Incontro regionale del gruppo Sicilia “Don Luigi Sturzo” 2011 Caltagirone – 4 settembre 2011 Impegno sociale e paideia politica Villa Nazareth – Fondazione Comunità Domenico Tardini ONLUS Via D. Tardini 33-35, 00167 Roma – Tel. 06-666971, Fax. 06-6621754 E-mail: [email protected], [email protected], [email protected] Sito web: www.villanazareth.org, www.vnstudenti.org Incontro culturale del Gruppo Sicilia Caltagirone 4 settembre 2011 Sede: Fondo Sturzo Contrada Russa dei Boschi Tel: 093350072 Programma ore 9.30 Momento comunitario: accoglienza e saluti alle famiglie. Saluto e interventi di Monsignor Claudio Maria Celli e della Prof.ssa Angela Groppelli. ore 10.30 Saluto di Mons. Calogero Peri, vescovo di Caltagirone, e relazioni: - Mons. Michele Pennisi, vescovo di Piazza Armerina e presidente della causa di canonizzazione di don Luigi Sturzo - Prof. Gaspare Sturzo, magistrato ordinario e docente di diritto penale del lavoro presso la Libera Università degli Studi Maria SS. Assunta (LUMSA) di Roma. - Dott. Vincenzo Di Natale, segretario generale della Fondazione Mons. Di Vincenzo. Moderatore: Antonino Catalano Don Luigi Sturzo Impegno sociale e paideia politica Referenti in loco: Angelo Tumminelli Chiara Strano Referenti coordinatori: Antonino Catalano Simona Serra INDICE Programma………………………………………………………………………………………………………………………2 Biografie dei relatori……………………………………………………………………………………….….……………3 Articolo n. 1 L'APPELLO AL PAESE……………………………………………………………………………………4 . Articolo n. 2 I DIRITTI UMANI NEL PENSIERO DI LUIGI STURZO……...……...……......…………. 5 Articolo n. 3 INTERVISTA A GABRIELE DE ROSA……………………………………………………………...6 Articolo n. 4 INTERVISTA A SALVATORE MARTINEZ……………………………………………………..…9 Articolo n. 5 CATTOLICI E SPIRITO DI SERVIZIO NELLA DOTTRINA DI DON STURZO………..10 Articolo n. 6 MORALIZZARE LA VITA PUBBLICA…………………………………………………………...13 ore 13.00: Pranzo presso Fondo Sturzo ore 15.00: Visita alla Fondazione “Casa Museo Sturzo” ore 16.00: Santa Messa presso la Chiesa del Santissimo Salvatore (Mausoleo di don Luigi Sturzo) celebrata da Mons. Calogero Peri, Mons. Claudio Maria Celli e Mons. Michele Pennisi. ore 17.30: Saluti e partenze. 2 Biografie dei Relatori Gaspare Sturzo Magistrato ordinario di Corte d’Appello, pro nipote di Don Luigi Sturzo, ha prestato servizio presso le Procure di Termini Imerese e di Palermo. Componente della Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo, fino al 2001, ha coordinato diverse indagini in tema di contrasto alle infiltrazioni mafiose nella pubblica amministrazione e nel settore degli appalti pubblici, specializzandosi in tema di anti corruzione e di lotta al riciclaggio di capitali illeciti. Ha fatto parte del pool dei magistrati palermitani che ha raccolto le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Angelo Siino, definito il ministro degli appalti di “cosa nostra”, nonché del gruppo che ha diretto le ricerche del super latitante Bernardo Provenzano. Successivamente ha presieduto il collegio penale del Tribunale di Tivoli, svolgendo le funzioni di Presidente vicario del Tribunale. Nel 2004 è stato nominato esperto giuridico presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento Affari Giuridici e Legislativi. Nel 2007 è stato nominato consigliere giuridico dell’Alto Commissario per la prevenzione e il contrasto della corruzione nella Pubblica Amministrazione. Dal 2008 è esperto giuridico presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Collabora con la Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione ed è docente di diritto penale del lavoro presso l’Università LUMSA di Roma. Ha fatto parte del comitato scientifico che ha curato il Convegno Internazionale Sturziano di Catania. È autore di numerosi saggi e articoli sul popolarismo e don Luigi Sturzo, tra cui “Mafia e questione meridionale nelle analisi di Luigi Sturzo”. È coautore di testi specialistici in materia di antiriciclaggio. Collabora con le riviste Rinascimento Popolare, Il Sudsidiario, Rivista Giuridica del Mezzogiorno, La Società. Michele Pennisi (Licodia Eubea, 23 novembre 1946) è un vescovo cattolico italiano. Attualmente è vescovo di Piazza Armerina. Dopo gli studi per la preparazione al sacerdozio, viene ordinato sacerdote il 9 settembre 1972 da mons. Carmelo Canzonieri. Dal 1985 al 1992 rettore del Seminario vescovile di Caltagirone. Dal 1997 al 2002 è stato Rettore dell'Almo Collegio Capranica. Papa Giovanni Paolo II lo nomina vescovo di Piazza Armerina il 12 aprile 2002. Viene consacrato vescovo, nella Basilica-Cattedrale di Piazza Armerina, il 3 luglio 2002. Attualmente è presidente della Associazione Bibliotecari Ecclesiastici Italiani (ABEI). Dal 2007 è Priore Costantiniano per la Sicilia. Nella Conferenza Episcopale Italiana è membro della Commissione episcopale per l'educazione cattolica, la scuola e l'università. Nella Conferenza Episcopale Siciliana è delegato per la Dottrina della Fede e la Catechesi. Presidente comitato scientifico dell'Istituto di Sociologia "L. Sturzo" di Caltagirone. Presidente della causa di canonizzazione di don Luigi Sturzo. Si è impegnato attivamente per far assegnare a delle cooperative di detenuti ed ex-detenuti i terreni confiscati a mafiosi. Nel febbraio 2008 gli è stata assegnata la scorta, dopo aver ricevuto un volantino con minacce di morte dalla mafia gelese, per essersi rifiutato di celebrare il funerale in cattedrale, del boss mafioso "Daniele Emmanuello", ucciso il 3 dicembre 2007 in un conflitto a fuoco con la polizia. È vescovo dal 2002 ed ha reso la diocesi un motore antimafia. Ha partecipato in modo convinto per concretizzare il progetto di legalità sentito dal popolo di Gela come una urgenza prioritaria. Dott. Vincenzo Di Natale Si è laureato in Scienze politiche all’Università degli Studi di Catania; Ha conseguito un Master universitario in “Management pubblico” presso la Facoltà di Economia dell’Università di Catania e una Specializzazione in “Direzione della Pubblica Amministrazione” presso la Scuola di Milano dell’Albo dei Segretari e Direttori generali della Regione Lombardia. Ha svolto attività di consulenza di direzione per le pubbliche amministrazioni locali per il Formez, Consiel Enti locali, Nomisma, presso diversi Comuni d’Italia. Ha svolto un percorso formativo sulla comunicazione nei gruppi e la gestione dei team di lavoro che lo ha portato a conseguire un Master in “Comunicazione nei gruppi di lavoro”. Ha conseguito un diploma biennale frequentando il Corso di “Dottrina Sociale della Chiesa” presso la Fondazione Centesimus Annus Pro Pontifice e la Pontificia Università Lateranense di Roma. Al piacere per l’attività di consulenza per le pubbliche amministrazioni ha sempre unito l’amore per la formazione degli adulti, svolgendo attività di libero docente e formatore per Enti, Scuole ed Università. Attualmente dirige anche un Centro di Formazione Professionale regionale ad Enna, città dove vive con la sua famiglia; Dal 2007 è impegnato a dare un contributo professionale e umano al Progetto “Polo di Eccellenza Mario e Luigi Sturzo” di Caltagirone (progetto rivolto alla povertà del mondo carcerario) attraverso la Fondazione Istituto di Promozione Umana “Mons. Francesco Di Vincenzo” di cui è Segretario Generale. 3 Articolo n. 1 La fondazione del partito popolare italiano, promossa da don Luigi Sturzo, allora prosindaco di Caltagirone e vicepresidente dell'Associazione nazionale dei comuni d'Italia, fu decisa da un gruppo rappresentativo di esponenti cattolici, deputati al parlamento, amministratori provinciali e comunali, organizzatori di sindacati e di cooperative, riuniti a Roma (Via dell'Umiltà) tra la fine di novembre e la metà di dicembre del 1918, appena dopo l'armistizio in séguito al discorso tenuto da Sturzo a Milano, che si riporta in appendice, e che diede luogo a lettere, interviste, articoli sulla stampa cattolica e liberale. L'assemblea dei promotori nominò Sturzo segretario politico di una commissione provvisoria, la quale approvò il testo del programma e dell'appello emanato il I8 gennaio 19191, da lui redatto. Il conte Carlo Santucci e don Sturzo furono incaricati di fare un passo presso il Cardinal Segretario di Stato, Pietro Gasparri, per la cessazione completa del non expedit, che fu poi decisa nel novembre del 1919. L'APPELLO AL PAESE A tutti gli uomini liberi e forti, che in questa grave ora sentono alto il dovere di cooperare ai fini supremi della Patria, senza pregiudizi né preconcetti, facciamo appello perché, uniti insieme, propugnino nella loro interezza gli ideali di giustizia e di libertà. E mentre i rappresentanti delle nazioni vincitrici si riuniscono per preparare le basi di una pace giusta e durevole, i partiti politici di ogni paese debbono contribuire a rafforzare quelle tendenze e quei principi che varranno ad allontanare ogni pericolo di nuove guerr-e, a dare un assetto stabile alle nazioni, ad attuare gli ideali di giustizia sociale e migliorare le condizioni generali del lavoro, a sviluppare le energie spirituali e materiali di tutti i paesi uniti nel vincolo solenne della società delle nazioni. E come non è giusto compromettere i vantaggi della vittoria conquistata con immensi sacrifici, fatti per la difesa dei diritti dei popoli e per le più elevate idealità civili, così è imprescindibile dovere di sane democrazie e di governi popolari trovare il reale equilibrio dei diritti nazionali con i supremi interessi internazionali e le perenni ragioni del pacifico progresso della società. Perciò sosteniamo il programma politico-morale, patrimonio delle genti cristiane, ricordato prima da parola augusta e oggi propugnato da Wilson, come elemento fondamentale del futuro assetto mondiale, e rigettiamo gli imperialismi che creano i popoli dominatori e maturano le violente riscosse; perciò domandiamo che la società delle nazioni riconosca le giuste aspirazioni nazionali, affretti l'avvento del disarmo universale, abolisca il segreto dei trattati, attui la libertà dei mari, propugni nei rapporti internazionali la legislazione sociale, la uguaglianza del lavoro, le libertà religiose contro ogni oppressione di setta, abbia la forza della sanzione e i mezzi per la tutela dei diritti dei popoli deboli contro le tendenze sopraffattrici dei forti. Al migliore avvenire della nostra Italia - sicura nei suoi confini e nei mari che la circondano - che per virtù dei suoi figli, nei sacrifici della guerra ha con la vittoria compiuta la sua unità e rinsaldata la coscienza nazionale, dedichiamo ogni nostra attività con fervore d'entusiasmi e con fermezza di illuminati propositi. Ad uno stato accentratore, tendente a limitare e regolare ogni potere organico e ogni attività civica e individuale, vogliamo sul terreno costituzionale sostituire uno stato veramente popolare, che riconosca i limiti della sua attività, che rispetti i nuclei e gli organismi naturali - la famiglia, le classi, i comuni, - che rispetti la personalità individuale e incoraggi le iniziative private. E perché lo stato sia la più sincera espressione del volere popolare, domandiamo la riforma dell'istituto parlamentare sulla base della rappresentanza proporzionale, non escluso il voto alle donne, e il senato elettivo, come rappresentanza direttiva degli organismi nazionali, accademici, amministrativi e sindacali; vogliamo la riforma della burocrazia e degli ordinamenti giudiziari e la semplificazione della legislazione; invochiamo il riconoscimento giuridico delle classi, l'autonomia comunale, la riforma degli enti provinciali e il più largo decentramento nelle unità regionali. Ma sarebbero vane queste riforme e senza contenuto, se non reclamassimo, come anima della nuova società, il vero senso di libertà rispondente alla maturità civile del nostro popolo e al più alto sviluppo delle sue energie: libertà religiosa, non solo agl'individui ma anche alla chiesa, per la esplicazione della sua missione spirituale nel mondo; libertà di insegnamento, senza monopoli statali; libertà alle organizzazioni di classe, senza preferenze e privilegi di parte; libertà comunale e locale secondo le gloriose tradizioni italiche. Questo ideale di libertà non tende a disorganizzare lo stato, ma è essenzialmente organico nel rinnovamento delle energie e delle attività che debbono trovare al centro la coordinazione, la valorizzazione, la difesa e lo sviluppo progressivo. Energie che debbono comporsi a nuclei vitali, che potranno fermare o modificare le correnti disgregatrici, le agitazioni promosse a nome di una sistematica lotta di classe e della rivoluzione anarchica, e attingere dall'anima popolare gli elementi di conservazione e di progresso, dando valore all'autorità come forza ed esponente insieme della sovranità popolare e della collaborazione sociale. Le necessarie e urgenti riforme nel campo della previdenza e della assistenza sociale, nella legislazione del lavoro, nella formazione e tutela della piccola proprietà, devono tendere alla elevazione delle classi lavoratrici; mentre l'incremento delle forze economiche del paese, l'aumento della produzione, la salda ed equa sistemazione dei regimi doganali, la riforma tributaria, lo sviluppo della marina mercantile, la soluzione del problema del Mezzogiorno, la colonizzazione interna del latifondo, la riorganizzazione scolastica e la lotta contro l'analfabetismo varranno a far superare la crisi del dopoguerra e a tesoreggiare i frutti legittimi e auspicati della vittoria. Ci presentiamo nella vita politica con la nostra bandiera morale e sociale, ispirandoci ai saldi principi del cristianesimo, che consacrò la grande missione civilizzatrice dell'Italia; missione che anche oggi, nel nuovo assetto dei popoli, deve rifulgere di fronte ai tentativi di nuovi imperialismi, di fronte a sconvolgimenti anarchici di grandi imperi caduti, di fronte a democrazie socialiste che tentano la materializzazione di ogni idealità, di fronte a vecchi liberalismi settari che, nella forza dell'organismo statale centralizzato, resistono alle nuove correnti affrancatrici. A tutti gli uomini moralmente liberi e socialmente evoluti, a quanti nell'amore alla patria sanno congiungere il giusto senso dei diritti e degl'interessi nazionali con un sano internazionalismo, a quanti apprezzano e rispettano le virtù morali del nostro popolo, a nome del partito popolare italiano facciamo appello e domandiamo l'adesione al nostro programma. Roma, 18 gennaio 1919. LA COMMISSIONE PROVVISORIA del PPI 4 Articolo n. 2 I DIRITTI UMANI NEL PENSIERO DI LUIGI STURZO Il pensiero, gli scritti, tutto il patrimonio culturale e politico che don Luigi Sturzo ha costruito attingendo dal Vangelo e dalle Encicliche sociali è stato studiato da pochi ed applicato assai meno. Lui stesso ne era consapevole e il 9 novembre 1928, durante l’esilio, in una lettera mai spedita a Barbara Carter, traduttrice delle sue opere così scriveva: ”per diverse ragioni non solo non sono stato compreso, ma sono stato frainteso, alterato nella mia fisonomia politica e morale, nei miei intenti, nelle mie attività. I miei scritti sono stati valutati e letti solo come un prodotto polemico e occasionale, come a giustificare o mettere in luce la mia attività e quella del partito o della tendenza a cui appartenevo… e i miei popolari mi amavano e stimavano assai, ma pochi, assai pochi, penetrarono il mio pensiero e la ragione dei miei atteggiamenti… E il fondo del mio pensiero? E’ rimasto li, proprio in fondo, senza che sia compreso nel suo giusto valore né da amici né da avversari; anzi di più, senza che si siano accorti, tranne pochissimi, che lì c’è un pensiero e che valga la pena di discuterlo e svilupparne i germi”. Lo stesso isolamento è avvenuto per Encicliche sociali, tenute chiuse nelle biblioteche , ma assai poco studiate e comprese. Perchè le idee di don Luigi Sturzo e delle Encicliche sociali non hanno circolato? Perché lo spirito del tempo che stiamo vivendo già da alcuni secoli è caratterizzato , come affermava Giovanni Paolo II , da una grande e decisiva controversia sull’umano, un conflitto su chi è in verità l’uomo. Quando con il pensiero illuministico si è iniziato a teorizzare l’autosufficienza dell’uomo, la sua autonomia assoluta da Dio, si pensava che anche mettendo fra parentesi ogni fondamento teologico, l’essere umano avrebbe seguito il bene non per timore di una punizione divina, ma per una libera e consapevole scelta, puramente responsabile. A distanza di qualche secolo, l’uomo che basta a sé stesso, non solo non è riuscito a mantenere le sue pretese di eticità, ma ha rinunciato ad identificare sé stesso nella sua ragionevolezza e nella sua moralità, finendo per attribuirsi un contenuto puramente materiale. Nel pensiero dominante l’umanità dell’uomo è definita dal proprio corpo e dai propri desideri che si pretende di trasformare in diritti. Il comune convincimento che l’uomo basta a se stesso, non rimane solo un’affermazione teorica ma diventa automaticamente criterio di azione, il principio su cui si tenta di modellare la convivenza umana e costruire le città come se Dio non ci fosse. Ho fatto questa premessa per capire il motivo del silenzio attorno al pensiero di don Sturzo e del Magistero della Chiesa. Oggi, dopo il fallimento delle ideologie, la Dottrina sociale della Chiesa rappresenta il pensiero che vale la pena di discutere e di sviluppare per la riscoperta della verità sull’umano. G.Paolo II nella Centesimus annus scrive : ” ciò che fa da trama e, in certo qual modo , guida tutta la Dottrina sociale della Chiesa, è la corretta concezione della persona umana e del suo valore unico, in quanto l’uomo… in terra è la sola creatura che Dio abba voluto per se stessa. In lui ha scolpita la sua immagine e somiglianza, conferendogli una dignità incomparabile.” Leggendo il Compendio della Dottrina sociale della Chiesa e numerosi documenti del Magistero fra cui: Rerum novarum, Quadrigesimo anno, Pacem in terris, Mater et Magistra, Evangelium vitae, Dignitatis humanae, Centesimus annus, Veritatis splendor, possiamo trovare sviluppati molti scritti di don Sturzo sui diritti umani, la democrazia, la libertà , il bene comune, i diritti delle nazioni . Le sue riflessioni sono nate dalla rivelazione cristiana e quindi si fondano sulla verità dell’uomo. In tema di diritti umani , nella “Pacem in terris” Giovanni XXIII afferma che ogni diritto è connesso ad un dovere e sottolinea l’incoerenza di coloro che rivendicano solo diritti senza curarsi dei propri doveri: con questo atteggiamento si rischia di “costruire con una mano e distruggere con l’altra”. Don Luigi Sturzo così scrive nel 1935 in La società: sua natura e leggi: “La base della giustizia naturale , o dirittodi natura, può fissarsi nella coesistenza dei diritti e reciprocità dei doveri. Se tutti avessero diritti senza doveri, cesserebbe la coesistenza sociale, se tutti avessero doveri senza diritti, mancherebbe la obbligatorietà dei doveri…E’ la personalità dell’uomo, in quanto razionale, non solo soggetto del diritto ma sorgente del diritto, non è la società o lo Stato, come alcuni pensano, la sorgente del diritto… La legge naturale dei diritti e dei doveri viene integrata dalla legge evangelica dell’amore reciproco che è come l’anima che vivifica il corpo. Non c’è ordine giuridico che non sia basato sopra un ordine etico, quello che evade dall’ordine etico manca di base, non può reputarsi ordine, ma disordine…La risoluzione etica è un fatto necessario per la stabilità dell’ordine giuridico e per impedirne la disgregazione ed è insieme atta a dare alla legge un valore oggettivo ed intangibile. Perchè ciò avvenga la legge deve avere un contenuto evidente di giustizia, qualche cosa di sacro e di fondato in natura, un chiaro rapporto con un principio superiore all’uomo, e che può essere espresso dalle parole che tutti venerano come simbolo e come realtà: giustizia,onore,santità. Mentre l’idea di giustizia si riferisce ai rapporti fra gli uomini, quella di onore mette in rilievo la personalità e la dignità spirituale di ciscuno, quella della santità indica il marchio divino che è in noi, ovvero il nostro rapporto di religione verso Dio e la sua autorità sovrana. Solo allora la legge diviene veramente qualche cosa di sacro e si rivela atto di autorità, consenso di coscienza pubblica, eticità fondamentale”. Nel 1938 in Politica e morale scrive : “E’ impossibile trovare un essere umano che abbia diritti senza doveri, o doveri senza diritti, se non nella mostruosa ineguaglianza di una società senza natura… Diritti e doveri sono correlativi, non si dà un diritto senza un dovere corrispondente. L’operaio ha diritto al giusto salario, ma ha il dovere di fare il lavoro bene: le qualità di giusto per il salario e di buono per il lavoro sono anch’esse correlative, perché inerenti il rapporto economico che implica un rapporto morale. Il cittadino ha il diritto di essere governato bene, secondo le tradizioni ed i mezzi che ha un paese; ma ha il dovere di inviare ai posti pubblici elettivi persone moralmente integre e politicamente preparate”. Quando viveva don Luigi Sturzo era ancora diffusa una cultura ancorata alla tradizione cristiana con una precisa coscienza della differenza dei sessi, del rapporto uomo-donna, l’importanza della famiglia, ma si sfilacciava sempre di più il legame fra morale personale ed etica pubblica e le dittature schiacciavano i diritti del cittadino. Per questo alcuni suoi libri : Politica e morale, La società: sua natura e leggi, La comunità internazionale e il diritto di guerra, La Vera vita,sociologia del soprannaturale affrontano problematiche specifiche. Oggi nella dimensione sociale emerge con chiarezza e drammaticità il grande conflitto intorno alla verità dell’uomo , a partire dal diritto alla vita e al diritto di libertà religiosa. Il richiamo di don Luigi Sturzo che “la libertà esige verità” è di grande attualità perché porta la questione al fondamento del problema antropologico che stiamo vivendo e la vera identità dell’umano che anima il Magistero sociale della Chiesa. Quando don Sturzo scrive sui diritti umani ha una concezione antropologica integrale che ha come perno la dignità umana ancorata a Dio. A partire dalla realtà della persona, definita dalla dinamica della sua ragione e della sua libertà in relazione con la verità, molti suoi scritti sono indirizzati al cittadino come membro attivo di una comunità politica. La relazione tra libertà e verità lo ha spinto a denunciare una democrazia senza valori, una democrazia intesa solo come pura regola procedurale, come forma politica del relativismo etico. Le battaglie di Don Sturzo per la libertà di coscienza e la libertà religiosa nascono dalla convinzione che la persona è caratterizzata da ragione e volontà, ossia dal fatto di essere una libertà consapevole con il compito di autodeterminarsi in relazione al dialogo della sua coscienza con la verità, con il vero bene. Essendo la dignità della persona a fondamento dei diritti è chiaro che la fonte ultima dei diritti umani non si situa nella mera volontà degli esseri umani, o nella realtà dello Stato, o nei poteri pubblici, ma nell’uomo stesso e in Dio suo creatore. La persona quindi è originariamente titolare dei diritti politici che per poter essere esercitati necessitano delle premesse di ordine concreto: benessere diffuso, diffusa proprietà dei beni produttivi, estesa responsabilità in campo economico, diffusa libertà d’istruzione. La vocazione di portare Dio nella politica attraverso l’educazione della coscienza dei cittadini al fine di renderli consapevoli della propria dignità, dei diritti, dei doveri, ha portato don Sturzo a tradurre sul piano istituzionale uno Stato fondato sulla persona umana. I poteri locali sono per don Luigi il punto di 5 partenza unito alla partecipazione effettiva dei lavoratori e dei cittadini alle decisioni economiche, sociali e politiche. Oggi la crisi prima di tutto morale della politica chiede l’umiltà di riscoprire, discutere e sviluppare i germi del pensiero di don Luigi Sturzo e il Magistero della Chiesa. In Friuli Venezia Giulia lo ricordardiamo continuando il suo impegno alla formazione della coscienza umana ed organizzando un corso triennale di formazione socio-politica sulla Dottrina sociale della Chiesa il cui programma è nel sito www: centrosturzo.fvg.it Daniela Vidoni responsabile regionale Friuli V.G. Centro Internazionale Studi Luigi Sturzo di meglio Sturzo ha scritto, o di più importante Sturzo ha scritto sui problemi del Mezzogiorno. E quindi qui si comprendono dai primi scritti giovanili, che risalgono al 1897 fino al suo ritorno in Italia, fino a qualche mese prima della sua scomparsa. Quindi in un unico volume noi possiamo anche studiare, vedere, analizzare la parabola del meridionalismo sturziano, il meridionalismo che era connesso con la stessa questione romana, con la stessa questione della formazione dello sviluppo delle prime organizzazioni cattoliche fino al passaggio al periodo nittiano potremmo dire, filo-nittiano in cui Sturzo utilizza alcune tesi di Nitti sulla questione del Mezzogiorno fino alla sua presa di posizione durante il periodo del partito popolare e infine le grosse questioni connesse con la battaglia regionalistica del secondo dopoguerra. Articolo n. 3 Pozzi Professor De Rosa, lei ha dedicato gran parte del suo lavoro di storico alla figura e all’opera di Luigi Sturzo, ha anche avuto con lui una lunga frequentazione, ha raccolto in un interessante volume pubblicato dalla Morcelliana, i testi di queste sue conversazioni con Don Sturzo. Però prima di inoltrarci nella descrizione, sia pure sommaria di questo nuovo volume, una domanda sul titolo “Mezzogiorno e classe dirigente”, perché questa scelta? INTERVISTA A GABRIELE DE ROSA Cari amici buon pomeriggio a tutti da Piersilverio Pozzi. L’intero spazio di questa 27^ puntata di Agenzia Asiago 86 sarà occupato da una lunga e articolata intervista con il professor Gabriele De Rosa, storico, ordinario di storia contemporanea all’Università “La Sapienza” di Roma, già Rettore dell’Università di Salerno e presidente dell’Istituto Luigi Sturzo. Fra le tante sue opere vi ricordo la storia del movimento cattolico in Italia dalla restaurazione all’età giolittiana, pubblicata in due volumi da La Terza e la grande biografia di Luigi Sturzo pubblicata dalla Utet. Con il Professor De Rosa, in occasione della pubblica di un recente interessante volume da lui curato parleremo di Luigi Sturzo e la questione meridionale. Luigi Sturzo, sacerdote e uomo politico e sociologo, è nato a Caltagirone, in Sicilia, nel 1871 ed è morto a Roma nel 1959. Ha fondato nel 1919 il Partito Popolare italiano, e durante il periodo fascista è stato costretto all’esilio. Ha volto un largo lavoro culturale e le sue opere complete, raccolte in più di 30 volumi, sono state pubblicate a cura della Fondazione a lui intitolata dall’editore Zanichelli e dall’edizione Cinque Lune. Il margine al tema principale “Luigi Sturzo ed il Mezzogiorno” con il professor De Rosa parleremo brevemente anche di Don Giuseppe De Luca, scrittore nato a Sasso di Castalda in provincia di Potenza e morto a Roma nel 1962. De Luca si è occupato di letteratura specialmente religiosa, e di movimenti spirituali. Ha pubblicato vari volumi di saggi. E con il professor De Rosa parleremo anche della casa editrice fondata da Don Giuseppe De Luca Le Edizioni di Storia e Letteratura. Ma ascoltiamo l’intervista con il professor Gabriele De Rosa che ho registrato l’altro ieri. Mi trovo a Palazzo Lancellotti, che si affaccia sulla raccolta Piazza San Simeone, piazza che unisce i due tronconi di via dei Coronari. In questo palazzo, eretto alla fine del Cinquecento per incarico del cardinale Scipione Lancellotti su progetto di Francesco da Volterra e ultimato da Carlo Maderno, hanno la propria sede le Edizioni di storia e letteratura, casa editrice fondata da Don Giuseppe De Luca ed ora diretta dal Professor Gabriele De Rosa. Sono nello studio del Professor De Rosa, l’occasione di questo incontro mi è stata offerta dalla pubblicazione da parte delle Edizioni di Storia e Letteratura di un ponderoso volume di 700 pagine intitolato “Mezzogiorno e classe dirigente” nel quale vengono raccolti gli scritti di Luigi Sturzo sulla questione meridionale, dalle prime battaglie politiche siciliane della fine dell’Ottocento fino agli anni del ritorno di Sturzo dall’esilio nel secondo dopoguerra. Professor De Rosa, la bibliografia su Luigi Sturzo è ormai ricchissima, direi sterminata, gli stessi scritti raccolti in questo volume sono già stati stampati in vari volumi miscellanei, perché allora ha ravvisato la necessità di raccoglierli in questo volume? De Rosa Ho pensato che fosse opportuno che un lettore avesse, nelle proprie mani, in un unico volume quanto De Rosa Non so quante volte negli articoli di Sturzo ricorre il richiamo al mezzogiorno che deve fare da sé, all’attesa della formazione di una classe dirigente locale, fornita di senso dello Stato, di senso civile attenta ai problemi del territorio. Quindi questa classe dirigente che è vista fin dagli inizi del nuovo secolo, fin dalle sue battaglie del periodo giolittiano come qualche cosa che lui si attende che possa nascere nel Mezzogiorno e possa veramente accreditare la fisionomia di una classe politica finalmente libera da schemi clientelari, da tentazioni trasformistiche e veramente preoccupata di offrire una immagine del Mezzogiorno a livello appunto di una società moderna, di uno Stato moderno. Pozzi Nelle citate conversazioni da lei avute dal 1954 al 1959, anno della sua morte, con Don Sturzo, lei riferisce che un giorno si lamentò dicendo: non mi hanno letto, non mi leggono e non mi leggeranno, anche se da diversi uomini politici si sente spesso citato chiedo a lei: viene veramente letto Don Sturzo? De Rosa Questo è veramente un grosso problema, è una domanda che in un certo senso perseguita anche me. Io non ho la sensazione che Sturzo sia una lettura non solo facile ma sia una lettura ricercata, desiderata, a tutti i livelli, faccio un solo esempio: la questione del voto segreto. Si è dimenticato completamente il fatto che Sturzo sul voto segreto ha ingaggiato una delle sue battaglie pubblicistiche più serrate, più continue, battaglia che faceva parte di tutta ... nel suo più generale impegno per la moralizzazione della vita pubblica del Paese. Nemo profeta in patria, ho questa sensazione che ancora si continua a considerare Sturzo come qualcuno, come un personaggio, non vorrei adoperare la solita parola scomoda, ma un personaggio che è meglio mettere da parte, che è meglio non ascoltare fino in fondo perché non è un personaggio che offre delle caramelle a delle soluzioni facili per la nostra vita politica del Paese. E’ un personaggio che presuppone nelle sue requisitorie sempre lo scioglimento della grossa questione morale, al solito di una formazione di classe dirigente veramente preoccupata del bene comune e degli interessi generali del Paese. 6 Pozzi Cerchiamo ora di mettere in evidenza alcune linee del suo pensiero e della sua azione di meridionalista cominciando dagli anni della sua prima attività di municipalista, Sturzo stesso parlando di questi anni, di questa sua prima esperienza pubblica, usa il termine “regionalismo di sentimento”. Perché? De Rosa Perché era un regionalismo il suo molto impetuoso, molto polemico, in funzione antitrasformistica, quindi con poca attenzione a quelli che sono i problemi di una articolazione dei fatti regionalistici con gli interessi generali dello Stato. La prima fase sua ha un carattere nettamente antigiolittiano e antitrasformistico, utilizza anche le tesi di Nitti sulla sperequazione tributaria del Mezzogiorno, sull’alto prezzo pagato dal Mezzogiorno per l’unificazione rispetto alle altre aree dell’Italia, specialmente quelle dell’Italia settentrionale, per portare questa sua tesi della critica alla politica accentratrice dello Stato, della politica asservita a grossi interessi clientelari e trasformistici. Poi questa tesi qui incomincia a modificarsi e ad assumere una consistenza più programmatica, più aderente alle circostanze politiche nel periodo che va da all’ultima fase dell’età giolittiana fino al partito popolare, dove il suo regionalismo diventa qualche cosa di più equilibrato, diventa un’arma non per polemizzare contro lo Stato ma un’arma per fare politica tendente a una ristrutturazione dell’organizzazione di base dello Stato, con il riconoscimento della validità non solo economica, sociale ma anche culturale delle varie regioni d’Italia, cioè il suo regionalismo diventa un regionalismo che si inscrive in una visione pluralistica dello sviluppo del nostro Stato. Pozzi Quale significato ha avuto nella successiva elaborazione culturale, la esperienza di Sturzo di quegli anni, questa esperienza sociale e politica, soprattutto il fatto di essere stato per tanti anni sindaco di Caltagirone? De Rosa Ha avuto una enorme importanza nel senso che ha rafforzato in lui i suoi convincimenti autonomistici, i suoi convincimenti regionalistici, cioè che lo Stato non può partire nella sua programmazione dall’alto, dai vertici della cosiddetta camera dei bottoni, come si è chiamata qualche volta nel dopoguerra, ma deve partire da una analisi, da una ricognizione di carattere non soltanto economico sociale ma anche antropologico culturale della nazionale, del Paese. Qui vorrei sottolineare un aspetto a mio avviso che è molto importante in Luigi Sturzo, e cioè la sua maggiore fiducia nella possibilità di una politica di incentivazione da parte dello Stato, da una politica di intervento diretto immediato attraverso grossi processi di industrializzazione nel Mezzogiorno. Questo qui – potremmo dire – fin dalle origine della sua battaglia meridionalista, è una costante del pensiero sturziano, troppo presto e rapidamente si è detto che Sturzo era un ruralista, cioè legato a programmi fondati semplicemente sullo sfruttamento dell’agricoltura, sulla liquidazione del latifondo e così via e anti-industrialista. La questione non va posta in questi termini, Sturzo era favorevole a un processo di industrializzazione del Mezzogiorno ma non un processo di industrializzazione catapultato dall’alto, ma un processo di industrializzazione che partisse appunto da una ricognizione del territorio e valorizzasse questo territorio attraverso industrie congeniali con l’ambiente, congeniali con quel territorio, comunque sia non grandi faraoniche industrie, non le c.d. cattedrali del deserto ma le medie, le piccole industrie, quelle che appunto sono legate anche alla formazione di una classe dirigente di tipo imprenditoriale. Pozzi Quindi due sono le linee di lotta portate avanti da Sturzo in questa sua prima esperienza di politico laico: la polemica contro l’invadenza burocratica e lo sfruttamento economico da parte del nord e la lotta serrata contro l’opera delle clientele e dei gruppi di potere. Ma professor De Rosa non sono le stesse battaglie che condurrà negli anni ‘50 dopo il ritorno dall’esilio con le sue polemiche sul partito, sulla classe dirigente e sull’affarismo di Stato? De Rosa C’è una continuità con il periodo precedente, con il periodo pre-fascista, ma ci sono anche delle novità: una attenzione maggiore, per esempio, agli interventi a livello di amministrazione pubblica. Per esempio mentre Sturzo era contrario alle cattedrali del deserto, era contrario per esempio a certi interventi della gestione statale dettata appunto da strategie che non partivano da una diagnosi di carattere storico economico e antropologico dell’ambiente, era però, Sturzo, al tempo stesso, nel secondo dopoguerra, attento a che gli aiuti Marshall, gli aiuti americani non fossero destinati ad essere utilizzati sempre e solo per le industrie che già c’erano, per le economie che avevano già i mezzi per autofinanziarsi e per svilupparsi, ma avrebbe voluto per esempio un’altra politica degli aiuti americani, sempre tendente a quella valorizzazione del Mezzogiorno come area che avrebbe dovuto coronarsi, per così dire, di una moltiplicità di iniziative industriali, mettendo da parte i grossi progetti di una industrializzazione massiccia. Pozzi Incominciai la lotta politica affrontando il mondo delle clientele locali e lottando contro di esse pensavo di liberare la Chiesa. Con questa affermazione di Don Sturzo si apre un interessante capitolo da lui affrontato sulla corruzione e sulla passività del clero meridionale. E aprendo con lei questo capitolo vorrei associare a Don Sturzo Don Giuseppe De Luca, anch’egli prete del sud, siciliano il primo, lucano il secondo. L’occasione per associare queste due grandi e diverse figure di preti me l’ha offerta lei stesso. Nel libro già citato Sturzo mi disse – così scrive – Mi sono sentito messo in rete da questi due sacerdoti del sud, afflitti egualmente da una pietà e intelligenza secolari rapidi nel cogliere i segni delle nostre più nascoste emozioni, capaci di gesti e di grande sincerità ma sempre tutelati da una vigile e costante malizia. De Rosa Fra i due uomini c’era qualche cosa in comune, e credo che questo qualche cosa in comune fosse, appunto, la pietà, il profondo amore per la chiesa e il fatto che erano due uomini provenienti da aree culturali, da una storia culturale speculativa, molto profonda. Appunto una storia che ha radici lontane nel Mezzogiorno. Io appunto rimasi sempre impressionato dai discorsi di questi personaggi, tanto di De Luca che di Sturzo, mi sembrava di sentire sempre in loro l’eco di qualche cosa che era molto lontana, di verità che venivano dal cuore profondo di questo mezzogiorno di cui la pietà costituite tanta parte della sua storia. Una delle formule più assurde che io ho trovato sempre nei miei studi è quella appunto del “Cristo si è fermato ad Eboli”. Cristo non si è fermato ad Eboli, tra l’altro appunto, come ho detto altra volta, bisognerebbe vedere se si è fermato venendo dalla Palestina o venendo da Roma, il Mezzogiorno è profondamente legato a una storia della pietà, appunto, che non nasce né con il concilio Vaticano I, né con il concilio di Trento, né con il concilio Vaticano II, è una pietà che fa parte, è il sangue stesso della vita della chiesa nel sud, sangue ricco di suggestioni, di radici lontane. Lo stesso De Luca, in un certo suo scritto bellissimo, diceva che non poteva attraversare (lui prete che si era formato alla scuola della grande erudizione romana), non poteva attraversare certe aree del Mezzogiorno senza sentire vibrare proprio, nell’atmosfera, un senso di religiosità profonda alla quale 7 era richiamato anche da certi toponimi, da certi nomi antichissimi che non erano un fatto di forma, erano per lui un fatto di sostanza. E questa stessa componente spirituale, questa stessa componente di vita della pietà era in Luigi Sturzo, solo che in Luigi Sturzo si traduceva anche in un impegno operativo, era, vorrei dire quasi meno contemplativo. In Don Giuseppe forse c’è più della contemplazione, diciamo così, del grande uomo di spiritualità eccezionale, in Sturzo questa pietà diventa attiva, diventa operativa, forse per circostanze diverse, forse per il fatto che lui ha vissuto in mezzo ai contadini della Sicilia orientale, fatto sta che erano due personalità, apparentemente tra loro diverse, ma che si incontravano come si possono incontrare due persone sedute davanti a uno stesso fiume: il fiume della corrente metafisica del Mezzogiorno. Pozzi Parliamo ora, brevemente, dell’opera cultura di Don Giuseppe De Luca, soprattutto dell’opera svolta attraverso la casa editrice Edizioni di Storia e Letteratura. Parlando di Don De Luca lei, professor De Rosa, ha scritto che fu artefice di uno dei sodalizi intellettuali di circolarità europea che non credo possa più rinnovarsi. In che senso le chiedo? Cioè sono cambiati i tempi o perché era dovuto alla figura singolare ed irripetibile di Don De Luca? De Rosa L’uno e l’altro, un po’ era dovuto alla figura irripetibile di quest’uomo, il quale aveva rapporti non soltanto con uomini di curia o sacerdoti ma aveva rapporti anche con laici che si sentivano lontani da Dio, ha avuto a che fare con uomini di eccezionale levatura intellettuale che nei suoi discorsi, negli incontri con lui si ritrovavano in un ambiente di fiducia, in un ambiente aperto, dove appunto l’erudizione si sposava anche a un atteggiamento di aperta fiducia nel cuore, nella intelligenza dell’uomo, quanto di meno clericale si possa immaginare. Don Giuseppe De Luca ha creato, sembra straordinario, una casa editrice la meno clericale possibile eppure tra le più luminose e importanti nel campo dell’erudizione non soltanto ecclesiastica ma laica, appunto perché portava in questo suo impegno qualche cosa che era legato strettamente alla sua personalità e che io ritengo personalmente non sia ripetibile. Per altro verso però la casa editrice, più esattamente dovrebbe chiamarsi una accademia, perché quanti giovani si sono formati senza nessuna etichetta particolare di partito politico o ideologica in questa casa editrice? A quanta gente Don Giuseppe De Luca ha dato la possibilità di realizzare la propria personalità, di vedere le proprie opere pubblicate e opere sempre di alto livello? Non si contano ormai. Questa casa editrice continua, diciamo così, a vivere non solo sul ricordo ma su quello che ha costituito la eredità di questi giovani collaboratori che portano avanti la sua impresa. Pozzi Don Sturzo, a proposito di Don De Luca, così si esprimeva: egli è noto da anni in Italia ed all’estero per valore scientifico, scelta di testi, ampiezza e gusto culturale. Lei in parte ha già anticipato alcune caratteristiche di questa casa editrice, soprattutto parlando di questa accademia che si era costituita intorno alla sua figura. Oggi come si pone sul mercato, anche se questo termine è un po’ brutto, sul mercato editoriale questa casa editrice? De Rosa Anzitutto c’è un certo filone che conferma che porta avanti le stesse indicazioni di ricerca e di studio di Don Giuseppe De Luca, quindi con molta attenzione alla parte erudita della produzione libraria. D’altra parte questa casa editrice, senza assolutamente interrompere la tradizione di De Luca, anzi mantenendosi in qualche modo ancora coerente con la sua impostazione, ha arricchito la sua produzione libraria con varie collane editrici, per esempio cito una tra le tante che ora mi viene in mente: il thesaurus ecclesiarum italiae che sarebbe piaciuto certamente a Don Giuseppe De Luca, che lui avrebbe affiancato certamente al suo archivio per la storia della pietà in Italia. Questo thesaurus ecclesiarum italiae raccoglie, regesta le visite pastorali delle diocesi italiane dal medioevo fino ai nostri giorni, costituendo quindi una fonte primaria, potremmo dire, per quel tipo di storia religiosa dal basso che sta diventando, è diventata da qualche tempo, un modo di fare storia abbastanza originale e nuovo, cioè rivedere la storia della Chiesa non più attraverso i vertici istituzionali ma attraverso appunto il religioso vissuto, cioè come praticamente quella religione viene vissuta apportando, mettendo in luce il valore di una certa documentazione ecclesiastica, non soltanto ecclesiastica ma anche economica, perché la Chiesa non era soltanto fede, era anche economia, basti pensare alle sue proprietà, ai suoi benefici, alle sue rendite e così via, ai suoi ospedali, ai suoi xenodochi e avanti di questo passo. Quindi è tutto un settore qui della storia che si sta muovendo, nel senso appunto di una storia sociale, di una storia anche sociale, di una storia non soltanto quindi erudita ma di una storia che pone attenzione ai problemi del rapporto della chiesa con la società, tutta quanta intera. Questo, diciamo così, è l’aspetto più nuovo della casa editrice, del resto confortato anche dalla presenza, ormai di riviste che Don Giuseppe non ha visto nascere ma che certamente avrebbe approvato perché si muovono sostanzialmente nella linea di certe sue intuizioni affidate al famoso testo, forse il miglior testo, più mirabile testo di De Luca all’introduzione alla storia della pietà. Pozzi Professor De Rosa, al termine di questa conversazione ritorniamo all’occasione del nostro colloquio, a questo libro da lei curato “Mezzogiorno e classe dirigente” che raccoglie gli scritti di Luigi Sturzo sulla questione meridionale. Riproporre alla nostra riflessione queste grandi anime, questi penetranti ricercatori, quale significato ha oggi? De Rosa Riproporre certi testi di Sturzo, riproporre certi testi di De Luca oppure continuare nel solco delle cose intuite magistralmente da De Luca vuol dire ancora offrire soprattutto ai giovani la possibilità di riflettere, vorrei dire sui fondamenti dell’operare non soltanto religioso ma civile anche del nostro Paese. Quindi avere qualche cosa, un punto di riferimento più stabile, più sicuro di quello che può offrire certa letteratura o certa pubblicistica che può solo affidarsi ai mass-media. Nei mass-media non entreranno mai né Sturzo né De Luca, però Sturzo e De Luca possono entrare nella vita dello spirito, nella vita culturale delle nuove generazioni con una profondità e fertilità ancora insospettata. Pozzi Ringrazio il professor De Rosa per quanto ci ha detto. Prima di terminare questa puntata devo dare una comunicazione a voi che ci ascoltate: da sabato prossimo, fino al termine dell’anno, Agenzia Asiago 86 sarà condotta da Massimo Forleo che voi tutti che seguite i nostri programmi regionali avete avuto occasione di conoscere ed apprezzare. Ringrazio Cosimo Langiano, per la preziosa collaborazione fornita, a voi tutti un cordiale a risentirci da Piersilverio Pozzi. Abbiamo trasmesso Agenzia Asiago 86, occasioni di intervento scelte e coordinate da Piersilverio Pozzi. 8 Articolo n. 4 INTERVISTA A SALVATORE MARTINEZ - LA SICILIA 03/09/09 9 Articolo n. 5 CATTOLICI E SPIRITO DI SERVIZIO NELLA DOTTRINA DI DON LUIGI STURZO 1. Il compito educativo e l’incivilimento complessivo secondo Luigi Sturzo. Gli studiosi di Luigi Sturzo hanno sempre rivendicato la sua laicità politica facendone risaltare le sue analisi sulla diversa questione della separazione tra Stato e Chiesa e tra potere temporale e spirituale. La costruzione sociale di Luigi Sturzo è ancorata alla dottrina sociale della Chiesa e alla Rerum Novarum. Proprio l’enciclica di Leone XIII apre a don Sturzo la via dell’impegno sociale e poi di quello politico, consentendogli di affermare che il popolarismo, come dottrina politica e fondamento teorico del Partito Popolare Italiano, afferma il suo carattere cristiano, “perché non vi può essere etica e civiltà che non sia cristiana”. Il compito educativo assume importanza strategica in tutto il messaggio sociologico e politico sturziano. Don Luigi richiama a tale azione soprattutto gli storici, chiedendo che assumano il compito di “insegnare alla gente che il processo di sviluppo dell’umanità nei suoi risultati è lento e difficile”. Il sociologo calatino si dice convinto che lo sviluppo delle persone e della comunità locale non possa incentrarsi solo sul fattore economico, ma sia legata a un insieme di azioni, cioè l’“incivilimento complessivo”. Questo per Sturzo è legato alla educazione del popolo partendo proprio dal valore e dalla dignità della persona, dai suoi diritti e doveri, che devono essere vissuti nella famiglia, nella società, nello Stato, rispettando sempre i principi morali e religiosi che sono la guida dello sviluppo di un popolo. L’incivilimento è lo sviluppo della coscienza individuale e sociale del popolo, la piena rappresentazione del suo diritto di partecipare consapevolmente alla cosa pubblica, anche attraverso il diritto di elettorato; è la formazione culturale, religiosa, morale, insomma la creazione della coscienza critica. Oggi proviamo a declinare l’incivilimento complessivo secondo quattro “invarianti”: il lavoro, la famiglia, la cultura e la Chiesa. Non deve sorprendere il richiamo costante di Luigi Sturzo all’importanza dell’educazione delle persone come fondamento della democrazia. In un suo articolo dedicato allo “Spirito della democrazia” egli afferma: “il problema dell’educazione è fondamentale per la democrazia. Essa è necessaria in democrazia per poter avere delle élites tratte da ogni classe e categoria, aperte a tutti, sempre rinnovate e portatrici di rinnovamenti.” Don Sturzo ribadisce la necessità della liberazione delle persone dalla schiavitù dell’ignoranza come via per l’affermazione di una democrazia compiuta. Si coglie l’idea sociale cristiana del superamento del conflitto di classe attraverso il libero accesso alla cultura e all’istruzione, come parte del generale percorso dell’educazione dell’uomo, incentrato sul valore e la dignità della persona. Un ingresso libero a tutti i cittadini, senza limiti di censi o di caste, per consentire la migliore trasformazione delle classi dirigenti del Paese, concorrendo nel portare nuove idee per il bene della Nazione. Don Sturzo non rinuncerà mai a questa visione dell’educazione morale, sociale, religiosa e politica del popolo, così in qualità di senatore a vita, nel corso della fiducia a uno dei tanti Governi degli anni cinquanta, sentirà la necessità di richiamare la Carta Costituzionale come fondamento della nostra democrazia: “La Costituzione è il fondamento della repubblica democratica. Se cade dal cuore del popolo, se non è rispettata dalle autorità politiche, se non è difesa dal governo e dal parlamento, se è manomessa dai partiti, se non entra nella concezione nazionale, anche attraverso l'insegnamento e l'educazione scolastica e post-scolastica, verrà a mancare il terreno sodo sul quale sono fabbricate le nostre istituzioni e ancorate le nostre libertà.” Questa frase, come molti dei discorsi di Luigi Sturzo, rende giustizia all’attualità del suo pensiero e alla odierna difficoltà di ancorare la democrazia, le sue istituzioni e la libertà dei cittadini a un “terreno sodo”, mentre soffriamo di una malevola fibrillazione che sconvolge ogni angolo della vita nazionale. Spesso mi capita, durante le mie lezioni di diritto con le nuove generazioni di discenti, di riflettere sulla storia d’Italia e di difesa della legalità; ho notato come manchi la conoscenza ormale della Carta Costituzionale e non ci sia consapevolezza di tutte quelle vicende che hanno portato i Costituenti a trasferire in essa i valori offesi dalla tragedia delle tirannidi, i disastri del male umano, la distruzione di intere nazioni. I nostri studenti sanno poco dei riferimenti sociali, culturali, religiosi e politici di questi eroi positivi; né sanno cosa è successo negli anni della lenta attuazione della Carta Costituzionale. Per restare nel campo del popolarismo, non sanno nulla della Rerum Novarum e dell’Appello ai Liberi e Forti, né del Codice di Camaldoli. Poi non hanno idea di cosa sia stata, nel più recente passato, tangentopoli e la reazione giudiziaria denominata “mani pulite”. Così è facile capire l’enorme difficoltà di formare delle nuove élites prescindendo dalla conoscenza e coscienza del bene o del male, delle cose giuste o sbagliate, quando noi stessi e i nostri figli non abbiamo un’idea compiuta della storia del nostro Paese. 2. L’organizzazione sociale e la libertà secondo l’Appello ai Liberi e Forti. Questa lacuna può essere colmata rileggendo l’Appello ai Liberi e Forti, carta costitutiva del Partito Popolare Italiano del 1919, indicandolo come l’ancoraggio della nostra società a un sistema di valori che sia base forte, o “terreno sodo”, della costruzione delle istituzioni pubbliche e dello Stato come organizzazione al servizio dei cittadini. Luigi Sturzo e i coraggiosi costituenti del primo partito nazionale aconfessionale di ispirazione cristiana hanno saputo costruire un manifesto di civiltà non solo attuale, ma attuabile, che ha finito per permeare la stessa Carta Costituzionale. Una dichiarazione di principi che, a oltre sessant’anni dalla sua emanazione, attende di essere studiata e in grandissima parte attuata. Sono sicuro di essere nel giusto nel richiamare le parole di Sturzo e dei dieci costituenti, in particolare quando chiesero uno Stato veramente popolare, in grado di sostituire lo Stato liberale, fortemente accentratore. Essi volevano una grande riforma costituzionale attraverso cui lo Stato nazionale avrebbe dovuto riconoscere i limiti della propria attività, rispettando i nuclei e gli organismi naturali, cioè la famiglia, le classi, i comuni e la personalità individuale dell’uomo, incoraggiando, infine, le iniziative private. Una riforma che includesse nel sistema democratico l'autonomia comunale, la riforma degli Enti Provinciali e il più largo decentramento nelle unità regionali, per creare spazi istituzionali dove questi corpi intermedi potessero esprimere la loro forza programmatica. Una energia necessaria per animare la nuova società che si voleva costituire, dopo la tragedia della prima guerra mondiale, rivendicando da subito alcune libertà fondamentali: “libertà religiosa, non solo agl'individui ma anche alla Chiesa, per la esplicazione della sua missione spirituale nel mondo; libertà di insegnamento, senza monopoli statali; libertà alle organizzazioni di classe, senza preferenze e privilegi di parte; libertà comunale e locale secondo le gloriose tradizioni italiche.” Con questo Appello i popolari presentavano per la prima volta una indipendenza politica da ogni altro soggetto preesistente e un autonomo progetto di costruzione dello Stato, rivendicando una “nostra bandiera morale e sociale, inspirandoci ai saldi principi del Cristianesimo, che consacrò la grande missione civilizzatrice dell'Italia”. La forza morale di quelle idee è tanto più attuale oggi che siamo nella necessità di difenderne i valori trasfusi nei principi costituzionali. Da proteggere sono proprio le norme attraverso cui lo Stato ha riconosciuto i limiti della propria attività e ha cominciato a rispettare, ad esempio, la famiglia formata sul matrimonio o ha dato il giusto significato al valore e alla dignità della persona umana, incoraggiandone l’iniziativa privata. Di contro, è ancora in corso un lento processo di assestamento delle riforme che riguardano il completamento dell'autonomia comunale, mentre si prospetta la necessità di riorganizzare gli Enti Provinciali; poi ci prepariamo ad una serie di interventi nel campo del regionalismo per dare concretezza alle riforme del titolo V della Carta Costituzionale. 3. Le origini del “popolarismo” come dottrina politica. La costruzione del Partito Popolare Italiano non è il fatto di una sola persona, tanto meno estemporaneo, frutto di suggestioni di popolo o convenienze elettorali. È una lenta costruzione che prende vita dal “Non Expedit” di Pio IX, destinato a vietare la partecipazione attiva dei cattolici alla 10 vita politica nazionale del neo costituito stato unitario italiano. Sin da quel momento, contro l’idea dei blocchi elettorali, nasce il disegno di un movimento politico cattolico, che possa attivamente farsi portatore di un nuovo progetto sociale che superi la violenza della lotta di classe e della dittatura del proletariato o l’egoismo dell’individualismo illuminista. L’enciclica Rerum Novarum di Papa Leone XIII è la chiamata all’impegno per molti e, al contempo, la strategia dottrinale per i nuovi cattolici che intendano impegnarsi nella vita pubblica. Tra questi emerge anche Luigi Sturzo, sacerdote siciliano, laureato in filosofia, che scopre a Roma la vera povertà morale e materiale del popolo e che, tornato in Sicilia, organizza un vasto movimento cattolico per aprire le porte dei governi locali a tutti i cittadini. Nasce da qui la lotta di don Sturzo per liberare i municipi dal partito affarista siciliano, quello dei nobili, dei censi, dei latifondisti, dei mafiosi; per affrancare gli enti locali dagli sfruttatori e dai parassiti di ogni specie; per portare il popolo all’interno delle istituzioni; per moltiplicare e consolidare l’idea di partecipazione democratica; è ancora la difesa del lavoro nelle leghe sindacali bianche; l’organizzazione del lavoro nella cooperazione, la solidarietà mutualistica, il credito locale; è la battaglia per l’educazione e la formazione della libera coscienza del popolo attraverso libri, giornali, seminari; è la riqualificazione degli spazi sociali del teatro; della parrocchia, dell’oratorio e dell’azione cattolica per la costruzione di un grande progetto sociale di amore per il prossimo. Nasce così, pian piano, dall’azione di Sturzo il partito municipale democristiano che, tra il 1900 e il 1905, lo porta alla carica di pro sindaco di Caltagirone con la maggioranza assoluta dei seggi. Il progetto sociale neo cattolico si articola così in un programma politico, che attraverso Sturzo e i suoi consiglieri di Caltagirone si diffonde in tutta la Sicilia e prende le forme di un nuovo modo di amministrare i municipi. Sarà Sturzo nel discorso di Caltanisetta del 1902 dedicato al “Programma municipale dei cattolici” e nel discorso di Caltagirone del dicembre del 1905 su “I problemi della vita nazionale dei cattolici italiani” a segnare la via di un percorso che porterà nel 1919 alla nascita del partito politico, cioè del Partito Popolare Italiano. Prende corpo una nuova dottrina politica definita da Sturzo con il nome di popolarismo e quindi il partito come strumento per affermare i diritti di libertà e democrazia, saldandoli ad una forte ispirazione cristiana. 4. Il regionalismo come avvicinamento del popolo alla democrazia. Lo sforzo di riportare l’uomo al centro della democrazia italiana vede don Sturzo schierato dalla parte del regionalismo sin dai tempi dell’Appello ai Liberi e Forti. Venticinque anni dopo il sacerdote calatino combatte dall’esilio americano una battaglia per salvare l’unità nazionale dalle azioni disgregatrici dei separatisti, comprendendo che costoro altro non sono che i vecchi gruppi del partito affarista siciliano, quello dei nobili, dei censi, dei latifondisti e dei mafiosi, quali nuovi garanti armati, che senza il popolo vogliono imporre il ritorno degli sfruttatori e dei parassiti di ogni specie; egli denuncia da New York l’errore dei centri di potere, più o meno occulti, legati agli Angloamericani che vogliono garantire una nuova stabilità al centro del mediterraneo; attraverso una infinita serie di articoli sui giornali statunitensi, cerca di far capire al popolo americano che una vera democrazia moderna in Italia non può essere realizzata senza o contro la volontà popolare. Tornato in Italia, nel settembre del 1946, difende la “giovane” Regione Siciliana (maggio 1946) dagli attacchi del centralismo romano e dalla burocrazia pubblica, incapaci di comprendere l’importanza della scelta regionale come modo di avvicinare i cittadini al potere per meglio soddisfarne le esigenze di democrazia secondo l’interesse generale. Don Sturzo difenderà sempre la scelta del regionalismo come autentico volano di sviluppo civile, anche se il suo ottimismo dovrà fare più tardi i conti con la degenerazione del regionalismo in un nuovo centralismo, sempre più marcato dalle sacche di inefficienza e di spreco: “sarà bene che i cittadini si rendano conto dei nuovi diritti e doveri che li riguardano, perché la regione risponda ai fini per i quali viene creata: cooperazione civica libera e autonoma nel quadro dello stato; decentramento statale per dare responsabilità alla vita locale; educazione amministrativa e legislativa nel campo degli interessi specifici di ogni singola regione, coordinando insieme le attività e le responsabilità delle province e dei comuni nella stessa regione. Solo così potrà articolarsi la macchina statale, che oggi è affidata a una burocrazia regolamentarista e diffidente, tarda e ingombrante”. 5. L’uomo al centro della costruzione sociale. La costruzione politica sturziana è sempre legata alla centralità dell’uomo, soggetto di sviluppo della comunità attraverso il corretto uso della politica verso il bene comune. A chi gli chiedeva nel 1946 quale potesse essere una sua nuova vocazione politica egli rispondeva: ”Se oggi potessi a mio grado scegliere un posto di lavoro, tornerei a fare il consigliere comunale e il sindaco di Caltagirone. Uno dei motivi sarebbe quello di tornare a essere il più vicino possibile alla realtà vissuta, alla concretezza dei fatti, al contatto immediato con le popolazioni minute, con l'individuo uomo. Il comune è un ente concreto, più che non lo sia una provincia, una regione, lo stato. Fra il popolo e l'autorità che amministra non vi è alcun diaframma, sia questo il parlamento o la burocrazia, sia la distanza territoriale o le ipostasi disprezzate quali « stato », « governo », « ministero ».” In queste parole si coglie il senso di una politica fatta di servizio per il popolo, dove i bisogni della persona umana devono essere curati per agire nella ricerca del bene comune guardando alla realtà e non alle proiezioni demoscopiche, ai fatti concreti e non ai proclami, al contatto immediato con la gente e non alla rappresentazione di una democrazia mass mediatica. Don Sturzo delinea, così, una costruzione sociale che parte dall’uomo e che si articola nella capacità di associarsi con il prossimo e nella volontà di intessere relazioni. È la costruzione dell’organismo sociale al quale l’uomo singolo cede sempre qualcosa della sua sovranità ottenendo in cambio un beneficio di ordine e stabilità. Il ragionamento “sociale” di don Sturzo chiarisce questo sforzo di progresso umano: “(..) è l'uomo la cellula attiva ed efficiente di ogni organismo sociale; non c'è una squadra di cacciatori senza il cacciatore, né un gruppo di navicelle di pescatori senza il pescatore. Così la famiglia ha il marito e la moglie, i genitori e i figli; lo stato ha il capo, i senatori, i cittadini, i militari. L'uomo che si muove, che pensa, che vuole, che crea, che reagisce, che si perpetua e che muore. Quest'uomo non può agire da solo; egli è parte di un organismo, che egli stesso forma e riforma, inizia e continua, distrugge e rifà”. Agli occhi di don Sturzo ciò che rileva è la libertà di scelta dell’uomo, magari quella di sbagliare; è la necessità di usare il proprio raziocinio mirando alla Verità e alla Giustizia; è l’intera vita dell’uomo fatta di un dinamismo creativo che è posto all’interno di strutture organizzate in continua evoluzione per la stessa opera umana. Tutto ciò l’uomo può fare da solo? Forse si, ma più spesso ha bisogno di credere in qualcosa di esterno, di più alto e puro, per trovare ogni giorno la forza di progredire. Sono convinto che c’è sempre uno spazio difficile da attraversare nella vita di ogni uomo; nella simbologia cristiana sarà il deserto, il mare, le acque del lago; un’immensità solitamente piena di insidie. Spesso mi viene da pensare a Pietro sulla barca dei pescatori, al quale Gesù chiede di camminare sulle acque per raggiungerlo. Come sappiamo, Pietro ad un certo punto ha paura di non farcela e comincia ad affondare. Ha così bisogno della mano di Gesù. La nostra vita personale, familiare, sociale, politica è come camminare sulle acque, o hai fiducia in un qualcosa di puro, di alto e vai avanti, oppure hai paura e affondi nelle miserie umane. Pietro ebbe paura e Gesù lo prese per mano accompagnandolo verso la Verità. Quella mano per chi crede è la nostra Fede Cristiana che, seppur nella comune voglia di progredire, ci fa differenti dagli altri. Ci chiede un qualcosa in più; ci obbliga a essere inflessibili con noi stessi rispetto agli obblighi comuni nella vita privata e pubblica. È la necessità di fornire la testimonianza di essere cristiani. Nel Vangelo secondo Matteo (5,43-48) c’è un passo in cui Gesù chiede di dare qualcosa in più rispetto ai pubblicani e ai pagani: amare i nostri nemici e pregare per i nostri persecutori. 6. La politica come strumento umano per realizzare il benessere sociale. Un campo applicativo della testimonianza d’essere cattolico è il mondo della politica. Scartiamo subito la questione ancestrale della politica come cosa sporca, che è un trucco meschino per amministrarla a 11 piacimento da chi vuole dominare il prossimo. Molti ne parlano come di una soluzione tecnica, l’arte del possibile, spesso basata sul compromesso; la capacità di utilizzare la mediazione per sapere convergere verso una soluzione; l’idea di correre in direzione del bene comune. Tutto bene. Attenzione però che dietro queste soluzioni non ci sia la logica dell’opportunismo o della convenienza, che poi finisce per diventare clientela, dominio, parassitismo, malaffare, corruzione, mafia. Cioè più la soluzione diviene tecnica, più il compromesso si trasforma in gestione consociativa, più si stabilizzano i collateralismi con i poteri oscuri o poco trasparenti e minore sarà la capacità di rispettare la propria identità e i valori che essa intende tutelare. Più il mezzo del compromesso si struttura e diviene regola di potere e maggiormente c’è il rischio che sia l’unico fine della politica. 7. Il dovere di testimonianza dei cattolici. Secondo don Sturzo la politica è una cosa diversa. Certo è un’arte che può essere realizzata anche dagli orecchianti, ma servono persone che si preparino bene allo scopo, non improvvisino, siano in grado di confrontarsi e discutere serenamente ogni progetto. Si badi bene che il sacerdote calatino non parla dei professionisti della politica, di quelli buoni per ogni tempo e per ogni responsabilità, anzi collezionisti di incarichi, magari tutti molto remunerosi. Parla di persone in grado di sentire la politica come un servizio, un dovere di solidarietà verso il prossimo, atto di amore e di giustizia sociale. Una politica che non si trasformi mai in un’arte di dominio sul prossimo, volta a soddisfare interessi personali, di parte, di gruppo. Per don Luigi fare buona o cattiva politica dipende dalle scelte personali del politico, dalla rettitudine dell’intenzione, dalla bontà dei fini da raggiungere, dai mezzi onesti da impiegare per raggiungere lo scopo. Ecco una definizione sturziana che è assolutamente laica e che, se concretamente praticata, può consentire di raggiungere il bene comune e il benessere sociale. Una enunciazione che può andar bene per tutti coloro che non vogliono seguire il motto machiavellico del fine che giustifica i mezzi. C’è però da aggiungere quel valore in più di cui devono essere testimoni i cristiani. Don Sturzo non hai mai dimenticato di ricordarlo ai suoi amici democristiani, usando spesso parole dure. Il seguente ammonimento è contenuto in un articolo (“Democratici”) scritto il 4 novembre 1948 per il quotidiano “Popolo e Libertà” di New York: “Sotto un punto di vista generale, per un cattolico tutto è e deve essere cristiano: la vita individuale, la famiglia, l'attività economica, la concezione filosofica, la creazione artistica, l'arte politica, sì da non esservi nessun angolo del proprio essere che non sia impregnato di cristianesimo. Pertanto, la specifica denominazione di cristiano messa a democratico o afferma una concezione di vita del cristiano o non ha significato. Peggio, quel democristiano può degenerare in demicristiano, in quanto una politica sporca infetta la fede e la pratica cristiana del soggetto infedele al suo ideale di vita.” È questo il senso del progresso legato all’idea sturziana dell’incivilimento complessivo dell’uomo e della comunità sociale che, come ho detto, oggi chiamiamo le quattro “invarianti” dell’azione umana. È in questo spazio che deve essere costruita l’azione politica secondo la testimonianza cattolica, quella legata all’amore cristiano per il prossimo. 8. La famiglia come fondamento indispensabile per la società. Se vogliamo domandarci quale sia il luogo principale, la palestra di esercizio di questo amore cristiano per il prossimo, prima ancora del campo associativo e politico, la risposta ci conduce verso quel delicatissimo mondo di sentimenti finissimi e di solidarietà intense, che è la famiglia e prima ancora lo stesso matrimonio. Il matrimonio, per don Sturzo, è il primo atto della relazione sociale che tende a formare una stabile società tra uomo e donna. C’è l’incontro, la conoscenza, il desiderio, l’amore, il progetto e la creazione; di più c’è la rifondazione concreta e quotidiana dell’impegno sacro, basata spesso sull’abne gazione, il dono, la rinuncia. Tutto ciò è la base di ciò che il sacerdote calatino chiama la coscienza di coppia che tende alla costruzione della società familiare, cioè la consapevolezza da parte dell’uomo e della donna che uniti assieme costituiscono una società tipica, il cui vincolo è fondato in natura, la cui attuazione dipende dalla loro volontà cooperante e dallo sviluppo dell’affettività umana. Quest’ultima all’interno della famiglia procede per cicli, dall’affettività coniugale, alla materna e paterna, alla filiale e poi, da questo punto, si rinnova il ciclo. C’è un amore dinamico, che don Luigi chiama la ragione unificatrice, che ogni giorno coscientemente rinasce e si moltiplica, sulla base di azioni responsabili finalizzate, ad esempio, a preservare i propri figli da ogni male, fisico o spirituale. Per don Sturzo il matrimonio, quale sede naturale della società familiare, in ogni tempo, luogo e ordinamento, ha avuto il suo riconoscimento giuridico formale. Ma nel vincolo stabile del matrimonio il sociologo calatino individua qualcosa in più. Il diritto naturale della donna di essere pari all’uomo e rispettata nell’ambito della fedeltà reciproca, affermando che: “la donna non è più una serva, una cosa, un oggetto di soddisfazione, è la metà completiva che dà e riceve allo stesso livello dell'uomo, in una comunione di spirito e di corpo unica e non partecipabile ad altri.”. Si esalta così il senso di responsabilità della coppia, la stabilità del legame familiare e l’eccezionale importanza del vincolo. L’unione delle due metà e la comunione in un corpo morale e sociale unico e indivisibile crea la base solida della famiglia. È questa per don Sturzo la prima cellula che con la sua solida struttura compone e costruisce il corpo della società umana, la ragione principale per cui essa va difesa dalla aggressione di tutte le altre strutture sociali più o meno libere, legali, democratiche: “La famiglia è un fondamento indispensabile per la società e per i popoli, e anche un bene insostituibile per i figli. È una vera scuola di umanità e di valori perenni”. Questa definizione, che appare assolutamente laica, evidenzia come l’intera comunità sociale, gli stessi popoli, privati della famiglia, vedrebbero compromesso gravemente il loro ordinato sviluppo. Probabilmente è ciò che distingue l’uomo razionale da ogni altro essere in natura, in cui la comunione familiare crea un indistruttibile cordone ombelicale, attraverso cui nel tempo viene nutrita la concezione dell’amore, della solidarietà, della sussidiarietà, dei ricordi, delle tradizioni. Un bagaglio che si trasferisce di generazione in generazione e che crea l’identità storica delle famiglie, che è parte di quella delle comunità locali e nazionali. Si dirà don Sturzo è un sacerdote. Infatti trovo meravigliosa questa sua idea della famiglia cristiana legata al momento del concepimento dei figli come attimo di cooperazione tra i genitori e Dio, e alla educazione come vocazione divina alla salvezza umana dal male: “Nella concezione religiosa della famiglia cristiana, la finalità soprannaturale sboccia da quella, tutta naturale, di generare ed educare i figli e di mutualmente aiutarsi, alimentando l'amore umano nobilitato dalla religione. La vocazione cristiana di tutte le famiglie è di cooperare alla salvezza dei propri figli. I parenti nel generarli cooperano con Dio, che in quell’istante crea le nuove anime con cui informare i corpi”. C’è l’incontro tra l’amore umano e quello infinito di Dio. Quel fiato divino che introduce nell’evento naturale della procreazione, il miracolo soprannaturale dell’anima e che ne affida alla vocazione religiosa della famiglia la maggiore cura per il fine della salvezza eterna. 9. La crisi familiare e la vita politica della Nazione. Abbiamo già osservato come per don Sturzo la famiglia sia energia pulsante, base della costruzione sociale, che comunica ad ogni altra forma essenziale della costruzione sociale la sua energia. Possiamo parlare di una pila atomica, che non si esaurisce, che trova sempre la forza per potere superare ogni difficoltà, dare il suo contributo, un consiglio, un indirizzo educativo, un apporto economico. Questo è il significato profondo del ritmo di sviluppo di una comunità, legato all’elemento umano, educativo, religioso, culturale. La riprova la possiamo trovare nei gravi guasti sociali causati delle politiche dirigiste che hanno imposto fenomeni migratori di massa, a partire dagli anni sessanta, con l’urbanizzazione selvaggia dei quartieri dormitorio e l’abbandono dei centri minori. Si è distrutto il tessuto familiare originario, quello connesso alla famiglia in senso ampio, culla della solidarietà e della sussidiarietà; si è azzerato il valore positivo della integrazione nella comunità locale, incentrato sul buon vicinato e sulla sana amicizia “paesana”. Si è cancellato il sistema di autodisciplina e di controllo preventivo legato al vincolo di comunità locale dove, tutti si conoscono e, solitamente, per garantire l’equilibrio familiare, amicale o dei rapporti di conoscenza, riescono a intervenire per neutralizzare i 12 pericoli della deriva criminale di qualcuno. Insomma, si è cancellata l’idea del “cives” e della comunità locale base della partecipazione popolare al potere comunale del Municipio e del suo continuo confronto con il campanile della Chiesa. La piazza come luogo di integrazione sociale. Di contro abbiamo costruito orribili quartieri dormitori, frutto degli incubi notturni di discutibili artisti dell’architettura. In questi luoghi, privi di ogni servizio essenziale, abbiamo alloggiato tutte le fasce più deboli della nazione che, inseguendo i miti del lavoro e magari del guadagno facile, sono divenute marginalità sociali, culturali, religiose oltre che economiche. Che danno grave è stato prodotto al tessuto sociale nazionale e alla sua identità culturale; quale grande vantaggio si è dato ai moltiplicatori del male e del crimine, che hanno potuto condizionare profondamente questo serbatoio di umanità infelice e solitaria. Probabilmente occorre parlare di una “ecologia familiare”, cominciando a ripensare i prossimi piani casa, favorendo la ripresa dei piccoli centri, salvandone le scuole, gli ospedali, gli spazi di aggregazione, le aree produttive. Ripensare una strategia di sviluppo che coinvolga la famiglia e i corpi intermedi nella gestione diretta o partecipata, di questi servizi in collaborazione con gli enti locali. Immettere nuove energie umane e risorse economiche per infrastrutturare queste aree del Paese che sono state abbandonate all’oblio e al degrado. Sarebbe più semplice se la famiglia contasse veramente qualcosa nella vita sociale, culturale, economica e politica del Paese. Se, ad esempio, sul “quoziente familiare” si potesse andare oltre le mere dispute. Sappiamo che la battaglia va combattuta sul piano culturale oltre che politico, perché nel tempo l’istituzione familiare è stata attaccata dai movimenti sessantottini e dai collateralismi politici, dalla ghettizzazione neo illuministica, dalla criminalizzazione radicalizzante. In questi ultimi anni siamo passati da improbabili studi sul familismo amorale come causa delle mafie, a quelli demenziali sulla famiglia culla delle violenze su donne e bambini. Scambiando il vero soggetto danneggiato, la famiglia, per l’autore del danno, senza imputare all’individualismo, egoismo, prepotenza, sogni di facili guadagni, modelli consumistici irreali e malaffare, tutte le ragioni che si scatenano in quel piccolo spazio di rapporti umani, una volta venuto meno il senso di comunione dell’amore, della solidarietà e della sussidiarietà. Per comprendere meglio la necessità di una forte spinta culturale sulla centralità della famiglia, voglio ancora richiamare le parole di Luigi Sturzo: “Nel rallentarsi del costume familiare, molti, postisi al di fuori di ogni concezione religiosa, vanno perdendo il senso della moralità, sì che i rapporti extrafamiliari sono resi più facili e tolleranti. A parte l'introduzione del divorzio e la facilità della sua applicazione presso molti stati, l'educazione stessa della gioventù e la diffusione di teorie e abitudini materialistiche ed edonistiche, contribuiscono alla dissoluzione della vita familiare”. Bisogna anche considerare come don Sturzo abbia compreso, fin dagli anni Cinquanta, l’incipiente pericolo della crisi dell’istituzione familiare, fornendo una chiave di lettura sul pericolo di considerare il nucleo familiare come una somma di individui anaffettivi e le famiglie come luoghi e spazi temporalmente contingenti, senza stabilità e privi di rilevanza sociale: “La famiglia, concepita individualisticamente, ha perduto l'importanza sociale di un tempo: non influisce che indirettamente sulla vita politica del paese; non ha più garanzie di stabilità economica; nella limitazione della prole cerca un ripiego per contenere le spese, ripiego che deriva da volontà egoistica. I divorzi sono divenuti frequenti man mano che la famiglia si è impoverita spiritualmente; onde questa sarebbe del tutto decaduta, se la religione non avesse supplito con la sua disciplina alla mancanza di sostegno e di rilevamento sociale”. Sembra di leggere la cronaca di questi giorni, alla quale occorre aggiungere il declino del fattore religioso. Disgraziatamente anche la pratica religiosa è stata resa individuale e intimistica, incomunicabile agli altri nella vita pubblica e privata. In tale contesto non può sorprendere se il mondo della politica, dell’economia e della finanza, intendano la famiglia solo come uno strumento da usare secondo i propri fini. 10. Conclusione: è importante difendere la nostra identità di popolo cristiano. La profonda capacità di analisi di don Sturzo lo aveva reso edotto del grave pericolo della scristianizzazione della società nazionale, impegnandolo solitariamente su un fronte contro il quale anche noi oggi siamo chiamati alla battaglia. La scristianizzazione come effetto della causa del laicismo e allora, ieri come oggi, emerge la necessità di salvare la nostra comunità e la sua identità culturale dalla disgregazione, attraverso un percorso di rivendicazione che ne riaffermi la sua comune essenza, o meglio, seguendo le parole del sociologo calatino possiamo affermare che “non vi può essere etica e civiltà che non sia cristiana”. Don Sturzo, nei suoi studi sociali, è riuscito a individuare le varie tappe di aggressione dell’azione dei laicisti. Un accanimento contro il cristianesimo legato all’affermazione della scuola delle nozioni, all’imposizione di una (dis)educazione giovanile, alla creazione di una diversa (non)cultura, allo statalismo nella beneficenza e nell’assistenza e, infine, l’assalto all’ultimo baluardo, la famiglia tradizionale. Perché tanta violenta determinazione nel cancellare l’identità di una parte consistente della Nazione? Don Sturzo ha una sua risposta: “Ma la più sottile presunzione dello stato moderno consiste nella scristianizzazione: della scuola, dell'educazione giovanile, della cultura, della beneficenza e assistenza sociale, della famiglia stessa, in nome di un « laicismo » che si vuol fare passare per tutelatore della libertà. Lo stato oramai ha tutta la società in mano, è divenuto il vero Leviathan moderno, che esige allo stesso tempo adoratori e schiavi”. Sturzo, con le sue parole, denuncia la costruzione dello Stato etico, buono a fare tutto e pronto ad occuparsi di tutti, dalla nascita alla morte dell’individuo. Uno Stato che oggi fa i conti con “centri di potere forte” che sono aldilà della legittimazione democratica o che, attraverso nuclei di pressione anche illeciti, sono in grado di determinare decisioni non condivisibili per noi cattolici. Uno Stato che non guarda più al valore e alla dignità della persona umana e al complesso sistema di affetti familiari e di aggregazione di sussidiarietà, ma esalta il ruolo dell’uomo solo, monade slegata dal prossimo, autore di un destino temporalmente limitato. Quello che per legalizzazione dello Stato potrà nascere perfetto, intelligentissimo e immortale, secondo il censo dei genitori. Quello che se malato potrà essere burocraticamente autorizzato a morire, o meglio, depurato dal rischio di accanimento terapeutico. Credo che oggi sia necessario andare oltre la difesa dell’ultimo baluardo dei valori non negoziabili, cercando di intraprendere una azione sociale per far comprendere che spesso questi valori sono diffusi, anche se in piccolissima parte, all’interno di altri beni umani che si ritengono, a torto, negoziabili, talché il compromesso sui secondi finisce, inevitabilmente, per indebolire i primi e l’intero sistema valoriale. Quaderni del CISS - N° 1 - Luglio 2010 – Gaspare Sturzo. Articolo n. 6 MORALIZZARE LA VITA PUBBLICA Una parola “moralizzare la vita pubblica”! Dove e quando essa è stata mantenuta sulla linea della moralità? Non ieri; non oggi; non da noi; non dai nostri vicini; non dai paesi lontani. Eppure, è questa l'aspirazione popolare: giustizia, onestà, mani pulite, equità. Che cosa è mai la concezione dello Stato di diritto se non quella di uno Stato nel quale la legge prende il posto dell'arbitrio; l'osservanza della legge sopprime l'abuso; la malversazione e la sopraffazione non restano impuniti? Bene, facciamo come si fa nelle case; in primavera e in autunno pulizia generale; si rivedono tutti gli angoli; si spolverano tutti i mobili; si buttano via stracci e carte inutili: pulizia, ci vuole. È vero, ci sporchiamo le mani; ma c'è l'acqua e il sapone a ripulirle più volte. Presentiamo un programma per la terza legislatura repubblicana; lasciamo che i partiti si vestano di meriti veri o presunti per quel che hanno fatto di bene al Paese, alle varie categorie di cittadini, ai singoli collegi e circoscrizioni; lasciamo che si presentino puliti e lucenti, nascondendo le falle, gli errori, le disfatte, per poter ottenere nuova 13 e più larga fiducia. Noi vogliamo che lo Stato, come ente tipicamente responsabile della pubblica amministrazione, pur facendo valere le proprie benemerenze, riveda le proprie colpe e si emendi: in primo luogo giustizia, fundamentum regni, onestà, correttezza della pubblica amministrazione, equità politica verso i cittadini. Ai tempi del filosofo Gentile si parlava dello Stato etico (etico, cioè morale); si attribuiva l’eticità allo Stato quali ne fossero gli atti emessi dagli organi statali; si trattava di una specie di immunizzazione contro il male o meglio di una permanente trasformazione del male operato in bene insito. La teoria non reggeva e non regge: lo Stato non immunizza il male né lo tramuta in bene; fa subire ai cittadini gli effetti cattivi delle azioni disoneste dei propri amministratori, governanti e funzionari, mentre produce benefici effetti con la saggia politica e la onesta amministrazione. Ci vuole un lavaggio generale, per supplire alla pulizia che è mancata nei dieci anni delle due legislature repubblicane, dopo quella specie di assoluzione del passato che il corpo elettorale diede largamente il 18 aprile 1948 per i primi cinque anni gravi di difficoltà, specialmente per una classe politica impreparata dopo ventuno anni di dittatura. Il Ministro del Tesoro sta dando corso alla legge sulla eliminazione degli enti superflui; una operazione non solo strettamente amministrativa, ma anche morale e moralizzatrice. Si tratta di un provvedimento a passo ridotto; certi enti non solo superflui ma addirittura dannosi, e non sono pochi, non saranno mai toccati per i favori reciproci che danno e ricevono dai partiti, dai profittatori e dalla stampa. Il Governo ha le mani legate. Chi oserà sciogliere un ente, anche semifallimentare, se i partiti lo sostengono e ne approfittano? e non dico solo i partiti di Governo; anche quelli della opposizione, che sono doppiamente pericolosi, e quegli altri che, usando il metodo del ricatto parlamentare, se ne avvantaggiano ancora di più. È nota la vecchia vicenda dell'UESISA. Di recente, la Nuova Stampa di Torino ha fatto giustizia della ENDIMEA, per la quale io ebbi ingiurie e minacce; il materiale farmaceutico di tale ente andato a male è stato notevole; per la liquidazione ordinata nel 1950 sono occorsi da cinque a sei anni. La GRA è stata per ben quattro anni protetta al Senato unguis et rostribus. Così di seguito; anche le gestioni passate al Tesoro per una sollecita liquidazione sono state là a giacere per anni. Fino a poco tempo fa era ancora in piedi un certo ente per la riforma e bonifica in Albania; l'ho perduto di vista. Non parliamo degli enti di Libia; un gruppo di impiegati è ancora là che attende con trepidazione i provvedimenti governativi; pur improntati a comprensiva umanità, questi debbono portare alla eliminazione di quel che non regge in piedi. Non sono le persone che si perseguitano; coloro che han semiro la pubblica amministrazione dovranno avere non solo quanto loro spetta, ma quella possibile sistemazione o quelle agevolazioni, che serviranno loro a guardare l'avvenire con una certa fiducia. Ma profittatori, no; far nulla per anni e decenni e prendersi lo stipendio, no; sono sistemi deplorevoli, che demoralizzano l'intera classe impiegatizia. Più grave è l'andazzo di molti uffici centrali e periferici, statali e locali, per il disbrigo degli affari privati. Se nella mente dei cittadini è penetrata l'idea che per avere disbrigato un affare occorre la bustarella, o la percentuale per il premuroso intermediario, si deve concludere che le storielle circolanti di bocca in bocca non siano tutte inventate. Sono troppo dettagliate per essere solo millanterie, insinuazioni, sospetti, indizi, apparenze. Che ci stanno a fare nei corridoi e nelle antisale dei ministeri e per le scale stesse, certe persone che oramai gli uscieri conoscono? Perché non tenere sgombri gli ambulacri? Anche nelle antisale delle banche si vedono certi figuri ben noti ai funzionari. Parecchi sono là a rappresentare società più o meno fittizie. Non parliamo di quella rete di società private che si sviluppano attorno agli enti pubblici. L’affare dell'INA di parecchi anni fa, sollevò un velo; e un altro velo sollevò quello dell'Alto Commissariato dell'Igiene e Sanità. Sarebbe bene vederne la consistenza e la funzionalità e individuare i responsabili. Ho sott'occhio gli appunti di un affare di distribuzione di metano nell'Alta Italia rivelatore di certi sistemi alquanto equivoci. Si tratta di una catena di società, per studi, progettazione, costruzione e gestione di impianti di gas metano. All'estrazione il metano vale, sì e no, un paio di lire al metro cubo; la SNAM lo cede a lire 16; la società suddetta lo cede ai privati a lire 51 per i primi 15 mc., a lire 30 per i seguenti; agli artigiani a lire 26; così di seguito. Per quanto sto segnalando non vorrei dare l'impressione che tutta l'amministrazione statale sia corrotta; farei torto al personale tradizionalmente corretto e zelante; ma il sistema dei controllaticontrollori, da me denunziato dieci anni fa, vige ed è generalizzato perfino con leggi recenti; le responsabilità dei capi sono attenuate o elise dalle decisioni di commissione o dai pareri dei comitati consultivi ministeriali e interministeriali; le promozioni a salti mortali sono non dico frequenti, ma meno rare del passato e demoralizzano coloro che contano sulla regolarità della carriera e sulla disciplina del personale. Per giunta, la differenza di stipendio fra il personale dei dicasteri statali e lo stipendio (aumentato da indennità, partecipazione agli utili e simili) degli enti statali e parastatali (specialmente nelle posizioni gerarchiche di responsabilità e nelle funzioni tecniche), è tale da ripercuotersi sul morale di tutta la classe impiegatizia e sulla stessa pubblica opinione. Ciò spinge i più audaci e più fortunati a darsi alla politica; chi può, otterrà anche un seggio di deputato o di senatore (fino a ieri cumulando indennità e stipendi, ora non più per i deputati, i quali possono scegliere l'emolumento più alto). Quanto sia incongruo che il personale impiegatizio possa sedere in Parlamento, risulta chiaro a chiunque abbia un po' di buon senso. Ma la interpretazione data ad un certo articolo della Costituzione e la mancanza di una legge che contempli tutte le incompatibilità, rendono difficile un provvedimento limitativo, come era per il Parlamento pre-fascista, nel quale solo dieci professori universitari potevano essere eletti deputati. Oggi, perfino magistrati, presidenti e consiglieri di Stato si levano la toga e scendono in piazza a sollecitare i voti degli elettori. L'anello di congiunzione della partitocrazia con la burocrazia politicante e con il funzionarismo degli enti statali e parastatali, che amministra miliardi senza rischio e senza corrispondente responsabilità, è un incentivo allo sperpero, al favoritismo, alla inosservanza delle leggi, e rende difficile qualsiasi retta amministrazione governativa e arriva a paralizzare, in certi settori, anche il Parlamento. Pensare che in dieci anni dall'approvazione della Costituzione, non è stato possibile discutere qualsiasi disegno di legge sullo sciopero, legge che la Costituzione prescrive tassativamente, è il colmo, ma è così. Manca inoltre una legge che definisca i caratteri democratici dei partiti che la Costituzione ammette e dei quali riconosce i gruppi in Parlamento; sfido a poter dimostrare la democraticità dei partiti quando, per vivere e funzionare, hanno bisogno, e che bisogno, del denaro donato o procurato. Ne ho parlato altra volta, affermando la necessità di dare una regola per il finanziamento dei partiti, se non altro come in Germania, dove è prescritta la pubblicità delle entrare e delle spese. Da noi si sente parlare da tempo di finanziamenti diretti e indiretti, da parte delle imprese private e da parte dell'ENI e dell'IRI, a partiti, a gruppi e a correnti; ma chi se ne interessa sul serio? e chi levala parola per provvedimenti necessari ed urgenti? Pulizia! pulizia morale, politica e amministrativa; solo così potranno i partiti ripresentarsi agli elettori in modo degno per ottenerne i voti; non mai facendo valere i favori fatti a categorie e gruppi; non mai con promesse personali di posti e di promozioni; ma solo in nomi degli interessi della comunità nazionale, del popolo italiano, della Patria infine; perché la moralizzazione della vita pubblica è il miglior servizio che si possa fare alla Patria nostra. E non abbiate vergogna, candidati di tutti i partiti, di parlare di Patria, perché la Patria, come ideale collettivo, indica giustizia, moralità, equità, onore, rispetto della personalità. Luigi Sturzo Il Giornale d’Italia, 2 gennaio 1958 14