PRIME NOTE SULLE DINAMICHE INSEDIATIVE TRA ETÀ TARDOANTICA E MEDIOEVO NELLA MARCA MERIDIONALE di SIMONETTA MINGUZZI *, UMBERTO MOSCATELLI **, FRANCESCA SOGLIANI *** * Università degli Studi di Udine ** Università degli Studi di Macerata *** CNR IBAM Istituto per i Beni Archeologici e Monumentali INTRODUZIONE In fase di elaborazione ancorché teorica appaiono a tutt’oggi le conoscenze scientifiche relative ai temi e alle modalità dell’insediamento altomedievale e medievale nelle Marche, basate esclusivamente su dati di carattere storicodocumentario e per questo incentrate soprattutto sugli aspetti più propriamente istituzionali o storico-economici (Istituzioni e società nell’alto medioevo marchigiano 1983; Il Piceno in età romana 1992; Insediamenti e fortificazioni nella Marca medievale 1991). Poco numerosi risultano i contributi che tengano conto dei dati archeologici relativi alle fasi più tarde dell’assetto antico del territorio (PROFUMO 1985; BIERBRAUER 1994; PAROLI 1995; PAROLI 1997), e difficilmente utilizzabili al momento per ricostruire le vicende occupazionali connesse agli eventi storici che hanno segnato la Regione tra tardoantico e medioevo ed inoltre del tutto assenti risultano le analisi delle testimonianze materiali, intendendo per esse lo studio delle produzioni ceramiche, vitree e dei reperti metallici. Per quanto pertiene all’analisi delle testimonianze strutturali di tali periodi, occorre sottolineare come, da un approccio del tutto preliminare al ricchissimo ed articolato patrimonio architettonico di età postclassica della Regione, gli studi del settore siano esclusivamente di carattere architettonico o storico-artistico. Lo stimolo ad approfondire la ricerca sulle dinamiche insediative regionali tra età tardoantica e medioevo, è derivato da un recente contributo di chi scrive, relativo ad un’indagine preliminare sulle fondazioni monastiche e castrensi altomedievali legate alla viabilità regionale, nella fattispecie alla Via Salaria (MINGUZZI, SOGLIANI c.s.), in cui è apparsa evidente la necessità di costruire un approccio articolato tematicamente al periodo post-classico nell’area territoriale corrispondente alla Marca meridionale, fino ad ora pochissimo indagata sia sotto il profilo archeologico che topografico (MOSCATELLI 1992; MOSCATELLI 1997). Alcune scelte sono state necessarie per impostare la ricerca: prima fra tutte la definizione di un ambito cronologico in cui comprendere l’indagine, che si è voluto estendere tra il VI secolo d.C. e l’XI secolo d.C., in quanto in tale periodo va riconosciuta una fase di profonde trasformazioni dell’assetto politico-istituzionale, economico ed insediativo della società in generale “italiana” ed in particolare anche marchigiana; ulteriore scelta ha riguardato l’ambito geografico, per cui si è voluto circoscrivere l’indagine alla parte meridionale della regione, esigenza derivata dalla necessità di collegare l’evolversi delle vicende insediative alle peculiarità dell’assetto storico-politico di questi territori. Gli esiti del conflitto greco-gotico, che interessò l’intera regione, si fecero sentire anche nella suddivisione tra una parte settentrionale, la Pentapoli, legata ai Bizantini di Ravenna e una parte centro-meridionale in mano ai Longobardi del Ducato di Spoleto (B ERNACCHIA 1997; P AROLI 1997; BERNACCHIA 2002), quest’ultima peraltro già in età gota interessata da una serie di insediamenti militari, identificati nella vallata del fiume Tronto e più in generale nel territo- rio ascolano, come punti di avvistamento di eventuali attacchi bizantini provenienti dal mare o da sud. L’ambito territoriale preso in considerazione nel presente studio si estende pertanto tra la vallata del fiume Musone a nord e la vallata del fiume Tronto a sud, comprendendo quindi le attuali Province di Macerata e di Ascoli Piceno. Le vicende che interessarono questi territori tra VI e XI secolo, fanno da sfondo alle linee tematiche individuate nella ricerca, che si muovono dal problema della continuità/trasformazione del contesto insediativo-territoriale tra età tardoantica e medioevo, alla ricerca storiografica e archeologica sugli insediamenti monastici e fortificati, ed infine al ruolo giocato da questi ultimi nell’organizzazione del territorio e sulla morfologia dei suoli antropizzati. L’occasione scientifica di affrontare quindi in modo organico l’analisi topografica, storica ed ambientale di quest’area regionale ha motivato l’avvio di un progetto di ricerca, al fine di predisporre, qualora possibile, ulteriori fasi di indagine riguardanti l’analisi archeologica, sia del sopravvissuto che del sepolto, di alcune aree campione dei territori esaminati, particolarmente rappresentative per le problematiche suddette. Finalità principale della ricerca avviata è la costruzione di una griglia di base, funzionale ad una catalogazione delle strutture insediative, atta a studiare e valutare l’impatto delle differenti morfologie occupazionali sull’organizzazione e le trasformazioni del paesaggio nel territorio preso in esame tra la fine dell’età antica e il medioevo e ad individuare cesure, contrazioni, continuità genetiche o abbandoni. Il progetto di ricerca in questione nasce nell’ambito degli insegnamenti di Archeologia Medievale, Archeologia Cristiana e Topografia Antica dell’Università degli Studi di Macerata e si è configurato, nella prima fase di lavoro che ha preso l’avvio durante l’A.A. 2001/2002, come attività seminariale che ha visto coinvolti gli studenti del Corso di Laurea in Storia e Conservazione dei Beni Culturali con sede a Fermo. Il progetto ha preso le mosse da una catalogazione su scala regionale degli insediamenti fortificati e di quelli monastici delle Marche meridionali, seguendo il modello adottato in altre regioni italiane, effettuato attraverso una raccolta sistematica della bibliografia storica ed archeologica, la lettura ed interpretazione dei dati cartografici inerenti il territorio in esame, l’indagine sul terreno eseguita per campionature e l’informatizzazione dei dati raccolti. Tale censimento è stato suddiviso in tre gruppi di lavoro, organizzati per aree territoriali: 1) – «Il territorio compreso tra la valle del Chienti e la valle dell’Aso (province di Macerata e Ascoli Piceno)». Coordinatore: Viviana Antongirolami; componenti: Francesco Melia, Alessandro Di Maggio, Annalisa Cardellini, Marta Castellucci, Lucia Ricciotti; 2 – «Il territorio compreso tra la valle del Musone e la valle del Chienti». Coordinatore: Diego Gnesi; componenti: Maurizio Bilò, Claudia Bove, Paola Morici, Barbara Dubini, Nicoletta Campanari, Alessandro Biagioni, Gloria Focante; 3 – «Il territorio a sud della valle dell’Aso». Coordinatore: Alessandra D’Ulizia; componenti: Saverio Capece, Maurizio Cardarelli, Sonia Virgili, Giuliana Sestili, Moira Serafini. Una prima fase di lavoro ha riguardato lo spoglio bibliografico dell’edito in monografie e contributi in riviste o Atti di tutte le principali Biblioteche presenti sul territorio (Macerata: Biblioteca Comunale Mozzi-Borgetti, Biblioteca dell’Archivio di Stato, Biblioteca del Dipartimento di Scienze Storiche dell’Università; Fermo: Biblioteca Comunale; Ascoli Piceno; Biblioteche Comunali locali). Tale fase ha prodotto una mole ingente di informazioni, quantitativamente si tratta di più di mille titoli tra monografie e articoli, suddivisi per ambiti territoriali specifici. Ogni gruppo di lavoro si è in seguito occupato di compilare delle schede relative ad ogni unità insediativa riconoscibile, strutturate secondo un format precostituito, i cui 594 dati sono attualmente in fase di informatizzazione. La scheda tipo comprende le seguenti voci: Denominazione, Provincia, Comune, Ubicazione, Cartografia IGM, Riferimento ortofotocarta (1:10.000, 1:25.000, 1:5000), Riferimento cartografia numerica (1:2000, 1:5000, 1:10.000), Riferimento carta uso del suolo, Riferimento cartografia catastale, Localizzazione storica, Cronologia delle principali fasi storico-costruttive, Notizie storiche, Proprietà attuale, Vincoli, Uso attuale, Stato di consistenza, Impianto planimetrico, Rapporti ambientali, Documentazione grafica e fotografica, Documentazione cartografica, Descrizione, Bibliografia essenziale. Si ritiene che solo attraverso un censimento di tal genere, certo complesso e che richiede cospicue energie sia in termini di risorse umane che economiche, sia possibile configurare una banca-dati utile per affrontare indagini articolate su problematiche in scala regionale e sub-regionale; da non sottovalutare inoltre l’importanza che una banca-dati di questo tipo può avere relativamente alle esigenze di tutela, conoscenza e valorizzazione del patrimonio in questione, soprattutto se collegata alla realizzazione di un sistema informativo georeferenziato, che è parte integrante del presente progetto di ricerca. S.M., U.M., F.S. 1. IL TERRITORIO Il disinteresse degli archeologi per il periodo medievale nella Marca ha di fatto determinato una pressoché totale discrasia tra la ricerca archeologica e quella storica, l’unica ad aver prodotto finora risultati di un qualche rilievo, se non altro sul piano quantitativo. Se si rivolge l’attenzione a quello che ora mi pare debba essere considerato il punto nodale, e cioè le modalità e i tempi dei processi che condussero all’incastellamento, è chiaro che le difficoltà maggiori sono determinate dalla povertà delle conoscenze. Prendiamo in considerazione alcune delle aree all’interno delle quali varrebbe la pena di approfondire la ricerca: la valle del Chienti, ad esempio, interessata da una diffusa attestazione di possessi farfensi (PACINI 1966 e 1981), dalla presenza di curtes talora documentate già dalla metà del IX sec. d.C. (come nel caso della curtis de Trevenano) e dal passaggio di itinerari frequentati per tutto il medioevo, senza considerare la sua stretta relazione topografica con Camerino, di cui è nota la rilevanza nella geografia politica longobarda. Oppure il corridoio lungo il quale correva la strada da San Severino Marche (valle del Potenza) a Iesi (valle dell’Esino), dove i non pochi castelli attestati vanno a collocarsi per lo più lungo la fascia pedemontana, a possibile testimonianze dell’abbandono del tracciato viario antico o di un suo raddoppiamento: tra quei castelli troviamo Aliforni, Isola, Castel San Pietro, Elcito, Frontale, Poggio San Vicino, Castreccioni. Oppure ancora l’altro corridoio a cavallo dell’importante strada che da Visso puntava verso nord in direzione di Camerino o ancora altri settori che si potrebbero qui menzionare. Bene, in queste aree così “sensibili” in rapporto alla problematica in oggetto non è stato mai organizzato un progetto di ricognizione sistematica di superficie, sicché tutto ciò di cui siamo in possesso altro non è che un disomogeneo sciame di notizie non riconducibili ad un quadro organico e tematicamente rappresentativo. È evidente che in queste condizioni appare prematuro ogni tentativo di ricostruzione delle dinamiche che condussero all’incastellamento, proprio perché è totalmente carente il supporto della documentazione archeologica, fatta eccezione – ovviamente – per i manufatti architettonici, peraltro poco o affatto studiati. Ora, le premesse al fenomeno dell’incastellamento vanno in qualche modo cercate nelle condizioni del popolamento romano tra VI e VII sec. d.C.; è questo il punto no- dale. È opinione comune che le ultime fasi di vita delle ville romane ancora funzionanti nel tardo antico non oltrepassino il VI sec., con sporadici attardamenti fino agli inizi del VII (DALL’AGLIO, DE MARIA, MARIOTTI 1991; MOSCATELLI 1997; Monte Torto 2001). È un quadro che sembra trovare una sua corrispondenza anche nelle aree urbane non caratterizzate da una continuità di vita nel Medioevo; testimonianze probanti il tal senso ci vengono ad esempio dagli scavi condotti a Urbs Salvia, Castrum Truentinum e Suasa (DALL’AGLIO, DE MARIA 1995; STAFFA 1996; FABRINI 2001). Ciò che non mi appare convincente tuttavia è ritenere tale situazione come la prova di uno stato generale di abbandono e di depressione demografica successiva all’invasione longobarda. Da tale stato si passerebbe di colpo a una forte presenza di castelli in tutto il territorio regionale; in mezzo però troviamo un “buco” archeologico di quattro secoli circa da cui non si salva neanche la fase di insediamento sparso altomedievale (IX-X sec.) che deve pur essere rappresentata alla vigilia di un periodo in cui il sistema dei castelli appare ormai largamente diffuso e per di più la documentazione scritta appare copiosa. È evidente che qualcosa non torna; è evidente che la ricerca archeologica non ha prodotto gli sforzi atti ad accumulare la documentazione necessaria. Questo vacuum archeologico ci impedisce di leggere correttamente anche la situazione tardo antica. Sostanzialmente, la domande sono: – è possibile ritrovare traccia, nelle Marche centro-meridionali, di quella rete di insediamenti fortificati tardoantichi ai quali recentemente si è fatto riferimento (BERNACCHIA 2002) e di cui, al momento non esistono, a mia conoscenza, tracce archeologiche sicuramente riconoscibili? – quanti insediamenti romani sopravvivono nel periodo tra VI e inizi VII sec. d.C.? – come si modifica il popolamento rurale e urbano in rapporto al consolidamento della presenza longobarda? Cioè: in che modo e in che misura l’insediamento longobardo modificò l’assetto romano, posto che non sembra credibile la tesi di una distruzione sistematica dell’esistente? (MOSCATELLI 1993). Si tratta di tre domande fondamentali che racchiudono in sé gli elementi essenziali per la comprensione delle dinamiche che successivamente condussero alla fase di insediamento sparso del IX-X sec. e poi ancora all’avvio del processo di incastellamento. Poiché al momento non è possibile dare una risposta ad una sola di tali domande, è ovvio che uno degli scopi primari del progetto che qui si presenta non può che essere quello di provvedere, nel modo più energico possibile, ad una raccolta di testimonianze di superficie in alcune aree di particolare interesse, prime fra tutte una delle vallate maggiori, quella del Chienti, e poi il settore lungo la strada San Severino Marche – Iesi, precedentemente ricordato. Della valle del Chienti interessa indagare la parte a monte di Tolentino, all’interno della quale a nostro avviso esistono maggiori possibilità di studiare con successo l’evoluzione dell’insediamento tra VI e XI sec. d.C. A parte l’importanza del ruolo svolto da Camerino nell’alto Medioevo, da questo settore provengono alcune seppur deboli testimonianze archeologiche e toponomastiche longobarde (PROFUMO 1995; PROFUMO 1997; Pievebovigliana 2002) ed è sempre qui che si colloca la grande curtis de Trevenano, documentata dall’840 in un’area nella quale sorgeranno numerosi castelli e dove inoltre un diploma di Ottone I nell’anno 969 conferma al monastero di S. Clemente a Casauria una serie di possedimenti (tra cui le corti di Saline, Lauro e Vestiniano) che di fatto confinano con le proprietà farfensi (CICCONI 1986). È sempre qui che l’Anonimo Ravennate pone la località Faveris che poi ritroviamo in un altro diploma di Ottone I del 963 (ALLEVI 1977 per le osservazioni in merito). 595 La scelta del secondo settore si deve invece alla necessità di estendere la ricerca in un’area lontana dalla viabilità maggiore e all’interno della quale alla densità dei castelli attestati a partire dall’XI non fa riscontro, al momento, un quadro archeologico e documentario per le epoche precedenti. U.M. 2. GLI INSEDIAMENTI RELIGIOSI 1. Le città Le attuali carenti conoscenze sulle trasformazioni del territorio tra tarda antichità e medioevo nella regione coinvolgono anche il particolare aspetto delle città, non solo per quanto riguarda l’individuazione delle cause della sopravvivenza o della sparizione di alcuni nuclei urbani romani durante il passaggio tra tardoantico e altomedioevo, ma anche sulle modifiche presenti nel tessuto urbano stesso. La documentazione storica ha già impostato e analizzato le varie problematiche, ma purtroppo non c’è stato un puntuale riscontro archeologico, che si presenta oggettivamente complesso. La grave crisi urbana riscontrabile in questa parte della regione che sembra iniziare precocemente almeno per quanto riguarda la compagine sociale (PACI 1997), deve essere analizzata nel contesto delle trasformazioni di ogni aspetto del territorio. Per quanto riguarda la sopravvivenza dei centri urbani particolare attenzione è stata riservata alla presenza episcopale: in molte città sono menzionati vescovi nel IV secolo (LANZONI 1927; TESTINI 1989), ma non è stato rintracciata alcuna struttura di edifici di culto cristiani databili a quel periodo (PANI ERMINI 1989), anche nelle città a continuità di vita. Le fonti spesso tacciono sulla presenza di vescovi nelle città fino alla seconda metà del VI secolo, cioè dopo la fine della guerra greco-gotica; questo fatto è stato a volte interpretato come un’evidente crisi della vita urbana, ma la realtà può essere molto più complessa: ad esempio potrebbe essere dovuta alla presenza di vescovi ariani che ovviamente non compaiono nelle liste episcopali. Per quanto riguarda le trasformazione all’interno dell’assetto urbano i dati in nostro possesso sono alquanto frammentari: quelli desunti dai vecchi scavi necessitano di una capillare revisione critica e, anche se per alcune città come Ascoli e Fermo si registrano interventi archeologici recenti (PROFUMO 1985; PROFUMO 1996; PROFUMO 1997), la loro divulgazione è ancora alquanto incompleta e mancano lavori di sintesi dopo quelli della Pasquinucci (PASQUINUCCI 1975; PASQUINUCCI 1987). Rimangano da risolvere i problemi inerenti alle mura, in genere attribuite all’età augustea ma ancora in funzione alla fine della tarda antichità, si registrano presenze di sepolture isolate all’interno delle città, ma non sono stati verificati i loro rapporti con il tessuto urbano. Poco si conosce anche dei cambiamenti dell’edilizia abitativa, mentre lo spoglio delle strutture monumentali romane sembra proseguire per tutto il medioevo. In queste due città l’edificazione della cattedrale può avere giocato un ruolo importante come in altre realtà, ma ancora una volta di difficile comprensione: se per Fermo gli scavi hanno fornito dati sul primitivo impianto dell’edificio, databile al VI secolo, ma non sono ancora noti i dati degli scavi dell’area limitrofa e quindi le trasformazioni determinate dall’edificio nel tessuto urbano (PANI ERMINI 1989 pp. 115-116; PROFUMO 1996), per Ascoli la cattedrale paleocristiana non è stata rintracciata (non sono ancora noti i risultati degli scavi del battistero), ma è stato indagato il suo inserimento nell’assetto urbano che sembra avere creato un nuovo polo di aggregazione (PANI ERMINI 1989, pp. 113-114). Interessante in questa ultima città la presenza di una chiesa che riutilizza le strutture di un tempio pagano: mancando però riscontri archeologici, non è possibile sapere con esattezza in quale epoca avvenne questa trasformazione. 2. Edifici di culto cristiani e monasteri Per questa parte della regione le fonti riguardanti l’esistenza di edifici religiosi e di comunità cenobitiche sono scarse fino al IX secolo. Vi sono gravi lacune riguardanti la presenza di chiese battesimali e successivamente di pievi (VIOLANTE 1982; TESTINI 1985; Le pievi nelle Marche 1991; VASINA 1991; BERNACCHIA 2002, pp. 158-166). La zona sembra essere ignorata anche dai pellegrini che evidentemente preferivano altri percorsi, almeno nella prima parte dell’altomedioevo (CANTINO WATAGHIN, PANI ERMINI 1995; Le vie e la civiltà dei pellegrinaggi nell’Italia Centrale 2000): se quest’ultimo aspetto può essere messo in stretta relazione con la viabilità ed eventualmente con la sua sicurezza, il silenzio delle fonti sulla presenza di edifici religiosi potrebbe far pensare ad uno spopolamento del territorio. Ma dal momento che dal IX secolo la Marca meridionale appare percorsa da un gran numero di tracciati, maggiori e minori, lungo i quali sono posti fitti insediamenti e che in particolare la distribuzione sul territorio dei monasteri sembra seguire sostanzialmente i tracciati dell’antica viabilità romana, questo vuoto tra la fine della tarda antichità e l’altomedioevo sembra essere imputabile alla perdita di documentazione e ad una scarsissima conoscenza del territorio su base archeologica. Sarebbe interessante riuscire a comprendere i mutamenti avvenuti nella rete viaria proprio attraverso il susseguirsi nel tempo delle fondazioni e in questo modo capire quanto sia stato determinante la posizione strategica nella scelta del luogo e quanto l’esistenza di un monastero abbia inciso nel tempo sulla prevalenza di determinati percorsi rispetto ad altri (Le strade nelle Marche 1987; FEI 1992), percorsi che, spesso non sono noti attraverso fonti storiche e documentarie, ma possono essere ricostruiti in base all’indagine sul territorio. La presenza monastica nelle Marche fu considerevole, insieme al potere episcopale costituì un fattore di indiscutibile organizzazione del territorio, e si è manifestata attraverso i secoli con una moltitudine di fondazioni cenobitiche ed eremitiche, più o meno effimere ed instabili; solo alcune raggiunsero una certa notorietà: per esempio Fonte Avellana, Chiaravalle di Fiastra, S. Croce del Chienti, S. Vittore alle Chiuse, S. Maria di Rambona, S. Silvestro di Fabriano. Le prime forme di vita monastica nel territorio non conobbero immediatamente l’organizzazione cenobitica, solo alla fine del VI secolo per il decisivo impulso dato al monachesimo da papa Gregorio Magno possiamo trovare forme aggregative più complesse. Per quanto concerne il territorio considerato, sul finire del VI e inizi VII, consolidato il ducato di Spoleto e creatosi un sodalizio politico- religioso tra questa città e le diocesi di Fermo e Ascoli, si nota una concreta attuazione del movimento monastico. Un rilevante impulso all’espansione del fenomeno monastico venne dalla potente abbazia di Farfa, le relazioni tra questa abbazia e le zone della Marca Meridionale sono state forse determinate dalla complessa riorganizzazione della frontiera meridionale del ducato di Spoleto nel primo quarto dell’VIII secolo. La presenza farfense si attua attraverso il controllo di una ricchezza patrimoniale ramificata, comprendente chiese, castra, monasteri, casali, terre, pascoli, mulini, boschi, corsi d’acqua, controllate nella Marca Meridionale attraverso 6 positure o priorati e ha avuto un peso notevole anche dal punto di vista economico e della riorganizzazione del territorio. Per quanto concerne il particolare aspetto insediativo pertinente al monachesimo (I Benedettini nelle Valli del Maceratese 1966; Aspetti e problemi del monachesimo nelle Marche 1982; Le abbazie delle Marche 1992; CHERUBINI 2000, pp. 99-128) è opinione comune che sia nato e si sia sviluppato parallelamente alle vicende dell’organizzazione diocesana: le sedi vescovili raccolsero l’eredità del mondo romano e i monasteri si inserirono nell’attività organizzativa della vita ecclesiastica. 596 Nella regione marchigiana la spinta riformatrice di Cluny si estrinseca nel corso dell’XI secolo in due correnti distinte: quella di S. Romualdo si afferma nella Marca Settentrionale, quella propriamente cluniacense nella Marca Meridionale proprio grazie all’abbazia di Farfa che aderì alla riforma nel 999 (CHERUBINI 2000, pp. 99-101). Nel XII secolo compare nelle Marche la riforma cistercense, attraverso la fondazione di due monasteri S. Maria di Chiaravalle di Castagnola e S. Maria di Chiaravalle di Fiastra (1142). Ma la persistenza e la vitalità dei monasteri di antica fondazione, non riscontrabile in altre regioni, era probabilmente determinata da un alto grado di prosperità che si basava anche su una profonda penetrazione nel territorio. Mancano studi sistematici che evidenzino le strutture dei singoli monasteri, per comprendere i modelli di riferimento. Alcuni studi sono stati avviati per quanto riguarda gli edifici di culto (RE, MONTIRONI, MOZZONI 1987; CHERUBINI 2000, pp. 122-128) ma sarebbe forse opportuno indagare tutti gli edifici dei complessi monastici, per comprendere la loro dislocazione e la loro finalità, abitativa o produttiva. A questo proposito sarebbe interessante verificare se anche nella Marca Meridionale esistevano monasteri dediti ad attività produttive specifiche, oltre a quella agricola, come avviene in altre regioni. Un ulteriore ambito di indagine, legato in parte ad aspetti economici, è quello della scelta del materiale da costruzione: pietra o laterizio, di primo impiego o di riuso. Infine la segnalazione della presenza di spolia e del loro utilizzo, come materiale da costruzione o con intento decorativo, potrebbe fornire ulteriori esempi della ricezioni di particolari aspetti culturali propri dell’età medioevale e dell’eredità tardoantica. S.M 3. GLI INSEDIAMENTI FORTIFICATI In modo analogo all’indagine proposta per gli insediamenti religiosi nella Marca meridionale, si è tentato di procedere per quanto riguarda gli insediamenti fortificati, con il fine precipuo di operare delle distinzioni sia di carattere tipologico che cronologico, per tentare di seguire le tappe delle trasformazioni del quadro insediativo tra età tardoantica e medioevo. Lo stato dell’arte sullo studio del fenomeno dell’incastellamento di “prima e seconda generazione”, mutuando una definizione efficacemente proposta nell’ambito delle indagini riguardanti l’Italia settentrionale, nelle Marche registra una quasi totale assenza di contributi di carattere archeologico-insediativo a fronte di una anche copiosa produzione scientifica incentrata esclusivamente per un verso sulla repertoriazione del patrimonio architettonico fortificato esistente (con un’attenzione quindi a fasi cronologiche che non precedono certo l’XI-XII secolo) (CRUCIANI FABOZZI 1991; Insediamenti e fortificazioni 1991) e per l’altro su ricerche, peraltro fondamentali e articolate sia su scala regionale che per singoli territori, inerenti le fonti documentarie e toponomastiche (SARACCO PREVIDI 1985; SARACCO PREVIDI 1990; MOSCATELLI 1990; MOSCATELLI 1992; MOSCATELLI 1997). Mancano a tutt’oggi degli indirizzi di ricerca che tentino un confronto integrato tra dati di carattere storico-documentario e toponomastico e dati provenienti dallo studio della cultura materiale – leggi sia reperti da contesti archeologici che tecniche costruttive – e dall’analisi archeologica; a tale lacuna non è certo d’aiuto il pressoché nullo elenco di siti fortificati oggetto di indagini archeologiche né la carenza di progetti di ricerca relativi a quest’ambito tematico. Ci si è trovati pertanto ad affrontare il problema dell’incastellamento e delle trasformazioni che esso provocò sul tessuto insediativo della parte meridionale della regione avendo a disposizione degli strumenti che appartengono a settori disciplinari contigui all’indagine archeologica, ma non ad essa peculiari. Da tali circostanze è derivata la scelta di iniziare da un censimento dei siti fortificati, unificato con un censimento di quelli religiosi, costruito in questa prima fase sullo spoglio bibliografico del materiale edito, finalizzato alla raccolta di un insieme articolato di dati relativi alle caratteristiche costitutive di ogni singolo sito. Tale censimento è stato condotto su base geografica, tenendo conto delle pregnanti caratteristiche orografiche della regione, articolata per assi orizzontali e paralleli definiti dalle valli fluviali, fiancheggiate da rilievi e collegate dalla viabilità terrestre che dall’antichità, attraverso differenti episodi di trasformazioni e di manutenzione, perdura fino al medioevo. I parametri principali che si è cercato di utilizzare nel repertoriare gli insediamenti fortificati dell’area presa in esame sono innanzitutto i rapporti genetici tra le forme dell’insediamento tardoromano costituito dalle villae, le domus, e i castra, gli aspetti poi lessicali, poiché sappiamo che castrum e castellum possono avere diversi significati, ancora l’analisi delle strutture sociali e quindi il rapporto tra diffusione dei siti fortificati e forme di potere territoriale o ancora gli aspetti demici collegati alle strutture accentrate. Ulteriori parametri da prendere in considerazione saranno nel prosieguo dell’indagine quelli relativi all’analisi socio-economica, riflessa in molteplici ambiti, dalle tecniche edilizie, alle maestranze dei cantieri o ancora alla produzione e circolazione delle merci che uscivano dagli impianti artigianali dei castelli. Senza dimenticare ovviamente l’aspetto fondamentale legato al rapporto tra questi insediamenti e la viabilità del territorio. In accordo con i tempi e le modalità dell’incastellamento in Italia meridionale si può notare come anche nella parte meridionale del territorio marchigiano durante il periodo delle “invasioni” (gota e longobarda), cioè tra la seconda metà del V secolo e tutto il VI secolo, in realtà non si assiste ad un accentuarsi del fenomeno, né ad opera dei Bizantini né delle popolazioni “nordiche” La guerra greco-gotica sembra non aver inciso particolarmente in senso distruttivo, interessando solo alcuni settori ristretti della regione, senza provocare inoltre un vasto processo di fortificazione (PAROLI 1995). Per quanto riguarda la presenza gota nell’area corrispondente all’antico Picenum, una zona di ritrovamenti relativi ad oggetti di corredo, tuttavia privi di provenienza stratigrafica, piuttosto densa è quella individuata tra le province di Teramo, Chieti e Ascoli Piceno, con alcune estensioni territoriali anche più a nord della regione, nella provincia di Ancona e a sud, verso L’Aquila. Il Bierbrauer (BIERBRAUER 1994) ha letto l’ubicazione di questi rinvenimenti nel senso di «insediamenti di frontiera intorno alla Salaria, sia in rapporto genetico con la rete viaria stessa, che come punti di difesa contro attacchi bizantini da est e da sud». Quindi il rinvenimento di tali reperti verrebbe a costituirsi come il riflesso di una rete insediativa e difensiva insieme, tuttavia ancora tutta da ricostruire e verificare sotto l’aspetto più puramente archeologico. Anche la prima fase dell’invasione longobarda, sulla quale anche le fonti documentarie sono peraltro piuttosto scarse, non sembra aver inciso molto sul fenomeno in questione (BERNACCHIA 1997). Del tutto assenti sono i dati archeologici per ricostruire le fasi di insediamento fortificato anteriori al XXI secolo. Più evidente appare il riconoscimento delle tracce lasciate dalla penetrazione longobarda nella Marca meridionale nel nuovo assetto politico-istituzionale territoriale che si era sovrapposto all’ordinamento provinciale romano, costituito dalla Pentapoli (area soggetta al dominio imperiale) e dal Ducato di Spoleto (area sotto il controllo longobardo, che comprendeva anche la Marca meridionale). In aggiunta a ciò, relativamente alla Marca meridionale si registra la presenza, nelle fonti documentarie dalla fine del IX secolo, di alcune tracce 597 dell’ordinamento territoriale che rimanda ad una distrettuazione di tipo altomedievale: gastaldati e ministeria, iudicariae (TAURINO 1970). È stato proposto che l’insediamento longobardo in questi territori si sviluppasse attraverso la realizzazione di nuclei fortificati o la rioccupazione di centri muniti di sistemi difensivi già esistenti o ancora impadronendosi dei centri demici che fino a quel momento avevano costituito la maglia insediativa del sistema territoriale, quindi villae, fattorie e centri urbani. Certamente questa doveva sembrare la soluzione più immediata e più agevolmente fruibile agli “invasori”, ma purtroppo non abbiamo dati materiali per suffragare tale ipotesi né tantomeno per stabilire l’effettivo grado di sopravvivenza della realtà territoriale ed insediativa che essi incontrano al loro arrivo. Inoltre piuttosto incerto appare a mio avviso il percorso attraverso il quale si tende a giustificare un insediamento per centri fortificati già nella prima fase di occupazione longobarda con la ben più evidente, soprattutto a livello documentario, fase di incastellamento di X-XI secolo. I secoli VIII e IX non sono caratterizzati da eventi bellici, bensì dalla creazione di nuovi insediamenti e di fortificazioni. Questo periodo, di pace relativa, vede svilupparsi una serie di iniziative a carattere insediativo che privilegiano la scelta di siti naturalmente ben difesi, contemporanee ad una ripresa politica e militare dell’occupazione bizantina nella parte meridionale della regione. Allo stato attuale delle conoscenze, ogni tentativo di ricostruire il fenomeno castrense nei territori presi in esame è affidato ad una lettura, in chiave archeologico-insediativa, della documentazione scritta che si rivela cospicua e offre un maggiore grado di dettaglio a partire dal X secolo, per continuare abbondante fino al XIII-XIV secolo. Sono in particolare gli archivi monastici e religiosi a fornire materiali per costruire un modello di incastellamento regionale che possa essere confrontato con altri sistemi di insediamento accentrato e fortificato già identificati o in corso di analisi. In estrema sintesi, grazie ad indagini dedicate ad alcune aree territoriali specifiche, è possibile seguire un percorso di evoluzione genetica che prende le mosse, nel X secolo, da una associazione della realtà castrense al già radicato sistema curtense presente nella regione nell’altomedioevo – nelle fonti ricorre la menzione di curtis cum castello – per poi svilupparsi nell’XI secolo nella realizzazione ex novo di un gran numero di insediamenti fortificati di fondazione signorile. L’XI secolo si configura come il periodo di maggiore fortuna del fenomeno che, attraverso l’analisi dei passaggi di proprietà, sembra diventare prerogativa, in un momento successivo alla prima fondazione, di centri di potere non più privato ma bensì vescovile e monastico (ad esempio l’Abbazia di Farfa e il Vescovado di Fermo). Nel XI secolo la realtà insediativa costituita da strutture castrensi è ormai un fatto consolidato sia dal punto di vista territoriale che materiale, nonché politicoistituzionale. I detentori di castelli sono ancora i signori laici e il vescovado di Fermo; la caratteristica più evidente di tali insediamenti è l’evoluzione verso forme più propriamente “urbane”, che si esplicitano in una maggiore articolazione e gerarchizzazione degli spazi al loro interno e spesso in “sinecismi” tra castelli vicini, con ruoli di controllo e riorganizzazione politico-territoriale sicuramente più marcati. L’esito di tale processo evolutivo sembra potersi riconoscere nell’assimilazione tra castra e civitates raggiunta nel XIV secolo, quando la Marca è ormai sotto il controllo dello Stato Pontificio. Il riscontro materiale di tale sviluppo, necessariamente affidato all’indagine archeologica, è, come si è già accennato, è ancora tutto da affrontare, ma la sensibilità per tali problematiche è ormai una realtà che si avvale di studi in corso, di cui tale intervento a più mani è parte integrante. L’intento è stato quello di produrre materiali per individuare e proporre modelli insediativi ricavabili da più categorie di fonti, ampliando l’aspetto puramente teorico costruito esclusivamente sulle fonti scritte (BERNACCHIA 2002). F.S. NOTA Un primo risultato del Progetto presentato in queste pagine è costituito da alcune Tesi di Laurea in Archeologia Medievale e in Archeologia Cristiana discusse recentemente nell’Ateneo Maceratese: ANTONGIROLAMI V., Materiali per la storia dell’incastellamento nelle Marche Meridionali: la valle del Chienti, Tesi in Archeologia Medievale, Relatore Dott.ssa F. Sogliani; D’ULIZIA A., Archeologia degli elevati nell’Italia medievale. Da una sintesi nazionale ad un caso regionale: gli insediamenti fortificati medievali della Valle del Chienti, Tesi in Archeologia Medievale, Relatore Dott.ssa F. Sogliani; ROBERTO A., Fermo dall’età tardoromana all’età altomedievale, Tesi in Archeologia Cristiana, Relatore Prof. S. Minguzzi. Altre Tesi, su centri urbani, insediamenti monastici e aspetti topografici, sono in corso di preparazione. BIBLIOGRAFIA ALLEVI F. 1977, Per l’alto medioevo di Caldarola e del suo castello, «Annali della Facoltà di Lettere dell’Università di Macerata», X, pp. 216 ss. 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