L INTERVISTA A UMBERTO Di MAGGIO
Una coop nei feudi delle cosche
Oltre 700 ettari, una volta in mano
alla malavita siciliana, ospitano varie strutture che «restituiscono un
fatturato che supera il milione e
mezzo dì euro l'anno», e che, racconta Umberto Di Maggio, coordinatore
di Libera Sicilia (uno dei rami regionali della nota associazione contro
le mafie, fondata da Don Luigi Ciot' ti), «permettono il reinserimento di
lavoratori svantaggiati», altrimenti
fuori dal mercato. Eppure, prosegue,
«all'inizio, venivamo guardati dalla
gente con sospetto».
Domanda. Che ricordi ha delle
prime esperienze?
Risposta. Tutto è cominciato 15
anni fa, quando dopo il
terribile periodo stragista in cui cosa nostra
dichiarava guerra allo
stato piazzando bombe a Palermo, Milano,
Firenze e Roma, Libera raccolse un milione
di firme per estendere le potenzialità della legge Rognoni-La
Torre sulla confisca,
consentendo l'uso sociale dei patrimoni
strappati alle mafie.
Dal 25 marzo 1996, data in cui fu
varata la disciplina in poi, l'associazione, insieme a prefetture, consorzi,
comuni, le tante realtà istituzionali e le organizzazioni locali, lanciò,
attraverso bandi pubblici, diverse
esperienze di impresa sociale.
D. E cosa avvenne?
R. Beh, indimenticabile rimane la
prima mietitura a Corleone (nel
palermitano, dove si trovano le
cooperative Placido Rizzotto e Pio
La Torre, ndr) con mezzi di fortuna requisiti dalle forze deH'oijdine.
Come scordare, poi, i tanti incendi
ai nostri vigneti e alle nostre sedi?
A questi «segni del potere» abtàamo,
però, con umiltà, contrapposto il «potere dei segni» della nostra azione
quotidiana e silenziosa:, nessuno di
noi, infatti, ha mai inteso il proprio
operare come la condotta di un eroe
quanto piuttosto, semplicemente,
di un cittadino che ha l'obbligo, mi
scusi il gioco di parole, di gestire
bene un bene che è ritornato nella
proprietà dello stato. E che, in virtù di ciò, deve restituire risultati in
termini occupazionali e di dignità
per il territorio.
D. Quali sono i fondamenti di
una coop nata sulle ceneri del
potere mafioso?
R. La convinzione che orienta
questo modello d'impresa è che
bisogna consentire ai soci lavoratori (in media una decina per
ognuna), e ai tanti dipendenti (decine e decine) che
stagionalmente
vengono coinvolti nella raccolta
di condurre una
vita decorosa, e di
programmare la
propria esistenza con s e r e n i t à
affrancandosi,
dunque, dal giogo e dalle spire
a m m a l i a n t i dei
«don» di turno. Le eccellenze non
mancano: oltre alle realtà palermitane, voglio menzionare anche
la Beppe Montana di Belpasso e
Lentini, in provincia di Catania e
Siracusa, nonché altre strutture,
afferenti al progetto «Libera Terra» in Campania nel casertano,
in Calabria nella Piana di Gioia
Tauro ed'in Puglia nella zona salentina. E in tutte vi sono produzioni biologiche che vanno dal vino
all'olio, dalla pasta ai legumi e alle
conserve, su cui vengono fatti cospicui investimenti.
D. Il prossimo traguardo?
R. Avviare una coop nel territorio di
Castelvetrano (Trapani): è il feudo
di uno degli ultimi latitanti della
mafia, Matteo Messina Denaro.
J
A
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