LO SCREENING DEL I TRIMESTRE: TECNICHE, RUOLI E PROSPETTIVE Aspetti medico legali dello screening prenatatale Imola, 14 settembre 2013 Aldo Ricci S.C. di Medicina Legale e Gestione del Rischio In ambito di responsabilità professionale, la disciplina ostetrico- ginecologica (anche rispetto alle attività di screening prenatale) è considerata tra quelle a maggior rischio (infatti, premi di polizza sempre più alti) Anche per il numero di casi Ma soprattutto: elevata entità dei risarcimenti che ne possono derivare Doveri del professionista nello svolgimento dell’attività sanitaria Attenersi alle regole di buona pratica in relazione alle conoscenze scientifiche di quel momento storico (spesso in relazione a LINEE GUIDA) Attività di natura “strettamente” sanitaria Accurata anamnesi (ev. fattori di aumentato rischio per patol. malformative: età, patologie, uso di farmaci, familiarità, precedenti nascite di figli affetti, ecc.) allo scopo di definire se la gravidanza sia da inquadrare a basso o aumentato rischio per patologie fetali. EO (generale e locale) ed ev. accertamenti diagnostici Inquadramento della gravidanza come a “basso” (fisiologico) o più o meno aumentato rischio di malformazioni Conseguente disposizione delle indagini più adeguate ad identificare l’ev. presenza di patologie fetali in relazione al maggiore o minore rischio (evidentemente in rapporto anche all’epoca gestazionale) Correlato dovere di informazione (!!) su limiti diagnostici esami di screening, disponibilità di ev. indagini alternative dotate di > sensibilità (↑ costi!) ma ev. di > rischi Corretta interpretazione delle risultanze delle indagini di screening In caso di positività di talune indagini, es. IgMCMV +, (informare e spiegare!), conseguente consiglio di ulteriori adeguate indagini di livello superiore (ove necessario, invio a centri di livello superiore) Evidentemente, se certezza di patologia fetale: informare la gestante Tuttavia… pur a fronte di condotte adeguate (rispetto delle LG), la nascita di un neonato affetto da patologia non esclude azioni risarcitorie nei confronti del sanitario (né condanne in ambito giudiziale) I motivi L’attività di screening prenatale è in sé connotata dal rischio di mancata diagnosi in rapporto alla sensibilità non assoluta delle indagini MA LE GESTANTI NE SONO CONSAPEVOLI? I motivi AUMENTO DI ASPETTATIVE da parte del paziente (gestante) Convinzione dell’infallibilità della medicina In caso di mancata diagnosi ↓ “LA COLPA è DEL MEDICO!” (diminuita fiducia nei confronti dei sanitari) Non accettazione della disabilità DUE ASPETTI DI FONDAMENTALE IMPORTANZA! (la cui inadeguatezza spesso preclude la possibilità di una efficace difesa) Dovere di informazione adeguata e parametrata alle capacità di comprensione (compreso accertarsi che la pz abbia capito i contenuti dell’informazione) Corretta tenuta della documentazione sanitaria DOCUMENTAZIONE SANITARIA Nell’ottica ormai consolidata della responsabilità contrattuale, infatti, grande rilievo assume la corretta tenuta della documentazione sanitaria (posto che l’onere di fornire la prova ricade sul professionista) Documentazione sanitaria lacunosa, insufficiente, carente, parziale, può impedire – nel sistema della prova in ambito civile di responsabilità contrattuale – di fornire la prova della corretta condotta professionale del sanitario e finire con il costituire prova contraria! In sostanza Ricorso al criterio delle presunzioni: ciò che non risulta annotato viene considerato non fatto UN CASO REALE Nel 2002 una paziente di origine africana (ambito culturale nel quale una nascita malformata è vissuta come uno stigma, una sorta di punizione divina) dà inaspettatamente alla luce una bambina affetta da amelia dell’AS sx. Nella richiesta di risarcimento è contestata l’omessa diagnosi della malformazione e la conseguente mancata informazione Dal modulo prestampato dell’eco “morfologica” emerge come non siano “crocettate” le voci relative alla visualizzazione degli AASS (referto finale: “morfologia esplorata nella norma”) Nella propria relazione sanitaria il professionista sostiene come gli AASS non fossero visualizzabili (evenienza notoriamente possibile) e di aver rinviato la pz ad ulteriore controllo eco, ma come dimostrarlo? CONCLUSIONI PARERE MEDICO LEGALE? CASO INDIFENDIBILE consigliabile (e conveniente) risarcimento nei confronti di madre e padre nelle forma di una sorta di danno morale Infatti, pur se evidentemente la patologia non è stata causata dal professionista, l’omessa diagnosi ha fatto sì che i genitori abbiano avuto conoscenza della malformazione della piccola solo al momento della nascita e ciò rappresenta in sé un trauma di maggiore entità di quello che avrebbero subito apprendendo la notizia nel corso della gravidanza… In caso di contenzioso civile si sarebbe quasi certamente concluso che, non risultando, il passaggio di visualizzazione degli AASS fosse da considerare non effettuata. Inoltre, ci sarebbe stato il fondato rischio che fosse sollevata la circostanza che l’omessa diagnosi ha impedito alla gestante di potersi avvalere della IVG ex art. 6 L. 194/78. Quale sarebbe stato il comportamento corretto del professionista? Evidentemente annotare in documentazione sanitaria sia l’impossibilità di visualizzare gli AASS in corso di ecografia (spiegando alla pz i limiti della metodica) sia il rinvio a successivo controllo eco L’adeguata annotazione di tali aspetti, infatti, avrebbe permesso di sostenere una valida difesa, dimostrando la corretta condotta professionale Quindi… Importanza della corretta tenuta della cartella clinica, nella quale non solo andrà registrata ogni attività effettuata (anche riferita all’informazione), ma anche conservata tutta la documentazione sanitaria relativa ad accertamenti eseguiti che possano giustificare le scelte effettuate Inoltre Adeguata e documentata informazione rispetto a tutti i passaggi che hanno caratterizzato le attività svolte a fini di diagnosi prenatale Non di rado, infatti, in ambito giudiziale i casi di mancata diagnosi neonatale vertono su un deficit di informazione, con conseguente riconoscimento della lesione del diritto all’autodeterminazione della gestante alla quale sarebbe stata preclusa la possibilità di poter scegliere se interrompere la gravidanza Responsabilità da nascita di neonato “malformato” La sentenza Cass. Civ. Sez. III, n. 16754 del 2.10.2012 Settembre 1996: nascita della piccola M., inaspettatamente affetta da Sdr di Down. Febbraio 1999: genitori (anche in nome della neonata e delle altre 2 figlie) citano il giudizio il medico dr. D e la Az. USL, sostenendo: - la sig.ra B. si era rivolta al dr. D. chiedendo di essere sottoposta ad ogni accertamento necessario ad escludere malformazioni fetali; - che la nascita di un bimbo sano era rappresentata al medico quale condizione assoluta per la prosecuzione della gravidanza; - che il dr. D. aveva proposto e fatto eseguire alla gestante il solo “tritest”, omettendo di prescrivere accertamenti più “specifici” (amniocentesi) La Corte d’Appello respingeva l’istanza, motivando: - - che il neonato non fosse titolare di un diritto risarcitorio iure proprio; Sulle pretese risarcitorie dei familiari - assenza di colpa da parte del sanitario: la sola indicazione al tritest era da considerare del tutto giustificata in rapporto ad età della gestante (28 anni), assenza di familiarità per patologie malformative. L’indicazione all’amniocentesi avrebbe potuto essere giustificata solo da un’esplicita richiesta (all’esito di colloquio su limiti e vantaggi e rischi), ma tale richiesta non risultava provata né allegata; Che l’accertamento di una malformazione fetale “non è di per sé sufficiente a legittimare un’interruzione di gravidanza”, posto che sarebbe stata praticata nel II trimestre e non era stata in alcun provata la sussistenza dei requisiti di legge (nel caso specifico: grave pericolo per la salute psichica in caso di prosecuzione gravidanza nella consapevolezza di malformazione fetale); - Che il problema relativo alla carenza di informazione non era da prendere in considerazione, non essendo in origine stata sollevata la privazione del diritto di scelta della gestante rispetto all’aborto. La Sentenza della Cassazione ribaltava il giudizio: - Riconosceva responsabilità del medico per omessa diagnosi: sarebbe stato suo dovere informare la pz non solo circa i limiti dell’indagine di screening effettuata, ma anche di altre indagini (amniocentesi) dotate di maggior sensibilità diagnostica (ovvero inadempimento per non aver ottemperato alla richiesta finalizzata ad una diagnosi di malformazione finalizzata all’IVG in caso di positività, posto che è stato eseguito un test di screening del tutto generico più che un v. e p. esame diagnostico) - Ma anche per la conseguente violazione del diritto di autodeterminazione della pz rispetto alla scelta di adire all’aborto in caso di malattia fisica o psichica (risolvendo la questione sulla sussistenza dei requisiti previsti dall’art. 6 L. 194/78 sulla base del dato che in sede di CTU era accertato un danno psichico e, di conseguenza, era da ritenere che la patologia psichica si sarebbe manifestata anche in corso di gravidanza alla notizia della patologia fetale) - in ogni caso, afferma la S.C., la lesione - del diritto consisterebbe nell’aver impedito la possibilità di scelta L’onere probatorio: la pz deve provare solo di aver richiesto la diagnosi di malformazione (aspetto non contestato nelle memorie difensive), alla cui assenza era condizionata la prosecuzione della gravidanza. Il medico deve, invece, provare di aver informato la pz su tutti i detti aspetti I soggetti legittimati al risarcimento - - Pur ritenuto che la legge riconosca unicamente alla gestante un diritto di scelta rispetto all’IVG, la sentenza riconosce come legittimati al risarcimento non solo la madre, ma anche il padre (come già riconosciuto da precedenti sentenze) e, per la prima volta, anche i fratelli del neonato in quanto soggetti protetti dal rapporto contrattuale medico/gestante, Il neonato stesso – esprimendo come danno patito da questi non sia la sua esistenza né la malformazione in sé (quindi non per “un diritto a non nascere se non sano”, che lederebbe il valore assoluto “vita”), ma la sua stessa esistenza di diversamente abile riconosciuto in una sorta di tutela della sua salute, attraverso un risarcimento teso ad alleviare e rendere meno disagevole una vita resa più difficoltosa dalla condizione di disabilità (parendo in tal modo esprimere concetti più tipici dell’ambito assistenziali che non propri di quello risarcitorio) GRAZIE PER L’ATTENZIONE… Aldo Ricci S.C. di Medicina Legale e Gestione del Rischio