Italia-Svizzera, patto a due velocità Subito l’effetto sul rientro dei capitali - Soluzione sui costi black list in una seconda fase Un accordo con effetti in due tempi. Prima sulla voluntary disclosure. E poi in un secondo momento sui limiti alla deduzione dei costi in Unico e alle comunicazioni black list. L’intesa che Italia e Svizzera si preparano a siglare (si veda «Il Sole 24 Ore» di ieri) prevede, infatti, lo scambio di informazioni e quindi la possibilità di sanzioni più leggere per il rientro dei capitali, visto che la Svizzera entrerà a far parte dei Paesi black list che hanno stipulato intese con l’Italia. Ma questo non implica l’uscita automatica a 360 gradi dalla lista di Stati a fiscalità privilegiata. Per quanto riguarda la deducibilità dei costi black list (che richiedono una delle due esimenti di effettiva attività economica della controparte o di concreto interesse all’operazione) e della comunicazione degli scambi effettuati, nell’immediato non dovrebbe cambiare nulla. L’uscita vera e propria dalla black list avverrà in un secondo momento, con il decreto del ministero dell’Economia che modificherà la lista allegata al decreto ministeriale 21 novembre 2011 ratificando l’esclusione della Svizzera (come è avvenuto il 23 dicembre per il Lussemburgo). Una sorta di «aiuto» in tal senso arriva dalla norma inserita nella legge di stabilità, in base alla quale per la lista dei Paesi a fiscalità privilegiata rilevante agli effetti della deducibilità dei costi sostenuti con i fornitori esteri non si terrà più conto anche del criterio della tassazione “congrua” ma solo della mancanza di un adeguato scambio di informazioni. Quindi chi collabora potrà essere depennato con un decreto ministeriale anche se la tassazione non è congrua. Ecco perché su questo fronte si sta studiando come intervenire in un secondo momento. Per ora resta il nodo sulla retroattività dello scambio di informazioni: in base alla Convenzione di Vienna sui trattati internazionali, lo scambio di informazioni dovrebbe riguardare solamente le informazioni bancarie relative a un periodo successivo a quello dell’entrata in vigore dell’accordo bilaterale stipulato fra gli Stati (in questo caso Italia e Svizzera). È da verificare, adesso, la possibilità di attivare la retroattività attraverso un protocollo aggiuntivo. Nell’accordo che dovrebbe essere firmato la prossima settimana potrebbe essere inserita anche una novità relativa ai lavoratori transfrontalieri: si tratta dello spitting fiscale, un meccanismo che prevede la tassazione suddivisa tra i due Paesi. In pratica, secondo le indiscrezioni circolate finora, invece di tassare i frontalieri alla fonte e riversare il 38,8% degli introiti a Roma, in futuro dovrebbe entrare in vigore lo splitting in base al quale la Svizzera tasserebbe una parte e l’Italia un’altra della base imponibile. La Svizzera punta a far entrare nell’accordo anche l’apertura sugli intermediari, che dovrebbe permettere agli operatori finanziari elvetici di lavorare anche in Italia. Intanto prosegue l’iter della ratifica dell’accordo tra Italia e isole Cayman sullo scambio di informazioni in materia fiscale, fatto a Londra il 3 dicembre 2012: ieri l’intesa è stata discussa dalla commissione Affari esteri e comunitari della Camera. L’accordo renderà meno caro il rimpatrio L’imminente stipula del protocollo aggiuntivo che modificherà l’articolo 27 della Convenzione contro le doppie imposizioni in vigore tra l’Italia e la Svizzera, per consentire un effettivo scambio di informazioni in base agli standard previsti dall’articolo 26 del modello Ocse, renderà più conveniente l’adesione alla procedura di collaborazione volontaria da parte dei contribuenti che intendano regolarizzare le attività finanziarie detenute in Svizzera in violazione della normativa in materia di monitoraggio fiscale. Per applicare lo “sconto” sulle sanzioni che la legge 186/2014 riserva alle attività detenute in Paesi «ex-black list» è necessario che la stipula dell’accordo avvenga entro il prossimo 2 marzo e che preveda la possibilità di effettuare lo scambio di informazioni anche per gli elementi riconducibili al periodo tra la data della firma e l’entrata in vigore dell’accordo. Le sanzioni Nonostante i tempi siano particolarmente ristretti, l’avanzata fase di negoziazione dovrebbe portare alla firma ufficiale dell’accordo nei primi giorni di febbraio (si veda «Il Sole 24 Ore» di ieri). Una volta ufficializzata la stipula dell’accordo, per i soggetti che aderiranno alla voluntary disclosure non si applicherà più il raddoppio delle sanzioni (previsto dall’articolo 12, comma 2 del Dl 78/2009) con riferimento alle attività finanziarie detenute in Svizzera. Si tratta delle sanzioni correlate alle maggiori imposte dirette accertate con riferimento a disponibilità finanziarie detenute in Paesi black list che si presumono, salvo prova contraria, derivanti da redditi sottratti a tassazione. La sanzione “base” per l’omessa compilazione del modulo RW, sulla quale vanno operate le riduzioni, sarà invece pari al 3% per tutti gli anni oggetto di regolarizzazione (dal 2004 al 2013). L’accertamento La questione relativa all’applicabilità o meno delle disposizioni che prevedono il raddoppio dei termini per l’accertamento delle imposte dirette e dell’Iva è senz’altro più delicata. Quanto al raddoppio dei termini ordinari di accertamento (articolo 12, comma 2-bis, del Dl 78/2009), l’articolo 1 della legge 186/2014 prevede che non operi qualora congiuntamente: l’accordo tra l’Italia e la Svizzera venga stipulato entro il 2 marzo 2015; il contribuente autorizzi l’istituto finanziario estero a trasmettere all’amministrazione finanziaria italiana i dati relativi alle attività finanziarie oggetto di regolarizzazione; il contribuente, nel caso in cui trasferisca in un momento successivo le attività finanziarie regolarizzate, autorizzi il nuovo intermediario a fornire i dati all’amministrazione finanziaria italiana. Considerato che nei confronti dei soggetti che aderiscono alla voluntary disclosure è esclusa la punibilità per la maggior parte dei reati tributari, tale circostanza non dovrebbe far venir meno la “rilevanza amministrativa” del reato e determinerebbe quindi il raddoppio dei termini per l’accertamento delle imposte. Tale circostanza dovrà essere inoltre coordinata con le nuove disposizioni che saranno emanate dal Governo in attuazione dell’articolo 8 della delega fiscale (legge 23/2014). Secondo i principi fissati dalla legge delega, infatti, il raddoppio dei termini di accertamento previsto nel caso invio della denuncia penale prevista dall’articolo 331 del Cpp si verificherà soltanto in presenza dell’effettivo invio della denuncia entro il termine ordinario di decadenza, fatti salvi gli effetti degli atti di controllo già notificati alla data di entrata in vigore del decreto legislativo in corso di emanazione. La modifica delle soglie di punibilità e l’importante modifica della disciplina del raddoppio dei termini di accertamento in presenza di violazioni di natura penale potrebbero giocare un ruolo importante nell’ambito della procedura di collaborazione volontaria. Il costo della procedura Il costo della procedura dipenderà dal tipo di violazioni commesse dal contribuente in quanto, in ogni caso, gli sconti previsti dalla procedura riguardano le sanzioni e non l’imposta. L’unico provvedimento che potrebbe incidere sull’imposta dovuta e relative sanzioni è invece il decreto legislativo sulla certezza del diritto, che tornerà all’esame del Consiglio dei ministri il prossimo 20 febbraio dopo le polemiche sorte negli ultimi giorni. Nel riformare il sistema sanzionatorio penale, il provvedimento potrebbe ridurre i periodi d’imposta regolarizzabili al solo quinquennio. L’addio al segreto, l’ultima possibilità La firma dell’accordo per lo scambio di informazioni tra Italia e Svizzera, attesa nelle prossime settimane, ha un duplice significato e lancia un importante messaggio. Nell’immediato, consente di sapere quali saranno le regole e i costi per la regolarizzazione delle attività e degli investimenti detenuti dai cittadini italiani nella confederazione elvetica. In una prospettiva più generale, le nuove regole di cooperazione in arrivo segnano probabilmente la fine di un’epoca: un’epoca caratterizzata da un lato dall’esportazione di ricchezza oltre confine e dall’altro dall’assoluta riservatezza che il sistema del segreto bancario elvetico ha fin qui largamente garantito. Si tratta di due aspetti importanti rafforzati dal messaggio di fondo che questa nuova prospettiva di collaborazione finisce per trasmettere. Qui, probabilmente, non cade solo il segreto svizzero ma viene messa in dubbio l’idea stessa che nel mondo attuale possano ancora esistere territori sicuri dove occultare ricchezze sottratte a tassazione in Italia (o in qualsiasi altro paese). D’altra parte, l’offensiva lanciata dall’Ocse e dai maggiori Paesi per la trasparenza fiscale qualche risultato lo sta producendo. Gli accordi sottoscritti a livello internazionale spesso prevedono addirittura lo scambio automatico di informazioni. Certo, servirà ancora un po’ di tempo per mandare tutto a regime ma non si può ignorare che tra i firmatari di queste intese figurano Paesi quali il Lussemburgo, San Marino, il Lichtenstein, le isole Cayman, Hong Kong, Singapore, Monaco, la stessa Svizzera. Sono gli stessi Paesi che in questi anni hanno offerto un rifugio sicuro dai controlli del Fisco, e che oggi si dichiarano pronti a trasmettere tutte le informazioni su conti correnti e movimentazioni finanziarie. È una prospettiva alla quale molti non credevano. Basti pensare agli scudi fiscali del 2002 e del 2009-10. Nonostante la grande convenienza alla regolarizzazione e al buon successo di quelle operazioni, molti contribuenti scelsero comunque di non aderire perché convinti che mai e poi mai i Paesi “opachi” – la Svizzera ma non solo – avrebbero rinunciato al segreto e reso di fatto trasparente il rapporto con i clienti italiani. Molti hanno scelto di continuare a rischiare e a detenere oltre confine le ricchezze senza segnalarne provenienza, proventi e consistenza nella dichiarazione dei redditi. La legge sul rientro dei capitali sta in qualche modo accelerando un processo di per sé irreversibile. La necessità di chiudere ulteriori accordi bilaterali per lo scambio di informazioni entro 60 giorni dall’entrata in vigore del provvedimento (e quindi entro il 2 marzo) ha dato solo l’impulso per accelerare la sottoscrizione dei patti. E a ben giudicare, anche la circostanza che l’accordo con la Svizzera (senza dubbio il più importante) sia prossimo alla firma ha una valenza ulteriore, quasi a significare che si è fatto in fretta perché questa è l’unica strada percorribile in un sistema globale moderno. La voluntary disclosure rappresenta la nuova e, presumibilmente, ultima opportunità per regolarizzare la propria posizione. Il mondo sta diventando una scatola trasparente, i pochi Stati che ancora non si sono adeguati saranno costretti a farlo, è solo questione di tempo. Scegliere oggi di mantenere le attività illegalmente in questi luoghi presenta incognite enormi: dal rischio–paese all’impossibilità pratica di recuperare le somme estere. Si può obiettare che in alcuni casi il costo della disclosure può essere elevato, ma d’altro canto non approfittarne espone a un duplice effetto negativo: perdere la disponibilità concreta dei propri mezzi finanziari ed esporsi ai sempre maggiori rischi di essere accertati e sanzionati (anche penalmente) in modo ancor più aspro.