentati sono di derivazione
aeronautica ed hanno validità generale. Per quanto concerne l’aspetto strutturale, dopo un primo
dimensionamento, è stato utilizzato il metodo agli elementi finiti per una verifica accurata delle
scelte fatte.
1. INTRODUZIONE
Se si pensa alla parte immersa di un’imbarcazione, si ha la situazione rappresentata nella Fig. 1: si
vede che in realtà la parte immersa può essere interpretata come una metà di una grande figura
simile ad un aereo.
Tale somiglianza, che apparentemente è solo di forma, in realtà trova giustificazione nel fatto che in
entrambi i casi (aereo e barca) si deve garantire un equilibrio di forze in condizioni di moto
stazionario.
L’aereo in condizioni di volo stazionario rettilineo e uniforme, per potersi sostentare deve vincere la
forza peso attraverso la portanza aerodinamica di ali e piani di coda.
La barca, sempre in condizioni di navigazione di bolina deve vincere la forza sbandante delle vele
con la portanza idrodinamica delle appendici.
Non solo, ma il campo di moto dell’acqua attorno all’opera viva di una barca a vela specchiato
rispetto al pelo libero sarebbe molto simile a quello generato da un aereo di forma analoga che
viaggia in direzione parallela al suo piano di simmetria in un fluido allo stesso numero di
Reynolds!!!
11
Fig. 1 - Similitudine opera viva di un’imbarcazione a vela e pianta di un aereoplano
Tutta questa serie di considerazioni permette di giustificare l’uso di metodi di progetto utilizzati per
gli aeroplani per dimensionare correttamente le appendici di un’imbarcazione.
Nel progetto preliminare in particolare è stato molto utile lavorare usando coefficienti
adimensionali. In questo modo si è potuto mettere a confronto tra loro scelte differenti in termini di
prestazioni velocistiche e stabilità arrivando al miglior compromesso e costruendo un metodo di
validità generale. Barche completamente differenti potranno essere confrontate tra loro orientando
le scelte di deriva, timone e impianto velico secondo le esigenze dell’armatore.
Il metodo è stato applicato ad una imbarcazione da regata da 45’ sostituendo le appendici progettate
con metodi tradizionali con quelle ottimizzate. E’ stato curato anche l’aspetto strutturale e dopo il
calcolo dei carichi e un primo dimensionamento, è stata fatta una verifica agli elementi finiti con un
software dedicato.
2. PRESENTAZIONE DEL METODO
Il metodo che verrà presentato di seguito ha due grossi vantaggi: il primo consiste nel fatto che,
attraverso di esso, è possibile mettere in collegamento di causa – effetto le prestazioni
idrodinamiche delle appendici con la stabilità latero – direzionale, osservando direttamente come si
comporterà la barca al variare di uno qualsiasi dei paramentri lasciati liberi (Posizione bordo di
attacco, tipo di profilo, allungamento ,etc.). Il secondo è che è facilmente implementabile e potrebbe
essere quindi inserito, per esempio, in un VPP.
2.1 Analisi idrodinamica
Deriva e timone devono produrre la portanza idrodinamica necessaria per equilibrare la componente
sbandante della forza aerodinamica delle vele generando la minima resistenza. Sono responsabili
della stabilità della barca attorno all’asse di imbardata. Per lavorare in maniera ottimale devono
avere forma allungata ed equilibrare la forza sbandante in condizioni di massima efficienza.
La resistenza complessiva di deriva e timone infatti può essere espressa in questo modo:
Rapp = Fzv
Cd app
(1)
Cl app
Dove Fzv è la forza sbandante delle vele, Cdapp è il coefficiente di resistenza e il Clapp, il
coefficiente di portanza delle appendici.
Si osserva che la resistenza minima si ottiene massimizzando il rapporto Cl/Cd ovvero la loro
efficienza complessiva. La resistenza indotta, in particolare, dipende dall’allungamento e della
portanza prodotta. In generale si tende a far produrre più percentuale possibile di portanza alla
deriva perchè, a differenza del timone, è investita da un flusso indisturbato ed ha un allungamento
maggiore.
12
La stabilità è regolata dalla ripartizione opportuna del carico idrodinamico tra le due pinne. Come
vedremo in dettaglio, timoni più grandi danno una maggiore stabilità latero-direzionale ma anche
maggiore resistenza. In questo caso la soluzione cercata è ancora una volta il compromesso più
opportuno.
Attraverso metodi semiempirici, è abbastanza semplice ricavare la curva di portanza e la polare di
una qualsiasi superficie portante, partendo dalle curve caratteristiche dei profili che la costituiscono
e dalla geometria dell’ala (pinna)
(2)
(3)
La formula (1) permette di calcolare la pendenza della retta di portanza, mentre la (2) il coefficiente
di resistenza e quindi la polare [rif. 14].
2.2 Analisi della stabilità
Uno degli aspetti che raramente vengono approfonditi nel progetto di una imbarcazione a vela
riguarda lo studio della stabilità latero – direzionale durante la navigazione di bolina. Uno yacht che
possiede un’alta stabilità mantiene facilmente una rotta prestabilita perchè difficilmente può essere
spostato dalla sua posizione di equilibrio. La manovrabilità purtroppo ne risente negativamente e
ancora una volta deve essere ricercato il miglior compromesso.
Lo studio che verrà presentato di seguito si propone di trasformare la stabilità dello yacht in un
numero adimensionale dipendente dai principali parametri di progetto. Questo, anche se non
fornisce una soluzione immediata al problema, costituisce uno strumento valido che, una volta
tarato, permette di progettare le appendici in modo da ottenere una barca che si comporta nel modo
voluto attorno all’asse verticale.
La prima cosa da calcolare è sicuramente il punto di applicazione della forza idrodinamica
dell’opera viva costituita da deriva e parte immersa dello scafo. Tale punto è tale per cui il momento
della forza idrodinamica ivi calcolato non dipende dall’incidenza.
Dopo una serie di passaggi matematici si perviene alla seguente formula:
(4)
dove X*C.I.der è il C.I. della sola deriva, l è la corda di riferimento, ∂cMC.I.OVP/∂α è la pendenza della
curva di variazione del coeff. di momento dell’opera viva timone e parte immersa scafo rispetto
all’incidenza di deriva.
2.3 Soluzione al problema del trimmaggio
Il temine “trimmare” viene utilizzato in campo aeronautico per definire l’operazione attraverso la
quale si regolano le incidenze dei piani di coda di un velivolo affinchè soddisfi a tutte le condizioni
di equilibrio in condizioni di volo stazionarie.
Considerando il parallelismo citato nell’introduzione, un’operazione simile viene fatta anche in
un’imbarcazione a vela nel momento in cui si regola l’incidenza del timone in modo da far
mantenere la rotta.
13
In termini analitici, la barca può considerarsi “trimmata” quando soddisfa le condizioni di equilibrio
di traslazione e alle rotazioni nel piano di coperta:
(5)
Si deve considerare anche l’equilibrio dei momenti attorno all’asse di rollio. La forza sbandante Fv
però dipende in modo non lineare dello sbandamento θ e dallo scarroccio λ. Anche il sistema
completo risulta essere quindi non lineare ed è stato risolto in modo iterativo. La prima equazione
annulla il momento complessivo adimensionalizzato, rispetto al centro di gravità, mentre la seconda
eguaglia la portanza complessiva di timone e deriva adimensionalizzata, alla forza sbandante delle
vele (Fv).
Esplicitiamole entrambe (vedi anche Fig. 2). La prima è la seguente (rif. orario):
(6)
la seconda invece è questa:
(7)
dove i pedici hanno il seguente significato:
OVC: Opera Viva Completa
OVP : Opera Viva Parziale, cioè opera viva senza il timone
C.I.: Centro Idrodinamico
CG : Centro di Gravità
CV : Centro Velico
T : Timone
mentre
ε: Angolo di efflusso della vena fluida dal bordo di uscita della deriva. Il valore di ∂ε/∂α può essere
trovato utilizzando i diagrammi presenti nel [rif 14].
α: Incidenza del timone rispetto alla vena fluida che lo investe. Come vedremo, tale angolo
differisce dall’angolo di scarroccio per un valore che dipende dall’angolo di sbandamento.
iT: Incidenza del timone rispetto all’asse longitudinale della barca.
14
Fig. 2 - Schema delle forze portanti e momenti in navigazione di bolina
Le uniche incognite delle Eq (6) e (7) sono i valori delle incidenze di timone e deriva. Messe a
sistema permettono di risolvere il problema del trimmaggio trovando i valori di α e iT.
2.4 Stabilità a timone bloccato
Uno yacht in condizioni di moto stazionarie, può considerarsi stabile attorno al suo asse verticale se,
perturbato da cause esterne dalla sua condizione di equilibrio, nascono forze e momenti che tendono
a riportarvelo. Se questo non avviene, la barca diventa ingovernabile e quando una perturbazione
esterna la porta fuori dall’equilibrio, tende a straorzare o strapoggiare con effetti rovinosi per le
strutture ma soprattutto per l’equipaggio.
Traducendo tutto questo in termini analitici, una barca stabile è tale per cui (vedi Fig. 2) in
condizioni di equilibrio, un aumento di incidenza α genera un momento baricentrico negativo e
quindi un’accelerazione che tende a riportare la barca in equilibrio. In pratica deve essere:
Ovvero:
osserviamo che:
Il primo termine si annulla perchè per definizione di Centro Idrodinamico, il coefficiente di
momento dell’opera viva parziale non dipende da α.
Il secondo termine è positivo e quindi destabilizzante: la deriva da sola non potrebbe rendere stabile
la barca a meno che il C.I. non si trovi a poppavia del baricentro. Il terzo termine invece è negativo:
il timone dà stabilità alla barca e la sua efficacia in questo senso dipende dal “Volume di coda”,
S d
ovvero dalla grandezza T e dalla pendenza della cua curva cl - α.
Sl
15
Per l’ultimo termine le derivate incognite possono essere calcolate utilizzando ancora una volta il
metodo a reticolo di vortici.
∂c
Concludendo, basterà trovare MCG e regolare i parametri di progetto in modo da ottenere il valore
∂α
desiderato. Il vantaggio di operare con coefficienti adimensionali è che due barche completamente
∂c
diverse che hanno lo stesso MCG si comportano allo stesso modo dal punto di vista della stabilità
∂α
latero – direzionale a timone bloccato.
Il metodo sopra descritto è stato utilizzato per dare forma e posizione alle appendici di una barca
Open 45’. Ha permesso di ottenere buoni risultati perché associato alla scelta di un buon profilo a
tazze di laminarità: la deriva ottenuta sfrutta al massimo le proprie potenzialità: lavora al regime di
massima efficienza in un certo range di velocità scelto a priori come condizione di progetto. Il
timone è stato quindi dimensionato anch’esso in modo che fosse il più piccolo possibile ma
sufficiente per dare alla barca la necessaria manovrabilità.
3. PROGETTO STRUTTURALE DELLE APPENDICI
Una volta sistemata la forma e la posizione occorre trovare una struttura che garantisca la necessaria
rigidezza e leggerezza.
La rigidezza strutturale è necessaria per mantenere la forma e quindi le prestazioni idrodinamiche di
progetto. Spesso non è semplice rispettare questo vincolo perché il bulbo all’estremità carica la
lama con sollecitazioni flesso – torsionali e assiali rilevanti.
Per la valutazione delle condizioni di carico rimando al mio lavoro di tesi rif. [15].
3.1 Scelta dei materiali
Si è pensato di costruire appendici in materiale composito e, per semplificare la costruzione e la
stesura delle pelli, è stato utilizzato un unico laminato avvolto attorno ad un’anima di legno o
termanto (riempitivo). La struttura ottenuta quindi, si differenzia rispetto a quelle aeronautiche in
metallo perchè non è dotata di correnti ed è molto simile a quella utilizzata per le pale degli
elicotteri che sono sollecitate anche ad azione assiale. Nei compositi infatti le lamine con fibre in
direzione longitudinale hanno lo stesso effetto di tanti correnti accostati gli uni agli altri caricandosi
così di sforzi assiali. Pannelli con fibre a 45° sopporteranno invece il carico dovuto agli sforzi di
taglio. Tale costruzione è comunque vantaggiosa perchè il materiale viene portato all’esterno
aumentando il momento d’inerzia e diminuendo gli sforzi assiali e la torsione.
3.2 Gli strumenti matematici utilizzati
Gli strumenti matematici utilizzati per l’approccio e la soluzione al problema del dimensionamento
strutturale sono due: il primo è il metodo a semiguscio utilizzato comunemente nel campo
aeronautico (e non solo) per il progetto di travi a guscio che devono avere caratteristiche di alta
efficienza strutturale (avviamente le ali di un aereo o le appendici di una barca a vela!).
In breve tale metodo parte da un’ ipotesi di separazione dei compiti dei vari componenti strutturali
dell’oggetto. Parlando in termini aeronautici si suppone che i correnti sopportino i carichi di
flessione e che la pelle asterna chiusa sopporti i carichi di torsione e sia responsabile del
trasferimento dei carichi aerodinamici alle centine. Quest’ultime a loro volta caricano i correnti e
mentengono la geometria della sezione. Per un descrizione più dettagliata del metodo si rimanda al
rif. [18].
16
Fig. 3 – Esempio di confronto: sforzi di taglio calcolati con metodo a semiguscio (dx) e con
metodo agli elementi finiti (sx)
Il secondo è quello comunemente noto come “Metodo agli elementi finiti”. Attualmente esistono in
commercio diversi tipi di software per il calcolo di sforzi e deformazioni: per questo lavoro è stato
utilizzato Femap come pre e post processor e Nastran 2001 come solutore. Il secondo
particolarmente valido per deformazioni che restano nel campo elastico.
I due motodi sono fondamentalmente diversi dal punto di vista sia concettuale che matematico. Nel
lavoro sono stati utilizzati entrambi nello stesso modello verificando che i risultati su sforzi e
deformazioni ottenute fossero coincidenti.
Fig. 4 – Distribuzione dai laminati dalla radice (sx) alla tip (dx)
Si vuole focalizzare l’attenzione su come devono essere utilizzati questi strumenti matematici. Si fa
spesso un uso sconsiderato del metodo agli elementi finiti quando invece per progettare
correttamente un struttura (nel nostro caso i laminati) bisogna prima avere un’idea di come si
distribuiscono gli sforzi e le deformazioni sul pezzo considerato omogeneo.
Nel caso affrontato per esempio, il baricentro del bulbo non era nell’asse elastico della trave deriva
generando all’estremità, dove la corda è minore, sforzi di taglio elevati sulla pelle esterna come
indicato nel confronto in Fig. 3. Al contrario in quella zona gli sforzi assiali sono bassi suggerendo
una distribuzione del laminato come indicato in Fig. 4.
Il laminato ottenuto in realtà è frutto di una continua risitemazione nella distribuzione delle pelli. E’
stata fatta prima una verifica con il criterio di massimo sforzo, poi con il criterio di massima
deformazione. La seconda si è dimostrata più stringente: l’estremità infatti si torceva troppo in
17
navigazione con angoli di sbandamento elevati. Questo impediva alla deriva di rispettare
l’incidenza di progetto.
Per la descrizione della struttura del timone si consideri il rif. [15].
4. CONCLUSIONI
Attualmente il posizionamento e dimensionamento delle appendici nel campo della progettazione
degli yacht è ancora il “segreto” di ogni progettista. Il metodo utilizzato si basa sul cosiddetto
“avanzamento”. In base ad opportuni coefficienti infatti viene stabilita una distanza nell’asse di
simmetria della barca tra il centro delle aree dell’opera viva e il centro dell’area velica. Ogni
progettista è portato a costruire barche simili tra loro. Anche il corretto valore dell’avanzamento
viene quindi acquisito per esperienza.
Il metodo presentato in questa tesi invece ha maggiore generalità perchè permette di
adimensionalizzare il problema progettando barche dalle caratteristiche uguali in termini di stabilità
latero – direzionale ma aventi forme e assetti completamente diversi tra loro.
Sarà necessario tarare i valori ottenuti rapportandoli al comportamento effettivo di alcune barche di
esempio. Potrà quindi essere costruita una scala in base ai coefficienti di stabilità ottenuti. Non
esiste un unico valore di riferimento infatti uno yacht troppo stabile è difficilmente manovrabile e
viceversa. Ancora una volta vince il miglior compromesso in base al tipo di barca da costruire.
Un interessante approfondimento potrebbe essere per esempio l’applicazione del metodo alla
configurazione che ultimamente sembra dare buoni risultati: doppio timone (a prua e a poppa) e
deriva basculante.
Lo studio strutturale riportato, oltre ad essere preciso in quanto permette di confrontare e validare i
risultati utilizzando due metodi diversi, è molto utile per verificare che in condizioni di progetto le
deformazioni delle appendici non influiscano sull’efficienza idrodinamica prevista.
BIBLIOGRAFIA:
[1] “Twenty-first symposium on naval hydrodynamics” Norway 24-28 June 1996. National
Reasearch council, Washington, DC.
[2] “Handbook of composites” S.T.Peters edizioni Chapman and hall
[3] “Forward Module Technical Specifications of the Components. 2.7 Glues” L.Sospedra Edizioni
ATLAS project.
[4] “The BoiKinetics of flying and swimming” Akira Azuma. Edizioni Springer-Verlag
[5] “Keel design for low viscous drag” Obara, Clifford J. Journal of ship research Jun 1989, p. 145155.
[6] “Principi di funzionamento di un’imbarcazione a vela” F. Fossati, G. Diana. Edizioni Spiegel
[7] “Disegno tecnico industriale” Emilio Chirone, Stefano Tornincasa
[8] “Materiali e tecniche innovative nel settore nautico” A. Ratti, S. Piardi. Gruppo editoriale
Esselibri
[9] “Aero-Hydrodynamics of Sailing” Marchaj. Dodd, Mead & Company, New York 1979
[10] “Fluid-Dynamic drag” Hoerner. Brick Town, N.J., 1965
[11] “Hydrodynamics of the Dolphin” V.T. Chow, Academic Press, New York, 1965
18
[12] “Underwater Drag reduction through optimum shaping” B.H. Carmichael, Ed. Compass
Publications, Arlington, 1967
[13] “Simplified method for determination of critical haight of distributed roughtness particles for
boundary- layer transition at Mach number from 0 to 5” Braslow, Knox. National Advisory
Committee on Aeronautics, Washington, D.C., 1958
[14] “Aeronautica Generale parte I” R. Picardi, città studi
[15] “Formulazione aerodinamica per superfici veliche” Nicola Magnino; Politecnico di Milano
a.a. 1998-99
[16] www.autometrix.com : software per il taglio delle vele
[17] “Guide for Building and Classing Offshore Racing Yachts, American Bureau of Shipping,
1993
[18] “Strutture Aeronautiche” V. Giavotto, 1977, edizioni clup
[19] www.spsystems.com : datasheet con tutte le proprietà meccaniche dei materiali compositi
utilizzati
[20] “Structural laminate composites for space application” practice no.PD-ED-1217, Marshall
Space flight center
[21] “Introduction to composite materials” Stephen W.Tsai; H. Thomas Hahn
[22] “Appunti del corso di Strutture Aeronautiche I” Anghileri M. a.a. 2000/01
[23] “Adhesive Bonding of Aluminum Alloy” Edward W. Thrall
[24]“Rudder – A Closer Look” Peter Bentley
http://2002.volvooceanrace.org/news/leg_2/011114_rudder.html
[25] “Rudder Talk with Leif Beiley” from Windchaser magazine
http://www.bravurayachts.com/rudder.htm
[26] “ABS rules” : vedi rif. 17
[27] http://www.tacbearings.com/fcsseries.html : supporti per timoni di imbarcazioni a vela
[28] “Progetto idrodinamico e strutturale della deriva di un catamarano di classe Tornado”
Bieker Lia, Brambilla Giovanni; Politecnico di Milano; a.a. 1998-99
[29] http://aerodyn.org/Drag/tip_devices.html : winglet.
[30] “Norme UNI” Ente Nazionale Italiano di Certificazione
[31] “Progetto preliminare, analisi flidodinamica e strutturale delle appendici di una barca a vela
classe Open 45’ da regata”. Targa Stefano; Politecnico di Milano; a.a. 2002-03.
19
ANALISI NUMERICO SPERIMENTALE E OTTIMIZZAZIONE DI
CATAMARANO A VELA
G.Grasso* e E.Guglielmino**
* D.I.I.M. Dipartimento di Ingegneria Industriale e Meccanica,
Università degli Studi di Catania
V.le A.Doria, 6 - 95125 Catania, Italy
Tel.+39 95 7382406 , e-mail: [email protected]
** D.C.I.I.M. Dipartimento di Chimica Industriale e Ingegneria dei Materiali,
Università degli Studi di Messina
Salita Sperone, 31 – 98100 Messina, Italy
Tel.+39 90 6765607, e-mail: [email protected]
Keywords: catamarans, F.E.M., naval design, stress analysis,
ABSTRACT
Il lavoro analizza le risposte strutturali di un catamarano a vela sollecitato dal vento, onda e peso al
fine di ottimizzarne il progetto. E’ stato realizzato il modello CAD e FEM utilizzando il software
Pro-Engineer. Si sono effettuate prove sperimentali estensimetriche e di spostamenti con carico
noto e imbarcazione “a secco” e, con tali risulati, la taratura del modello F.E.M. . Si sono analizzati
quindi gli effetti di vento, onda e vento/onda su paratie, scafi, elementi di collegamento tra le travi e
gli scafi stessi. I valori di sollecitazioni ottenuti sulle paratie sono molto inferiori al carico limite al
contrario delle piastre di collegamento. Il limite riscontrato è quello di una ad elevata rigidezza con
valori di sollecitazione sempre modesti. Tale risultato ha consentito miglioramenti strutturali al fine
di ridurre i costi di realizzazione ed un migliore utilizzo dei materiali costituenti e/o a design
innovativi.
1. STATO DELL’ARTE
Nell’ultimo decennio l’impiego di catamarani come mezzi di trasporto veloce ha reso necessari
studi più approfonditi sui carichi idrodinamici agenti al fine di poter costruire mezzi leggeri ma
sicuri. La maggior parte degli studi condotti riguarda il comportamento fluidodinamico della
struttura e i carichi generati dal moto ondoso su scafi e su struttura centrale del poliscafo [1-9].
In questo lavoro è stato analizzato il comportamento sotto carico di un catamarano a vela adibito al
diporto analizzando le sollecitazioni cui sono soggette le sue parti strutturali.
Per la determinazione dei carichi ci si è basati sul lavoro di Stephen Cook,Patrick Courser, Kim
Klaka, Investigations into wave loads on Catamarans, 1999, [10] affiancando una misura
sperimentale ad una analisi agli elementi finiti sul modello della imbarcazione reale.
L’obiettivo degli autori del era di determinare i carichi indotti dalle onde sul catamarano “Educat”
lungo 8 m. Da ciò essi hanno ricavato la caratteristica di carico per ciascuna sezione
20
dell’imbarcazione. E’ stata condotta un’analisi estensimetrica “a secco” applicando dei carichi noti
e verificando che la lettura degli estensimetri fosse corretta. Infine è stato realizzato un modello agli
elementi finiti per verificare i valori di sollecitazione ottenuti analizzando i moti del catamarano in
diverse condizioni di carico con buona congruenza dei risultati.
Per la scelta della entità e modalità di applicazione del carico si è assunta come base teorica quella
proposta da Kamlesh S. Varyani, Rama M. Gatiganti, Miroslaw Gerigk, Motions and slamming
impact on catamaran, 2000, [11] calcolando la forza d’impatto sull’onda di uno dei due marani con
una velocità relativa nota.
Essi hanno studiato le sollecitazioni fluidodinamiche agenti sul Vosper International High Speed
Catamaran. Tale catamarano è realizzato con una struttura centrale adibita al trasporto, su brevi
tragitti, di passeggeri e veicoli e raggiunge velocità talvolta maggiori di 40 nodi. Si analizzano
anche le sollecitazioni sulla struttura centrale dell’imbarcazione. Gli autori analizzano le forze
indotte sul sistema bidimensionale della generica sezione. Il lavoro si basa su un approccio
numerico, si utilizza il metodo dei Volumi Finiti per risolvere le equazioni di continuità e di Eulero
del sistema scafo/mare e vengono analizzati gli andamenti delle pressioni sulle superfici di contatto
per diversi valori dell’angolo di incidenza dello scafo. Considerando diverse sezioni trasversali
degli scafi ed utilizzando la velocità verticale d’impatto come input per il calcolo dei carichi
dinamici d’urto agenti, si sono ottenuti diagrammi sperimentali 6riguardanti l’andamento del
coefficiente adimensionale di pressione Cp, ricavabile dalla formula
P= ½ ρ CpV2
dove P è il valore della pressione ottenuto con il metodo sperimentale discretizzando le superfici, ρ
la densità dell’acqua marina e V la velocità d’impatto, e in coefficiente adimensionale di forza CF
definito, integrando la distribuzione della pressione, come
Cf = F / (ρv3t)
con t pari al tempo trascorso dall’impatto.
Tali valori, parametrizzati secondo l’angolo di incidenza tra scafo e acqua, consentono di ottenere la
pressione e la forza d’impatto di un’onda nota la velocità relativa e la sezione dello scafo.
Naturalmente diversi angoli di incidenza dello scafo sul fluido corrispondono a diversi
comportamenti del flusso che, per angoli più ampi, si distacca prima dalla superficie non
sollecitando più lo scafo.
Relativamente, invece, alla scelta della tipologia di applicazione dello stesso carico, considerando la
diversa casistica, tipo di onda, zona di contatto, modalità d’impatto, si è tenuti conto dei risultati
riscontrati nei lavori della NTNU (Norwegian University of Science and Technology, Trondheim),
Testing of a catamaran in ocean basin, [12] e C.C. Fang, H.S.Chan, A.Incecik , Investigation of
motions of catamarans in regular waves, [13] relativi agli effetti di diverse sollecitazioni sullo
scafo.
Nel primo [12] è stato condotto uno studio su forze e spostamenti statici e dinamici. Tale studio ha
riguardato prove in vasca su un catamarano in scala di lunghezza 4.1 m e dislocamento 300 kg
verificando sia i carichi locali che globali dovuti a moti ondosi con frequenze fra 0.7 e 25 secondi
con altezza delle onde fra 0.02-0.2 m e applicati per 60 secondi l’uno. Gli spostamenti rigidi dello
scafo sono stati monitorati utilizzando un sistema ottico di posizionamento ed un sistema di misura
delle accelerazioni in tre punti differenti del catamarano. La struttura è stata divisa in più parti
rigide collegate tramite elementi elastici e si sono misurate le forze agenti sul ponte e la risposta
dinamica dell’imbarcazione. Frequenze più alte ed altezze maggiori generano moti relativi fra scafo
e superficie dell’acqua di maggiore entità, mentre frequenze più basse e di minor altezza provocano
maggiori moti rigidi dell’intero scafo. La forza di slamming ha un andamento oscillatorio con
oscillazioni a bassa frequenza dovute ai carichi d’onda ed oscillazioni ad alta frequenza dovute al
carico di slamming.
21
Nel secondo [13] gli autori, nel 1996, hanno studiato l’effetto delle onde sulle oscillazioni piane del
catamarano. Il lavoro ha riguardato la messa a punto di un modello dinamico bidimensionale
dell’imbarcazione in relazione alla frequenza e altezza dell’onda. Nel lavoro è stato validato il
modello confrontando i risultati numerici con quelli sperimentali relativi a due prove effettuate su
catamarani diversi. Il modello numerico risultante è stato testato su un terzo catamarano mostrando
la sua validità ed evidenziando una particolare dominanza degli effetti non lineari all’incrementarsi
dell’ampiezza d’onda.
2. CALCOLO DEI CARICHI DOVUTI ALLA STABILITA’
La coppia sbandante diventa massima quando lo scafo sopravvento emerge completamente
assumendo un valore pari al peso dell’imbarcazione (dislocato dal marano sommerso) per la
distanza tra la mezzeria della barca e quella di un marano. Si è ritenuto utile analizzare i carichi
dovuti allo sbandamento per poter avare informazioni sullo stato pensionale in tale condizione.
Come è noto lo sbandamento di una imbarcazione è determinato dall’equilibrio tra coppie sbandanti
(di natura aerodinamica) e da coppie raddrizzanti (dovute al peso della barca e a quello
dell’equipaggio). La spinta aerodinamica del vento provoca, su un catamarano, due diverse forze, la
prima agente sulle vele, la seconda sulla (eventuale) piattaforma o ponte, sia essa rigida, sia di tela;
mentre la prima decresce con legge cosinusoidale, la seconda aumenta in modo sinusoidale. In
corrispondenza di grandi sbandamenti, quando la vela è ormai quasi orizzontale, è la pressione dei
vento sulla piattaforma che conclude una scuffia ormai inevitabile.
La forza sbandante prodotta dalle vele è:
Fv=1/2 r CP V2 S
dove r è la densità dell’aria, CP è il coefficiente di portanza, S è la superficie velica e V è la
massima velocità apparente ammissibile assunta pari a 30 nodi.
Il braccio di tale forza è dato da :
b=h cos a
dove h è la quota del centro velico rispetto al baricentro, pari a 6,42 m e a è l’angolo di
sbandamento.
La forza sbandante prodotta dal telo è:
Ft=1/2 r CP V2 S
Dove r è la densità dell’aria, CP è il coefficiente di portanza, S è la superficie del telo e V è la
massima velocità apparente ammissibile.
Il braccio di tale forza è dato da :
b=l/2 cos a
dove l è la larghezza dell’imbarcazione ad l/2 è pari a 3,83 m e a è l’angolo di sbandamento.
Naturalmente mentre l’effetto delle vele cessa per angoli di sbandamento maggiori di 90°, l’effetto
del telo agisce fino a 180° di sbandamento.
Il diagramma della coppia sbandante è mostrato nella figura 1.
c o p p ie
s b a n d a n ti
1 ,2 E + 0 5
c o p p ia p r o d o t t a
d a lle v e le
c o p p ia p r o d o t t a
t e lo
1 ,0 E + 0 5
Nm
8 ,0 E + 0 4
c o p p ia
t o t a le
6 ,0 E + 0 4
4 ,0 E + 0 4
2 ,0 E + 0 4
0 ,0 E + 0 0
0
2 0
4 0
a n g o lo
6 0
8 0
1 0 0
1 2 0
d i s b a n d a m e n to
1 4 0
1 6 0
1 8 0
( g r a d i)
Figura 1 diagramma della coppia sbandante
22
d a l
s b a n d a n te
Per quanto riguarda la coppia raddrizzante si procede a partire dalla curva di affondamento fornitaci
per il catamarano in esame (figura 2).
litri
curva di affo ndamento
2250
2000
1750
1500
1250
1000
750
500
250
0
tratto 2
tratto 1
0
10
20
30
40
50
A
60
70
80
90
100
110
120 130
140
affondame nto (cm)
Figura 2 diagramma della coppia raddrizzante
Per affondamenti fino a 90 cm la curva si riferisce alla deriva dello scafo ed ha un andamento
lineare (tratto 1), la seconda parte è relativa alla carena vera e propria ed ha un andamento
pressoché esponenziale (tratto 2). Considerato che il peso totale dell’imbarcazione è di 1930 kg per
a pari a zero l’affondamento di marano è di 19,12 cm, all’aumentare dello sbandamento un marano
dislocherà sempre più peso fino ad un massimo di 1930 kg mentre l’altro ne dislocherà sempre
meno fino ad emergere dall’acqua. Nella figura 3sono rappresentati gli affondamenti degli scafi in
funzione dell’angolo di sbandamento.
scafo sx
scafo dx
0
a=0
a = 0.49
20
a = 1.01
a = 1.59
40
a = 2.29
affondamento assoluto (cm)
60
a = 3.23
80
a = 4.97
a = 6.69
100
a = 8.40
120
a = 10.10
140
Figura 3 affondamenti degli scafi in funzione dell’angolo di sbandamento
Come si evince dalla tabella l’angolo di emersione è pari a 10°.10.
Da questo angolo in poi la forza raddrizzante F dovuta alla spinta di Archimede :
F = V r g [N]
con g accelerazione di gravità e rV massa del volume d’acqua spostato, rimarrà costante ma
continuerà a variare il braccio b:
b=l/2 cos a.
In prossimità dei 180° di sbandamento la curva di dislocamento non è più quella vista in precedenza
poiché sarà la parte superiore del marano ad immergersi e la sezione è quella della coperta.
Rappresentando sullo stesso diagramma le coppie raddrizzanti e quelle sbandanti potremo
analizzare il comportamento del poliscafo anche in condizioni limite, cioè navigando su un solo
marano (figura 4).
23
1 ,2 E + 0 5
1 ,0 E + 0 5
C o p p ia s b a n d a n t e
8 ,0 E + 0 4
A
6 ,0 E + 0 4
c o p p ia r a d d r iz z a n t e
Nm
4 ,0 E + 0 4
2 ,0 E + 0 4
B
0 ,0 E + 0 0
-2 ,0 E + 0 4
0
20
40
60
80
100
120
140
160
180
-4 ,0 E + 0 4
-6 ,0 E + 0 4
-8 ,0 E + 0 4
a n g o l o di s ba n da m e n to (g r a di )
Figura 4 diagramma le coppie raddrizzanti e sbandanti
I due punti A e B rappresentano due situazioni di equilibrio profondamente diverse: in A si ha
equilibrio stabile, infatti, se la barca sbandasse ancora un poco la coppia raddrizzante crescerebbe
mentre quella sbandante varierebbe assai poco tendendo a far riassumere all’imbarcazione l’assetto
primitivo, in B si ha equilibrio instabile, infatti, in corrispondenza di un incremento della forza del
vento la coppia sbandante crescerebbe aumentando lo sbandamento fino alla scuffia, se invece essa
diminuisse la barca si raddrizzerebbe rapidamente, fino a riportarsi sul punto stabile A. Per evitare
la scuffia i progettisti limitano la coppia massima ribaltante in modo tale da indurre la rottura del rig
prima di innescare la scuffia. In particolare, si progetta nell’ordine la rottura di: vele, sartiame,
albero.
3. PROVE SPERIMENTALI
L’obiettivo è stato di caratterizzare la rigidezza ed il comportamento sotto carico del catamarano al
fine di validare uno studio numerico in previsione di possibili ottimizzazioni. Per far questo si è
applicato un carico in prua ad uno scafo e si sono letti i valori dello spostamento, in prossimità degli
appoggi, e delle deformazioni, in punti critici quali, le travi di collegamento del catamarano, e le
zone di vincolo delle stesse. Il catamarano è stato messo a “secco” e appoggiato su una struttura
metallica che lo vincolava su due punti per ogni marano, rispettivamente a 2,3 m dalla prua e 2,2 m
dalla poppa.
Fra la struttura metallica e gli scafi sono stati posti degli spessori di legno.
Il carico è stato applicato tramite un pistone pneumatico Waircom, alesaggio 100 mm e corsa 250
mm, posizionato a 0,75 m dall’appoggio anteriore dello scafo destro del catamarano, alimentato da
pressioni crescenti e decrescenti da 0 a 6 bar con incrementi di 1 bar.
3.1 Prove estensimetriche
Gli estensimetri, del tipo CEA-13-120CZ-120 per alluminio, a griglie separate a 45°
autocompensanti, sono stati posizionati nei punti di maggiore interesse per le sollecitazioni secondo
lo schema seguente (figura 5):
24
Figura 5 schema di posizionamento degli estensimetri.
Come risulta evidente essi sono stati posti sulla superficie esterna delle travi lungo gli assi della
sezione trasversale, essendo le maggiori sollecitazioni di torsione e flessione, e in prossimità delle
zone di vincolo delle stesse, sulla superficie dello scafo lungo le paratie. La lettura dei dati è stata
effettuata tramite un sistema di acquisizione dati, costituito da un pannello di terminazione del tipo
PCI – 20354T-1 prodotto dalla Intelligent Instrumentation provvisto di 8 canali ed isolato
galvanicamente dall’alimentazione (5V). A ciascuno dei canali è associato un modulo di
condizionamento del segnale del tipo SCM5B38 con collegamento a mezzo ponte. Come
convertitore analogico digitale è stato usato l’elemento Advantech ADAM 4016 che riceve in
ingresso i segnali del pannello di terminazione e li converte in un uscita digitale a 16 bit, inviata al
modulo di interfaccia ADAM 4510S che rende i dati conformi al protocollo RS485 e li amplifica
consentendo la connessione con cavo seriale a 9 pin fino a 20 m di lunghezza. Sul computer
ricevente è installato un software proprietario appositamente realizzato per l’hardware a
disposizione che memorizza i dati su un file in formato ASCII campionando a 3,75 Hz.
La lettura dei dati non ha prodotto risultati accettabili in quanto in mancanza di un adeguato sistema
di amplificazione e data la estrema rigidezza della struttura, i valori rientravano in un range del 12% del valore iniziale. Tale risultato è stato confermato dalle successive analisi numeriche.
3.2 Prove con i comparatori
Dei comparatori con sensibilità del centesimo di millimetro sono stati posizionati nei quattro
appoggi per misurare gli spostamenti degli stessi (figura 6).
Figura 6 schema di posizionamento dei comparatori.
25
Per misurare gli spostamenti relativi fra i due scafi sono state poste delle travi telescopiche coassiali
in profilato di alluminio che, in diagonale, collegassero la prua di un marano con l’estremità
poppiera della deriva dell’altro e su di ognuna di esse è stato posto un comparatore centesimale a
misurare gli allungamenti relativi. Le letture dei comparatori, presentate di seguito, si sono rivelate
congruenti con i risultati da noi previsti (figura 7).
Distanza assoluta fra le parti
comp.1
0,02
0,00
-0,02 0
-0,04
mm-0,06
-0,08
-0,10
-0,12
-0,14
-0,16
1
2
3
4
Distanza assoluta fra le parti
comp.2
5
6
carichi crescenti
7
carichi decrescenti
media
1,20
carichi
1,00
carichi ti
d
ti
media
0,80
mm
0,60
0,40
0,20
0,00
0
1
2
3
4
carichi crescenti
0,00
3
4
5
5
6
7
5
6
7
carichi decrescenti
media
0,08
media
2
7
carichi crescenti
0,10
carichi decrescenti
0,05
1
6
Distanza assoluta fra le parti
comp.4
Distanza assoluta fra le parti
comp.3
0
5
bar
bar
6
0,06
7
-0,05
mm
mm 0,04
0,02
-0,10
0,00
-0,15
-0,02
-0,20
0
1
2
3
-0,04
bar
bar
Distanza assoluta fra le parti
comp.5
Distanza assoluta fra le parti
comp.6
0,025
0,02
0,00
-0,02 0
mm
-0,04
carichi crescenti
carichi decrescenti
0,020
1
2
3
4
5
6
carichi decrescenti
-0,08
media
media
7
0,015
mm
carichi crescenti
-0,06
4
0,010
0,005
0,000
-0,10
0
1
2
3
4
-0,005
bar
bar
Figura 7 spostamenti rilevati dai comparatori
I risultati ottenuti dalle prove sperimentali effettuate mostrano di essere in buon accordo e congrui
fra loro. E’ interessante rilevare come, in particolare, per i comparatori 1,2,5 e 6 gli andamenti siano
ben leggibili e con scarti limitati massimi rispetto al valore di fondo scala del 25%. I comparatori 3
e 4 invece hanno presentato dei risultati anomali, cosa prevedibile per l’intrinseca costruzione dello
strumento di misura (il ciclo sotteso fra i valori di spostamento per carichi crescenti e carichi
decrescenti rappresenta l’energia persa per attrito di primo distacco nello scorrimento delle travi
diagonali).
Bisogna sottolineare che i carichi indotti sulla struttura hanno valori estremamente contenuti al fine
di non danneggiarla data l’applicazione localizzata della forzante. E’ inoltre importante far notare
che tali sollecitazioni hanno determinato sul vincolo, ossia sull’invaso, deformazioni assolutamente
trascurabili e dunque l’invaso stesso si è potuto approssimare a telaio.
4. IL MODELLO NUMERICO
Partendo dai progetti del catamarano in esame e avvalendosi dei necessari rilievi sul poliscafo è
stato realizzato il modello utilizzando il software ProEngineer la cui scelta si è resa necessaria per
consentire una riproduzione fedele delle complesse superfici. Sono state, quindi modellate tutte le
parti dello scafo reale: le paratie, le travi, le zone di attacco trave, le piastre ecc (figura 8).
26
Figura 8 modello del catamarano realizzato con il ProEngineer
Si è proceduto alla meshatura di tutte le superfici costituenti l’imbarcazione utilizzando elementi
quad e tria. La zona di attacco delle travi è stata fedelmente ricostruita e le bullonature
schematizzate ponendo nei punti di applicazione dei bulloni dei nodi appartenenti sia ai supporti che
allo scafo, mentre per il resto le due superfici sono state affacciate ad una distanza di 1 mm. Questo
genererà dei picchi di tensione in tali nodi che, pur non garantendo l’esattezza numerica dei
risultati, simulano in maniera semplice le bullonature.
La struttura sandwich, costituente lo scafo, è composta da 13 strati: 6 di pelle esterna, 1 di anima e 6
di pelle interna. E’ stata applicata la forza dovuta al peso di tutta la struttura centrale, dell’albero
con le vele e del modello stesso e la forza esercitata dal pistone e sono stati definiti i vincoli che
meglio approssimassero le condizioni di prova. Per il composito sono stati inseriti gli strati
successivi rispettando la tabella di laminazione, di seguito presentata (tabella 1), per il resto si sono
considerati materiali isotropi.
Materiale
Densità
Alluminio 2024-T3
Legno
Mat
Biasciale
Biasciale
Biasciale
Biasciale
Mat
Airex
Mat
Biasciale
Biasciale
Biasciale
Biasciale
Mat
Modulo di
elasticità
3
2770 kg/m
75000 MPa
370 kg/m3
10000 MPa
SANDWICH
370 kg/m3
42000 MPa
1200 kg/m3
42000 MPa
3
1200 kg/m
42000 MPa
1200 kg/m3
42000 MPa
3
1200 kg/m
42000 MPa
1200 kg/m3
42000 MPa
3
70 kg/m
57 MPa
3
1200 kg/m
42000 MPa
1200 kg/m3
42000 MPa
3
1200 kg/m
42000 MPa
1200 kg/m3
42000 MPa
3
1200 kg/m
42000 MPa
1200 kg/m3
42000 MPa
Tabella 1 tabella di laminazione del sandwich
27
Spessore
7-20 mm
20 mm
0.6 mm
0.6 mm/0-90°
0.6 mm/±45°
0.6 mm/0-90°
0.6 mm/±45°
0.6 mm
20 mm
0.6 mm
0.6 mm/0-90°
0.6 mm/±45°
0.6 mm/0-90°
0.6 mm/±45°
0.6 mm
La forza peso del modello è stata assegnata applicando a tutta la struttura l’accelerazione di gravità.
Il peso delle parti non rappresentate, quali la struttura centrale (roof) e l’albero, è stato riprodotto
con delle forze applicate nei punti di appoggio delle stesse (la struttura centrale è appoggiata in
quattro punti alle estremità della trave centrale e poppiera, mentre l’albero si trova in mezzeria della
trave centrale).
Riconducendosi alle prove sperimentali appare chiaro come, in corrispondenza del massimo carico
del pistone, l’appoggio anteriore destro della struttura fosse scarico e quindi il pistone in sé fungesse
da appoggio. E’ stato quindi possibile eliminare del tutto il vincolo d’appoggio scarico e bloccare
solo le 3 traslazioni negli appoggi poppieri ottenendo risultati in accordo con le prove svolte.
4.1 Taratura del modello
Lo spostamento letto dal comparatore 2 (anteriore destro), pari a 1 mm, è chiaramente dovuto al
fatto che i 5230 N applicati a 6,66 bar dal pistone eccedono di 100 N la reazione vincolare di un
appoggio che, posto nel punto di applicazione di carico, garantisse l’equilibrio statico. Tutti gli step
di carico eseguiti applicando un valore minore di questa eventuale reazione vincolare non potevano,
ovviamente, “scaricare” del tutto l’appoggio ma semplicemente contribuire ad equilibrare la forza
peso. E’ chiaro che gli spostamenti letti dai comparatori per pressioni da 1 a 6 bar sono spostamenti
dovuti all’applicazione di una forza tramite il pistone che, nella realtà, essendo l’appoggio esteso,
faceva in modo che la parte prodiera dell’appoggio si scaricasse mentre quella poppiera continuasse
a fungere da appoggio. Le analisi sono state condotte, quindi, per p=6,66 bar e come zero è stato
assunto lo spostamento dovuto al solo peso. La tabella 2 mostra come i risultati sperimentali, riferiti
al comparatore 2 siano in buon accordo con quelli numerici.
Carico applicato
(N)
5230
Risultati FEM
(mm)
0,9 - (-0,112) = 1,012
Risultati sperimentali
(mm)
1,000
Tabella 2 spostamenti comparatore 2
Si riportano, di seguito, i grafici relativi alle deformate numeriche e sperimentali dovuta
all’applicazione del carico negli appoggi considerati (figura 9).
28
0,00
0,00
-0,01
1,20
1,00
0,80
mm
comparatore 2(ant dx)
-0,02
FEA
-0,03
0,60
mm -0,04
0,40
-0,05
0,20
-0,06
2,00
3,00
4,00
5,00
6,00
7,00
comparatore 5(post sx)
FEA
-0,07
0,00
0,00
1,00
1,00
2,00
3,00
4,00
5,00
6,00
-0,08
7,00
-0,09
bar
bar
spostamenti dell’appoggio anteriore destro.
0,000
0,00
-0,020
1,00
2,00
3,00
4,00
5,00
6,00
spostamenti all’appoggio anteriore sinistro.
7,00
-0,040
0,03
comparatore 6(ant sx)
0,02
FEA
-0,060
mm
mm
-0,080
-0,100
-0,120
-0,140
0,02
0,01
comparatore 1(post dx)
0,01
FEA
0,00
-0,160
0,00
bar
1,00
2,00
3,00
4,00
5,00
6,00
7,00
bar
spostamenti all’appoggio posteriore destro.
spostamenti dell’appoggio posteriore sinistro.
Figura 9 deformate numeriche e sperimentali negli appoggi
5. ANALISI NUMERICHE
5.1 Azione del vento
Una prima analisi ha riguardato gli effetti del vento sulle vele e su strallo e sartie. I carichi
complessivamente considerati sono quindi:
• tiro sartie
• tiro strallo
• peso roof
• peso albero/sartiame
• peso imbarcazione
Sono state vincolate la prua e la poppa del marano sinistro. Per quanto riguarda il marano destro
sono state calcolate le reazioni vincolari ai due appoggi e si sono sostituite al vincolo, consentendo
così alla struttura di muoversi lungo le y positive. Questa configurazione degli appoggi, il peso della
roof, dell’albero e dell’imbarcazione sono stati mantenuti anche nelle condizioni di carico
successive.
I risultati sono riportati nelle figure seguenti e mostrano di essere congruenti con quelli che sono i
casi riscontrabili nella realtà (figure 10).
29
Figura 10 spostamenti lungo y.
5.2 Azione dell’onda
Un’altra analisi ha riguardato la situazione di immersione del marano sottovento cioè l’impatto di
un onda sulla prua di un marano (figure 11). Per determinare le sollecitazioni dovute all’impatto con
un’onda ci si è ricondotti al lavoro di Kamlesh et al. Nel nostro caso si vuole simulare, durante tale
condizione, l’impatto con un’onda che agisca su 1/3 del marano. A tale scopo si è considerato
l’angolo di inclinazione dell’opera morta del marano e ricavato Cp dal lavoro suddetto. Ottenuto Cp
si è calcolata la pressione p agente sullo scafo ponendo
pari alla densità dell’acqua e v pari a
10m/s. Essendo Cp=2, la pressione p risulta pari a 0.1 MPa.
Figura 11 spostamenti lungo x dovuti al carico dell’onda
5.3 Azione sinergica di vento e onda
La condizione esaminata è quella più sfavorevole in cui, il vento agisce tendendo a sbandare
l’imbarcazione dallo stesso lato dell’onda, e l’andatura è di bolina (figure 12). Le forze considerate
sono quelle calcolate per una velocità apparente di 20 nodi inclinata di 30° rispetto alla velocità di
avanzamento dello scafo.
30
Figura 12 spostamenti lungo x dovuti al sistema di carico combinato vento-onda
Dai valori di sollecitazione ottenuti dall’ultimo caso esaminato, che è sicuramente il più gravoso, è
possibile affermare che questi sono ampiamente al di sotto di quelli ammissibili per le varie parti
strutturali. Infatti è stato rilevato che le paratie dell’imbarcazione sono da considerarsi praticamente
scariche sotto l’effetto delle forzanti considerate, le travi subiscono sollecitazioni molto minori di
quelli che sono i valori di resistenza prescritti dal costruttore e, anche nelle zone di collegamento
trave/scafo, che costituiscono i punti a maggior rischio di rottura per questo tipo di imbarcazioni, le
sollecitazioni sono alquanto basse. Nella tabella seguente (tabella 2) sono riportati, per le tre
condizioni di carico, i valori approssimativi degli spostamenti e delle massime sollecitazioni:
VENTO
Xmax= 11 mm
Ymax = 720 mm
Zmax = 10 mm
(copertura marano destro)
(poppa marano dx)
(deriva marano dx)
Sollecitazione massima = 117 N/mm2 (bullonatura prua dx))
Sollecitazioni bullonature
Prua sx
45 N/mm2
Prua dx
117 N/mm2
2
Mezzeria sx
35 N/mm
Mezzeria dx
30 N/mm2
2
Poppa sx
30 N/mm
Poppa dx
75 N/mm2
Paratie
scariche
ONDA
Xmax= 37 mm
Ymax = 920 mm
Zmax = 102 mm
(copertura marano destro)
(poppa marano dx)
(deriva marano sx)
Sollecitazione massima = 175 N/mm2 (bullonatura prua sx))
Sollecitazioni bullonature
Prua sx
175 N/mm2
Prua dx
50 N/mm2
Mezzeria sx
90 N/mm2
Mezzeria dx
75 N/mm2
2
Poppa sx
35 N/mm
Poppa dx
105 N/mm2
Paratie
scariche
VENTO/ONDA
Xmax= 47.7 mm
Ymax = 1640 mm
Zmax = 156 mm
(copertura marano destro)
(poppa marano dx)
(deriva marano sx)
2
Sollecitazione massima = 185 N/mm (bullonatura poppa sx))
Sollecitazioni bullonature
Prua sx
Mezzeria sx
Poppa sx
Paratie
100 N/mm2
85 N/mm2
55 N/mm2
15 N/mm2
Prua dx
Mezzeria dx
Poppa dx
Tabella 2 riepilogo risultati
31
130 N/mm2
80 N/mm2
185 N/mm2
6. IL MODELLO OTTIMIZZATO
Come è evidente dai risultati numerici ottenuti, i materiali sono ben poco sfruttati e soggetti, anche
in condizioni limite, a livelli di sollecitazione trascurabili, se non nella zona di attacco travi. Una
prima strategia di ottimizzazione è stata individuata nella sostituzione delle travi con paratie
strutturali che attraversano la struttura da un marano all’altro. Nel modello ottimizzato le travi sono
state sostituite da parti strutturali assimilabili a delle paratie che attraversano il catamarano da uno
scafo all’altro e hanno sede nella roof che non è più una parte a sé stante appoggiata sulle travi
poppiera e di mezzeria ma ingloba i due marani insieme ai quali è stampata. Nelle figura 13 viene
mostrata la nuova soluzione costruttiva proposta.
Figura 13 il modello ottimizzato
Con i cambiamenti operati nella nuova struttura i momenti di inerzia delle sezioni resistenti sono
inoltre aumentati rispetto a quelli delle travi (tabella 3).
Trave di mezzeria
Momento di inerzia F40
Momento di inerzia ottimizzato
4
46000 cm
720000 cm4
Trave di poppa
Momento di inerzia F40
Momento di inerzia ottimizzato
35357 cm4
47000 cm4
Tabella 3 confronto tra i momenti d’inerzia delle sezioni resistenti nelle due ipotesi costruttive
Un ulteriore risultato va individuato nella diminuzione del numero di pezzi costituenti la struttura. Il
catamarano oggetto di studio è costruito assemblando per ogni marano la parte inferiore dello scafo
a quella superiore, aggiungendo poi le paratie, i supporti per le travi, le contropiastre e le travi
stesse. Tutte le zone di giunzione delle singole parti rappresentano dei punti critici per
l’imbarcazione perché deve essere garantita la necessaria rigidezza.
Nel modello ottimizzato si individuano solo la parte inferiore degli scafi dei due marani stampata in
un sol pezzo con la parte inferiore della struttura centrale, la parte superiore degli stessi stampata in
un sol pezzo con gli interni della roof, la roof e le paratie .
Concludendo il modello ottimizzato presenta numerosi vantaggi rispetto all’esistente:
1. Le nuove geometrie sicuramente eliminano pericolose concentrazioni delle tensioni sia per
l’aver eliminato le travi sia per l’aver ammorbidito le forme;
2. Un’analisi puntuale delle sollecitazioni e delle loro direzioni principali consentirebbe di
indicare l’orientamento ottimale delle fibre in fase di produzione e procedere ad una
32
3.
4.
5.
6.
riduzione dello spessore del sandwich nelle zone meno sollecitate. Questo implica un
risparmio di materiale e quindi una riduzione dei costi ma anche l’aver minore massa e
conseguentemente minore inerzia e minori sollecitazioni nei casi analizzati di imbardata,
slamming asimmetrico e carichi statici.
Le sezioni resistenti che hanno sostituito le travi presentano rigidezze maggiori delle travi
stesse;
Il nuovo modello è costituito da un numero inferiore di pezzi da assemblare dopo lo
stampaggio, il che implica minori zone critiche quali sono quelle di collegamento fra parti ;
L’utilizzo di un software quale ProEngineer permette di accostarsi al fast-prototyping e
quindi ad un processo industrializzato che elimini i problemi connessi alla lavorazione
artigianale sia in termini di precisione nella lavorazione sia in termini di tempi con i quali
essa viene completata;
In ultimo, ma non meno importante, anche lo spazio vivibile del poliscafo è notevolmente
aumentato con vantaggi evidenti per un eventuale utilizzo dell’imbarcazione a scopo di
charter.
7. CONCLUSIONI
Il lavoro è nato dall’esigenza di analizzare le caratteristiche meccaniche di un catamarano a vela.
Dall’analisi della letteratura sono state esaminate le caratteristiche dei poliscafi. Sono state condotte
delle prove sperimentali sull’imbarcazione posta a “secco”. L’obiettivo che ci si è prefissi è stato di
caratterizzare la rigidezza ed il comportamento sotto carico dell’imbarcazione oggetto di studio, al
fine di validare uno modello numerico in previsione di possibili ottimizzazioni. Partendo dai
progetti del catamarano e avvalendosi dei necessari rilievi sul poliscafo è stato realizzato il modello
con ProEngineer. La scelta di tale programma è risultata essere appropriata in quanto ha consentito
una fedele riproduzione del modello reale dell’imbarcazione stessa. Sono stati definiti i materiali, in
particolare la struttura sandwich composta da 13 strati 6 di pelle esterna, 1 di anima e 6 di pelle
interna secondo la tabella di laminazione fornitaci. Si è proceduto alla taratura del modello agli
elementi finiti considerando il peso della struttura centrale, dell’albero, delle vele e del modello
stesso. I risultati dell’analisi numerica hanno mostrato d’essere in buon accordo con quelli
sperimentali. Una volta tarato il modello si sono effettuate delle analisi facendo riferimento a quelle
che sono le condizioni di carico critiche per un poliscafo: azione del vento, azione dell’onda e
azione sinergica di entrambi. Infine si è analizzata la condizione più critica di azione sinergica dei
due sistemi di carico. L’analisi delle sollecitazioni ha mostrato come, pur in condizioni estreme, i
materiali siano ben poco sfruttati e le uniche zone sollecitate siano quelle di attacco delle travi.
Si è potuto, quindi, constatare che per l’imbarcazione presa in esame le sollecitazioni rilevate non
costituiscono fattore di rischio essendo molto al di sotto delle massime ammissibili per le singole
parti costituenti. Questo porta a prospettare miglioramenti strutturali verso un migliore sfruttamento
dei materiali e delle geometrie con notevoli risparmi economici per i costruttori.
33
BIBLIOGRAFIA
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University of Denmark, Department of Mechanical Engineering.
2) Jan Baatrup (1990) Structural Analysis of Maritime Structures, PHD thesis, Technical
University of Denmark, Department of Mechanical Engineering.
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34
CALCOLO E APPLICAZIONE DELLE STRUTTURE GEODETICHE AI
MEZZI NAVALI.
Oscar Carriero
Socio affiliato AS.PRO.NA.DI, Via A.Zoccoli, 7 - 40134 Bologna (BO)
[email protected]
SOMMARIO
Studio preliminare per l’utilizzo delle strutture geodetiche nei mezzi navali.
ABSTRACT
Le strutture geodetiche promettono innegabili vantaggi nella costruzione di imbarcazioni, ma non
sono ancora state utilizzate. in questo studio si valutano i criteri di progetto e le considerazioni
pratiche che portano alla loro realizzazione.
1. INTRODUZIONE
L’idea è quella di adottare strutture geodetiche nella costruzione di scafi di piccole e medie
dimensioni.
Rispetto alle analoghe strutture in campo civile ed aeronautico, quelle nautiche devono garantire la
tenuta all’acqua e agli urti.
Questo vuol dire che si tratta di realizzare un fasciame “armato” da un grigliato diagonale.
Che il grigliato debba essere diagonale è dovuto alla facilità delle generatrici elicoidali di sposare
forme a doppia curvatura, come quelle delle barche, con una certa naturalezza.
Altri elementi della struttura rimarrebbero quelli tradizionali:
- la chiglia
- i trincarini
- le ordinate
- madieri, correnti, costole etc. (per trasmettere i carichi concentrati)
Sempre per motivi costruttivi, individuiamo due tipi di grigliato:
- con nodi a correnti sovrapposti (grigliato di 1-a specie)
- con nodi a compenetrazione (grigliato di 2-a specie)
Quest’ultimo è quello usato nei piani di calpestio dei ponti civili o il classico carabottino utilizzato
come pagliolato sulle barche.
Il primo tipo (a correnti sovrapposti) si presta più facilmente alle costruzioni amatoriali o a quelle a
prototipo (one off), perché di più facile realizzazione, oppure alla costruzione robotizzata, perché
dispone di guide intrinseche.
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Facciamo notare che, in generale, i grigliati più diffusi sono piani, anche se di forma qualsiasi; essi,
cioè, non sono dotati di doppia curvatura come i pannelli di un fasciame. Anche dal punto di vista
strutturale si tratta di oggetti destinati a sopportare un carico sempre perpendicolare al pannello
(come ad esempio il carabotino), mentre nel caso del fasciame esistono anche carichi nel piano
medio.
2. GEOMETRIA: IL GRIGLIATO DI PRIMA SPECIE
Date le caratteristiche di pratica utilità del grigliato di 1-a specie, cerchiamo di approfondirne le
caratteristiche.
L’unità di fasciame è costituita da una lunga striscia solidale ai correnti del grigliato (sui bordi
lunghi, che sono le direttrici della superficie) e al trincarino/chiglia (sui bordi corti, ossia lungo le
generatrici).
E’ preferibile non affrontare il problema ipotizzando il fasciame come un’unica superficie per
garantirsi in ogni caso la sicurezza e l’affidabilità
Nel modello le strisce elicoidali operano ognuna per sé, indipendentemente dalle altre. Quando
necessario si terrà conto dei carichi o degli sforzi trasmessi fra strisce contigue.
La zona di incollaggio si considera abbia il comportamento di un appoggio per sottolineare il fatto
che i correnti del grigliato sono ridotti al minimo indispensabile e, in generale, sono incapaci di
assorbire importanti aliquote di momento flettente.
La striscia, dal punto di vista strutturale, si presenta come un pannello fortemente allungato
appoggiato sui quattro lati e dotato di curvatura ad elica.
Le direttrici possono avere curvatura e torsione ma sono sempre parallele; le generatrici sono
pressoché rettilinee. La forma a parallelogramma ha proprietà costruttive e strutturali privilegiate
che la fanno preferire ad altre geometrie.
Lo spessore del fasciame si assume talmente piccolo rispetto alle altre dimensioni da annullare o
quasi la capacità di assorbire i momenti flettenti normali al piano tangente. Quando questo accade lo
stato tensionale è membranale.
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3. I CARICHI
La barca è una trave alla De Saint Venant su due appoggi. Ciascuna sezione è soggetta ad un
momento flettente e ad un taglio. Nella peggiore delle ipotesi si ha anche una torsione i cui sforzi si
sommano ai primi perché in regime di sovrapposizione degli effetti.
La totalità dei carichi può essere ricondotta a trazioni/compressioni, che interessano i correnti, e
tensioni tangenziali, che riguardano i pannelli
La struttura tipo, in altri termini, è a guscio pratico o, tutt’al più, ad elementi concentrati.
Nel modello che si è adottato, in realtà, il fasciame è destinato ad assorbire tutti i carichi di
flessione, torsione e taglio in quanto agenti nel piano della lastra.
Ai correnti restano le azioni di stabilizzazione del pannello e l’azione di vincolo ai bordi delle
strisce.
Consideriamo il carico a flessione nel piano verticale XZ dovuto al peso della barca ed al passaggio
sull’onda.
Lo valutiamo come n volte il dislocamento, essendo n un fattore di carico che tiene conto delle
accelerazioni:
Mfmax = n * ∆* l1.
Mfmax
n
∆
l1
Momento flettente massimo
Fattore di carico
Dislocamento
Braccio di leva (distanza massima del baricentro dalle estremità).
Assumiamo, sempre per semplicità, una distribuzione parabolica con massimo nel baricentro e nulla
agli estremi.
Se si adotta una parabola di 2° grado:
Mf(x) = a * x2 + b * x + c
x
a,b,c
stazione lungo l’asse longitudinale della barca.
coefficienti della parabola
il massimo carico cade a mezza barca e non nel baricentro, ma l’approssimazione può essere
accettata perché rientra nei limiti che ci siamo imposti.
Una migliore approssimazione si avrebbe con una parabola cubica e la condizione aggiuntiva di
baricentro di figura coincidente col baricentro dei pesi.
Per entrambi i modelli esistono limiti ben precisi alla posizione del baricentro. Se esso è troppo a
poppavia, ad esempio, si hanno tratti di carico negativi affatto realistici.
Oltre alla flessione, lo scafo è soggetto alla pressione idrostatica su una porzione ridotta della
striscia. In questi casi la distribuzione è triangolare rispetto a Z.
Nelle barche moderne si potrebbe tranquillamente distribuire il carico in maniera uniforme su tutto
il pannello (ipotesi cautelativa se se ne prende il valore massimo). Il basso pescaggio, infatti,
produce un valore di pressione poco variabile e quindi si giustificherebbe ampiamente la
semplificazione. Nonostante questo, però, nel seguito si è mantenuta l’ipotesi di carico triangolare.
Lo scafo può anche essere soggetto a torsione.
La parte anteriore della barca è solitamente rastremata. Le componenti ortogonali al piano di
simmetria limitano gli effetti della sollecitazione.
La rastremazione, in altri termini, introduce un vincolo di incastro a torsione nella porzione di scafo
a proravia del traverso.
La parte posteriore ha normalmente uno specchio di poppa più o meno pronunciato. Anch’esso
esercita un’azione di vincolo in quanto, se opportunamente dimensionato, può assorbire le
componenti assiali in cui si trasformano le τ da torsione delle sezioni sottili aperte.
37
La barca, in pratica, dal punto di vista strutturale, è un tubo a sezione sottile con le estremità
incastrate.
Il carico viene trasmesso dall’alberatura e dalla pinna di deriva oppure dal passaggio angolato
sull’onda. E’ come se si applicasse una coppia di forze alle estremità di una “enorme” spina
verticale a centro barca.
In un monoscafo, date le grandi aree settoriali, le coppie di torsione non producono mai
sollecitazioni elevate.
Gli eventuali altri carichi o sono di modulo trascurabile o amplificano/riducono quelli già visti. In
entrambi i casi la validità del modello resta invariata, quello che cambia è solo un parametro di
scala.
4. EFFETTI DELL’ANDAMENTO ELICOIDALE DELLE DIRETTRICI
La presenza di una striscia che si inviluppa su più sezioni crea una situazione particolare che io
interpreto in questo modo.
Il carico a flessione viene assorbito in periferia, dal fasciame, secondo la classica formula delle
travi. Non si considerano presenti altri elementi longitudinali utili.
L’unità strutturale, tuttavia, è la striscia elicoidale che, per sua conformazione, attraversa più di una
sezione, da quando nasce (chiglia) fino a quando muore (trincarino).
La sollecitazione cui è soggetta, dunque, è una diretta conseguenza del valore della σ di flessione lì
dove la direttrice incontra un piano di sezione.
Come è noto, tale sollecitazione dipende dalle caratteristiche:
- momento flettente
- momento d’inerzia della sezione di scafo
- distanza dall’asse neutro.
Calcolando le σ presenti in ciascuno dei punti suddetti si può costruire un diagramma delle
sollecitazioni nel piano del pannello realizzando grafici del tipo di figura.
Il pannello è stato spianato ed i carichi sono stati riportati sul bordo secondo l’iniziale ascissa
curvilinea della direttrice
La striscia ha due assi naturali costituiti dal lato lungo della direttrice e dalla direzione ad esso
ortogonale.
Data la prevalenza del primo sul secondo ed i valori usuali dell’angolo, la forma romboidale assume
una importanza relativa ridotta. L’azione esercitata sui vincoli dalla parte mancante è proporzionale
alla larghezza h per la cotangente dell’angolo α.
Per alti valori di α e piccoli valori di h l’aliquota è trascurabile.
In un generico punto della direttrice è possibile scomporre la sollecitazione locale nelle due
direzioni parallela ( σ2 ) e normale ( σ1 ).
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La somma di tutte le σ2 rappresenterà il carico trasmesso al corrente, quella delle σ1 è l’aliquota
effettivamente assorbita dal pannello sotto forma di sollecitazione tangenziale.
Probabilmente non si può ipotizzare una distribuzione uniforme degli sforzi all’interno del pannello
a causa del lato inclinato. Se però la forma è regolare, come nel nostro caso, può esserci equilibrio
sotto l’effetto dei carichi e quindi potrebbe esistere un flusso tangenziale costante. Evitiamo di
assumere questa ipotesi in quanto di sicuro c’è un segno diverso fra le tensioni della parte alta e di
quella bassa.
Il flusso delle tensioni diretto secondo il lato lungo moltiplicato per la lunghezza di questo
rappresenta la forza di taglio agente nel pannello e trasmessa al corrente.
Per l’equilibrio intorno ad A occorrerà che:
q1 * l * h = q3 * h * sen α * l * sen α.
qi sono i flussi di taglio.
Essendo inoltre q1 = q2 e q3 = q4 per via della geometria a parallelogramma si ha in definitiva:
q1 = q2 = q3 * sen2 α.
Questa formulazione può essere più comoda per il calcolo.
5. L’EFFETTO DELLA CURVATURA
Le dimensioni principali del pannello individuano due curvature utili: una nel piano che contiene le
direttrici, l’altra nel piano ortogonale a questo. Solo la prima ha importanza perché il lato corto
sarebbe talmente breve da potersi considerare rettilineo (cioè privo di curvatura).
In ogni caso la curvatura, col suo effetto di irrigidimento, ha importanza solo nel calcolo della
instabilità, il che significa rientrare nella trattazione del NACA Tech.Note1348 (1947) sulla
previsione della σ critica delle lastre.
L’analogo carico critico sui correnti potrebbe invece essere valutato secondo Eulero o Johnson in
dipendenza della sua lunghezza.
Il carico idrostatico/idrodinamico che agisce sui pannelli può essere ripartito ai nodi del grigliato ed
eliminare del tutto le superfici (ciò è possibile data la scarsa resistenza a flessione del fasciame).
L’ipotesi di grigliato completamente piano allora è di tipo cautelativo nel senso che le dimensioni
necessarie ad un grigliato piano saranno senz’altro maggiori di quelle di un grigliato curvo.
In seconda approssimazione, si possono comunque sempre utilizzare i metodi di calcolo delle lastre
curve.
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6. RESISTENZA AGLI URTI
La bassa inerzia dei pannelli e l’estrema elasticità nei confronti dei carichi concentrati sono già
sufficienti garanzie di un buon comportamento.
In aggiunta si dovrà soltanto verificare la risposta alla lacerazione provocata da bordi taglienti quali
quelli delle rocce o degli ostacoli acuminati, ma questo è un problema del materiale del fasciame.
7. LE VIBRAZIONI
La caratteristica strutturale di bassa inerzia può essere causa di una risposta alle vibrazioni non
accettabile. Lo scafo, cioè, potrebbe trasformarsi in una grande cassa di risonanza con le
conseguenze facili da immaginare per il comfort dell’equipaggio.
L’isolamento termico può, però, modificare la risposta meccanica dei pannelli di fasciame in un
senso favorevole qualora realizzato con lastre di un certo spessore applicate ai correnti interni. Si
noti che il grigliato di 1-a specie possiede un suo naturale sistema di drenaggio verso la sentina che
facilita sia lo smaltimento della condensa che l’isolamento termico.
8. LA DEFORMATA
In fase di progetto la deformata assume minore importanza di quella delle sollecitazioni interne.
Il fasciame, ovviamente, si comporterà come una membrana compressa/tesa.
La grande rigidezza nel piano del pannello comporta piccole deformazioni o grandi instabilità e
quindi si avrebbe una deformata trascurabile fino al carico limite.
I carichi normali al piano della lastra, per ipotesi, vengono trasferiti direttamente al grigliato che,
per questo, può essere assimilato ad una trave ad n appoggi, intendendo per tali i nodi di
collegamento fra i correnti “attivi” e quelli sottostanti.
Il modello è ben noto perché sfruttato nei solai e nelle coperture degli edifici civili.
Per contro esso impone caratteristiche meccaniche ben precise alle giunzioni dei nodi.
9. GEOMETRIA: IL GRIGLIATO DI SECONDA SPECIE
I grigliati di 2-a specie si comportano in maniera differente da quelli appena visti.
L’unità di pannello è il rombo puro con lati tendenzialmente uguali, sebbene sghembi.
Per essi la scomposizione vettoriale del carico può ancora essere presa in considerazione.
Il pannello si trasformerebbe in una “mattonellina” perfettamente analoga alle anime delle strutture
a guscio pratico. L’unica differenza consisterebbe nei correnti, angolati rispetto al carico.
La ridotta proporzione fra i lati del pannello avrebbe un maggior effetto di vincolo sui bordi. Si
assisterebbe alla migrazione da pannello appoggiato a pannello incastrato, con tutte le conseguenze
del caso, compreso l’insorgenza di un momento d’incastro ed il possibile allontanamento
dall’ipotesi di bassa resistenza a flessione della lastra.
L’unità elementare in cui viene naturalmente suddivisa la copertura si presta ad un calcolo
automatico ad Elementi Finiti.
10. METODI DISCRETI
E’ sempre possibile trasformare un problema analitico in uno discreto.
In pratica, però, i metodi di questo tipo sono software-dipendenti: se il codice dispone di un
elemento chiamato “striscia” oppure “mattonellina romboidale” il calcolo è possibile, negli altri casi
bisogna arrangiarsi con quanto di più vicino sia a portata di mano, sperando che esista. Il problema
allora si trasfigura totalmente.
L’approccio discreto richiede un’analisi dettagliata del modello del singolo pannello per poter
impostare le effettive condizioni al contorno attraverso cui stabilire le relazioni d’insieme.
In attesa di avere l’elemento giusto sarebbe necessario valutare in maniera mirata i pacchetti
software già presenti sul mercato per verificarne l’attendibilità.
40
11. OTTIMIZZAZIONE
Per ottimizzazione si intende la migliore combinazione di:
- spessore di fasciame
- sezione dei correnti
- angolo di elica
Quest’ultimo è stato oggetto di studio in tempi recenti grazie al diffondersi dei materiali compositi e
viene liquidato con l’etichetta: “netting analysis”.
Nel caso specifico si tratterebbe di conoscere la risposta meccanica del grigliato al variare
dell’angolo di sollecitazione ed applicare le formule che ne deriverebbero.
Una seconda ottimizzazione potrebbe riguardare il pannello di fasciame qualora fosse composto da
materiali anisotropi (legno compensato, vetroresina, etc.).
Una volta accertato il comportamento dell’intera struttura, l’ottimizzazione non dovrebbe presentare
sorprese.
12. UN ESEMPIO NUMERICO
Dati della barca:
L
=7
[m]
Lunghezza
∆
= 1300 [kg]
Dislocamento
n
=3
Fattore di carico
Posizione relativa del baricentro (prua/poppa)
lpr / lpo = 3/2
δ
=6
[mm]
Spessore dei pannelli
h
= 350 [mm]
Larghezza striscia di fasciame
= 2589 [mm]
Lunghezza striscia di fasciame
lf
α
= 61
[°]
Angolo di elica rispetto all’asse di chiglia
La posizione effettiva del baricentro ed il momento flettente massimo saranno:
lprua = 4.2
[m]
Posizione del baricentro da prua
lpoppa = 2.8
[m]
Posizione del baricentro da poppa
Mfmax = 16380 [kg*m] Momento flettente massimo
Il momento flettente è nullo agli estremi e distribuito parabolicamente su tutta a lunghezza.
Valutiamo prima i carichi nel piano della striscia di fasciame dovuti alla flessione.
Nel clima generale di semplificazione, la sezione della barca è una semiellisse con spessore di
parete δ.
Il suo momento d’inerzia è ricavabile dalla formula:
IYY = π * δ [a3 + 3 a (b – δ ) (a - δ) + δ 2] / 8
IYY
π
δ
a
b
Momento d’inerzia della sezione rispetto all’asse orizzontale
3.1415…
Spessore di parete
Semiasse verticale
Semiasse orizzontale
Bastano 3 sezioni. I valori intermedi si ottengono per interpolazione parabolica.
L’asse neutro orizzontale si è supposto giacere a metà del semiasse verticale (in realtà non è
esattamente così) e si suppone anch’esso interpolabile parabolicamente.
Il modulo a flessione locale Wf è il rapporto fra il momento d’inerzia della sezione e la distanza
dall’asse neutro (presa col segno delle Z per distinguere la trazione dalla compressione. Non ci si
sorprenda quindi se in tabella appaiono moduli a flessione negativi...!).
La distanza dall’asse neutro, ovviamente, è quella descritta in precedenza.
Lo sforzo σ si ricava come rapporto fra momento flettente locale e modulo a flessione.
41
Resta solo da “rettificare” la striscia, cioè ricostruire le ascisse curvilinee. Per questo ho utilizzato le
funzionalità di un CAD tridimensionale.
A noi interessa la colonna delle σ in funzione dell’ascissa curvilinea della direttrice elicoidale che,
graficamente, si presenta come in figura:
E’ interessante dare uno sguardo ai grafici dei due elementi che concorrono alla sollecitazione
normale:
E’ proprio grazie a questi che l’andamento risultante assume l’aspetto particolare visto in
precedenza. L’allungamento del pannello risulta alto: λ = 2589 / 350 = 7.4
42
Non ci resta che scomporre il carico secondo l’angolo α. Per questo ci serviamo della tabella
seguente:
I totali servono per sapere l’aliquota di carico da smaltire attraverso il pannello e quella da
assegnare al corrente.
A causa della Z i segni sono invertiti: negativo significa trazione.
Nessun dubbio circa l’andamento delle forze locali:
Per il calcolo della pressione idrostatica, leggo da uno dei tanti grafici disponibili in bibliografia il
valore statistico:
qmax = 0.35 [kg/cm2]
(pressione sul pannello del fondo)
che, per un pannello di superficie : S = 258,9 * 35 = 9061.5 [cm2]
caricato per 2/3 (consideriamo solo la parte immersa) fornisce:
F= 9061.5 * (2 / 3) * 0.35 = 2114.35 [kg]
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Il corrente del pannello è supportato da m appoggi:
lu
m
= 2589 * 2 / 3 = 1726 Lunghezza lavorante
= 1726 / 350 = 4
Trave su 6 appoggi, carico triangolare
Per il dimensionamento dei correnti si può usare il metodo classico delle travi continue.
Il materiale è legno con una σam = 4 [kg/mm2]:
q = 2114.35 * 2 / 1750 = 2.4164
[kg*mm]
Map = 4391
Map = 4391 / 2 = 2196 [kg*mm]
Wfn = 2196 / 4 = 549 [mm3]
b = (6 * 549)1/3 = 15 [mm]
Carico lineare
Momento flettente massimo (*)
Momento massimo singolo corrente
Modulo necessario
Sezione quadrata
(*) Usato il metodo dei 3 momenti. Risultati: M1=4391, M2= 2172, M3=1723, M4=803
Nel nostro caso il corrente ha un lato 15 / 6 = 2.5 volte lo spessore di fasciame.
Da notare che il calcolo tradizionale su una barca in Alluminio di quelle dimensioni fornisce un
fasciame di 5 [mm] su pannelli di 350x350 [mm] e ossature di 5x40 [mm].
Se in vetroresina, pannelli 385x385, il fasciame risulta di 7.6 sul fondo e 5.5 sulla murata.
Il vantaggio complessivo della struttura geodetica, dunque, deriva dalle minori dimensioni di
fasciame ed ossatura, per quanto mortificato dal maggior numero di correnti.
13. COMMENTI
Come visto si prospetta il caso di una struttura ad elementi concentrati, per un verso, e a guscio
pratico per l’altro.
Valutandola come struttura ad elementi concentrati, diagonali rispetto alla direzione di
sollecitazione, l’assorbimento del carico avviene per trasformazione della forza esterna in una
tensione/compressione ( σ1 ) che “tira” sui bordi lunghi e in uno sforzo normale ( σ2 ) trasmesso
ai correnti attivi del grigliato.
I correnti interni non sono “attivi”, ma non sono neanche a riposo, tutt’altro!
Essi assumono come minimo la stessa funzione dei montanti, impediscono, cioè, l’avvicinamento o
l’allontanamento delle solette. In realtà fanno di più, come si evince parlando di carico idrostatico.
La presenza dell’angolo α viene gestita attraverso una semplice scomposizione vettoriale,
altamente benefica perché le componenti sono sempre minori della risultante.
La struttura geodetica potrebbe tranquillamente assorbire la flessione senza necessità di
longitudinali o dormienti e senza l’aiuto dei pannelli di fasciame.
Anche in questo caso si sta godendo delle proprietà di scomposizione delle forze di sollecitazione.
Una simile caratteristica è utile in fase di costruzione della barca perché la rende meno sensibile ai
carichi generati dalla messa in opera.
44
Se vediamo le strutture geodetiche come dei gusci pratici la trattazione si fa più globale in quanto
occorrere considerare l’intero scafo come una lastra nervata e sarebbe possibile solo con un
grigliato di 2-a specie.
BIBLIOGRAFIA
[01] D.Gerr The Elements of Boat Strength Adlard Coles Nautical 2000
[02] L.Larsson, R.E.Eliasson Principles of Yacht Design Adlard Coles Nautical 1997
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[04] I.Nicolson Boat Data Book Adlard Coles Nautical 1994
[05] B.Veronese Yacht Progetto e Costruzione Editrice Incontri Nautici 1991
[06] P.Du Cane Imbarcazioni a motore da alta velocità Mursia 1978
[07] U.F.Costaguta Fondamenti di idronautica Hoepli 1981
[08] A.F.Accardo Costruzioni aeronautiche Napoli A.A.1976-1977
[09] A.Lausetti L’Aeroplano Levrotto & Bella 1983
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[11] O.Bellzzi Scienza delle Costruzioni Zanichelli 1990
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[16] V.Féodossiev Résistance des Materiaux Edition de Moscou 1976
[17] O.C.Zienkiewicz, R.L.Taylor The finite Element Method McGraw-Hill 1989
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[27] F.Scheid Analisi Numerica Col.Schaum ETAS Libri 1975
[28] F.Cesari Introduzione al Metodo degli Elementi Finiti Pitagora Editrice 1982
46
INNOVAZIONI SPERIMENTALI NELLO STUDIO DI CARENE VELOCI
Igor ZOTTI, Ferruccio BRESCIANI
Dipartimento di Ingegneria Navale, del Mare e per l’Ambiente (DINMA)
Università degli Studi di Trieste, via A. Valerio, 10, 34127 Trieste
[email protected] ; [email protected]
SOMMARIO
Lo studio di carene veloci richiede la disponibilità di strumentazioni adeguate per la misura delle
grandezze fisiche quando si provano i modelli ad alte velocità. Questo risultato è stato ottenuto, al
Dipartimento DINMA dell’Università di Trieste, con la costruzione di un nuovo carrello veloce,
con il quale si studiano modelli di carene semiplananti e plananti. Particolari ricerche si sono
concentrate su un modello di catamarano a cui sono state applicate delle appendici (bulbi centrali),
che consentono sia di ridurre i moti verticali che, in minor misura, la resistenza all’avanzamento.
Nel lavoro saranno riportati i risultati più significativi ottenuti con queste nuove appendici.
ABSTRACT : Hull improvements from high speed craft testing
High speed craft testing requires the availability of specific instrumentation to measure the
resistance and the vertical motions at high speed. A new fast carriage at the University of Trieste
allows these results. By using this instrumentation, new appendages (central bulbs) were tested on a
high speed catamaran model and significant pitch and heave reductions were obtained, whereas the
resistance showed smaller improvements. The most significant results obtained from these tests will
be reported and discussed.
1. INTRODUZIONE
Il crescente grado di saturazione delle principali arterie stradali, che si manifesta specialmente nei
periodi estivi, e gli alti costi del trasporto aereo possono rendere concorrenziale il trasporto
marittimo di passeggeri sulle piccole e medie distanze. Se si riuscirà a trovare una valida offerta
economica, una velocità di trasferimento accettabile ed un’operatività di servizi regolari, il trasporto
marittimo lungo le rotte dell’Adriatico e del Tirreno potrà divenire concorrenziale con la strada,
specie per l’utente che si trasferisce con l’automobile e la roulotte. Nei collegamenti con le isole il
trasporto marittimo è invece una scelta d’obbligo. La tipologia del natante in grado di espletare i
suddetti servizi tende ad orientarsi in maggior misura sui multiscafi (catamarani e trimarani), per
l’ampia superficie disponibile per i passeggeri e gli automezzi, sebbene i monoscafi veloci (fast
ferries) rappresentino in Mediterraneo ancora un mezzo altamente concorrenziale e competitivo.
Presso il Dipartimento DINMA dell’Università di Trieste lo studio idrodinamico delle suddette
carene è iniziato una decina di anni fa, sia a livello locale che in collaborazione con le altre due sedi
47
universitarie di Genova e Napoli. Sono state provate carene di monoscafi veloci, catamarani e
trimarani, eseguendo esperienze di resistenza al moto, rilievi di moti longitudinali (beccheggio e
sussulto) e trasversali (rollio). I risultati ottenuti sono stati spesso verificati con quelli ottenuti con
modelli realizzati in scala minore e sono serviti anche a validare programmi per il calcolo della
resistenza e dei moti. A Trieste siamo stati in grado di ottenere questi risultati solo potenziando le
attrezzature esistenti, con la realizzazione di un carro dinamometrico veloce, con cui abbiamo
eseguito le esperienze di resistenza e la misura dei moti.
2. STRUMENTAZIONE UTILIZZATA E PROVE ESEGUIBILI
Le attrezzature dei laboratori del DINMA consistono in una vasca sperimentale di limitate
dimensioni (50 m * 3.10 m * 1.70 m), provvista di due carri dinamometrico ed un ondogeno a tuffo.
I due carri possono funzionare indipendentemente l’uno dall’altro, ma non contemporaneamente e
si utilizzano per lo più in esperienze complementari; uno stesso modello può esser provato
alternativamente con entrambi i due carri.
Il carro tradizionale è il più lento (Vmax = 2.4 m/s), ma consente la presenza di persone sulla
piattaforma per il rilievo di grandezze fisiche o di immagini; l’operatore può intervenire pure
durante le esperienze per modificare o attivare specifiche procedure. Con questo carro si eseguono
prove di rimorchio, di stabilità di rotta, di rilievo d’onda e di tenuta al mare (prove di rollio) con
carene lente, relativamente veloci o di tipo particolare (natanti a vela, corpi sommersi, etc..).
Il nuovo carro veloce è invece in grado di arrivare ad una velocità operativa di 7.5 m/s e massima di
8.29 m/s. E’ realizzato con materiali in lega leggera ed é autonomo per l’alimentazione della
strumentazione utilizzata, ma non può imbarcare persone, per cui è comandato a distanza con
adeguati telecomandi. Le misure eseguite con la strumentazione installata sono registrate in una
memoria RAM e scaricate con un sistema a raggi infrarossi su computers portatili. Con questo carro
si provano carene veloci in esperienze di resistenza al moto e tenuta al mare su onde regolari
(seakeeping tests). Con esso abbiamo eseguito pure esperienze di caduta in mare con modelli di
elicotteri (ditching tests).
L’attrezzatura utilizzata per la misura della resistenza e dei moti consiste in un insieme composto da
celle di carico e trasduttori angolari alloggiati su un sistema di aste, di lunghezza fissa, vincolate al
carro e collegate ad un punto di traino del modello; il peso complessivo gravante sul modello è di
circa 300 grammi. Due aste verticali, vincolate al carro, mantengono il modello nella direzione
prefissata, consentendogli i moti verticali sia nelle esperienze di rimorchio (assetti), che in quelle
sulle onde (moti di sussulto e beccheggio). Il rilievo della resistenza al moto consente la misura
della resistenza aggiunta nelle prove con le onde.
Le misure sono acquisite con una frequenza variabile da 50 a 200 Hz, che viene scelta in funzione
della velocità prevista per il carro; quest’ultimo parametro viene rilevato attraverso una lettura
ottica eseguita su un nastro a tasselli bianco/neri, con larghezza di 1 cm.montato lungo la parete
della vasca.
3. LE CARENE CATAMARANO
I catamarani rappresentano la tipologia più diffusa di navi veloci (HSC, High Speed Vehicles), le
cui richieste di mercato oscillano tra il 60% ed il 70% degli ordini mondiali degli ultimi 5 anni.
Sono navi affidabili, relativamente semplici da costruire, presentano un’elevata stabilità statica,
superfici molto ampie nei ponti ed in stiva per accogliere passeggeri ed autoveicoli. La loro elevata
stabilità li rende però sensibili ai moti di beccheggio e sussulto e per tali ragioni non hanno avuto gli
sviluppi che erano stati pronosticati. La realizzazione di unità di maggiori dimensioni, per l’impiego
sulle lunghe distanze, in mari aperti o negli oceani, impone l’adozione di sostanziali modifiche
architettoniche alle carene, che si traducono nella costruzione di navi con i due galleggianti molto
lunghi ed affinati, sistemati in posizioni trasversalmente distanziate. Questi accorgimenti producono
minori effetti di interferenza tra i sistemi ondosi generati dai due semiscafi ed una miglior capacità
di tenere il mare, consentendo ai semiscafi di infilarsi nell’onda, senza seguirne la forma. Le carene
così definite sono i ben noti “Wave Piercing” (o INCAT) (figura 1), di costruzione australiana.
48
Figura 1 : Catamarani tradizionali e Catamarani Wave Piercing
Una soluzione alternativa per ridurre i moti consiste nell’applicazione di alettoni e profili sotto la
carena o nell’adozione di bulbi prodieri in carena, anche molto estesi. In questo secondo caso si
ottiene una carena di compromesso tra quella di un catamarano e quella di uno SWATH. (Small
Waterplane Area between The Hulls), con indubbio miglioramento delle caratteristiche di tenuta al
mare.
L’applicazione di alettoni e profili alari sotto o sui semiscafi ha prodotto nuove tipologie di
catamarani, poiché gli alettoni, generando elevate portanze alle alte velocità, consentono di
raggiungere condizioni di navigazione in planata, sempre possibili in mare calmo, ma molto
disturbate in mare ondoso. La soluzione proposta e provata su modelli all’Università di Trieste [1],
consiste nell’applicazione di bulbi avviati e sommersi tra le due carene (figura 2), da utilizzare in
condizioni di navigazione dislocante o semiplanante (con Numero di Froude FN da 0.4 a 0.6).
Figura 2 : La carena provata, con il bulbo centrale
La prima applicazione al vero di questa soluzione fu fatta su un catamarano da pesca, utilizzato per
la raccolta delle vongole in Alto Adriatico; la soluzione fu scelta progettualmente anche per
compensare la disuniforme distribuzione dei pesi e garantire l’assetto voluto. Il bulbo prodiero,
sistemato a prua tra i due scafi, aveva una volumetria di circa 3 m3, mentre il catamarano aveva una
lunghezza di circa 15 m ed una larghezza di 6 m; il bulbo non sporgeva oltre la lunghezza nave e
presentava una sovraimmersione sotto la linea di chiglia di circa 500 mm. Prima di procedere alla
realizzazione al vero furono eseguite le prove in vasca con il modello, ottenendo risultati del tutto
insperati. Si era partiti infatti con l’idea che il bulbo avrebbe peggiorato le caratteristiche
idrodinamiche della carena, riducendo la velocità del mezzo. Non solo ciò non avvenne, ma la nave,
che doveva viaggiare a circa 12 nodi, guadagnò quasi mezzo nodo e furono rilevate poi consistenti
riduzioni dei moti in mare ondoso. Successivamente il bulbo centrale fu tolto, poiché ostacolava le
operazioni di pesca e di recupero dell’attrezzatura per la raccolta delle vongole.
49
Visti i risultati ottenuti, si decise di estendere la ricerca su queste appendici, applicate su carene di
catamarano. La scelta cadde su un modello di carena esistente, di un catamarano navigante nelle
acque del Golfo di Napoli e realizzato presso il DINMA di Trieste, in scala 1 : 20 (figura 2). Questo
modello era stato utilizzato in precedenza per eseguire studi sugli effetti scala, confrontando i
risultati di resistenza del modello con quelli di altri due modelli, provati rispettivamente presso la
vasca navale dell’Università di Napoli e presso l’INSEAN di Roma. Ulteriori confronti furono fatti
con i valori della resistenza ottenuti per via numerica presso l’Università di Genova. [2]. Questi
lavori di collaborazione perdurano già da diversi anni tra le diverse sedi navali ed hanno portato a
risultati interessanti nelle ricerche comuni.
La carena navigante presenta le seguenti caratteristiche tecniche principali :
LWL = 35.867 m;
T = 1.580 m; ∆ = 137.0 t
BWL = 11.334 m;
WS = 272.2 m2 ,
e le sue linee trasversali sono riportate in figura 2. Nelle esperienze preliminari fu utilizzato un
rapporto S / LWL = 0.225 (S : distanza tra gli interassi delle due carene).
Le appendici, o bulbi centrali, sono stati ottenuti dai solidi di rivoluzione della Serie 58 del David
Taylor Model Basin (DTMB) e sono stati applicati alla carena con una lamina centrale, lunga la
metà del bulbo stesso. Le appendici utilizzate nelle prime prove presentano le seguenti
caratteristiche tecniche (figura 3) :
Figura 3 : Appendici utilizzate nelle esperienze
Lunghezza dell’appendice LB: 1/5 della lunghezza nave;
Rapporto Lunghezza/ Diametro (LB/DB) rispettivamente 5.0, 6.0 e 7.0; i codici dei bulbi erano
4155, 4156 e 4157 e le condizioni di prova furono chiamate rispettivamente BC3, BC1 e BC2.
Il coefficiente prismatico CP dei bulbi è pari a 0.65.
La lamina di attacco dei bulbi al modello ha uno spessore di 1.5 mm, una lunghezza pari a LB/2,
metà di quella del bulbo, e si collega al bulbo partendo da 0.2 LB a 0.7 LB. Nelle esperienze
preliminari i bulbi erano sostenuti da braccetti verticali, realizzati con profili alari; questa soluzione
fu abbandonata poiché dava origine a spruzzi imponenti. Furono provati pure alcuni bulbi isolati,
con attacchi al carro sia con i braccetti, che con la lamina.
Nell’indagine eseguita tutte le prove furono eseguite mantenendo il modello alla stessa immersione,
e quindi aumentando il dislocamento in funzione della volumetria aggiunta con l’appendice. La
sistemazione prodiera dei bulbi prevedeva che il l’estremità prodiera si trovasse tangente
all’ordinata 20 della carena, cioè sulla perpendicolare avanti; l’immersione era tale per cui l’asse di
simmetria longitudinale del bulbo era posto a metà immersione nave (figura 4). Le ragioni di questa
scelta furono anzitutto funzionali, motivate dalla ragione che il bulbo non dovesse sporgere sotto la
linea di chiglia. In realtà, come si constatò successivamente, non sono queste le migliori condizioni
operative dei bulbi.
Il modello della carena fu provato in esperienze di rimorchio, in un campo di velocità con FN da
0.12 a 1.1, mentre le esperienze di tenuta al mare (seakeeping) su onde regolari furono fatte per
valori di FN da 0.4 a 0.8, a parità del rapporto HW/LW (altezza d’onda / Lunghezza d’onda) = 1/80,
rilevando i moti di beccheggio, di sussulto e la resistenza aggiunta. L’analisi dei dati di resistenza fu
50
fatto utilizzando la linea d’attrito ITTC ’57, rinunciando alla linea ITTC ’78 per complessità emerse
nel rilievo del fattore di forma K. I dati di resistenza ed i moti verticali ottenuti con i modelli
provvisti di bulbi sono stati confrontati con quelli ottenuti con la carena nuda.
4. LE ESPERIENZE ESEGUITE
La ricerca è iniziata confrontando i risultati ottenuti con le 3 appendici, sistemate come illustrato in
figura 4. Successivamente si decise di indagare sull’effetto causato da un allungamento del bulbo e
sugli effetti della sovraimmersione. Nel primo caso si allungò il bulbo 4156 (con rapporto LB/DB =
6.0) del 33% nella sezione di massima area e si riprovò il modello sistemando sempre il naso del
bulbo tangente alla perpendicolare avanti (PpAV) del modello. Chiameremo questo profilo 4156L e
la condizione di prova BC5. Quindi si sovraimmerse il bulbo 4155 di un diametro sotto la linea di
chiglia, mantenendo il suo asse sempre parallelo al galleggiamento; sarà la condizione di prova
BC4.
Figura 4 : Sistemazione delle appendici sul modello
Dai risultati ottenuti, riportati in [1], si constatò la notevole efficacia delle tre appendici originarie ai
fini della riduzione del moto di beccheggio, ma una più limitata risposta ai fini della riduzione del
sussulto. Si modificarono allora le linee del bulbo 4156, trasformando il profilo circolare delle
sezioni in un profilo a V o a goccia rovesciata; pure il profilo longitudinale ne risultò lievemente
alterato. Chiameremo questo bulbo col nome 4156V e la condizione di prova BC6. Questa
soluzione fu successivamente riprovata, sovraimmergendo il bulbo sotto la linea del fondo di una
quantità pari al diametro DB del bulbo 4156 (condizione di prova BC7).
Le esperienze successive riguardarono la possibilità di utilizzare n. 2 bulbi sulla stessa carena,
analogamente a quanto proposto da K. Suzuki ed altri in [3]. Si sistemò allora il profilo 4156V a
prua e quello 4156 a poppa, mantenendo l’estremità poppiera del profilo tangente alla
perpendicolare addietro (PpAD) della nave (condizione BC8). Entrambi i bulbi erano centrati a T/2.
Le esperienze proseguirono esaminando l’effetto degli interassi S della carena origine, sul
comportamento dei bulbi. Il valore di partenza, pari a S/LWL = 0.225, fu modificato e si provarono
altre due condizioni, rispettivamente a S/LWL= 0.15 ed a S/LWL = 0.30, con tutti e tre i bulbi
originari 4156, 4157 e 4155 sistemati a T/2 e tangenti alla PpAV (condizioni BC9 – BC14).
L’insieme di queste esperienze ha fornito utili indicazioni ai fini dell’utilizzo di queste appendici.
5. I RISULTATI PIU’ SIGNIFICATIVI DELLE ESPERIENZE.
L’esame dei risultati ottenuti si dimostra particolarmente arduo, poiché le variabili prese in esame
sono numerose. Non dimentichiamo anzitutto che le prove di resistenza al moto sono state condotte
in un intervallo di valori di Numeri di Froude (FN) variabile da 0.12 a 1.1, cioè molto ampio. Le
esperienze di tenuta al mare hanno interessato un campo di valori di FN da 0.4 a 0.8, intervallo
piuttosto esteso. Le risposte ottenute dai modelli sono state spesso condizionate, oltre che dalle
condizioni geometriche della carena in esame, pure dal valore della velocità di prova. Alcune
soluzioni hanno evidenziato riduzioni (della resistenza e/o dei moti verticali) in misura
percentualmente maggiore in alcuni campi di velocità, mentre si sono rivelate peggiori in altri
campi di velocità. E’ difficile quindi formulare giudizi di natura assoluta sulla bontà delle scelte
51
fatte. E’ opportuno invece suddividere le indagini secondo le variazioni geometriche introdotte nella
carena con le applicazioni dei bulbi.
5.1 Variazioni volumetriche dei bulbi
Passando dal bulbo 4157 a quello 4156 e quindi a quello 4155 si aumenta la volumetria del bulbo,
poiché il diametro dello stesso passa da 1/7, a 1/6 e quindi a 1/5 della sua lunghezza (che rimane
costante), a parità del coefficiente prismatico CP = 0.65 = ∇B/AXB LB. Se CP ed LB si mantengono
costanti e AXB = π DB2 / 4, ne viene che il volume del bulbo ∇B aumenta dal bulbo 4157 al 4155.
Operando a parità di rapporto S/L = 0.225, si è rilevato che :
a) Si ha una riduzione generale della resistenza al moto in quasi tutto il campo di velocità
esaminato, anche se non molto rilevante. Questo fatto lo si esprime attraverso il fattore di
interferenza (I.F.), che rappresenta il rapporto tra la resistenza del catamarano provvisto di
appendici ed il doppio della resistenza dei due semiscafi provati isolatamente.
I.F. = Rcatamarano / ( 2 * Rsemiscafi)
(1)
Valori di I.F. superiori a 1 dimostrano l’esistenza di effetti di interferenza negativa, per cui la
resistenza al moto del catamarano sarà superiore al doppio della resistenza del singolo semiscafo.
Valori di I.F. superiori a 1 sono molto comuni nelle carene catamarano per valori di FN superiori a
0.22 – 0.26, fino a valori di FN di 0.9 – 1.1, per cui i catamarani vengono utilizzati con profitto solo
alle velocità molto alte, per valori di FN > 0.9, o molto basse. Le esperienze hanno confermato
quest’andamento, ma hanno dimostrato pure (figura 5) che i bulbi centrali tendono a ridurre questo
valore di I.F., riportandolo ad 1 a velocità inferiori. Questo risultato può esser spiegato esaminando
il flusso che si manifesta tra i due semiscafi; è noto infatti [4] che le formazioni ondose generate nel
canale centrale sono molto imponenti e tendono a frangere, dissipando notevoli quantità di energia,
che non può esser recuperata. E’ ragionevole ipotizzare che la presenza dei bulbi centrali riduca
questi fenomeni di frangimento, migliorando il flusso nel canale.
Un secondo parametro utilizzato per confrontare le resistenze è stato il coefficiente di resistenza
residua CR. Nel caso in esame i valori del CR della carena con i bulbi è inferiore a quello della
carena nuda in tutto il campo di velocità (figura 6).
b) L’analisi dei moti rileva quasi sempre una generale riduzione del moto di beccheggio,
particolarmente sensibile per FN = 0.7 e FN = 0.8 (figura 7, a FN = 0.7), cioè alle velocità più
elevate. I moti di sussulto non fanno rilevare invece variazioni molto consistenti, pur manifestando
una generale tendenza alla riduzione, da come lo si rileva per FN = 0.7 in figura 8. In queste figure
sono rappresentati in ordinata rispettivamente i valori del beccheggio (Z5 / k a) e del sussulto (Z3/a)
espressi in forma adimensionale, dove a è l’ampiezza dell’onda e k il numero d’onda, mentre Z5 e
Z3 sono rispettivamente i valori del beccheggio e del sussulto rilevati nelle esperienze. Queste
grandezze sono rappresentate in funzione del rapporto LW / LWL tra la lunghezza l’onda (LW) e la
lunghezza al galleggiamento della nave (LWL). I risultati sono rappresentati a parità di FN.
52
Figura 5 : Il fattore di interferenza per i tre bulbi
Figura 6 : Il coefficiente CR per i tre bulbi
Figura 7 : Moto di beccheggio
Figura 8 : Moto di sussulto
5.2 Allungamento del bulbo.
La prova del modello 4156 allungato (BC5)non ha portato a risultati particolarmente esaltanti. La
resistenza al moto, confrontata con la configurazione 4156, ha fatto rilevare leggeri miglioramenti
solo alle basse velocità (FN da 0.2 a 0.5) (figura 9), ma peggioramenti alle velocità più elevate. C’è
stata poi un’ulteriore leggera riduzione dei moti di beccheggio (figura 10), ma un leggero
peggioramento di quelli di sussulto.
5.3 Sovraimmersione del bulbo
Nelle due serie di esperienze in cui l’appendice 4155 e 4156V (vedi 5.4) sono state sovraimmerse
sotto la linea di chiglia, per circa un diametro di appendice, sono stati ottenuti i seguenti risultati.
La sovraimmersione del bulbo 4155 ha prodotto una riduzione generale della resistenza in tutto il
campo delle velocità esaminate (figura 11), una riduzione ulteriore del moto di beccheggio (figura
12), ma un generale aumento del moto di sussulto. I confronti si riferiscono, ovviamente, non alla
carena priva di appendici, ma alla carena con il bulbo sistemato nella posizione iniziale (condizione
BC3 e BC4).
53
Figura 9 : Fattore di interferenza per il bulbo
allungato
Figura 10: Moto di beccheggio per il bulbo allungato
La sovraimmersione del bulbo 4156V ha prodotto una riduzione della resistenza solo alle basse
velocità (FN = 0.2 – 0.4), ma un suo aumento alle velocità maggiori. C’è stata poi una riduzione
generale del beccheggio e del sussulto alle velocità più elevate, ma un leggero aumento, specie del
sussulto, a velocità basse ( FN = 0.4 e 0.5).
Figura 11 : Fattore di interferenza per bulbo immerso
4155
Figura 12 : Moto di beccheggio per
bulbo immerso 4155.
5.4 Modifica delle forme trasversali del bulbo
Le forme trasversali del bulbo 4156 sono state modificate in forme a V (bulbo 4156V) o a goccia
rovesciata, mantenendo invece il volume originale del bulbo, la sua lunghezza e larghezza massima
(figura 13). Le nuove linee del bulbo sono certamente più idonee ad affrontare i fenomeni di
“slamming”, generati dall’uscita del bulbo dall’acqua in mare ondoso e dal successivo impatto con
la superficie del mare. Questa modifica, confrontata con la condizione BC1 (bulbo 4156), ha
prodotto i seguenti risultati. La resistenza al moto è peggiorata leggermente sull’intero campo di
velocità esaminato. Il moto di beccheggio non è sostanzialmente cambiato, mentre sono stati ridotti
notevolmente (anche del 50% alle basse velocità) i moti di sussulto.
54
Figura 13 : Bulbo 4156V (o a goccia) sulla carena in esame.
5.5 Bulbi in serie (o in cascata).
I risultati ottenuti con i due bulbi (4156V e 4156) sistemati a T/2 ed in successione nel canale
centrale del catamarano (figura 14), il primo a prua ed il secondo a poppa, sono stati confrontati
rispetto alla carena nuda e rispetto alla condizione BC1 con il bulbo 4156 tradizionale.
La soluzione provata riduce la resistenza rispetto alla carena nuda, in quasi tutto il campo di
velocità, ma le riduzioni sono meno significative di quelle ottenute con il solo bulbo 4156.
I moti di beccheggio sono quasi sempre più accentuati rispetto alla soluzione 4156, mentre quelli di
sussulto sono più attenuati, e molto simili a quelli rilevati con il bulbo 4156V.
La notevole riduzione di resistenza d’onda, stimata da K. Suzuki [3], utilizzando previsioni con
metodi numerici, sull’ordine di un valore massimo del 40 % – 45%, non è stata rilevata nelle
esperienze.
Figura 14 : Il doppio bulbo (4156V a prua e 4156 a poppa).
5.6 Effetti dell’interasse del catamarano.
L’analisi di questi dati si presenta piuttosto complessa, per le numerose variabili che intervengono.
Esamineremo pertanto i soli aspetti più appariscenti ottenuti dalle prove.
Nella carena priva di appendici rileviamo anzitutto che all’aumentare del rapporto di interasse
S/LWL la componente residua della resistenza, espressa con il coefficiente CR si riduce in tutto il
campo delle velocità esaminato (figura 15). I moti di beccheggio e di sussulto sono invece
fortemente dipendenti sia dalla velocità, che dalla tipologia di onda incontrata. In generale,
all’aumentare della velocità ed a valori elevati del rapporto LW/LWL la carena con S/LWL = 0.15
presenta i moti di beccheggio più contenuti, mentre quello con S/LWL = 0.225 i moti più ampi; ai
rapporti più bassi le cose si invertono (figura 16, per FN = 0.7). Il moto di sussulto presenta invece
le ampiezze maggiori per S/LWL = 0.225, mentre valori più ridotti agli altri due rapporti.
55
Figura 15 : Valori di CR al variare di S/LWL
Figura 16 : Valori del beccheggio al variare di
S/LWL, a FN = 0.7.
La presenza dei bulbi prodieri attenua tutti i moti nave, ma l’entità del miglioramento varia tra il
beccheggio ed il sussulto e dipende dal rapporto S/LWL, dalla velocità nave, dal rapporto LW/LWL e
dalla tipologia del bulbo.
Per quanto riguarda il coefficiente CR, si può affermare che alle velocità molto basse, ove la
formazione ondosa è scarsa e la resistenza all’avanzamento è dovuta prevalentemente alla
componente d’attrito, la resistenza totale cresce lievemente. Sopra FN = 0.3 e poi, più intensamente
per FN > 0.5, l’interferenza ondosa delle appendici permette di abbattere il CR anche del 15 % –
20%. La situazione più favorevole si ha per S/LWL = 0.225 ed S/LWL = 0.30, e non per S/LWL =
0.15, ove l’interferenza continua ad essere elevata. Alle alte velocità, specialmente per FN > 0.7 ed
S/LWL = 0.225 e S/LWL = 0.30, si rilevano riduzioni di CR anche del 25% (figura 17 per l’appendice
4155).
La presenza delle appendici riduce sempre il moto di beccheggio, agendo meno incisivamente a
basse velocità e per S/LWL = 0.15 ed alle alte velocità e S/LWL = 0.225; per S/LWL = 0.30 si rilevano
spesso i migliori comportamenti.
Figura 17 : Valori di Cr per l’appendice 4155
Figura 18: Moti di beccheggio per l’appendice
4155
Con l’appendice 4155 e S/LWL = 0.15 lo smorzamento del beccheggio è più attenuato (figura 18 per
FN = 0.7). Con le appendici 4156 e 4157 e S/LWL = 0.15 e 0.30 si rilevano i minori moti di
beccheggio, specie alle velocità più elevate.
Per quanto riguarda i moti di sussulto si possono rilevare i seguenti fenomeni.
56
A carena nuda il sussulto è mediamente più attenuato per S/LWL = 0.15 e lo è di meno per S/LWL =
0.225 (figura 19 per FN = 0.7). Con l’appendice 4157 il comportamento non si discosta
significativamente dalla carena nuda, ma ad S/LWL = 0.30 le riduzioni dei moti risultano più
accentuate( figura 20)
Figura 19 : Moti di sussulto a carena nuda
Figura 20 : Moti di sussulto con l’appendice
4157 a FN = 0.8.
.
Con l’appendice 4156 ed il rapporto S/LWL = 0.225 il moto risulta meno smorzato, mentre con gli
altri due rapporti d’interasse il sussulto si riduce maggiormente, specie ai valori più elevati di FN e
per S/LWL = 0.30.
Il comportamento dell’appendice 4155 è simile a quello dell’appendice 4156, ma le riduzioni di
sussulto sono più consistenti, specie per S/LWL = 0.30, a quasi tutte le velocità (figura 21, per FN =
0.8).
Figura 21 : Sussulto con l’appendice 4155 a diversi interassi.
Si notano spesso inversioni generali di tendenza nell’attenuazione dei moti passando da un’onda
corta a d una lunga, sebbene le variazioni osservate non siano molto significative. In generale i
valori minimi del beccheggio sono stati misurati con il bulbo 4155, all’aumentare del rapporto
d’interasse. Le riduzioni medie del beccheggio, rispetto ai valori massimi della carena nuda, sono
state rilevate a :
S/LWL = 0.15
del 17%;
S/LWL = 0.225
del 21%;
S/LWL = 0.30
del 26%,
e corrispondono ad un rapporto LW/LWL = 1.2, a quasi tutte le velocità. Ad esempio per S/LWL =
0.225 e FN = 0.4 la riduzione è del 16.6 %, ma sale a 25% per FN = 0.8.
57
Le appendici migliori, ai fini della riduzione del beccheggio, sono state le 4156 e 4155.
Il moto di sussulto si presenta più complesso da commentare. Infatti spesso il guadagno dovuto al
contributo delle appendici si riduce alle velocità più elevate ed è soggetto ad un valore di soglia
LW/LWL entro il quale si registra il massimo beneficio. Al valore di FN = 0.4 e 0.5 ed anche a FN =
0.8 la diminuzione del sussulto a LW = 1.2 LWL è anche dell’80% – 90% e questo strano fenomeno è
indipendente dall’interasse e dall’appendice usata. Aumentando la lunghezza d’onda l’effetto
smorzante si riduce. Nel campo di velocità FN = 0.5 – 0.6 le riduzioni medie del sussulto sono : del
10% per S/LWL = 0.15 ; del 16% per S/LWL = 0.225; del 12% per S/LWL = 0.30.
Per S/LWL = 0.15 e FN > 0.6 l’effetto del bulbo è quasi inavvertibile ai fini del sussulto.
6. CONCLUSIONI
L’indagine eseguita sul comportamento dei catamarani provvisti di bulbi centrali, sistemati tra i
semiscafi, e naviganti in regime dislocante o semidislocante, indica che questa soluzione riduce
certamente i moti verticali e, in maniera meno sensibile, pure la resistenza al moto.
Le appendici sono elementi passivi e quindi non richiedono energia e manutenzione per funzionare
ed il costo per la loro costruzione ed installazione dovrebbe essere alquanto contenuto. Queste
appendici possono essere applicate pure a catamarani naviganti, con un’operazione di “refitting”,
per migliorarne le caratteristiche di tenuta al mare. Le soluzioni consigliate sono quelle di maggior
volumetria, purché gli interassi tra le carene siano sufficientemente ampi, mentre una sistemazione
sotto il galleggiamento è certamente più efficace ai fini della riduzione della resistenza al moto e del
beccheggio. Una soluzione con bulbo retrattile potrebbe rivelarsi interessante, ma certamente più
costosa. Pure la nautica da diporto potrebbe avvantaggiarsi di queste soluzioni.
Nel lavoro di ricerca non è stato ancora esaminato il problema dello spostamento longitudinale del
bulbo, argomento questo che sarà oggetto di future indagini.
BIBLIOGRAFIA
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Revolution”, Proc. of 7th Int. Conference on Fast Sea Transportation (FAST 2003), Ischia, Oct.
2003, vol. 1, Session A1, pp. 9 –18.
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Results of High-Speed Catamaran: Co-operative Investigation on Resistance Model Tests
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Ships and Mobile Units (PRADS 1998), The Hague, Sept. 1998, pp. 447 – 452.
[3] Suzuki, K., Hisashi, K., Hisamitsu, T., “Large Bow and Stern Bulbs installed on Centre Plane of
Catamaran and their Wave Making Characteristics”, Proc. of 7th Int. Conference on Fast Sea
Transportation (FAST 2003), Ischia,Oct. 2003, vol. 3, Session D2, pp, 1,6.
[4] Zotti, I., “Some Experimental Investigations on the Wave Resistance of a Catamaran Hull”,
Proc. of NAV ’97 & HSMV Conference, Sorrento, March 1997, pp. 1.35 – 1.44.
RINGRAZIAMENTI
Gli Autori esprimono il loro ringraziamento ai Sig.ri Luca Corso e Simone Galliazzo per la
collaborazione fornita durante l’esecuzione delle esperienze e l’elaborazione dei dati.
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ELICHE DI SUPERFICIE: STATO DELL'ARTE
M. Ferrando
Dipartimento di Ingegneria Navale e Tecnologie Marine, Università di Genova
Via Montallegro 1, I- 16146 Genova
ferrando@dinav. unige. it
SOMMARIO
La diffusione delle eliche di superficie sta aumentando continuamente, specialmente nel settore
delle imbarcazioni veloci. Purtroppo il comportamento di questo sistema propulsivo non è stato
studiato in modo approfondito, probabilmente a causa della sua introduzione relativamente recente
sul mercato e delle relativamente limitate applicazioni. Inoltre, la letteratura tecnica al riguardo è
molto scarsa. Tutte queste ragioni hanno contribuito al basso grado di affidabilità che è attribuito
alla previsione del funzionamento di questo propulsore. Lo scopo del presente lavoro è quello di
analizzare il funzionamento delle eliche di superficie; inoltre sono passati in rassegna i problemi
collegati con il trasferimento in vera grandezza dei risultati delle prove su modello e l'influenza dei
parametri che ne regolano il funzionamento. Sono inoltre illustrati alcuni dei problemi che possono
insorgere da un uso improprio di questo sistema di propulsione.
ABSTRACT
Surface Piercing Propellers are increasing their popularity, especially for high speed craft.
Nevertheless the behavior of this propulsion system has not been thoroughly investigated due to its
recent diffasion and to the limited number of applications. Furthermore, only a little technical
literature is available on the matter. All of these reasons contribute to the low degree of reliability
that is credited to their performance predictions. This overview discusses the mode of operation of
Surface Piercing Propellers. In addition, the performance scaling problems and the influence of the
governing parameters are described. With regard to the applications of the surface propulsion some
of the problems that may arise by an improper use of this propulsive mean are also addressed.
1. INTRODUZIONE
Un numero sempre crescente di imbarcazioni, specialmente da diporto, è oggi equipaggiato con
eliche di superficie, ma nonostante la loro grande diffusione, la letteratura tecnica riguardante
questo tipo di propulsore è molto povera. Ciò è, probabilmente, dovuto al fatto che questo sistema
di propulsione è stato prevalentemente studiato ed impiegato nel campo delle competizioni o per
scopi militari. In entrambi i casi Coloro che hanno qualche conoscenza sull'argomento, la
mantengono riservata per ovvi motivi. Di conseguenza le peculiarità nel comportamento delle
eliche di superficie non sono generalmente conosciute. L'elica di superficie è per la verità un'elica
piuttosto normale; la caratteristica che la differenzia dai propulsori tradizionali è che essa è
concepita per lavorare con la sola metà inferiore immersa nell'acqua. Questa caratteristica di
funzionamento può sembrare molto strana a chi è abituato a trattare eliche tradizionali ed, in effetti,
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cercare la ragione di una sistemazione così atipica può essere fuorviante se si considera solamente
l'elica dimenticando il resto dell'imbarcazione. In realtà la principale ragione per l'adozione
dell'elica di superficie non è costituita da una migliore prestazione, dovuta alla parziale immersione,
bensì la considerevole riduzione delle resistenze d'attrito e di forma che può essere ottenuta
estraendo metà del propulsore dall'acqua.
Figura 1. Sistemazione tipica.
Figura 2. Andamento di KT
La Figura 1 illustra una delle sistemazioni più tipiche per le eliche di superficie. Si può osservare
che la linea d'assi attraversa lo specchio di poppa dell'imbarcazione. Nell'ipotesi che l'acqua
abbandoni la poppa lungo il prolungamento del fondo dell'imbarcazione l'elica resta immersa
solamente con la sua parte inferiore. In questo modo la linea d'assi si trova in pratica del tutto fuori
dell'acqua, consentendo una rilevante riduzione della resistenza delle appendici di carena. L'elica,
operando immersa solo parzialmente, non migliora le proprie prestazioni, che in ogni caso non sono
neppure degradate in modo sostanziale. Un'imbarcazione dotata di eliche di superficie raggiunge
generalmente una velocità più elevata, rispetto ad una dotata di propulsione convenzionale, solo ed
esclusivamente in virtù della minore resistenza al moto cui essa è soggetta. L'entità della riduzione
della resistenza dipende naturalmente dalla velocità dell'imbarcazione, ma per imbarcazioni molto
veloci, ad esempio per velocità superiori ai 40 nodi, la resistenza delle appendici per una
sistemazione convenzionale bielica può facilmente raggiungere il 30% della resistenza totale. Per
queste applicazioni l'elica di superficie diviene un'alternativa conveniente. Inoltre le eliche di
superficie sono meno soggette al danneggiamento da cavitazione, e questo contribuisce alla loro
crescente popolarità.
2 FUNZIONAMENTO
Contrariamente a quanto accade in caso di sistemazione convenzionale delle linee d'assi, l'elica di
superficie opera all'interfaccia tra aria ed acqua, come avviene per gli scafi. Per questa ragione, per
descrivere il modo di funzionamento di questo sistema di propulsione, occorre tenere conto di
alcuni fenomeni peculiari. Prima di tutto occorre considerare che ogni pala, nel corso di una
rotazione dell'elica, attraversa due volte la superficie dell'acqua. Nel momento in cui una pala entra
nell'acqua, essa trascina con se una quantità d'aria che dipende dal carico sull'elica. All'uscita
dall'acqua la pala ne trascina con se una certa quantità che viene quindi scagliata nell'aria,
producendo la classica coda di spray che caratterizza questo tipo di propulsore. Per coefficienti
d'avanzo prossimi a quello corrispondente alla spinta nulla, la quantità d'aria che segue la pala
sott'acqua è trascurabile; al decrescere di J questa aumenta assieme alla profondità alla quale essa è
aspirata. In queste condizioni di basso carico sull'elica, l'aria trascinata rimane confinata al lembo
d'uscita della pala e questo regime di funzionamento è detto Ventilato alla Base. In questo modo di
funzionamento, la pala è completamente bagnata ed è seguita da una cavità d'aria che si estende
dalla superficie dell'acqua fino al lembo d'uscita della pala. Al procedere della pala nel suo
movimento, la cavità la segue fino a che si stabilisce un equilibrio tra la spinta di galleggiamento
della bolla d'aria e l'aspirazione prodotta dall'elica. Una volta raggiunto l'equilibrio, la bolla d'aria
arresta la sua discesa nell'acqua e la pala procede in modo normale. Nel frattempo anche il vortice
d'estremità della pala è ventilato e questo fenomeno assomiglia visivamente alla cavitazione del
vortice d'estremità delle pale, ma si differenzia da questa, poiché le cavità che si generano non sono
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piene di vapore acqueo, bensì d'aria, ed esse sono in comunicazione con l'atmosfera. Al crescere del
carico sull'elica la depressione sul dorso delle pale aspira un crescente quantitativo d'aria. La bolla
d'aria aumenta di volume, ma rimane generalmente confinata al lembo d'uscita, mentre alcune
porzioni della bolla, in forma di strisce, si estendono sul dorso delle pale verso il lembo d'ingresso.
Questo fenomeno si manifesta in corrispondenza delle sezioni radiali della pala maggiormente
caricate. Questo regime d i funzionamento è detto Parzialmente Ventilato. La regione 1 della figura 2
illustra che, in entrambi i regimi sopra illustrati, la forma della curva del coefficiente di spinta KT in
funzione dell'avanzo J è molto simile a quella corrispondente ad un'elica convenzionale. Lo stesso
accade per KQ. Una successiva riduzione del coefficiente d'avanzo conduce l'elica di superficie in
una condizione di funzionamento instabile detta Transizione. Qui la bolla d'aria diviene molto
instabile. La condizione del dorso della pala cambia di continuo da interamente bagnata a
parzialmente ventilata fino a completamente asciutta e viceversa. Questo fenomeno non avviene per
un ben determinato valore del coefficiente d'avanzo, ma piuttosto si estende per un certo campo di
variazione di J. In questa regione i valori di KT e KQ corrispondenti ad un coefficiente d'avanzo non
sono unici. In effetti, il loro valore cambia in dipendenza della condizione di ventilazione del dorso
della pala. Questa condizione di funzionamento è rappresentata dalla zona 2 della figura 2. Per
valori del coefficiente d'avanzo inferiori alla transizione, il dorso della pala è completamente
ventilato ed il volume della cavità d'aria aumenta come funzione inversa del coefficiente d'avanzo.
Questa è la condizione di funzionamento completamente ventilata. Qui la forma delle curve dei
coefficienti KT e KQ si discosta completamente da quella corrispondente alle eliche completamente
immerse. Considerando un'elica di superficie completamente ventilata, si può osservare che la
spinta viene prodotta principalmente dalla faccia delle pale. Il contributo dovuto alla depressione sul
dorso svanisce a causa della completa ventilazione che porta il dorso della pala a pressione
atmosferica. In queste condizioni di funzionamento le cavità d'aria aderenti al dorso delle pale
hanno uno spessore considerevole, che continua ad aumentare via via che J viene ridotto. Di
conseguenza l'interazione fra le pale è molto forte, e l'elica è soggetta ad un considerevole effetto
cascata che limita sia la spinta sia il momento torcente. Questo fenomeno spiega la discesa, dei
valori di KT e KQ, che si verifica al ridursi del coefficiente d'avanzo J. Questo comportamento è del
tutto differente da quanto avviene per le eliche immerse e può essere osservato nella zona 3 della
figura 2. Per valori del coefficiente d'avanzo ancora inferiori si manifesta un altro fenomeno che
limita ulteriormente la capacità del propulsore di produrre spinta e di assorbire momento torcente;
esso è il rallentamento del flusso d'ingresso. Le bolle d'aria sono ora così grandi da ostruire i canali
palari, provocando una diminuzione della portata massica attraverso l'elica. Ciò, in accordo con il
teorema della "variazione della quantità di moto", riduce la spinta che può essere prodotta dall'elica.
Questa situazione è illustrata dalla regione 4 della figura 2. In fine, per valori estremamente bassi
del coefficiente d'avanzo, il passaggio dell'aria necessaria a riempire le cavità può essere impedito
dalla gran quantità di spruzzi prodotti dall'ingresso e dall'uscita delle pale dall'acqua. In questo
modo la pressione dall'interno delle cavità è minore di quella atmosferica e ciò incrementa
leggermente la spinta dell'elica. In queste condizioni la spinta riprende a risalire al decrescere di J
come illustrato nella regione 5 della figura 2.
3 PARAMETRI FONDAMENTALI
Per un'elica convenzionale i coefficienti di spinta e di momento sono solitamente espressi nella
forma:

 P A
K = f  z; ; E ; J ; Ru ;ψ ; σ ; Fu 

 D AO
(1)
Dal momento che le eliche di superficie operano all'interfaccia tra aria ed acqua due ulteriori
parametri debbono essere presi in considerazione. Il primo è il coefficiente d'immersione IT, il
61
secondo è il numero di Weber; in questo modo la relazione precedente può essere riscritta nella
forma seguente:

 P A
K = f  z; ; E ; J ; Ru ;ψ ; I T ; σ ;Wu ; Fu 

 D AO
(2)
L'influenza del numero di pale, del rapporto passo su diametro, dell'area espansa e del ciente
d'avanzo sul comportamento di un'elica di superficie è analoga a quella che si Lun'elica
completamente immersa. Lo stesso si può dire dell'influenza del numero di Reynolds.
3.1 Influenza di ψ
L'angolo tra la linea d'asse ed il flusso incidente, indicato con ψ, assume un ruolo importante per le
eliche di superficie cosicché queste generano considerevoli forze nel piano del disco. Questo tipo di
forze ha la stessa origine di quelle che si generano nel caso di eliche convenzionali in flusso
inclinato, ma qui, a causa della "estrema" asimmetria del campo di moto la loro intensità è
maggiore.
La forza risultante nel piano del disco può essere proiettata in due direzioni perpendicolari; queste
coincidono con le tracce di due piani ortogonali passanti per l'asse dell'elica e sono rispettivamente
verticale ed orizzontale. Sfortunatamente la ITTC Symbol and Terminology List [1] comprende
solo la componente che giace nel piano verticale e la denomina FN, chiamando KN il relativo
coefficiente adimensionale. A seguito di ciò, sono stati proposti [2] i simboli FH e KH per indicare la
componente orizzontale della forza risultante nel piano del disco ed il relativo coefficiente
adimensionale. La figura 3 illustra l'andamento delle curve KN e KH corrispondenti a KT della figura
2. L'elica cui queste curve si riferiscono è destrorsa, ed i versi positivi, di KN e KH, sono
rispettivamente verso l'alto e verso sinistra. Di conseguenza i valori negativi nell'ultima figura
corrispondono a forze verso il basso e verso destra. Per quanto riguarda FN, i valori negativi sono
attribuibili all'abbattimento delle pale che causa una forza verso il basso per via della parziale
immersione dell'elica.
Figura 3. Coefficienti delle forze nel piano del disco.
Analogamente al caso delle eliche immerse in flusso inclinato, anche qui tutte le forze debbono
essere combinate per ottenere la spinta orizzontale TX e la forza verticale TZ. In accordo con
l’ITTC, avendo indicato con Tψ. la spinta in direzione dell'asse, queste forze si ottengono dalle
seguenti equazioni:
T X = Tψ cosψ − FN sin ψ
TZ = Tψ sin ψ + FN cosψ
62
(3)
Figura 4. Forze risultanti totali.
Figura 5. Sistemazione di un'elica di superficie.
Dal momento che in questo caso FN assume valori sempre negativi, la spinta totale orizzontale è, in
effetti, leggermente maggiore di quella lungo l'asse. La forza risultante verticale è negativa e
produce un momento appoppante se J è maggiore del valore corrispondente alla transizione, il
contrario avviene se J è inferiore. Questa situazione è illustrata nella figura 4 che combina i dati
delle figure 2 e 3. Dovendo utilizzare i risultati di prove di elica isolata relativi a propulsori di
superficie, è molto importante ricordare che generalmente le prove sono svolte in vasche navali o
tunnel di cavitazione aventi superficie libera orizzontale. Nella maggior parte delle applicazioni
reali l'imbarcazione ha un certo rialzamento del fondo β, rappresentato in figura 5. Dal momento
che il flusso abbandona il transom lungo la direzione del fondo dell'imbarcazione, la superficie
libera dell'acqua che fluisce verso l'elica non è orizzontale, ma inclinata dell'angolo β. Ne consegue
che, curve come quelle riportate in figura 3 corrispondono alle condizioni di flusso relative ad
un'imbarcazione planante con rialzamento nullo del fondo. La stessa considerazione si applica per
KTX e KTZ in figura 4. Per ottenere i valori corretti delle forze orizzontale e verticale si debbono
utilizzare le equazioni seguenti [3]:
FN′ = FH sin β + FN cos β
FH′ = FH cos β + FN sin β
(4)
Di conseguenza, TX e TZ debbono essere calcolate utilizzando F'N invece di FN. Focalizzando
l'attenzione sulla capacità dell'elica di produrre spinta si può affermare che un cambiamento, anche
considerevole, dell'inclinazione della linea d'assi produce effetti relativamente piccoli. Le figura 6
illustra l'effetto del cambiamento di ψ da 4 ad 8 gradi. Allo scopo di evitare la traslazione del
coefficiente d'avanzo dovuta alla variazione d'inclinazione dell'asse, in figura 6 si utilizza una
diversa formulazione del coefficiente d'avanzo, Jψ. Esso tiene conto della velocità d'avanzo in
direzione dell'asse dell'elica ed è definito dall'equazione seguente:
Jψ =
V A cosψ
n⋅D
(5)
63
Figura 6. Influenza di ψ su KT
Figura 7. Immersione massima della pala.
3.2 Influenza di IT
E' ovvio che l'immersione condiziona pesantemente il funzionamento di un'elica di superficie. Il
coefficiente adimensionale che rappresenta l'immersione di un'elica è il coefficiente IT. Esso si
ottiene dividendo l'immersione massima della pala, illustrata in figura 7, per il diametro dell'elica:
IT =
hT
D
(6)
La condizione nominale di finizionamento di un'elica di superficie è caratterizzata da IT=0.50, ma a
volte si preferisce un'altra immersione. Di conseguenza è molto importante conoscere l'influenza del
coefficiente d'immersione sulle prestazioni del propulsore. Naturalmente, la spinta ed il momento
torcente aumentano all'aumentare di IT. La figura 8 illustra la variazione di KT per un'elica di
superficie in funzione di IT. Dal punto di vista del progettista questa rappresentazione è sicuramente
la più adatta, poiché permette di calcolare facilmente la spinta dell'elica. Ciononostante KT e KQ non
permettono un'immediata comprensione del reale comportamento di un'elica di superficie al variare
della sua immersione. Questi coefficienti sono ottenuti, infatti, dividendo la spinta ed il momento
torcente per il diametro, ma nel caso di un'elica di superficie sia la spinta sia il momento torcente
sono sensibili alla variazione d'immersione, mentre il diametro è costante. Questo spiega la
considerevole variazione di KT e KQ con IT per un dato J. In questo modo non è possibile valutare
correttamente se il coefficiente d'immersione influenzi la capacità del propulsore di produrre spinta.
Figura 8. Influenza di IT su KT
Figura 10. Influenza di IT SU KT
In quest'ottica, sembra più utile definire [4] due coefficienti adimensionali aventi la stessa struttura
di KT e KQ nei quali appaia l'area effettivamente immersa, illustrata in figura 9, AO’:
K T′ =
T
ρn D 3 AO '
2
K Q′ =
Q
ρn D 3 AO '
2
64
(7)
Figura 9. Area immersa effettiva
La figura 10 offre un esempio dell'uso di K'T e riporta gli stessi risultati sperimentali della figura 8.
La stessa procedura si può applicare a KN e KH. L'uso di A'0 è stato criticato da Kruppa [5] poiché, a
causa del possibile innalzamento del livello dell'acqua per via della decelerazione del flusso, non è
chiaro quale sia l'area immersa effettiva se J è al di sotto della transizione. Dall'esame della figura
10 si può, comunque, dedurre che il comportamento del propulsore non è influenzato
sostanzialmente dall'inimersione se il punto di funzionamento cade nella regione di ventilazione
parziale.
3.3 Influenza di σ
Poiché anche le eliche di superficie possono essere soggette a cavitazione, il loro flinzionamento è
influenzato anche dall'indice di cavitazione. La cavitazione può manifestarsi, per un'elica di
superficie, solo quando la pala è bagnata. A seguito di ciò è chiaro che, per valori del coefficiente
d'avanzo inferiori alla transizione, lo sviluppo della cavitazione sul dorso delle pale è impedito dalla
presenza della bolla d'aria che ricopre quasi completamente il dorso. Così la possibilità
dell'insorgenza della cavitazione occorre solo quando le pale sono parzial mente ventilate,
situazione corrispondente alla regione 1 della figura 2. In ogni caso l'importanza della cavitazione
per questo tipo di propulsore è molto minore che per le eliche convenzionali. Quest'affermazione
può essere pienamente compresa ricordando il funzionamento di un'elica di superficie. Nel regime
parzialmente ventilato, infatti, le sezioni di pala che in un'elica completamente immersa dovrebbero
sopportare il carico maggiore sono generalmente ventilate. Lo svilupparsi di bolle di cavitazione in
corrispondenza di queste sezioni è quindi impossibile. Di conseguenza la cavitazione si può
manifestare nelle zone bagnate della pala solo per valori molto bassi di σ. La cavitazione potrebbe
inoltre svilupparsi, per valori molto alti di J, sulla faccia delle pale dove le sezioni radiali più
esterne sono soggette ad angoli d'attacco negativi. Quest'eventualità è, di nuovo, molto remota per
le eliche di superficie perché queste sezioni sono generalmente ventilate sulla faccia da bolle d'aria,
a forma di striscia, che sono in comunicazione con l'atmosfera attraverso la superficie dell'acqua.
Purtroppo la cavitazione delle eliche di superficie è trattata raramente nella letteratura disponibile.
Brandt [6] ha sviluppato il primo studio dell'influenza di a sulle prestazioni delle eliche di
superficie. La figura 11 [7] illustra quest'influenza. Inoltre, anche Olofsson [8] offre alcune
considerazioni sull'effetto della cavitazione sul finzionamento delle eliche di superficie.
65
Figura 11. Influenza di σ per un'elica di superficie
3.4 Influenza di Wn
Il numero di Weber è il rapporto tra le forze inerziali e quelle derivanti dalla tensione superficiale
del fluido. La sua influenza sul comportamento delle eliche di superficie può essere facilmente
immaginata, dal momento che le pale di questi propulsori attraversano continuamente la superficie
dell'acqua. Shiba sviluppò il primo studio sull'influenza del numero di Weber, nel corso del suo
complesso lavoro riguardante l'aspirazione &aria da parte delle eliche navali [9]. Il lavoro di Shiba
era rivolto allo studio del comportamento delle eliche in condizioni di parziale immersione, ma le
sue scoperte si possono evidentemente applicare anche alle eliche di superficie. Avendo indicato
con K la capillarità cinematica, il numero di Weber assume la struttura seguente:
Wn =
V 2L
κ
(8)
Shiba introdusse una particolare versione del numero di Weber che egli ritenne più adeguata alle
proprie necessità:
Wn' =
n2 D3
κ
(9)
Secondo Shiba la tensione superficiale entra in gioco in prossimità della transizione dal regime
parzialmente ventilato a quello completamente ventilato. In effetti, la transizione è un fenomeno
relativamente improvviso e può essere correlata ad un certo valore del coefficiente d'avanzo detto
avanzo critico JCR. In prima approssimazione questo può essere collocato a metà della regione di
transizione e l'improvvisa caduta dei valori di KT, KQ, KN e KH, osservabile nelle figure 2 e 3, ne
identifica la posizione. Nel corso del suo studio Shiba trovò una correlazione tra W'n e JCR, ma egli
esaminò un'unica elica. La figura 12 riproduce questa correlazione, dalla quale si può osservare che
l'influenza del numero di Weber scompare quasi completamente per W'n > 180. In conformità a
quest'osservazione, si possono utilizzare prove su modello per prevedere il comportamento di eliche
di superficie in vera grandezza solo se queste sono svolte a valori di W'n maggiori di 180.
66
Figura 12. Correlazione W'n –JCR trovata da Shiba
Il particolare numero di Weber introdotto da Shiba non contiene l'immersione dell'elica, e se si
prova a costruire un diagramma, come quello di figura 12, ma contenente dati relativi a differenti
immersioni, il risultato è quello illustrato nella figura 13. Questa riassume i risultati degli
esperimenti condotti sul modello d'elica di superficie E9401, utilizzando il tunnel di cavitazione
dell'Università di Genova e la vasca navale dell'Università di Napoli. I risultati sperimentali sono
raggruppati in due zone distinte, poiché nei due impianti le condizioni di prova sono state
mantenute molto differenti allo scopo di realizzare una variazione più ampia possibile del numero di
Weber.
Figura 13. Effetto di IT sulla correlazione W'n-JCR.
Figura 14. Esempio dell'uso di W'n
In ciascuna zona alcuni punti hanno il medesimo valore di W'n ma valori di JCR differenti, essi sono
relativi a differenti immersioni dell'elica. Per evitare questa situazione è stato introdotto un nuovo
tipo di numero di Weber [4] contenente l'immersione massima dell'elica:
W =
''
n
n 2 D 2 hT
κ
=
n 2 D3 IT
κ
(10)
Nel caso in cui gli stessi dati di figura 13 siano portati in diagramma in funzione di W"n si può
nuovamente trovare una correlazione, come illustrato nella figura 14 [4]. Sfortunatamente, negli
impianti in cui è stato provato il modello E9401, è stato impossibile ottenere valori di W"n maggiori
di 190; di conseguenza non esistono dati sufficienti per indicare in 190 il minimo valore di W"n da
realizzare durante le prove su modello al fine di garantire la possibilità di riportare in vera
grandezza i risultati. Ulteriori sperimentazioni [11] hanno condotto ad ipotizzare che il valore
minimodel numero di Weber, oltre il quale il valore del coefficiente di avanzo critico si stabilizza,
sia dipendente dal valore del rapporto P/D, come mostrato nella figura 15.
67
Figura 15. Effetto di P/D sulla correlazione W"n - JCR
3.6 Influenza di Fn
L' influenza del numero di Froude per eliche profondamente immerse è trascurabile; ma ogni
ingegnere navale può facilmente immaginare che, trattando eliche di superficie, il numero di Froude
rivesta un ruolo non trascurabile. Le prime osservazioni sull'influenza del numero di Froude, sui
propulsori parzialmente immersi, sono nuovamente dovute a Shiba [9]. Nella sua indagine egli ha
osservato che la gravità condiziona la forma della bolla d'aria. Ciò avviene attraverso l'equazione di
Bernoulli che può essere applicata al confine tra l'acqua e la cavità in comunicazione con
l'atmosfera. Shiba , nel suo articolo, ha dimostrato che l'influenza del numero di Froude scompare
quando la cavità raggiunge la sua forma definitiva. Anche Brandt [6] si è espresso su questo
argomento affermando che il numero di Froude ha una chiara influenza sui risultati delle prove su
modello se queste sono condotte a valori del numero di Froude inferiori a 4. Infine anche Olofsson
[8] riconosce l'influenza di del numero di Froude, anch'egli fissa in 4 il valore limite oltre il quale
quest'influenza scompare, ma la struttura del nero di Froude da lui adottato differisce da quella
utilizzata da Brandt e ciò rende i due valori limite incongruenti. Riassumendo, è generalmente
riconosciuto che il numero di Froude influenzi il comportamento delle eliche di superficie. Tutti gli
autori hanno suggerito inoltre l'esistenza di un valore limite oltre il quale quest'influenza diviene
trascurabile. Lo stesso accordo generale non è stato raggiunto sul minimo valore del numero di
Froude che deve essere realizzato, nel corso di prove su modelli, per evitare problemi di
trasferimento in scala reale dei risultati. Probabilmente ciò è anche dovuto alle differenti forme del
numero di Froude che sono state utilizzate.
3.7 Influenza della rotazione nel piano orizzontale
L'angolo di rotazione nel piano orizzontale, detto angolo di yaw, è considerato positivo se, per un
osservatore posto sopra la linea d'assi, questa viene ruotata in senso concorde al verso di rotazione
dell'elica. In altre parole l'angolo di yaw è positivo se la linea d'assi di un'elica destrorsa viene
ruotata in senso orario nel piano orizzontale, producendo uno spostamento a sinistra del propulsore.
Nel corso della sua ricerca, Olofsson [81 ha indagato sull'influenza della rotazione della linea d'assi
nel piano orizzontale sulle prestazioni di un modello d'elica di superficie. Variando l'angolo di
rotazione della linea d'assi da 0 a 30 gradi, egli ha verificato che il rendimento del propulsore
continuava a crescere fino al raggiungimento di un valore massimo. In questa condizione il valore
della forza 1711 risultava nullo. Queste osservazioni, sebbene relative ad un'unica elica, sono molto
interessanti e confermano i risultati ottenuti da Alder e Moore [10] provando un'elica di superficie il
cui asse era stato ruotato nel piano orizzontale fino a 19.5 gradi. In entrambi questi esperimenti si
sono riscontrati incrementi del rendimento del 10% o superiori. Olofsson ha osservato inoltre che,
all'angolo di yaw corrispondente alla massima efficienza, le velocità indotte dall'elica erano
praticamente parallele alla direzione della velocità della corrente indisturbata sia sopra sia sotto la
superficie libera. In queste condizioni le uniche perdite, sotto forma d'energia cinetica comunicata
all'acqua, sono quelle relative alla produzione di spinta dell'elica. Nessuno degli autori, avendo
provato solamente un modello, ha potuto dare indicazioni generali sulla correlazione tra l'angolo di
yaw corrispondente al massimo rendimento e la geometria del propulsore. Alla luce di quanto sopra
68
esposto, sembra in ogni caso che anche l'angolo di rotazione della linea d'assi nel piano orizzontale
debba essere annoverato tra i parametri che governano il funzionamento delle eliche di superficie.
4 PROBLEMATICHE
Tralasciando tutti i problemi aperti a riguardo del trasferimento in vera grandezza dei risultati in
scala modello, la propulsione di superficie sembra avere raggiunto un grado d'affidabilità tale da
costituire un'alternativa valida e conveniente ai sistemi di propulsione convenzionali, specialmente
per le imbarcazioni molto veloci. Tuttavia, essendo l'elica di superficie un propulsore impiegato in
condizioni per così dire "estreme", è necessario prestare una speciale attenzione nel suo impiego. In
quest'ottica vale la pena considerare alcune possibili fonti d'inconvenienti.
4.1 Avviamento
A causa del ridotto contributo del dorso alla produzione della spinta totale le eliche si superficie
sono caratterizzate da rapporti passo su diametro piuttosto elevati; ciò può essere fonte di problemi
all'avviamento. Se l'imbarcazione è ferma, ovvero viaggia a bassa velocità, l'elica di superficie
lavora completamente immersa. Ne consegue che l'area attiva è raddoppiata rispetto alle condizioni
nominali di ftmzionamento. Il momento torcente richiesto, in queste condizioni, è molto elevato ed,
in alcuni casi, il motore non è in grado si fornire il momento torcente necessario ad accelerare
l'imbarcazione. La figura 16 illustra le curve caratteristiche di un'elica si superficie in condizioni
nominali di funzionamento, IT=0.5, e profondamente immersa, IT=2.0. Osservando la figura, si può
notare come la richiesta di momento torcente da parte dell'elica completamente immersa sia, per gli
avanzi più bassi, circa dieci volte maggiore di quella relativa alla condizione nominale. Per evitare
problemi all'avviamento sono generalmente adottate due soluzioni differenti. La prima è costituita
da una riduzione dell'immersione del propulsore, realizzabile nel caso di sistema di trasmissione
articolato. La seconda consiste in una ventilazione artificiale del dorso delle pale che si ottiene in
modo passivo, per mezzo di appositi tubi di aerazione, oppure dirigendo gli scarichi dei motori
nell'acqua di fronte al propulsore.
Figura 16. Immersione nominale e profonda.
Figura 17. Sezioni di pala di uso comune.
4.2 Ventilazione del transom
Un problema di immersione, analogo al precedente, si può verificare nel caso di imbarcazioni a due
velocità. In questo caso l'elica viene scelta per garantire il raggiungimento della velocità massima;
successivamente il progettista ne verifica le prestazioni alla velocità di crociera. In alcuni casi può
accadere che la velocità di crociera sia così bassa da non permettere il prosciugamento del transom;
il propulsore si trova così a lavorare quasi completamente immerso. Questa situazione può
nuovamente provocare un eccessivo assorbimento di momento torcente ed impedire che
l'imbarcazione possa mantenere la velocità di crociera.
69
4.3 Retromarcia
La figura 17 illustra alcune delle sezioni di pala che sono comunemente utilizzate per le eliche di
superficie. Sebbene la prima sezione sia brevettata e progettata allo scopo di migliorare le
prestazioni in retromarcia, nessuna di queste fornisce, in tali condizioni, una spinta paragonabile a
quella che si può ottenere con sezioni di pala di tipo convenzionale. Per questo motivo l'utente
finale deve essere esortato a manovrare con molta prudenza, specialmente se questo è abituato ad
utilizzare eliche convenzionali.
4.4 Carichi e fatica
Da un punto di vista strutturale, l'elica di superficie è il propulsore che pone le maggiori difficoltà al
progettista a causa dell'irregolarità nel funzionamento. E' ben noto che ogni elica convenzionale è
soggetta a variazioni del carico sulle pale nel corso di una rivoluzione completa del propulsore, in
conseguenza del campo di scia non uniforme. Questo problema è ben noto ed i progettisti hanno a
disposizione i mezzi per trattarlo adeguatamente. Un nuovo aspetto dell'irregolarità del carico sulle
pale è sorto quando furono utilizzate linee d'assi considerevolmente inclinate, come nel caso degli
aliscafi e delle imbarcazioni da diporto veloci. L'adozione di linee d'assi fortemente inclinate ha
fatto sì che i fenomeni di fatica dovessero essere considerati attentamente, nella fase di
progettazione di eliche ed assi, in conseguenza della natura oscillatoria dei carichi sulle pale.
Trattando eliche di superficie questo problema è esasperato dal momento che ciascuna pala è
addirittura scarica per una parte considerevole della sua rotazione. Questa caratteristica dà luogo a
carichi pulsanti che, dal punto di vista della resistenza a fatica dono molto peggiori. La figura 18
mostra l'andamento qualitativo del carico su una pala di elica si superficie. Il picco della curva di
carico, corrispondente all'ingresso della pala nell'acqua, è dovuto a due cause. La prima è l'impatto
della pala con la superficie dell'acqua, la seconda è costituita dal fatto che, per un'elica inclinata,
alla posizione angolare 90° corrisponde il massimo angolo d'attacco delle sezioni di pala. Per queste
ragioni la stessa elica deve essere dimensionata considerando l'esistenza di severe sollecitazioni a
fatica. Naturalmente anche gli assi sono sollecitati a fatica, a causa della flessione rotante e delle
fluttuazioni del momento torcente imposti dal propulsore. Inoltre, le considerevoli forze giacenti nel
piano del disco, che caratterizzano l'elica di superficie, richiedono un'attenta progettazione dei
cuscinetti. Riassumendo, occorre ricordare che è necessario dedicare una particolare attenzione, alla
progettazione strutturale sia delle eliche sia delle linee d'assi, se si vuole ottenere un sistema di
propulsione sicuro ed affidabile.
5. CONCLUSIONI
Questa rassegna sulle eliche di superficie può aver suggerito l'idea che questo tipo di propulsore non
sia ancora maturo, e gli scettici probabilmente si orienteranno verso propulsori più classici. Da un
punto di vista scientifico, questa sensazione è perfettamente giustificata poiché quello che
conosciamo non è sufficiente a spiegare completamente il funzionamento delle eliche di superficie.
Per di più non è stata ancora valutata approfonditamente l'influenza dei vari parametri che ne
regolano il funzionamento. Tuttavia questa situazione non deve dare luogo a scoraggiamento,
poiché ogni ricercatore sa di non sapere! Da un punto di vista pratico, la crescente diffusione della
propulsione di superficie ed il sempre maggiore interesse in questo campo fanno pensare che sia
giunto il momento per un largo uso di questo sistema di propulsione. Non bisogna dimenticare,
inoltre, che ciascun sistema di propulsione ha vissuto una fase di sperimentazione che ne ha
permesso la definitiva maturazione. Riassumendo possiamo trarre le seguenti conclusioni:
i potenziali vantaggi sono
•
•
l'elica di superficie è un dispositivo molto promettente, ed alcune applicazioni hanno
dimostrato la sua superiorità, per velocità molto alte;
il rendimento di questo propulsore è comparabile con quello delle eliche completamente
immerse;
70
•
la riduzione della resistenza delle appendici può essere sostanziale alle velocità più alte.
controindicazioni
•
•
•
il trasferimento in scala delle prestazioni richiede ulteriori studi allo scopo di accertare la
reale influenza dei vari parametri adimensionali ed in particolare del numero di Froude e del
numero di Weber;
l'influenza dei parametri geometrici non è stata ancora completamente studiata ed in
particolar modo l'abbattimento delle pale e lo skew sono stati, fino ad oggi, trascurati;
sono disponibili solamente pochissimi risultati di prove su modelli.
E' opinione di chi scrive che l'uso crescente di questo tipo di propulsione possa fornire un impulso
alla ricerca, e condurre, in tempi ragionevolmente brevi, ad una completa conoscenza
dell'argomento.
SIMBOLOGIA
AE
Area espansa delle pale
KN Coefficiente della forza normale verticale
AO
Area del disco dell'elica
KH Coefficiente della forza normale orizzontale
AO' Area immersa del disco dell'elica
KQ Coefficiente di momento torcente
CQ
Coefficiente di momento torcente
KT Coefficiente di spinta
CT
Coefficiente di spinta
P
D
Diametro dell'elica
Rn Numero di Reynolds
FH
FN
Forza esercitata dall'elica in direzione normale TX
all'asse di rotazione e giacente in un piano
TZ
orizzontale
Forza esercitata dall'elica in direzione normale Tψ
all'asse di rotazione e giacente in un piano
Wn
verticale
Passo dell'elica
Componente orizzontale della spinta
Componente verticale della spinta
Spinta assiale in flusso obliquo
Numero di Weber
Fn
Numero di Froude
z
Numero di pale dell'elica
IT
Coefficiente di immersione
β
Angolo di rialzamento del fondo
J
Coefficiente di avanzo
σ
Indice di cavitazione
Jψ
Coefficiente di avanzo in flusso obliquo
ψ
Angolo di inclinazione dell'asse
BIBLIOGRAFIA
[1] ITTC 1993 Symbols and Terminology List, Version 1993. VWS, Mitteilungen, Heft 57 (ed. M.
Schmiechen). Berlin:Versuchsanstalt fur Wasserbau und Schiffbau.
[2] Caponnetto, M. Ferrando, M. & Podenzana-Bonvino, C. 1995 Theoretical and experimental
analysis of a propeller in inclined flow. In Proceedings, III Symposium on High Speed Marine
Vehicles, pp. 317-329. Naples.
[3] Rose, J.C. Kruppa C.F. & Koushan K. 1993. Surface Piercing Propellers - Propeller/Hull
Interaction. In FAST'93, Vol. 1, pp. 867-881. Yokohama: Society of Naval Architects of Japan.
71
[4] Ferrando, M. & Scamardella, A. 1996 Surface Piercing Propellers: Testing Methodologies,
Result Analysis and Comments on Open Water Characteristics. In Proceedings Small Craft
Marine Engineering Resistance & Propulsion Symposium, pp.5-1 - 5-27. Ypsilanti: University
of Michigan.
[5] Kruppa C.F. 1972 Testing of partially submerged propellers, in Proceedings, 13 TH ITTC
Report of Cavitation Committee, Appendix V. Berlin.
[6] Brandt, H. 1973 Modellversuche mit Schiffpropellern an der Wasseroberflache. Schiff und
Hafen, vol.24 No. 5, pp. 415-422.
[7] Rose, J.C. & Kruppa C.F. 1991 Surface Piercing Propellers - Methodical Series Model Test
Results. In FAST'91 (ed. K.O. Holden et al.), Vol. 2, pp. 1129-1147. Trondheim: Tapir
Publishers.
[8] Olofsson, N. 1996 Force and Flow Characteristics of a Partially Submerged Propeller. Doctoral
Thesis. Goteborg: Chalmers University of Technology Department of Naval Architecture and
Ocean Engineering.
72
METODI INNOVATIVI PER L'ANALISI DELLE SOLLECITAZIONI
E LA VERIFICA DI STRUTTURE NAUTICHE MEDIANTE FEM.
F. Palloni, S. Ragionieri
SmartCAE srl, Piazza della Gualchierina, 9 – 59100 Prato – Italia
[email protected]
SOMMARIO
Il metodo degli elementi finiti (FEM) è una tecnica numerica per l’analisi e la verifica delle
strutture.
L’uso di tale metodo nel dimensionamento e ottimizzazione di strutture complesse è prassi
consolidata da decenni in settori quali l’aerospaziale, aeronautico e automobilistico.
La disponibilità odierna di hardware e software estremamente potenti a basso costo, unita alla
notevolmente migliorata facilità d’uso dei suddetti codici, rende oggi possibile l’estensione del loro
uso anche al di fuori dei campi di applicazione “storici”.
Il presente lavoro mostra sommariamente le tecniche, alcune problematiche tipiche ed i benefici
dell’uso del FEM nella progettazione di strutture nautiche.
ABSTRACT
The finite element method (FEM) is a numerical technique for structure analysis and assessment.
The usage of this method for design and optimization of complex structures is a common practice
since decades in fields like aerospace, aircraft design, automotive.
The today availability of powerful and cheap hardware and software, in combination with modern
and easy to use interfaces, enables the application of this method outside from the “historical”
fields.
This paper shows an overview of typical techniques and problems of nautical structures and the
benefits applying FEM on their design process.
1. INTRODUZIONE
La progettazione odierna costringe gli ingegneri a pensare soluzioni innovative e realizzabili in
tempi sempre più stretti.
Questo è vero sia per il progettista nautico che convive con i problemi della produzione, sia per
colui che affronta il tema della competizione. Per entrambi è necessario valutare l’impatto di
numerose variabili progettuali, inseguendo la soluzione di miglior compromesso (produzione) o
l’eccellenza assoluta (prestazione).
Con il termine CAE (Computer Aided Engineering) vengono indicati i metodi e le discipline
dell’ingegneria che consentono l’analisi dei problemi ingnegneristici mediante l’uso del calcolatore
elettronico.
Il metodo degli elementi finiti (FEM) è una procedura numerica per ottenere delle soluzioni
accurate di molti problemi strutturali, in tempi rapidi e con sforzi ragionevoli.
73
Il FEM offre molti vantaggi importanti al progettista:
• Possibilità di analizzare facilmente strutture complicate (travi, gusci, continuo solido), di
forma irregolare, costituite da materiali diversi (omogenei e compositi) e con condizioni al
contorno complesse.
• Tipicamente, un software FEM commerciale è in grado di risolvere un’ampia varietà di
problemi strutturali: lineari e non-lineari, dinamici, instabilità elastica (buckling).
• Il FEM può essere abbinato ad un sistema CAD per la creazione della geometria del
componente da analizzare.
• Riduce i costi di test e riprogettazione, riducendo quindi il tempo di sviluppo del prodotto.
• Consente l’identificazione di problemi strutturali e/o di produzione prima della realizzazione
del prodotto.
Per questi e molti altri motivi il FEM si è affermato in numerosi settori dell’ingegneria, tra cui la
nautica da diporto.
Lo scopo di questo lavoro è quello di illustrare alcune applicazioni del FEM, convenzionali e non,
al mondo della progettazione di imbarcazioni da diporto.
Nella prima parte viene affrontato il tema dell’analisi delle strutture in composito, soffermandoci su
alcuni aspetti del danneggiamento dei laminati, e introducendo un nuovo indice di danneggiamento,
recentemente implementato in un codice FEM commerciale, NEiNastran.
Nella seconda parte viene descritta una tecnica di simulazione FEM di estrazione aeronautica
(Inertial Relief) con la quale è possibile schematizzare in maniera “fisica” la condizione di
equilibrio dinamico nella quale viene a trovarsi una barca in navigazione.
Successivamente viene affrontato uno dei problemi “classici” della meccanica, il contatto tra i
corpi, e alcuni degli aspetti progettuali per una corretta analisi mediante FEM del sistema bulbochiglia-scafo.
2. VERIFICA DI STRUTTURE IN COMPOSITO
I materiali compositi si sono affermati nella nautica da diporto (e non) per numerosi vantaggi
tecnologici, quali:
• favorevole rapporto peso/resistenza rispetto ad altri materiali
• possibilità di beneficiare della “direzionalità” delle fibre per ottimizzare le prestazioni
strutturali dei componenti, sia globali che locali.
Oltre agli aspetti tecnici, esiste una serie di risvolti economici che non vengono analizzati in questa
sede.
Il progettista che approccia l’analisi di strutture in composito, deve avere ben presente anche alcuni
aspetti pratici legati al materiale utilizzato:
• Le proprietà dei materiali utilizzati (elasticità, resistenza) presentano un certo grado di
aleatorietà e di incertezza che dipende da molti fattori, non ultimo il ciclo di produzione del
componente.
• Le proprietà del laminato dipendono, come noto, dalla sequenza di laminazione e sono
tipicamente ortotropiche.
• I laminati in materiale composito, a differenza di quelli isotropi, hanno vari meccanismi di
danneggiamento: rottura della fibra o della matrice (a sua volta con carichi ammissibili
diversi per trazione, compressione, e taglio), delaminazione, …
Questi effetti possono essere correttamente valutati e tenuti sotto controllo in fase di progettazione
realizzando un modello FEM dettagliato della struttura nel quale è possibile definire la sequenza di
laminazione corretta. Come risultato dell’analisi è possibile produrre quegli indici di
danneggiamento (noti come Failure Index) che esprimono la criticità dello stato di sollecitazione.
74
In figura 1 è illustrata distribuzione del danneggiamento su di un trancio di scafo di motoryacht in
composito (fibra di vetro e aramidica, resina epossidica), sottoposto ad una pressione idrostatica sul
fondo. Le zone di colore più scuro sono quelle maggiormente sollecitate.
Fig. 1 – Distribuzione del Failure Index
Esistono svariati indici di danneggiamento (Max Stress, Max Strain, Hoffmann, Tsai-Hill, Tsai-Wu,
per citarne alcuni), ognuno con i suoi pro, i suoi contro e il suo campo di applicazione. Il punto
debole dei criteri più recenti e sofisticati è la necessita di avere alcuni dati dei materiali usati (fibre,
resina) che possono essere determinati soltanto attraverso prove sperimentali molto costose, e che
difficilmente possono essere generalizzati per altri materiali della stessa famiglia.
Recentemente la NASA[1] ha presentato un nuovo indice di danneggiamento, chiamato LaRC02. I
vantaggi di questo criterio sono presto riassunti:
• LaRC02 è la sintesi di una importante campagna di validazione dei criteri di
danneggiamento svoltasi in tutto il mondo nel 2002 e nota con il nome di World Wide
Failure Exercise. I risultati e il metodo sono stati pubblicati e resi disponibili da un ente
autorevole quale NASA.
• I dati del materiale necessari per una verifica con LaRC02 sono, né più, né meno quelli
utilizzati da altri criteri diffusi, quali Tsai-Wu. Pertanto non sono necessari altri dati in
aggiunta a quelli già disponibili.
• LaRC02 è un criterio di first-ply-failure che, a differenza degli altri criteri, non solo fornisce
“l’entità” del danneggiamento, ma anche “il tipo” di danneggiamento (rottura della fibra o
della matrice, ecc.). Questo ne fa un indice particolarmente indicato per la progettazione.
In figura 2 è illustrata la superficie di danneggiamento del criterio LaRC02, messa a confronto con
un altro recente criterio, quello di Puck.
75
Fig. 2 - Superficie di danneggiamento secondo LaRC02
L’algoritmo del LaRC02 è stato recentemente implementato nel codice di calcolo FEM
commerciale NEiNastran, rendendolo di fatto utilizzabile in maniera molto semplice ed intuitiva dal
progettista.
In figura 3 è illustrato l’andamento del carico di rottura a compressione secondo LaRC02 per un
laminato “angle ply” (ossia con fibre inclinate a ± un dato angolo θ ), al variare dell’angolo delle
fibre. Si può apprezzare come il risultato della simulazione FEM coincida con il risultato
sperimentale.
Compressive strength [MPa]
Compressive Strength of [+/-Q]s Laminates
1200
1000
Test Strength
NEiNastran LaRC02
800
600
400
200
0
0
10
20
30
40
50
60
70
80
90
Lamination angle Q [°]
Fig. 3 Confronto tra dati sperimentali e simulazioni FEM
2. ANALISI STATICA CON CARICHI INERZIALI
Uno dei problemi del calcolo FEM applicato alla nautica è quello dovere imporre al modello di
analisi una condizione di vincolo “almeno isostatica”, per evitare labilità del sistema di equazioni.
La condizione di labilità non è infatti accettata dal solutore FEM statico lineare.
La barca in navigazione, al contrario, non è soggetta a vincoli noti, ma si trova in una condizione di
equilibrio dinamico istantaneo tra azioni molteplici: spinta di Archimede, spinta di propulsione,
resistenza idrodinamica, inerzia.
Pertanto, qualsiasi sia il vincolo applicato all’imbarcazione, si tratta di una forzatura che, talvolta,
può portare a risultati della simulazione “non fisici”, o perlomeno a mettere in discussione la
validità delle ipotesi di analisi del modello.
Per aggirare questo limite, esiste una tecnica di simulazione FEM ormai consolidata da tempo nel
settore aerospaziale, che prende il nome di Inerial Relief. Questa tecnica viene correntemente
76
utilizzata per simulare strutture in equilibrio dinamico, quali aerei e razzi in volo, satelliti in
manovra.
Nella simulazione con Inertial Relief, l’analista seleziona un punto della struttura indicato come
“supporto”. Il solutore FEM provvede quindi ad applicare alla struttura una distribuzione di
accelerazioni uniformi tali che le forze di inerzia e i carichi di progetto (pressioni, forze) producano
una reazione vincolare nulla sul supporto stesso (sistema di forze equilibrato).
Il metodo dell’Inertial Relief è stato utilizzato con successo per l’analisi e l’ottimizzazione dello
scafo di un motoryacht.
Il modello (illustrato in figura 4) è stato realizzato discriminando le varie zone costitute da diverse
laminazioni: chiglia, fondo, fianchi, madieri e longheroni. Ai fini dell’indagine sono state
schematizzate anche tutte quelle parti non strutturali (paratie, rivestimenti, motori, serbatoi, masse
distribuite) per tenerne debitamente in considerazione durante l’analisi di Inertia Relief.
Il carico è stato applicato utilizzando una distribuzione di pressione variabile lungo l’asse dello
scafo, utilizzando i criteri forniti dal registro.
Fig. 4 – Modello FEM di motoryacht
In figura 5 è illustrata la deformata statica dell’imbarcazione, messa a confronto con la
configurazione indeformata.
In figura 6 è illustrata la distribuzione di sollecitazione sulle parti strutturali. È possibile apprezzare
l’elevato stato di sollecitazione di madieri e longheroni, mentre risulta poco sollecitata la carena.
Fig. 5 – Deformata statica (amplificata)
77
Dettaglio
Fig. 6 – Distribuzione di stress sulle strutture interne e sullo scafo
Una volta messo a punto il modello di calcolo, è possibile utilizzarlo per ottimizzare la struttura
dello scafo intero semplicemente variando la laminazione del modello FEM.
Con poche ore di lavoro manuale è possibile quindi esplorare rapidamente ed economicamente un
ampio spazio di progetto, identificando la struttura ottimale in base ai requisiti richiesti (leggerezza,
rigidezza, costo, …).
3. ANALISI DI CONTATTO TRA CORPI
Uno dei fenomeni fisici più comuni nella meccanica è quello del contatto tra i corpi. Contrariamente
a quanto si possa pensare, si tratta di un problema frequente anche nella nautica e che si manifesta,
ad esempio, tutte le volte in cui si voglia valutare la corretta distribuzione di carico tra due sistemi
con collegamento flangiato. I casi più diffusi: il collegamento tra scafo e chiglia e quello tra chiglia
e bulbo.
Purtroppo sia le normative, che i metodi di calcolo classici (es. teoria di Hertz) non forniscono uno
strumento diretto per determinare la distribuzione della pressione di contatto su una flangia soggetta
a carichi combinati (trazione/compressione, flessione, torsione), e le tensioni corrispondenti indotte
sui componenti interessati.
Attraverso analisi FEM, per contro, è possibile simulare accuratamente fenomeni di contatto tra
parti di geometria qualsiasi. In tal modo il progettista è sollevato dalla responsabilità di assunzioni
semplificative “fantasiose” o dalla necessità di applicare sovradimensionamenti arbitrari.
A scopo esemplificativo, sono riportati due casi applicativi, cortesemente concessi da APM di
Treviso.
3.1 Chiglia sollevabile
Si tratta di un meccanismo nel quale la chiglia è collegata allo scafo mediante un perno, intorno al
quale la stessa viene fatta ruotare mediante l’azione di attuatori idraulici.
La struttura della chiglia è realizzata mediante lamiere in acciaio elettrosaldate, con dei componenti
in forte spessore nella zona di collegamento con il perno. La condizione di progetto è pari ad un
carico di flessione laterale dato dalla rotazione della chiglia a 90° rispetto alla direzione verticale.
Lo scopo di questa analisi è stato quello di analizzare la corretta distribuzione di stress nella zona di
collegamento tra chiglia e perno, per determinarne l’eventuale pericolosità e proporre,
conseguentemente, delle modifiche progettuali.
Il modello della chiglia è stato realizzato mediante elementi guscio per le lamiere, elementi solidi
per le boccole e il perno.
78
La figura 7 illustra la distribuzione di tensione data dal contatto, sul lato in trazione e quello in
compressione della lama, mentre la figura 8 illustra una sezione del sistema chiglia-perno,
evidenziando la distribuzione “fisica” delle tensioni.
Fig. 7.a – Tensione sul lato compresso
Fig. 7.b – Tensione sul lato teso
Fig. 8 – Sezione nella zona di collegamento
3.1 Chiglia fissa
Questo è un altro caso molto comune: quello del collegamento del bulbo alla chiglia mediante
flangia bullonata.
In questo caso la difficoltà è data dalla posizione molto arretrata del baricentro del bulbo, che tende
a caricare in maniera non uniforme le viti della flangia. E’ stata determinata anche la distribuzione
di stress all’interno dei cordoni di saldatura.
In figura 9 è illustrato il modello FEM della struttura. Anche in questo caso è stata effettuata una
modellazione ibrida con elementi trave, piastra e solido.
La massa del bulbo è stata correttamente distribuita sul telaio, attraverso la modellazione del
volume di piombo a elementi solidi tetraedrici (non mostrato in figura).
79
Fig. 9 – Modello FEM del collegamento bulbo-chiglia
In figura 10 è mostrato l’andamento dello stress di Von Mises sui lamierati della chiglia.
In figura 11 è evidenziata la distribuzione di stress all’interno dei cordoni di saldatura.
Per entrambi i risultati è apprezzabile l’effetto della posizione del baricentro del bulbo, che tende
scaricare buona parte del proprio peso sul bullone più arretrato.
Fig. 10 – Tensione di Von Mises sulla chiglia
80
Fig. 11 – Tensione sui cordoni di saldatura
4. CONCLUSIONI
Nel corso di questa breve trattazione, si sono potuti apprezzare i benefici apportati dall’analisi FEM
nella progettazione di varie strutture e componenti nautici.
In particolare si è messo in evidenza come il FEM sia in grado di produrre i risultati strutturali
cercati in tutti quei casi (e non sono pochi) nei quali le ipotesi per cui valgono i metodi di analisi
classica non siano applicabili, fornendo al progettista quelle indicazioni con cui prendere
serenamente e con cognizione di causa le proprie decisioni.
BIBLIOGRAFIA
[1] C.G. Dàvila, N. Jaunky, S. Goswami "Failure criteria for FRP laminates in plane stress”
81
LE PROVE AL VERO DEL NAVIGLIO DA DIPORTO:
PROCEDURE E FINALITÀ
Flavio Balsamo, Franco Quaranta
Dipartimento di Ingegneria Navale, Università di Napoli Federico II
Via Claudio 21 - 80125 Napoli
flavio.balsamo@ unina.it , franco.quaranta@ unina.it
SOMMARIO
La verifica delle prestazioni delle navi è dettata, nella normale prassi dell’ingegneria navale,
dall’esigenza di ottemperare a precise clausole contrattuali; tale consuetudine, ordinaria per la
cantieristica mercantile e militare, viene negli ultimi anni sempre più frequentemente adottata anche
nell’ambito delle imbarcazioni da diporto. Nel presente lavoro gli autori descrivono lo stato
dell’arte nell’esecuzione di prove al vero su imbarcazioni di taglia minore, sottolineano la ricaduta
in termini progettuali della maggiore conoscenza dei complessi fenomeni fisici implicati.
1. INTRODUZIONE
L’atto conclusivo della costruzione di una nave è costituito generalmente dall’esecuzione di una
serie di verifiche sul suo funzionamento. Si tratta di prove il cui scopo principale è dimostrare al
committente che la nave è in grado di navigare secondo le prestazioni definite nel contratto. Inoltre
l’ente di classifica verifica alcune caratteristiche della nave importanti ai fini della sicurezza, ad
esempio la manovrabilità. Per le navi della marineria mercantile le prove in mare richiedono diversi
giorni di navigazione; per le navi militari, in virtù del maggior numero di sistemi da provare, si può
arrivare anche a qualche settimana. In tutti questi casi le prove seguono un programma redatto in
precedenza a soddisfazione delle parti (test memoranda).
È chiaro che la maggior parte delle prove riguarda la verifica del corretto funzionamento degli
impianti installati a bordo, ma alcune di esse hanno una fondamentale ricaduta sull’attività
dell’architetto navale.
Una delle prove più importanti è la verifica della velocità nave, sia perché rappresenta generalmente
un forte vincolo contrattuale, sia perché rappresenta il momento in cui l’architetto navale verifica il
proprio operato. Negli anni parecchi cantieri hanno investito molto nell’esecuzione di prove di
velocità accurate, allo scopo di verificare le ipotesi fatte durante la progettazione ed avere minori
incertezze per le imbarcazioni costruite successivamente.
Tutto ciò ha portato alla costruzione di ricchi ed accurati database in possesso di alcuni istituti di
ricerca i cui dati principali sono reperibili in parecchie pubblicazioni.
La conoscenza accumulata in questa notevole mole di dati ha portato l’incertezza nel passaggio dai
dati vasca al comportamento in mare delle navi da trasporto mercantile tradizionali a valori molto
piccoli. È molto difficile oggigiorno che alle prove in mare una nave mercantile non dia i risultati
attesi, proprio in virtù di questa conoscenza abbastanza avanzata di questa tipologia di navi.
82
2. LA MISURA DELLA VELOCITÀ
La prova di velocità è dunque la prova che maggiormente interessa sia il committente che
l’architetto navale. Nel passato la valutazione della velocità si otteneva basandosi sulla misura del
tempo impiegato dalla nave a percorrere la distanza tra due basi misurate a terra; si trattava di un
metodo che, essendo legato alla accuratezza della rilevazione ottica di un operatore a bordo, forniva
dati spesso poco precisi e ciò in qualche caso era fonte di contestazione tra le parti.
Successivamente l’accuratezza delle misure fu migliorata dall’introduzione di sistemi basati su
postazioni radio a terra. Infine, con l’introduzione del sistema satellitare GPS per scopi
commerciali, si è giunti ad ottenere misure di velocità molto accurate.
Tutti questi metodi non consentono di ottenere ciò che interessa l’architetto navale, ovvero la
velocità rispetto all’acqua, ma forniscono la velocità rispetto alla terra, trascurando l’effetto legato
alla eventuale presenza della corrente.
La misura di velocità si effettua quindi secondo una procedura standard che consiste nel percorre
una stessa direzione di rotta prima in un senso e poi nell’altro; la velocità nave si ottiene come
media delle velocità così ottenute.
Fig. 1 – Esempio di rotta per la misura della velocità nave
La prima considerazione va fatta sulle condizioni del mare alle prove; a differenza delle prove in
vasca, ove le misurazioni si effettuano una volta che l’eventuale moto ondoso si sia completamente
smorzato, nelle prove al vero il pelo libero del mare è generalmente perturbato e, soprattutto in
alcuni periodi dell’anno, non è possibile attendere il verificarsi di condizioni di calma piatta.
Nella comune prassi si può accettare quindi la prova per stati del mare fino a forza 3, salvo poi
effettuare delle correzioni più o meno adeguate a seconda dell’esperienza e del database posseduto.
Questo tipo di procedura, generalmente applicata per le imbarcazioni maggiori, è sicuramente non
adatta alle imbarcazioni da diporto. Agli autori non risulta che ci siano degli standard, per cui la
valutazione delle condizioni del mare è lasciata al buon senso degli sperimentatori.
Per le imbarcazioni da diporto non è solo lo stato del mare o la corrente a rappresentare un elemento
di disturbo della misura ma può avere una certa influenza anche l’effetto del vento, dato che spesso
le imbarcazioni da diporto sono dotate di una ampia sovrastruttura. Sul problema dell’effetto del
vento su alcune tipologie di imbarcazioni non c’è una ampia letteratura, non essendo molte le
imbarcazioni per le quali siano disponibili oltre ai dati delle prove in vasca anche quelli in galleria
del vento. Inoltre va sottolineato come nelle prove in mare la direzione del vento possa essere
contraria a quella della corrente, rendendo le misurazioni particolarmente difficili da interpretare.
Inoltre, essendo la dipendenza della resistenza dipendente dal quadrato della velocità del vento, non
è corretto mediare i risultati ottenuti in andata ed in ritorno.
Generalmente durante la prova di velocità si cerca, se non di eliminare, almeno di limitare al
massimo le correzioni di rotta per evitare che queste influenzino, negativamente, la resistenza al
moto dell’imbarcazione. Non c’è opinione comune sull’entità di questa influenza ma questo
problema diventa molto sensibile per le imbarcazioni, ad esempio i catamarani, dotate di una
83
intrinseca instabilità di rotta, peraltro esaltata dalla presenza di onde, anche non molto alte.
Nella figura che segue si riporta il tracciato della velocità di un catamarano di 40 metri, in cui si può
notare come le variazioni della velocità (curva superiore) non si possano tutte attribuire alla
variazione della rotta (curva inferiore). Si nota altresì la difficoltà di mantenere una rotta stabile per
questo tipo di imbarcazioni.
Fig. 2 – Tracciato di velocità e rotta
È chiaro che solo con i moderni sistemi di acquisizione dati è possibile osservare in dettaglio la
misura ed ottenere utili indicazioni sulla sua qualità.
3. LA VALUTAZIONE DEL DISLOCAMENTO
Ai fini di una corretta correlazione con i dati vasca è necessario determinare il dislocamento
dell’imbarcazione alle prove in mare. Nel caso delle imbarcazioni mercantili generalmente non si
riesce ad ottenere alle prove il dislocamento di progetto (la quantità di merce che la nave poi dovrà
trasportare non è generalmente disponibile all’atto delle prove), per cui è necessario disporre delle
prove in vasca al dislocamento di progetto e procedere per estrapolazione.
Per le navi si rilevano le quote delle marche di immersione; ciò viene fatto in porto, con acqua
possibilmente calma e l’errore di valutazione dell’immersione che si commette è dell’ordine del
centimetro. Stante le grosse dimensioni della nave questa incertezza non conduce ad un grosso
errore sul valore del dislocamento, comunque non tale da influenzare in maniera significativa la
valutazione della resistenza al moto.
Per le imbarcazioni da diporto la determinazione del dislocamento effettivo pone problemi
maggiori; generalmente le marche di immersione non sono presenti, a meno di non trovarsi di fronte
a barche di una certa dimensione. D’altro canto, anche se fossero presenti, l’errore che si viene a
commettere sarebbe comunque considerevole date le dimensioni minori dell’imbarcazione (la
quale, proprio in ragione delle ridotte dimensioni, oscilla maggiormente sommando i propri moti
alle variazioni del pelo libero).
Gli autori hanno ottenuto una minore incertezza effettuando la lettura con una videocamera, in
maniera da apprezzare la lettura con maggiore tranquillità avendo inoltre la possibilità di visionare
84
più volte la stessa sequenza.
Quando le marche non sono presenti la determinazione può essere fatta valutando la distanza
dall’acqua di alcuni punti fissi disposti sulla murata, al cui posizione deve essere comunque
attentamente valutata all’atto della costruzione o con barca a secco.
La limitata grandezza delle imbarcazioni rende però percorribile la via più diretta alla
determinazione del peso di una imbarcazione, cioè l’utilizzo di gru dotate di cella di carico; esistono
cantieri dotati di gru in grado di sollevare e misurare il peso di imbarcazioni fino a 500 tonnellate.
La misura del peso rappresenta un problema centrale nella valutazione delle prestazioni delle
imbarcazioni da diporto; spesso infatti le modifiche e le dotazioni extra inserite durante la
costruzione determinano un incremento di peso il cui effetto è il mancato raggiungimento delle
prestazioni attese anche con carene ben disegnate e ben progettate.
4. LA MISURA DELL’ASSETTO
Per le imbarcazioni da diporto, che nella maggioranza dei casi sono a parziale o totale
sostentamento idrodinamico, riveste grande importanza la misura dell’assetto longitudinale assunto
dall’imbarcazione alla velocità di regime. Infatti l’assetto che generalmente si misura in mare è
generalmente maggiore, per fattori di diversa natura, di quello che si rileva nelle corrispondenti
prove in vasca. Tale misura, che si effettua con inclinometri basati su vari principi di
funzionamento, non pone particolari problemi se lo strumento viene posizionato in zone esenti da
vibrazioni. È inoltre preferibile che l’imbarcazione non sia affetta da moti di rollio o beccheggio,
che possono avere una certa influenza sulla misura ed aumentare la sua incertezza.
5. LA MISURA DELLA POTENZA
Per completare il quadro delle misure relative alle prestazioni idrodinamiche è necessario rilevare la
potenza assorbita dal propulsore. Questa è certamente la più complessa tra le principali misure
effettuabili a bordo di una imbarcazione, sia perché richiede l’utilizzo di una strumentazione di non
banale installazione, sia perché si tratta di una misura derivata.
Proprio a causa di queste caratteristiche molto spesso si risale alla potenza erogata dal motore a
partire dai suoi parametri di funzionamento, quali temperature dei gas di scarico, temperatura e
pressione dell’aria, numero di giri delle turbine, posizione delle pompe del combustibile ed
eventualmente consumi. Una volta rilevati questi dati li si confronta con quelli delle prove al banco.
Tale procedura presenta il vantaggio di essere molto semplice e di non richiedere altra
strumentazione al di fuori di quella generalmente installata sui motori. Va però sottolineato che essa
fornisce una valutazione molto grossolana della potenza. Tale misura, pur essendo comunque molto
utile per stabilire che il sistema motore-elica lavori in un campo di funzionamento accettabile,
assolutamente non fornisce un valore di potenza sufficientemente accurato per effettuare
considerazioni di tipo idrodinamico.
Infatti le prove al banco sono condotte secondo standard che sono quelli ottimali per il
funzionamento di un motore, ma sono raramente riproducibili a bordo di una imbarcazione.
Per esempio, la temperatura e l’umidità dell’aria di alimentazione che il motore incontra a bordo
saranno certamente diverse da quelle (che rispondono a precisi standard) che si realizzano in cella
di prova.
Inoltre non sempre è disponibile l’intero piano quotato del motore, ma di solito i punti di prova
sono individuati secondo una curva di potenza cubica tracciata teoricamente a partire dalla potenza
di progetto. Poiché molto spesso i parametri del motore relativi al reale punto di funzionamento in
prova non sono coincidenti con quelli delle prove al banco, si ricorre ad interpolazioni che
abbassano ulteriormente la qualità della valutazione.
Per avere dati di potenza che consentano di effettuare significative correlazioni vasca-mare risulta
quindi necessario procedere ad una misurazione diretta della potenza.
È ben noto come la potenza sia fornita dal prodotto della coppia per il numero di giri.
Quest’ultimo è rilevabile utilizzando dei pick-up magnetici affacciati su risalti realizzati sull’asse di
propulsione. Tali sensori sono dispositivi economici e di facile installazione. In alternativa è
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possibile effettuare la misura anche utilizzando sensori di tipo ottico. La precisione di queste
misurazioni dipende dalla scheda counter utilizzata per l’acquisizione ed in particolare dalla
frequenza del clock installatovi.
La misurazione della coppia pone invece problemi un po’ più complessi; essa va ottenuta misurando
la deformazione torsionale dell’asse tramite estensimetri. Il segnale rilevato dal condizionatore del
ponte estensimetrico, che ruota con l’asse, deve essere trasmesso al sistema di acquisizione fisso.
Per far ciò si utilizza un sistema di trasmissione in modulazione di frequenza. Dato che gli assi delle
imbarcazioni da diporto hanno velocità di rotazione di circa 1000 rpm, l’elettronica è soggetta a
forti sollecitazioni meccaniche, che vengono ridotte diminuendo le dimensioni degli strumenti.
Esistono in commercio misuratori di coppia molto compatti e di costo relativamente contenuto che
ben si prestano all’installazione sugli assi di piccolo diametro caratteristici di questa tipologia di
imbarcazioni.
Fig. 3 – Moderno torsiometro
L’incollaggio dell’estensimetro necessità di particolare cura, dato che l’allineamento della rosetta
influenza la misura della deformazione; anche la saldatura dei connettori richiede una certa perizia
per evitare che la prova fallisca per il distacco di un filo.
La principale incertezza nelle misure di coppia è però rappresentata dalla difficoltà di determinare il
modulo di elasticità trasversale dell’asse G.
È noto infatti che tale valore è la costante di proporzionalità tra il momento torcente e la
deformazione dell’asse e dipende sia dal modulo di elasticità E che dal modulo di Poisson υ
secondo la relazione
G=
E
2(1 + υ )
Sfortunatamente non per tutti i tipi di acciai impiegati nella costruzione degli assi navali è
disponibile un valore sufficientemente accurato di G, dato che le case produttrici non sempre lo
forniscono. Nei casi in cui è perlomeno nota la composizione metallografica del materiale si può
utilizzare il valore del modulo dell’acciaio più simile. Allo scopo di mostrare l’influenza che la
tipologia di materiale ha sui valori delle caratteristiche elastiche, nel seguito è mostrata una tabella
(ovviamente molto limitata) con i valori di E, υ e G di alcuni tipi di acciai di comune impiego per la
realizzazione di assi di imbarcazioni da diporto.
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Tab. 1 – Caratteristiche di alcuni acciai di impiego navale
Tipo Acciaio
Aquamet 17
Aquamet 18
Aquamet 19
Aquamet 22
E
[Mpa]
200600
199200
199949
199000
υ
0.291
0.290
0.295
0.312
G
[Mpa]
77700
78500
76140
72900
Si può notare come la variazione del modulo di elasticità tangenziale G fra i tipi di acciaio riportato
in tabella sia abbastanza rilevante, nell’ordine del 7 %.
In realtà il valore di G non dipende solo dalle caratteristiche fisiche del materiale, ma in qualche
misura anche dai processi di lavorazione che esso ha subito.
Il posizionamento dell’estensimetro ha una certa importanza: è noto infatti che l’andamento delle
linee di forza è influenzato dalle discontinuità geometriche dell’asse. La teoria consiglia di
sistemare il punto di misura ad una distanza pari ad almeno due diametri dalla discontinuità.
La figura che segue è relativa ad una sistemazione abbastanza agevole della strumentazione per la
misura di coppia e giri su uno dei due assi di una imbarcazione di circa 23 metri. Si notano in
particolare a sinistra il pick-up per la misurazione dei giri, a destra quello per la rilevazione del
segnale radio dal torsiometro.
Fig. 4 – Installazione di un sistema di misura della potenza
Sfortunatamente non sempre è possibile disporre dello spazio necessario a sistemare l’estensimetro
ad una distanza sufficientemente grande dalle discontinuità. Nella figura che segue si nota come la
ridotta porzione di asse disponibile tra l’accoppiatoio e la tenuta di un idrogetto non consente di
sistemare il punto di misura secondo quanto consiglia la teoria.
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Figura 5 – Installazione di un estensimetro in spazi ristretti
In questi casi, per ridurre l’incertezza, si potrebbero realizzare dei calcoli FEM per valutare l’entità
perlomeno qualitativa dell’errore commesso.
La soluzione ideale per migliorare la qualità delle misure di coppia sarebbe quella di eseguire una
prova statica sull’asse in esame o per lo meno su un campione di dimensioni minori dello stesso
materiale (e dalla stessa forma) nel caso le dimensioni rendessero tale prova problematica. Per far
ciò è necessario dotarsi di un dispositivo in grado di realizzare staticamente la coppia voluta tramite
martinetti idraulici con celle di carico interposte, facendo però attenzione a non generare sforzi di
flessione nell’asse.
Una prova di questo tipo veniva eseguita spesso in passato su assi di navi di dimensioni maggiori,
soprattutto della marina militare, fornendo dati per la costituzione di una statistica di un certo
rilievo.
Anche nella misurazione della coppia l’acquisizione di dati ad una elevata frequenza di
campionamento fornisce maggiori indicazioni sullo stato tensionale dinamico dell’asse,
permettendo di rilevare la presenza di oscillazioni flessionali o torsionali.
Nella figura che segue, in cui in funzione del tempo (espresso in secondi) è riportata la misura di
coppia (in Nm) eseguita su un aliscafo, si può notare la presenza, soprattutto a regime, di un forte
rumore.
Fig. 6 – Rilievo di coppia (Nm – s)
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In realtà il rumore ha componenti armoniche ben definite ed è dovuto alla presenza di vibrazioni
flessionali dovute alla forte inclinazione dell’asse; nello spettrogramma che segue appaiono
chiaramente i tracciati della componente fondamentale, che ha il valore del numero di giri espresso
in Hz e delle armoniche successive.
Fig. 7 – Spettrogramma del segnale precedente
6. ALTRE TIPOLOGIE DI MISURE
Accanto alla misura di velocità e potenza, che sono i dati che hanno maggiore interesse per gli
architetti navali, negli ultimi anni si stanno affermando misurazioni che hanno come scopo la
valutazione dei requisiti di comfort a cui gli utenti delle imbarcazioni da diporto prestano sempre
maggiore attenzione. Certamente la tenuta al mare è una delle caratteristiche che più determinano il
livello di comfort per i passeggeri di barche da diporto, come dimostra la tendenza attuale ad
installare sistemi attivi di contenimento dei moti anche su imbarcazioni di grandezza limitata. La
verifica dell’efficacia di tali sistemi, la cui applicazione oltre ad avere un certo costo può
determinare anche un incremento della resistenza al moto, può essere fatta o in maniera qualitativa
oppure utilizzando sensori di accelerazione e di velocità angolare, disponibili sul mercato, la cui
affidabilità è oggi certificata.
È chiaro che una indagine più accurata necessita di una valutazione meno soggettiva dello stato del
mare, ottenibile tramite boe ondametriche che peraltro sono installate in alcune aree.
Ulteriori misure richieste per asseverare il comfort dell’imbarcazione sono quelle di emissioni
acustiche e di vibrazioni. In questo caso si utilizzano fonometri ed accelerometri; si tratta di misure
molto delicate essendo molte le fonti di possibili immissioni sonore presenti a bordo delle
imbarcazioni. Negli ultimi tempi si sta studiando anche il problema del rumore idrodinamico ossia
di quello dovuto all’interazione tra il flusso idrodinamico sulla carena e la struttura, particolarmente
evidente con le imbarcazioni veloci realizzate in alluminio.
Infine tra le misure che è possibile effettuare sulle imbarcazioni da diporto vanno annoverate quelle
dei gas di scarico. Il problema delle emissioni è stato affrontato da una recente normative europea,
che però si applica ai motori al banco. L’esecuzione di prove al vero ha un certo interesse
scientifico perché potrebbe servire a caratterizzare meglio l’effettivo impatto che tali emissioni
hanno sull’atmosfera e contribuire al dibattito sull’opportunità o meno dell’introduzione di una tale
normativa, da molti giudicata eccessivamente severa. Va detto che ancor più che nel campo terrestre
la misura al vero degli inquinanti pone problemi molto seri. Analizzatori di qualità sono
generalmente ingombranti e delicati, per cui si deve ricorrere strumenti trasportabili ma meno
precisi. Inoltre nei motori di taglia ridotta il condotto di scarico è raffreddato ad acqua per cui non è
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possibile effettuare la misurazione. Infine l’ambiente di prova, caratterizzato da una alta umidità,
altera la misura degli inquinanti, che vanno correlati alla effettiva potenza erogata. Tutto ciò rende
la valutazione delle emissioni sul campo un argomento abbastanza ostico.
7. CONCLUSIONI
Da quanto esposto appare chiaro come gli autori ritengano l’esecuzione delle prove in vera
grandezza un fondamentale momento per lo sviluppo e l’ampliamento della conoscenza in un
settore, quello delle barche da diporto, caratterizzato da una fortissima diversificazione per tipologia
di scafi, materiali di costruzione, sistemi di propulsione.
La validità di queste prove è però fortemente condizionata dalla qualità della misura.
Migliorare l’attendibilità dei dati rilevati non è oggi particolarmente oneroso. Risultati ottimi sono
stati raggiunti promovendo una stretta collaborazione fra progettisti, costruttori e responsabili delle
prove. In particolare è sicuramente molto importante allestire gli impianti di propulsione delle
imbarcazioni di nuova costruzione realizzando piccoli accorgimenti,
sicuramente non onerosi, che consentono una agevole applicazione di strumenti e la riduzione del
rumore della misura.
I più attendibili risultati così ottenuti determinando un reale controllo della qualità del prodotto,
assicurano ad un tempo sia prospettive di sviluppo del prodotto stesso sia una promozione
dell’immagine del costruttore.
BIBLIOGRAFIA
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[2] “Guide for Sea Trials” – T&R Bulletin 3-47, SNAME, 1989.
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in service in the Neapolitan gulf; comparison between full scale trials and towing tank tests” Seventh International Conference On Fast Sea Transportation FAST 2003, Ischia, September
2003
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LA VALIDAZIONE VIRTUALE DI UN PROTOTIPO NAVALE
Andrea Carignano, Matteo Gualano
Seac02 S.r.l., c/o Incubatore Di Imprese
Via Pier Carlo Boggio 61 – 10138 Torino
andrea.carignano@ seac02.it , matteo.gualano@ seac02.it
SOMMARIO
Il valore della prototipazione virtuale nel settore nautico e le possibili soluzioni di prototipazione
attraverso strumenti di Realtà Virtuale e Realtà Aumentata.
ABSTRACT
L’esperienza della validazione virtuale nel settore dell’automotive può essere facilmente spesa nel
settore nautico dove, per analogia, i processi produttivi sono complessi e laboriosi. In entrambi i
casi la definizione di una piattaforma tecnologica di partenza e lo sviluppo di distinte componenti
da progettare in stretta collaborazione, richiamano la comune problematica delle scelte corrette
assunte col minor dispendio di risorse fisiche e temporali. La necessità di time-to-market brevi è
diretta conseguenza di un ambiente technology-driven che, al tempo stesso, implica un’attenta
analisi nelle fasi di basic design ad evitare costi di correzione nelle fasi finali di sviluppo. Soluzioni
di Realtà Virtuale e Realtà Aumentata sono già parte dell’engineering design nel settore automotive
e possono facilmente entrare nei processi di validazione del settore nautico.
1. INTRODUZIONE
Il progresso e la diffusione dell’information technology hanno dato la possibilità di introdurre nuovi
e significativi strumenti a supporto del settore della produzione, dando anche l’occasione di
sviluppare nuove tecniche che vanno incontro alle differenti fasi legate ai lavori in un cantiere
industriale. Il sistema produttivo legato a mezzi di trasporto nautico è, per sua natura,
prevalentemente improntato ad un approccio del tipo MTE (Make-To-Engineering) e MTO (MakeTo-Order) e difficilmente le economie di scala riescono ad affermarsi, se non per alcuni componenti
più o meno standardizzati che possono sfruttare il concetto di modularità ed adattarsi a differenti
soluzioni applicative con la minima variazione progettuale (in tal caso però, come per esempio può
avvenire per ciò che riguarda il piping, interviene spesso un rapporto di outsourcing con una società
terza). La fase di basic design, dal concept al functional design fino al product engineering, assume
come sempre in progetti di questo tipo un valore cruciale per l’efficienza del risultato finale sia in
termini di prodotto realizzato sia in termini di costo speso, temporalmente e monetariamente.
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2. IL VALORE DELLA VALIDAZIONE VIRTUALE.
L’intero settore nautico è ormai profondamente segnato dall’innovazione tecnologica. Da un lato
l’impiego di materiali sempre più innovativi, dall’altro la forma loro conferita strettamente integrata
con computazioni matematiche ed ingegneristiche sempre più articolate e complesse, concorrono al
miglioramento delle performance, della manutenibilità ed della sicurezza del prodotto finale. Il
tasso di innovazione tecnologica rende necessari nuovi strumenti di rapida validazione dei modelli e
dei progetti, per garantire un time-to-market al passo con i ritmi evolutivi del settore.
Diversi segnali, tra cui i diversi finanziamenti per progetti europei dedicati, evidenziano come la
strada del virtuale applicata al settore nautico sia fortemente ricercata dagli operatori stessi del
settore, consci delle sue potenzialità nel perseguire obiettivi di riduzioni tempi e costi. La
prototipazione fisica, anche non necessariamente in scala 1:1, è per lo più impraticabile per costi ed
effettiva utilità finale. La modellazione 3D finalizzata alla validazione virtuale del progetto di una
imbarcazione assume allora particolare importanza che cresce con le dimensioni del prodotto, legate
ovviamente alla tipologia nautica.
Il supporto della virtualità nelle fasi di progettazione e ingegnerizzazione facilità l’interfacciabilità
dei diversi team che possono essere coinvolti per attività di design distinte. I modelli virtuali sono
per loro natura digitale, facilmente interscambiabili, velocemente consultabili, editabili e
modificabili. Inoltre, grazie a nuove tecnologie di collaborative meeting, il controllo in remoto e in
locale di modelli e matematiche complesse, consente a più utenti, simultaneamente, di confrontarsi
su di un medesimo modello, permettendo migliori analisi di test and refinment concettuali non solo
nell’ambito di rapporti interaziendali (tra team funzionali distinti della medesima azienda), ma
anche interaziendali (con aziende terze, fornitori, subcontractors, ecc.). Riportare l’intero sistema
progettato all’interno di un insieme di database distinti per i diversi dipartimenti di design ma che
possano incontrarsi all’interno di un unico mondo virtuale, ottimizza anche i costi di investimento
dell’impianto, che diventa uno, standard per tutti. Lo schema di progetto dell’impianto idraulico per
i lubrificanti può essere visualizzato in 3D contestualmente allo spazio dedicatogli nel draft design e
simultaneamente all’ingombro fisico dei componenti meccanici ed elettrici che lo circonderanno.
Eventuali carenze progettuali saranno facilmente e velocemente evidenziabili, permettendo un
tempestivo intervento dei progettisti prima che altri ulteriori costi vengano affondati.
Nelle fasi di design e di review e refinment di un progetto complesso come quello di una
imbarcazione le principali attività di visualizzazione di dettaglio sono sostanzialmente di quattro
tipi. Trovare elementi all’interno di una scena; verificare a livello macro e microscopico eventuali
discrepanze, conformità sovrapposizioni o interferenze dei componenti; analizzare al dettaglio le
scene per ottimizzare il layout degli oggetti, l’eventuale dimenticanza di uno di essi o, al contrario,
la loro ridondanza; infine, un’analisi di tipo nonstatico, tipicamente attraverso delle animazioni, per
individuare eventuali condizioni di interferenza dinamica, il percorso dei segnali attraverso i sistemi
e le eventuali distorsioni dovute ai contestuali rumori. Per ciascuna delle attività sopra citate,
l’utilizzo di sistemi di realtà virtuale semplificano ed accelerano i metodi di analisi tanto più il
sistema di visualizzazione utilizzato coinvolga in modo immersivo l’utente.
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3. SOLUZIONI DI REALTÀ VIRTUALE
Il primo passo verso una efficace conversione a sistemi di validazione virtuale, è l’allestimento di
una sala virtuale che consenta la piena valorizzazione di uno studio grafico di design, concettuale o
funzionale, di un’analisi logistica in un plant-layout e così via.
L’eperienza di Seac02 nella realizzazione di soluzioni di tipo Powerwall e soluzioni di tipo CAVE a
più livelli di completezza tecnologica (dettati dalle dimensioni, dalle eventuali funzionalità di
stereoscopia o di interattività utente-sistema) deriva prevalentemente dalsettore industriale legato
all’automotive. L’affermazione in tali campi di strumenti di visualizzazione avanzata a supporto di
attività di engineering design e di ricerca e sviluppo, rappresentano una leva alla loro applicabilità al
settore nautico con il quale l’automotive non manca di analogie.
Un sistema powerwall consiste nell’allestimento di uno schermo ad altissima risoluzione, anche di
grandi dimensioni (a seconda delle esigenze anche oltre 30-40 mq di superficie), per la
visualizzazione di modelli 3D e di matematiche complesse. Il supporto software nel controllo e
nella visualizzazione dei contenuti permette la rappresentazione di elementi e componenti
costruttivi in scala 1:1.
Fig. 1 Schema strutturale di PowerWall basato su cluster grafico
Un tradizionale sistema di prototipazione fisica a grandezza reale, oltre ad un dispendio di risorse
materiali ingenti, comporta considerevoli lead time per il rilascio e la validazione dei modelli.
L’eventuale individuazione di incompatibilità costruttive o funzionali, comportano poi l’ulteriore
rallentamento della fase di design. L’esperienza del settore automotive insegna che, spesso, questa
fase di review di un prodotto complesso porta a ritardi talmente incisivi nei tempi di sviluppo da
rendere la piattaforma tecnologica adottata già obsoleta in uno o più aspetti prima della conclusione
dell’intero progetto. Come già sottolineato, un settore technology-driven come quello nautico
necessita, allo stesso modo di quello dell’auto, precisi impegni nell’accelerazione dei tempi di
review, senza ovviamente screditarne l’oggettivo valore. Con un powerwall di più di 15 metri di
base, allora, diventa possibile la
93
visualizzazione del modello di uno scafo nelle sue dimensioni effettive e grazie un potente motore
di render real time e a funzioni avanzate di controllo in tempo reale (possibili attraverso all’ausilio
di calcolatori prestanti) è possibile manipolare prospetticamente e zoommare sui dettagli per analisi
più approfondite di modelli di diversi milioni di poligoni. Le potenzialità della visualizzazione ad
alta definizione può essere incrementata sul fronte dell’immersività delle immagini grazie alla
proiezione in stereoscopia, che permette,indossando dei semplici occhialini a lenti polarizzate ,
l’analisi dei modelli proiettati con la percezione corretta delle varie profondità di campo.
Fig. 2 Esempi di utlizzo di un PowerWall per visualizzazioni ad alta definizione di grandi
dimensioni e prototipazione virtuale in scala 1:1
Anche a tal proposito, l’esperienza nel mondo della progettazione meccanica e industriale del
settore automotive ha suggerito una problematica, in questo caso legata alla compatibilità dei
diversi formati CAD utilizzati nelle fasi di design. La possibilità di abbreviare i tempi di sviluppo
passa anche dalla capacità di ovviare al problema di questa Babele informatica. La volontà di
investire in un sistema di visualizzazione per la realtà virtuale deve essere ripagata dalla versatilità
del sistema stesso, che non può e non deve implicare ulteriori costi di investimento in software,
specie se si collabora anche con aziende fornitrici esterne. Questa consapevolezza ha spinto Seac02,
a sviluppare una suite per la virtual e augmented relaity che consenta di riprodurre in stereoscopia
un file sorgente di tipo CAD tra i più comuni utilizzati, garantendo sempre continuità tra la fase di
progettazione e quella di validazione del prototipo virtuale indipendentemente dalla provenienza del
modello.
Un sistema di tipo Cave è rappresentato da una soluzione multi-schermo a proiezione sincronizzata
in cui gli schermi costituiscono le pareti di una ipotetica stanza. Le pareti, e cioè gli schermi, sono
ortogonali tra loro ma l’osservatore posto all’interno ha la percezione di una corretta prospettiva
dell’intera ambientazione riprodotta tutt’intorno. Un Cave può essere realizzato con un numero di
pareti che può andare da un minimo di due ad un massimo di sei (una per ogni faccia di un
parallelepipedo).
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Fig. 3 Schema strutturale di Cave a cinque schermi
Anche in questo caso il supporto della stereoscopia conferisce valore aggiunto alla semplice
visualizzazione dei contenuti su di uno schermo bidimensionale, sebbene rappresentanti oggetti 3D.
Una soluzione di tipo Cave può essere completata da un sistema tracking ottico che monitori gli
spostamenti dell’utente al suo interno ed aggiorni in tempo reale il punto di vista delle proiezioni
sugli schermi, garantendo in ogni istante la coerenza prospettica. In tal caso il Cave è attivo, mentre
in caso di assenza di un sistema di tracking per l’aggiornamento in tempo reale, il cave è passivo e
la corretta prospettiva al suo interno è garantita in unico punto.
Per evidenti ragioni costruttive, il cave è particolarmente funzionale nella visualizzazione di
ambienti che si sviluppano su più di un piano intorno all’osservatore. In tal modo, sono potenziati
vari tipi di valutazioni, dall’analisi di vani in cui siano, da progetto, raccolti elementi e componenti
distinti, fino a studi inerenti all’interior design. L’adozione di sistemi Cave nel settore automotive
ha permesso di conferire valore aggiunto alle review dei progetti legati agli impianti idraulici
meccanici ed elettrici che devono coesistere per esigenze progettuali all’interno di spazi chiusi. La
medesima problematica è ovviamente riscontrabile nel settore nautico dove, oltretutto, l’analisi per
un corretto bilanciamento dei carichi e delle strutture all’interno di vani limitati assume un
particolare significato. La possibilità di immergersi a 360° in stereoscopia all’interno dei progetti
impiantistici di una imbarcazione da maggiore consapevolezza della funzionalità o meno di
determinate forme e strutture.
Continuando con le analogie, nel settore automotive si ricorre spesso all’utilizzo di sistemi Cave per
la validazione estetica e funzionale degli abitacoli delle auto, così come delle cabine di aereo nel
settore aeronautico e le medesime soluzioni di analisi sono facilmente riportabili al caso nautico. La
verifica progettuale della corretta disposizione della strumentazione di bordo, l’adeguatezza degli
spazi, la funzionalità delle distanze, l’eventuale assenza o ridondanza di elementi, necessitano il
solo utilizzo dei modelli CAD di progetto ed evita l’allestimento di un vera cabina di prova.
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Fig. 4 Esempi di utilizzo di un Cave per visualizzazione immersiva per interior design Un sistema
Cave dotato di tracking ed osservato dall’esterno, anziché dall’interno, offre una soluzione tipo
camera di Vessel, in cui un oggetto tridimensionale può essere osservato a 360°. Le pareti laterali
dovranno essere più delle semplici quattro di un parallelepipedo e disposte lungo un perimetro
poligonale (un esagono, un ottagono ecc..). La soluzione estrema è l’implementazione di una Cave
cilindrico retroproiettato dall’interno. I modelli 3D di un motore, di uno scafo e così via possono
essere visualizzati e osservati a tutto tondo in un sistema che è un primo passo verso un differente
paradigma concettuale nell’ambito del virtuale: la Realtà Aumentata.
4. SOLUZIONI DI REALTÀ AUMENTATA
Il nuovo paradigma concettuale nell’ambito della progettazione legata alla meccanica, all’interior e
all’exterior design è rappresentato dalla realtà aumentata, cioè nella possibilità di contaminare il
mondo reale che ci circonda con elementi virtuali. La tecnologia utilizzata da Seac02 consente di
miscelare i due mondi attraverso un sistema software di riconoscimento ottico ed una videocamera
per catturare le immagini del mondo reale.
Fig. 5 Utilizzo di googles e marker per sistemi di realtà aumentata
Il sistema è in grado di riconoscere dei marker, semplici simboli stampati, all’interno del campo
visivo della videocamera e di sostituirvi un modello 3D renderizzato in tempo reale secondo la
corretta prospettiva. Il massimo effetto di immersività soggettiva può essere ottenuto utilizzando
degli Head Mounted Display (HMD) con una videocamera integrata. In tal caso, il campo
inquadrato coincide con il punto di vista che ha effettivamente l’utente nel mondo reale e gli
elementi virtuali aggiunti reagiscono prospetticamente in modo coerente a tutti I suoi movimenti.
Soluzioni di Realtà aumentata possono essere utilizzate in supporto alla progettazione, aggiungendo
ad elementi reali già fisicamente realizzati componenti che esistono ancora a livello di progetto. Il
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sistema può essere utilizzato per la valutazione degli ingombri fisici degli elementi, posti
singolarmente in uno spazio reale, o valutati simultaneamente per le verifiche di compatibilità ed
interferenza garantendo analisi sia di tipo statico che dinamico, dato che i modelli virtuali
miscelabili alla realtà possono essere anche animati. Le applicazioni al settore nautico possono
essere intuite anche in questo caso pensando alle soluzioni proposte nell’automotive. L’aggiunta di
un elemento virtuale ad una carrozzerie incompleta in sviluppo, come una portiera, un paraurti ecc.,
valida velocemente delle scelte progettuali di design.
Fig. 6 Visualizzatore per Real Time Design in Realtà Aumentata applicato al settore automotive
La realtà aumentata differisce dai precedenti sistemi citati per la possibilità di poter intervenire in
tempo reale sui sistemi di riferimento che relazionano gli oggetti con l’ambiente esterno, e quindi
tra di loro, semplicemente spostando i marker. Per questa ragione il sistema risulta particolarmente
adatto allo studio di problematiche legate al layout di componenti all’interno di uno spazio limitato
o più in generale plant-layout di un cantiere.
La funzionalità di un sistema di Realtà Aumentata consente soluzioni particolarmente innovative
anche nell’ambito della manutenibilità dei sistemi allestiti su di una imbarcazione, dagli impianti
idraulici a quelli elettrici ecc. Grazie al sistema di marker, infatti, le pareti possono diventare
temporaneamente trasparenti, se il modello virtuale associato è la rappresentazione di ciò che esiste
realmente oltre la parete stessa. Chi interviene per una manutenzione sia ordinaria che straordinaria,
è in grado di visualizzare on site, con HDM o PDA o semplice notebook, l’impianto installato ed
individuare un elemento ricercato senza la consultazione di piantine e schemi cartacei.
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Fig. 7 Realtà Aumentata per la validazione di un calcolo FEM o CFD
Fig. 8 Realtà Aumentata in supporto ad operazioni complesse di montaggio o manutenzione
5. CONCLUSIONI E LAVORI FUTURI
Seac02, grazie un attento periodo di studi ed analisi, è riuscita ad ottimizzare le soluzioni di
allestimento relative alle sale virtuali, giungendo ad una offerta estremamente competitiva sui costi
rispetto alle offerte dei pochi concorrenti nel settore in tutto il mondo. L’esperienza maturata nel
settore dell’automotive può essere facilmente ripercorsa nel settore nautico con il quale le analogie
nelle problematiche progettuali sono mancano.
Seac02, inoltre sta sviluppando e perfezionando un motore di rendering realtime in grado di gestire
modelli di diversi milioni di poligoni e che verrà integrato ai sistemi descritti in precedenza, con
particolare riguardo alla realtà aumentata implementata con il riconoscimento dei marker. La
verosimiglianza dei modelli sarà il passo determinante per l’efficacia di tale tecnologia
BIBLIOGRAFIA
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Shipbuilding Industry” Computer Grafics Vol 2 2003.
[3] M.Kanerva, M. Lietepohja, D. Rauma, P. Hakulinen “Shipbuilding Process – Challenges and
Opportunities” IBM Product Lifecycle Management Resource Paper First Edition March 2002
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LA SPERIMENTAZIONE IN VASCA NAVALE DELLE
IMBARCAZIONI DA DIPORTO
Claudio Pensa
Dipartimento di Ingegneria Navale, Università degli studi di Napoli “Federico II”,
via Claudio 21 – 80125 Napoli
[email protected]
SOMMARIO
In queste note è esposto il punto di vista dello sperimentatore in vasca navale per quanto riguarda la
previsione delle prestazioni del naviglio da diporto.
Si è proceduto identificando le peculiarità delle procedure sperimentali per le imbarcazioni da
diporto, cercando di rappresentare i limiti di validità delle previsioni per suggerire (implicitamente)
adeguati criteri di valutazione dei risultati.
Per concludere si è evidenziata l’importanza di una stretta collaborazione fra gli sperimentatori, i
progettisti ed i cantieri per migliorare la precisione delle previsioni e si sono prospettati criteri di
organizzazione e selezione delle condizioni di prova per realizzare il miglior rapporto costi benefici
dalle prove in vasca.
1. INTRODUZIONE
La valutazione delle prestazioni velocistiche delle imbarcazioni da diporto è, per diversi motivi, un
caso particolare dell’Architettura Navale sperimentale.
Prima di entrare nello specifico del tema può risultare utile notare che il fine evidentemente ludico
che caratterizza il possesso di una barca da diporto, rende la soggettività dei gusti e le opinioni degli
armatori fattori tanto condizionanti l’aspetto delle imbarcazioni da riuscire ad influenzare anche le
forme di carena. La molteplicità delle soluzioni realizzate, è stata negli anni ulteriormente ampliata
in ragione delle molte funzioni per le quali tali imbarcazioni sarebbero state ideate. Inoltre le
difficoltà intrinseche nella previsione delle prestazioni, che qui di seguito analizzeremo, ed il gran
numero di modelli fisici (diverse forme, dimensioni e parametri ponderali) ha generato un gran
numero di modelli interpretativi che a loro volta sono stati per anni causa di frequenti
diversificazioni delle convinzioni dei progettisti e, quindi, delle caratteristiche morfologiche dei
loro progetti.
Va notato che questa felice confusione mentale, generando la grande varietà di forme di cui si è
detto, ha costituito uno degli aspetti più gratificanti per l’interesse degli appassionati che
rappresentano pur sempre i fruitori ultimi del prodotto. Non sembri, questa osservazione, del tutto
banale: si ricordi, ad esempio, per quanto tempo barche a vela strette e pesanti hanno gareggiato con
alterna fortuna con scafi larghi e leggeri o quanto, ancora oggi, non sia del tutto chiaro quali siano i
limiti di validità dell’architettura a catamarano.
In sintesi, ciò che va tenuto presente, è la prima singolare circostanza nella quale si imbatte il
ricercatore che affronta questa disciplina: la dispersiva diversificazione dei modelli fisici da
interpretare.
99
Tornando più specificamente al merito dell’argomento da trattare, allo scopo di descrivere, in
maniera evidentemente sintetica, le peculiarità che in qualche misura governano i fenomeni
connessi alla procedura sperimentale di previsione delle prestazioni, dividiamo l’intera casistica nei
due grandi campi delle imbarcazioni a motore ed a vela.
2. LE IMBARCAZIONI A MOTORE
Nell’analizzare le specificità della sperimentazione in vasca delle imbarcazioni propulse con motori,
tratteremo in sostanza delle sole carene veloci in quanto per esse si manifestano le caratteristiche
condizioni di prova a cui abbiamo già alluso. Notiamo a tal proposito che anche nel diporto il valore
delle velocità relative (cioè dei numeri di Froude Fn) delle imbarcazioni plananti è sostanzialmente
inversamente proporzionale alle dimensioni di queste. Ne consegue che in base alla ben nota
imposizione di uguaglianza fra i numeri di Froude relativi al modello ed alla nave,
VM
=
g × LM
VS
g × LS
si è costretti ad operare alle massime velocità consentite dall’impianto e con rapporti di scala
λ=LS/LM molto grandi. In sostanza si subiscono nella massima proporzione gli effetti negativi che si
determinano sia nel rilevamento della misura, sia nella procedura di correlazione vasca-mare.
Più in particolare le difficoltà di misura sono dovute:
A)
B)
al virtuale accorciamento della vasca, causato dai maggiori tempi di accelerazione e
decelerazione, ed al minor tempo a disposizione per l’acquisizione dei dati durante il moto
permanente;
alla individuazione della reale direzione del rimorchio, resa difficile dalle notevoli
variazioni del pescaggio e dell’assetto longitudinale in corsa causate dalla spinta
idrodinamica tipica delle alte velocità.
Per quanto concerne le difficoltà di correlazione, queste sono dovute al rischio dell’insorgere dei
così detti effetti scala (evidentemente maggiormente incidenti quando λ è molto grande). Notiamo
infatti che si rimarcano gli intrinseci limiti della metodologia di Froude e si manifestano nuovi punti
critici. In sintesi:
1)
2)
3)
4)
5)
6)
la grande differenza fra i numeri di Reynolds nave e modello rendono assai poco attendibile la
valutazione delle resistenze delle appendici (timoni, flaps, interceptors, pinne di deriva, skegs,
braccetti porta assi, pattini longitudinali ecc.)
nelle prove di autopropulsione, le dimensioni delle eliche risultano estremamente ridotte, ed
anche i correnti metodi di correzione per l’adeguamento del numero di Reynolds tendono a
perdere di validità;
risultando diverso il numero di Weber che si realizza nelle condizioni di prova in vasca da
quello relativo all’esercizio in mare, non viene rispettata la similitudine nei fenomeni
influenzati dalla tensione superficiale del fluido;
si determina, per motivi non ancora del tutto chiari, una differenza fra l’assetto longitudinale
in corsa che si realizza in vasca e quello verificato al vero (in genere è maggiore quello
misurato in vasca);
risulta difficile la determinazione del peso apparente e del baricentro virtuale dovendo tenere
in conto la vera direzione della spinta dei propulsori (dipendente sia dall’inclinazione degli
assi delle eliche sia dagli assetti longitudinali in corsa);
può diventare molto importante la non facile valutazione dell’area e della lunghezza
significative della superficie bagnata in corsa per il computo della resistenza d’attrito.
100
Le difficoltà relative al rilevamento della misura si affrontano realizzando apparecchiature ideate
specificamente per questo genere di prove, parte dell’impegno operativo, quindi, si trasferisce nella
valutazione della precisione e della affidabilità dello strumento di misura. Entrando nel dettaglio:
A)
B)
per far crescere i tempi di acquisizione, si scelgono sistemi di fissaggio del modello al carro
che consentono la eliminazioni dei vincoli che scaricano i dinamometri durante le fasi di
accelerazione e decelerazione;
la determinazione della direzione della forza di rimorchio si può risolvere in due modi:
• esercitando l’azione del rimorchio con una forza costantemente orizzontale;
• variando l’altezza del punto di rimorchio solidale al carro dinamometrico in funzione
dello spostamento verticale del punto solidale al modello.
Applicando una forza costantemente orizzontale (figura 1) si ha la vantaggiosa coincidenza della
direzione della forza di rimorchio e della resistenza all’avanzamento del modello. Inoltre, sul
modello si genera una coppia appruante, dovuta alla resistenza idrodinamica ed al rimorchio, che
tende a ridurre la sopravalutazione dell’assetto in corsa che si verifica in vasca sui modelli veloci di
piccole dimensioni.
Figura 1
Nella figura 2 è rappresentato il secondo metodo con il quale si risolve appieno il problema. Va
però notato che un adattamento manuale alla geometria del rimorchio richiede tempo e quindi
lunghezze della vasca spesso non disponibili per le alte velocità di prova. Resta possibile, ed in tal
senso ci si sta muovendo al Dipartimento di Ingegneria Navale di Napoli (DIN), utilizzare un
controllo automatico e sfruttare quindi al meglio le possibilità della procedura sperimentale.
Figura 2
I problemi legati alla correlazione vasca-mare sono ovviamente di altra natura. In particolare:
1)
Dalle grandi differenze fra i numeri di Reynolds, nasce l’esigenza di sperimentare carene
senza appendici e di valutare le resistenze dovute a queste ultime in sede separata. Così
facendo, oltre ad ignorare le reciproche influenze fra la carena e le varie appendici, si applica
implicitamente la risultante di tutte le resistenze di queste al punto di applicazione del
rimorchio, in quanto si ignorano gli effetti diretti ed indotti che si avrebbero riportando le
101
2)
3)
varie resistenze ai reali punti di applicazione (così procedendo, in qualche misura, si amplifica
la sopravalutazione dell’assetto dinamico di cui si è già fatto cenno).
Sempre a causa del ridotto numero di Reynolds, in molte vasche si evita di effettuare prove di
autopropulsione su modelli tanto piccoli e veloci. Ciò comporta l’impossibilità di valutare
sperimentalmente, per il modello in esame, i fattori di autopropulsione, e determina anche la
limitata disponibilità in letteratura di dati e, di conseguenza, la ridotta attendibilità delle
procedure statistiche di valutazione della efficienza di propulsione delle imbarcazione veloci.
Per esaminare i problemi che nascono dai valori che assume in vasca il numero di Weber,
ricordiamo che questo è un coefficiente adimensionale che rapporta le forze inerziali a quelle
legate alla tensione superficiale del fluido. La formulazione analitica di questo parametro è:
Wn =
V 2× L× ρ
σ
dove V è la velocità del fluido, L è una lunghezza rappresentativa le caratteristiche
geometriche del modello (o, meglio, della parte di questo che si sta analizzando), ρ è la
densità di massa del fluido e σ è la tensione superficiale dell’acqua. Osservando che la
tensione superficiale dell’acqua non si riduce proporzionalmente nella trasposizione dalla
nave al modello, risulta evidente quanto peso può avere un grande rapporto di scala λ. (che
determina VM << VS ed LM << LS). Un parziale aggiramento di questo nodo, lo si può
compiere realizzando gli spigoli bagnati durante il moto, cioè le parti del modello più
coinvolte da questi fenomeni, con un cosiddetto angolo di distacco maggiore di 120° ed un
raggio di curvatura sullo spigolo più piccolo possibile (figura 3). Questo espediente risolve
spesso in modo soddisfacente la verosimiglianza della posizione della linea di distacco dei
baffi di prora dalla carena, ma lascia di difficile valutazione gli effetti scala che, in qualche
misura, influenzano il flusso intorno ai pattini longitudinali sul fondo dello scafo ed intorno
ad i redan ed alle altre discontinuità della superficie bagnata.
Figura 3
4)
Relativamente alle osservate differenze fra gli assetti longitudinali in corsa realizzati in vasca
ed al vero, l’interpretazione oggi più comunemente accettata individua nell’andamento delle
linee di corrente del fluido sotto la carena la causa del fenomeno. In particolare, qualora si
riuscisse a visualizzare il flusso dell’acqua intorno al modello ed alla carena della nave, ci si
renderebbe conto che il fluido, deviato verso il basso dalla prora, tende nel moto verso poppa
a recuperare la quota originale. Nella nave questo flusso, secondo questa interpretazione,
urtando sul fondo dello scafo nella zona di poppa, crea un momento appruante che almeno in
parte viene a mancare nel modello. Sotto di esso infatti l’acqua, a causa della irrealizzata
similitudine geometrica fra il fenomeno al vero ed il modello riprodotto, scavalca la carena
disperdendo parte dell’energia che sulla nave era stata riceduta sotto forma di momento
appruante. Per superare questo inconveniente o si agisce sulla posizione del baricentro,
tenendo conto che le proporzioni del fenomeno sono funzione anche della velocità, o, nel caso
auspicabile in cui le prove vengono effettuate con correttori di assetto (flaps o interceptors),
ricercando il miglior risultato al variare dell’angolo di esercizio dei correttori ed ipotizzando
che al vero, anche se per un diverso angolo dei flaps, tale assetto sia ottenibile. Può essere
102
5)
6)
utile sapere che, per imbarcazioni che realizzano in vasca angoli di assetto compresi fra 3.5 e
5 gradi, le esperienze fatte dal DIN indicano che la misura in vasca generalmente sopravaluta
di circa un grado il dato verificato alle prove a mare.
La valutazione dell’effetto che sull’assetto in corsa ha l’inclinazione della retta di azione dei
propulsori è estremamente difficile. Essa infatti agisce sia direttamente sull’assetto, in quanto
la spinta non è parallela alla risultante della resistenza e non passa per il punto di applicazione
di questa, sia, operando un virtuale alleggerimento della barca, cambiando di fatto la
geometria immersa della carena e quindi di nuovo, ma indirettamente, influenzando l’assetto
dinamico.Non c’è modo per aggirare questi problemi se non applicando la forza di rimorchio
in perfetta similitudine con la geometria della spinta al vero. Come si è già detto un impianto
di questo tipo è stato realizzato al Dipartimento di Ingegneria Navale di Napoli dove si è
osservato che, nonostante l’automatismo della regolazione, la procedura con tiro controllato
determina una sostanziale maggiore difficoltà nel rilievo della misura. Questa difficoltà è
determinata dal pericolo che si manifestino rumori meccanici nella misura di difficile
quantificazione. Per maturare una buona conoscenza dei fenomeni, è in corso di svolgimento
presso il DIN uno studio che sta paragonando le previsioni effettuate con entrambi i sistemi
(tiro orizzontale e controllato) ai dati rilevati nelle prove in vera grandezza.
Le difficoltà che si incontrano nella individuazione dell’area della superficie e della lunghezza
bagnate in corsa nascono dal fatto che queste non si possono ottenere che visivamente.A
rendere complessa questa operazione, oltre la brevità del tempo disponibile, è un fenomeno
che nasce anch’esso dalla tensione superficiale dell’acqua. Questa, infatti, non riducendosi
proporzionalmente nella trasposizione fra la nave ed il modello, sovrasta per un tempo ed uno
spazio proporzionalmente maggiori la cosiddetta instabilità di Helmhotz, cioè la tendenza
della lamina d’acqua che forma i baffi di prora a trasformarsi in spruzzi. I baffi risultano
quindi ben più grandi di quello che dovrebbero essere e rendono spesso problematico
osservare questa parte della carena (figura 4).
Figura 4
Tale indeterminatezza può risultare particolarmente significativa in quanto proprio in questa
zona la direzione del flusso non coincide assolutamente con quella del moto ed è quindi del
tutto inattendibile ritenere che questa parte della superficie bagnata contribuisca alla
formazione del campo di forze viscose, allo stesso modo in cui lo fa la rimanente parte della
carena.
103
Si cerca di superare queste difficoltà fotografando e filmando da più punti di vista il fenomeno
durante l’intera corsa di prova.
Risultano utili in tal senso impianti di illuminazione efficaci, la possibilità di valutare la
geometria bagnata durante la visione rallentata del filmato ed ancora le foto subacquee con le
quali è anche possibile individuare le linee di ristagno (figura 5).
Figura 5
Si noti che, a rigore, le linee di ristagno delimitano a prora l’area bagnata sulla quale si
realizza la resistenza di attrito (differentemente da quanto accade a prora di esse dove il moto
relativo fra acqua e carena ha la componente assiale diretta verso prora).
Dal numero dei punti critici evidenziati, appare evidente che mai come nel caso del naviglio minore
(per dimensioni) risulterebbe utile il così detto coefficiente di conguaglio da determinare,
selezionando i casi omologhi, rapportando le previsioni sperimentali ai risultati delle prove in vera
grandezza. Grazie ad esso si potrebbe ridurre in maniera significativa il grado di indeterminatezza
delle previsioni effettuate. Sfortunatamente questa procedura, usata in molte circostanze, è in questo
caso di limitata applicabilità sia per la grande diversificazione delle forme (e la conseguente
difficoltà nel selezionare i dati significativi) sia per la grave mancanza di rilievi al vero attendibili (e
disponibili in letteratura) di unità precedentemente provate in vasca.
Se il primo punto appare un aspetto fisiologico della progettazione del naviglio da diporto, il
secondo è forse l’elemento centrale da affrontare per migliorare le capacità di previsione. Da una
più stretta collaborazione fra cantieri, progettisti e centri di ricerca (cioè le vasche navali che
forniscono i risultati sperimentali) si potrebbero ottenere, con relativa rapidità, molti dei dati
necessari per una più precisa conoscenza dei modelli fisici trattati.
Le difficoltà ed i limiti di procedura evidenziati, potrebbero generare nel lettore l’impressione di
una sostanziale inadeguatezza del metodo sperimentale. Tale conclusione sarebbe assolutamente
errata. Infatti:
1. I punti trattati evidenziano le maggiori difficoltà che si incontrano valutando questo tipo di
imbarcazioni in relazione alla ormai acquisita standardizzazione raggiunta nella valutazione
delle prestazioni del naviglio tradizionale di grande tonnellaggio.
2. Dal punto di vista ingegneristico l’affidabilità raggiunta, ovviamente migliorabile, è
certamente già soddisfacente.
3. Eccezion fatta per i codici di calcolo numerici, con i quali è ancora oggi difficile ottenere
dati assoluti (sono infatti utili ed attendibili sopratutto nelle valutazioni relative) qualunque
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altro metodo di previsione si basa su dati rilevati sostanzialmente nelle prove sperimentali in
vasca navale. Ne consegue che, procedendo questi metodi a valle della metodologia
sperimentale, non possono essere certo considerati più attendibili.
4. Con la sperimentazione in vasca è possibile osservare nel dettaglio aspetti importanti del
comportamento della carena che altrimenti sarebbero non valutabili. In particolare, oltre alle
caratteristiche di resistenza, sono analizzabili la stabilità dinamica longitudinale e
trasversale, la ventilazione dei propulsori, gli angoli di incidenza delle linee di corrente sui
pattini longitudinali, la qualità del flusso a poppa dello specchio di poppa ed altro ancora.
Una ultima considerazione può risultare utile sia per promuovere ulteriormente la collaborazione tra
sperimentatori, progettisti e cantieri sia per avvalorare la adeguatezza industriale della
sperimentazione in vasca. Con un adeguato scambio d’informazioni preventive, è possibile
concordare con il laboratorio un programma di prove che consente di ottenere una grande quantità
di dati a costi contenuti.
A titolo di esempio, si consideri la semplice determinazione della resistenza al rimorchio di una
carena per la quale è necessario ottenere valutazioni a dislocamenti sostanzialmente diversi (caso
molto frequente). Si realizza una buona economia:
•
•
•
determinando le curve di resistenza per i soli dislocamenti minimi e massimi (valutati per
altro in modo cautelativo – cioè rendendoli ben diversi);
provando la carena con uno o due dislocamenti intermedi alle sole velocità critiche (ad
esempio quelle di contatto, massime ed eventualmente di gobba) ;
ed in fine, per le stesse velocità, effettuando la ricerca del migliore assetto o della più
efficiente azione dei correttori di assetto (posizione dei flaps o degli interceptors).
Così procedendo con non più di trenta punti di acquisizione ed una limitata spesa di allestimenti del
modello, si sono ottenuti una enorme quantità di dati che potrà essere utile anche con assetti
dell’imbarcazione diversi per peso e posizione del baricentro. Nella figura 6 è indicata graficamente
l’estensione del campo di interesse della sperimentazione ipotizzata.
Figura 6
105
3. LE IMBARCAZIONI A VELA
Le prove di rimorchio dei modelli di barche a vela sono senza alcun dubbio una delle operazioni più
complesse della Architettura Navale sperimentale.
La più evidente e forse più importante ragione di quanto detto, nasce dal fatto che queste
imbarcazioni, tranne che nella condizione di vento in poppa, navigano sempre sbandate e con
angolo di scarroccio. Per avere una percezione di quanto questo modello fisico sia complesso, basta
visualizzare, a titolo di esempio, il semplice caso di un aumento della forza del vento. Immaginando
di voler mantenere inalterata la rotta, è facile verificare che:
•
•
•
•
la barca aumenta l’angolo di scarroccio per contrastare l’aumentata componente laterale
della forza aerodinamica e
sbanda per aumentare il momento raddrizzante;
la cresciuta spinta aerodinamica e la cresciuta resistenza idrodinamica (dovuta oltre che alla
aumentata velocità anche ai variati angoli di scarroccio e di sbandamento) generano un
appruamento dello scafo,
si verificano spostamenti, a sottovento del baricentro della spinta aerodinamica e verso prora
di quello della risultante idrodinamica, che generano un incremento del momento
imbardante che va contrastato con l’aumento dell’angolo di barra del timone.
Tenendo presente che ognuno di questi effetti influenza tutti gli altri, si può avere un’idea della
complessità del fenomeno.
Quanto detto non è gratuito. Ricordando la assoluta simmetria che deve verificarsi fra i vettori
risultanti delle forze aerodinamiche ed idrodinamiche, si intuisce che le grandezze velocità, angolo
di sbandamento, angolo di scarroccio, angolo di assetto longitudinale ed angolo di barra del timone
sono strettamente correlate fra loro ed i valori che essi possono coerentemente assumere sono
funzione del campo di forze aerodinamiche generato dal piano velico e dall’opera morta e dalle
intrinseche caratteristiche di stabilità della barca.
Dal momento che prima della singola corsa di rimorchio vanno scelti i valori di almeno quattro
parametri fondamentali (angoli di scarroccio e di sbandamento, velocità ed assetto longitudinale), in
linea di principio l’intero sistema dinamico dovrebbe essere conosciuto prima delle prove.
Evidentemente sono state ideate procedure che con un accettabile grado di attendibilità hanno
aggirato questo paradosso. In particolare sono oggi applicate due metodologie di prova.
•
La prima si basa sulla sequenza di molte corse di prova nelle quali i valori dei parametri di
cui si è detto sono scelti in maniera relativamente acritica: viene cioè individuato un insieme
di valori delle quattro grandezze che con sostanziale certezza contengano le condizioni reali
di esercizio. Individuate per ogni corsa di prova le componenti del campo idrodinamico, si
scelgono i risultati in base alla preventiva conoscenza (calcolata o sperimentata) delle forze
aerodinamiche da associare ad essi imponendo la simmetria dei due campi di forze
(aerodinamico ed idrodinamico).
• La seconda procedura tenta di realizzare una maggiore similitudine applicando al modello di
carena un simulacro di albero sul quale viene vincolata la forza di rimorchio. Sia la
posizione longitudinale dell’albero sia il punto di applicazione della forza di rimorchio sono
variati con controllo automatico per realizzare, ad ogni velocità di avanzo del modello, la
stabilità di rotta necessaria. Così procedendo, si realizza necessariamente una associazione
coerente delle quattro grandezze principali (di scarroccio e di sbandamento, velocità ed
assetto longitudinale)e con essa il così detto sail point cercato. Resta evidentemente da
valutare quale velocità del vento e quale piano velico determineranno una risultante pari (in
proporzione) alla forza di rimorchio applicata ed il punto di applicazione realizzato.
Alla già evidente complessità delle metodologie descritte, partecipano anche, come nel caso delle
barche a motore, la intrinseca difficoltà del rilevamento della misura e gli effetti fisici della
riduzione di scala.
106
Non potendo entrare nello specifico di un argomento così complesso, ci limiteremo ad una rapida
descrizione dei principali aspetti che rendono singolare e complessa la sperimentazione delle
imbarcazione a vela:
•
•
•
•
•
Le grandi appendici sempre presenti in una barca a vela (derive e timoni) rendono di
fondamentale importanza la valutazione degli effetti dei piccoli numeri di Reynolds
realizzati sul modello. Evidentemente, punto centrale dell’impostazione di una serie di prove
su una carena di questo tipo è la individuazione delle dimensioni minime del modello e,
quindi, la verifica delle capacità operative della vasca.
Per procedere al calcolo dei numeri di Reynolds, è importante individuare il valore della
lunghezza significativa (che, date le comuni forme delle carene, spesso, non può essere
considerata la lunghezza al galleggiamento) e la velocità di interesse (funzione, oltre che
delle caratteristiche intrinseche della barca, anche delle probabili condizioni meteomarine).
E’ fondamentale produrre una sufficiente stimolazione della turbolenza del flusso intorno
alla carena, la quale, però, implica la valutazione della resistenza parassita degli stimolatori
che va ovviamente sottratta ai valori misurati.
E’ relativamente frequente il verificarsi del distacco della vena fluida che comporta
variazioni della resistenza e della portanza poco prevedibili e per tanto difficili da riportare
al vero.
L’errore umano, in questo genere di prove, è relativamente frequente. Può infatti essere
provocato sia dalle difficoltà relative all’allestimento del modello (l’allineamento dei
dinamometri è un momento critico dell’intera procedura), sia dalla validazione della misura
(che è fortemente influenzata dalla correttezza degli angoli di sbandamento e di assetto), sia
dalla calibrazione e taratura dei numerosi strumenti (la cui contemporanea attendibilità è
indispensabile per ritenere validi i valori rilevati durante la corsa).
Non sarà sfuggito al lettore che, pur assicurando una precisa e valida previsione del comportamento
idrodinamico della carena, l’attendibilità delle previsioni delle prestazioni velocistiche deve
sottostare alla accuratezza della valutazione del campo di forze aerodinamiche. Questo è per sua
intrinseca caratteristica di difficilissima modellazione (si pensi a quanto su di esso influisce la
tecnica con cui viene condotto un moderno piano velico caratterizzato da antenne flessibili, stralli a
tensione regolabile ecc.), per cui è evidente che per questo genere di prove si devono organizzare
gruppi di lavoro nei quali convergono competenze relative a discipline che per diverse consuetudini
non sempre hanno gli stessi interessi di ricerca.
4. ALTRE CONSIDERAZIONI
Va ora notata una sostanziale differenza che si è verificata fra la sperimentazione delle barche a vela
e quelle propulse a motore. Per le prime, il campo di utilizzazione della procedura sperimentale si è
limitato quasi esclusivamente alle imbarcazioni da competizione, mentre per le seconde la tendenza
è esattamente invertita.
Per quanto concerne le imbarcazioni a motore, ciò è dovuto al fatto che nelle competizioni si
raggiungono oramai velocità che rendono assolutamente proibitive le prove in vasca. Si consideri
che sono oramai comuni, ad esempio nelle competizioni off-shore, velocità dell’ordine dei 120 kn
che, con lunghezze vicine ai 12 m, implicano numeri di Froude prossimi a 5.7. Volendo riprodurre
il fenomeno in una vasca con un carro dinamometrico capace di accelerare fino a 7 m/s, velocità già
non raggiungibile per molti impianti, bisognerebbe costruire un modello lungo appena 15 cm e
subire, quindi, una inaccettabile influenza degli effetti scala.
La tendenza inversa che si è verificata nella vela è sostanzialmente dovuta all’impegno finanziario
necessario alla sperimentazione di queste barche. Da qualche tempo, però, sia per l’alto costo e
valore commerciale di alcune prestigiose realizzazioni non destinate alle competizioni, sia per il più
frequente allontanamento dall’ortodossia, che costringeva le imbarcazioni da crociera in angusti
spazi progettuali rendendole implicitamente lente, sono divenute più frequenti le sperimentazioni e
conseguentemente più affidabili i risultati.
107
In tal senso, è forse importante specificare che l’ancora diffuso senso di perplessità che si incontra
nel mondo professionale nei confronti della sperimentazione in scala ridotta di questo tipo di barche
è un retaggio legato ai frequenti insuccessi verificatisi fino alla metà degli anni ‘70. Per recuperare
invece la fiducia nello strumento sperimentale, basta pensare all’uso intensivo ed indubbiamente
fruttuoso che di questo strumento è stato fatto, nella progettazione di imbarcazioni destinate alle
grandi (e finanziatissime) sfide della Coppa America e della Withbread.
L’accresciuta, ma ancora scarsa, tendenza all’utilizzo delle vasche navali nel campo delle
imbarcazioni a vela non destinate alla competizione dovrebbe consentire un significativo
arricchimento dei dati disponibili in letteratura (sia relativi ai risultati che alle metodologie con le
quali questi sono stati ottenuti), e invertire la tendenza alla riservatezza che evidentemente
caratterizza il settore della progettazione dei mezzi da competizione. Se ciò avverrà, se cioè la
pratica operativa della progettazione nella nautica a vela si continuerà ad arricchire del necessario
rigore scientifico, si verificherà anche per essa ciò che si è verificato nella nautica da diporto a
motore. Ci riferiamo alla fortunata circostanza che vede questo settore dell’Ingegneria Navale come
ideale e fertilissimo campo di sperimentazione di nuove idee che, grazie ai costi relativamente
ridotti, alla ricchissima tipologia di natanti esistente ed alla implicita maggiore libertà di pensiero e
creatività che lo caratterizza, consente al più impegnativo e, per sua natura, lento ad evolversi
settore del naviglio “maggiore” di applicare idee e tecnologie che altrimenti ben più tardi sarebbero
state raggiunte.
BIBLIOGRAFIA
[1] “Status of Hydrodynamic Technology as Related to Model Tests of High-Speed Marine
Vehicles” - David W. Taylor Naval Ship Research and Development Center; Bethesda, Maryland.
[2] “International Towing Tank Conference” - Reports degli anni 1987 - 2002.
[3] P. van Oossanen, “Predicting the Speed of Sailing Yachts” - Transactions SNAME, volume 101,
1993
[4] F. Balsamo, S. Miranda, C. Pensa, F. Quaranta, “Analisys of the operations of a catamaran in
service in the Neapolitan gulf; comparison between full scale trials and towing tank tests” - Seventh
International Conference On Fast Sea Transportation FAST 2003, Ischia, September 2003
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LA COSTRUZIONE NAVALE IN MATERIALI COMPOSITI OGGI
E LE PROSPETTIVE FUTURE
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SOMMARIO
• Introduzione
• Evoluzione delle Tecniche Costruttive delle Imbarcazioni
• Lo Stato dell’Arte
• Il Futuro
• Conclusione
1. INTRODUZIONE
Un ringraziamento all’Università di Messina, all’ASPRONADI, ai presenti e a tutti coloro che
hanno contribuito all’organizzazione di questo Sea-Med 2004.
Il mio intervento è più discorsivo rispetto a quanto avete avuto modo di ascoltare in precedenza e
anche le foto che vedrete sono soltanto una sequenza d’immagini di imbarcazioni, naviganti, in
costruzione e in allestimento. Non vi è un particolare legame tra foto e foto, se non il fatto che si
tratta solamente di strutture costruite in compositi avanzati.
Iniziando con un breve accenno storico sull’evoluzione della costruzione navale in materiali
compositi si passa poi a descrivere quello che rappresenta lo stato dell’arte della costruzione per
concludere con una panoramica di quelli che potranno essere gli sviluppi futuri.
2. EVOLUZIONE DELLE TECNICHE COSTRUTTIVE DELLE IMBARCAZIONI
L’inizio di questa storia lo possiamo probabilmente porre attorno al 1937-38 quando Ray Greene,
uno studente che si pagava i costi dell’Università dell’Ohio costruendo piccole imbarcazioni a vela,
pensò di usare un’autoclave per realizzare una Snipe utilizzando un composito di melamina e tela di
lino. Forse non se ne rese conto, ma probabilmente è stato il primo costruttore di una moderna
imbarcazione in compositi avanzati.
Dopo essersi laureato Greene continuò su questa strada provando praticamente ogni genere di
materiale o prodotto venisse inventato dalle industrie di materie plastiche. Erano industrie che
avevano nomi quali Owens-Corning, American Cyanamid, PPG…, nomi e marchi che di lì a
qualche anno sarebbero divenuti famosi nella cantieristica moderna. Nel 1942 realizzò
un’imbarcazione che fu la prima grande struttura in fibre di vetro con una matrice resinosa.
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Le resine prodotte in quegli anni erano densissime e molto difficili da usare; I laboratori di ricerca
delle varie industrie fecero uno sforzo enorme per migliorarne l’utilizzabilità e col tempo i
costruttori cominciarono a credere in tali prodotti e a moltiplicarsi.
Si deve tenere conto che negli anni ‘50 uno scafo in GRP (Glass Reinforced Plastic) aveva un costo
di produzione che era superiore di oltre il 50% rispetto a uno in legno, ma dopo solo 10 anni, negli
anni ’60 i costi delle due tecniche costruttive erano pressoché identici.
Oggi ci troviamo in una situazione del tutto simile a quella di allora: le costruzioni in composito
avanzato con strutture a sandwich sono decisamente più costose rispetto a quelle tradizionali in
vetroresina. Grazie a nuovi prodotti, a tecniche più automatizzate e alla diminuzione dei costi delle
fibre a elevate caratteristiche la differenza in termini economici andrà progressivamente
riducendosi.
3. LO STATO DELL’ARTE
Oggi nelle strutture a sandwich più sofisticate le fibre più utilizzate sono essenzialmente tre: fibre di
carbonio, fibre aramidiche e fibre di vetro.
Le prime hanno iniziato a diffondersi in campo nautico nei primi anni ’70 per le loro elevate
caratteristiche di rigidità e basso peso specifico. Grazie all’aumento della quantità prodotta
annualmente il loro costo è drasticamente diminuito col passare del tempo, mentre, in parallelo, lo
sviluppo di nuovi “gradi” di fibra hanno portato a un costante incremento delle loro caratteristiche
meccaniche.
Fig. 1 - Pelle esterna scafo in carbonio
Le fibre aramidiche, inizialmente commercializzate dalla DuPont come Kevlar, e oggi prodotte
anche da un paio di altri concorrenti, si sono affermate in campo nautico per le loro elevate
caratteristiche di resistenza all’impatto. A causa dell’esistenza di un “quasi monopolio produttivo”,
la diminuzione dei costi rispetto alle fibre di carbonio è stata proporzionalmente minore.
110
Fig. 2 - Stratificazione pelle in fibra aramidica scafo Wor 60’
Le fibre di vetro (Tipo E) rimangono ancora quelle più economiche e più utilizzate nelle costruzioni
nautiche. Le aziende produttrici hanno sviluppato anche delle fibre di vetro ad elevate e interessanti
caratteristiche come il tipo R, S ed S2, ma si tratta essenzialmente di prodotti molto specializzati
che sono stati ben presto sorpassate dalla diminuzione del costo delle fibre di carbonio. Attualmente
vengono utilizzati praticamente solo in certi casi per specifiche restrizioni nelle regole di stazza di
particolari classi che non permettono l’impiego di fibre differenti da quelle di vetro.
Nel corso degli anni sono state sviluppate e provate, con alterne fortune, anche altre fibre, ma la
loro diffusione e impiego sarà essenzialmente legata alla diminuzione dei costi di produzione e al
fatto che vengano accettate dai Regolamenti di Stazza delle varie classi.
Le resine per la grande produzione sono essenzialmente le poliesteri e le vinilesteri. Gli sviluppi e
la ricerca degli ultimi anni si sono indirizzate essenzialmente verso un miglioramento dei sistemi di
catalizzazione e una diminuzione dei contenuti di solventi.
Le resine epossidiche sono invece quelle tradizionalmente utilizzate nelle costruzioni in composito
avanzato e il loro sviluppo negli anni passati è stato prevalentemente indirizzato verso un
miglioramento della lavorabilità (minore viscosità e allungamento dei tempi di lavorabilità), della
sicurezza (riduzione dei componenti tossici e riduzione delle proprietà allergiche) e delle
caratteristiche meccaniche (perfezionamento dei sistemi di catalizzazione, innalzamento della Tg e
aumento dell’elasticità).
Fig. 3 - Scafo di catamarano Offshore pronto per essere messo in forno
111
Grazie alla comparsa dei primi sistemi di preimpregnati a bassa temperatura attorno al 1983-84, è
stato possibile applicare alla costruzione navale una tecnologia che fino ad allora era utilizzata
praticamente solo in campo aeronautico.
I preimpregnati, come dice la parola stessa, hanno il grande vantaggio di essere impregnati a
macchina dal produttore e quindi di garantire un costante e corretto rapporto resina/catalizzatore, un
ideale rapporto d’impregnazione delle fibre e un’accurata previsione e controllo dei pesi. A ciò va
aggiunta anche una teorica riduzione dei tempi di lavoro in quanto non occorre bagnare
manualmente i vari strati di fibra nel momento in cui vengono posti in loco.
Fig. 4 - Cura in forno sottovuoto di scafo da regata realizzato in prepreg
Negli ultimi venti anni anche questi prodotti hanno subito notevoli miglioramenti e oggi presentano
una maggiore tolleranza verso le condizioni ambientali (in particolare umidità), un maggior tempo
di lavorabilità (4-6 settimane contro i 2-3 giorni di allora) e maggiori Tg. Quest’ ultima
caratteristica è fondamentale per la costruzione di scafi o manufatti che si prevede siano poi
verniciati con colori scuri.
Dopo avere parlato di fibre e di resine il terzo elemento fondamentale che si deve considerare in
una costruzione in compositi avanzati è l’anima del sandwich; materiali quali la balsa, gli espansi di
PVC (o altri espansi termoplastici) e i nidi d’ape (di Nomex o, più scarsamente, di alluminio) sono
sempre stati uno dei punti chiave nella costruzione nautica fin da quando, oltre 30 anni fa, si
cominciarono a costruire delle strutture a sandwich.
Negli ultimi anni si sono diffusi anche altri 2 prodotti: gli espansi SAN (Stirene Acrilo Nitrile) e i
nidi d’ape di alluminio PAA (Phosphoric Acid Anodised).
I PVC espansi, a tutt’oggi i più utilizzati, devono essere lavorarti con una certa accortezza, devono
essere sottoposti a un corretto processo di stagionatura per evitare fenomeni di “degassing” e
devono essere curati dopo la lavorazione (taglio e carteggiatura) sempre per evitare un possibile
rilascio di gas. Indipendentemente da ciò vi sono alcuni sistemi di prepreg epossidici che sono
chimicamente incompatibili con i PVC portando a possibili inibizioni della cura e a scarsa adesione
tra pelli e anima.
112
Alcuni di questi difetti vengono sorpassati con l’uso di espansi SAN che hanno buone
caratteristiche meccaniche (leggermente inferiori a quelle dei PVC), non hanno problemi di
“degasssing” e fino a oggi non hanno evidenziato incompatibilità con sistemi di resine. Questi
espansi, per contro, sono costosi e hanno tendenza a gonfiarsi a temperature elevate per cui occorre
prevedere una verifica delle geometrie - seguita da un’eventuale carteggiatura per l’avviamento
della superficie - dopo la fase di incollaggio, prima di iniziare la stratificazione della seconda pelle
del sandwich.
Fig. 5 - Esempio di struttura sandwich con anima in nido d’ape
I nidi d’ape non hanno problemi di degassing e sono perfettamente stabili al variare della
temperatura. Hanno un eccellente standard di produzione e costano oggi come gli espansi SAN.
Anche loro presentano dei lati negativi, vanno usati con accortezza (umidità ed espansione dell’aria
durante la cura) bassa insonorizzazione.
Il nido d’ape PAA (in alluminio trattato superficialmente con acido, anodizzato e ricoperto con una
pellicola di epossidica) è un materiale che esiste da anni, ma che, fino a pochi anni fa, aveva un
costo spropositato. Potrà probabilmente prendere spazio nella costruzione nautica più sofisticata
grazie alla sue eccellenti caratteristiche meccaniche e per il fatto di essere praticamente
inattaccabile dalla corrosione (fattore che invece aveva impedito la diffusione del nido d’ape di
alluminio).
Le imbarcazioni più moderne hanno scafi, strutture e coperte realizzate generalmente a sandwich
sottovuoto in quanto tale processo garantisce un’ottimale compattazione delle pelli e un accurato
incollaggio dell’anima.
Per componenti di carbonio che debbano avere particolari caratteristiche strutturali (alberi, assi
timoni, ecc.) l’uso di autoclavi e polimerizzazioni a temperature e pressioni elevate è diventato di
uso comune anche se talvolta l’impiego di questa tecnica viene limitato dai Regolamenti di Stazza.
Nella produzione di serie si sono diffusi negli ultimi 5-6 anni i sistemi d’infusione. La prima
costruzione di questo genere risale agli anni 70 quando il Cantiere Contessa, lavorando in
collaborazione con la ScottBader e con la Lotus Car mise in produzione una barca a vela, l’OOD34.
Pur con i loro pregi e difetti venne costruita una svariata quantità di queste imbarcazioni monotipo
di 34’; successivamente il Cantiere ebbe dei problemi e il sistema non venne implementato da altri
produttori, ma riapparse poi alcuni anni fa con il trade name SCRIMP.
113
Fig 6 - Laminazione e posa del sacco del vuoto.
Fig 7 - Semiscafo sottovuoto e semimodellopronti per la lavorazione.
Di tecniche d’infusione ve ne sono svariati generi, un po’ per non dovere sfruttare brevetti di altri,
un po’ per ragioni pratiche, vari produttori e costruttori hanno messo a punto la loro propria
metodologia per impregnare strati di fibre secche e anime sfruttando un sistema di vuoto per
l’avanzamento della resina che viene immessa tramite una serie di ugelli appositamente disposti
sugli stampi. I sistemi di infusione vanno bene per barche di serie, mentre sono meno vantaggiosi
per la costruzione di prototipi o esemplari singoli in quanto i tempi e i costi necessari alla messa a
punto degli stampi e del sistema di immissione della resina verrebbero ammortizzati su un solo
manufatto.
Occorre infine riconoscere che un grande contributo all’evoluzione dei metodi costruttivi delle
imbarcazioni in compositi avanzati lo ha dato anche lo sviluppo dei sistemi di calcolo e il
diffondersi di software per l’analisi a elementi finiti a costi decisamente più contenuti di quelli
applicati una decina di anni fa. Grazie a una migliore e più accurata progettazione strutturale si è
potuto praticamente dimezzare il peso della struttura scafo/coperta/strutture di uno yacht di Coppa
America, passando dagli oltre 3600 kg per le barche del 1990 ai 2000 kg o meno delle attuali
barche. Ciò è stato ottenuto ridisegnando la struttura interna e ponendo strati di fibre di carbonio
solamente ove occorra, prevedendo inserti localizzati nelle anime nei punti in cui si sarebbero poi
state installate le attrezzature di coperta.
114
Fig 8 - Lande sartie in carbonio
E’ ovvio che per ottimizzare una struttura in tal modo occorre partire da una serie di informazioni
che devono essere note fin dall’inizio con sufficiente precisione (ad esempio il carico della scotta di
randa alle varie andature, ecc.). Una struttura così ottimizzata bisogna però anche saperla utilizzare
e non si può nemmeno pensare di spostare un bozzello o di cambiare i rinvii di una manovra senza
prima averne parlato con il progettista delle strutture.
4. IL FUTURO
Negli anni a venire ci sarà certamente un’ulteriore evoluzione nel campo dei materiali legata
principalmente a:
•
Nuove regole che consentiranno l’uso di fibre ad elevato modulo per realizzare gli alberi dei
Coppa America.
•
Miglioramento dei sistemi di iniezione controllati e automatizzati.
•
Sviluppo di sistemi di “tape placement” che potrebbero integrarsi a sistemi meccanizzati a 5
assi che si vanno sempre più diffondendo per la costruzione di stampi.
•
Sviluppo di prepreg a temperatura di polimerizzazione e compresa tra 50 e 60°C (che già
oggi esistono, ma che hanno caratteristiche meccaniche e Tg piuttosto basse, nonché tempi
di lavorabilità troppo brevi per un reale utilizzo).
•
Sviluppo di sistemi d’infusione con resine fotosensibili. Prodotti di questo genere
risolverebbero alcuni degli svantaggi dell’infusione così come funziona oggi. La possibilità
di usare resine che non iniziano a polimerizzare fino a che non sono esposte a determinate
radiazioni luminose consentirebbe di non avere limiti di tempo per l’impregnazione del
componente che si trova nello stampo con gli immaginabili vantaggi di potere controllare la
sua corretta impregnazione.
115
Certamente lo sviluppo futuro dei materiali seguirà due direttrici principali: da un lato si
svilupperanno materiali ad alte caratteristiche, specifiche per la costruzione di prototipi a elevate
prestazioni (pre-preg e anime a elevate caratteristiche); dall’altro si svilupperanno dei sistemi che
permettano la riduzione delle ore di manodopera (tape placement) e la riduzione delle emissioni in
atmosfera e dei tempi di contatto diretto tra resine e operatori (infusione).
5. CONCLUSIONE
Ci dobbiamo però sempre ricordare che, malgrado tutte le evoluzioni che potranno esserci nei
materiali e nelle tecnologie costruttive, la qualità di una struttura in composito sarà sempre
dipendente dalle capacità e dall’accuratezza che l’operatore mette nel suo lavoro.
116
MATERIALI INNOVATIVI PER APPLICAZIONI NAVALI: SANDWICH IN
LEGA LEGGERA (AFS)
V. Crupi, C. Frisardi, R. Montanini, S. Pirrotta
Facoltà di Ingegneria, Università degli Studi di Messina, Salita Sperone 31, 98166
Sant’Agata (ME), Messina.
[email protected], [email protected],
[email protected], [email protected]
SOMMARIO
Nel presente studio vengono analizzate le proprietà meccaniche di sandwich strutturali realizzati
interamente in lega leggera (AFS, Aluminium Foam Sandwich), costituiti da un core in schiuma
metallica e da due sottili pelli esterne in alluminio. Sono state studiate due differenti tipologie di
pannelli, entrambe con densità media totale di circa 0,9 g/cm3, ma ottenute con un diverso processo
tecnologico (coesione metallurgica delle pelli, incollaggio mediante resina epossidica).
La risposta strutturale è stata valutata effettuando prove sperimentali di microdurezza, di
compressione a differenti livelli di temperatura, di flessione su tre punti (in campo statico e
dinamico), di smorzamento.
L’analisi dei dati sperimentali ha consentito di ottenere informazioni utili per l’impiego di sandwich
AFS in applicazioni navali.
ABSTRACT
The mechanical behaviour of two different AFS (Aluminium Foam Sandwich) typologies, having
an average total density of about 0,9 g/cm3, has been assessed. They differ essentially for the skincore interface, obtained by a thermal-mechanical process and by means of adhesive bonding.
The AFS sandwiches structural response has been determined through extensive experimental
works, by performing hardness tests, flatwise compression at different temperatures, edgewise
compression, static and dynamic three point bending and damping tests.
The experimental results reported in this study provided useful data for future applications of this
new material in ship design.
1. INTRODUZIONE
Tra i nuovi materiali emergenti di interesse ingegneristico, i sandwich AFS, costituiti da un core in
schiuma metallica e da due pelli esterne in alluminio, presentano numerose caratteristiche (basso
peso specifico, efficiente capacità di dissipazione energetica, elevata resistenza agli urti, buon
isolamento acustico e termico, elevato smorzamento), che li rendono estremamente interessanti e
potenzialmente utilizzabili per numerose applicazioni, quali ad esempio la realizzazione di strutture
leggere ad alta resistenza meccanica e con elevata capacità di assorbire gli urti [1, 2].
117
Gli AFS presentano molteplici vantaggi [3, 4]: le pelli possono essere inserite direttamente durante
il processo di produzione eliminando gli inconvenienti dell’adesivo e permettendo di lavorare a
temperature più elevate, i pannelli possono essere facilmente sagomati secondo forme complesse e
sono molto più resistenti ai danni provocati dall’infiltrazione di acqua (questa proprietà è molto
importante per le applicazioni nel settore navale), gli AFS con core costituito da schiume a celle
aperte possono essere utilizzati come scambiatori di calore, mantenendo anche una discreta
resistenza strutturale.
Dati sperimentali sul comportamento meccanico di schiume in alluminio e sandwich AFS sono
riportati in letteratura nel caso di pannelli ottenuti mediante incollaggio delle pelli su matrici in
schiuma di alluminio [3-10].
In questo ed in precedenti studi effettuati dagli autori [11-12] è stato invece analizzato anche il
comportamento di sandwich AFS con pelli unite al core mediante trattamento termo-meccanico
durante il processo di produzione.
Obiettivo del presente lavoro è approfondire lo studio di sandwich AFS, realizzati secondo modalità
costruttive differenti, per individuare alcune potenziali loro applicazioni nel settore navale.
2. PROVE SPERIMENTALI
2.1 Analisi EDX
Sono state considerate due diverse tipologie di pannelli AFS, costituiti rispettivamente da un core in
AlSi7 e da 2 pelli di 1 mm di spessore in AlMn1 (Schunk GmbH, Heuchelheim, Germania) e da un
core in AlSi10 e da 2 pelli di 1 mm in alluminio puro al 99.5 % (Alulight GmbH, Ranshofen,
Austria). Entrambi i sandwich esaminati presentano un core in schiuma di alluminio a celle chiuse,
prodotto con tecnica metallurgica (metal powder). La principale differenza tra le due tipologie di
pannelli AFS esaminate risiede nell’interfaccia pelli-core, con un trattamento termo-meccanico nel
primo caso e mediante adesivo epossidico nel secondo.
La composizione chimica delle due tipologie di pannelli (Tabella 1) è stata esaminata mediante
indagine EDX, effettuata su campioni di dimensioni 10x10x11 mm, preliminarmente sottoposti ad
un processo di lappatura.
Tabella 1. Composizione chimica da analisi EDX
Zona
Pelli
Core
Adesivo epossidico
Alulight
Al 99.6%, O 0.4%
Al 82.3%, Si 17%, Ti 0.14%, O 0.56%
C 72.12%, O 27.71%, Cl 0.17%.
Schunk
Al 98.97%, Mn 1.03%
Al 92.83%, Si 7.03%, Ti 0.14%
Nei campioni Alulight si nota la notevole presenza di silicio (frazione di volume del 17%) rispetto a
quelli Schunk (7%) ed anche qualche piccola traccia di titanio (l’agente schiumante usato per la
produzione di tali pannelli è idruro di titanio), presente in entrambe le tipologie di AFS. L’elevata
percentuale di silicio misurata localmente, superiore a quella media (10%) dichiarata dal produttore,
indica la presenza di elevati gradienti di concentrazione, dovuti probabilmente al processo di
produzione della schiuma metallica.
2.2 Prove di microdurezza
Sono state svolte, per entrambe le tipologie di AFS, prove di microdurezza Vickers su campioni di
dimensioni 20x20x11 mm. I risultati ottenuti sono riportati in Tabella 2.
118
Tabella 2. Misure di durezza HV: valori medi e deviazione standard
AFS
Schunk
Schunk
Alulight
Alulight
Zona
Pelli
Core
Pelli
Core
Valore medio (HV)
42.96
54.60
40.88
53.86
Deviazione standard (HV)
1.94
5.06
2.29
5.40
Si nota una differenza significativa tra i valori misurati sulla pelle e sui bordi delle celle che
costituiscono il core.
2.3 Prove di Flatwise Compression a differenti temperature
Le principali proprietà meccaniche dei sandwich AFS sono state determinate utilizzando una
macchina di prova materiali (Lloyd Instruments Inc., Fareham, UK), equipaggiata con una cella di
carico da 10 kN, acquisendo i valori di forza e spostamento della traversa mobile. La macchina è
stata attrezzata con una camera termostatica per effettuare prove anche ad elevata temperatura.
Sono state effettuate 8 prove di flatwise compression per ciascuna tipologia di AFS a temperatura
ambiente e 2 prove per ciascuna tipologia a differenti temperature (100, 200 e 300 °C). Nelle prove
di flatwise compression il carico è applicato in direzione normale alla superficie delle pelli. Sono
stati esaminati campioni con dimensioni nominali di 25x25x11 mm e 30x30x11 mm. La velocità di
carico è stata fissata a 2 mm/min con un precarico di 10 N. Le prove eseguite sono conformi alla
normativa ASTM [13].
Tensione nominale / MPa
8
7
6
5
4
ALULIGHT
3
SCHUNK
2
1
0
0
5
10
15
20
25
30
35
40
Deformazione nominale percentuale
Figura 1. Confronto tra le prove di flatwise compression per gli AFS Alulight e Schunk
In Figura 1 sono riportate le curve σ−ε ottenute da prove di flatwise compression a temperatura
ambiente (20 ± 1 °C) per le due tipologie di AFS esaminate (Schunk ed Alulight).
Il comportamento è quello tipico dei materiali cellulari con tre distinte regioni. Dopo un tratto
preliminare di assestamento dovuto alla non perfetta complanarità delle superfici di carico, si nota
una prima parte in cui il materiale presenta comportamento elastico lineare seguito da una fase
elasto-plastica fino al raggiungimento della tensione di picco, parametro indicativo dell’inizio del
collasso. Segue una seconda fase di plateau, in cui i vari piani delle celle della schiuma collassano
uno sull'altro a causa del buckling delle singole celle, ed infine la terza fase di densificazione della
schiuma che produce un deciso incremento del carico.
119
In tabella 3 sono riportati i seguenti risultati delle prove sperimentali di flatwise compression per gli
AFS Schunk ed Alulight: tensione di picco σp, modulo elastico E, energia dissipata U per differenti
valori nominali di deformazione ε. Il modulo elastico è stato calcolato secondo normativa [13]
applicando la seguente equazione:
E=
St
A
(1)
dove S è la pendenza del tratto lineare della curva carico - freccia dopo la fase di assestamento, t è
lo spessore del core (9 mm), A è l’area della sezione resistente. La tensione di picco è stata definita
come intersezione delle tangenti relative al tratto lineare ed al plateau.
Tabella 3. Risultati delle prove di flatwise compression
AFS
Valore medio
Schunk
Alulight
Deviazione standard Schunk
Alulight
σp
E
[MPa]
[MPa]
4.69
2.44
0.76
0.60
146
65
52
31
U [J]
U [J]
U [J]
U [J]
ε=10% ε=20% ε=30% ε=40%
1.92
4.27
7.45
12.18
0.97
3.00
6.16
11.59
0.32
0.61
0.86
1.54
0.46
1.06
1.75
2.85
Dalla Figura 1 e dai dati riportati in Tabella 3 si osserva il miglior comportamento dei pannelli
Schunk, che presentano caratteristiche meccaniche superiori. Il valore elevato della deviazione
standard relativo alla determinazione del modulo elastico è dovuto all’elevata disomogeneità della
schiuma.
I pannelli Schunk presentano un tratto elastico lineare più pronunciato con una tensione di picco
notevolmente superiore rispetto ai pannelli Alulight (Tabella 3) ed ovviamente un significativo
incremento di energia dissipata. Negli AFS Schunk vi è inoltre un ritardo della fase di
densificazione rispetto agli Alulight.
Nelle Figure 2 e 3 sono riportate le curve σ − ε di alcune prove di flatwise compression a diversa
temperatura. L’andamento delle curve è simile a quello descritto sopra per le prove a temperatura
ambiente.
Come confermato anche in un altro studio, pubblicato di recente [15], l’aumento di temperatura
produce una significativa riduzione della tensione di picco ed un aumento della deformazione di
densificazione. L’effetto della temperatura è inverso rispetto a quello della densità [10, 15].
In tabella 4 si riportano i risultati delle prove di flatwise compression effettuate a diversa
temperatura (20°C, 100°C, 200°C e 300°C).
120
8
Tensione nominale / MPa
7
6
5
4
T = 300°C
3
T = 200°C
2
T = 100°C
1
T amb
0
0
5
10
15
20
25
30
35
40
Deformazione nominale percentuale
Figura 2. Prove di flatwise compression a differenti temperature su AFS Schunk
8
T = 300°C
Tensione nominale / MPa
7
T = 200°C
6
T = 100°C
5
T amb
4
3
2
1
0
0
5
10
15
20
25
30
35
Deformazione nominale percentuale
Figura 3. Prove di flatwise compression a differenti temperature su AFS Alulight
121
40
Tabella 4. Risultati delle prove di flatwise compression effettuate a differente temperatura
T
[° C]
20
100
200
300
AFS
σp
Schunk
Alulight
Schunk
Alulight
Schunk
Alulight
Schunk
Alulight
E
[MPa]
[MPa]
4.69
2.44
4.55
2.12
3.77
1.43
2.54
0.96
146
65
141
55
134
38
95
32
U [J]
U [J]
U [J]
U [J]
ε=10% ε=20% ε=30% ε=40%
1.92
4.27
7.45
12.18
0.97
3.00
6.16
11.59
2.89
7.93
14.48
1.57
4.22
8.24
1.99
5.32
9.45
14.95
0.81
2.39
5.06
10.08
1.78
4.01
7.07
11.25
0.79
2.09
4.24
7.90
2.5 Prove di Edgewise Compression
Sono state effettuate 2 prove di edgewise compression per ciascuna tipologia di AFS. Nelle prove di
edgewise compression il carico è applicato in direzione parallela alla superficie delle pelli ed i
campioni sono ammorsati sia nella loro parte superiore che inferiore. I campioni esaminati avevano
dimensioni nominali pari a 25x11x60 mm.
La velocità della traversa mobile è stata impostata a 0,5 mm/min con un precarico di 10 N.
La Figura 4 evidenzia il diverso comportamento delle due tipologie di pannelli AFS sottoposti a
edgewise compression.
250
Tensione nominale / MPa
SCHUNK
200
ALULIGHT
150
100
50
0
0
2
4
6
8
10
12
Deformazione nominale percentuale
Figura 4. Confronto prove di edgewise compression su AFS Alulight e Schunk
Nel caso degli AFS Alulight si osserva una rapida salita di carico in corrispondenza del tratto
elastico-lineare, quindi si ha lo snervamento delle pelli seguito da una ripida discesa del carico
dovuto allo scollamento delle pelli stesse dall'anima del pannello.
Il comportamento degli AFS Schunk è notevolmente differente: in essi, poiché le pelli sono saldate
metallurgicamente al core, non si ha distacco delle pelli e la curva mostra un breve tratto elastico-
122
lineare seguito da una lunga fase di deformazione plastica ed infine il collasso, con caduta del
carico, che interessa non solo le pelli ma anche il core del pannello.
In Tabella 5 sono riportati i valori medi dei seguenti risultati ottenuti delle prove di edgewise
compression: tensione massima σmax, modulo elastico equivalente pelle-core Eeq, deformazione
nominale percentuale a rottura εrottura%, energia totale dissipata Utotale.
Tabella 5. Risultati delle prove di edgewise compression
AFS
Schunk
Alulight
σmax
[MPa]
167.71
178.18
Eeq
[MPa]
13360
42063
εrottura
%
10.05
2.38
Utotale
[J]
33.61
6.26
2.5 Prove di flessione statiche e dinamiche
Sono state effettuate in totale 43 prove di flessione statica e dinamica su tre punti (22 su AFS
Schunk e 21 su AFS Alulight), variando la distanza tra gli appoggi (135, 125, 110, 100, 90, 80, 70,
55 mm).
Per le prove di flessione dinamiche a tre punti è stata utilizzata una macchina di prova a caduta di
grave [14], strumentata con un accelerometro piezoelettrico (Brüel & Kjiaer mod. 4382),
posizionato orizzontalmente sulla massa impattante e con un sensore di velocità opto-elettronico per
la misura della velocità di impatto iniziale.
Le prove sperimentali effettuate hanno evidenziato due distinti meccanismi di collasso (Modo I e
Modo II) negli AFS Schunk, mentre un’unica modalità di cedimento plastico (Modo II) è stata
osservata negli AFS Alulight dove, a differenza di quanto riscontrato negli AFS Schunk, si ha uno
scollamento parziale di una delle due lamine. Il Modo I (Figura 5) è caratterizzato da una
indentazione della lamina superiore, con formazione di 3 cerniere plastiche. Il Modo II (Figura 6)
risulta non simmetrico ed è caratterizzato dalla formazione di due cerniere plastiche nella sezione di
mezzeria ed altre due in corrispondenza di uno dei due appoggi. Il cedimento è innescato dal core
shear della schiuma, secondo un meccanismo di collasso già osservato in letteratura e noto come
core shear AB [3]. La zona di transizione tra i due meccanismi di collasso osservati
sperimentalmente negli AFS Schunk si verifica per una distanza tra gli appoggi compresa tra 80 e
90 mm.
Figura 5. Modo I di collasso
Figura 6. Modo II di collasso
Dal punto di vista dell’efficienza di dissipazione energetica, gli AFS Schunk risultano di gran lunga
superiori, specialmente nel caso in cui il collasso plastico avvenga secondo il Modo I. I valori medi
di energia dissipata per gli AFS Schunk sono circa simili per le prove statiche e dinamiche e sono
circa 27 J per il Modo I e 20 J per il Modo II. Per gli AFS Alulight (Modo II), invece, si hanno 11 J
123
per le prove statiche e 15 J per le prove dinamiche [10]. Per applicazioni in cui è richiesta una
elevata capacità di assorbimento di energia i risultati riportati rivestono particolare importanza,
avendo riscontrato differenze superiori al 130% nei valori di energia dissipata.
Le prove di impatto non hanno evidenziato significativi effetti di incrudimento dinamico, a causa
del ruolo marginale svolto dal core schiumato; la maggior parte della deformazione plastica
interessa le pelli esterne, le quali, essendo realizzate in lega di alluminio, mostrano una scarsa
sensibilità agli effetti di strain-rate.
I risultati delle prove di flessione statica e dinamica sono descritti in maggiore dettaglio in un altro
lavoro degli autori [11].
2.6 Prove di smorzamento
Una delle proprietà più interessanti dei pannelli in schiuma di alluminio AFS risiede nella capacità
di smorzare efficacemente le vibrazioni meccaniche. Per quantificare tale proprietà è stata effettuata
un’analisi sperimentale comparativa su un provino AFS (Schunk), di dimensioni 255x30x11 mm,
ed uno in lega di alluminio (Anticorodal) di dimensioni tali da presentare la stessa rigidezza
flessionale.
La tecnica utilizzata per la sollecitazione dinamica è l’eccitazione ad impatto mediante martello
strumentato. Tale metodologia di prova consiste nel sollecitare diversi punti della struttura con
impulsi meccanici e nel rilevare, assieme al segnale del carico forzante, la risposta del sistema
mediante trasduttori di vibrazione meccanica (Figura 7).
Questa prova consente di calcolare la funzione di risposta in frequenza della struttura che, per
geometrie piuttosto semplici, può condurre agevolmente alla valutazione di un parametro di
smorzamento del materiale in esame. Sono stati sollecitati e monitorati diversi punti equidistanti tra
loro su entrambe le superfici dei provini in AFS ed in alluminio, al fine di evidenziare tutte le più
importanti forme modali della struttura.
Figura 7. Impact test
La catena di misura è costituita da un martello strumentato (Endevco mod. 2302) per l’eccitazione e
da un accelerometro piezoelettrico (Brüel & Kjær, mod. 4507B) per la misura della risposta. I
segnali sono stati condizionati con un amplificatore (Brüel & Kjær, Nexus 2693) e campionati
tramite una scheda di acquisizione.
In Figura 8 sono riportate, per entrambi i materiali, le curve di inviluppo della vibrazione libera
smorzata sperimentale della prima vibrazione flessionale attorno all’asse verticale.
124
2,5
Accelerazione /ms
-2
2,0
Al
AFS
1,5
1,0
0,5
0,0
-0,5
0
0,2
0,4
0,6
0,8
1
-1,0
-1,5
-2,0
-2,5
Tempo /s
Figura 8. Curve di inviluppo della vibrazione libera smorzata
Le curve di inviluppo sono espresse, dal punto di vista matematico, mediante funzioni esponenziali
del tipo:
y = Ae −αt
(2)
La conoscenza del coefficiente dell’esponenziale α e del valore di pulsazione relativo alla
frequenza sollecitata ω0 (ω0=2πf0) premette di ottenere il rapporto di smorzamento:
h=
r
α
=
ω 0 2ω 0 m
(3)
dove m è la massa.
Dall’equazione (3) è possibile calcolare il coefficiente di smorzamento r relativo alla prima
frequenza flessionale f0.
Il coefficiente di smorzamento r, relativamente al suddetto modo di vibrare, per i pannelli AFS è
risultato essere 3.71 volte maggiore di quello dell’alluminio, a conferma della maggiore capacità di
assorbimento di sollecitazioni dinamiche tipica dei materiali cellulari (Tabella 6). Banhart et al. [16]
hanno confermato che le schiume in alluminio presentano una capacità di smorzamento maggiore
rispetto alla maggior parte delle leghe di alluminio e che tale proprietà migliora con l’aumentare
della porosità della schiuma.
Tabella 6. Parametri di smorzamento
Materiale f0 (Hz)
Al
250
AFS
130
ω0 (rad s-1)
α0 (s-1)
1570.0
816.4
8.7
11.5
125
h
m (kg)
0.0055 0.0732
0.0140 0.2075
r (kg s-1)
1.28
4.77
3. POTENZIALI APPLICAZIONI NEL SETTORE NAVALE
Le potenziali applicazioni navali per questi materiali innovativi sono molteplici; infatti alcune delle
proprietà delle schiume metalliche e degli AFS (leggerezza, capacità di dissipazione di energia),
rendono questi materiali interessanti per applicazioni in cui sia richiesta una notevole dissipazione
di energia e per realizzare opportune zone ad assorbimento di energia programmata, incrementando
la sicurezza passiva (crashworthiness) delle imbarcazioni. L’obiettivo è quello di diminuire gli
effetti catastrofici in caso di collisione, soprattutto in impatti che interessano la prua e la fiancata di
due imbarcazioni.
Altre proprietà delle schiume metalliche e degli AFS (smorzamento di vibrazioni e rumore,
resistenza al fuoco), suggeriscono potenziali applicazioni per la realizzazione di pannelli isolanti a
protezione del vano motore o la sostituzione delle paratie che ne delimitano gli spazi.
Il vano motore, dove viene alloggiato il motore ed i serbatoi di combustibile, è la zona
dell’imbarcazione maggiormente soggetta a pericoli di incendi ed inoltre necessita di strutture di
isolamento acustico per un adeguato comfort dei passeggeri. I sandwich AFS, infatti, grazie alla
loro struttura di tipo cellulare e quindi alla presenza di sacche di aria, garantiscono una elevata
resistenza al fuoco con basso degrado delle caratteristiche meccaniche. Il trasferimento di calore nei
materiali cellulari avviene principalmente mediante quattro fenomeni: conduzione attraverso lo
stato solido, conduzione attraverso lo stato gassoso, convezione nel gas e irraggiamento. In assenza
di convezione, che diventa importante solo per celle di dimensioni superiori a 5 mm, il trasporto di
calore è dominato dalla conduzione attraverso le pareti delle celle e dall’irraggiamento.
L’eccezionale capacità delle schiume in alluminio di resistenza al fuoco è stata dimostrata
sperimentalmente [17]. Questa proprietà è inaspettata poiché l’alluminio è noto fondere
rapidamente sotto l’effetto del calore. Nelle schiume la fusione dell’alluminio è protetta dalla
formazione di sottili strati di Al2O3 [18].
In particolare le tipologie di sandwich AFS con pelli unite al core mediante trattamento termomeccanico durante il processo di produzione (ad esempio AFS Schunk) garantirebbero anche
l'assenza di emissione di fumo, gas tossici e nocivi non presentando, a differenza dei pannelli
Alulight, una resina epossidica che unisce le pelli all'anima del pannello.
Per ciò che riguarda l’assorbimento delle vibrazioni e del rumore da parte dei materiali cellulari, è
noto che quando una onda sonora raggiunge la superficie della schiuma le pareti delle celle esterne
cominciano a vibrare. L’energia sonora viene convertita parzialmente in energia termica a causa dei
moti vibratori tipo membrana e riflettenti all’interno delle celle. La densità della schiuma e le
dimensioni delle celle sono fattori rilevanti per la definizione dei livelli di assorbimento. Appare
quindi molto interessante la possibilità di realizzare elementi di chiusura e separazione di ambienti,
non necessariamente in prossimità del vano motore o della sala macchine ma in ogni comparto che
debba essere protetto con maggiore efficacia.
In un precedente lavoro [12] è stata studiata una possibile applicazione in campo navale, relativa
alla sostituzione di una paratia appartenente ad una nave realizzata interamente in lega leggera
(Aquastrada, Cantieri Navali Rodriquez). La convenienza nell’utilizzo dei pannelli AFS consiste, in
questo caso, nella possibilità di realizzare una struttura abbastanza semplice, evitando di dover
irrigidire la paratia con travi di rinforzo saldate (soluzione adottata comunemente per le paratie
tradizionali) e, quindi, minimizzare sia tempi che spese di produzione. Dalle analisi svolte (analisi
FEM e prove sperimentali) risulta che la paratia in AFS comporta una distribuzione delle
sollecitazioni più uniforme ed, a parità di rigidezza, una riduzione di peso del 30 %.
RINGRAZIAMENTI
Gli autori desiderano ringraziare la Rodriquez Cantieri Navali S.p.A. per il supporto fornito ed il
Prof. Guglielmino per i preziosi suggerimenti.
126
BIBLIOGRAFIA
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Agosto – 2 Settembre, 2004.
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127
SUPERYACHT: ACCIAIO, ALLUMINIO O VETRORESINA?
D. Boote
Dipartimento di Ingegneria Navale e Tecnologie Marine
Università di Genova, Via Montallegro 1, 16145 Genova,
[email protected]
SOMMARIO
Nell’ambito delle unità da diporto a motore, le costruzioni al di sopra dei 24 metri di lunghezza
vengono indicate con il termine “superyacht”, quasi a sottolinearne l’eccellenza in termini di
prestigio e qualità. Tra le complesse problematiche progettuali e costruttive, quella della scelta del
materiale di costruzione per lo scafo e le sovrastrutture, è tra le prime che il progettista deve
affrontare. Tale scelta influisce in modo più o meno diretto sulle caratteristiche prestazionali e di
comfort dell’imbarcazione nonché sui suoi costi di costruzione e di gestione. In questo lavoro
vengono schematicamente passati in rassegna i materiali comunemente utilizzati per le costruzioni
navali e le caratteristiche dell’imbarcazione che maggiormente ne vengono influenzate.
ABSTRACT
The choice of the construction material for very big motor yacht depends on various factors ranging
from performances, costs and shipyard facilities. In this paper the main characteristics of steel,
aluminium light alloy and fibre-glass reinforced plastics are summarised. The ship aspects
influenced by the construction material are assessed as well.
LISTA DEI SIMBOLI
γ peso specifico [daN/m3]
Et
modulo di Young a trazione[N/mm2]
2
σt carico di rottura a trazione [N/mm ]
Et
modulo di Young a flessione [N/mm2]
σf carico di rottura a flessione [N/mm2]
σt/γ resistenza specifica [mm-6]
2
σy carico di snervamento [N/mm ]
E/γ rigidezza specifica [mm-6]
Gc rapporto ponderale di impregnazione = peso rinforzo/peso totale laminato
Fv numero di Froude volumetrico = v/(g V1/3)1/2
V velocità [m/s]
g accelerazione di gravità [m/s2]
V volume di carena [m3]
SHP/∆ resistenza specifica
SHP potenza installata [HP]
1. INTRODUZIONE
La cantieristica da diporto è da anni una delle realtà industriali più attive e interessanti del nostro
paese. Anche se non molto pubblicizzata dai media, come nel caso dell’industria automobilistica, la
cantieristica italiana è apprezzata in tutto il mondo, esaltata dal design dei nostri migliori architetti e
valorizzata dall’elevato livello di affidabilità, raggiunto grazie alla sempre più stretta collaborazione
tra cantieri, enti di classifica e università. Ultimamente, grazie anche al contributo dei saloni nautici
nazionali e internazionali, l’industria diportistica ha guadagnato una maggior visibilità anche in
128
quella parte di popolazione non direttamente interessata all’acquisto di una imbarcazione, attirando
una maggior attenzione da parte delle autorità governative, con tutti i vantaggi che ne derivano per
il suo sviluppo. Si pensi solo all’effetto di rilancio innescato dai nuovi porticcioli turistici che, un
po’ ovunque sulle nostre coste, sono in fase di progettazione se non già di avanzata costruzione.
Nel campo delle imbarcazioni a motore la cantieristica italiana occupa una posizione leader sia nel
campo delle unità di piccole e medie dimensioni, sia nel campo degli yacht a motore di grandi
dimensioni. Nel linguaggio degli addetti ai lavori, vengono chiamati superyacht le unità con una
lunghezza fuori tutto maggiore di 24 metri. In questo settore la cantieristica italiana è al secondo
posto per numero di unità subito dopo gli Stati Uniti.
Si tratta di una fetta di mercato molto ristretta dove la concorrenza è forte e avviene tra pochi
cantieri dislocati soprattutto in Italia, negli Stati Uniti e nel Nord Europa che si contendono e si
dividono ogni anno l’acquisizione e la costruzione di poche centinaia di nuove commesse.
Al riguardo è interessante osservare il diagramma di Fig. 1 (tratto dalle tabelle pubblicate in [1])
relativo alle imbarcazioni “on order” negli anni compresi tra il 2000 e il 2004. Come si può notare,
indipendentemente dalle crisi economiche che, ultimamente, hanno colpito un po’ tutto il mondo, il
mercato è molto stabile, con una leggera flessione nella fascia “bassa” tra 30 e 45 m, ma in crescita
costante dal 2000 per le unità oltre i 45 metri.
Fig. 1 – Distribuzione delle nuove costruzioni al di sopra dei 30 metri di lunghezza.
Le problematiche di questa tipologia di imbarcazioni sono molteplici, legate soprattutto al loro
elevato valore intrinseco che, da una parte, spingerebbero il progettista ad effettuare scelte tali da
differenziare con decisione il proprio prodotto da quello della concorrenza e, dall’altra, a seguire
schemi convalidati a prova di qualsiasi errore. Esistono quindi esigenze commerciali e tecniche,
spesso in contrasto tra loro, che su imbarcazioni di queste dimensioni devono essere attentamente
valutate e mediate fino ad arrivare ad un risultato che soddisfi il progettista, il cantiere e l’armatore.
Le prime due scelte da affrontare sono costituite dalla lunghezza dell’imbarcazione, che dipende
principalmente dal livello di prestigio richiesto dall’armatore, e dalla velocità, la quale stabilisce la
tipologia dell’imbarcazione. Nella fase immediatamente successiva il progettista deve scegliere il
materiale di costruzione tra acciaio, lega leggera e materiali compositi. Gli elementi che possono
orientare la scelta in un senso o nell’altro sono diversi: in primo luogo la specializzazione e, quindi,
le attrezzature del cantiere, in secondo luogo le dimensioni dell’unità. Il trend attuale è
efficacemente sintetizzato nel diagramma di Fig. 2, relativo alle nuove costruzioni del 2003.
Come si può osservare nel campo dimensionale compreso tra 30 e 40 metri di lunghezza il
vetroresina copre quasi il 70% del numero di unità realizzate. Dai 50 metri in su invece le
imbarcazioni in acciaio rappresentano circa l’85% del totale. Nella fascia intermedia, compresa tra
40 e 50 metri invece, la distribuzione è più uniforme, anche se la lega leggera è il materiale più
utilizzato. E’ quindi in questo range dimensionale che la scelta diventa più difficile in quanto tutti i
materiali possiedono requisiti e qualità equivalenti.
129
Fig. 2 – Distribuzione del materiale di costruzione in funzione della lunghezza fuori tutto.
La fascia dimensionale compresa tra i 40 e i 50 metri di lunghezza è particolarmente importante per
motivi di tipo fiscale-normativo legati principalmente alla stazza. Come noto le normative SOLAS
[2] vengono applicate obbligatoriamente agli yacht con lunghezza superiore ai 50 metri di
lunghezza o stazza superiore alle 500 tonnellate. Più recentemente, il regolamento MCA [3],
stabilisce requisiti diversi per gli yacht al di sotto o al di sopra dei 24 metri di lunghezza e, tra
questi ultimi, al di sotto o al di sopra delle 500 tonnellate di stazza lorda. Tale regolamento,
nonostante sia nato solo per gli yacht battenti bandiera britannica, visto l’elevato successo
riscontrato un po’ ovunque, rappresenta ormai un riferimento per tutti i cantieri.
In questa ottica la tendenza per i progettisti è quella di realizzare yacht rigorosamente al di sotto
delle 500 tonnellate di stazza lorda o decisamente al di sopra. Nel caso della seconda categoria,
quella definita con un termine più che appropriato dei “Dream Yacht”, le dimensioni superano
abbondantemente i 50 metri di lunghezza e si vengono quindi a trovare in un campo in cui, salvo
eccezioni particolari, l’acciaio è il materiale più indicato.
Nel caso della prima categoria invece, lo sforzo dei progettisti è rivolto all’individuazione del limite
superiore di lunghezza che mantenga la stazza al di sotto delle 500 tonnellate. Questo si traduce in
uno studio accurato dei volumi interni dello scafo e delle sovrastrutture avente come obiettivo il
raggiungimento di valori di stazza molto vicini alle 500 tonnellate, ma senza superarli.
A seconda del bilancio tra volumi di scafo e delle sovrastrutture, le lunghezz e di queste unità
variano tra i 45 e i 50 metri fuori tutto, situandosi proprio in quella fascia in cui, come già si è detto,
tutti i materiali sono in competizione. Si rivela quindi importantissimo effettuare una scelta
appropriata in base a tutte le caratteristiche dell’imbarcazione sulle quali il materiale di costruzione
esercita un’influenza significativa. In questo lavoro verranno riassunti gli aspetti più importanti dei
tre materiali, a partire dalle caratteristiche meccaniche, fino alla resistenza a fatica, al fuoco e
all’impatto.
2. CARATTERISTICHE A CONFRONTO
I materiali per le costruzioni navali devono possedere particolari caratteristiche che li rendano adatti
all’impiego nell’ambiente marino. Tali caratteristiche sono generalmente stabilite dai regolamenti
delle varie Società di Classifica. Per quanto riguarda gli acciai il Registro Italiano Navale [4] li
suddivide in acciai ordinari e ad elevata resistenza in base al carico minimo di snervamento. Gli
acciai ordinari, tipo A, B, D e E, devono avere un carico di snervamento non inferiore ai 235
N/mm2; i quattro tipi si differenziano per le temperature alle quali vengono stabiliti i requisiti di
resilienza (rispettivamente +20,0,-20 e -40°C). Gli acciai ad elevata resistenza, hanno carichi di
snervamento superiori ai 315 N/mm2. Come per gli acciai ordinari esistono 4 tipi di acciaio
denominati AH, DH, EH e FH per i quali i requisiti di resilienza sono relativi rispettivamente alle
temperature di 0,-20 e -40 e -60°C.
130
Per quanto riguarda le leghe leggere queste devono possedere particolari requisiti di saldabilità e
resistenza all’ossidazione in ambiente marino. Le leghe a base di magnesio della serie 5000,
possedendo entrambi i requisiti suesposti, sono le più utilizzate per la realizzazione di tutte le
strutture dello scafo, fasciami e nervature di rinforzo. Le leghe a base di silicio della serie 6000, pur
essendo saldabili e dotate di caratteristiche meccaniche più che soddisfacenti, non sono utilizzabili
a contatto con l’acqua di mare. Vengono normalmente impiegate per la produzione di pannelli
nervati per estrusione, impiegati nella costruzione di ponti e paratie all’interno dello scafo.
Come noto, mentre per i materiali metallici le caratteristiche fisico-meccaniche assumono valori
ben precisi in funzione del tipo di lega, per i materiali compositi questo non è più vero e le
caratteristiche fondamentali, compreso il peso specifico, variano in modo sensibile al variare del
tipo di rinforzo, della percentuale di impregnazione del vetro (rapporto vetro/resina) e della
procedura di laminazione seguita in cantiere. In campo navale il composito comunemente utilizzato
è costituito da rinforzi in vetro E e resina poliestere isoftalica. Con questa combinazione si
ottengono buoni risultati sia in termini di caratteristiche meccaniche che di costi. Quest’ultimo
aspetto è determinante nel campo delle costruzioni navali date le notevoli quantità di prodotto
necessarie per realizzare un’imbarcazione.
2.1 Caratteristiche fisico-meccaniche
Nella tabella I sono riportate le caratteristiche meccaniche delle leghe di acciaio e alluminio
normalmente utilizzate nel campo delle costruzioni navali da diporto. Per quanto riguarda il
vetroresina, per i motivi sopra esposti, in tabella I sono riportate le caratteristiche di uno stratificato
di vetroresina di riferimento con rinforzi in vetro E e resina poliestere isoftalica con un rapporto
ponderale di vetro-resina pari a 1:2. A titolo di confronto, sempre in tabella I, sono stati riportati
anche i valori del legno, in questo caso la quercia, essenza cui si riferisce il regolamento del
Registro Navale Italiano per le imbarcazioni da diporto [5]. Il legno, anche se non utilizzato nella
costruzione di superyacht, è ben lungi dall’essere stato completamente abbandonato e continua ad
essere impiegato nella costruzione di motor-yacht fino a 20 22 metri di lunghezza, anche molto
performanti. Il recente impiego di resine epossidiche nelle tecniche di giunzione di elementi
strutturali in legno, ha contribuito a rilanciare ulteriormente questo materiale.
Tabella I – Proprietà fisico meccaniche dei materiali per costruzioni navali
Per quantificare la variabilità delle caratteristiche fisico-meccaniche del vetroresina, in tabella II
sono riportate le caratteristiche reali, dedotte da prove di laboratorio su provini, di stratificati
comunemente utilizzati nella costruzione di scafi. Come si può notare, al variare della
combinazione di laminazione, il rapporto di impregnazione Gc varia fino al 20%. La variabilità di
131
tale rapporto dipende anche dalle tecniche di lavorazione adottate in cantiere e dal grado di
specializzazione del personale. Quest’ultimo aspetto è difficile da caratterizzare e quantificare per
cui non è detto che alla stessa combinazione di laminazione corrisponda sempre lo stesso Gc. Dato
che tale parametro è fondamentale nel dimensionamento delle strutture in VTR con i vari Registri
di Classifica, diventa quasi indispensabile stabilirne i valori esatti con prove di laboratorio di
calcinazione in forno su provini.
Tabella II – Caratteristiche di alcuni stratificati in VTR determinate con prove di laboratorio
Un altro aspetto molto importante che può orientare la scelta del materiale in un senso o nell’altro, è
rappresentato dall’aspetto economico che comprende, oltre al costo della materia prima, anche il
costo del materiale in opera. Su quest’ultimo influisce la difficoltà di lavorazione e, di conseguenza,
il costo delle attrezzature per la lavorazione e del grado di specializzazione del personale. Nella
tabella III sono riportati, a puro titolo di confronto, i costi dei materiali, del materiale messo in
opera e i tempi di lavorazione. A causa della variabilità del mercato, i costi sono stati normalizzati
portando a 100 (unità monetaria indefinita) il costo dell’ acciaio. La tabella non tiene conto della
recente impennata dei prezzi che, specialmente per i metalli, ha subito un’impennata tanto
improvvisa e consistente quanto inspiegabile, creando non pochi problemi alla nostra produzione
cantieristica.
Tabella III – Costi e tempi di lavorazione dei materiali navali
2.2 Dislocamento dell’imbarcazione
Per i mega-yacht questo è senz’altro l’aspetto più importante; trattandosi di unità di dimensioni
ragguardevoli e velocità quasi sempre al di sopra dei 15 nodi, il contenimento del dislocamento è
fondamentale per la riduzione dei costi di costruzione e di gestione. La scelta di un materiale al
posto di un altro, può influire significativamente sul dislocamento finale dell’imbarcazione.
132
Tuttavia, le differenze tra peso specifico e caratteristiche meccaniche, spesso in senso opposto,
obbligano a valutare questo aspetto con molta attenzione.
Infatti, anche se la lega leggera ha un peso specifico molto inferiore a quello dell’acciaio, se si
ragiona a parità di robustezza e, soprattutto di rigidezza, la situazione può cambiare a favore
dell’acciaio; stessa cosa per il vetroresina. Per questo motivo è utile riferire le caratteristiche
meccaniche dei materiali al loro peso specifico.
Nelle ultime due colonne della tabella I sono riportati i valori della resistenza specifica e della
rigidezza specifica. Tali valori forniscono un’idea della resistenza e della rigidezza di un materiale a
parità di peso e possono essere utili per meglio valutare le qualità di un materiale per strutture
leggere. Come si può notare, dal punto di vista della resistenza specifica, sembrerebbe addirittura
essere il legno il materiale migliore. In realtà, le soluzioni necessarie per unire tra loro elementi
strutturali, rendono necessario aumentare le sezioni resistenti in corrispondenza dei giunti;
considerando il numero dei giunti presenti su una nave, questo porta uno scafo in legno ad essere
più pesante di uno in acciaio saldato. Resta invece abbastanza realistico il rapporto tra peso scafo e
resistenza specifica nel caso degli altri materiali; in effetti uno scafo in acciaio pesa circa il doppio
di uno in VTR o in alluminio.
Per quanto riguarda la rigidezza specifica il VTR e il legno risultano essere i materiali peggiori
mentre acciaio e leghe leggere sono invece sullo stesso livello. In realtà le cose non stanno
esattamente così in quanto per la resistenza specifica sarebbe più corretto considerare il rapporto
E/γ3 anziché E/γ. In questo caso alluminio e VTR verrebbero ad essere i materiali migliori, davanti
all’acciaio che, dato il suo elevato peso specifico, passerebbe all’ultimo posto. Nella pratica il
dimensionamento strutturale, così come concepito nei regolamenti delle società di classifica, viene
effettuato in base al criterio delle tensioni ammissibili per cui il confronto tra i diversi materiali in
termini di resistenza specifica risulta più appropriato.
Il materiale influisce direttamente solo sul peso delle strutture dello scafo che, però, rappresentano
il 30-40% del peso totale della nave scarica e asciutta. Questo significa che un risparmio sul peso
scafo del 30%, obiettivo questo abbastanza realistico se si passa dall’acciaio al VTR, si traduce in
una diminuzione di circa il 10% del peso della nave scarica ed asciutta. Per contro, mentre nel caso
di unità in lega leggera e VTR scafo e sovrastrutture sono sempre dello stesso materiale, gli scafi in
acciaio hanno quasi sempre le sovrastrutture in lega leggera.
Fig. 3 – (a) Correlazioni statistiche tra dislocamento totale e lunghezza fuori tutto per yacht in
acciaio; (b) Ripartizione del peso della nave scarica e asciutta per un motor yacht in acciaio di 40 m
di lunghezza fuori tutto.
133
Fig. 4 – (a) Correlazioni statistiche tra dislocamento totale e lunghezza fuori tutto per yacht in lega
leggera; (b) Ripartizione del peso della nave scarica e asciutta per un motor yacht in L.L. di 42 m di
lunghezza fuori tutto.
Fig. 5 – (a) Correlazioni statistiche tra dislocamento totale e lunghezza fuori tutto per yacht in VTR;
(b) Ripartizione del peso della nave scarica e asciutta per un motor yacht in VTR di 41 m di
lunghezza fuori tutto.
Ultimamente, anche a causa delle forme sempre più complesse proposte dai designer, si sta
diffondendo la tendenza a realizzare sovrastrutture in vetroresina da installare su scafi in acciaio e
lega leggera. Risolti i problemi di collegamento, questa soluzione si è rivelata più leggera,
economica e flessibile. Quest’ultimo aspetto tende a ridurre leggermente la differenza di peso tra
scafi in acciaio e scafi in lega leggera o vetroresina.
Oltre a influenzare il peso delle strutture dello scafo e delle sovrastrutture il materiale ha anche
riflessi non trascurabili su pitturazione e isolamento. Nel caso delle leghe leggere, ad esempio, le
maggiori deformazioni del materiale provocate dalla saldatura e l’impossibilità di raddrizzare le
lamiere a caldo, obbligano all’impiego di pesanti quantità di stucco. La scarsa resistenza al fuoco di
leghe leggere e vetroresina porta alla necessità di isolare le strutture con materiali che, di nuovo,
aumentano il peso delle strutture.
Nell’indagine statistica sulle caratteristiche di imbarcazioni da diporto presentata in [6], sono
contenute alcune regressioni che mettono in relazione il dislocamento totale con le dimensioni
principali, in particolare la lunghezza fuori tutto. Per quanto basate su dati dei quali è spesso
difficile verificare l’esattezza, tali regressioni possono fornire un’indicazione di massima della
variazione del dislocamento totale in funzione del tipo di materiale. Nelle Fig. 3, 4 e 5 sono
presentate le regressioni che legano il dislocamento totale alla lunghezza fuori tutto per acciaio,
lega leggera e VTR. Una volta calcolato il dislocamento con una delle due regressioni proposte, il
diagramma può aiutare a stabilire una fascia di influenza e una conseguente correzione del valore
ricavato. Accanto ad ogni diagramma è stata rappresentata la suddivisione del peso della nave
134
scarica e asciutta nelle singole voci normalmente considerate nel progetto navale per tre superyacht
di esempio, realizzati nel materiale corrispondente.
La differenza di peso dell’imbarcazione si ripercuote sulla potenza installata che a sua volta
influisce sul costo dell’apparato motore e della gestione dell’imbarcazione. Anche in questo caso in
[6] è stata elaborata una regressione sulla base dei dati raccolti per un certo numero di yacht al di
sopra dei 30 metri di lunghezza. La relazione considerata è stata quella tra il numero di Froude
volumetrico e la potenza specifica, calcolata prendendo come riferimento la potenza di targa dei
motori, unico dato questo facilmente reperibile. Sono stati raccolti insieme i dati relativi a tutti i
materiali. Come si può vedere dal diagramma riportato in Fig. 6, le imbarcazioni in acciaio sono
tutte concentrate verso numeri di Froude più bassi, mentre quelle in lega leggera e in vetroresina
sono distribuite nella fascia superiore. La correlazione non è elevatissima ma consente di effettuare
un confronto dei valori di potenza installata a bordo tenendo conto della variazione di dislocamento
per imbarcazioni di diverso materiale.
Fig. 6 – Correlazione tra potenza specifica installata e numero di Froude volumetrico.
Il dislocamento e la posizione verticale del baricentro hanno inoltre una influenza assai significativa
anche sulla stabilità e sulle caratteristiche di tenuta al mare dell’imbarcazione. Si può affermare che
gli scafi in acciaio hanno un baricentro più basso rispetto a quelli in vetroresina e in alluminio con
una maggiore altezza metacentrica e, di conseguenza, una maggiore stabilità iniziale. Questo
aspetto si rivela molto importante per i seguenti motivi:
• la tendenza attuale è quella di costruire barche con sempre maggior numero di ponti e “wide
body” prodieri che innalzano in modo preoccupante il baricentro della barca;
• l’adozione di tender sempre più importanti e pesanti, sistemati sul flying bridge a più di 6-7
metri di altezza dall’acqua, pone non pochi problemi di stabilità trasversale, specialmente
quando devono essere calati in mare;
• la moda sempre più diffusa di vasche da idromassaggio sistemate sul fly;
• la richiesta sempre più frequente degli armatori di avere una barca che non presenti moti di
alcun genere quando ormeggiata in porto o all’ancora in rada.
D’altro canto la maggior stabilità iniziale delle barche in acciaio può portare a periodi di rollio
molto brevi con conseguenti elevate accelerazioni trasversali che possono rendere la barca troppo
“dura” e, quindi, poco confortevole. La tendenza è quindi quella di mantenere valori di L/B più alti
nelle barche in acciaio e più bassi nelle barche in lega leggera e in vetroresina. In queste ultime,
inoltre, si rivela spesso necessario l’adozione di zavorra fissa sul fondo.
2.3 Resistenza a fatica
Il comportamento a fatica dei tre materiali considerati è mostrato qualitativamente nel diagramma di
Fig. 7. Come si può notare il comportamento dell’acciaio è nettamente migliore dimostrando che
per una sollecitazione ciclica con ampiezza pari a circa il 90% del carico di rottura si ha il collasso
135
dopo circa 104 cicli di carico. Seguono le leghe di alluminio che, nelle stesse condizioni
raggiungono il collasso già per 103 cicli di carico. Per ultimo il vetroresina che collassa per meno di
10 cicli di carico. Nella progettazione di strutture si deve quindi tener conto della differente
resistenza a fatica dei materiali specialmente quando si è in presenza di strutture sollecitate
ripetutamente; è questo il caso delle strutture navali che, oltre ad avere una vita operativa
considerevole (dell’ordine di grandezza dei 20 anni) sono soggette a continue variazioni delle
condizioni di carico. La pratica più comune dovrebbe essere quella di mantenere il livello di
sollecitazione al di sotto del limite di fatica che, come si può vedere sempre dalla figura 7, per leghe
leggere e vetroresina è circa la metà (in percentuale del carico di rottura statico) di quello
dell’acciaio. Questo significa che, se si confrontano tra loro un acciaio ordinario, una lega leggera
alluminio-magnesio e uno stratificato in VTR medio, il limite di fatica è rispettivamente pari a 170,
60 e 38 N/mm2.
Fig. 7 – Diagramma comparativo del comportamento a fatica di acciaio, leghe leggere e vetroresina.
Per quanto riguarda invece il meccanismo di rottura, sempre per effetto di fenomeni di fatica,
mentre nei materiali metallici, una volta innescata una cricca, si arriva inevitabilmente alla rottura
del componente in tempi anche molto brevi, nel VTR la propagazione delle cricche viene interrotta
dalle irregolarità insite nel materiale stesso. Questo è un vantaggio che riduce la necessità di
ispezioni ed eventuali interventi di riparazione sempre molto difficili e costosi da effettuare.
2.4 Propagazione di vibrazioni e rumore
La propagazione delle vibrazioni e del rumore attraverso le strutture dipende dalle caratteristiche di
smorzamento intrinseco del materiale. Lo smorzamento rappresenta il numero di cicli necessari per
ridurre l’ampiezza di una oscillazione a zero ed è espresso dal rapporto tra la differenza delle
ampiezze di due oscillazioni consecutive e l’ampiezza della prima oscillazione.
Mentre acciaio e alluminio hanno valori del coefficiente di smorzamento molto bassi, il vetroresina
ha uno smorzamento molto maggiore (vedi Fig.8). Per ridurre al minimo i disagi provocati da
vibrazioni e rumore sulle barche in acciaio e LL, si rivela necessario utilizzare particolari tecniche
di isolamento dei macchinari dalle strutture, come l’impiego di silent block in gomma, o rivestire le
strutture con schiume o vernici particolari che, oltre a essere costose e ad aumentare il peso
dell’imbarcazione, in certi casi non apportano significativi miglioramenti. Da questo punto di vista
le imbarcazioni in VTR invece risultano essere molto più confortevoli senza alcun intervento del
tipo di quelli menzionati per acciaio e LL.
136
Fig. 8 – Diagramma comparativo del meccanismo di smorzamento delle vibrazioni nell’acciaio e
nel vetroresina.
2.5 Resistenza al fuoco
Questo è un argomento di notevole importanza per la sicurezza dell’imbarcazione e la
regolamentazione è molto severa e complessa. Come noto il materiale più sicuro in questo senso è
senz’altro l’acciaio. Imbarcazioni in lega leggera e vetroresina, per avere un livello equivalente di
sicurezza devono essere dotate di sistemi di protezione passivi ed attivi. In generale mentre le
imbarcazioni con lunghezza maggiore di 50 metri, o stazza maggiore di 500 TPL, devono
soddisfare le più severe normative SOLAS, le barche con lunghezza inferiore ai 50 metri e stazza
inferiore alle 500 tonnellate devono soddisfare le normative MCA. Per maggiori dettagli sulle
normative si rimanda ai regolamenti citati. In ogni caso la protezione si traduce in un largo impiego
di prodotti isolanti come schiume ignifughe o, meglio, pannelli di lana di roccia o materiali
equivalenti. Si tratta comunque di prodotti molto costosi e pesanti che riducono in parte i vantaggi
di un minor peso delle strutture in alluminio e vetroresina.
2.5 Corrosione e osmosi
I materiali metallici soffrono di diversi tipi di corrosione quali ossidazione chimica, corrosione
galvanica e corrosione aerobica, provocata dall’azione di particolari batteri.
Mentre l’acciaio è colpito soprattutto dall’ossidazione chimica, le leghe leggere sono molto
vulnerabili alla corrosione galvanica e aerobica. L’acciaio viene protetto con vernici antiruggine
mentre per proteggere l’alluminio dalla corrosione galvanica si adottano anodi sacrificali in zinco.
Per entrambi i materiali, dunque, la protezione si traduce in un aumento di peso che va considerato
nella valutazione del dislocamento. I materiali compositi sono invece praticamente immuni da tutti
e tre i tipi di corrosione ma sono soggetti al fenomeno dell’osmosi, a causa del quale il materiale
assorbe acqua che non può più essere eliminata.
Questo comporta un aumento costante nel tempo del peso dell’imbarcazione. Per ridurre il
fenomeno dell’osmosi, oltre ad utilizzare resine isoftaliche anzichè ortoftaliche, la superficie
esterna dello scafo viene protetta con uno strato di gelcoat a base vinilestere che ha lo scopo di
creare una pellicola impermeabile all’acqua. Tale accorgimento non comporta un aumento di peso
in quanto, essendo lo scopo del gelcoat quello di dare la colorazione allo scafo, verrebbe comunque
utilizzato.
3. CASO DI STUDIO
Nell’ambito di uno studio volto all’identificazione dello yacht di massime dimensioni al limite delle
500 tonnellate di stazza [7], si è voluto valutare più dettagliatamente la differenza del peso scafo
relativo alla realizzazione della stessa unità nei tre materiali fin qui considerati.
137
L’imbarcazione oggetto del confronto è uno yacht di circa 46 metri di lunghezza fuori tutto, con
velocità massima e di crociera rispettivamente di 18 e 16 nodi, dotato di due ponti più il flyingbridge, i cui piani generali sono schematizzati in Fig. 9.
Fig. 9 – Piani generali e dimensioni principali dello yacht assunto come caso di studio.
Sono state prese in considerazione tre varianti:
• scafo e sovrastrutture in vetroresina
• scafo e sovrastrutture in lega leggera
• scafo in acciaio e sovrastrutture in vetroresina.
La struttura delle versioni in acciaio e lega leggera è rappresentata schematicamente in Fig. 10; le
due versioni differiscono tra loro per l’adozione di correnti a “L” per la versione in acciaio e
correnti a “T” per quella in lega leggera. L’intervallo di ossatura è stato assunto pari a 1000 mm sia
per lo scafo in acciaio che per quello in alluminio, con valori inferiori nella zona di prua e di poppa.
La struttura in vetroresina, rappresentata in Fig. 11, è una struttura classica con fondo e fianchi in
single skin e ponte di coperta in sandwich. Le casse, come nella maggioranza dei casi per unità di
queste dimensioni, sono strutturali. L’intervallo di ossatura, in questo caso, varia da zona a zona ma
è sempre maggiore di quello assunto per l’acciaio. Al centro nave, in corrispondenza della trancia di
scafo considerata per il confronto dei pesi, vale 1350 mm. Tutte le versioni sono state dimensionate
con il regolamento del registro norvegese DNV [8].
Fig. 10 – Struttura di una porzione di scafo
in vetroresina.
Fig.11 – Struttura di una porzione di scafo
in acciaio o lega leggera.
138
Il confronto del peso scafo è stata effettuato su una trancia a centro nave di 5.4 metri di lunghezza
che comprende 5 ossature nel caso di acciaio e alluminio e 4 ossature per il vetroresina. I risultati
sono sintetizzati nella Fig. 12; come si può osservare, la differenza di peso tra acciaio e lega leggera
è pari al 41% mentre tra acciaio e vetroresina è pari a circa il 30%. In Fig. 13 è invece rappresentata
la distribuzione del peso delle strutture (sempre della trancia considerata) tra fasciami, travi
longitudinali e travi trasversali. Come si può notare, mentre per fasciami e travi trasversali la lega
d’alluminio è il materiale più leggero, per i rinforzi longitudinali la lega leggera risulta più pesante
del vetroresina. Questo è dovuto alla maggior estensione del doppio fondo dello scafo metallico
rispetto a quello in VTR che, invece, è esteso solo per la larghezza delle casse combustibile.
Fig. 12 – Peso delle strutture di una porzione
di scafo lunga 5.4 m in acciaio, lega leggera e
vetroresina.
Fig. 13 – Distribuzione dei pesi tra fasciami,
rinforzi longitudinali e trasversali.
Dopo aver dimensionato tutte le strutture dello scafo, è stata effettuata una pesata dello scafo
completo pervenendo ai risultati riportati in tabella IV. Come si può notare le differenze si sono
leggermente abbassate, passando ad una differenza del 27% tra scafo in acciaio e scafo in
vetroresina, e del 37% tra scafo in acciaio e scafo in lega leggera.
Il confronto finale è stato effettuato sul dislocamento a metà carico dell’unità, valore questo
normalmente considerato per le prove in mare. I risultati sono sintetizzati nella tabella IV.
Tabella IV – Valori del peso scafo e del dislocamento a metà carico.
Come prevedibile, a fronte di una differenza molto più sostanziosa sul peso scafo, l’unità in
vetroresina ha un dislocamento totale che è inferiore del 9% rispetto a quello in acciaio, mentre per
la lega leggera la differenza sale al 17%. Si tratta comunque di un risparmio di peso non
indifferente che, nel caso di unità più veloci con resistenze specifiche molto elevate, produce una
sensibile riduzione della potenza installata. Va sottolineato che è stata scelta per l’acciaio la
soluzione delle sovrastrutture in vetroresina proprio per ridurre al minimo la differenza e che per
tutte e tre le imbarcazioni è stato considerato lo stesso allestimento.
139
4. CONCLUSIONI
La scelta del materiale di costruzione per yacht a motore di grandi dimensioni influisce su diversi
aspetti di fondamentale importanza per la costruzione e la gestione dell’imbarcazione. In questo
lavoro è stata presentata una rassegna dei materiali strutturali normalmente utilizzati in campo
navale; sono state analizzate sia le caratteristiche fisico-meccaniche, sia i costi della materia prima e
del materiale messo in opera, nonché i tempi di lavorazione di acciaio, leghe leggere d’alluminio e
vetroresina.
Per quantificare l’influenza del materiale di costruzione sul peso dello scafo e dell’imbarcazione
completa è stato effettuato un dimensionamento comparativo di una porzione di scafo di un motor
yacht di 46 metri di lunghezza. Risulta che la differenza sul dislocamento totale è significativa
soprattutto tra unità in acciaio e in lega leggera (17%) mentre è meno consistente tra acciaio e
vetroresina (9%).
Pur non essendo la differenza di peso trascurabile, va sottolineato che, nella presente indagine, non
è stato preso in considerazione il fattore costo che, nonostante il livello delle imbarcazioni trattate,
rimane uno dei fattori determinanti. Nella scelta del materiale, quindi, il progettista si deve basare,
oltre che su considerazioni legate unicamente al peso, su altri fattori altrettanto importanti quali la
resistenza a fatica, la trasmissione delle vibrazioni e del rumore, la resistenza al fuoco e alla
corrosione e i costi di costruzione e di gestione.
BIBLIOGRAFIA
[1] “Showboats International”, January 2004, pag. 107-116.
[2] SOLAS “International Convention for the Safety of Life at Sea”, Conventions and
Amendments, London, 1974.
[3] Maritime Coastguard Agency, “The Code of Practice for Safety of Large Commercial Sailing
and Motor Vessel”, London, 1997.
[4] Registro Italiano Navale, “Regolamento per la Classificazione delle Navi. Parte D: Materiali e
Saldature”, Genova, gennaio 2004.
[5] Registro Italiano Navale, “Regolamento per la costruzione e la classificazione di imbarcazioni
da diporto”, Genova, January 1995.
[6] D. Boote, "Dati statistici per il progetto di imbarcazioni da diporto", TECNICA ITALIANA,
Anno LIX, N.4, 1994, pp.215-237.
[7] F. Ciuffi, M. Delpini, G. Francesini, “Progetto di un motoryacht in VTR al limite delle 500
tonnellate di stazza”, Tesi di Laurea, Genova, marzo 2004.
[8] Det Norske Veritas, “Rules for Classification of High Speed, Light Craft and Naval Surface
Craft”, Hovik, Norway,2003.
140
PRESTAZIONI, AFFIDABILITA’, COMFORT: NON SOLO LUSSO
L’INNOVAZIONE TECNOLOGICA SVILUPPATA PER LE APPLICAZIONI
COMMERCIALI APPRODA ALLA NAUTICA DA DIPORTO
Stefano Porcini - RODRIQUEZ YACHTS
RODRIQUEZ CANTIERI NAVALI S.p.A. è una delle maggiori realtà cantieristiche
internazionali, che vanta una diversificazione della propria produzione che pochi cantieri possono
eguagliare: Rodriquez progetta e realizza imbarcazioni dai 14 ai 150 metri in acciaio, alluminio e
materiali compositi nei settori commerciale, militare, paramilitare e diporto (imbarcazioni di serie e
megayachts), tutte accomunate da soluzioni tecniche di avanguardia e di altissimo livello.
La Rodriquez Cantieri Navali (tabella 1) conta oggi due unità produttive principali, situate a
Messina e a Pietra Ligure, specializzate nella lavorazione di imbarcazioni in acciaio e alluminio, cui
si sono recentemente affiancate la CONAM, cantiere specializzato nella costruzione di
imbarcazioni da diporto in vetroresina di lunghezza compresa tra i 14 e i 24 metri, e la
INTERMARINE, cantiere famoso nel mondo per l’eccellente livello tecnologico raggiunto
nell’impiego di materiali compositi in ambito militare.
•
Rodriquez Cantieri Navali (Messina)
•
Rodriquez Cantieri Navali (Pietra Ligure)
•
Rodriquez Engineering
•
Rodriquez Yachts
•
Rodriquez Marine System
•
CONAM
•
INTERMARINE
Tabella 1
A Genova si trova la RODRIQUEZ ENGINEERING, vero e proprio centro di Ricerca e Sviluppo
del gruppo la cui competenza nel campo dell’ingegneria navale ne fa un laboratorio all’avanguardia
riconosciuto a livello internazionale; merito principale è stato l’introduzione della propulsione ad
idrogetto, tradizionalmente impiegata in veicoli militari, anche nel mondo dei traghetti, creando il
concetto stesso di fast ferry rivoluzionando così sia il mercato che il modo di considerare gli
spostamenti via mare. A questo sono seguite ricerche sulle forme ed i materiali degli scafi e sulle
soluzioni di stabilizzazione, che hanno sensibilmente migliorato la tenuta in mare e la fluidità della
crociera, fino agli studi sulle possibili soluzioni propulsive, che hanno portato a combinazioni tra
sistemi diversi per ottenere le migliori prestazioni, sia a livello di potenza della spinta propulsiva,
che per quanto riguarda l’affidabilità nell’utilizzo e la manovrabilità in mare aperto. Inoltre,
Rodriquez Engineering è impegnata nello studio, progettazione e realizzazione di un avveniristico
141
aliscafo ad ali immerse, che assicurerà maggior comfort ai passeggeri e, a pari potenza, l’aumento
delle prestazioni in termini di velocità e maneggevolezza.
La RODRIQUEZ YACHTS, nata da circa tre anni e con sede a Sarzana, è la società che si occupa
della produzione e commercializzazione di megayachts; le imbarcazioni sono realizzate in
alluminio, acciaio o materiali compositi, con dimensioni variabili tra i 25 e i 70 metri, con
motorizzazioni e soluzioni di allestimento che variano in base alla tipologia del prodotto e alle
diverse esigenze di utilizzo. Lo stile è in parte curato dal designer fiorentino Francesco Paszkowski,
che ha studiato un “family look” filante ed elegante, ma la Rodriquez Yachts è anche in grado di
sviluppare un progetto completo interamente “in-house”.
Dagli studi fatti nel campo della stabilizzazione e del sea keeping è nata nel 1998 la RODRIQUEZ
MARINE SYSTEM, che si occupa della progettazione e realizzazione di sistemi ausiliari di bordo,
sistemi di monitoraggio e controllo, impianti idraulici e di stabilizzazione installati su fast ferry e
imbarcazioni da diporto; parte della produzione viene destinata ad altri cantieri navali in tutto il
mondo.
IL PROGETTO AQUASTRADA
I cantieri europei e quelli nazionali, esclusi di fatto dal mercato delle navi da trasporto a tecnologia
standard a causa prevalentemente della sempre più agguerrita concorrenza dei paesi orientali, si
stanno da tempo specializzando in produzioni ad elevato valore aggiunto e con notevole contenuto
tecnologico (fig. 1,2 e 3).
(fig.1) 1956 Nasce il primo aliscafo al mondo
(fig.2) 1971 Costruzione della prima imbarcazione veloce dotata di impianto di stabilizzazione
142
(fig.3) 1993 Concezione rivoluzionaria del traghetto: nasce Guizzo,
il primo e più veloce fast ferry al mondo nel suo genere
L’innovazione, la ricerca tecnologica e la volontà di guardare sempre avanti hanno fatto si che la
Rodriquez, dopo essere passata alla storia del trasporto veloce nel mondo con l’aliscafo, entrasse
nel mercato dei fast ferry con un’imbarcazione moderna e performante, in grado di trasportare ad
elevata velocità di crociera sia passeggeri che autovetture, sposando le necessità del mercato
internazionale e l’esigenza di diversificazione del prodotto.
(fig. 3) Consegnato il più lungo Fast Ferry in alluminio mai costruito (2001)
Il progetto Aquastrada (fig. 3) ha rappresentato e rappresenta tutt’ora una sfida tecnologica a tutti i
livelli: si trattava di proporre sul mercato un mezzo che consentisse rapidi spostamenti su lunghe
distanze, garantendo, grazie ad un’immersione contenuta, la navigazione in acque poco profonde e
l’approdo in qualsiasi tipo di struttura portuale (fig. 4), oltre a bassi costi di manutenzione, grazie ad
un equipaggio ridottissimo, conservando un elevato fattore di sicurezza.
Senza dimenticare che sugli aliscafi fu installato per la prima volta al mondo un sistema di
stabilizzazione per migliorare la tenuta al mare e garantire ai passeggeri il massimo comfort, il vero
obiettivo (fig. 5) è stato anche in questo caso lo sviluppo di un sistema di stabilizzazione, ora
costituito da quattro pinne e da superfici mobili sullo specchio di poppa, in seguito coadiuvati da un
sistema alare in grado di ridurre drasticamente i moti di rollio e beccheggio e le accelerazioni
verticali ad alta velocità anche in condizioni di mare mosso.
143
•
•
•
•
•
•
•
•
•
•
Lunghezza f.t. 115 m
Alluminio
4 x 9000 Hp Diesels
4 x Idrogetti steering
Dislocamento 1500 t
42 nodi
632 passeggeri
220 auto, max
300 m.l. camion, max
Carico Pagante 700 t
(fig. 4) Aquastrada TMV 115
Centro operativo
di controllo
(fig. 5)
Wave Detector
Superfici mobili
(intruders)
T-Foils
4 pinne
laterali
Obiettivo:
sistema di stabilizzazione integrato
miglioramento della tenuta al mare
massimo comfort per i passeggeri
144
Sono state pertanto studiate e messe a punto soluzioni tecnologiche d’avanguardia, frutto delle
intuizioni e degli investimenti effettuati, che hanno consentito alla Rodriquez di diventare in pochi
anni leader anche di questo mercato (fig. 6).
(fig. 6) Simulazione dinamica in frequenza (ottimizzazione dei controlli)
Ogni nuovo concetto, soluzione o intuizione si trasforma, dopo un adeguato periodo di
sperimentazione, in un nuovo dispositivo da installare sulle nuove costruzioni, diventando, di fatto,
lo standard per le realizzazioni successive.
Oggi le imbarcazioni di Rodriquez Cantieri Navali sono equipaggiate con sistemi che assicurano
maneggevolezza, velocità, una bassissima soglia di rumore ed un altissimo livello di comfort, anche
in condizioni di tempo avverse.
Le tecnologie sviluppate in ambito commerciale sono ora disponibili anche sui megayachts costruiti
da Rodriquez. Tecnologie sofisticate che fino a poco tempo fa erano esclusiva dei settori militare e
commerciale sono state applicate con successo anche al diporto di lusso; gli studi di sea-keeping per
mezzo di programmi CFD (fluidodinamica computazionale), la modellazione tridimensionale delle
strutture in forma parametrica, lo sviluppo del piping in 3D ed il conseguente interfacciamento con
le macchine da taglio a controllo numerico, i sistemi di controllo dell’assetto, gli impianti di
monitoraggio e controllo strettamente derivati da quelli utilizzati sui fast ferry e perfettamente
integrati tra loro.
145
LA MODELLAZIONE TRIDIMENSIONALE
Attraverso l’utilizzo di idonei software di modellazione delle superfici e di strumenti di sviluppo
integrati e parametrici, vengono ottimizzate le forme sia delle carene che delle sovrastrutture (fig.
7); i modelli matematici, arricchiti dai necessari particolari e visti da diverse angolazioni, aiutano il
progettista ed il designer nella comprensione e correzione delle forme.
(fig. 7) La modellazione tridimensionale …
Anche le movimentazioni di tender e moto d’acqua, e lo studio dei cinematismi dei portelloni e
delle relative gru, risultano estremamente semplificati dall’utilizzo di tali strumenti (fig. 8).
Non fanno eccezione le movimentazioni minori, quali tende e tendalini, tavoli telescopici, scale e
portelleria in genere (fig. 9).
(fig. 8) … lo studio delle movimentazioni …
146
(fig. 9) … e dei gadget
Completata la modellazione matematica si passa alla realizzazione di un modello in scala, che serve
da ulteriore e ultima verifica delle forme e dei volumi prima di passare alla modellazione in scala
1:1 (fig. 10).
(fig. 10) realizzazione di un modello in scala
147
PROGETTAZIONE STRUTTURALE
Una volta “bloccate” le superfici esterne viene effettuata una completa modellazione delle strutture,
dei serbatoi (strutturali e non), dei copertini e delle paratie, in maniera da procedere al taglio di tutti
gli elementi con macchine automatiche (fig. 11).
(fig. 11) La modellazione delle strutture in composito
Passando ad un esempio un pò più complesso esaminiamo la schematizzazione della sala macchine
e della linea d’assi del Wally Power, realizzato da INTERMARINE nel corso del 2003 (fig. 12).
(fig. 12)
148
Dopo aver effettuato una completa modellazione in 3D della struttura ed aver opportunamente
schematizzato i vincoli interni (saldature, bullonature ecc.), sono stati assegnati i vincoli esterni e le
condizioni di carico al contorno.
Di qui, effettuata la ”mesh” con la dimensione di maglia più opportuna ed assegnate le
caratteristiche del materiale, inizia il processo iterativo di calcolo alla ricerca degli spessori e dei
dettagli più convenienti, e si analizza la deformazione della linea d’assi per verificare la
corrispondenza con le tolleranze di progetto (fig. 13).
(fig. 13) 118’ Wally Power
L’approccio generalmente utilizzato per la progettazione strutturale delle navi commerciali veloci è
sostanzialmente differente da quello impiegato per quanto attiene alle imbarcazioni metalliche in
ambito diportistico, per il quale il ricorso al regolamento dell’Ente di Classifica è all’ordine del
giorno.
Il calcolo diretto è, comunque, da lungo tempo ampiamente utilizzato nel diporto per la risoluzione
di aspetti e problematiche locali, soprattutto nel caso in cui si abbia la necessità di contenere
l’ingombro delle travi in zone particolarmente sacrificate.
Il nostro approccio prevede invece il dimensionamento della nave nel suo complesso, passando
attraverso la determinazione dei carichi da impatto sulla trave nave, oltre che locali, il che permette
una accurata valutazione del momento flettente sull’onda. Il risultato è una struttura particolarmente
snella e resistente, che, soprattutto in abbinamento alla lega leggera come materiale di costruzione,
permette un deciso contenimento del dislocamento e un miglioramento delle prestazioni (fig. 14).
149
•
•
•
•
Dimensionamento della nave nel suo
complesso
Determinazione accurata dei carichi
da impatto sulla trave nave
Struttura risultante snella, leggera e
resistente
Dislocamento contenuto se in
abbinamento all’alluminio
(fig. 14) Progettazione strutturale avanzata
150
APPARATO PROPULSIVO
Per far fronte alle diverse esigenze e specifiche contrattuali sono state sviluppate e messe a punto
molteplici configurazioni per l’apparato propulsivo, combinando 2, 4 o 6 motori diesel e turbine a
gas a eliche convenzionali e/o idrogetti (fig. 15). In particolare sono state sperimentate soluzioni
quali:
-
2 diesel veloci accoppiati a 2 idrogetti steering ed 1 turbina a gas accoppiata al booster
centrale;
6 diesel veloci a 2 a 2 accoppiati a 2 idrogetti steering laterali e a 1 booster centrale;
4 motori diesel abbinati a 4 idrogetti steering (con trasmissione a mezzo di alberi in
carbonio);
4 motori diesel di cui 2 laterali accoppiati a eliche immerse e 2 accoppiati sullo stesso
idrogetto centrale (booster).
(fig. 15) Diverse configurazioni per l’apparato propulsivo
Il frazionamento dell’apparato propulsivo offre l’indubbio vantaggio di utilizzare una parte dei
propulsori per la sola manovra e/o per la navigazione ad una decorosa velocità di crociera (con
limitazione dei consumi e utilizzo ottimale dei motori), potendo altresì disporre di una riserva di
potenza tale da raggiungere rapidamente la velocità di punta ogniqualvolta necessario (fig. 16);
altro considerevole vantaggio è quello di poter utilizzare propulsori di dimensioni relativamente
contenute, limitando in tal modo lo sviluppo in altezza del locale macchine (fig. 17).
Un altro esempio di imbarcazione allo studio è rappresentato nella fig. 18.
151
(fig. 16) 70 m Custom Line
(fig. 17) 70 m Custom Line: Design accattivante ed aggressivo
•
•
2 diesel laterali con
idrogetti steering
1 TF 100 con booster
centrale
(fig. 18) 38 m alluminio – 70+ knots
152
PINNE STABILIZZATRICI
Come detto la volontà di creare un ambiente in cui il comfort sia tale che il passeggero non avverta
le avverse condizioni meteomarine o le virate alla ragguardevole velocità di crociera di 40 nodi, ci
ha portato allo studio, allo sviluppo e alla realizzazione “in-house” di sistemi integrati di
stabilizzazione e controllo (fig. 19).
(fig. 19) Pinne stabilizzatrici
Di norma un’imbarcazione veloce non necessita di un impianto pinne per la stabilizzazione alle alte
velocità, in quanto la configurazione della carena, generalmente a spigolo, e la distribuzione dei
pesi garantiscono una sufficiente stabilità e un certo comfort di marcia. Il problema si pone alle
velocità più moderate, laddove in condizioni di mare formato risulta difficoltoso raggiungere una
velocità tale da sfruttare il sostentamento dinamico della carena.
In tal caso si ricorre alle pinne stabilizzatrici, cercando una soluzione di compromesso tra superficie
della pinna ed effetto smorzante della stessa; una superficie grande assicura una buona stabilità alle
velocità intermedie, ma comporta una maggiore resistenza di appendice nonché un pericoloso
effetto destabilizzante se non perfettamente controllata.
Le prime serie delle nostre unità veloci sono tutte dotate di impianti a 4 pinne, che, rispetto agli
impianti dotati di due sole pinne, consentono di ottenere i seguenti vantaggi:
-
migliore distribuzione delle forze di lift, apprezzabile soprattutto con mare in poppa;
minore superficie della singola pinna, che consente, aumentando l’aspect ratio, di migliorare
il coefficiente di lift ed il rendimento globale del sistema;
miglioramento del controllo della pinna, fondamentale alle alte velocità, grazie alla
riduzione delle inerzie in gioco;
riduzione delle masse dei componenti meccanici e semplificazione dell’impiantistica
idraulica, agevolandone l’installazione;
ridondanza, essendo le pinne controllate singolarmente (la perdita di una pinna non inficia il
funzionamento delle rimanenti).
153
Il passo successivo è stato quello di introdurre un flap sul bordo di uscita del profilo, con il risultato
di aumentare decisamente il coefficiente di lift (fino al 50%) e di adottare pinne a superficie ridotta
a parità di portanza (fig. 20).
(fig. 20) Pinne “flappate”
Questo ha permesso di ottimizzare la superficie “utile” della pinna in funzione delle diverse
condizioni di esercizio, e cioè di ottenere:
-
un consistente aumento di portanza alle basse velocità, dove si richiede un maggior angolo
di rotazione della pinna;
una riduzione della superficie della pinna e, conseguentemente, del drag alle alte velocità,
per le quali non è richiesto un angolo di incidenza elevato (tipicamente 2÷3°).
Oltre ad un migliore controllo della stabilizzazione il grosso vantaggio che si aggiunge è quello di
poter lavorare anche con alti angoli di incidenza limitando il fenomeno della cavitazione.
Risultati ancora superiori, in termini di efficienza e di adattabilità alle diverse condizioni di
esercizio per le diverse tipologie di imbarcazioni, si stanno ottenendo con le pinne a geometria
variabile, già installate sui fast ferry.
Progettando e costruendo imbarcazioni “custom” ci si trova infatti ad affrontare il problema della
stabilizzazione al rollio passando dalle imbarcazioni dislocanti, che adottano carene tonde con bassi
rapporti L/B e alti B/T e che necessitano di una ottimale stabilizzazione in un campo di velocità
tipicamente tra i 12 e i 18 nodi, ai mezzi veloci, caratterizzati da carene a spigolo la cui velocità di
stabilizzazione è generalmente superiore ai 25 nodi.
154
INTRUDER
Da alcuni anni i sistemi di stabilizzazione a pinne antirollio della RODRIQUEZ sono affiancati e
coadiuvati da ipersostentatori idrodinamici montati sullo specchio di poppa, che consentono di
controllare l’assetto longitudinale alle alte velocità, e, se opportunamente controllati, anche l’assetto
trasversale (fig. 21).
Questa soluzione permette la realizzazione di un sistema combinato particolarmente efficace, in
grado di stabilizzare sia al rollio che al beccheggio, sistema tanto più efficace quanto più la velocità
di esercizio è elevata.
(fig. 21) Intruder (ipersostentatori idrodinamici)
Gli ipersostentatori idrodinamici sono in grado di garantire autonomamente un’ottima
stabilizzazione al rollio, anche se non affiancati alle pinne, e la cosa è tanto più importante quanto
più le imbarcazioni sono veloci e di piccole dimensioni; per queste imbarcazioni infatti
l’installazione della meccanica delle pinne risulta più difficoltosa.
155
SISTEMI ALARI
Per contrastare i moti della nave causati dalle avverse condizioni meteomarine e per migliorare il
comfort di bordo alle alte velocità, le ultime costruzioni sono equipaggiate anche con un sistema
alare (fig. 22) composto da un elemento attivo poppiero (del tipo a “Π”) e da un elemento attivo
prodiero (del tipo a “T”), per controllare soprattutto i moti nel piano verticale (beccheggio e
sussulto); ogni elemento integra anche superfici verticali controllabili, che consentono le virate ad
alta velocità mantenendo gli idrogetti in posizione centrale, condizione ottimale per il
raggiungimento delle massime prestazioni in termini di spinta.
(fig. 22) Sistemi alari
La combinazione tra pinne, intruder e sistemi alari permette di ottenere un effettivo ed efficace
controllo dei moti di tutti i moti verticali della nave, ovvero rollio, beccheggio e sussulto, riducendo
al minimo le accelerazioni verticali, particolarmente fastidiose.
E’ ormai in fase avanzata di studio l’applicazione del “T foil” prodiero anche su imbarcazioni da
diporto di dimensioni contenute: i vantaggi che derivano da questa installazione sono i seguenti:
-
riduzione apprezzabile del dislocamento, che si traduce in un incremento di velocità
prossimo al 5÷6%;
leggero incremento della resistenza idrodinamica aggiunta, abbondantemente compensato
dall’aumento di velocità;
elevato damping nella zona di prora, con conseguente riduzione dei carichi e delle
accelerazioni verticali.
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SMS
Per ottenere una buona stabilizzazione è indispensabile affiancare, ad una meccanica precisa ed
affidabile, un eccellente sistema elettronico di controllo e regolazione delle superfici portanti,
quello che riteniamo essere il cuore di tutto l’impianto (fig. 23).
Per le imbarcazioni veloci, in particolare, l’accuratezza e la rapidità dei controlli giocano un ruolo
fondamentale: alle alte velocità, per esempio, il “range” di lavoro di una pinna è di ± 2°, per cui un
errore di soli 0.5° risulta inaccettabile e rischia di compromettere la sicurezza della navigazione.
(fig. 23) Seaworthiness Management System (SMS)
Il sistema elettronico di controllo, sviluppato interamente in ambito Rodriquez, presenta le seguenti
caratteristiche principali:
-
architettura digitale, per ottenere la necessaria accuratezza e velocità di elaborazione;
adozione di sensori di angolo e di velocità di rollio, per avere disponibili direttamente le
grandezze fondamentali del moto ed evitare integrazioni e/o derivazioni;
controllo indipendente per ciascuna pinna;
adeguamento automatico alla velocità della nave e allo stato di mare;
limitazione dell’angolo di controllo della pinna in funzione della velocità della nave, contro
il rischio di effetti destabilizzanti.
Il sistema di visualizzazione e controllo, posto in plancia, consente l’immediata lettura dei moti e
delle accelerazioni della nave, oltre al cosiddetto “comfort index” (grado di benessere): questo
parametro è un modo per mettere direttamente in relazione i moti e le accelerazioni con la
percentuale di passeggeri che, statisticamente, potrebbero soffrire di mal di mare. Sulla base di tale
parametro il Comandante può modificare la sensibilità dell’impianto di stabilizzazione,
correggendo, se necessario, anche la rotta.
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CONTROLLO MOTORI
L’ERC è un sistema elettronico per il controllo e la gestione dei motori di propulsione, basato su
architettura a microprocessore (fig. 24). Il sistema è nato, come del resto anche gli altri dispositivi,
per l’impiego su navi commerciali, ma si presta perfettamente all’impiego su tutte le unità di nostra
produzione, quale che sia la propulsione adottata (motori diesel o turbine a gas, accoppiati a eliche
immerse o idrogetti).
(fig. 24) Controllo motori e invertitori
Le principali caratteristiche di questo sistema sono le seguenti:
-
controllo, con alto grado di accuratezza, della velocità, dell’inversione, del crash stop e
possibilità di sincronizzazione;
controllo della sequenza delle operazioni tramite microprocessore;
programmazione delle rampe in base ai requisiti di carico del sistema di propulsione;
uscita in corrente (4-20 mA) per l’interfacciamento a tutti i tipi di propulsori;
auto diagnosi del sistema;
possibilità di integrazione dei controlli e degli allarmi nel sistema di monitoraggio.
MONITORAGGIO E CONTROLLO NAVE
L’impianto elettronico di monitoraggio centralizzato permette di effettuare direttamente dalla
plancia la supervisione e il controllo degli apparati di bordo della nave (fig. 25).
I segnali da monitorare, provenienti dal campo, vengono acquisiti dai moduli elettronici “Field
Point” e da questi trasmessi al computer posizionato in plancia. Il software di elaborazione
provvede alla trattazione dei dati ricevuti e alla visualizzazione degli stessi sul monitor per mezzo
di un certo numero di pagine grafiche che l’operatore può richiamare di volta in volta.
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(fig. 25) Automazione, monitoraggio e controllo
Avere avuto l’opportunità e la necessità di studiare e mettere a punto dei sistemi di monitoraggio e
controllo in grado di gestire 2500 punti con il 100% di ridondanza ci permette di trasferire
agevolmente questa tecnologia sulle imbarcazioni da diporto. Grazie ad una interfaccia uomo
macchina user-friendly è possibile supervisionare gli impianti di propulsione, gli impianti di
generazione della corrente di bordo, comunicare in maniera flessibile con il mondo esterno e
automatizzare processi.
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SEA-MED 2004 - Università degli Studi di Messina