IL BRIDGE in ITALIA sta MORENDO?
(by Donald Riella)
Dal libro “BRIDGE A MODO MIO” di ZIA MAHMOOD
… Ci sono due episodi che meritano di essere raccontati.
Mentre giocavo a Calcutta, incontrai un giocatore di bridge indimenticabile, un giovane chiamato
Om Parkash Chaudry. Memorabile non per il suo standard di gioco, che pure era alto, ma perché era
cieco. Non solo, egli giocava senza l'aiuto delle carte Braille. Un amico si sedeva dietro di lui,
bisbigliandogli quali erano le sue carte: ma solo una volta, quando le raccoglieva. Allo stesso modo,
se Om diventava dichiarante, il suo amico gli diceva quali erano le carte del morto. Om chiamava le
sue carte al suo turno di gioco, in difesa o come dichiarante. Raramente faceva un errore, e faceva
così per tutte le mani, giocando non solo bene ma anche a velocità normale.
La prima volta che lo vidi, rimasi impressionato e gli chiesi se voleva fare un torneo con me. Egli
acconsenti, e giocammo insieme pochi giorni dopo in una gara a coppie. Stavamo andando
abbastanza bene, e Om era nel bel mezzo del gioco di una mano quando venne a mancare
l'elettricità, una cosa che non capita di rado in India.
Il gioco intorno a lui si interruppe, ma Om, ignaro di quello che stava succedendo, continuò
chiamando una carta dal morto.
« Devi aspettare, è andata via la luce » lo informai. Prima che mi rendessi conto del significato del
mio commento, Om rispose: « Scusa, avevo dimenticato che non puoi giocare a bridge quando la
luce è spenta ». Una frase innocente, ma al tempo stesso una lezione, ugualmente preziosa nel
bridge e nella vita. Cercate di comprendere la situazione dal punto di vista di chi vi sta di fronte.
Spesso le cose sembrano molto diverse, se osservate da un altro punto di vista.
Il secondo episodio fu più divertente. Quando avevo cominciato a giocare seriamente a bridge,
ricordo che la gente mi chiedeva: « Dove ti porterà il bridge? ». La risposta dovevo trovarla a
Calcutta. Cominciò con un problema d'attacco, che prese letteralmente la nostra squadra nel viaggio
da Calcutta a Delhi.
Queste sono le vostre carte:
♠ 83 - ♥ 875 - ♦ R763 - ♣ R875
e la dichiarazione va cosí:
OVEST
—
passo
passo
passo
passo
passo
NORD
1♣1
2♥
3♠
4♥
4 SA3
6♠
EST
passo
passo
passo
passo
passo
passo
SUD
2♣2
2♠
4♣
4♠
5♦
fine
1
Precision: almeno 16 punti.
8/+ punti e almeno cinque fiori.
3
Roman Key-Card Blackwood.
2
1
Qual è il vostro attacco?
All'epoca avevo la tendenza ad attaccare con un onore tutte le volte che era possibile, probabilmente
perché mi sembrava giusto così. Non è una cosa abituale, per cui un giocatore che ha successo con
questa mossa viene notato. Ma qui era anche tecnicamente corretto.
L'attacco con il Re di quadri era l'unico che batteva il contratto. La mano completa era più o meno
questa:
Tutti in zona Dichiarante Nord
♠ARD4
♥ A R D 10 4
♦ 10
♣ D42
♠83
♠F76
♥875
♦R763
♣R875
♥9632
♦A854
♣9
♠ 10 9 5 2
♥F
♦DF2
♣ A F 10 6 3
Sull'attacco di piccola quadri, il dichiarante è in grado di effettuare il sorpasso di taglio al secondo
giro, affrancando uno scarto per la perdente a fiori del morto.
La cosa bella di queste mosse è che se falliscono la gente le dimentica, ma se riescono hanno grande
risonanza. Fu così che andò in questo caso, ma la cosa non fini qui.
Pochi giorni dopo la nostra squadra doveva volare fino a Delhi. Arrivammo all'aeroporto di
Calcutta, per scoprire che per un intoppo burocratico non avevamo i visti richiesti. Ci sono delle
limitazioni per i pakistani che viaggiano in India, e così ci dissero che avremmo dovuto aspettare
due o tre giorni. Una situazione che avrebbe potuto rivelarsi piuttosto seccante venne salvata dal
mio attacco di Calcutta. Quando scoprimmo che uno degli ufficiali anziani era un appassionato di
bridge che aveva seguito i risultati del torneo, ci appellammo a lui. Ignorando la solita burocrazia,
egli ci promise il visto a condizione che io rispondessi a questa sola domanda: « Ma perché diavolo
hai attaccato con il Re di quadri? ».
Ecco la mia spiegazione: « Per affrontare un problema d'attacco bisogna analizzare la dichiarazione.
Cosa sappiamo?
Nord ha almeno cinque cuori e quattro picche, mentre Sud ha quattro picche e almeno cinque fiori.
Dev'esserci una key-card mancante, altrimenti Nord avrebbe fatto un tentativo di grande slam. Nord
ha non più di quattro carte nei minori. Il fatto che egli abbia usato la Blackwood indica che ha un
controllo a quadri, e il mio Re conferma che si tratta dell'Asso o di un singolo. Bisogna senz'altro
attaccare a quadri, perché tutte le perdenti in questo colore possono essere scartate sulle cuori
buone.
Fa differenza quale carta di quadri muovere? Si. Se Nord ha un singolo e Sud ha una figura
pericolosa come A-F-10 o D-F-4 a quadri, una piccola quadri per la Dama o l'Asso consentirebbe al
dichiarante di guadagnare una presa con il sorpasso di taglio. Se bisogna assegnare un onore al
partner, non costa nulla attaccare con il Re ».
2
La spiegazione ebbe l'effetto desiderato. Se anche il gioco non mi avesse portato più lontano,
almeno ci aveva portato da Calcutta a Delhi.
La storia della nostra carriera bridgistica sarebbe probabilmente finita li, se non fosse stato per il
capriccio della sorte. La World Bridge Federation decise di aumentare il numero delle zone. Il
Pakistan rientrava ora in una nuova zona, chiamata « Asia e Medio Oriente ». Il nostro angelo
custode aveva prodotto il miracolo che ci voleva. Non solo non avremmo più dato forfait con
Taiwan, ma il nuovo gruppo era molto più debole del precedente. In realtà dovevamo solo battere
l'India, cosa abbastanza probabile, per qualificarci per la Bermuda Bowl. Non poteva esserci vittoria
più facile! Così andò di li a poco ai Campionati di Bangalora in India. Battemmo largamente la
squadra indiana e ci qualificammo per la Bermuda Bowl 1981, che si doveva tenere a Rye, New
York.
Dal racconto dell’autore sembra che nessuno, voglio dire NESSUNO, si permise di
supporre, sia pure per un momento, che vi fosse stato un segnale o una scorrettezza. Giustamente
fu reso onore alla creatività del campione. Il bridge è anche questo, è soprattutto questo: la
sportività di rendere omaggio a chi, con la propria intelligenza e con il proprio coraggio, è riuscito
a batterci.
Casi simili possono capitare a ciascuno di noi, a me è successo, non sempre per tecnica o
ragionamento deduttivo. Quando avevo appena cominciato a giocare a bridge, in un torneo serale
presso il Tennis Club di Modena, contro un contratto di 4♥ avversario attaccai con R♣ secondo,
nonostante l’intervento nella dichiarazione del mio partner a ♦. La sequenza di gioco si svolse
così: R♣, ♣ per l’Asso del mio partner, A♦ e ♣ per il mio taglio… 1 down. L’avversario mi chiese:
“Ma come? Lei attacca a ♣, con Re secondo, quando il suo partner ha detto le ♦ ?” La mia
risposta è stata più o meno questa: “A volte mi assale la irrefrenabile tentazione di un attacco
(strano) e lo faccio volentieri poiché, se va male (quasi sempre,) il mio partner non se la prende”.
Tutto finì lì, senza commenti fuori luogo o allusioni da parte dei 2 Signori che formavano la coppia
avversaria. Ho volutamente scritto Signori con l’iniziale maiuscola. Uno di loro purtroppo,
qualche tempo fa, ci ha lasciati. Il mio partner in quel torneo era il Signor Bettini Giorgio.
In un altro torneo mi è successo di attaccare di F♥ da DF, contro un contratto di 4♠.
(Non avevo il 10 e l’unico rischio che avrei corso sarebbe stato quello dell’Asso o Re di ♥ in mano
al mio partner, ma ormai avevo deciso di attaccare così…)
Al morto appare R 10 x x di ♥. Il dichiarante chiede al mio partner: “Voi attaccate di dritto o di
rovescio?” Il mio partner rispose: “Non so a cosa ti riferisci. Il 10 non ce l’ha di sicuro(è al
morto) e con D e F deve attaccare di D”. Il dichiarante prese al morto di R♥, giocò piccola ♥ dal
morto per il 9♥ della mano preso dalla mia D♥ e ♥ per il taglio del mio partner. ARBITROOOO!!!
L’arbitro intervenuto, dopo plateali proteste del nostro avversario, decise di assegnare un
punteggio penalizzante per il nostro risultato. Il mio partner era il Signor Guadini Roberto.
Non siamo scesi in polemica, ma tuttora ci rendiamo perfettamente conto che questi atteggiamenti
di giocatori e arbitri contribuiscono in modo determinate ad UCCIDERE il BRIDGE.
Essere Arbitro non vuol dire conoscere alla perfezione il regolamento e le sfumature del
gioco; vuol dire innanzi tutto avere un carattere IMMUNE da SUDDITANZA PSICOLOGICA;
vuol dire anche presenza in sala e coraggio per sedare e troncare sul nascere atteggiamenti
ripetutamente provocatori tenuti da alcuni “fenomeni” (fortunatamente non da tutti) al solo scopo
di distrarre, irritare e innervosire l’avversario per indurlo in errore, o altrimenti, provocare in lui
una reazione istintiva (a volte anche fuori regola) e quindi invocare l’intervento arbitrale così da
ottenere una benevola valutazione nell’indagine svolta, e spesso si trasforma in una vantaggiosa
ricostruzione degli eventi, che al momento non verranno smentiti da una coppia ormai
completamente disorientata e irritata dalle pressioni psicologiche subite.
3
Me a zogh com am per ( vorrebbe essere una frase in dialetto modenese)
Queste parole che tradotte significano: “io gioco come mi pare” fanno parte di un’etica,
ormai in via di estinzione, del gioco della carta nel BRIDGE. Verissimo che la tecnica di gioco, il
calcolo delle probabilità e l’evoluzione tecnica definiscano controproducente una determinata
manovra piuttosto che un’altra, ma è proprio l’inusuale, l’inconsueto, il demenziale che determina
fascino e creatività in questa disciplina. I sacri dogmi dicono che bisogna fare così! Davvero? Io
provo a dimostrare il contrario (sempre che me lo possa permettere). L’unica persona cui devo
rispondere del mio estro creativo e del mio operato è, e deve essere il mio partner. Se non mi è
permesso questo io non protesto, non rincorro regole o fantasmi delle stesse, mi limito
semplicemente ad onorare i guru del “so tutto io” della mia assenza. Sempre più spazio prenderà
il bridge amatoriale svolto in sedi e modalità di tipo privato, lontano dai contorti articoli
regolamentari che sembrano creati e tagliati su misura per i soliti arroganti e maleducati
“campionciucoli” da osteria.
Ricorre ancora la domanda: “IL BRIDGE STA MORENDO?” Forse no, ma è molto
malato, una carovana sempre più numerosa ci accompagna verso il bridge virtuale o verso altre
discipline che stanno emergendo.
Per salvare il BRIDGE ed in particolare il torneo MITCHELL a coppie libere occorre
impegno e spirito di abnegazione da parte di tutti.
Per prima cosa bisogna isolare arroganza e maleducazione.
Occorre poi rivedere ed esercitare i diritti che la Costituzione e le leggi dello stato ci
riconoscono.
Non scendere a compromessi per nessun motivo.
Occorre tenerci in contatto ed informarci continuamente su leggi e regolamenti nazionali,
europei e mondiali.
Essere pronti a cessare l’attività del bridge in qualsiasi momento, qualora non riuscissimo a
soddisfare pienamente i punti di cui sopra.
Modena, 26 Novembre 2011
Donald Riella
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