Il ‘500: tra petrarchismo e antipetrarchismo Il Petrarchismo Alla morte di Petrarca la sorte del Canzoniere fu da subito segnata dalla sua assunzione a canone lirico, paradigma normativo di quella tradizione letteraria e sociale che di lì a poco si sarebbe detta Petrarchismo. Benché inizialmente la linea petrarchesca non fosse che minuta parte della corposa lirica quattrocentesca, (aperta a una pluralità tematica e stilistica e ad un eclettismo inauditi), essa ben presto si impose alla direzione della produzione letteraria e poetica del secolo. Del fenomeno sono infatti distinguibili due periodi: 1) petrarchismo eretico (1490-1520 ca.): permane ancora la poesia lirica cortigiana, di cui prevalgono raccolte ordinate a posteriori ed eterogenee, prodotti di circostanze occasionali e distanti dall’originaria urgenza spirituale del Canzoniere: esso è repertorio di termini, tematiche, espressioni, insomma esclusiva fonte di ispirazione formale. 2) petrarchismo bembistico ( dal 1520 ca.): con la pubblicazione degli scritti Prose della volgar lingua e Rime di Bembo prima e Sonetti e canzoni di Sannazaro poi, la depurazione del ruolo del Canzoniere è ormai conclusa. Il petrarchismo eclettico noto con la fase precedente evapora nel nuovo petrarchismo di metà Cinquecento, trapassando così da fatto esclusivamente letterario a fenomeno sociale: è ora elemento di costume e tradizione, fondamento ed espressione di sensibilità comuni, testimonianza di una ideologia condivisa cui ispirarsi. - Alessandro Bandini - Effetti e limiti del nuovo petrarchismo Dal modello petrarchesco una società trasfigurata L’assimilazione dei contenuti del Canzoniere presso la società rinascimentale del ‘500 ebbe effetti inediti e straordinari: il lessico trecentesco e le situazioni liriche dell’opera furono assunti a codice unico, omogeneo, quasi obbligato; il modello così definito si uniformava con l’ideologia della classe colta , che produceva e consumava poesia: decoro, dignità, vagheggiamento del bello, teorizzazione dell’amor platonico furono i motivi cardinali di gran parte della trattatistica rinascimentale in cui si fondavano aspirazioni letterarie, tensioni etiche e ideali comportamentali. In definitiva con l’elevazione di Petrarca a paradigma assoluto e irrinunciabile la società cortigiana sfumò in quella letteraria, ormai linguisticamente e culturalmente uniformata: l’imitazione di Petrarca infatti non solo imponeva sul piano letterario l’adozione di espressioni e termini desunti dal Canzoniere, ma prescriveva anche una moda, condizionando i comportamenti, le relazioni sociali, la corrispondenza amorosa, la conversazione; insomma il “Nuovo Petrarca” tacitamente si insinuava nella sfera della comunicazione soggettiva umana per riscriverne regole e sentimenti. L’intellettuale petrarchista Quello del petrarchismo fu tuttavia fenomeno più complesso che non si esaurì nell’imposizione di nuove convenzioni sociali: con la sua ascesa infatti persino il ruolo del poeta risultò sovvertito e completamente rinnovato. L’immagine del letterato separato, insomma estraneo alle terrene occupazioni della politica e all’impiego amministrativo già si era data con Petrarca, ma fu con la sua morte e con la corrente letteraria che da quell’evento trasse vita (il Petrarchismo), che essa riuscì a concretarsi definitivamente, assumendo forma e consistenza autonoma. Il letterato divenne così consapevole della sua alienità dal mondo della pratica e della politica, di cui poteva essere soltanto funzionario subalterno, ma anche dei privilegi che gli derivavano dall’essere il depositario della cultura umanistica: subalternità e autonomia, obbedienza e orgoglio, senso di frustrazione e d’inferiorità per una condizione di dipendenza e senso di superiorità per la capacità di indagare la sfera intima dell’individuo e di dominarne le pulsioni sono tutti elementi che concorsero a delineare la contraddittoria e mai tanto viva identità del nuovo letterato di metà Cinquecento. Sommario grafico Una nuova società - modello petrarchesco Il letterato petrarchista Il Petrarchismo - come codice di comportamento e comunicazione sociali; - la società cortigiana si uniforma e convenziona in quella letteraria. I Periodo (1490-1520 ca.): - petrarchismo eretico, eclettico, generico; - prevalenza della lirica cortigiana quattrocentesca; Cronologia si stabilizza e legittima la figura dell’intellettuale inaugurata con Petrarca; - Il letterato accoglie in sé le contraddizioni del proprio ruolo: subalternità e autonomia lo individuano. II Periodo ( dal 1520 ca.): - petrarchismo bembistico o autentico: sistema rigido di imitazione del modello di Petrarca. Versificatori del I periodo: Poeti del II periodo: Antonio Tebaldi (il Tebaldeo), Serafino Ciminelli (l’Aquilano), Benedetto Gareth (il Cariteo), Vincenzo Colli (il Calmeta). Pietro Bembo, Michelangelo Buonarroti, Giovanni Della Casa, Galeazzo di Tarsia, Gaspara Stampa. L’autore e l’opera La dolorosa poesia di Michelangelo Buonarroti Il petrarchismo introdotto dall’opera michelangiolesca si sottrae vigorosamente alle convenzioni del tempo: rinunciando infatti ad esaurirsi nel passivo ossequio delle tendenze emulative comuni, esso ricupera quel tratto profondo che di Petrarca era stato distintivo, calandosi nell’inquietudine del sentimento umano, imbevendosi interamente di quell’intimo dolore che sta alla base del Canzoniere: la familiarità con l’esperienza terrena, la passione amorosa e la meditazione religiosa si fondono irrimediabilmente in un ultimo doloroso conflitto, cui soltanto la remissione a Dio potrà offrire ristoro. Passa la mia nave colma d’oblio per aspro mare, a mezza notte il verno, enfra Scilla et Caribdi; et al governo siede ‘l signore, anzi’l nimico mio. A ciascun remo un pensier pronto et rio che la tempesta e’l fin par ch’abbia a scherno; la vel rompe un vento humido eterno di sospir’, di speranze et di desio. Pioggia di lagrimar, nebbia di sdegni bagna et rallenta le già stanche sarte, che son d’error con ignorantia attorto. Celansi i duo mei dolci usati segni; morta fra l’onde è la ragion et l’arte, tal ch’incomincio a desperar del porto. Chi è fermato di menar sua vita su per l’onde fallaci et per gli scogli scevro da morte con un picciol legno, non po’ molto lontan esser dal fine: però sarebbe da ritirarsi in porto mentre al governo ancor crede la vela. L’aura soave a cui governo et vela commisi entrando a l’amorosa vita Et sperando venire a miglior porto, poi mi condusse in più di mille scogli; et le cagion’ del mio doglioso fine non pur d’intorno avea, ma dentro al legno. […] Signor de la mia fine et de la vita, prima ch’i’ fiacchi il legno tra gli scogli drizza a buon porto l’affannata vela. Giunto è già ‘l corso della vita mia, con tempestoso mar, per fargli barca, al comun porto, ov’a render si varca conto e ragion d’ogni opra trista e pia. Onde l’affettuosa fantasia Che l’arte mi fece idol e monarca Conosco or ben com’era d’error carca E quel c’a mal suo grado ogn’uom desia. Gli amorosi pensier, già vani e lieti, che fien or, s’a duo morte m’avvicino? D’una so ‘l certo, e l’altra mi minaccia. Né pinger né scolpir fie più che quieti l’anima, volta a quell’amor divino c’aperse, a prender noi, ‘n croce le braccia. L’Antipetrarchismo La poesia burlesca e satirica di Francesco Berni La tendenza al classicismo suscitata dal modello petrarchesco non tardò a trovare una drastica opposizione nel seno stesso della letteratura della metà del Cinquecento. Il rifiuto dei modelli recentemente canonizzati già si era espresso nei campi del poema cavalleresco e del trattato rispettivamente con Folengo e con l’Aretino, ma fu nel genere della lirica che la controtendenza si manifestò con la maggiore radicalità: è infatti il sonetto bernesco a fornirle quello straordinario impeto vitale che è alla base del suo successo. Personaggio straordinario della letteratura il Berni oltre che poeta di innovazione e polemica è la viva testimonianza di un progresso letterario che mai ha smentito le proprie premesse: in lui si rilegge, si conclude e si rinnova quella tradizione giocosa e realistica che era andata prolungandosi fra il Due ed il Quattrocento, passando persino per personalità eminenti come il Pulci ed il Boccaccio. Contro le astrazioni metafisiche, contro la monotonia di un linguaggio raffinato ed eletto, che si ripete fino a deformarsi, contro quel vacuo idealizzare che del petrarchismo era distintivo, si pone l’appello alla vita quotidiana, alla realtà più bassa e comicamente intesa nella dimensione di un linguaggio inedito e vario nella sua dialettalità. E’ insomma una lirica quella del Berni che nella tradizione della polemica comica inaugurata agli inizi del Duecento avverte il suo stimolo fondativo, ma che al pari non rinuncia alla sua singolarità, arrivando persino ad istituire un nuovo genere di realismo: distante da quello secolarizzante dell’Ariosto, e da quello primordiale e fantasticamente caratterizzato di Dante il realismo bernesco si configura da subito come il punto di partenza di tutta una nuova letteratura, che parte esclusivamente dalla vita, dai rapporti sociali, dall’autobiografia per trasformare tutto in raffinatissima, seppur dissimulata, poesia. Sommario grafico - fenomeno di opposizione alle tendenze classicistiche inaugurate dal petrarchismo di Bembo; - risultato della commistione tra la precedente tradizione comico-toscana e i nuovi impulsi polemici di metà ‘500; Il poema cavalleresco L’Antipetrarchismo Il trattato sotto l’Aretino si compie l’inaugurazione del nuovo trattato polemico, in opposizione al Cortegiano di Baldassar Castiglione. vi è privilegiato uno stile grottesco, comico realistico,caricaturale ed espressionistico derivato dal Morgante di Pulci. (Folengo; Rabelais) La Poesia nella lirica di Francesco Berni si esprime una nuova concezione realistica che è al contempo innovazione e tradizione. Chiome d’argento fino, irte e attorte Erano i capei d’oro a l’aura sparsi Crin d’oro crespo e d’ambra tersa e pura Chiome d’argento fino, irte e attorte senz’arte intorno ad un bel viso d’oro; fronte crespa, u’mirando io mi scoloro, dove spunta i suoi strali Amor e Morte; Erano i capei d’oro a l’aura sparsi che ‘n mille dolci nodi gli avolgea, e ‘l vago lumeoltra misura ardea di quei begli occhi, ch’or ne son sì scarsi; Crin d’oro crespo e d’ambra tersa e pura, ch’a l’aura su la neve ondeggi e vole, occhi soavi e più chiari che ‘l sole, da far giorno seren la notte oscura, occhi di perle vaghi, luci torte da ogni obietto diseguale a loro; ciglie di neve, e quelle, ond’io m’accoro, dita e man dolcemente grosse e corte; e ‘l viso di pietosi color’ farsi, non so se vero o falso, mi parea: i’ che l’ésca amorosa al petto avea, qual meraviglia si subito arsi? riso, ch’acqueta ogni aspra pena e dura, rubini e perle, ond’escono parole sì dolci, ch’altro nel l’alma non vòle, man d’avorio, che i cor distringe e fura, labra di latte, bocca ampia e celeste; denti d’ebeno rari e pellegrini; inaudita ineffabile armonia; Non era l’andar suo cosa mortale, ma d’angelica forma; et le parol sonavan altro, che pur voce umana. cantar, che sembra d’armonia divina, senno maturo a la più verde etade, leggiadra non veduta unqua fra noi, costumi alteri e gravi: a voi, divini servi d’Amor, palese fo che queste son le bellezze de la donna mia. Uno spirito celeste, un vivo sole Fu quel ch’i’ vidi: et se non fosse or tale, piagha per allentar arco non sana. giunta a somma beltà somma onestade, fur l’esca del mio foco, e sono in voi grazie, ch’a poche il ciel largo destina.