Il MISTERO DELLA VITA CRISTIANA
L’esemplarità degli Apostoli Pietro e Paolo
e delle prime comunità
Lettura spirituale
degli Atti degli Apostoli
a cura di P. Pino Stancari, sj
Ariccia, 29 giugno- 3 luglio 2005
Lettura spirituale degli Atti degli Apostoli - 2
Lettura spirituale degli Atti degli Apostoli - 3
Presentazione
Pensiamo di fare cosa gradita a tutte le sorelle mettendo a
disposizione gli appunti 1 della lectio biblica sugli Atti degli
Apostoli, che p. Pino Stancari, sj, ha svolto per noi, durante gli
Esercizi Spirituali che hanno dato inizio al nostro 7° Capitolo
Generale, ad Ariccia, nei giorni 29 giugno-3 luglio 2005.
L’icona degli apostoli Pietro e Paolo e delle prime comunità
cristiane, che è stata posta come riferimento biblico del nostro
cammino nel Sessennio 2005-2011, trova nell’ascolto e nella
preghiera del secondo libro di San Luca, gli Atti degli Apostoli, uno
speciale nutrimento per la nostra fede e la nostra spiritualità
pastorale.
La lettura spirituale di p. Pino ci aiuta a conoscere, in modo
forse a noi più vicino, gli apostoli Pietro e Paolo, nel loro cammino
di maturazione della vita cristiana e della dimensione
contemplativa della missione pastorale. Afferrati da Cristo e a Lui
configurati, i nostri protettori e modelli, ci consegnano una
testimonianza efficace per la nostra vocazione nella Chiesa.
Insieme con loro prendono rilievo figure minori ma decisive
nella vita delle prime comunità cristiane, come Stefano, Barnaba,
Giacomo, Maria, sorella di Barnaba, Lidia, commerciante di porpora
e molti altri. Il percorso di fede e di sequela che hanno compiuto ci
attrae e c’interpella per la sua radicalità e bellezza.
Il commento di p. Pino ci sarà utile anche per l’itinerario di
preghiera che è proposto a tutte le sorelle e le comunità, durante i
tempi forti d’Avvento e di Quaresima, allo scopo di condividere il
più possibile la nostra vita in Cristo, nell’ascolto della Parola e nel
ministero di cura pastorale a noi affidato.
Sr. Marta e sorelle dell’équipe di redazione
Roma, 22 febbraio 2006
Festa della cattedra di S. Pietro
1
Trascritti dalla registrazione e non rivisti dall’Autore.
Lettura spirituale degli Atti degli Apostoli - 4
Introduzione: il mistero della vita cristiana
Leggendo il libro degli Atti siamo invitati a fare un percorso
di carattere formativo-carismatico, che potrà essere utile alla
vostra ricerca. Nel libro degli Atti degli Apostoli possiamo
contemplare il dono e il mistero della vita cristiana. Pietro e
Paolo ci aiutano ad entrare e contemplare questo mistero: il
carisma della vita cristiana.
L’evangelista Luca, nella sua duplice opera ci offre due discorsi
inseparabili:
- il mistero di Cristo: Vangelo secondo Luca
- il mistero della vita cristiana: Atti degli Apostoli.
Luca ha scritto il Vangelo proprio per svelarci e per aiutarci
a comprendere quali sono le modalità di incontro con Cristo.
Perciò, all’inizio del secondo libro, quello degli Atti degli
Apostoli, rimanda la nostra ricerca al 1° libro, cioè al Vangelo.
Questi due discorsi non possono esistere l'uno senza l'altro,
perché non esiste vita cristiana senza l'incontro con Cristo, che
ha assunto la vita dell'uomo e l’ha condivisa. La vita cristiana è
relazione con Cristo, il mistero del Signore vivente. Dio ci ha
visitati, il cielo ha visitato la terra, l'Eterno ha visitato il tempo.
L’infinita ricchezza del Dio vivente si è depositata nelle misure
limitate del mondo: tempo e spazio. La visita di Dio nella misura
del limite. Ci ha visitato, ci visiterà. È il senso delle cose: Dio
visita e riempie la vita umana di senso.
Adesso si tratta di aderire a quella visita, di entrare a
contatto con quella visita, di immergerci in quella novità che è il
Figlio, morto e risorto.
La visita di Dio determina una svolta che è avvenuta e che
vale per sempre. Oggi, dice Luca, cioè tutta la storia è
ricapitolata in quest'oggi. Sia il passato che il futuro sono in
questo oggi di Dio. È la visita di Dio che rende odierna la storia
umana e fa di ogni giorno l’oggi. La data è convenzionale: 29
giugno 2005. È oggi perché Dio ci ha visitati. Perché ogni giorno
è inserito nell’oggi della visita di Dio. È la visita di Dio che
Lettura spirituale degli Atti degli Apostoli - 5
riempie l'oggi. L’intenzione di Luca è di aiutarci ad entrare in
quell’oggi e trovare dimora in quell’oggi. È l’oggi dell’intenzione
di Dio realizzata nella storia umana.
Atti 1: Una comunione d’Amore nella libertà
Atti 1,1-3: "Teofilo" vuol dire "amico di Dio", "amato da Dio".
Amato e amante. Scopriamo che siamo dentro una relazione
d’amore: discorso sempre nuovo. Una relazione d’amore che
non è ancora stata sufficientemente valorizzata. Tu sei Teofilo,
c’è una scoperta ancora da realizzare per quanto riguarda questo
coinvolgimento nella relazione d’Amore che è la visita del
Signore.
vv. 3-14. Nei versetti seguenti si narra di gente angustiata,
incerta, smarrita perché il Signore se ne è andato, non lo vedono
più. Si contano: chi siamo? Quanti siamo? Come vivere questa
pienezza di comunione in modo da corrispondere all’amore del
Dio Vivente, se Lui non c’è più?2 La nuvola l’ha nascosto al
nostro sguardo. Gli apostoli, testimoni del cielo aperto (Lc 3,21),
adesso vedono che il cielo si chiude (At 1,9). Sono disorientati.
Sono 11 e non 12. C'è anche uno scompenso, un disagio
evidente. Allora Pietro dice che bisogna diventare 11+1, però il
numero sarà sempre un po’ traballante.
v. 15: Non è una questione numerica ma di qualità
carismatica. Qui si può fare riferimento al libro dei Numeri,
specialmente ai primi capitoli che parlano del censimento:
troviamo gente accampata, senza fissa dimora, però l’alleanza è
stata impostata, la relazione attivata, poi ci sarà il viaggio,
l’attraversamento del deserto, l’alleanza. Anche noi, talvolta, ci
sentiamo reduci di una grande impresa e non sappiamo come
2
Le sottolineature nel testo sono redazionali e vogliono indicare la particolare enfasi che il relatore
ha voluto dare al contenuto.
Lettura spirituale degli Atti degli Apostoli - 6
realizzare quel contatto
determinante, oggi.
che
costituisce
il
riferimento
“Tornerà allo stesso modo con cui l’avete visto andare in cielo”
(v. 11). Così come si è allontanato si avvicinerà: è un
appuntamento. In questo intervallo tra Lui che si è allontanato e
Lui che ritorna c’è tutto il tempo della nostra vita cristiana.
Intanto passano le generazioni, intanto noi passiamo. C’è
l’annuncio di quella novità che definisce la vita cristiana, tutto il
tempo della vita cristiana diventa oggi. Come è possibile che il
30 giugno 2005 sia l’oggi di Cristo Signore che ci ha visitati e che
ritorna? Questo è il problema di ogni pastorale!
Numeri 27,17: sul Sinai avviene l’alleanza, lì dove il popolo
è accampato e Mosè vuole radunare le pecore per il Pastore. Il
Pastore che entra ed esce, oggi! Il Pastore! Esodo 19: come
avviene l’alleanza? Attraverso Mosè il Signore spiega l’alleanza
con il popolo: voglio realizzare tra me e te una relazione di vita
stabile, che rimane, che coinvolge tutto, che vale sempre. Voglio
instaurare con te una comunione d’amore nella libertà. Ti ho
liberato apposta dall’Egitto, perché tra me e te, che sei libero,
posso instaurare una relazione di vita che pensavo sin
dall’inizio. Voglio realizzare tra me e te una relazione di vita
nella gratuità dell’amore, per questo sei libero.
Dio è santo perché è il Vivente. Santità è pienezza delle
relazioni nell’amore. Ma noi non siamo proporzionati a Lui.
Come è possibile un’alleanza tra Lui che è Santo e noi che siamo
accampati qui? Tra Lui e noi c’è una diversità immensa e allora
non è possibile l’alleanza! Come facciamo a fare alleanza se tu
sei Santo e noi siamo accampati nella nostra miseria? Allora il
Signore spiega: guarda che voglio instaurare una comunione di
vita tra me e te. Per questo ti dono la mia legge (la Torah).
Occorre comprendere in modo più sapiente quello che è
avvenuto nella storia della salvezza. Nell’esperienza del popolo
di Dio, la Legge è il dono per eccellenza. La distanza tra Dio e il
Lettura spirituale degli Atti degli Apostoli - 7
suo popolo viene riempita dal dono della Legge. Io mi impegno
ad aprire una strada, dice Dio, a costruire un ponte per superare
la distanza che ci separa: ecco la Legge. Ed ecco perché il popolo
rimane abbracciato alla Legge. Tu che ricevi la Legge da me,
adesso sei in grado di avvicinarti a me, per entrare pienamente
in quel rapporto di alleanza tra me e te e così ritornare alla
pienezza della vita.
Atti 2: Il dono dello Spirito
Il popolo di Dio a Pentecoste celebra il dono della Legge. E
nel giorno di Pentecoste scende lo Spirito sulla Chiesa radunata
in preghiera. Lo Spirito santo è il soffio del Dio vivente, quella
presenza misteriosa del Dio Vivente, per cui la distanza tra Gesù
e noi è superata: ora è lo Spirito di Dio che riempie il vuoto, non
più la Legge ma lo Spirito santo. Noi e il Figlio, coinvolti in una
comunione vitale perché lo Spirito di Dio riempie la distanza che
ci separava. Lo Spirito del Dio vivente riempie la distanza tra il
Figlio intronizzato e noi che siamo accampati nella miseria. Lo
Spirito di Dio è potenza di Dio, Presenza, quella corrente di vita
che passa attraverso tutte le realtà, che tutto vuole trascinare
verso la comunione con il Figlio, perché tutto sia ricapitolato in
Lui, perché tutto sia incastonato e assimilato alla carne gloriosa
di Cristo che regna. Lo Spirito santo vuole sigillarci nella
comunione con Cristo Signore: non c’è quindi da chiedersi che
cosa vuole lo Spirito santo da noi, perché è questa comunione
con Gesù che Egli vuole!
Quella distanza che imbarazzava i discepoli ora è superata.
Come rendere testimonianza alla Risurrezione? È la nostra
relazione di vita con Cristo, che è risorto dai morti, la
testimonianza per il mondo. Tra Lui e noi, ormai c’è un
coinvolgimento vitale, anche se noi siamo ancora schiacciati
sotto il peso della morte.
Al v. 14 e seguenti, Pietro prende la parola, è il primo discorso di
Pietro a Gerusalemme. Il discorso si svolge in tre parti:
Lettura spirituale degli Atti degli Apostoli - 8
1° parte: vv. 14-21 (cf. Gioele 3) Pietro cita il profeta e chiarisce che i
discepoli non sono ubriachi, sono diventati profeti.
La profezia è la capacità di invocare il Nome del Signore. Il
nome è un principio di relazione. Invocare il suo Nome è entrare
nella relazione vitale con Dio. Invocare il Nome di Gesù! Il
Nome santo del Dio vivente! Chiunque invocherà il Nome di
Gesù sarà salvato. Questa profezia ci consente di chiamare per
nome il Kyrios: ecco il contenuto di ogni pastorale della vita
cristiana. Gesù si fa chiamare per nome da noi perché lo Spirito
santo fa di noi dei profeti.
2° parte: vv. 22-31 Pietro chiama per nome il Signore: Gesù è il
Messia, il Cristo.
3° parte: vv. 32-36 Pietro sta esercitando la profezia. Gesù è il
Signore! Pietro sceglie alcune citazioni dai Salmi 16, 110.
Chiamiamo per nome Gesù: è Messia, è Signore, tutto appartiene
a Lui, alla sua sovranità e da Lui riceviamo lo Spirito della Vita
che fa di noi dei profeti. Il v. 36 ricapitola ogni cosa: Dio ha
costituito Signore quel Gesù che abbiamo rifiutato in tanti modi.
Quel Gesù è Kyrios e Cristo, cioè Signore e Messia. Noi siamo in
relazione di vita con Lui e in Lui tutte le promesse si sono
compiute. Noi siamo in grado di chiamare per nome quel Gesù
che abbiamo rifiutato. Chiamarlo per nome è un esercizio
profetico, opera dello Spirito santo. Tutta l’evangelizzazione
avviene nel Nome di Gesù. L’evangelizzazione è il nostro
coinvolgimento nell’oggi della visita: Gesù!
v. 37: quelli che ascoltavano si sentirono trafiggere il cuore,
è la compunzione. Dobbiamo convertirci! La conversione non è
altro che questo rivolgimento della nostra vita verso Gesù. È il
nostro affidamento alla corrente dello Spirito che opera in noi e
ci trascina verso di Lui. Con il Nuovo Testamento ora noi
comprendiamo il valore dell’Antico Testamento, capiamo che
non possiamo più farne a meno.
Al v. 39, risulta che abbiamo ancora bisogno di contarci.
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Atti 3,1-4,22: Nel Nome di Gesù
Pietro, per la prima volta a Gerusalemme, si dedica a quella
testimonianza della risurrezione del Signore che si chiama anche
evangelizzazione. C’è una profezia che incrocia la storia degli
uomini, la vita di tutti noi. Pietro è il testimone, e con lui gli altri
undici, naturalmente. Pietro non da solo, ma Pietro in modo
dichiarato, e Luca ci tiene a mettere in evidenza la figura di Pietro
nell’esercizio della vita cristiana.
Dico esercizio della vita cristiana nel senso che
l’evangelizzazione è l’esercizio della vita cristiana, non è un
compito riservato a degli specialisti, a dei tecnici della pastorale.
L’evangelizzazione è l’esercizio della vita cristiana, è la profezia
della vita cristiana, è il contenuto stesso della vita cristiana che si
realizza come testimonianza alla risurrezione del Signore, quella
invocazione del nome di Gesù che incrocia il mondo, che attraversa
la storia umana, che interseca tutto lo spazio e tutto il tempo della
nostra condizione umana.
Nei primi cinque capitoli degli Atti degli Apostoli, tutto
avviene a Gerusalemme e sia per Pietro che per gli altri,
l’interlocutore della loro testimonianza è il popolo d’Israele, il
popolo della prima alleanza, a cui Pietro e gli altri appartengono. Il
loro popolo, il popolo delle promesse, il popolo della liberazione, il
popolo dell’alleanza. Il primo destinatario dell’evangelizzazione è
Israele. La prima evangelizzazione avviene a Gerusalemme, dove
sono raccolte tutte le componenti, tutte le rappresentanze del
popolo di Israele.
Dando uno sguardo al cap. 3 all’episodio che vi leggiamo
all’inizio del capitolo, quando Pietro e Giovanni salgono al tempio
per la preghiera e incontrano un uomo storpio dalla nascita.
Ricordate il dialogo tra Pietro e lo storpio? “Nel nome di Gesù di
Nazareth, che è il Messia, cammina e entra con noi nel tempio”. Nel
nome di Gesù. Se ricordate quello che accade nelle pagine seguenti,
vi sarete accorte che tutto il racconto è determinato da questa
invocazione del Nome: Gesù!
Lettura spirituale degli Atti degli Apostoli - 10
Nel nome di Gesù quel tale entra con Pietro e Giovanni, si
aggrappa a loro, fanno un gruppo unico. Vedete il v. 11 del c. 3
“mentre egli teneva Pietro e Giovanni, tutto il popolo fuori di sé per lo
stupore, accorse verso di loro al portico detto di Salomone”. All’interno
del tempio troviamo Pietro e Giovanni e lo storpio aggrappato a
loro, perché se lo sono come caricato sulle spalle. Egli teneva Pietro
e Giovanni, li stringeva. Nel nome di Gesù!.
Nel Nome di Gesù non è un riferimento anagrafico. Il nome di
Gesù è un riferimento vitale, è una relazione vitale. Noi viviamo in
forza dell’appartenenza a Gesù, in forza della comunione di vita
che ci lega a Lui, che è risorto dai morti ed è vivente nella gloria. È
in forza di quel vincolo di comunione, che ormai ci sigilla nella
gloria del Figlio di Dio, risorto dai morti, che siamo coinvolti nella
novità di cui egli è il protagonista: la visita di Dio. Nel nome di
Gesù, per tutti gli uomini, si apre la strada del ritorno alla vita,
uomini che non sanno vivere, uomini che non sono più capaci di
vivere, hanno perso il contatto con la vita e devono essere rieducati
alla vita.
In Cristo gli uomini imparano nuovamente a vivere, ritrovano
la strada che si apre per loro e ritornano alla pienezza delle
relazioni vitali, e la relazione con il Dio vivente diventa la struttura
che ricapitola in sé tutte le relazioni con le creature di Dio, nel
tempo e nello spazio. Gli uomini ritornano alla vita nel nome di
Gesù, in forza della relazione con Gesù e la relazione con Gesù è
realizzata perché lo Spirito di Dio opera efficacemente. Tutto è
rivelazione di un dono d’amore gratuito, un dono d’amore
purissimo, un dono d’amore eterno, un dono d’amore “oggi”, per
noi!
Il c. 3, tutto di seguito fino al c. 4, v. 22, nel racconto degli Atti,
ruota attorno al fatto che Luca ci ha raccontato: lo storpio, che era
storpio dalla nascita, è entrato nel tempio. Allora la gente chiede:
Come mai? Nel nome di chi? Pietro fa un discorso, un secondo
discorso: “Proprio per la fede riposta in Lui il nome di Gesù ha dato
vigore a quest’uomo che voi vedete e conoscete; la fede in lui ha dato a
quest’uomo la perfetta guarigione alla presenza di tutti voi” (3,16). Pietro
Lettura spirituale degli Atti degli Apostoli - 11
spiega che è nel nome di Gesù che quest’uomo è entrato, è per
questo motivo che le porte si sono aperte, per questo motivo lo
storpio, che era fuori del tempio, si ritrova all’interno del tempio.
Al c. 4, sono le autorità di Gerusalemme che si interrogano sul
fatto dello storpio. Prima la gente, ora le autorità. “Stavano ancora
parlando al popolo, quando sopraggiunsero i sacerdoti, il capitano del
tempio e i Sadducei, irritati per il fatto che essi insegnavano al popolo e
annunziavano in Gesù la risurrezione dei morti. Li arrestarono e li
portarono in prigione fino al giorno dopo, dato che era ormai sera” (cf. 4,12). Passa la notte e il giorno dopo vengono interrogati: “In nome di
chi avete fatto questo?”. Adesso sono interrogati Pietro e Giovanni. E
Pietro, pieno di Spirito Santo risponde:
"Capi del popolo e anziani, visto che oggi veniamo interrogati sul
beneficio recato ad un uomo infermo e in qual modo egli abbia ottenuto la
salute” (4,8-9). Qui salute sta per salvezza, Pietro si chiede: come è
avvenuto che quest’uomo è di nuovo in cammino per ritornare alla
pienezza della vita, alla salvezza? “La cosa sia nota a tutti voi e a tutto
il popolo d’Israele: nel nome di Gesù Cristo il Nazareno - Nel nome di
Gesù di Nazareth! - che voi avete crocifisso e che Dio ha risuscitato dai
morti, costui vi sta innanzi sano e salvo. Questo Gesù è la pietra che,
scartata da voi, costruttori, è diventata testata d’angolo. In nessun altro
c’è salvezza; non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel
quale è stabilito che possiamo essere salvati” (4,10-12). Pietro sta
dicendo che non c’è un altro riferimento, in base al quale, noi
possiamo ritornare alla pienezza della vita. È in forza della nostra
appartenenza a Gesù, in forza di questo coinvolgimento vitale nella
Pasqua di Gesù, che è morto ed è Risorto, che noi siamo vivi e in
cammino. È in quanto noi apparteniamo a Lui vivente, che
possiamo essere salvati.
Al v. 22, Luca ci parla ancora di quell’uomo sul quale era
avvenuto il miracolo della guarigione, il quale aveva “più di
quarant’anni”, 40 anni sono gli anni di una vita, una generazione,
una vita consumata, una vita finita, una vita perduta… ed ora, nel
Nome di Gesù, è aperta per quell’uomo una strada per ritornare
alla pienezza della vita.
Lettura spirituale degli Atti degli Apostoli - 12
Pietro è la figura che emerge e accanto a lui ci sono i discepoli,
la comunità che cresce. Sono accampati e man mano ci sono altri
che si raccolgono nel nome di Gesù. Scoperta strabiliante,
sconcertante e imprevedibile, la scoperta di essere in relazione con
il Figlio di Dio che è intronizzato nella gloria, quando ancora siamo
accampati nel deserto. Siamo così derelitti, storpi e ammalati
eppure siamo già in comunione con Lui, eppure siamo in questa
comunione gloriosa. Ci contiamo tra di noi: 11+1, 12-1, facciamo
anche il Capitolo, siamo accampati in fondo a un deserto e siamo
già in comunione con Lui, Gesù!
Siamo a Gerusalemme, in Israele, in un ambiente ancora
circoscritto, niente di particolare… Israele, un popolo che riceve per
primo la testimonianza della novità realizzata: la visita di Dio.
Israele è il primo destinatario della visita di Dio.
Atti 6 e 7: La testimonianza di Stefano
Ora, nel racconto degli Atti, si arriva a una svolta, una cosa
che per il momento è ancora solo accennata, però non c’è dubbio
che tutto ciò che viene dopo, nel corso del racconto, passa
attraverso questa svolta. Nei capitoli 6 e 7 fino al c. 8,4 incontriamo
una figura che svolge un ruolo decisivo nella crescita della prima
evangelizzazione ed è la figura di Stefano. Noi stiamo facendo
conoscenza con Pietro, poi faremo conoscenza con Paolo, ma sullo
sfondo ci sono altri personaggi, altre figure, anzi possiamo dire che
nel circuito Pietro-Paolo, Paolo-Pietro c’è tutto un mondo.
Il nostro evangelista Luca mette in evidenza la figura di
Stefano. Siamo giunti a una svolta. Fino a questo momento tutto è
avvenuto all’interno di Gerusalemme. Tutto è avvenuto in un
contesto ben delimitato. L’evangelizzazione è rivolta a Israele. Già
abbiamo trovato degli accenni, già degli affacci verso prospettive
ulteriori, già luci che si accendono in una profondità inesplorata.
Già, però non ancora. Ed è giusto e necessario che sia così.
Lettura spirituale degli Atti degli Apostoli - 13
Ora nel racconto succede che, mentre cresce questa prima
comunità di Gerusalemme ci sono delle tensioni, delle asprezze,
delle incomprensioni, delle difficoltà: questo è inevitabile. D’altra
parte, quelli che sono adesso discepoli che crescono insieme e
camminano insieme nel nome di Gesù, appartengono tutti al
popolo di Israele, ma il popolo di Israele è un popolo caratterizzato
da tante e tante diversità. Così anticamente, così ancora oggi. Noi
abbiamo un’immagine di un Israele compatto, monolitico: invece al
suo interno si sono diversità per noi inimmaginabili.
Tra i discepoli ci sono delle tensioni. Quelle tensioni che sono
all’interno della grande comunità di Israele si ripropongono
all’interno della piccola comunità dei discepoli. Tra giudei ellenisti
ed ebrei esiste una divisione fondamentale. I Giudei ellenisti sono
quelli che parlano greco, perché provengono dalle comunità della
diaspora, termine che indica le comunità di israeliti disperse tra i
popoli pagani. La maggior parte del popolo di Israele vive in
diaspora. Solo una parte, minoritaria, vive nella terra, sono gli ebrei
e normalmente parlano aramaico, gli altri parlano la lingua dei
popoli, la lingua del mondo, la lingua dei pagani, la lingua
internazionale: sono gli ellenisti. Tra queste due componenti ci sono
delle tensioni, perché i giudei che dimorano nella terra d’Israele
sono in grado di frequentare il tempio. Il tempio è il grande
sacramento dell’alleanza e solo a Gerusalemme, nel tempio, viene
celebrato il culto. Non ci sono altri templi in giro per il mondo, ma
solo a Gerusalemme.
I giudei che abitano nella terra di Israele sono in grado di
osservare tutti i precetti perché sono nella terra, perché i precetti
della legge sono riservati a coloro che abitano la terra. Ma coloro
che abitano fuori da questa terra, non sono in contatto con il
tempio, non possono partecipare al culto e non sono in grado di
osservare i precetti della Legge. Però sono dei giudei e sono sinceri,
sono onesti e sono desiderosi di rispondere alla propria vocazione
ma sono oggettivamente impediti perché sono in diaspora e
l’osservanza dei precetti suppone ed esige la dimora nella terra.
Manca il contatto con il tempio.
Lettura spirituale degli Atti degli Apostoli - 14
Già da diversi secoli, all’interno di questi gruppi in diaspora si
è sviluppata una teologia spirituale, atta a promuovere la
devozione, la preghiera, l’impegno teologale proprio di quelli che
non possono frequentare il tempio. Questi sono andati sviluppando
una visione delle cose, diremmo noi, di tipo più spirituale. Quello
che conta non è il culto nei suoi riti liturgici, quello che conta è il
culto interiore e così non è l’osservanza materiale dei precetti oltretutto questa osservanza è impossibile - ma quello che conta è
l’atteggiamento del cuore, il desiderio del cuore, la motivazione
profonda.
Questi giudei ellenisti sono in contatto con il mondo dei
pagani. Questo può diventare molto compromettente, può darsi che
ci siano delle difficoltà di identità, di dispersione, di assimilazione,
per cui molti di questi che sono nella diaspora, si dimenticano di
essere giudei che appartengono al popolo di Dio. Ma è anche vero
che questo rapporto con popoli stranieri, con popoli pagani
favorisce una maturazione interiore spesso molto vivace. Ricordate
che anche Saulo nasce in un ambiente della diaspora e parla greco.
E ci sono giudei che vivono, abitano e lavorano nella terra: gli
ebrei. È comprensibile. Questi giudei di lingua aramaica
considerano gli altri giudei ellenisti come giudei di seconda
categoria, di seconda o terza classe, o comunque squalificati. Non
sono ritenuti dei veri giudei, dei veri osservanti, proprio su temi
fondamentali: il tempio e il culto, l’osservanza dei precetti, la legge.
Succede anche che molti giudei della diaspora si trasferiscono a
Gerusalemme quando sono diventati anziani, per morire a
Gerusalemme. Sono diventati anziani e non hanno più niente da
fare e vanno a Gerusalemme per morire e così Gerusalemme
diventa un grande cimitero, tanti cimiteri: ebraici, musulmani,
cristiani. Gerusalemme è un posto adatto per morire.
All’interno della comunità dei discepoli ci si pone questo
interrogativo: perché gli anziani che parlano greco non sono trattati
con particolare attenzione come meriterebbero? Si creano dei
conflitti. “In quei giorni, mentre aumentava il numero dei discepoli, sorse
un malcontento fra gli ellenisti verso gli Ebrei, perché venivano trascurate
Lettura spirituale degli Atti degli Apostoli - 15
le loro vedove nella distribuzione quotidiana.” (6,1). Si tratta delle
vedove degli ellenisti che venivano trascurate nella distribuzione
quotidiana.
Si pone un problema ed ecco una soluzione, una distinzione e
nello stesso tempo l’impegno a mantenere la solidarietà, la
vicinanza, la responsabilità comune ma, una distinzione necessaria.
Ci sono i dodici e adesso ci sono anche i sette. I sette si prenderanno
cura e c’è bisogno di un particolare impegno per le necessità di
questi discepoli, che provengono dal mondo e dall’ambiente degli
ellenisti. I sette sono Stefano, Filippo, Pròcoro, Nicànore, Timòne,
Parmenàs e Nicola, nomi greci. Il settimo, Nicola è un pagano
convertito, è un pagano che si è convertito al giudaismo.
L’attenzione dell’autore degli Atti, l’evangelista Luca, si
concentra su Stefano, perché Stefano è pieno di Spirito santo. È un
uomo molto dotato, pieno di grazia e di energia, dà grande slancio
all’annuncio, si dà da fare e si mette a servizio di tutti. Ma ecco che i
suoi vecchi amici, quelli che appartengono alla sinagoga o a quelle
sinagoghe da cui provengono i giudei ellenisti, lo contestano.
Stefano è contestato da loro, da quelli che hanno condiviso tutto con
lui. Sono presenti “alcuni della sinagoga detta dei "liberti"
comprendente anche i Cirenei, gli Alessandrini e altri della Cilicia e
dell`Asia, a disputare con Stefano” (6, 9).
Sono i vecchi amici, i vecchi compagni di cordata, i vecchi
compagni di partito, giudei ellenisti che hanno dovuto sostenere
l’urto, la tensione, il conflitto con gli altri giudei, quelli che parlano
aramaico. Si conoscono bene tra di loro, fanno presto ad accusare
Stefano e a dire: Stefano è un bestemmiatore contro Mosè, contro la
legge e contro Dio. Fanno presto ad accusare Stefano. Soltanto che
oramai per Stefano è tutto cambiato, perché per lui, che è diventato
discepolo del Signore le crisi non sono più quelle di prima. Non c’è
più il problema di non poter frequentare il tempio perché si è fuori
dalla terra. Per Stefano, ora tutto prende un altro significato nel
nome di Gesù. Il culto, il tempio è nel corpo di Gesù, il corpo
glorioso del Signore. La legge è nel nome di Gesù. La Parola fatta
carne è nel nome di Gesù.
Lettura spirituale degli Atti degli Apostoli - 16
Tutto per Stefano è cambiato soltanto che i suoi vecchi amici
adesso lo accusano e lo accusano in base a quelle opinioni che loro
stessi condividono. Vogliono accusare lui davanti alle autorità
giudaiche, ma il motivo non è determinato da quelle opinioni che
loro stessi condividono. Il vero motivo sta nel fatto che Stefano ha
cominciato a vivere in modo diverso, non sanno neanche come
dirlo: non lo sopportiamo più, non è dei nostri. Lo accusano per
quei motivi per cui dovrebbero essere loro accusati, perché sono
giudei ellenisti.
“Lo abbiamo udito dichiarare che Gesù il Nazareno distruggerà
questo luogo e sovvertirà i costumi tramandatici da Mosè" (v. 14).
Stefano non dice questo, dice che Gesù è il tempio, Gesù è la legge
realizzata. E per questo Stefano è accusato pubblicamente: “tutti
quelli che sedevano nel sinedrio, fissando gli occhi su di lui, videro il suo
volto come quello di un angelo.” (v. 15). Ecco, l’attenzione ora si
concentra sul volto di Stefano e per tutto il c. 7, il volto di Stefano
diventa sorgente da cui proviene un messaggio.
Stefano fa un lungo discorso, una lunga catechesi, per tutto il c.
7, fino al v 53. Stefano parla. Dovrebbe essere un discorso difensivo.
In realtà Stefano non si difende, spiega il senso di ciò che sta
avvenendo e spiega tutto nel nome di Gesù. Non si difende, d’altra
parte non potrebbe difendersi. Spiega come in realtà tutto avviene
nel nome di Gesù. Non si tratta di stabilire chi ha ragione e chi ha
torto, chi è nel vero e chi è nel falso. Egli spiega che cosa sta
succedendo. Nel suo lungo discorso Stefano ricostruisce, per tappe,
la storia della salvezza.
Il c. 7 è pieno di citazioni. Basta uno sguardo a queste righe e
ce ne rendiamo conto, c’è un intarsio di citazioni. Ma per ogni tappa
della storia della salvezza, Stefano mette in evidenza un passaggio
particolare. Vedete che le cose sono andate in quel modo per cui, da
una tappa all’altra, la storia del nostro popolo è divenuta un
processo di crescita, dall’ inizio, dai patriarchi, da Abramo, da
quelli che hanno ricevuto la promessa e poi attraverso quelli che
sono discesi in Egitto e poi quelli che sono stati tirati fuori
dall’Egitto, nell’attraversata del deserto, ecc…
Lettura spirituale degli Atti degli Apostoli - 17
Di tappa in tappa questo cammino, questo processo di crescita
è stato determinato dalla presenza di qualcuno che, rifiutato dai
suoi, è divenuto il testimone di una forza nuova, di un dono d’amore
più grande, testimone di una fecondità più universale, sin
dall’inizio. E Stefano narra: Giuseppe venduto dai fratelli.
Giuseppe, che poi diventa lo strumento di cui Dio si serve,
provvidenzialmente, per aprire prospettive nuove. Così Mosè,
contestato, aggredito, rifiutato dai suoi, ma proprio lui diviene lo
strumento di cui Dio si serve per donare la legge al suo popolo e
per guidare il suo popolo nel deserto e per manifestare, in modo
così straordinario la sua misericordia.
Là dove, da una tappa all’altra, la nostra storia, - spiega
Stefano, - dimostra come noi abbiamo resistito, come noi abbiamo
rifiutato, come noi siamo stati ribelli, puntualmente, proprio
attraverso qualcuno che ha subito gli effetti della nostra ribellione,
del nostro rifiuto, Dio ci ha guidati, ci ha fatti crescere in una
esperienza d’amore. In qualche modo questa è come una regola
della storia della salvezza: è necessario che l’opera di Dio, la
salvezza, passi attraverso la presenza di qualcuno che è stato
rifiutato, in modo tale che, la ribellione umana, diventi lo strumento
per rivelare la misericordia.
È come dire che questo è il meccanismo che agisce dal di dentro
della storia umana e trasforma la storia di peccato in storia di
salvezza. Quella che è la storia del peccato è trasformata dal di
dentro in storia di salvezza, perché la salvezza non è un regalo che
viene dal fuori, ma una novità che esplode dal di dentro. Queste
sono le modalità di Dio.
Il v. 51 dice “O gente testarda e pagana nel cuore e nelle orecchie,
voi sempre opponete resistenza allo Spirito Santo; come i vostri padri, così
anche voi. Quale dei profeti i vostri padri non hanno perseguitato? Essi
uccisero quelli che preannunciavano la venuta del Giusto”. Adesso siamo
arrivati agli ultimi tempi e il giusto è il Messia, e che cosa è
capitato? Il Giusto “del quale voi ora siete divenuti traditori e
uccisori”(v. 52), proprio attraverso il rifiuto che ha subito da parte
Lettura spirituale degli Atti degli Apostoli - 18
del suo popolo, ha reso manifesta l’opera della salvezza. Una
sovrabbondanza d’amore, una ricchezza d’amore, una grandezza
d’amore che ha trasformato il rifiuto in salvezza, nella salvezza
secondo le intenzioni di Dio. Era necessario che il giusto patisse, era
necessario che il giusto soffrisse… Era necessario!
Ricordate quante volte ritorna questa formula. C’e un disegno
provvidenziale. È veramente il “meccanismo” che dall’interno
governa la visita di Dio nella storia umana. Era necessario che tutta
la cattiveria degli uomini venisse trasformata in una offerta di
salvezza. Il giusto è stato tradito e ucciso proprio da “voi che avete
ricevuto la legge per mano degli angeli e non l’avete osservata” (v. 53).
Vedete che Stefano sta arrivando a questo punto.
Così vanno le cose. Così vanno le cose “nel nome di Gesù”.
Sapete cosa sta dicendo Stefano, adesso? Se voi ve la prendete con
me, questo non è dovuto al fatto che siete più cattivi di me o che io
sono più buono di voi. Voi non siete più cattivi di me ed io non
sono più buono di voi. Se le cose vanno in questo modo, nel nome
di Gesù, è per confermare che l’opera iniziata da Dio per la salvezza
degli uomini, cresce. Io sono qui - dice Stefano – non tanto per
dichiarare che voi siete cattivi e nemmeno per dire: applauditemi
perché sono bravo, buono. Io sono qui per dirvi, per annunciarvi,
per testimoniarvi che l’amore di Dio è più grande del peccato
umano.
Il martirio è una testimonianza d’amore che riguarda proprio i
persecutori, gli oppressori. È l’annuncio di un amore più grande
che trasforma il rifiuto ricevuto, l’aggressione subita, trasforma la
miseria, la cattiveria, l’ingiustizia degli uomini in salvezza.
Trasforma questa storia in storia di salvezza. Il martirio è la
testimonianza matura della vita cristiana, per cui, nel nome di
Gesù, gli avversari sono benedetti, i nemici sono amati.
E Stefano sta spiegando tutto questo: io sono qui e le cose
vanno in questo modo perché nel nome di Gesù, non è compito mio
condannarvi e nemmeno è compito mio pretendere di farci una
bella figura, perché io comunque rimango un pover’uomo. Io sono
Lettura spirituale degli Atti degli Apostoli - 19
qui per spiegarvi che l’amore di Dio trasforma la cattiveria dei cuori
in una vittoria della salvezza. Così sono andate le cose. Per questo il
Giusto è stato rifiutato e intronizzato. Il servo crocifisso, inchiodato,
è stato glorificato. Il v. 55 dice che Stefano: “pieno di Spirito Santo,
fissando gli occhi al cielo, vide la gloria di Dio e Gesù che stava alla sua
destra e disse: Ecco, io contemplo i cieli aperti e il Figlio dell'uomo che sta
alla destra di Dio. Proruppero allora in grida altissime turandosi gli
orecchi; poi si scagliarono tutti insieme contro di lui, lo trascinarono fuori
della città e si misero a lapidarlo. E i testimoni deposero i loro mantelli ai
piedi di un giovane, chiamato Saulo”.
È la prima volta che si parla di Saulo. Il nome di Saulo qui
compare tre volte. Vedete che qui è semplicemente un accenno, ma
già il racconto è impostato in modo tale da anticipare la fecondità di
questo avvenimento. Mentre Stefano subisce l’aggressione fino alla
morte, già sono preparati elementi di una fecondità nuova, che
traboccherà. Perché ciò che sta avvenendo “nel nome di Gesù” non
dimostra la cattiveria degli uomini ma l’amore di Dio. E così
lapidavano Stefano mentre pregava e diceva: “Signore Gesù, accogli
il mio spirito. Poi piegò le ginocchia e gridò forte: Signore, non imputar
loro questo peccato. Detto questo, morì.” (vv. 59-60). Ricordate che
Stefano ripete quasi alla lettera le parole di Gesù: “Signore, non
imputar loro questo peccato”. Questo è il martirio, è la testimonianza
matura della vita cristiana. Porta su di sé il carico di un fallimento
per esprimere la fecondità di quella forza di amore che Dio ha
donato al mondo intero.
Inizia così il capitolo 8°: “Saulo era fra coloro che approvarono la
sua uccisione - Si parla di Saulo due volte: prima dicendo che i
mantelli di quelli che lapidavano Stefano erano posti ai piedi di
Saulo e ora si dice che Saulo approvava.- In quel giorno scoppiò una
violenta persecuzione contro la Chiesa di Gerusalemme - Persecuzione.
Adesso il fenomeno dilaga; non è soltanto un caso, quello di
Stefano, ma c’è la persecuzione per la Chiesa, per l’ecclesìa - e tutti,
ad eccezione degli apostoli, furono dispersi nelle regioni della Giudea e
della Samaria (v. 1)”.
Lettura spirituale degli Atti degli Apostoli - 20
A questo punto del racconto cominciamo a spostarci fuori da
Gerusalemme. Una persecuzione? Una dispersione? Ma questo
spostamento diventerà una crescita straordinaria, fino agli estremi
confini della terra. Per ora è appena un inizio. Il v. 58 del c. 7 aveva
appena detto: “lo trascinarono fuori della città e si misero a lapidarlo”.
Fuori della città: significa che è superato un confine e adesso coloro
che sono perseguitati si disperdono nelle regioni della Giudea e
della Samaria. Dunque strade nuove. “Persone pie seppellirono Stefano
e fecero un grande lutto per lui. Saulo intanto infuriava contro la Chiesa
ed entrando nelle case prendeva uomini e donne e li faceva mettere in
prigione. (8,1-3). Abbiamo Saulo che custodiva i mantelli, Saulo che
approvava, ora si parla ancora di Saulo che infuria contro la Chiesa
e entrando nelle case prende uomini e donne e li fa mettere in
prigione. “Quelli però che erano stati dispersi andavano per il paese e
diffondevano la parola di Dio” (v. 4).
È superata una barriera. Il martirio di Stefano, la persecuzione
di altri è il momento della maturità della prima Chiesa, la prima
comunità dei discepoli. Maturità che coincide con la testimonianza
di un amore più grande. Per questo la prima comunità dei discepoli
è pronta per affrontare le strade del mondo, perchè è passata
attraverso il crogiuolo della persecuzione, è passata attraverso
l’incrocio di tutte le asprezze, tutte le incomprensioni, tutte le
violenze e tutta la cattiveria, compresa anche la propria. Tutte le
insufficienze, tutta questa storia di peccato “nel nome di Gesù” è
oramai affrontata e attraversata dalla testimonianza di una
benedizione, che converte e che salva.
Tra Pietro e Paolo, come perno di questo circuito, troviamo
Stefano.
Il carisma di Pietro
Guardando al martirio di Stefano in At 6-8,4 vi dicevo che
queste pagine segnano una storia, sono il segno della maturità,
Lettura spirituale degli Atti degli Apostoli - 21
quella maturità della vita cristiana da cui dipende poi la crescita
della evangelizzazione, come, vedremo, avverrà successivamente.
Fino a questo momento tutto è avvenuto entro i confini di
Gerusalemme. In ogni caso la prima evangelizzazione riguarda il
popolo della Prima Alleanza, Israele è il primo destinatario
dell’evangelizzazione. L’oggi della visita di Dio nella storia umana
riguarda, senza alcun dubbio, in modo diretto e immediato il
popolo che ha ricevuto le promesse, il popolo messianico, il popolo
che è stato educato nella esperienza dell’alleanza. Ma la figura di
Stefano segna una svolta.
Noi abbiamo già conosciuto l’impegno con cui Pietro si dedica
alla testimonianza del Signore Risorto, con potenza di Spirito Santo,
nel nome di Gesù: l’invocazione del nome di Gesù, il riferimento a
lui, il Figlio di Dio che ormai è intronizzato nella gloria.
Questa linea rappresenta lo svolgimento dei fatti del libro
degli Atti e abbiamo messo in evidenza il fatto che i primi cinque
capitoli ci parlano della prima evangelizzazione, a Gerusalemme.
Poi, vi dicevo, l’avvenimento di Stefano che prepara lo sviluppo,
una crescita, e non c’è dubbio che questa crescita è impossibile se a
Gerusalemme non fosse avvenuto quello che abbiamo già preso in
considerazione.
A Gerusalemme abbiamo la prima comunità dei discepoli del
Signore, la Chiesa madre di tutte le Chiese, la Chiesa di
Gerusalemme che rimane come il grembo fecondo a cui tutte le altre
Chiese fanno riferimento. Questa prima esperienza della vita
cristiana, questa prima testimonianza, questa novità che è stata
realizzata per la prima volta, questo nucleo essenziale rimane il
riferimento originario di tutta l’evangelizzazione, di tutta la storia
della Chiesa, di tutta la missione che i discepoli del Signore
svolgeranno nel corso delle generazioni, di Chiesa in Chiesa. È il
nucleo della vita cristiana, la vita di coloro che, mentre sono
accampati nella miseria, già appartengono a quella comunione con
il Signore Vivente, che rivela la sua signoria, la sua sovranità, la sua
regalità. Coloro che già appartengono a lui e sono in comunione con
Lettura spirituale degli Atti degli Apostoli - 22
lui, vivono nel nome di Gesù, mentre sono accampati nella miseria
della condizione umana.
In questo nucleo essenziale è coinvolto Israele, perché questa
prima evangelizzazione riguarda tutti i figli di Israele e sono tali i
discepoli a Gerusalemme, la Chiesa madre. Vedete come la
presenza di Israele è interna alla nostra testimonianza cristiana, in
un senso proprio genetico. Non soltanto con riferimento ideale e
non soltanto con una esemplarità, di tipo parabolico, ma proprio
nella genesi della vita cristiana, della crescita della
evangelizzazione, la presenza di Israele deve essere riconosciuta e
apprezzata all’origine di tutto, perché la prima Chiesa è composta
esclusivamente di ebrei. La prima testimonianza è espressa e
vissuta da giudei che si rivolgono ad altri giudei. In questa prima
esperienza della vita cristiana, della vita evangelica, in questa
origine è già presente il seme che si svilupperà in tante altre
direzioni, in una prospettiva sempre più universale. C’è questa
crescita perché c’è questa origine.
A Gerusalemme abbiamo riconosciuto la presenza di Stefano,
così strutturale in rapporto alla crescita della evangelizzazione, il
significato del suo martirio, di questa sua obbedienza a una forza di
amore, che è vittoriosa, questa sua obbedienza ad una fecondità
d’amore che porta in sé anche la presenza ostile e violenta di coloro
che rifiutano.
Quando la prima testimonianza cristiana giunge a questo
livello di maturità già porta in sé quello slancio per cui non ci sono
confini, che proietta oramai l’evangelizzazione in un orizzonte
universale. Stefano benedice i suoi persecutori, li evangelizza.
Quando avviene questo, ecco che è giunto il momento in cui
l’evangelizzazione può svolgersi su tutte le strade, in tutte le
direzioni fino agli estremi confini della terra.
D’altra parte anche le nostre Chiese sono sempre state fondate
sulle testimonianze dei martiri. Nell’altare c’è uno spazio riservato
proprio a questo. Non è pensabile che la Chiesa sia costruita in
maniera diversa da questa modalità. Sarebbe una aberrazione
pastorale, una eresia pastorale. Noi non riusciamo a comprendere
Lettura spirituale degli Atti degli Apostoli - 23
fino in fondo il valore di questa testimonianza, il valore del martirio
che sta a fondamento dell’evangelizzazione.
Intanto abbiamo conosciuto Pietro, ma abbiamo anche fatto
conoscenza, marginalmente, con un personaggio che si chiama
Saulo e che poi si chiamerà Paolo. Non c’è dubbio, Pietro e Paolo
sono i due grandi protagonisti degli Atti degli Apostoli. Non ci
sono solo loro, infatti abbiamo fatto conoscenza con altri piccoli
personaggi. Uno dei piccoli personaggi, nientemeno, si chiama
Stefano, piccoli per modo di dire. Però è vero che i grandi
protagonisti sono Pietro e Paolo. Tant’è vero che possiamo dire che
gli Atti degli Apostoli sono gli atti di Pietro e Paolo. Pietro e Paolo,
inseparabili tra di loro.
Possiamo dire, un po’ sommariamente, che la prima parte
degli Atti è dedicata a Pietro e la seconda parte è dedicata a Paolo.
Più esattamente noi scopriamo che la figura di Pietro è dominante
dall’inizio. Abbiamo incontrato già Pietro e la sua figura rimane
sulla scena fino al c. 15, con alterne vicende. La figura di Paolo è
comparsa già qui e rimane poi dominante fino alla fine del racconto
degli Atti degli apostoli. Allora vedete che non sono semplicemente
due parti, sono anelli incrociati, anelli collegati tra di loro, sono
racconti costruiti in modo tale da favorire la contemplazione di
questo aggancio. Notate come la figura di Stefano è qui, in qualche
modo, l’elemento che chiude e stringe l’aggancio.
Noi conosciamo Pietro e ora vogliamo mettere in evidenza una
nota caratteristica di questo personaggio. Il nostro Pietro è
caratterizzato da una “specialità”, qualcuno potrebbe dire da un
carisma. Ma il carisma vero è quello della vita cristiana 3. Pietro ha
una specialità: aprire le porte. Lui apre le porte. E un portinaio! È il
carisma petrino, è il carisma della porta. Abbiamo accennato a
questo episodio il primo giorno.
Atti 3,1-16 “Pietro e Giovanni salgono al Tempio” – dunque siamo
a Gerusalemme – il tempio è il grande sacramento dell’alleanza, la
3
E spesso succede che tutti pensano ai carismi particolari e nessuno pensa alla vita cristiana, il
Vangelo non conta più e quello che conta è specializzarsi in un particolare secondario.
Lettura spirituale degli Atti degli Apostoli - 24
presenza del Signore che ha stretto un rapporto di alleanza con il
suo popolo, Israele. Il Tempio è il sacramento per eccellenza, il
punto di riferimento anche di coloro che sono dispersi, i giudei
della diaspora e gli ellenisti che salgono a Gerusalemme per visitare
il tempio, per vedere la gloria, come si dice nell’AT, per vedere la
gloria di Dio! Siamo venuti per vederti! E “per vederti” vuol dire:
per partecipare al culto, per entrare nel Tempio. Nel Tempio si vede
la gloria di Dio. Il Tempio è il grande criterio sacramentale che
raccoglie l’identità del popolo di Dio. Ecco, il popolo di Dio è
rappresentato dal Tempio come riferimento sacramentale.
Pietro e Giovanni stanno salendo al tempio per la preghiera
verso le tre del pomeriggio. Sono perfettamente inseriti nella realtà
di Israele, nella devozione di Israele, nella tradizione di Israele. Si
recano al tempio per la preghiera quotidiana. E “qui di solito veniva
portato un uomo, storpio fin dalla nascita e lo ponevano ogni giorno presso
la porta del tempio detta «Bella»” (3,2).
C’è una porta ed è la porta del Tempio, la porta Bella. E questo
tale sta seduto lì e chiede l’elemosina a coloro che entrano nel
Tempio. È una posizione strategica, perché da quella porta passa
tanta gente e lui chiede l’elemosina. Attenzione però, perché
quest’uomo, che è storpio dalla nascita, sta in quella posizione non
tanto per chiedere l’elemosina ma per un altro motivo, perché a lui
l’ingresso nel tempio è precluso, impedito, non può entrare nel
Tempio. Gli storpi, i ciechi e coloro che sono segnati da altre forme
di disabilità, di deformità, di menomazione, non possono entrare
nel Tempio. Sono in situazioni di impurità per questo non possono
entrare, l’ingresso per loro è precluso.
Quel tale sta sulla soglia, passa molta gente a cui chiede
l’elemosina ma lui non può entrare. L’ha detto anche Davide (cf.
2Sam 5,8): “I ciechi e gli zoppi non entreranno”. Come non possono
entrare i samaritani, come non possono entrare i lebbrosi….
Dunque ci sono tante applicazioni di questo principio: si può
entrare, si può varcare quella soglia, si può passare attraverso
quella porta solo in uno stato di purità che deve essere testimoniato.
E quel tale, storpio dalla nascita, è certamente in una situazione di
Lettura spirituale degli Atti degli Apostoli - 25
impurità che gli impedisce di entrare. Infatti, non entra e non può
entrare.
Arrivano Pietro e Giovanni e lo storpio li vede mentre stanno
entrando nel Tempio. Al v. 3 leggiamo: “vedendo Pietro e Giovanni
che stavano per entrare nel tempio”. Egli non vede semplicemente
Pietro e Giovanni ma li vede “entrare nel Tempio”, li vede mentre
stanno per entrare nel Tempio e “domandò loro l’elemosina”. Allora
Pietro fissò lo sguardo su di lui, insieme a Giovanni e disse: “guarda
verso di noi”, lui già stava guardando verso di loro. “Guarda verso di
noi” ha un significato più forte di un semplice sguardo. “Guarda
verso di noi”, guarda quello che stiamo facendo, il comportamento, il
gesto che stiamo compiendo. Egli si volse verso di loro, in greco si
usa un verbo che significa tutto un contorcimento. Si volse verso di
loro aspettando di ricevere qualche cosa, ma Pietro gli disse "Non
possiedo né argento né oro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù
Cristo, il Nazareno, cammina!"(3,6). Nel nome di Gesù, entra! Entra
con noi nel tempio!
Pietro non sta semplicemente compiendo un atto prodigioso,
ma sta evangelizzando Israele nel nome di Gesù. Entra nel Tempio,
nel nome di Gesù, tu che sei uno storpio, tu che sei un escluso. Nel
nome di Gesù la porta del Tempio si apre per te. Pietro sta
evangelizzando Israele, e questo rimane sempre l’obiettivo
missionario di Pietro. La prima e indimenticabile prospettiva di
evangelizzazione riguarda Israele. Non è semplicemente in
questione la sorte di quel tale, ma è in questione il significato del
Tempio, è in questione l’identità di Israele, la vocazione di Israele. È
nel nome di Gesù che anche lo storpio può entrare.
Vediamo che Pietro e Giovanni hanno preso quel tale in
braccio, se lo sono caricato addosso. E “presolo per la mano destra, lo
sollevò. Di colpo i suoi piedi e le caviglie si rinvigorirono e balzato in piedi
camminava; ed entrò con loro nel tempio camminando, saltando e lodando
Dio. Tutto il popolo lo vide camminare e lodare Dio e riconoscevano che
era quello che sedeva a chiedere l’elemosina alla porta Bella del tempio ed
erano meravigliati e stupiti per quello che gli era accaduto”(vv. 7-10).
Lettura spirituale degli Atti degli Apostoli - 26
E tutti sono stupiti e meravigliati perché vedono uno storpio
entrare nel tempio. Quel tale che chiedeva l‘elemosina fuori dal
tempio, perché per lui le porte erano chiuse, ora entra! Aprire
questa porta per Pietro è realizzare in modo autorevole,
responsabile, efficace l’evangelizzazione di Israele, con tutte le
contrarietà a cui va incontro e con tutte le incertezze che ancora
permangono, con tutte le insufficienze di un programma che ancora
dovrà affrontare ben altri sviluppi. Qui c’è Pietro! E la porta si apre!
Questo è il carisma petrino!
Leggendo fino al c. 8 v. 4, vediamo che già abbiamo incontrato
Saulo, abbiamo incontrato Stefano, con quello che gli è successo, e
Pietro che è presente. Nel c. 8 dal v. 5 ci è presentato un altro
personaggio minore che si chiama Filippo, che è un altro dei sette
diaconi, come Stefano.
Il c. 8 ha la funzione di intermezzo perché, mentre Stefano,
fuori di Gerusalemme, viene lapidato, Filippo, fuori di
Gerusalemme, intraprende nuove esperienze di evangelizzazione.
Ormai il Vangelo va verso la periferia. Filippo si rivolge ai
Samaritani, a un pagano convertito al giudaismo che viene
dall’Etiopia. Realtà sempre più originali, ma sempre all’interno del
popolo di Israele. Samaritani, con tante polemiche, ma siamo ancora
all’interno di quello schema. Un pagano convertito, con tutte le
difficoltà del caso, però è un pellegrino salito a Gerusalemme per il
Tempio, per celebrare il culto.
Ci occuperemo del c. 9 più avanti, dove sulla scena irrompe
Saulo. Quando ancora la figura dominante è quella di Pietro, già
Saulo è coinvolto: vite che si intrecciano!.
Atti 9,32ss: L’opera di Pietro fuori di Gerusalemme
Prendendo il v. 32 del c. 9 si apre una sezione dedicata a Pietro
da 9, 32 fino a 11,18.
Prenderemo in considerazione tre racconti nei quali Luca,
evangelista, scrive e racconta. Luca è un pittore, è iconografo,
Lettura spirituale degli Atti degli Apostoli - 27
dipinge per noi l’icona della vita cristiana, attraverso i volti dei
primi discepoli. Pietro è colui che apre la porta.
Troviamo tre racconti dove c’è sempre Pietro sulla scena:
a) 9,32-35 Il primo è un breve racconto sulla guarigione di Enea a
Lidda
b) 9,36-43 Il secondo è di media grandezza: Pietro risuscita la
discepola Tabità, a Giaffa.
c) 10,1–11,18 Il terzo racconto, il battesimo del centurione Cornelio
a Cesarea, occupa un capitolo e mezzo, un racconto lunghissimo.
Quest’ultimo è il racconto più lungo tra quelli che leggiamo negli
Atti. Dunque c’è una crescita evidente: da un episodio raccontato
in poche righe, a un racconto con misure letterarie medie fino a
un racconto lunghissimo, che occupa uno spazio enorme
nell’economia letteraria complessiva del nostro libro. Non c’è
dubbio che l’attenzione è concentrata qui. Che cosa avviene?
Avviene che per la prima volta Pietro evangelizza i pagani.
Nel primo racconto Pietro si trova a Lidda. È interessante
perché anche Pietro, che ha lasciato Gerusalemme, è ormai segnato
da una missione fuori da Gerusalemme. Dopo quello che è
successo, oramai le strade si allargano. Pietro va a Lidda, una
località dove attualmente c’è l’aeroporto.
Nel secondo racconto Pietro è a Giaffa, sulla riva del mare,
l’attuale Tel Aviv.
Nel terzo racconto Pietro è a Cesarea. Come vedete man mano
cresce la distanza geografica rispetto a Gerusalemme.
Lidda, Giaffa, Cesarea. La distanza che va crescendo rispetto a
Gerusalemme serve a raffigurare questa proiezione verso gli
estremi confini, in una prospettiva per cui non ci sono più limiti,
non ci sono più impedimenti. Nel suo piccolo, Pietro sta
realizzando una testimonianza esemplare.
Che cosa succede a Lidda? Un uomo di nome Enea “da otto
anni giaceva su un lettuccio ed era paralitico.” Ebbene, Pietro dice:
"Enea, Gesù Cristo ti guarisce alzati e rifatti il letto”. Un paralitico che
Lettura spirituale degli Atti degli Apostoli - 28
guarisce. “Lo videro tutti gli abitanti di Lidda e del Saròn e si
convertirono al Signore”.
Nel secondo racconto, a Giaffa, una discepola chiamata Tabità,
una brava signora, una vedova, è morta. “A Giaffa c’era una discepola
chiamata Tabità, nome che significa "Gazzella", la quale abbondava in
opere buone e faceva molte elemosine”. Arriva Pietro e Tabità è viva,
risuscitata! Avviene per la prima volta la risurrezione di un morto.
Ma subito dopo, accade qualcosa di molto più importante. Il
racconto è costruito da Luca in modo da far intendere che quello
che succede a Cesarea è molto più importante della guarigione di
un paralitico, molto più importante della risurrezione di un morto.
Perché poi Tabità è morta un’altra volta. Quello che avviene a
Cesarea è avvenimento straordinario, immensamente più originale
e più imprevedibile che la risurrezione di un morto. Quello che
avviene a Cesarea rimane come una novità che trascina dietro di sé
tutto lo svolgimento del tempo.
Pietro, da parte sua, dimostra di essere disponibile a questa
novità. Sulla strada Pietro si è rivolto a coloro che incontra per
essere ospitato. Questa disponibilità di Pietro, che è anche una
necessità di ordine pratico: deve essere ospitato, vuole essere
ospitato, chiede di essere ospitato, è comunque segno della sua
disponibilità ad andare incontro alle situazioni e a prendere
contatto con le persone che incontra. La sua disponibilità a
condividere le situazioni del mondo. Questo suo atteggiamento
comunque è già impostato. A Lidda è ospite, a Giaffa è ospite.
Vedete però che non è così normale accettare l‘ospitalità,
accettare di essere ospitato. È riconoscente per l’accoglienza che
riceve. A Giaffa c’è qualcosa di particolare, Pietro è ospitato da
Simone, un conciatore di pelli, che è un mestiere impuro. Anche la
sua casa è impura, perciò Pietro accetta l’ospitalità sul terrazzo di
casa. Ma comunque accetta l’ospitalità in una casa che di per sé
sarebbe poco raccomandabile. Vedete come la situazione sta
crescendo, sta maturando, come gli spazi sono sempre più ampi,
fino a quando arriviamo a Cesarea.
Lettura spirituale degli Atti degli Apostoli - 29
Atti 10: Pietro evangelizza i pagani
A Cesarea c’è un ufficiale romano, il centurione Cornelio, la
legione decima della coorte italica, forse un calabrese. Cesarea è la
sede del procuratore romano, dove è acquartierata buona parte
della legione: è il grande centro amministrativo della regione.
Cornelio sta da alcuni anni a Cesarea, è una persona buona, che
prega, che fa elemosina, gli piace ascoltare, aiutare, è una persona
stimata. Sta pregando e un angelo del Signore gli dice: “Manda
qualcuno dei tuoi a cercare un certo Simone detto anche Pietro che sta a
Giaffa e ospite nella casa di Simone il conciatore” (v. 9).
Mentre gli inviati di Cornelio sono per strada, (v. 11), Pietro
sale, verso mezzogiorno, sulla terrazza a pregare e si addormenta,
mentre dorme ha la visione del cielo aperto e una tovaglia, piena di
animali anche impuri che scende dal cielo, e la voce gli dice: “Pietro
uccidi e mangia”. Ma Pietro non ha mai mangiato nulla di impuro.
Poi ascolta per tre volte le stesse parole: «Ciò che Dio ha purificato, tu
non chiamarlo più profano». Il cielo si apre. E Pietro ancora non
capisce.
v. 17: Intanto gli uomini mandati da Cornelio sono giunti alla
porta della casa di Simone il conciatore, dove Pietro è ospite, e lui li
fa entrare (v. 23). Vedete la concomitanza? Non c’è più nulla di
profano: Pietro li ospita in casa d’altri. Allora il giorno seguente si
mise in viaggio con loro e alcuni fratelli di Giaffa lo
accompagnarono. Un piccolo corteo pontificio. Il giorno dopo
arrivò a Cesarea dove Cornelio stava ad aspettare e aveva invitato i
congiunti e gli amici intimi.
“Mentre Pietro stava per entrare...” Attenti perché qui c’è una
soglia da varcare, c’è una porta da aprire. Come posso io accettare
di varcare la soglia della casa di un pagano? (v. 25), Cornelio, esce
ad accoglierlo e lo ferma fuori (come un altro centurione aveva
fermato Gesù alla porta, cf. Mt 8,8), perché sa che i giudei non
possono entrare nella casa dei pagani. Lì, sulla porta, Pietro ricorda
il cielo aperto del v. 11: se il cielo si è aperto allora non c’è nessun
Lettura spirituale degli Atti degli Apostoli - 30
ostacolo per fare crescere il Vangelo, coinvolgendo tutte le creature
di Dio.
Ormai non ci sono più barriere per l’Evangelo, tutto si
spalanca davanti a Pietro in modo tale da coinvolgere tutte le
creature di Dio. Non ci sono più confini, non ci sono più limiti, non
ci sono più impedimenti né di ordine geografico né di ordine
temporale, né culturale, né sociale. Pietro entra nella casa di
Cornelio, tanto è vero che Cornelio non se l’aspetta, gli va incontro
e si getta ai suoi piedi. Pietro lo fa rialzare e mentre conversano
entra in casa. Nessun giudeo poteva entrare nella casa di un
pagano, quello che avviene qui è una piccola rivoluzione (vv. 2729), una svolta!
Questo ingresso vale più della risurrezione di un morto, della
guarigione di un paralitico! Questo ingresso segna un avvenimento
nuovo, che dà un’impronta nuova alla storia umana. Pietro accetta
l’ospitalità nella casa di un pagano, mangia alla tavola di un
pagano!
Adesso Pietro comprende il significato della visione avuta
sulla terrazza della casa del conciatore. Dio mi ha mostrato che non
si deve dire profano o immondo a nessun uomo, per questo sono
venuto senza esitare, quando mi hai mandato a chiamare.
Adesso Cornelio spiega perché lo ha mandato a chiamare e
Pietro sviluppa una catechesi, è la prima catechesi rivolta ai pagani.
In primo luogo Pietro apre la porta per evangelizzare Israele e in
secondo luogo, ora apre la porta ai pagani. Pietro attorniato da tutta
la comunità che collabora con Lui, inaugura questa
evangelizzazione al mondo dei pagani. È vero che è ancora un
episodio piccolo, ma assume un valore esplosivo. Per la prima volta
Pietro catechizza i pagani e poi spiega agli altri come sono andate le
cose.
vv. 34ss: Pietro evangelizza Cornelio, e mentre sta ancora
parlando, lo Spirito Santo scende anche sui pagani (vv. 44ss.) E i
giudei che erano venuti con Pietro si meravigliarono che anche sui
pagani si effondesse il dono dello Spirito Santo. Li sentivano infatti
parlare lingue e magnificare Dio. Invocano il Nome di Gesù, anche
Lettura spirituale degli Atti degli Apostoli - 31
loro come lo ha invocato la Madre del Signore nel magnificat!
Allora Pietro dice: “Forse che si può impedire di battezzare con acqua
quelli che sono stati battezzati nello Spirito? E ordinò che fossero
battezzati nel Nome di Gesù”. Gesù è il Messia di Israele ed è il
Signore di tutti. “Dopo tutto questo lo pregarono di fermarsi alcuni
giorni” (v. 36). E Pietro si ferma ancora a casa di Cornelio.
Intanto gli apostoli e fratelli che stavano nella Giudea, a
Gerusalemme, nella Chiesa madre, vennero a sapere che anche i
pagani avevano accolto la Parola di Dio. Quando Pietro tornò a
Gerusalemme, i giudei osservanti lo rimproverarono, e lui allora
raccontò come anche i pagani si erano convertiti e lo Spirito Santo
aveva fatto anche di loro dei profeti che lodano Dio.
Si è spalancato lo spazio che consentirà alla Chiesa di
procedere in ogni direzione. Pietro e la Chiesa, con lui e accanto a
lui, apre la porta che consente a tutti di entrare. “Chi ero io per porre
impedimento a Dio?” (v. 17). “Allora all’udire tutto questo si
“calmarono” e cominciarono a glorificare Dio” (v. 18). “si calmarono” è
lo stesso verbo che si usa in greco per il riposo sabbatico: comincia il
riposo del Messia, è il giorno in cui la visita di Dio si è compiuta nel
Figlio di Dio morto e risorto per tutti, anche per i pagani. Ormai
tutta la storia futura è ricapitolata in questo sabato. Non c’è più
un’altra tappa nella storia umana da aspettare, è quell’unico giorno
in cui la visita di Dio si è compiuta, la Pasqua del Figlio per la
nostra conversione.
Pietro apre le porte: è il suo ministero, il suo carisma. È così
per quanto riguarda il tempio di Gerusalemme, nel senso della
evangelizzazione rivolta ad Israele e questo costituisce un
riferimento originario insostituibile, per ogni altra futura
evangelizzazione: il primo destinatario dell’Evangelo rimane
Israele.
In secondo luogo abbiamo considerato il gesto intraprendente
di Pietro che apre la porta per entrare nella casa di un pagano, il
centurione Cornelio, a Cesarea. Così è impostata l’evangelizzazione
che si orienta verso tutti gli uomini: per ora é soltanto un
personaggio, una famiglia, una casa, ma la prospettiva è ecumenica.
Lettura spirituale degli Atti degli Apostoli - 32
Per la prima volta viene evangelizzato un pagano. Anche i pagani
sono inseriti nella comunione con il Figlio di Dio che è morto ed è
risorto. Vale per Cornelio, ma vale per ogni altro uomo, per ogni
altro essere umano, per ogni altra creatura di questo mondo.
Pietro trascina la Chiesa verso i pagani e nello stesso tempo è
sostenuto dalla Chiesa in questa prospettiva di evangelizzazione,
che ormai si orienta verso il mondo, verso l’umanità intera.
Ora andiamo avanti ma poi torneremo ancora indietro, per
mettere in evidenza alcuni collegamenti che sono preziosi, di cui
dobbiamo renderci conto, che non hanno un valore letterario,
narrativo, ma sono collegamenti che hanno un valore teologico. In
una raffigurazione iconografica tutto è teologia, anche le cornici
sono teologia, anche i drappeggi, anche i gesti sono teologia.
Dunque l’evangelizzazione cresce: prima è rivolta ad Israele,
poi è rivolta ai pagani, a tutti gli uomini. Pietro apre la porta, con
Pietro è la Chiesa che si muove verso confini sempre più ampi.
Atti 12: Pietro, liberato dal carcere, evangelizza la Chiesa
Ricordate che questa è la prima lettura della festa solenne dei
santi Pietro e Paolo, del 29 di giugno, che purtroppo non si legge in
modo completo, così come Luca ce la dipinge. Noi daremo uno
sguardo più completo a tutto questo episodio. Leggiamo i versetti
di questo episodio così come sono. Basta questo riferimento già
elaborato per noi, e che già conosciamo.
“In quel tempo il re Erode cominciò a perseguitare alcuni membri
della Chiesa” (v. 1). Questo re Erode non è Erode il grande, né Erode
Antipa è un altro Erode, è Agrippa I. Questo Erode, che regna dal
41 al 44 d.C., si appoggia sul partito dei farisei e perseguita alcuni
membri della Chiesa e fa uccidere di spada Giacomo, fratello di
Giovanni.
Siamo ancora inseriti in quel clima di persecuzione di cui ci
siamo occupati considerando il martirio di Stefano. Per la prima
volta la persecuzione si è mostrata in modo così drammatico che
Lettura spirituale degli Atti degli Apostoli - 33
Stefano è stato ucciso. Stefano è il primo martire, in assoluto.
Adesso Giacomo, che è il primo martire nel gruppo dei 12. È il
motivo per cui la devozione del popolo cristiano verso
Gerusalemme è stata caratterizzata da questo richiamo, perché
Gerusalemme è il luogo nel quale il primo tra i dodici è stato
coinvolto nella persecuzione sino alla morte.
Il pellegrinaggio verso Gerusalemme, la prima Chiesa, i primi
martiri è il pellegrinaggio verso san Giacomo. Quando, nei secoli
successivi, non fu più possibile attraversare il mare per giungere a
Gerusalemme, il pellegrinaggio si concludeva a Santiago de
Compostela, in Spagna, dove si venera la memoria di Giacomo.
“In quel tempo…”, qui il tempo è un kairos, un’occasione
preziosa, quel tempo di particolare fecondità che abbiamo già
potuto comprendere attraverso la testimonianza di Stefano. Il
martirio come manifestazione di quella forza d’amore che oramai è
in grado di affrontare tutte le avversità, in modo da esprimere un
valore di comunione, di riconciliazione, un valore di benedizione
che trasforma dal di dentro tutte le miserie umane, le cattiverie, le
ingiustizie, le violenze. Tutto viene interpretato come occasione
propizia, occasione positiva per crescere, secondo il disegno
provvidenziale dell’amore di Dio.
“(Erode) vedendo che questo (l’uccisione di Giacomo) era gradito ai
giudei decise di arrestare anche Pietro”(v. 3). Pietro è in carcere. Non è
la prima volta per lui, ma adesso questa carcerazione di Pietro
acquista un rilievo davvero speciale. Pietro in carcere: è successo a
lui, succede ad altri. Un cristiano in carcere, un povero cristiano che
non conta nulla. Nessuno è in grado di evitare questo.
Erano quelli i giorni degli azzimi, vicini alla pasqua. Pietro è
un cristiano che fa pasqua in carcere. “Fattolo catturare lo gettò in
prigione consegnandolo in custodia(…) col proposito di farlo comparire
davanti al popolo dopo la Pasqua” (v. 4). È la pasqua di quell’anno, la
festa degli azzimi. È in concomitanza con la festa dei giudei che i
discepoli celebrano la Pasqua vittoriosa del Messia, Gesù, il Figlio
di Dio. Nei giorni di pasqua Pietro è in carcere, “Pietro era tenuto in
prigione mentre una preghiera saliva incessantemente a Dio dalla Chiesa
Lettura spirituale degli Atti degli Apostoli - 34
per lui”(v. 5). La Chiesa è in preghiera, è Chiesa composta da
discepoli che non sanno cosa fare, che non sono in grado di
intervenire, non possono evitare il fatto che Pietro sia incatenato,
trattenuto in carcere, nella prospettiva di una condanna a morte.
Questa è la sorte di Pietro, ma è una occasione propizia per
Pietro perchè si trova nella condizione di quella umanità che fin dal
tempo di Adamo, l’antico Adamo, è un’umanità incatenata. La
discendenza di Adamo, l’umanità nel corso della storia, si trova in
una situazione di schiavitù, di ostilità, di prigionia e, ricordate, che
il Messia è stato annunciato proprio, insieme con la missione a Lui
affidata, come colui consacrato a liberare dal carcere i prigionieri. Il
famoso poema di Is 61:”Lo Spirito del Signore Dio è su di me, mi ha
consacrato (...) a proclamare la libertà degli schiavi, la scarcerazione dei
prigionieri”. Nel Vangelo secondo Luca, Gesù, nella sinagoga di
Nazareth, legge nel rotolo del profeta Isaia proprio questi versetti.
(Lc 4). Il Messia viene per liberare coloro che sono carcerati. Il
Messia viene per liberare coloro che sono prigionieri delle tenebre e
dell’ombra di morte.
Questo stato di oscurità, di oppressione, di incatenamento è lo
stato in cui si trova l’umanità da Adamo in poi. Adamo è
sprofondato nella sua miseria e tutta la discendenza di Adamo
porta con sé le conseguenze infami, disgustose, vergognose, di
questo stato di cose, le conseguenze di questa miseria che viene da
lontano e che si trascina nel corso delle generazioni. Pietro è oramai
inserito nella novità dell’Evangelo, nell’oggi della visita di Dio, ma
Pietro si trova qui, per quello che è successo, a condividere la
situazione che è sperimentata da tutti gli altri uomini, da tutta la
miserabile discendenza di Adamo. E vedete che non ci sono sconti,
non ci sono favori per Pietro, non ci sono soluzioni privilegiate per
lui, non ci sono garanzie istituzionali. Pietro è in carcere.
È la sorte di Adamo, da Adamo in poi, l’abisso oscuro in cui è
sprofondata la discendenza di Adamo è una prigione. È vero, Pietro
è testimone della risurrezione, ma, intanto, Pietro condivide la
miseria di Adamo. D’altra parte noi lo sappiamo sin dall’inizio:
Lettura spirituale degli Atti degli Apostoli - 35
siamo un accampamento di miserabili e nello stesso tempo
sperimentiamo la comunione con il Cristo vivente, glorioso, risorto!
E in questo caso per Pietro, l’accampamento di miserabili è
diventato un carcere in cui è stato gettato lui con tanta altra povera
gente, che aspetta di crepare e che creperà, come dei vermi
schiacciati sotto terra: generazione dopo generazione. Cosa non è
successo nel corso della storia! La storia umana ha spazzato via
generazioni e generazioni di figli di Adamo. Pietro si trova con loro,
tra i figli di Adamo, schiacciati dal male.
Il Messia di Israele, che è il Signore di tutti, è venuto, è morto
ed è risorto per ogni miserabile figlio di Adamo che crepa come un
verme. Ma Pietro sta celebrando la Pasqua in carcere, sta
celebrando la festa del Signore, la festa del Messia, del Figlio
intronizzato, l’evento che si è compiuto una volta per tutte, che ha
un valore universale, quell’evento che esprime la fecondità
dell’Amore vittorioso, per tutti i miserabili figli di Adamo che
crepano come vermi.
“In quella notte…Pietro, legato con due catene, stava dormendo,
mentre davanti alla porta le sentinelle custodivano il carcere” (v. 6). C’è
una porta. Quando c’è Pietro c’è sempre una porta, questa volta è la
porta di un carcere. È notte e Pietro sta dormendo, legato con due
catene, in mezzo a due soldati. Ricordate il racconto del c. 2 della
Genesi? Adamo dormiente nel giardino. E ricordate nel Vangelo
secondo Giovanni, il nuovo Adamo, Gesù, dormiente, appeso alla
croce? Nel racconto della passione, in tutti e quattro i Vangeli, Gesù
è il nuovo Adamo che si addormenta nella morte mentre pende
dalla croce, in mezzo ai due malfattori.
“Ecco gli si presentò un angelo del Signore e una luce sfolgorò nella
cella…” (v. 7). Toccò il fianco di Pietro e lo destò. Notate che il
termine angelo in greco, anghelos, ha la stessa assonanza del termine
vangelo. È Pietro che sta custodendo in se stesso la fecondità
dell’Evangelo. Pietro sta scoprendo, sta verificando, dal di dentro
della sua drammatica situazione in cui è precipitato, sta
sperimentando qual è la folgorante energia dell’Evangelo. Questo
Lettura spirituale degli Atti degli Apostoli - 36
vale per lui, vale per ogni povero figlio di Adamo, di oggi e
domani, ovunque si trovi, per ogni pover’uomo di questo mondo,
che è trattato come poltiglia da schiacciare.
Un angelo del Signore: ricordate il famoso oracolo messianico?
Isaia c. 9, è la prima lettura della messa di mezzanotte a Natale: “Il
popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce, su coloro che
abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse”. È Pasqua ma è anche
Natale: è tutto!
È la luce del Signore vivente, è la luce del Messia glorioso, è la
luce dell’Evangelo che coinvolge tutti gli uomini, discendenti
dall’antico Adamo, nell’evento nuovo di cui è portatore il nuovo
Adamo. La luce sfolgorò nella cella e l’angelo toccò il fianco di
Pietro, colpisce il fianco. Ricordate l’antico Adamo che è colpito al
fianco e dal fianco viene tratta Eva? Il termine fianco compare nel
NT solo un’altra volta, in Giovanni 19,34, viene colpito con la lancia
il fianco del Signore dormiente, che pende dalla croce. È il sonno
del nuovo Adamo, dal cui fianco sgorgano sangue ed acqua,
l’umanità nuova che ormai è compagna del Messia.
Il Messia attraverso la morte ha legato a sé, ha sposato a sé
ogni creatura umana, ha instaurato un vincolo di comunione che
riguarda tutti gli uomini, perché nessun uomo sfugge, nessun uomo
può sottrarsi a questo rapporto di comunione con Lui, che è
sigillato mediante la morte. Gli uomini muoiono, ieri, oggi e
domani, bianchi e neri, in ogni parte della terra, tutti muoiono e
Cristo, attraverso la morte, li incontra tutti, perché, avendo sposato
la nostra umanità segnata dalla morte, ci ha incontrati proprio lì e ci
incontrerà tutti per coinvolgerci nella sua risurrezione.
In carcere Pietro sta celebrando la Pasqua, non come un rito,
ma come il momento decisivo della sua conversione evangelica. Un
fianco squarciato: Pietro si sveglia, ricordate? Al risveglio
dell’antico Adamo: “ossa delle mie ossa, carne della mia carne”.
Ricordate anche Maria di Magdala nel giardino, c. 20 di Giovanni?
Adesso è il risveglio di Pietro, di un cristiano che celebra la Pasqua.
Le catene gli caddero dalle mani e l’angelo dice a lui: “avvolgiti il
Lettura spirituale degli Atti degli Apostoli - 37
mantello e seguimi!” Pietro prese a seguirlo ma non si era accorto che
era realtà quello che stava accadendo.
Vedete, si è svegliato ma mica tanto, anche noi siamo così.
Questo fa parte del carisma petrino! Credeva infatti di avere avuto
una visione: ma è proprio vero che l’umanità è redenta? È proprio
vero che l’umanità è amata, che tutti i miserabili figli di Adamo, che
muoiono come fango della terra e ritornano alla terra, sono redenti
dalla morte, che ogni creatura umana è salvata dalla morte? È
proprio vero, constata Pietro, perché anche per un solo figlio di
Adamo, peccatore, miserabile, il Figlio di Dio è morto ed è risorto,
lo Spirito di Dio è stato effuso, la paternità di Dio si è squarciata, il
grembo della paternità di Dio si è spalancato.
Credeva di avere una visione ed invece è la realtà. Questo
capita anche a noi: andiamo a caccia di visioni ma intanto la realtà è
immensamente più grande delle visioni. La realtà è che per ogni
povera creatura umana di questo mondo la visita di Dio si è
compiuta e noi siamo sottratti alla morte.
Oltrepassarono la prima guardia, arrivarono alla prima porta,
poi alla seconda. Vedete come si aprono le porte? Arrivò alla porta
di ferro che immette in città e la porta si aprì da sé,
automaticamente. Uscirono, percorsero una strada e ad un tratto
l’angelo si dileguò da lui e rimase solo Pietro, in giro per la città.
Interessante anche questo, perché quando Adamo si sveglia nel
giardino, accanto a sé ha la compagna, Eva. Adesso Pietro si sveglia
e accanto a sé ha la città, la periferia di una città, i vicoli di una città,
i palazzi di una città, le casupole di una città, accanto a sé ha “carne
della mia carne e sangue del mio sangue”. Ha accanto a sé il mondo.
Pietro rientrato in sé. Anche questa espressione richiama il c.
15 di Luca, la famosa parabola del Padre misericordioso e del figlio
che se ne va in una città lontana e poi, rientrato in sé, ritorna.
Questo è il momento forte di conversione evangelica. Pietro dice:
“Ora sono veramente certo che il Signore ha mandato il suo angelo e mi ha
strappato dalla mano di Erode e da tutto ciò che si attendeva il popolo dei
giudei” (v. 11). Questo vale per ogni altro figlio di Adamo, ieri, oggi
Lettura spirituale degli Atti degli Apostoli - 38
e domani. Vale per ogni piccola creatura umana, misera e
sconosciuta. Mi sono reso conto che è tutto vero. E dopo aver
riflettuto si recò alla casa di Maria. Questa Maria è la madre di
Giovanni, detto anche Marco, ed è sorella di Barnaba: nella sua casa
si raccoglie la comunità dei discepoli che stanno celebrando la
Pasqua.
E adesso Pietro si reca nella casa di questa Maria. Pietro è
dietro una porta chiusa e questa porta è la porta della Chiesa, è la
casa di Maria, là dove sono raccolti i discepoli in preghiera, perché
stanno celebrando la Pasqua. E questa volta Pietro non è più nella
condizione di chi, accompagnato dalla Chiesa, sostenuto dalla
Chiesa, visita la casa di Cornelio, apre la porta per entrare, nella
prospettiva di evangelizzazione rivolta al mondo pagano. Adesso
Pietro, dall’esterno, bussa alla porta della Chiesa: dall’esterno, come
un mendicante di questo mondo, come uno degli innumerevoli
poveri e viandanti di questo mondo che sono dispersi nelle
avventure più inenarrabili. Bussa dall’esterno perché quella porta si
deve aprire.
Anche questo è proprio del ministero petrino. C’è una
evangelizzazione che è sempre necessaria, sempre urgente proprio
per la Chiesa. E questa volta Pietro si presenta e bussa a alla porta
della Chiesa, perché vuole che quella porta si apra, e lo fa in nome
di ogni povero figlio di Adamo che è stato liberato. Perché per ogni
povero figlio di Adamo Gesù è stato inchiodato, Gesù è stato
tradito, Gesù è morto ed è risorto.
Anche per noi, nella notte della veglia pasquale, tutto comincia
all’esterno. Nelle nostre Chiese, di rito latino, si fa così: si accende
un fuoco all’esterno, la chiesa è al buio e dall’esterno si entra
nell’edificio, che ha un valore simbolico ed esprime l’assemblea. Nel
rito delle Chiese orientali si bussa alla chiesa che è chiusa, con un
crocifisso in mano, finché non si apre. Perché? Per simboleggiare
che Pietro bussa ancora alla porta della Chiesa. Perché la Chiesa
deve essere sempre evangelizzata e rievangelizzata, perché anche
per la Chiesa è inesauribile l’attualità del Vangelo. Troviamo qui
Lettura spirituale degli Atti degli Apostoli - 39
Pietro che bussa perché si tratta di rilanciare con energia, con
pazienza, con coraggio l’opera di evangelizzazione che è diretta alla
stessa Chiesa, la quale, nello stesso tempo, accompagna Pietro
nell’evangelizzazione rivolta ad Israele, rivolta ai popoli pagani.
“Appena ebbe bussato alla porta esterna una fanciulla di nome Rode,
si avvicinò per sentire chi era, riconosciuta la voce di Pietro quella giovane
non aprì” (v. 13). La porta non si apre. Si è aperta la porta del carcere
automaticamente, si sono aperte tutte le porte, tutti i soldati si sono
tirati indietro, Pietro si è trovato in mezzo alla città, dopo essere
stato trattenuto in un pozzo oscuro e ora la porta della Chiesa non
si apre. C’è Pietro! Tu vaneggi, sei pazza, le dicono. È la stessa cosa
che dicono alle donne che sono andate al sepolcro: siete pazze!
Ma la ragazza insiste, nel frattempo stanno pregando proprio
per Pietro. Povero Pietro! Preghiamo per lui, noi siamo solidali,
vicini a lui, ma intanto lui sta bussando alla porta, come un
mendicante bisognoso e noi non gli apriamo. Ma Pietro continua a
bussare finché la porta non si apre, perché questo è il suo ministero:
Aprire la porta della Chiesa!
“Questi intanto continuava a bussare” (v.16). E quando
finalmente aprirono la porta e lo videro, Pietro fece segno con la
mano di tacere, segno che non ha tempo da perdere. Vedete non c’è
bisogno di commenti, non c’è bisogno di spiegazioni, di interviste.
Fece cenno di tacere e narrò come il Signore lo aveva tratto fuori dal
carcere e disse: “riferite questo a Giacomo”. Si tratta di Giacomo il
minore, perché Giacomo maggiore è stato già ucciso da Erode.
Questo Giacomo, parente di Gesù, svolge un ruolo prestigioso nella
prima comunità a Gerusalemme. Pietro dice: “Riferite questo a
Giacomo e ai fratelli e si incamminò verso un altro luogo” (v. 17).
Non ha tempo da perdere perché ormai davanti a lui si apre
uno spazio immenso. Partì verso un altro luogo. Quale luogo? Non
c’è bisogno di precisare perché siamo di fronte ad un affaccio che
non ha più confini, sia per quanto riguarda l’estensione
dell’orizzonte sia per quanto riguarda l’intensità del cammino che
bisogna fare, perché si tratta di scavare nel fondo del cuore umano.
Lettura spirituale degli Atti degli Apostoli - 40
Estensione ed intensità: un altro luogo. Pietro ha aperto un’altra
porta: la casa di Maria, la Chiesa. E ora va, esce di scena.
È vero che nel racconto degli Atti, Pietro rispunta ancora nel
capitolo 15, ma è una comparsa che fa da sponda a un discorso che
di per sé è ormai completo: l’universalità dell’evangelizzazione.
Nel frattempo, nel racconto degli Atti, come sappiamo, è
segnalata la presenza di Saulo e quando Pietro bussa alla porta di
quella Chiesa, la casa di Maria, sorella di Barnaba, sapete che in
quella casa c’era anche Paolo, anche lui era tra quelli che stavano
celebrando la Pasqua, perciò anche Paolo viene evangelizzato da
Pietro.
Atti 9: La conversione di Saulo
Teniamo sempre presente la figura di Pietro, una figura che è
presente anche quando se ne va’. Nel c. 12, leggevamo ieri, che
Pietro sparisce, ma è presente. Rimane anche quando non c’è.
Perché Pietro apre le porte e quando sparisce vuol dire che sta
aprendo una porta più grande, una porta che ancora non vediamo.
Diceva al v. 17 del c. 12: “poi uscì e si incamminò verso un altro luogo”,
uscì e si incamminò verso un altro luogo. Queste sono parole molto
studiate. Il nostro evangelista Luca è teologo, è iconografo, dipinge
con le parole.
Adesso noi spostiamo l’attenzione verso Paolo ma non
possiamo mai dimenticare Pietro. Abbiamo già incontrato il nome
di un personaggio che si chiama Saulo. Alla fine del c. 7 e alla fine
del c. 8 mentre Stefano subiva il martirio, Saulo… Solo un accenno
ma un accenno insistente perché il nome di Saulo compare tre volte
di seguito: Saulo, Saulo, Saulo. È vero che il nome di questo
personaggio viene citato per individuare un atteggiamento di
opposizione di rifiuto, anzi un atteggiamento di violenza … Ora
Saulo ricompare all’inizio del c. 9.
Chi è questo Saulo? “Saulo sempre fremente minaccia e strage
contro i discepoli del Signore, si presentò al Sommo Sacerdote e gli chiese
Lettura spirituale degli Atti degli Apostoli - 41
lettere per le Sinagoghe di Damasco al fine di essere autorizzato a condurre
in catene a Gerusalemme uomini e donne, seguaci della dottrina di Cristo”
(vv. 1-2). Saulo è un giudeo molto impegnato, è un giovane
studioso, è teologo pieno di fervore, di fervore pastorale. È un
uomo generoso e con tante capacità di ordine intellettuale e con
tanta energia. È un uomo con dei problemi di ordine teologico, di
ordine pastorale: il suo problema fondamentale è il problema della
salvezza. Come avviene che Dio salva il mondo?
È il tema della giustificazione come dirà poi nelle sue lettere.
La giustificazione, la salvezza, l’opera di Dio per la salvezza del
mondo. Paolo è convinto che l’opera di Dio per la salvezza del
mondo si compie attraverso quella particolare vocazione che è stata
assegnata al popolo dell’Alleanza, Israele. La salvezza per gli
uomini di questo mondo, per tutta l’umanità, dipende dalla risposta
di Israele alla sua vocazione. Dio salva il mondo in Israele,
attraverso Israele.
Proprio perché i fedeli del popolo di Dio realizzano
pienamente la propria vocazione, proprio perché il popolo
dell’Alleanza è consacrato all’osservanza della legge, il mondo è
salvato. Ecco che attraverso Israele, in forza dell’osservanza dei
precetti, in cui sono impegnati e a cui sono tenuti i fedeli di Israele,
Dio salva tutti. Per questo l’osservanza dei precetti per un uomo,
per un credente, per un teologo, per un testimone così generoso nel
servizio pastorale come è Paolo, l’osservanza dei precetti della legge
non è una questione di fanatismo moralistico, individualistico, per
la salvezza personale. L’osservanza dei precetti della legge per un
uomo come Paolo è una missione per la salvezza del mondo, perché
nel suo quadro teologico Dio salva l’umanità attraverso quella
particolare missione che ha affidato al popolo dell’Alleanza
d’Israele.
Se noi ebrei, pensa Saulo, siamo coerenti, premurosi, autentici
nell’osservanza della legge, dunque nel rispondere a Dio che ha
fatto alleanza con noi, se noi siamo al nostro posto, Dio salva tutti. Il
fatto è che poi, come Paolo dice nelle sue lettere, questa osservanza
dei precetti della legge non si riesce a vivere. Allora il dramma,
l’angoscia, il turbamento e d’altra parte l’accanimento, l’insistenza,
Lettura spirituale degli Atti degli Apostoli - 42
la passione… di un vero giudeo, di un vero osservante… Paolo sta
ragionando su queste cose, sta rimuginando questi pensieri, gli
bollono dentro le domande sulle questioni teologiche, pastorali.
Sulla strada di Damasco. Siamo sempre più lontani da
Gerusalemme. Lo schema geografico del racconto, su cui insistevo,
è puntualmente confermato. Nel c. 8 siamo usciti da Gerusalemme.
Filippo si sposta in Samaria, poi scende verso Gaza, poi risale verso
Cesarea. Più avanti nel c. 10, Pietro si sposta a Giaffa, poi a Lidda e
a Cesarea. Adesso Paolo a Damasco.
Intanto a Damasco c’è qualcuno che ha aderito al nome di
Gesù, che ha dedicato la propria vita all’incontro con Gesù. Già a
Damasco Gesù è riconosciuto Messia, Gesù é il Signore. Ancora il
linguaggio non è chiaro, ancora la dottrina non è elaborata ma la
vita si esprime in questi termini. La relazione con Gesù, Messia e
Signore, la relazione con Lui che ha vinto la morte, la relazione con
lui ci fa vivere. Si intravede quella prospettiva di una vita nuova e
una salvezza per tutti gli uomini attraverso la relazione con Gesù. È
risorto dai morti perché Gesù è Messia e Signore. Si intravede tutto
quello che Luca ci racconta e che si svolge all’interno del popolo di
Israele, nelle sue diverse componenti.
Ma c’è già qualcuno a Damasco che segue la via di Gesù e
Saulo va a Damasco con l’incarico di reprimere questi seguaci della
“dottrina” di Gesù. Paolo è tutto preso dalla preoccupazione di
raccogliere quelli del suo popolo, in una prospettiva di impegno
sempre più risoluto e sempre più intransigente nell’osservanza
della legge, perché altrimenti si disperdono le forze, perché ci si
smarrisce per la strada, perché così si perde l’appuntamento con la
missione che Dio ci ha affidato, la nostra missione rinnegata, tradita
e così via.
Proprio
mentre
nell’animo
di
Saulo
si
agitano
tumultuosamente tutte queste preoccupazioni, c’è una folgorazione,
la luce. È come un lampo e, notate bene, che è una luce che riduce
Saulo alla cecità. Saulo rimane al buio, Saulo è cieco, Saulo non
vede, però è una luce. Per adesso è solo un lampo improvviso, ma è
proprio un ribaltamento completo della prospettiva. Come avviene
Lettura spirituale degli Atti degli Apostoli - 43
che Dio salva gli uomini? Come avviene che la misericordia di Dio
riporta gli uomini alla pienezza della vita? Nella teologia di Saulo
questo avviene attraverso l’impegno del popolo di Israele, il popolo
della legge che è tenuto all’osservanza della legge.
Ma se la salvezza degli uomini passa attraverso Gesù,
attraverso di Lui, in Lui, in forza di Lui che è il Cristo, che è il
Signore, allora è il ribaltamento di tutto. Non è in forza delle
osservanze della legge a cui è tenuto il popolo di Israele, ma in
forza di Gesù, morto e risorto, Messia di Israele, Signore di tutti. Per
Saulo questo è un momento in cui si illumina tutto ma è anche vero
che ancora non riesce a dire niente, non riesce a spiegare però si
illumina tutto e si ribalta tutto.
Saulo è stato formato alla scuola di Gamaliele e sa tante cose.
Conosce i discepoli del Signore e li combatte proprio perché li
conosce, sa anche quali sono le loro convinzioni. Saulo è formato e
adesso la prospettiva si ribalta. Ha passato la sua vita a combattere
contro quei tali, i discepoli di Gesù, di cui conosce benissimo che si
sono impegnati nella relazione con Gesù e, adesso, avviene in lui un
ribaltamento.
Ora, all’improvviso, Saulo si rende conto che: “proprio colui
che io rifiuto, colui che io voglio contestare, colui contro il quale io
voglio combattere, proprio colui che io rinnego con tutta la mia
forza, proprio Lui mi accoglie”. “Saulo, Saulo perché mi perseguiti?”.
“Chi sei Signore?” (vv. 4b-6)… Signore… “io sono Gesù che tu
perseguiti. Alzati e va’ in città e ti sarà detto che cosa devi fare”. Vedete il
ribaltamento è completo. Paolo combatte contro Gesù attraverso
quei discepoli che nel nome di Gesù si raccolgono, nel nome di
Gesù battezzano, nel nome di Gesù evangelizzano. Nella relazione
con Gesù vivono.
Per combattere contro Gesù, Paolo ha impegnato la sua vita.
Quel che conta è l’osservanza dei precetti. Quel che conta è che
Israele sia radicato nell’impegno dell’Alleanza per la salvezza del
mondo.
Gesù, il Crocifisso, Gesù, lo svergognato, Gesù, quel
personaggio disonorato… e Paolo sa bene queste cose. Paolo non ha
conosciuto direttamente Gesù ma sa bene come sono andate le cose.
Lettura spirituale degli Atti degli Apostoli - 44
Ma ora comprende che proprio lui è lo strumento di Dio per
accogliere gli uomini, per contenere il mondo, per ricapitolare la
storia umana in un unico disegno di salvezza. Proprio colui che è
stato rifiutato, proprio colui che io ho rifiutato, proprio colui che io
rifiuto, proprio lui è la rivelazione dell’amore di Dio che mi ha
accolto.
In questa rivelazione dell’amore di Dio, che mi accoglie, vi è lo
spazio per accogliere tutto il mondo, perché lo spazio è in Cristo
Signore, attraverso di Lui. La cosiddetta conversione di Saulo,
assume le caratteristiche di una fondamentale, radicale, esperienza
di debito. Saulo scopre intimamente, profondamente, radicalmente
di essere un debitore. Per un uomo serio come Paolo, un credente
fino all’impegno più assoluto della legge, questo è un ribaltamento
totale. L’opera di salvezza, secondo le intenzioni di Dio, si compie
non secondo le osservanze a cui è tenuto il popolo dell’Alleanza ma
per la sua gratuita iniziativa d’Amore realizzata in Cristo.
Non perché c’è un privilegio per noi a danno degli altri, ma
perché attraverso questo nostro privilegio è l’umanità intera che ne
trarrà vantaggio, una responsabilità missionaria fin dall’inizio per
Paolo. Il disegno della misericordia di Dio, che giustifica le sue
creature per riportarle alla pienezza della vita, questo disegno si è
compiuto mediante quella visita, che ha come protagonista Gesù, il
Figlio rifiutato, schiacciato, rinnegato, tradito, ucciso. L’opera della
salvezza, rivelazione di Dio e della sua misericordia universale,
riguarda me e riguarda tutti gli uomini, nella gratuità.
Nella gratuità piena, Saulo scopre di essere debitore. “Io sono
Gesù che tu perseguiti”. Quel Gesù, che tu perseguiti, è il Signore che
ricapitola la storia di tutti gli uomini peccatori, tutti gli uomini che
rifiutano, tutti gli uomini che muoiono, all’interno di un disegno di
misericordia. Gesù, che tu perseguiti, è proprio lui che si prende
cura di te, che vuole te, che cerca te, che ama te, che salva te. Me!
Questo è il senso della storia umana, questo è il senso della storia
della salvezza.
Saulo scopre di essere un uomo debitore, un debitore nei
confronti di Dio. Ancora tante cose non le sa, tanto è vero che
Lettura spirituale degli Atti degli Apostoli - 45
rimane come muto, cieco e non sa come muoversi. Qualche volta
pensando alla conversione di Saulo sulla via di Damasco, pensiamo
a un personaggio che subito si lancia in una avventurosa opera di
conquista. Qualche volta anche noi diciamo: capitasse anche a me
come è capitato a Saulo sulla via di Damasco, allora sì che mi
convertirei! In realtà un uomo veramente convertito come è Saulo,
non fa una bella figura.
Cosa fa Saulo? Non sa fare niente. Rimane imbambolato,
schiacciato, tutto stralunato, steso a terra, non ci vede, non sa dove
andare, e noi diciamo: magari capitasse anche a me, allora sì che
avrei le idee chiare. Invece Saulo non ha le idee chiare, non sa dove
sbattere la testa. Ma perché? Perché la conversione non è un fatto
ideologico, è un incontro vitale, personale, con Cristo.
Sapete che cosa succede? Ci sono altri con lui nella carovana:
hanno udito dei rumori ma non vedono niente. Paolo parla da solo.
Se uno parla da solo per la strada, è un matto. E non vedono
nessuno, e Saulo si alza da terra, apre gli occhi, ma non ci vede.
Ecco come vanno le cose quando uno si converte. Un uomo che non
sa come muoversi, uno che non sa decidersi, un uomo che non
trova il linguaggio adatto per spiegare quello che gli è successo.
Allora presolo per mano lo conducono a Damasco: ci sono altri
che si prendono cura di lui. “Guidandolo per mano lo condussero a
Damasco, dove rimase per tre giorni senza vedere, senza prendere né cibo
né bevanda.” (vv. 8b-9). C’è qualcuno che l’ha preso per mano.
Badate bene che se non l’avessero preso per mano, Saulo sarebbe
rimasto là. Un uomo che si converte è un debitore! Sullo sfondo
possiamo vedere questa esperienza di un debito assoluto, in
rapporto ad un disegno d’amore che è gratuito. Si è rivelato a noi
quel disegno d’amore attraverso la visita di Dio, attraverso il Figlio,
Gesù, che è il Cristo ed il Signore. Gesù, che è stato rifiutato, che è
morto. In quella prospettiva, su quello sfondo, c’è qualcuno che mi
prende per mano e mi porta a casa.
A Damasco, Saulo sta tre giorni senza mangiare e senza bere.
Ancora il problema non è risolto, ma intanto ci sono quelli che
l’hanno preso per mano. Se non c’è qualcuno che si prende cura di
Lettura spirituale degli Atti degli Apostoli - 46
me, che ha pietà di me, che mi sopporta, che mi raccoglie sulla
strada quando io sono un derelitto qualunque... Ma io sono il
grande Saulo… Tu sei un mentecatto qualunque. Se non c’è
qualcuno che si prende cura di un mentecatto, che parla da solo per
la strada, se non c’è qualcuno che ti prende per mano, non sai dove
andare!
La storia del nostro Saulo adesso procede secondo questo
schema, lungo questo filo conduttore: l’esperienza del debito. Man
mano che dietro a Saulo delle porte si chiudono (ricordate che
davanti a Pietro invece le porte si aprono). Adesso invece dietro
Saulo si chiudono delle porte. E’ un po’ diverso. Per Pietro porte
che si aprono, per Saulo porte che gli si chiudono dietro le spalle. E
lui che non sa dove sbattere la testa, lui che è costretto a
sperimentare che cosa vuol dire essere debitore.
Adesso si trova a Damasco e a Damasco c’era un discepolo che
si chiama Anania. Compare qui un altro personaggio, uno dei
piccoli personaggi che però nello stesso tempo sono grandi. Questo
Anania, in preghiera, riceve un messaggio: va a trovare Saulo, abita
in quella casa. Anania è informato perché i discepoli se
l’aspettavano e sanno che Saulo è venuto a Damasco per reprimere,
per contrastare, per giudicare, ha le carte in regola, è stato incaricato
addirittura dal Sommo Sacerdote per fare questa opera di controllo.
Anania ha tutte le buone ragioni per starsene alla larga, altro che
andare a trovare Saulo! Io so- dice Anania – che lui è venuto
apposta per disturbare il nostro cammino di vita.
Cosa ne sa Anania di quello che è successo per strada! Anche
Saulo, da parte sua, non riesce a trovare le parole per spiegare che
cosa gli è successo. Ebbene, il Signore disse ad Anania: “Va’ ” E
quando Anania va’ “entrò nella casa, impose le mani e disse: Saulo
fratello mio” (v. 17).
Questo gesto di Anania, Saulo non lo dimenticherà mai. C’è
qualcuno che lo ha chiamato “fratello” quando aveva tutte le buone
ragioni per mantenere le distanze o, in quel momento di debolezza,
avrebbe potuto approfittare per fargli notare il suo errore. Anania
invece va’ e dice: ”Saulo, fratello mio, mi ha mandato a te il Signore che
ti è apparso sulla via per la quale venivi, perché tu riacquisti la vista e sia
Lettura spirituale degli Atti degli Apostoli - 47
colmo di Spirito Santo” (v. 17). Con Anania c’è tutta una piccola
Chiesa che si muove. Saulo, il convertito, è un uomo nuovo, che sta
imparando cosa vuol dire essere debitore, cosa vuol dire essere
gratuitamente avvicinato, gratuitamente interpellato, gratuitamente
accompagnato, come quelli che l’hanno preso per mano. Con
Anania c’è tutta una piccola Chiesa, che si rivolge a lui nei termini
di un rapporto fraterno: “Saulo fratello mio!”.
E adesso Saulo riacquista la vista, poi il battesimo, poi mangia
e beve e le forze ritornano, poi subito si dà da fare a Damasco. Nella
lettera ai Galati, Paolo dice che in realtà passano tre anni. Nel
racconto degli Atti degli Apostoli gli avvenimenti sono concentrati:
a Damasco subito proclamava che Gesù era Figlio di Dio. Intanto la gente
si commuove, ci sono quelli preoccupati, poi ci sono altri che invece
sono interessati.
Al v. 22 “Saulo si rinfrancava sempre di più e confondeva i Giudei
residenti a Damasco dimostrando che Gesù è il Messia, che Gesù è il
Cristo. Trascorsero così diversi giorni e i giudei fecero un complotto per
ucciderlo.” Dunque a Damasco le cose si mettono male per Saulo. Un
complotto per ucciderlo. Ma i loro piani vennero a conoscenza di
Saulo. Essi facevano la guardia anche alle porte della città di giorno
e di notte per sopprimerlo, ma i discepoli di notte lo presero e lo
fecero discendere dalle mura calandolo su una cesta. Non è una
partenza gloriosa, non è un comportamento molto eroico. Però c’è
qualcuno che gli ha chiuso la porta dietro le spalle e lui passa oltre e
dall’alto delle mura si fa calare dentro una cesta e se ne va’. Una
porta chiusa dietro le spalle.
È successo questo e intanto ci sono quelli che l’hanno
accompagnato e gli hanno consentito di allontanarsi. Certamente la
vita di Saulo è cambiata, ma non dimenticate mai che
l’organizzazione della sua vita, l’interpretazione della sua vita è
cambiata man mano che Saulo ha imparato a ringraziare perchè
qualcun altro si è gratuitamente preso cura di lui. E sullo sfondo
vedete il mistero di Dio, che gratuitamente si è preso cura di lui. In
Gesù, che è il Cristo, che è il Signore, in Lui la visita di Dio si è
compiuta. Quelli che l’hanno preso per mano, Anania che è andato
a visitarlo e ha detto “Saulo fratello mio”.
Lettura spirituale degli Atti degli Apostoli - 48
E adesso siamo a Gerusalemme. “Venuto a Gerusalemme cercava
di unirsi con i discepoli” (9,26). È una scena interessante questa.
Cercava di inserirsi nella comunità. Saulo sembra dire: amici miei,
io mi sono convertito, ora datemi spazio perché io ho tante energie.
Sono pieno di slanci e di entusiasmi e adesso datemi spazio.
Sapete che cosa succede, invece? Quando bussa per entrare
nella Chiesa di Gerusalemme, dove era conosciuto bene, tutti hanno
paura di lui, non credendo ancora che fosse un discepolo. Infatti
Saulo aveva vissuto per anni a Gerusalemme e conosce quelle
persone, ma esse non si fidano di lui. Questa esperienza è poi
condivisa da tanti cristiani che cercano la Chiesa ma non la trovano.
Cercano un po’ di spazio ma non lo trovano.
Ci sono anche dei motivi per cui avere paura e i discepoli
hanno le loro ragioni. Saulo è un mendicante che chiede di essere
accolto nella Chiesa di Gerusalemme e sa bene che non ha le carte
in regola.
Atti 11-12: Barnaba, il dono della mediazione
Per quanto ne sappiamo, Saulo sarebbe ancora là se non fosse
intervenuto un altro gesto di gratuità. E chissà quanti ancora, in
giro per il mondo, quanti altri poveri cristiani come Saulo stanno
chiedendo, alla maniera dei mendicanti, di essere accolti nella
Chiesa, e mancano coloro che sono attenti a queste richieste!.
Quante energie sprecate e quante possibilità di servizio e di crescita
nella fede, e quanti carismi dispersi per questa mancanza!
Saulo è un mendicante che chiede di essere accolto nella
Chiesa di Gerusalemme. A Gerusalemme c’era un certo Barnaba.
Altro piccolo personaggio, che poi diventa grandissimo, è Barnaba
che prende Saulo con sé. Barnaba che, in verità si chiama Giuseppe
e il suo sopranome è Barnaba, figlio della consolazione, è un
consolatore nato, una di quelle persone che sono buoni d’animo.
Questo Barnaba è un uomo amante delle mediazioni, è un uomo
che cerca le soluzioni pacificanti, è uno fatto così.
Lettura spirituale degli Atti degli Apostoli - 49
Sapete cosa fa Barnaba? Va’ e dice agli apostoli: “garantisco io
per lui” e racconta che cosa è accaduto. Fa un gran discorso.
“Barnaba lo prese con sé, lo presentò agli apostoli e raccontò loro come
durante il viaggio aveva visto il Signore che gli aveva parlato, e come in
Damasco aveva predicato con coraggio nel nome di Gesù. Così egli poté
stare con loro e andava e veniva a Gerusalemme, parlando apertamente nel
nome di Gesù, e parlava e discuteva con gli Ebrei di lingua greca” (9,2729a) dunque vedete ancora una volta Saulo è debitore. Se non fosse
stato per Barnaba, Saulo sarebbe ancora là. Cosa capita agli uomini
veramente convertiti!
Io pensavo che per diventare san Paolo bisognasse sfoderare la
spada e tenerla ben affilata e scintillante, invece per diventare san
Paolo bisognava scoprire e sperimentare fino in fondo cosa vuol
dire essere un debitore. Infatti sono un mendicante che non ha
diritto a niente. E gratuitamente lo hanno preso per mano: Anania,
lo ha preso per mano, Barnaba, che a Gerusalemme garantisce per
lui, si è preso la briga di ascoltarlo, di parlare, e poi simpatizzava,
perché Barnaba era un uomo tanto disponibile all’ascolto, e ha
capito il valore di questa persona. Gli ha dato tempo perché potesse
esprimersi, potesse dire.
Saulo a Gerusalemme si dà da fare, perché comincia a
ripensare le cose, comincia a elaborare una catechesi, comincia a
chiarire, perché è un teologo nato. Saulo è teologo per formazione,
ma già istintivamente e naturalmente Saulo è un teologo, nella
radice della sua vita. Ha delle competenze in materia e subito si dà
da fare, si mette a discutere di qua e di là.
Ma gli ebrei di lingua greca “tentarono di ucciderlo” (9,29b).
Sapete cosa succede qui? Succede che, chi lo aveva accolto nella
Chiesa, che sono poi le autorità della Chiesa madre di
Gerusalemme, dicono: noi abbiamo già molti problemi per conto
nostro, adesso che sei arrivato tu i problemi sono aumentati. Torna
a casa. È vero che Barnaba è intervenuto, ci ha spiegato, capiamo
bene tante cose. Ma è meglio che vai via. “Venutolo però a sapere i
fratelli, lo condussero a Cesarèa e lo fecero partire per Tarso.” (9,30).
Lettura spirituale degli Atti degli Apostoli - 50
Questa è la narrazione, che è sempre carica di sapienza
teologica. C’è un’altra porta che si chiude. Questa volta è la porta
della Chiesa di Gerusalemme. Vai a Tarso. Tarso è in Cilicia, nella
penisola anatolica. Sparisci di qua. Subito dopo Luca dice: “La
Chiesa era dunque in pace per tutta la Giudea, la Galilea e la Samaria”.
Luca è un narratore un po’ umorista: finalmente Saulo se ne andato,
adesso sì, che si respira e possiamo fare cose serie.
La Chiesa “cresceva e camminava” (9,31a) indubbiamente c’è
una crescita “nel timore del Signore, colma del conforto dello Spirito
Santo.” (9,31b). Intanto Saulo si trova a Tarso e per quanto ne
sappiamo a questo punto, la carriera di Saulo è finita, fine della
corsa, binario morto. Saulo rimase a Tarso una decina di anni e ci
risiede stabilmente.
Ma come? Saulo deve evangelizzare i pagani, Saulo deve
andare in giro per il mondo a fondare le Chiese e c’è bisogno
proprio di una evangelizzazione teologicamente fondata, e invece
rimane dieci anni a Tarso. A fare che cosa? Niente! Avrà rimesso in
piedi l’azienda di famiglia: la tessitura delle coperte, dei tappeti, poi
la preghiera, lo studio: è tutto lì! Per 10 anni Paolo sta in pace. Che
strano! Qui bisogna evangelizzare il mondo e Saulo, la cui vita è
cambiata in modo così completo, così radicale, vive nascosto, a
Tarso, in silenzio! Nessuno ne sa più niente per molto tempo.
Mentre Pietro si muove da Gerusalemme verso Giaffa, verso
Cesarea, Paolo, quest’uomo nuovo, è nascosto a Tarso, in silenzio:
studia, prega, lavora. Il c. 11 al v. 19 leggiamo: “Intanto quelli che
erano stati dispersi dopo la persecuzione scoppiata al tempo di Stefano,
erano arrivati fin nella Fenicia, a Cipro e ad Antiochia e non predicavano
la parola a nessuno fuorché ai Giudei”. Si rivolgono ad altri giudei
come loro, sempre nell’ambito della grande comunità che raccoglie
i figli di Israele. “Ma alcuni di loro, cittadini di Cipro e di Cirène, giunti
ad Antiochia, cominciarono a parlare anche ai Greci, predicando la buona
novella del Signore Gesù.” (v. 20).
Dunque ad Antiochia, che è una grande metropoli, (tra l’altro
anche Luca è di Antiochia), quell’episodio unico di conversione a
Cristo, accaduto a Cesarea, diventa un fenomeno di massa. Ad
Lettura spirituale degli Atti degli Apostoli - 51
Antiochia sono molti i pagani che si convertono. Predicano il
Vangelo del Signore Gesù anche ai greci. È un fenomeno di massa.
La cosa adesso non può più essere banalizzata. Il fatto è rilevante e
si impone.
A Gerusalemme sono preoccupati di queste conversioni di
massa e si chiedono cosa è successo. Le autorità della Chiesa madre
intervengono. “La mano del Signore era con loro e così un gran numero
credette e si convertì al Signore. La notizia giunse agli orecchi della Chiesa
di Gerusalemme, la quale mandò Barnaba ad Antiochia – la persona
adatta- Quando questi giunse e vide la grazia del Signore, si rallegrò e, da
uomo virtuoso qual era e pieno di Spirito Santo e di fede, esortava tutti a
perseverare con cuore risoluto nel Signore. E una folla considerevole fu
condotta al Signore.” (vv. 21-24).
Barnaba si rende conto che questo fatto nuovo, che cioè i
pagani si convertono in massa, esige un linguaggio nuovo, una
catechesi nuova, una teologia nuova, una capacità interpretativa
delle cose, ci vuole un discorso. Bisogna mettere a fuoco i temi
nuovi con la competenza necessaria. Succede allora che Barnaba si
ricorda di Saulo e pensa che ci vorrebbe uno come Saulo. Ma sono
passati diversi anni e Barnaba non sa nemmeno se Saulo sia vivo.
Si mette in viaggio, va a Tarso, lo cerca e lo trova e lo invita ad
andare con lui ad Antiochia perché c’è bisogno di uno come lui.
“Barnaba poi partì alla volta di Tarso per cercare Saulo e trovatolo lo
condusse ad Antiochia.” (v. 25) Ad Antiochia c’è bisogno di uno come
te! Saulo cede alle insistenze di Barnaba e rientra in scena, lo può
fare perché c’è chi lo ha cercato, perché c’è qualcun altro che si è
ricordato di lui.
Barnaba, un uomo modesto, è una figura di grandissimo
rilievo per il suo saper apprezzare le qualità di un altro, il suo saper
valorizzare Saulo. Se non ci fosse stato Barnaba, Saulo sarebbe
rimasto a Tarso. “Rimasero insieme un anno intero in quella comunità e
istruirono molta gente” (v. 26a) . Istruirono molti perché ora c’è Saulo.
Infatti, sono anni e anni che Saulo sta scrutando la Scrittura, che sta
pensando queste cose e che ha in mano la chiave teologica per
interpretare la questione pastorale. “Ad Antiochia per la prima volta i
Lettura spirituale degli Atti degli Apostoli - 52
discepoli furono chiamati Cristiani.” (v. 26b). Ormai è una realtà
presente che assume una sua autonomia. Prima la comunità dei
discepoli era una componente del popolo d’Israele, ora ha già una
sua fisionomia.
Le Chiese fuori di Gerusalemme godono di un benessere
sufficiente, più che sufficiente. Sono Chiese ormai caratterizzate
dalla presenza di pagani, sempre più numerosi. Queste Chiese
inviano a Gerusalemme degli aiuti, per un senso di debito nei
confronti della Chiesa madre, senso di responsabilità nei confronti
di questi poveri di Gerusalemme, che non sanno più come
sopravvivere. Gli aiuti inviati a Gerusalemme vengono affidati a
Barnaba e a Saulo: ”questo fecero indirizzandolo agli anziani, per mezzo
di Barnaba e Saulo” (v. 30).
Nel c. 12, leggiamo che a Gerusalemme avviene la carcerazione
e la liberazione di Pietro; Barnaba e Saulo sono a Gerusalemme e la
casa di Maria, madre di Giovanni, detto Marco, era la casa nella
quale sono ospitati anche loro, perché Maria è sorella o cognata di
Barnaba e Marco è suo nipote. Tutto quello che succede in quella
casa, quando Pietro si presenta e bussa, riguarda la Chiesa, ma
riguarda anche Barnaba e Saulo. Anche loro erano là, e quella volta
anche Saulo è stato evangelizzato da Pietro.
Una volta ancora, una volta in più, Saulo è debitore. È debitore
a quelli che lo hanno preso per mano lungo la strada, ad Anania che
l’ha chiamato “fratello mio”, a Barnaba che l’ha presentato alla
Chiesa, che è andato a cercarlo a Tarso molti anni dopo e l’ha messo
nel circuito della grande evangelizzazione ai pagani. In 12,24
leggiamo: “Intanto la parola di Dio cresceva e si diffondeva. Barnaba e
Saulo poi, compiuta la loro missione, tornarono da Gerusalemme
prendendo con loro Giovanni, detto anche Marco”. Quando, quella
volta, Pietro bussava alla porta, anche Saulo era là.
Ormai per Saulo, la vita è cambiata. Da quando Barnaba è
andato a cercarlo a Tarso, se l’è portato dietro ad Antiochia, la
caratteristica del nostro personaggio in questa prima fase della sua
vita cristiana, è riconoscibile in quella esperienza di debito, di un
dono gratuitamente ricevuto. Per cui c’è un debito, ci sono debiti
Lettura spirituale degli Atti degli Apostoli - 53
che si accumulano, che si aggiungono, uno sopra l’altro. Barnaba ha
interceduto per lui, Barnaba è andato a cercarlo a Tarso e si è
ricordato di lui, e ad Antiochia lo ha lanciato in un impegno
pastorale che il nostro Paolo nemmeno immaginava.
Adesso a Gerusalemme Saulo riceve da parte di Pietro una
lezione evangelica davvero fecondissima. Nello stesso tempo, alle
spalle di Saulo le porte si chiudono. Questo potrebbe significare
solitudine, una solitudine sempre più intensa, sempre più
drammatica. Porte che si chiudono a Damasco, a Gerusalemme, a
Tarso, e ad Antiochia. Porte che si chiudono e Saulo è spinto su
strade nuove, su strade sconosciute. Un senso di smarrimento
potrebbe paralizzarlo, eppure nell’esperienza di Saulo, proprio qui,
si manifesta la scoperta di un dono sempre nuovo.
Proprio nel momento in cui le porte si chiudono dietro di lui, e
non c’è più possibilità di tornare indietro, non c’è più retroterra,
non c’è più possibilità di ricorrere a un riparo, perché i ponti sono
bruciati alle sue spalle, proprio in quel momento Saulo sperimenta
la novità di un dono che si aggiunge al precedente e così lo spazio
della sua vita è sempre più largo e ha una esperienza interiore
sempre più commovente, sempre più profonda. Esperienza di un
cuore che si apre, di uno spazio che si allarga sempre di più, di un
cuore che respira ampio.
Ma non c’è Saulo senza Pietro. E’ anche vero che Pietro è
sbilanciato verso Saulo. Pietro l’abbiamo visto nel c. 12, quando
ormai affronta strade nuove, per cui sembra scomparire. Pietro
scompare non perché non ha più niente da fare, perché ormai
quello che ha da fare Pietro si chiama Saulo. Negli Atti degli
Apostoli siamo inseriti dentro un vortice, come un turbine, è un
circuito, è come un girotondo. I due personaggi che costituiscono le
figure dominanti sono appunto i due elementi che danno forma
essenziale a questo girotondo, Pietro e Paolo.
Poi ci sono tutti gli altri personaggi naturalmente, e non c’è
Pietro senza Paolo e viceversa e i due si rincorrono tra di loro e
ciascuno dei due ha bisogno dell’altro e allo stesso tempo ciascuno
si mette a disposizione dell’altro.
Lettura spirituale degli Atti degli Apostoli - 54
La vita cristiana è una cosa strana e d’altra parte è la novità, è
il frutto della visita di Dio. Non l’abbiamo inventata noi la vita
cristiana 4. La nostra relazione misteriosa con il Signore Gesù. Non
dimenticatelo mai, mentre siamo accampati nella miseria, la novità
di Dio è presente nella storia umana.
Nella vita cristiana c’è Pietro e c’é Paolo e noi siamo Pietro e
siamo Paolo. Quando cerchiamo Pietro, spesso abbiamo l’idea, che
cercare Pietro significhi trovare una specie di comandante che
gestisce l’istituzione e invece cerchiamo Pietro e troviamo l’uomo
che apre le porte e che corre. Abbiamo incontrato Paolo e l’idea che
abbiamo è che Paolo è il grande protagonista della missione per
evangelizzare il mondo! Questa idea l’abbiamo archiviata in
qualche angolo del cervello: grande protagonista della missione!
Ma Paolo è molto di più.
Infatti sono passati tanti anni e Saulo è rimasto a casa sua a
fare il tessitore di tende. Si è già convertito da un pezzo, ma prega,
studia, lavora. Nella strada di Damasco già è avvenuto tutto quello
che doveva avvenire, ma Saulo entra nel discorso in modo pieno e
maturo soltanto dopo molti anni, perché è debitore. Nel suo
servizio missionario, nella sua testimonianza, in quella che adesso
sarà la sua attività straordinaria, infatti nessuno può dimenticare,
nessuno può discutere o contraddire il valore straordinario della
opera di evangelizzazione promossa da Paolo, è vero, ma, in tutto,
egli è radicalmente debitore.
Qualche volta noi ragioniamo in questi termini: c’è l’istituzione
poi c’è la profezia, Pietro e Paolo. Negli Atti degli Apostoli
scopriamo che l’istituzione esplode profeticamente e la profezia è
radicalmente debitrice. La vita cristiana ci scappa di mano mentre
noi cerchiamo di stringere e afferrare altre cose, come i nostri
carismi, i cosìdetti carismi. Ma la vita cristiana è come un materiale
incandescente che viene da lontano dal mistero di Dio.
4
Noi ci inventiamo tante altre faccende, ci preoccupiamo di dividere carismi e contro carismi a
modo nostro. Ma queste cose sono invenzioni nostre: Dopo ci facciamo sopra i convegni, le divise,
anche pacchetti, fiocchetti, sono cose nostre, mentre invece la vita cristiana è opera di Dio, è
relazione misteriosa con il Signore Gesù.
Lettura spirituale degli Atti degli Apostoli - 55
Atti 13-20: I viaggi missionari di Paolo
Nel racconto degli Atti, dal c. 13, hanno inizio i grandi viaggi
missionari di Paolo. Viaggi che partono da Antiochia. Interessante
notare che c’è un spostamento da Gerusalemme verso Antiochia.
Gerusalemme rimane la Chiesa madre. Gerusalemme è certamente
punto di riferimento, però l’attività missionaria di Paolo si
appoggia sulla Chiesa di Antiochia, c’è uno spostamento del centro.
Il fatto è che nell’evangelizzazione il centro non sta nella sede
da cui dipende l’organizzazione, ma il centro sta sempre là dove
l’Evangelo incontra l’uomo, incontra la gente, incontra la storia
umana. La vita cristiana è sempre spostata. La vita cristiana,
l’equilibrio della Chiesa, la novità evangelica è sempre decentrata,
perché là dove l’Evangelo incontra la realtà del mondo, là “è oggi”,
là è il centro.
Antiochia, primo grande viaggio missionario che troviamo
raccontato nei cc. 13 e 14, poi si aggiunge il c. 15, da Antiochia ad
Antiochia. Notate alcuni particolari, nel corso di questo viaggio,
Saulo cambia nome, si chiama Paolo, da questo momento anche
ufficialmente “allora Saulo detto anche Paolo” (13,9), probabilmente si
chiamava già così, era il suo nome romano, Paolo. Paulus, in latino,
vuol dire piccolo. Con il nome Saulo c’è una certa assonanza, ed è
interessante che questo cambio del nome avvenga adesso, nel corso
del viaggio.
Tra l’altro Saulo e Barnaba hanno incontrato a Cipro una
personalità importante nel mondo amministrativo che si chiama
Sergio Paolo, un funzionario romano, il Proconsole. Paolo detto
anche Saulo, non è soltanto un’annotazione anagrafica. Luca ci
vuole aiutare a comprendere come nel corso di questo viaggio
missionario Saulo prende nome, prende identità, riceve il nome che
interpreta la sua identità più profonda: Paolo.
Nel nostro piccolo qualcosa del genere certamente succede
anche a noi. Chi sono veramente io? Chi sono veramente, me
l’hanno detto le persone che ho incontrato, le strade che ho
percorso, gli avvenimenti a cui ho partecipato, gli impegni che ho
Lettura spirituale degli Atti degli Apostoli - 56
affrontato, i fallimenti che ho sperimentato. Chi sono io? Il nome mi
viene dato nel corso del viaggio che ho affrontato, in obbedienza
alla missione ricevuta.
Saulo prende nome. Si specchia, impara a conoscere se stesso
specchiandosi nelle persone che incontra. Saulo si chiama Paolo
proprio quando ha incontrato un altro, un personaggio illustre con
un suo travaglio interiore, che si chiama Sergio Paolo, con un suo
cammino di conversione.
Notate come nel corso del viaggio cambiano anche i ruoli.
Barnaba è la persona più importante e Paolo è un collaboratore di
Barnaba. Però in 13,13 leggiamo: “Salpati da Pafo, Paolo e i suoi
compagni giunsero a Perge di Panfilia”. La situazione si svolge,
matura, si complica in modo tale per cui cambiano i ruoli. Nel corso
del viaggio non è più vero che Barnaba è una figura di spicco e
Paolo collaboratore. È sempre più vero che è lui, Paolo, la
personalità che emerge e dà una spinta decisiva al grande viaggio
missionario intrapreso.
Questo a Barnaba non provoca nessun disturbo. Non è
Barnaba che protesta e dice: Qui comando io! Barnaba è andato a
cercare Saulo a Tarso perché si è ricordato di lui e aveva conservato
per tutti quegli anni la memoria del valore straordinario di quella
persona. Il viaggio diventa un contesto oggettivo, concreto, un
contesto nel quale si precisano i ruoli.
Certamente c’è bisogno delle programmazioni, dei progetti, li
dobbiamo fare… però non funzionano mai. Perché? Perché la vita è
un’altra cosa e non soltanto la vita, ma l’opera di Dio è un’altra
cosa. L’opera di Dio che ridefinisce tutto. Tutto deve essere
interpretato, montato e rimontato, tutto è distrutto e ricostruito e
tutto, nella nostra condizione umana, entra dentro a un travaglio di
conversione.
Paolo impara, scopre, è impegnato in questo viaggio non
perché ha studiato tanto e adesso mette a frutto le scoperte che ha
conquistato con il suo impegno di teologo e così via, ma Paolo è a
scuola là dov’è, nel corso del viaggio, costantemente scopre che il
protagonista è il Signore Vivente: è Lui che opera, è Lui che
Lettura spirituale degli Atti degli Apostoli - 57
realizza, è Lui che apre le strade, è Lui che illumina gli incroci, è Lui
che s’impone come la sua presenza decisiva, risolutiva.
La missione è un’esperienza contemplativa
Tanto è vero che qui il viaggio, nei capitoli 13 e 14, assume le
caratteristiche di una vera e propria esperienza contemplativa. Il
grande viaggio missionario di Paolo è un’esperienza contemplativa
dell’opera di Dio, è l’esperienza di Dio. In tutti gli avvenimenti, in
tutti i luoghi, in tutte le persone Paolo scopre di essere anticipato.
Dovunque Paolo arriva scopre che il Signore è già presente, che la
Parola di Dio sta già realizzando, con potenza creatrice, una realtà
nuova.
Qualche volta abbiamo l’impressione che Paolo, come
coraggioso missionario, sia lanciato per le strade del mondo, come
se dovesse piantare una bandierina, e poter dire: siamo arrivati qua.
Invece, Paolo dovunque arriva scopre che è già stato preceduto.
Questo suo impegno missionario è un impegno contemplativo. La
Parola di Dio corre, la Parola d Dio irrompe, la Parola di Dio dilaga,
la Parola di Dio precede, la Parola di Dio è già operante, la Parola di
Dio è vivente, la presenza del Signore è già attiva nel cuore di ogni
uomo.
Che cosa Dio ha fatto? Che cosa Dio sta facendo? Una grande
esperienza contemplativa! Paolo e Barnaba quando tornano indietro
raccontano quello che è avvenuto. Porte che si chiudono, porte che
si aprono. Paolo si rivolge prima di tutto ai giudei, ma questa porta
si chiude. Paolo è, per cosi dire, costretto a rivolgersi ai pagani, ad
Antiochia di Pisìdia, nella sinagoga fa un lungo discorso, dicendo
tra l’altro: “Vi annunziamo la buona notizia che la promessa fatta ai padri
si è compiuta perché Dio l’ha attuata per noi, loro figli, risuscitando Gesù
(…). Vi sia dunque noto, fratelli che per opera di lui vi viene annunziata la
remissione dei peccati” (13,32-38). Siamo giustificati per Lui. Le
Lettura spirituale degli Atti degli Apostoli - 58
promesse sono compiute in Lui e in Lui si compie la remissione dei
peccati, a cui nessuno è potuto arrivare mediante la legge di Mosè.
Paolo continua: “Guardate dunque che non avvenga su di voi ciò
che è detto nei profeti…- Qui sta citando il profeta Abacuc - perché
un’opera io compio ai vostri giorni” (13,40-41). Il testo greco dice
“un’opera io opero”. L’opera di Dio che Paolo sta contemplando, non
l’ha inventata lui, non è il suo programma, non è il suo proposito,
non è il suo progetto, Paolo si trova costretto ad obbedire ad
un’iniziativa.
E qual è quest’opera? L’opera del Vangelo che supera i confini
previsti, supera ogni barriera e dilaga in tutte le direzioni, per
raggiungere tutti i popoli. Infatti nei versetti 44-46 “il sabato seguente
quasi tutta la gente si radunò per ascoltare… Quando videro quella
moltitudine i giudei furono pieni di gelosia e contraddicevano le
affermazioni di Paolo, bestemmiando. Allora Paolo e Barnaba con
franchezza dichiararono: - Era necessario che fosse annunziata a voi per
primi la Parola di Dio, ma poiché la respingete e non vi giudicate degni
della vita eterna, ecco, noi ci rivolgiamo ai pagani”. Questa è opera di
Dio e noi siamo trascinati da questa forza, noi siamo obbedienti ad
un’iniziativa che non è nostra, noi siamo spettatori di un’opera che
Dio sta compiendo.
Interessante notare il modo con cui Luca descrive l’opera del
grande missionario: Paolo è come uno spettatore, che sta
guardando quello che si compie sotto i suoi occhi. Guarda non
perché non ha niente da fare, ma perché la verità intima delle cose è
proprio questa, Dio agisce e opera secondo il suo disegno e Paolo,
mentre evangelizza contempla quest’opera di Dio e racconta: “La
Parola di Dio si diffondeva … non appena arrivati radunano la comunità e
raccontarono…” (13,49-14,27).
Pietro dirime la questione della circoncisione
Al c. 15 la questione dibattuta in Gerusalemme è la circoncisione per quelli che si convertono provenienti dal paganesimo.
Lettura spirituale degli Atti degli Apostoli - 59
Paolo e Barnaba si oppongono perché per diventare discepoli del
Signore non è necessario diventare prima giudei. Un conto è Israele
che ha una sua identità, che rimane unica e insostituibile: Israele, il
popolo dei circoncisi. Ma coloro che hanno incontrato Cristo da una
diversa realtà, sono già in Cristo. Coloro che sono chiamati alla
relazione con Cristo, morto e risorto, coloro che sono coinvolti nella
sua Pasqua, coloro che sono battezzati in Lui, incorporati in Lui,
non sono tenuti a diventare Giudei.
Qui ricompare Pietro che conclude il dissidio affermando che
non bisogna chiedere la circoncisione ai pagani. Nel c. 15, dopo il
discorso di Pietro, si dice che tutta l’assemblea tacque. Pietro è il
primo evangelizzatore di un pagano, non dimentichiamolo. Egli
prende posizione in modo lucidissimo. Nel v. 12 l’assemblea tace e
ascolta Paolo e Barnaba. Essi raccontano e sono testimoni di quanto
hanno contemplato, di come hanno riconosciuto e ammirato l’opera
di Dio in mezzo ai pagani. Come Dio è sempre all’opera nel mondo,
come Dio è sempre presente. Per questo si è compiuta la visita di
Dio, per questo il Figlio è disceso, per questo il Figlio è risalito, è
morto ed è risorto, per questo, oggi, la storia di tutti gli uomini si
ricapitola.
Raccontano, ed è interessante, perché in questo caso Paolo e
Barnaba, insieme, non fanno un discorso di carattere teoretico, ma
raccontano quanti segni e meraviglie Dio ha compiuto tra i pagani;
come il cuore umano appartiene a Dio e non c’è cuore umano, non
c’è creatura umana che possa rimanere estranea all’opera di Dio.
Non ci sono più barriere tra cielo e terra ormai nel Nome di Gesù;
per quanto un uomo possa essere distante geograficamente,
culturalmente, per le sue abitudini, comportamenti o relazioni
viene raggiunto, perché Gesù è il Signore del cuore umano.
Interviene Giacomo e insieme prendono la decisione di non
chiedere ai pagani che si convertono la circoscrizione, ma di
chiedere solo degli atteggiamenti che permettano la convivenza tra
i giudei e i pagani. Convivenza che non è una cosa facile, perché i
giudei comunque sono presi dalle loro cose e i pagani hanno
un’altra cultura. Ma bisogna aiutarsi, accordarsi, intendersi. Non si
Lettura spirituale degli Atti degli Apostoli - 60
può, né si deve pretendere che dei pagani quando si convertono a
Cristo devono prima diventare giudei.
Poi Paolo e Barnaba tornano ad Antiochia e da qui parte il
secondo viaggio missionario, che troviamo raccontato fino al cap 18,
v. 22. Cosa succede adesso? “Dopo alcuni giorni Paolo disse a Barnaba:
ritorniamo a far visita a tutti i fratelli…”(15,36). Per questo viaggio
Barnaba vuole prendere anche Giovanni detto Marco, suo nipote,
ma Paolo non vuole, perché Marco si era allontanato da loro,
mentre erano nella Panfilia. Marco era tornato indietro. Non aveva
partecipato all’opera. Ci fu un dissenso tale che Barnaba prende
Marco e s’imbarca per Cipro, mentre Paolo sceglie Sila e parte
raccomandato dai fratelli alla grazia del Signore. Paolo e Barnaba si
dividono, strade diverse.
Paolo entra in Europa
Paolo attraversa, per via di terra, tutta la penisola anatolica,
l’attuale Turchia. Si nota che Paolo, nel corso del viaggio, ha delle
incertezze. Torna nelle città dove era passato e dove si erano
formate delle piccole comunità, che intanto sono cresciute. In 16,6
leggiamo “attraversarono quindi la Frigia e la regione della Galazia,
avendo lo Spirito Santo vietato loro di predicare la Parola in Asia”. C’è un
vento contrario, un soffio contrario. Paolo voleva arrivare a Efeso,
che è il capoluogo della provincia d’Asia, ma si dirige verso il Mar
Nero, “Raggiunta la Misia si dirigevano verso la Bitinia, ma lo Spirito di
Gesù non lo permise loro” (16,7). Il soffio di Dio è contrario, non lo
permette.
Paolo si muove agitato nel turbine dei venti, non sa come
orientarsi. C’è qualcosa che si sta manifestando, ma Paolo ancora
non lo comprende bene, non sa ancora cosa deve succedere. Luca
dice che lo Spirito di Gesù sposta Paolo e i compagni, verso Troade,
a nord, sul Mar Egeo. E lì finisce la corsa perchè c’è il mare e non si
può andare oltre per via terra. Cosa succede? Paolo capisce che
deve attraversare il mare. “Durante la notte apparve a Paolo una
Lettura spirituale degli Atti degli Apostoli - 61
visione, gli stava davanti un macedone.” (16,9), la Macedonia sta
dall’altra parte del mare Egeo.
Questo non è un mare qualunque, questo è il mare che separa
l’Asia dall’Europa, l’Oriente dall’Occidente, sono due mondi. Paolo
è un uomo dell’Asia, è un’orientale, ma anche Gesù è un’orientale.
Tutti questi personaggi del primo periodo sono radicati nella
cultura del mondo asiatico, con tante caratteristiche che variano, ma
c’è un’impronta di fondo comune a tutti: l’Oriente. Un breve tratto
di mare ma, non c’è dubbio, è un confine vero. Nel frattempo il
grande Impero romano sta unificando Oriente e Occidente, ma è
un’unificazione amministrativa, un fatto tecnico. Le caratteristiche
di fondo rimangono: culture, eredità sapienziali, comportamenti,
organizzazione sociale rimangono radicalmente diversi.
Paolo è un uomo dell’Oriente e adesso, nel secondo grande
viaggio missionario, per la prima volta Paolo entra in Europa. Un
Macedone in sogno lo supplica di venire ad annunciare la Parola
(16,17-18). Da Troade a Neapoli e a Filippi e poi a Tessalonica,
Atene, Corinto. E’ l’Occidente. Queste pagine sono molto
interessanti per la vostra missione pastorale, perché per Paolo
adesso è tutto nuovo.
Intanto come si presenta, subito lo guardano male. Questo è
uno di quelli che puzzano. Da come è vestito a come parla, come si
muove, è già identificato. Un orientale, un altro ancora che sbarca in
Europa! Non se ne può più!… Ma Paolo ha i documenti in regola, è
un cittadino romano, da questo punto di vista è superdotato.… ma
non fa in tempo a tirare fuori i documenti che subito è portato in
galera. Paolo è un uomo maturo, sapiente, dignitoso ma non conta
nulla, perché comunque lo mandano in galera.
Dopo si renderanno conto e si scuseranno. Ma intanto Paolo è
trattato come uno che non vale niente. come se gli dicessero:
ricordati che sei in un mondo in cui non vali niente, perché tu sei
dall’altra parte del mare: questo è il nostro mondo. Qui si fanno le
cose come diciamo noi. Sei pericoloso perché diverso, quindi in
prigione. Perché? Perché hai cattivo odore, perché puzzi… Paolo
sperimenta queste cose tutte sulla sua pelle. Lui che è partito per
Lettura spirituale degli Atti degli Apostoli - 62
evangelizzare, con una grande prospettiva missionaria, si rende
conto che questo è un altro mondo. In Oriente questo non gli era
mai capitato.
A Filippi si mette a cercare la Sinagoga, perché è abituato ad
andare sempre nella sinagoga, perché dappertutto ci sono delle
comunità ebraiche della diaspora, dove vi sono persone stimate,
pacificate, normalmente. Anche le sinagoghe nelle località più
disperse sono presenze dignitose. Ma a Filippi non trova la
sinagoga.
Va lungo il fiume perché gli dicono che lì si troveranno i
giudei per la preghiera sabbatica. Lì trova invece delle donne. Cosa
che non gli era mai capitato, donne che pregano, sono cose solo che
riguardano l’Occidente. Da quando aveva 12 anni Paolo non aveva
più avuto a che fare con donne, poi è vergine, non è sposato. Arriva
in Occidente e lì trova donne che pregano. C’è Lidia che è descritta
come un capofamiglia, fa l’industriale. Tutte cose alle quali Paolo
non è abituato. Poi quando scrive la lettera ai Galati: “in Cristo Gesù
non c’è più uomo né donna ma tutti siamo uno in Cristo” (cfr 3,28) si
avverte che le sue non sono affermazioni teoriche. Paolo si è trovato
in un ambiente sociale che non è il suo. Dappertutto compaiono
donne. In Oriente la donna non compare in pubblico, e ancora oggi
la preghiera è un mestiere per gli uomini.
Intanto Paolo si guarda attorno: è tutto ridimensionato, è tutto
da ripensare, da riorganizzare, e poi c’è gente che lo ascolta, ma nel
complesso ci sono difficoltà enormi e si trova sempre più solo.
Paolo si trova ad Atene dove tiene un discorso che registra un
clamoroso fallimento, nessuno lo prende in considerazione. Poi a
Corinto (c. 18) Paolo è solo e siamo nel cuore del secondo viaggio
missionario. Sila e Timoteo sono stati mandati a vedere cosa è
successo a Tessalonica.
Paolo a Corinto non sa più come tirare avanti e deve rimettersi
a lavorare e per lavorare si collega con dei profughi che sono stati
espulsi da Roma: “Trovò un giudeo chiamato Aquila, arrivato da poco
dall’Italia con la moglie Priscilla” (v. 2). Paolo va ad abitare con loro e
lavora con loro perché sono del suo stesso mestiere. Paolo
Lettura spirituale degli Atti degli Apostoli - 63
missionario che lavora per vivere. Questo è il suo ambiente. A
Corinto Paolo si trova con i baraccati, con i profughi, con gli esuli e
lavora per sopravvivere.
“Ogni sabato poi discuteva nella sinagoga e cercava di persuadere
giudei e greci…”(v. 4). Sta a Corinto un anno e mezzo. Questa è
proprio Corinto, una delle grandi Chiese neotestamentarie. Paolo
sperimenta nel corso del suo viaggio missionario una povertà che
gli squarcia il cuore, in un mondo che non è il suo, in un contesto
sociale che non corrisponde ai suoi sentimenti, nel quadro di un
impianto culturale, che non è il suo. Ecco cosa significa per Paolo:
“non c’è più giudeo ne greco, non c’è più uomo né donna, non c’è più
schiavo o libero… ma uno in Cristo” (Gal 3,8).
In At 18,9 “La notte in visione il Signore disse a Paolo: non avere
paura,… perché io ho un popolo numeroso in questa città”. Ricordate
Giona a Ninive? (cf Gn 1-3). Adesso è Paolo a Corinto che sente “io
ho un popolo numeroso in questa città” (18,10). Nella seconda lettera ai
Corinzi Paolo dice “quando sono venuto da voi ero tremante”, proprio
vero. È la novità di Dio che si esprime con il linguaggio
dell’Evangelo, nella gratuità dell’Evangelo. Vedete come l’attività
missionaria di Paolo, su strade sempre nuove e su orizzonti sempre
più ampi, coincide con lo spalancamento dell’animo suo, con
l’apertura di uno spazio del cuore inesplorato. Questo Paolo non se
lo era mai immaginato.
Il terzo viaggio missionario di Paolo
A Corinto succede un episodio grottesco (18, 12-17). Dai
giudei, che a Corinto erano una piccola minoranza, Paolo viene
accusato e portato davanti al proconsole romano Gallione e il
proconsole, quando vede che si tratta di giudei, con un
antisemitismo rozzo, li butta fuori. Poi in piazza vengono presi a
sassate. “Allora tutti afferrarono Sostene, capo della sinagoga e lo
percossero davanti al tribunale, ma Gallione non si curava affatto di tutto
ciò” (v. 17). Gallione è un magistrato che dovrebbe essere garante
Lettura spirituale degli Atti degli Apostoli - 64
dell’ordine pubblico, e invece non se ne cura affatto. Paolo
personalmente ha esibito le sue ragioni e tra l’altro da accusato non
riceve nessun danno, perché la questione ha preso un’altra piega.
Nella Prima lettera ai Corinti Paolo dice: “qui con me c’è
Sostene”. Quel tale, Sostene, che quella volta a Corinto fu
malmenato, ora è qui con me. Qualche anno dopo infatti questo
Sostene si era avvicinato a Paolo e ora si trova a Efeso con lui. E così
Paolo torna indietro e va ad Antiochia. Dopo essere passato da
Gerusalemme torna ad Antiochia e riparte per un altro viaggio
missionario: “Trascorso colà un po’ di tempo, partì di nuovo percorrendo
di seguito le regioni della Galazia e della Frigia, confermando nella fede
tutti i discepoli.” (18,23).
In questo terzo viaggio, Paolo raggiunge Efeso e lì si ferma per
tre anni, un lungo periodo, e vi svolge un ministero molto intenso,
un’attività pastorale efficacissima. Lì si ferma e scrive diverse
lettere. Ma con il passare del tempo, pochi anni, Paolo si rende
conto che c’è qualcosa che non funziona. Perché malgrado tutto
l’impegno, tutta la serietà con cui ha messo in ordine il quadro
teologico, malgrado tutti gli strumenti della nuova catechesi, qui
ancora l’Evangelo non è passato, o è passato a metà,
superficialmente. In profondità, ci sono incertezze, ci sono
ambiguità, ci sono nodi non sciolti, ci sono delle oscurità non
illuminate, ci sono delle contraddizioni.
Al c. 18 e poi al c. 19 si racconta che a Efeso succedono cose
buffe, un po’ curiose. Ci sono quelli che vanno a cercare il battesimo
di Giovanni, quelli che ancora cercano forme di esorcismo un po’
sballato. Paolo si accorge che c’è qualcosa che non quadra. Abituato
a passare nelle sinagoghe, poi dalle sinagoghe si rivolge ai pagani,
dal suo punto di vista dovrebbe esserci la strada aperta,
spianata…dovremmo essere pronti!… E invece ci sono dei ritardi, ci
sono delle resistenze, ci sono dei residui, ci sono delle scorie
inquinate, ci sono delle zone ancora non evangelizzate nell’animo
umano, nella vita umana.
Allora sapete cosa succede? Paolo ci pensa. Ci fermiamo a
19,21: “Dopo questi fatti, Paolo si mise in animo di attraversare la
Lettura spirituale degli Atti degli Apostoli - 65
Macedonia e l`Acaia e di recarsi a Gerusalemme dicendo: «Dopo essere
stato là devo vedere anche Roma»". Paolo sta ripensando a tutto il suo
programma pastorale.
Mentre lavora, sono passati alcuni anni, Paolo sta
rimuginando tra sè e sè, e sta rielaborando il suo progetto. Sta
pensando: faccio un viaggio in Macedonia e in Acaia per visitare
nuovamente le Chiese e poi ritornerò a Gerusalemme. Bisogna
ritornare a Gerusalemme, bisogna ripartire da capo. È necessario
ripartire da Gerusalemme. Dopo essere stato là devo vedere anche
Roma. Ecco devo ritornare da capo, perché per andare avanti in
questa ricerca missionaria, in questa attività di evangelizzazione
universale, bisogna tornare indietro per procedere dall’inizio.
Roma, la capitale dell’Impero, è come dire la meta finale! E
quando Gerusalemme sarà evangelizzata, quando sarà
evangelizzato Israele, quando saremo finalmente appoggiati su
radici libere per una piena fruttificazione, allora potremo andare a
Roma, e sarà come una passeggiata! È una prospettiva un poco
trionfale. Comunque si può dire che quando una persona fa un
piano è sempre un piano trionfale, altrimenti non lo farebbe. E
come dire: ho trovato il modo di risolvere il problema.
Paolo ha trovato questo piano: bisogna ripartire da
Gerusalemme e una volta che avremo espugnato Gerusalemme,
una volta che avremo proprio evangelizzato il cuore di
Gerusalemme, una volta che il popolo sarà finalmente aperto per
accogliere il Messia, il Signore Gesù, allora tutti i popoli
accorreranno a Gerusalemme. E’ la voce dei grandi profeti del
tempo passato che dice proprio così!. Tutti i popoli accorreranno.
Paolo sta pensando a queste cose. Soltanto che poi le sue
prospettive trionfali non corrispondono alla realtà. Ma la realtà è
l’opera di Dio, nel nome di Gesù, mentre le sue prospettive trionfali
sono illusioni che passano.
A Efeso scoppia un tumulto, una gran confusione, gente che
protesta (c. 19). Paolo non capisce più niente e se ne va
precipitosamente. Urta contro un ostacolo mostruoso, un ostacolo
Lettura spirituale degli Atti degli Apostoli - 66
infernale, c’è qualcosa di demoniaco. Stiamo galleggiando sulla
superficie di un abisso e sotto c’è un mostro. Paolo si è reso conto
che i suoi progetti sono poco corrispondenti alla realtà. La realtà è
molto più drammatica, ma rimane vero che la realtà delle cose, del
mondo, della vita degli uomini, delle storie dei popoli è affidata alla
Signoria di Dio e del suo Messia.
Paolo ripensa a tutta la sua missione
Paolo è a Efeso, mentre sta ripensando a tutta la sua attività, al
suo impegno pastorale, che è il motivo della sua vita. Questo è lo
stesso che dire: sta ripensando alla sua vita cristiana. Perché la corsa
missionaria, per Paolo, è lo stesso che la sua risposta alla vita
cristiana, è la sua vita cristiana. La profezia che invoca il “nome di
Gesù” e che incrocia la storia degli uomini, la presenza di altri, di
tutti, la vita cristiana che diventa missione, è la vita cristiana. La
missione non è qualcosa che si aggiunge come una specie di
giacchetta che si mette e si toglie a secondo delle circostanze.
Paolo si sta interrogando perché qualcosa non funziona
esattamente secondo il suo programma. Ha avuto a che fare con
porte che si chiudono e poi, corrispondenti alle porte che si
chiudono, spazi sempre più ampi che si allargano nel mondo, nel
cuore umano. Spazi nuovi. Paolo si è abituato a rivolgersi ai Giudei,
alla sua gente, al suo popolo, alla sua realtà teologale,
inconfondibile, alla sua appartenenza al popolo d’Israele, alle
sinagoghe.
Poi Paolo si è abituato a constatare che le porte delle sinagoghe
si chiudono, mentre si aprono gli spazi di incontro con i pagani. È
un po’ come il piano della sua attività pastorale fino al momento in
cui ripensa tutto. Bisogna ritornare a quelle promesse che già erano
state annunciate dagli antichi profeti. Ricordate: Gerusalemme che
si innalza e diventa una luce che splende sulla scena del mondo.
Gerusalemme che diventa un faro, un riferimento inconfondibile,
un segnale… tutti i popoli accorreranno. I profeti hanno già
annunciato questo.
Lettura spirituale degli Atti degli Apostoli - 67
Dunque Paolo si è reso conto che non riesce a raccogliere i
frutti previsti, che l’evangelizzazione non procede con quella
promessa di risultati che da parte sua non aveva programmato.
L’evangelizzazione rimane a metà. Sappiamo bene anche noi 2000
anni dopo! Non c’è il risultato completo. Ci sono sempre dei
rigurgiti, dei fenomeni regressivi, dei fenomeni di decadenza, non
si arriva mai. Bisogna sempre ripartire da capo perché non si arriva
mai. L’evangelizzazione non è passata in profondità!
Dunque bisogna tornare a Gerusalemme. Quando
Gerusalemme sarà evangelizzata, quando Israele finalmente sarà
docile per accogliere il compimento delle promesse, ecco un segnale
luminoso, uno splendore inconfondibile, ecco come tutti i popoli
accorreranno. Allora l’evangelizzazione sarà semplice. Saranno i
popoli che confluiranno. Paolo sente che deve ritornare a
Gerusalemme. È un ripensamento serio, che indica come Paolo
ragiona sulle cose. È un programma di impegno personale, è la sua
vita cristiana.
Ma Paolo si sbaglia. Si sbagliano anche i santi. Al v. 23 del c. 19
ci viene detto: “Verso quel tempo scoppiò un grande tumulto riguardo
alla nuova dottrina”. Un tumulto tale per cui non si capisce più
niente. È come un terremoto. Tutti i piani, i progetti, i propositi di
Paolo saltano per aria. Non è la prima volta che Paolo sperimenta
cosa vuol dire che le porte si chiudono per lui. Questa volta sono le
porte di Efeso che si chiudono. Paolo se ne va. La situazione è tale
per cui non può più vivere a Efeso. La situazione è tale che Paolo se
ne deve andare. Vedete bene che non se va perché ha paura di
subire dei danni, se ne va perché non vede bene come stanno le
cose.
Allora si rimette in viaggio: “Appena cessato il tumulto, Paolo
mandò a chiamare i discepoli e, dopo averli incoraggiati, li salutò e si mise
in viaggio per la Macedonia”(20,1). Si è reso conto che il suo
programma non interpretava bene la realtà delle cose. Deve
ripensare tutto daccapo. E questo viaggio di Paolo adesso diventa
come un tempo di ritiro, che dura alcuni mesi, in modo tale che può
rielaborare i pensieri, può rimettere in ordine le sue esperienze, può
Lettura spirituale degli Atti degli Apostoli - 68
ritrovare il filo conduttore della sua missione, il filo conduttore
della sua vita cristiana.
Il c. 20 è un capitolo importante nel racconto degli Atti. Sullo
sfondo sempre la grande prospettiva della evangelizzazione
universale e poi il problema di Paolo: che cosa devo fare? Dove
devo andare? Quali sono i passaggi da fare? Aveva messo a fuoco
una prospettiva, per così dire, di tipo trionfale. Andiamo a
Gerusalemme, una volta che Gerusalemme sarà conquistata: ecco
una luce che splende e popoli che si raccoglieranno come un’unica
famiglia, creature redente.
La situazione precipita e Paolo si accorge che gli manca
improvvisamente il terreno sotto i piedi. Le cose non vanno come
lui le aveva programmate. Si mette in viaggio e nel corso di questo
viaggio Paolo è accompagnato da segni dolorosi, motivi di angoscia
e ombre di morte. Tra l’altro, a Troade, muore un bambino durante
una celebrazione. Poi quel bambino viene richiamato in vita, ma è
un segno terribile: un ombra di morte, un indizio di morte.
E Paolo ci ripensa, vuole arrivare a Gerusalemme, ma mentre
procede nel suo viaggio, accompagnato da altri, verso
Gerusalemme, Paolo ha sempre di più il sapore della morte nel
cuore. Alcuni particolari: al v. 16: “Paolo aveva deciso di passare al
largo di Efeso per evitare di subire ritardi nella provincia di Asia: gli
premeva di essere a Gerusalemme, se possibile, per il giorno della
Pentecoste”.
Paolo vuole tornare a Gerusalemme per la Pentecoste, notate il
riferimento al c. 2 degli Atti. Qualcosa gli è sfuggito. Anche noi
abbiamo continuamente bisogno di tornare al racconto degli Atti,
perché dopo duemila anni qualcosa sfugge anche a noi.
Un altro particolare: nel c. 20, nel racconto, ogni tanto compare
la prima persona plurale “noi”. Al v. 5 “Questi però, partiti prima di
noi ci attendevano a Troade, noi invece salpammo da Filippi dopo i giorni
degli Azzimi e li raggiungemmo in capo a cinque giorni a Troade dove ci
trattenemmo una settimana”. E qui, in questo racconto degli Atti, da
Lettura spirituale degli Atti degli Apostoli - 69
Pasqua a Pentecoste, le tappe sono scandite dalla ricorrenza
settimanale. Sono sette settimane. Di domenica in domenica.
Il “noi”, poiché c’è anche Luca che racconta, non è la prima
volta che viene usato. Se voi tornate al c. 16 v. 10 per la prima volta
è comparsa la prima persona plurale “noi”: “Dopo che ebbe avuto
questa visione, subito cercammo di partire per la Macedonia, ritenendo
che Dio ci aveva chiamati ad annunziarvi la parola del Signore”. In quel
momento si racconta l’ingresso in Europa.
Dove Luca usa la prima persona plurale, vuol dire che non c’è
solo lui, narratore, ma suppone che ci siamo anche noi, lettori. Ci
siamo anche noi. Nelle pagine che adesso abbiamo sotto gli occhi
ritorna più volta l’uso della prima persona plurale noi. Dove
leggiamo “noi” vuol dire che il racconto è impostato in modo tale
da comprendere situazioni che sono di Paolo, ma che sono anche
nostre.
Ritornando al c. 20, a Mileto, Paolo convoca gli anziani della
Chiesa efesina e poi fa un bel discorso. È il famoso discorso di At 20
e dice queste cose: “Ed ecco ora, avvinto dallo Spirito, io vado a
Gerusalemme senza sapere ciò che là mi accadrà” (v. 20).
Paolo sta dicendo: io non so cosa mi capiterà. È un po’ diverso
dal programma di poco tempo prima quando aveva un discorso
molto chiaro, molto preciso… quando aveva appunto un
programma di evangelizzazione del mondo. Ora dice: Io non so
cosa mi attende, e “so soltanto che lo Spirito Santo in ogni città mi
attesta che mi attendono catene e tribolazioni. Non ritengo tuttavia la mia
vita meritevole di nulla, purché conduca a termine la mia corsa e il servizio
che mi fu affidato dal Signore Gesù, di rendere testimonianza al messaggio
della grazia di Dio” (vv. 23-24).
Poco più avanti Paolo vede davanti a sè l’ombra della morte.
Tanto è vero che al v. 36 “Detto questo, si inginocchiò con tutti loro e
pregò. Tutti scoppiarono in un gran pianto”. Avevano preso sul serio la
situazione e capito il senso di ciò che Paolo sta dicendo “io non so
dove andrò a finire però davanti a me, mentre mi avvicino a
Gerusalemme, si prospetta in modo sempre più evidente, la
Lettura spirituale degli Atti degli Apostoli - 70
necessità di morire, perché se vado a Gerusalemme mi capiterà
qualche cosa e certamente morirò.
E la gente piange: “gettandosi al collo di Paolo lo baciavano,
addolorati soprattutto perché aveva detto che non avrebbero più rivisto il
suo volto. E lo accompagnarono fino alla nave” (vv. 37-38). Nel corso del
viaggio il programma è cambiato. Non è più quella visione
pastorale di trionfo, più o meno organico, dell’evangelizzazione ma
il programma di un uomo come Paolo che dice: “qui è la volta
buona che divento martire”. Però, sotto sotto, questa idea che
finalmente diventa martire anche lui, c’è anche un’idea che fa
piacere. È vero che non è più come prima, è un altro programma.
Però anche questo programma alternativo ha un suo aspetto
trionfale. Io sono un incompreso. I grandi programmi non hanno
avuto risultati allora non mi resta altro che il martirio.
Al c. 21 “Appena ci fummo separati da loro, salpammo” (v. 1).
Vedete la prima persona plurale. E così da Mileto “approdammo a
Tolemàide (l’attuale Akko)… andammo a salutare i fratelli e restammo
un giorno con loro. Ripartiti il giorno seguente, giungemmo a Cesarèa; ed
entrati nella casa dell`evangelista Filippo, che era uno dei Sette, sostammo
presso di lui. Egli aveva quattro figlie vergini, che avevano il dono della
profezia” (vv. 7-9).
Proseguiamo la lettura: “Eravamo qui da alcuni giorni, quando
giunse dalla Giudea un profeta di nome Agabo. Egli venne da noi e, presa
la cintura di Paolo, si legò i piedi e le mani e disse: "Questo dice lo Spirito
Santo: l’uomo a cui appartiene questa cintura sarà legato così dai Giudei a
Gerusalemme e verrà quindi consegnato nelle mani dei pagani" (vv. 1011). Per Paolo, lo dice anche Agabo, a Gerusalemme le cose si
mettono male. “All’udire queste cose, noi e quelli del luogo pregammo
Paolo di non andare più a Gerusalemme. Ma Paolo rispose: «Perché fate
così, continuando a piangere e a spezzarmi il cuore? Io sono pronto non
soltanto a esser legato, ma a morire a Gerusalemme per il nome del Signore
Gesù»"(vv. 12-13).
Paolo dice: io ho capito come devono andare le cose,
finalmente sono arrivato alla soluzione del problema: debbo salire a
Lettura spirituale degli Atti degli Apostoli - 71
Gerusalemme per morire “nel nome di Gesù”. Voi ricordate che nel
Vangelo c’è stato un altro che ha detto questo. Pietro ha detto:
“Signore, con te sono pronto ad andare in prigione e alla morte". (Lc
22,33). Paolo è sincero, come Pietro era sincero.
Paolo dice: adesso: ho capito che non è più il trionfo
dell’evangelizzazione, come io programmavo precedentemente, che
costituisce l’obiettivo, lo scopo della mia vita. Ora ho capito che lo
scopo della mia vita è il trionfo del martirio. Devo salire a
Gerusalemme, “Nel nome di Gesù”. Non riescono a persuaderlo,
allora “smettemmo di insistere dicendo: «Sia fatta la volontà del
Signore!»"(v. 14). Ma Paolo si sbaglia un’altra volta.
Atti 21 - 23: Paolo imprigionato
Paolo arriva a Gerusalemme per la festa di Pentecoste, sono in
corso gli ultimi preparativi. Salgono e Paolo porta con sé aiuti per la
Chiesa di Gerusalemme. Ha raccolto nelle Chiese che sono disperse
in tanti luoghi, ha portato contributi, beni economici per aiutare la
Chiesa madre. È una Chiesa tutta composta di giudei, sono i giudei
che hanno accumulato, nel corso dei tempi, dei risentimenti nei
confronti di Paolo, perché lo ritengono un traditore, un giudeo
rinnegato… Si dicono tante cose su Paolo, anche tante menzogne.
La previsione è questa: vado a Gerusalemme e qualcuno mi
ucciderà “nel nome di Gesù”. Adesso ha capito: il programma è
riformulato in questi termini. Non è il trionfo della pastorale ma è il
trionfo del martirio. Una testimonianza generosa, davvero
strabiliante. Arriva a Gerusalemme e non succede niente, anzi trova
discepoli cristiani della Chiesa madre che lo accolgono bene,
cordialmente. C’è Giacomo, il minore. Paolo racconta le sue cose e
sono molto interessati.
Lo aiutano, lo ospitano e poi gli danno un suggerimento: qui ci
sono molti che ce l’hanno con te. Dato che ci sono alcuni dei nostri
che hanno fatto un voto e devono concludere il loro voto con
l’offerta di un sacrificio nel tempio. Però per offrire un sacrificio nel
tempio ci vuole disponibilità di denaro. Tu provvedi per loro,
Lettura spirituale degli Atti degli Apostoli - 72
mettiti anche tu con loro, in modo tale da dimostrare che tu sei un
uomo devoto, fedelissimo, che frequenti il tempio. E Paolo ci tiene a
questo.
“Allora Paolo prese con sé quegli uomini e il giorno seguente, fatta
insieme con loro la purificazione, entrò nel tempio per comunicare il
compimento dei giorni della purificazione, quando sarebbe stata presentata
l’offerta per ciascuno di loro” (21,26). Per prenotare il sacrificio,
diremmo noi. “Stavano ormai per finire i sette giorni, quando i Giudei
della provincia d’Asia, vistolo nel tempio, aizzarono tutta la folla e misero
le mani su di lui gridando: "Uomini d’Israele, aiuto! Questo è l’uomo che
va insegnando a tutti e dovunque contro il popolo, contro la legge e contro
questo luogo" (vv. 27-28a).
Non è vero quanto dicono di Paolo e quelli che parlano sono
asiatici, sono giudei della diaspora che hanno conosciuto Paolo a
Efeso, capoluogo della provincia di Asia. Hanno rancori contro di
lui e dicono: “ora ha introdotto perfino dei Greci nel tempio e ha
profanato il luogo santo!” (v. 28b). Non è affatto vero, lo avevano
visto in giro per Gerusalemme a parlare con dei pagani e lo
conoscevano: “Avevano infatti veduto poco prima Tròfimo di Efeso in
sua compagnia per la città, e pensavano che Paolo lo avesse fatto entrare
nel tempio” (v. 29). Lo hanno visto in città ma non in sua compagnia
nel tempio, perché Paolo non si sarebbe mai permesso di portare un
pagano nel tempio.
Pietro nel tempio si è tirato dietro lo storpio e lo ha fatto
entrare, ma la situazione adesso non è più la stessa. Paolo non fa
quello che ha fatto Pietro, ma i suoi accusatori dicono che ha
profanato il tempio. Insistono dicendo che è pericoloso e che,
dappertutto, in giro per il mondo, bestemmia contro il nostro
popolo, contro la legge di Mosè, contro il tempio.
Paolo pensa che ormai si realizza il suo programma e si arriva
alla sua esecuzione, con il martirio. Al v. 30 “ Allora tutta la città fu in
subbuglio e il popolo accorse da ogni parte. Impadronitisi di Paolo, lo
trascinarono fuori del tempio e subito furono chiuse le porte”. Dietro alle
spalle di Paolo si chiudono le porte. Adesso si è chiusa la porta del
tempio ed è il momento buono che lo massacrano di botte, lo
Lettura spirituale degli Atti degli Apostoli - 73
travolgono, lo trascinano. Finalmente è martire “nel nome di
Gesù!”. “Stavano già cercando di ucciderlo, quando fu riferito al tribuno
della coorte che tutta Gerusalemme era in rivolta” (v. 31). Il tribuno, un
ufficiale superiore, è in grado di comandare una legione. Qui
comanda tutte le truppe della legione romana che ha una coorte che
risiede a Gerusalemme.
Il Tribuno è informato e “Immediatamente egli prese con sé dei
soldati e dei centurioni e si precipitò verso i rivoltosi. Alla vista del tribuno
e dei soldati, cessarono di percuotere Paolo.” (v. 32). Dopo di che mentre
lo stanno uccidendo arrivano i soldati. Per Paolo il programma non
funziona, c’è qualcosa che non va rispetto a quello che aveva
pensato. Neanche il programma alternativo di Paolo si realizza.
Niente martirio.
Intanto in quella confusione, il tribuno non capisce che cosa
stia succedendo, né chi sia Paolo, ma interviene: “Allora il tribuno si
avvicinò, lo arrestò e ordinò che fosse legato con due catene; intanto
s’informava chi fosse e che cosa avesse fatto. Tra la folla però chi diceva
una cosa, chi un’altra. Nell’impossibilità di accertare la realtà dei fatti a
causa della confusione, ordinò di condurlo nella fortezza.” (vv. 33-34).
E intanto “La massa della gente infatti veniva dietro, urlando: «A
morte!». Sul punto di esser condotto nella fortezza, Paolo disse al tribuno:
«Posso dirti una parola?». «Conosci il greco, disse quello, allora non sei
quell’egiziano che in questi ultimi tempi ha sobillato e condotto nel deserto
i quattromila ribelli?». Rispose Paolo: «Io sono un Giudeo di Tarso di
Cilicia, cittadino di una città non certo senza importanza. Ma ti prego,
lascia che rivolga la parola a questa gente». Avendo egli acconsentito,
Paolo, stando in piedi sui gradini, fece cenno con la mano al popolo e,
fattosi un grande silenzio, rivolse loro la parola in ebraico…” (vv. 36-40).
Paolo prende la parola, sempre sotto sorveglianza armata. Al
c. 22 abbiamo un discorso che Paolo rivolge alla gente, ma prima di
tutto è un discorso che rivolge a se stesso. È un racconto della sua
vita in termini essenziali, ma è il racconto che Paolo sta cercando di
ricostruire in se stesso. Non è il momento questo di andare a fare
testimonianze in pubblico, ma è il momento nel quale, con rapidità
esplosiva, l’animo di Paolo sta ribollendo tutto e sta ricostruendo il
Lettura spirituale degli Atti degli Apostoli - 74
racconto della sua vita. Ma chi sono io? La mia vita, il mio essere
cristiano? Che cosa mi è successo, da dove salto fuori?
Paolo racconta tutto quello che gli è successo e ad un certo
momento, verso la fine del discorso, è come folgorato da un ricordo.
Il ricordo di Paolo si concentra su un particolare. Sta ricostruendo i
fatti e sta cercando di capire che cosa è successo, qual è la logica dei
fatti, qual è il motivo che dal di dentro spiega il senso della sua vita,
della sua vocazione, del suo discepolato, il fatto che è divenuto
cristiano e quindi l’evangelizzazione e tutto il resto. E’ il ricordo di
Stefano.
Quella volta quando Stefano era aggredito ingiustamente,
quando era travolto dalla violenza di tutti, in modo così ingiusto, io
ero là, anch’io sono tra quelli che hanno ricevuto da Stefano una
testimonianza d’amore. Anch’io sono tra quelli che Stefano ha
benedetto, anch’io sono tra quelli che Stefano ha affidato alla
misericordia di Dio. All’origine della mia vita cristiana c’è qualcuno
che mi ha voluto bene gratuitamente, come all’origine
dell’Evangelo.
Paolo ha ritrovato quell’origine all’interno della quale era già
contenuto tutto lo sviluppo successivo: qualcuno che mi ha amato
gratuitamente. La mia vita cristiana è nata là, è radicata là, era già
tutto seminato là, quando qualcuno mi ha amato gratuitamente.
“Quando si versava il sangue di Stefano, tuo testimone, anch’io ero
presente e approvavo e custodivo i vestiti di quelli che lo uccidevano”
(22,17). A questo punto Paolo non ha più niente da aggiungere, il
racconto si ferma qui. Tra l’altro poi la gente si scatena e non stanno
ad ascoltare. Ma Paolo è arrivato al punto in cui ha chiarito l’origine
della sua vocazione. Sono stato evangelizzato quando ancora ero
nemico. E’ la radice della mia vita cristiana ed è la radice che già
conteneva in sé tutto quello che è stato lo sviluppo successivo della
mia vita. Fino a tutto quell’impegno pastorale al quale Paolo si è
dedicato con tanta generosità.
Lettura spirituale degli Atti degli Apostoli - 75
Adesso, dopo questo ricordo folgorante del martirio di
Stefano, che lo ha generato alla vita cristiana, per Paolo cambia
tutto.
“ Fino a queste parole erano stati ad ascoltarlo, ma allora alzarono la
voce gridando: - Toglilo di mezzo, non deve più vivere! - E poiché
continuavano ad urlare, a gettare via i mantelli e a lanciare polvere in aria,
il tribuno ordinò di portarlo nella fortezza, prescrivendo di interrogarlo a
colpi di flagello, al fine di sapere per quale motivo gli gridavano contro in
tal modo” (v. 22). Soluzione sproporzionata perché non è necessario
flagellare qualcuno per sapere qualcosa. Chi passa sotto il flagello
dei romani riporta delle conseguenze che, se non sono la morte,
sono comunque delle disabilità permanenti per il resto della vita.
E’ vero che Paolo non è diventato martire durante
l’aggressione della folla, ma ora è arrivato il momento: la
flagellazione, che è comunque un martirio. Tra l’altro per mano dei
soldati romani, un motivo in più per dire: proprio come a Gesù. E
invece per Paolo non è così, perché qualcosa è cambiato dentro di
lui.
“Quando l’ebbero legato con le cinghie, Paolo disse al centurione che
gli stava accanto: - Potete voi giudicare un cittadino romano non ancora
giudicato? (…) Anche il tribuno ebbe paura, rendendosi conto che Paolo
era cittadino romano e che lui lo aveva messo in catene.” (vv. 25.29).
Ma come? Qualche giorno prima Paolo ha detto che andava a
Gerusalemme per morire e adesso, che è sul punto di morire
martire, dice: sono cittadino romano, sapendo che questo lo salvava
dalla flagellazione. Qualcosa è cambiato dentro di lui. Tanti
discorsi, tanti propositi, quelli di Mileto che piangono e lo
supplicano di non andare, ma lui appariva risoluto. Arriva il
momento giusto e lui dice: io sono un cittadino romano.
Paolo ora si è reso conto che la sua vita cristiana dipende da un
altro riferimento. Qui importa poco morire o restare in vita, importa
poco morire a Gerusalemme o altrove, quello che conta è che
qualcuno mi ha amato gratuitamente e che la mia vita cristiana
acquista pienezza di significato perchè io sono in grado di amare
gratuitamente.
Lettura spirituale degli Atti degli Apostoli - 76
Paolo si ferma, perché si rende conto che la sua vita cristiana
non è ancora giunta a questo punto. Che senso ha desiderare il
martirio se non è un martirio d’amore? Se non sono ancora in grado
di amare gratuitamente? Se ancora non benedico i miei nemici, i
miei avversari e se ancora non sono entrato in quella pienezza di
testimonianza che è stata all’origine di tutto?
E’ la Pasqua del Signore Gesù, ed ecco che all’origine di tutto
c’è la testimonianza di Stefano. Paolo non ha mai incontrato
personalmente Gesù, nemmeno noi lo abbiamo visto, ma abbiamo
incontrato certamente un “povero cristo” che ci ha amato
gratuitamente. Un derelitto, come Stefano, che mentre subiva le
conseguenze di quella ingiusta violenza, benediceva, anch’io l’ho
incontrato. Altrimenti non sarei qua, noi non saremmo qua. La
Chiesa non sarebbe Chiesa, le generazioni di credenti non si
succederebbero nel corso della storia umana, l’evangelizzazione
sarebbe soltanto una fantasia che si dilegua nell’aria, se non fosse
vero che qualcuno ci ha amato.
Non abbiamo fisicamente incontrato Lui, Cristo Signore, ma
un “povero cristo” che ci ha amato lo abbiamo incontrato. Adesso
Paolo si ferma e considera che le apparenze esterne sono ben
diverse da come le aveva immaginate.
Rimane il fatto che Paolo è incatenato e comunque
imprigionato. Il tribuno vuole risolvere il problema e il giorno
dopo, (c. 23) cerca un confronto nel Sinedrio, poi si rende conto che
la questione è troppo impegnativa, vuole liberarsi della faccenda e
decide di trasferire il problema al governatore romano, che sta a
Cesarea.
Prima però Paolo viene fatto comparire davanti al Sinedrio. E
anche lì c’è una polemica: Paolo che si dà da fare per difendersi,
addirittura in modo quasi aggressivo nei confronti dei suoi
accusatori. Ma come? Prima voleva morire martire e ora si mette ad
usare ben altri metodi! Lui sa che il Sinedrio è diviso tra il partito
dei farisei e il partito dei sadducei, e allora si appella alla parte dei
farisei, perché Paolo è un fariseo. Cominciano a litigare le due
fazioni.
Lettura spirituale degli Atti degli Apostoli - 77
Il tribuno non comprende e decide di mandare Paolo al
governatore, lui risolverà il problema. Scrive una lettera al suo
superiore, in cui dice tante cose, anche nella speranza di fare
carriera. Nel frattempo ci sono quaranta congiurati che hanno
deciso di uccidere Paolo. Paolo viene informato attraverso un suo
nipote, e manda il ragazzo ad informare il tribuno. Leggiamo al v.
23 in cui il tribuno dà ordini: “Preparate duecento soldati per andare a
Cesarea, insieme con settanta cavalieri e duecento lancieri, tre ore dopo il
tramonto”.
E’ un esercito e addirittura deve viaggiare di notte per portare
Paolo a Cesarea! Al v. 24 leggiamo “Siano pronte anche delle
cavalcature e fatevi montare Paolo, perché sia condotto sano e salvo dal
governatore Felice”. Quanta fatica per “salire” a Gerusalemme e
diventare martire e adesso questa processione così mastodontica
per “discendere” da Gerusalemme a Cesarea!
Qui si parla di cavalcatura. Quando Paolo si è convertito non è
caduto da cavallo, come lascia intendere una certa iconografia. Al c.
9 il cavallo non c’è. Mai Paolo è caduto da cavallo, ora invece è stato
caricato su un cavallo per andare da Gerusalemme a Cesarea.
Quello che sta accadendo a Paolo, mentre sulla cavalcatura
viene portato a Cesare, ci richiama la storia dell’uomo incappato nei
briganti di cui ci parla Luca (10, 25-37) nel suo vangelo, nota come
la parabola del buon samaritano. La conosciamo. Quell’uomo è
caduto in mano ai briganti e giace sul ciglio della strada…Tutti i
passanti scendono lasciandosi alle spalle Gerusalemme. Finché c’è
un Samaritano che sale. Un Samaritano a Gerusalemme, di per sé,
non avrebbe niente da fare, perché a Gerusalemme non lo vogliono.
Ma lui, il Samaritano che è Gesù, sale. Vede il malcapitato, lo
carica sulla cavalcatura e lo porta alla locanda. E’ lo stesso verbo, in
greco, usato per Gesù quando entra a Gerusalemme sulla
cavalcatura. Quando Gesù entra a Gerusalemme, sulla cavalcatura
con lui c’è il pover’uomo che giaceva sulla strada, ci siamo noi, c’è
anche Paolo, che è stato caricato da Gesù lungo la strada.
Vedete il programma di Paolo è saltato per aria. Ma mai come
adesso Paolo è stato vicino a Gesù, mai come adesso Paolo scopre
Lettura spirituale degli Atti degli Apostoli - 78
che Gesù lo ha guardato, lo ha riconosciuto, si è preso cura di lui,
Gesù ha versato olio e vino sulle sue ferite, lo ha caricato sulla
cavalcatura, mai come adesso Paolo è stato vicino a Gesù.
Quindi, niente martirio, anzi, adesso comincia il tempo di una
lunga carcerazione, Paolo resta mesi, anni in carcere. A far che cosa?
Intanto il tribuno, il procuratore che fanno questo e quest’altro e poi
e poi.. bisogna evangelizzare i pagani, andare in giro per il mondo.
Mai come adesso Paolo è stato vicino a Gesù. E’ il tempo forte della
conversione. E’ il tempo decisivo, determinante, per la conversione
di Paolo, un tempo lunghissimo.
Atti 24- 28: Il noviziato finale di Paolo
Nel c. 23 v. 11 vi leggiamo“la notte seguente gli viene accanto il
Signore e gli dice: coraggio…” vedete, le porte si chiudono ma nello
stesso tempo lo spazio è più grande, è uno spazio dentro il cuore.
Gli viene accanto il Signore. Ma Paolo è in carcere. E’ il tempo per
Paolo del noviziato finale della sua vita. Anche fisicamente Paolo è
costretto a rimanere nello spazio ristretto di un carcere, i grandi
progetti dell’attività pastorale sono spazzati via. Il grande progetto
del suo martirio, nel Nome di Gesù, ora sembra una piccolezza,
rispetto ad anni ed anni di carcere. Ma intanto lo spazio interiore di
Paolo si allarga. In questo piccolo angolo di mondo, che è un
carcere, il cuore di un cristiano si spalanca sempre di più, e con lui
un disegno d’amore eterno, l’amore di Dio.
Paolo si trova a Cesarea nel pretorio, è agli arresti e viene
ascoltato dal procuratore romano Felice. E intanto passa il tempo.
Resta a Cesarea per due anni. Felice è un funzionario dello stato che
fa il suo mestiere, gl’importa poco la verità, la giustizia, l’onestà. Fa’
il suo mestiere. E Paolo rimane in prigione. Felice si aspettava soldi
da Paolo, ma Paolo non ha denaro e non c’è nessuno che paga per
lui. Non c’è nessuno che intervenga. Paolo è solo. E’ una situazione
compromettente. E’ una situazione imbrogliata. Il Procuratore
Lettura spirituale degli Atti degli Apostoli - 79
vuole guadagnarsi qualcosa ma non ci guadagna, e perciò Paolo
resta in carcere.
E’ una situazione squallida. Paolo non è diventato martire a
Gerusalemme, ma è stato abbandonato a sé stesso, Paolo vive un
giorno dopo l’altro in un ambiente poco raccomandabile, alle prese
con persone che non sono certo al suo livello. E’ in carcere, ci sono
le guardie, ci sono le persone ragguardevoli che hanno delle
responsabilità verso di lui. Ma Paolo sta lì. Cosa fa? Legge, studia,
prega, tratta con tutti, dialoga con tutti.
E’ veramente il tempo decisivo per quanto riguarda la
formazione cristiana di Paolo. Spesso quest’ultimi capitoli degli Atti
vengono trascurati, si leggono poco, di corsa e si dimentica di
prendere in considerazione che è il tempo più prezioso per la
maturazione della vita cristiana.
Tanto quello che doveva succedere già è successo, adesso non
succede niente, quindi tanto vale arrivare subito alla fine. Invece
questi pochi capitoli coprono lo svolgimento di anni e sono gli anni
decisivi per la formazione di un cristiano come Paolo.
Sono gli anni decisivi per quanto riguarda il suo discepolato, la
sua profezia nel Nome di Gesù, la sua immersione nel mistero del
Signore, che è morto e che è risorto. Per quanto riguarda la sua
comunione con Gesù. Il protagonista della visita di Dio, della
gratuità dell’Amore. Paolo sta imparando ad amare, per questo il
nostro Luca dà tanta importanza a questi capitoli. Anche se noi
quando li leggiamo facciamo finta che non ci siano.
Noi preferiamo leggere i capitoli che raccontano quando Paolo
predica in piazza, quando fa l’apostolato. Ma poi ci accorgiamo che
le cose non corrispondono. Adesso Paolo è in carcere. Dunque non
ci interessa più, non riguarda più il nostro carisma. Però questo che
è il carisma della vita cristiana, e purtroppo lo trascuriamo ed è
questo carisma che deve giungere alla sua maturazione.
In un luogo così chiuso, così angusto, così ristretto, nella cella
di un carcere, lo spazio del cuore si allarga. Paolo ne vede di tutti i
colori. Paolo è pronto a dialogare con tutti. Rendiamoci conto che
Lettura spirituale degli Atti degli Apostoli - 80
coloro che dovevano essere più vicini a lui, essere accanto a lui,
magari fare una colletta per liberarlo, si sono dimenticati di lui.
Nessuno ha detto: paghiamo per lui, per la sua liberazione. E’
rimasto solo, ma Paolo non si scandalizza più di niente e di
nessuno.
Intanto (c. 25) è arrivato a Cesarea un altro procuratore
romano: Festo. Di nuovo il processo, ma non ci sono soluzioni.
Allora Paolo chiede di andare a Roma per essere processato davanti
all’Imperatore. E’ cittadino romano e dunque ha il diritto di essere
processato a Roma. Ma che figura ci fa un procuratore mandando
un imputato senza imputazione? Bisogna trovare un’imputazione,
ma non c’è.
E qui compare il re Agrippa II. Una figura squallida e sua
“sorella” Berenice. Vogliono parlare con Paolo, sono curiosi. Paolo
compare davanti al procuratore e a Erode Agrippa e fa un discorso.
Al c. 26 per la terza volta Paolo racconta quello che è avvenuto, e
mentre racconta Paolo continua a riflettere su quello che è successo.
Come nel c. 22 anche qui Paolo racconta. Spiega cosa gli è successo.
“Per queste cose i giudei mi assalirono… io posso rendere
testimonianza…” (26, 21). Nell’originale greco si traduce: io posso
rendere testimonianza al piccolo e al grande. Noi immaginiamo che
Paolo stia viaggiando per le strade del mondo perché deve
evangelizzare i pagani, ma invece Paolo sta in carcere e parla con i
vicini. Parla con le guardie, con i piccoli e con i grandi. Ogni tanto si
trova con il procuratore romano. Rendo testimonianza ai piccoli e ai
grandi. “Nulla ho insegnato di diverso da ciò che i profeti, compreso
Mosè, hanno detto dover accadere, cioè che il Messia avrebbe sofferto; che,
come primo dei risorti, avrebbe recato la luce a Israele e ai pagani” (vv. 2224).
Ecco è la visita di Dio oggi! La promessa di Dio è compiuta. E’
l’opera di Dio che si è realizzata. E’ la rivelazione di un amore
vittorioso, di un amore glorioso, più grande di tutto, che contiene
tutto, che riconcilia tutte le creature secondo le intenzioni del
Creatore. Mentre egli parlava così, Festo dice: “sei pazzo Paolo”. E
Paolo risponde che non è pazzo. Anzi desidera che altri possano
Lettura spirituale degli Atti degli Apostoli - 81
essere come lui, tranne che per le catene. Ma in verità nessuno è
interessato al suo discorso. Si decide perciò di mandarlo a Roma,
perché da cittadino romano, si è appellato a Cesare.
Viaggio verso Roma
Il racconto degli Atti prosegue narrando le vicissitudini di
questo viaggio di Paolo, persino un naufragio. Ricordate il libro di
Giona, il profeta. Anche Giona fa un naufragio. Paolo naufraga nel
Mediterraneo e tutti si salvano. Questo viaggio acquista il
significato simbolico di una ricapitolazione generale. E’ la storia di
Paolo, della sua vita: un naufragio.
Allora diventa un fallimento, ma è il suo battesimo, un
battesimo che acquista adesso una fecondità davvero straordinaria
perché nel suo battesimo personale , nel suo morire in comunione
con Gesù, c’è una forza di vita fecondissima, una forza di amore che
contiene tutto il mondo e tutta la storia umana, la nave, il mare, la
storia del mondo.
Paolo è sulla nave ma come cristiano è solo. Eppure, attraverso
quel naufragio sta evangelizzando in pienezza, attraverso la sua
esperienza così personale, così limitata, annuncia la gratuità di Dio,
porta in sé la storia dell’umanità. Oltre tutto, al c. 27, ritorna la
prima persona plurale: “il giorno dopo facemmo scalo a Sidòne e Giulio,
con gesto cortese verso Paolo, gli permise di recarsi dagli amici e di
riceverne le cure” (v. 3). C’è un centurione romano di nome Giulio. E’
un uomo cordiale che gli concede di muoversi con una certa libertà.
Paolo ormai è capace di sorridere a tutti, anche al centurione
romano, sprigiona una simpatia, una cordialità verso tutti. Soffia il
vento, ci sono venti che irrompono sulla scena con una potenza
straordinaria. E’ un vortice di venti: vv. 4.7.12.14. E’ un pezzo che
negli Atti non si parlava dallo Spirito Santo, l’ultima volta che si è
parlato dallo Spirito Santo è stato al c. 21, quando Paolo cercava di
celebrare la Pentecoste a Gerusalemme. Adesso la Pentecoste
sembra coincidere con questa esplosione di venti che sconvolgono
Lettura spirituale degli Atti degli Apostoli - 82
la scena del mondo, la superficie del mare, l’umanità, il viaggio di
Paolo.
La grande tempesta è affrontata da Paolo come rivelazione di
quel disegno provvidenziale per cui si compie l’opera di Dio, la
visita di Dio che realizza una totalità d’amore, che ha un valore,
eterno, definitivo, universale: la salvezza! E’ una storia di salvezza,
è una tempesta, è la Pentecoste! Il naufragio, il disastro, il pericolo
di affondamento, qui anneghiamo tutti…nel battesimo che è la
Pasqua del Signore, la storia della nostra salvezza.
Nel corso del viaggio il problema diviene sempre più urgente,
qui è in gioco la vita di tutti; la vita di tutti gli altri che sono sulla
nave è legata alla vita di Paolo. C’è un legame indissolubile ormai
tra la vita degli altri e la vita di Paolo. Qui è in questione la salvezza
universale. Il racconto mette in evidenza che non c’è più possibilità
di distinguere tra Paolo e gli altri: se c’è salvezza per Paolo, per la
sua vita, allo stesso tempo c’è salvezza per tutti.
“Da vari giorni non compariva più il sole... tuttavia non ci sarà
nessuna perdita di vite umane, bensì unicamente della nave” (vv. 20.22).
Nessuna perdita di vite. “ Mi apparve un angelo di Dio, quel Dio a cui
appartengo e che servo…” (v. 23). Paolo racconta che dovendo lui
arrivare a Roma, tutti gli altri si salveranno. Coraggio, tutto accadrà
come è stato annunziato.
“Finché non spuntò il giorno” (v. 33a). Il giorno è oggi, è sempre
oggi, il giorno in cui sorge l’alba ed illumina la scena per condurci
al porto della salvezza. Certo con tanti disastri, con tanti
tribolazioni, con tante sofferenze… e allora, “oggi è il 14° giorno che
passate digiuni nell’attesa, senza prender nulla. Per questo vi esorto a
prendere cibo”(vv. 33-34). Questa è l’attualità della storia di tutti gli
uomini. Oggi è la Pasqua del Signore, oggi è la rivelazione di
un’opera del Signore che rimane per sempre, vittoriosa, che ha una
fecondità universale, è oggi la nuova creazione nel soffio dello
Spirito Santo.
“Dette queste parole, prese del pane, rese grazie a Dio alla presenza
di tutti, lo spezzò e per primo ne mangiò” (v. 35). Sapete cosa fa qui
Lettura spirituale degli Atti degli Apostoli - 83
Paolo? Celebra l’Eucaristia. Prende il pane e celebra l’Eucaristia
davanti ai pagani, davanti al mondo. La grande preghiera di
benedizione, un grande segno della riconciliazione e della nuova
creazione. La gente è incoraggiata anche se non capisce. Ma tutti
prendono cibo e si rianimano.
Poi la nave si incaglia, se ne va a pezzi, ma tutti si mettono in
salvo. La vita di Paolo ha preso una piega interessante. Mai come
adesso Paolo si è trovato proprio inserito nell’oggi della salvezza di
tutta l’umanità. Questo è il valore della storia umana, dal momento
che il Figlio di Dio è disceso e risalito, è morto e risorto, lo Spirito di
Dio è stato diffuso. Quelli che erano sulla nave non lo sanno, né
Paolo è in grado di spiegarlo. Ma l’opera della salvezza si compie,
oggi (cf v. 40).
Arrivano a Malta (c. 28). Qui di nuovo ci sono incontri che
Paolo non avrebbe immaginato. Attorno a Paolo anche degli
sconosciuti. Paolo riesce a scoprire il valore autentico, prezioso che
persone sconosciute manifestano con i loro comportamenti, con le
loro parole piene di umanità. Gente buona. “Ci accolsero attorno a un
fuoco” (v. 2). E qui accade qualcosa di molto interessante: una vipera
si attacca alla mano di Paolo mentre sta raccogliendo alcuni sterpi
per ravvivare il fuoco.
Scampato dal mare, pensano gli astanti, quest’uomo ora
morirà per la vipera. Ma non è così, Paolo scuote la mano e la
vipera cade nel fuoco senza fargli alcun male. Tutti restano
impressionati. Notate che la vipera appare all’inizio del racconto di
Luca e qui alla fine (cf Giovanni Battista: razza di vipere!).
Ma qui abbiamo a che fare con un uomo nuovo, Paolo, che non
subisce alcun danno da parte del serpente, il serpente non ha più
veleno per lui, non ha più veleno. Quando un uomo è rinnovato in
Cristo non ha più niente da temere, il serpente non ha più potere,
perché vedete tutto per quell’uomo diventa rivelazione d’amore.
Potrà morire, morirà, ma tutto in quell’uomo rimane testimonianza
della misericordia vittoriosa di Dio, testimonianza di Gesù. Il
serpente non ha più potere.
Lettura spirituale degli Atti degli Apostoli - 84
Poi Paolo si dà da fare. A Malta passano alcuni mesi, passa
l’inverno. Riprendono il viaggio. Approdano a Siracusa, poi a
Reggio Calabria. C’è lo scirocco, un vento del Sud, e arrivano a
Pozzuoli, dove sono accolti da alcuni fratelli. Poi dopo una
settimana arrivano a Roma. Paolo rimane carcerato, è sotto custodia
militare, ma in una situazione che gli permette di mantenere tanti
contatti. Passano altri due anni, non è uno scherzo. Sono altri due
anni a Roma.
Il processo non ha luogo. Vedete quanto tempo! Oltre tutto ci
interesserebbe sapere cosa succede dopo, invece qui il nostro Luca
non ci dice come vanno a finire tutte queste cose. Ma poi da altre
fonti, sappiano che Paolo sarà martire a Roma, ma questo Luca non
ce lo racconta. Perché il martirio non significa automaticamente
lapidazione o decapitazione, il martirio è la profezia della vita
cristiana, che si esprime con le innumerevoli possibilità dell’amore
gratuito.
Il resto, in un certo modo, è coreografia, perché la qualità
autentica della vita cristiana, la fecondità della vita cristiana sta
nella pazienza di una testimonianza d’amore, che è profezia della
vita cristiana. Questo è il motivo per cui Paolo nelle icone è
raffigurato con i capelli che hanno un ciuffo centrale sulla fronte: è
il segno dell’Agape. Paolo è raffigurato come il maestro dell’amore,
dell’agape.
A Roma Paolo prende contatti con gli altri giudei che sono
residenti nella capitale dell’impero. Spiega le sue cose. Ci sono
quelli che si avvicinano interessati, e ci sono quelli che sono
risentiti. Una storia vecchia questa.
Nei vv. 26-27 si fa riferimento ad una citazione di Is 6,9: “va’ da
questo popolo… porgerete l’orecchio, ma non comprenderete…”, al v. 28
Paolo dice: “Sia dunque noto a voi che questa salvezza di Dio viene ora
rivolta ai pagani ed essi l’ascolteranno”. Paolo ha sempre davanti a sé
questo panorama immenso, questa visione del mondo, della storia
umana, l’evangelizzazione dei vicini e dei lontani. Oggi e per il
tempo che verrà. Porte che si chiudono e il cuore che si apre. Un
Lettura spirituale degli Atti degli Apostoli - 85
piccolo cristiano come Paolo, in un angolo di mondo, porta in sé la
visita di Dio, oggi!
“Paolo trascorse due anni interi nella casa che aveva presa a prigione
e accoglieva tutti” (v. 30). Siamo arrivati alla fine, ma forse a noi non
sembra la fine. Tant’è vero che alcuni studiosi pensavano che era
sparita l’ultima parte degli Atti. Ma gli Atti finiscono proprio qui.
Paolo che accoglieva tutti. Una stanza per accogliere il mondo. Un
“povero cristo” sconosciuto, in un angolo del mondo, che accoglie
tutti nella stessa gratuità d’amore con cui è stato amato da Cristo.
Lettura spirituale degli Atti degli Apostoli - 86
Indice
Presentazione
3
Introduzione: il mistero della vita cristiana
4
Atti 1: Una comunione d’Amore nella libertà
5
Atti 2: Il dono dello Spirito
7
Atti 3,1-4,22: Nel Nome di Gesù
9
Atti 6 e 7: La testimonianza di Stefano
12
Il carisma di Pietro
20
Atti 9,32ss: L’opera di Pietro fuori di Gerusalemme
26
Atti 10: Pietro evangelizza i pagani
29
Atti 12: Pietro, liberato dal carcere, evangelizza la Chiesa
32
Atti 9: La conversione di Saulo
40
Atti 11-12: Barnaba, il dono della mediazione
48
Atti 13-20: I viaggi missionari di Paolo
55
La missione è un’esperienza contemplativa
57
Pietro dirime la questione della circoncisione
58
Paolo entra in Europa
60
Il terzo viaggio missionario di Paolo
63
Paolo ripensa a tutta la sua missione
66
Atti 21 - 23: Paolo imprigionato
71
Atti 24- 28: Il noviziato finale di Paolo
78
Viaggio verso Roma
81
Indice
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Lettura spirituale degli Atti degli Apostoli - 87
Lettura spirituale degli Atti degli Apostoli - 88
Descrizione dell’icona
L’icona degli apostoli Pietro e Paolo, è un’opera recente e si
trova nella chiesa parrocchiale dei Santi Pietro e Paolo a
Castelrotto (Bolzano).
Raffigura i due massimi apostoli e pastori della Chiesa
nell’atto di sostenere la Chiesa di Dio e di presentarla a Cristo
sposo, che nell’icona appare nella mandorla in alto.
Cristo, fondamento e pietra angolare della Chiesa, si avvale
del ministero di Pietro, che apre le porte dell’Evangelo a tutti ed
evangelizza la stessa Chiesa. E del ministero di Paolo, che dona
alla Chiesa il linguaggio teologico nuovo per la sua missione
universale.
Ambedue gli apostoli sono le colonne portanti dell’edificio
spirituale della Chiesa e reggono tra le mani i sacri Testi, su cui è
testimoniata la loro funzione pastorale.
Il loro piedi divaricati esprimono l’atteggiamento di chi è in
cammino, per annunciare l’Evangelo attraverso il tempo e lo
spazio.
Casa generalizia – Roma
Febbraio 2006
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Lettura spirituale degli Atti degli Apostoli