‘Ndrangheta, uomini dello Stato al servizio
della cosca. L’ordine era: “Non indagare”
Su disposizione del tribunale di Catanzaro questa mattina
sono stati arrestati Maurizio Lento ed Emanuele Rodonò, ex
capo ed ex vice capo della squadra Mobile di Vibo Valentia,
che avevano l'abitudine di intrattenere relazioni conviviali con
il boss (caffè e giornate al mare). Sono accusati di aver
favorito la cosca Mancuso. In manette anche l'avvocato
Antonio Galati
di Davide Milosa | 25 febbraio 2014
Due anni di mancate indagini, omissioni, insabbiamenti, depistaggi. Obiettivo: favorire i Mancuso,
uno dei clan più potenti della Calabria. Tradotto: uomini dello Stato al servizio della ‘ndrangheta.
Poche righe per riassumere oltre duecento pagine di ordinanza cautelare con la quale oggi il giudice
per le indagini preliminari del tribunale di Catanzaro ha disposto l’arresto di Maurizio Lento ed
Emanuele Rodonò, rispettivamente ex capo ed ex vice capo della squadra Mobile di Vibo
Valentia. Per entrambi l’accusa è di concorso esterno in associazione mafiosa. “Questi – ragiona
il giudice – , nel periodo in cui hanno svolto le loro funzioni (2009-2011) non hanno mai ritenuto di
avviare alcuna indagine su quella che era ed è la più pericolosa e sanguinaria cosca di ‘ndrangheta
operante sul territorio calabrese”. In manette anche un legale indagato per 416 bis perché ritenuto
dal gip Abigail Mellace membro effettivo della cosca. Antonio Galati, infatti, è lo storico avvocato
della famiglia Mancuso. Ed è grazie alla sua “abile e paziente opera” che gli uomini della mafia si
sono infiltrati “negli apparati investigativi, giudiziari e di pubblica sicurezza dello Stato” per
“assicurare ai propri componenti trattamenti di riguardo e di favore”, acquisendo “informazioni
riservate”, garantendo “la possibilità di continuare a operare in condizioni di massima tranquillità e
clandestinità”.
Galati ricopre un ruolo di cerniera tra i boss e le istituzioni. Questo il ragionamento degli uomini del
Ros di Catanzaro. Le indagini partono nel 2010. Nel mirino i capi della cosca e in particolare la
frangia che fa capo a Pantaleone Mancuso alias Scarpuni classe ’47. Ben presto, però, il piano
criminale incrocia quello della cosiddetta zona grigia. Emerge la figura di Galati. Le intercettazioni
svelano ruoli, rapporti e obiettivi. Fin da subito, il legale si dimostra il cardine principale attorno al
quale ruota quello che lui stesso definirà “un ingranaggio” a disposizione dei boss (leggi l’articolo).
Relazioni, dunque. “Una rete impressionante di amicizie e frequentazioni che Galati con grande
abilità è riuscito a intessere attorno alla sua persona”.
Buona parte sono uomini delle istituzioni. Magistrati, ma anche poliziotti. Severissimo, in questo
senso, il giudizio del gip: “Le variegate e trasversali relazioni abilmente intessute da Galati con
esponenti delle istituzioni da un lato e della cosca Mancuso dall’altro” hanno “avuto l’effetto di
creare un pericoloso ponte di collegamento fra due mondi che nella fisiologia del sistema devono
essere totalmente distanti e incomunicabili”. Relazioni pericolose, dunque. A tal punto consapevoli
da “inficiare la credibilità” delle istituzioni “ingenerando nei cittadini quella sfiducia nello Stato che
è poi il terreno sul quale la mafia ha fondato e fonda il proprio arrogante potere e la sua eccezionale
capacità intimidatoria”.
Una chiacchiera, un caffè. Parole e circostanze fuori da qualsiasi contesto investigativo. Questa la
fotografia scattata dalla Procura di Catanzaro nel rappresentare i rapporti tra i boss e i poliziotti.
Capita, ad esempio, nel 2011, dopo la morte della moglie di Mancuso scarpuni. Il 16 aprile Santa
Buccafusca si suicida bevendo dell’acido. Un mese prima, assieme al figlio, era andata dai
carabinieri con l’intenzione di collaborare. Il 19 aprile a Mancuso viene notificato un atto relativo
alla morte della moglie. Un atto normale che gli viene consegnato direttamente dal capo della
squadra Mobile. “Il dottore Lento – annuncia Galati al boss – perché scende lui personalmente,
avete capito”. All’incontro, e per questioni lavorative, è presente un sostituto commissario, il quale,
sentito a verbale racconta: “Dopo aver notificato l’atto a Mancuso, quest’ultimo si avvicinava al
dottor Lento, al dottor Rodonò e all’avvocato Galati, rimanendo con loro appartati a una decina di
metri dall’auto di servizio”. I protagonisti poi si salutano. Poco dopo Galati è al telefono con
Mancuso. Il boss: “Digli che passano di qua che si prendono il caffè”.
E se l’allora capo della Mobile va a casa del boss, il suo vice, assieme a Galati, addirittura passa le
giornate estive nel villaggio turistico della famiglia Maccarone imparentata con i Mancuso.
Giornata conviviale, dunque. In serata, al rientro, Galati commenta: “Grande Antonio (Maccarone.
ndr) ci ha mandato pure la bottiglia”. La risposta di Rodanò: “Fantastico”. Insomma, ragiona
sempre il giudice, sia Lento che Rodanò si sono presentati come “soggetti vicini e compiacenti” che
si relazionano su un piano paritario con i boss “prendendo un caffè” oppure “trascorrendo insieme
una giornata al mare”. Una condotta definita “gravissima” e che “in punto di diritto integra in modo
quasi scolastico il delitto di concorso esterno in associazione mafiosa”.
Perché se da un lato il caffè col boss ha “un significato simbolico devastante per il messaggio di
complicità mafiosa espresso”, dall’altro ci sono le condotte che nel concreto hanno “rafforzato le
capacità intimidatorie e operative del sodalizio”. Un’inerzia investigativa definita “imbarazzante”
anche “a seguito dell’emersione di gravi indizi di reità a carico dei Mancuso che avrebbero invece
imposto l’avvio di mirate e specifiche indagini”. Due gli elementi che secondo il giudice di
Catanzaro confermano questo atteggiamento. Nel 2011 il Nucleo investigativo dei carabinieri di
Vibo indaga sulla cosca Tripodi. Nel fascicolo confluiscono alcune intercettazioni effettuate dalla
squadra Mobile in relazione a un danneggiamento. Riascoltando le telefonate e rileggendo i
brogliacci, i carabinieri si accorgono che alcune conversazioni sulla protezione mafiosa dei
Mancuso non erano state trascritte. “E soprattutto – conclude il gip – riscontravano che tutte in ogni
caso non erano state inserite né nella richieste di proroga delle intercettazioni né nell’informativa
conclusiva.”. A chiudere il cerchio un’intercettazione ambientale nella quale il vice capo della
Mobile in auto con Galati dice: “Io sento parlare di personaggi come Luigi Mancuso, Diego
Mancuso, Antonio Mancuso (…) Mi voglio togliere lo sfizio di leggermi la storia di questa gente su
cui io non ho potuto indagare”. Quindi spiega: “Devi capire una cosa, io ho un debito di fedeltà,
punto e basta. L’ho assolto. Fedeltà per motivi gerarchici. E tu sai a cosa mi sto riferendo”.
Conclude il giudice: “Le affermazioni del dottor Rodanò lasciano annichiliti”.
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