POSTFAZIONE
RICORDI DEL VECCHIO MAESTRO GICHIN FUNAKOSHI
Avrei molti aneddoti da raccontare sul maestro ma, tra le varie reminescenze, mi limiterò ad esporne
due o tre.
PRIMO EPISODIO
Risale grossomodo all’anno Showa 12 o 13. subito dopo la mia laurea. A quel tempo, più che un
leone ero un insetto nell’ambito della disciplina, e se ne sono convinto io guriamoci se non la
pensavano così gli altri. Mi allenavo dall’alba all’imbrunire, nel mio vecchio dojo durante la mattinata
e presso il dojo centrale alla sera. Successe un giorno, credo di ricordare che fosse domenica, vicino
alla stazione di Mejiro, subito dopo la costruzione del dojo centrale.
Dopo alcuni tentativi andati in fumo, facendo perno intorno al giovane maestro Yoshitaka, tutte le
energie dei ragazzi furono convogliate nella felice edicazione del dojo centrale battezzato con lo
pseudonimo del vecchio maestro “Shotokan”. Tuttavia, all’epoca non si ricorreva a tale appellativo
bensì vi si faceva riferimento semplicemente chiamandolo dojo centrale.
Dal dojo che era, ovvero qualcosa di simile a Masagocho e Yumicho di Hongo e a Shimotaya
leggermente modicati, si trasformò in un dojo vero e proprio ma la denominazione era rimasta
quella di prima, ovvero dojo centrale.
Che gioia allenarsi in un dojo così bello e per di più costruito con i nostri sforzi! La sensazione era
quella di essere consanguinei e lo spirito con il quale ci esercitavamo risultò ancora più vigoroso.
Naturalmente anche la felicità del vecchio maestro Funakoshi e del giovane era grande; ogni volta
che comparivano nel dojo ci offrivano la loro guida con un sorriso in più.
Come d’abitudine, mi stavo allenando da solo, senza alcuna distrazione, nel dojo deserto. Mi stavo
esercitando nel nukiashi e nel fumikomi del tekki.
“Fai funzionare il sokuto (parte esterna del piede), cerca di non appoggiare il tallone” mormorai
in una sorta di soliloquio, e schiacciai con tutte le mie forze. Si sentì un rumore secco. Attonito,
guardai in basso. Le assi di quel pavimento perfettamente costruito pochissimo tempo prima
erano magnicamente spezzate in modo obliquo. “Ce l’ho fatta!” pensai dentro di me con gioia
ma, trattandosi pur sempre dell’importante dojo appena ultimato, ritenni opportuno informarne il
giovane maestro, presentando al contempo le mie scuse.
“Allora ce l’hai fatta, le hai proprio spezzate!” disse il giovane maestro entrando nel dojo. “Wow,
questo… ” rimase senza parole per qualche istante e, dopo aver esaminato attentamente aggiunse:
“Ben fatto, un taglio netto. Non preoccuparti, provvedo subito io a rimetterle a posto. Certo che hai
fatto davvero un bel lavoro.”
Non fui rimproverato, anzi, ebbi l’impressione che mi stesse encomiando, e per di più col sorriso
sulle labbra. Mi sentivo ancora un po’ a disagio ma alla ne sorrisi anch’io, lasciando trasparire
l’intima gioia.
“Allora Egami, sei stato tu a spezzare le assi del pavimento.” Il vecchio maestro pronunciò queste
parole con la sua voce pacata, comparendo da non so dove. “Si, è colpa mia. Chiedo scusa” dissi
in modo un po’ patetico, convinto che mi avrebbe facilmente perdonato nonché elogiato come era
successo con il giovane Funakoshi.
“Seguimi” mi disse, accompagnandomi nello studio al primo piano. Alquanto preoccupato, mi sedetti
docilmente di fronte a lui.
Dopo qualche istante disse: “Egami, l’hai fatto di nuovo. L’allenamento vero non ha niente a che
vedere con cose del genere.”
Queste osservazioni preliminari mi aiutarono a comprendere che la disciplina originale, quella di un
tempo, nulla aveva a che fare con la violenza. In origine ci si allenava sugli shoji (pannelli di carta
di riso); il lato sul quale era incollata la carta veniva rivolto verso l’alto, vi ci si versava dell’acqua
e lì sopra avevano luogo le esercitazioni. Naturalmente ci si doveva muovere in modo tale da non
rompere il telaio degli shoji ed evitando di lacerare la carta. Tuttavia, il movimento doveva essere
energico. Ho studiato a fondo le modalità per una sicura riuscita e mi sono stati prodigati consigli
amichevoli in merito.
Se ci ripenso adesso, il discorso di quel giorno fu estremamente importante. Vorrei che tutti ne
potessero apprezzare il valore.
SECONDO EPISODIO
Risale più o meno all’anno Showa 10, quando mi recai ad una presentazione di arti marziali presso il
monte Ashiodo in compagnia di Funakoshi padre. Probabilmente fu la mano del destino a scegliere
proprio me come compagno del maestro. Credo di ricordare che si trattasse di una spiegazione sui
kata.
Quando mi ordinò di colpirlo alla parte superiore del corpo esitai interrogandomi circa l’opportunità
o meno di colpire sul serio, con tutte le forze a mia disposizione, quell’anziano pressoché
settantenne.
“Cosa stai facendo? Deciditi a colpire!” tuonò. Titubante, perplesso e in preda a sensazioni ambigue
nalmente passai all’azione. Egli parò gentilmente, il mio corpo uttuò ondeggiando, il braccio che
aveva colpito fu afferrato nella posizione in cui aveva ultimato l’azione dopodiché venne tirato verso
i suoi anchi. Quando, barcollando, pensai nel profondo del mio cuore: “Accidenti!”, in quell’istante
stesso fui abilmente e nobilmente colpito in posizione mediana.
L’errore fu quello di averlo considerato anziano; tuttavia, rimasi sbalordito di fronte ai movimenti di
quel corpo, alla sua vitalità; tuttora, quando ci ripenso, credo che fosse strabiliante per quell’età.
E poi il fatto che il colpo infertomi fosse così simile a quelli che noi stessi oggi eseguiamo in
allenamento è sorprendente.
Io che quella volta, a causa dell’età anagraca, pensai che il maestro non avesse più forza e che
quindi, in fondo, mi presi un po’ gioco di lui, non posso che pentirmi e chiedere venia.
TERZO EPISODIO
Ho saputo che l’anziano maestro mai una volta in tutti i novant’anni della sua vita combatté. In altre
parole, non si lasciò coinvolgere in nessun conitto.
Nemmeno quando espulse un allievo ed io, colmo di ardore giovanile e in preda a un’incontenibile
moto di rabbia, gli chiesi di poterlo picchiare. Dopo avermi aspramente redarguito mi disse: “Egami,
quello, tutto sommato, è un pover’uomo. E’ uno che tira avanti grazie al karate. Sarebbe come fare
in mille pezzi la sua ciotola di riso. E poi, se fosse indispensabile, sarei io a doverlo fare.”
Quando rivado a quelle frasi pronunciate con tanta fermezza, provo grande tenerezza perché credo
che fosse davvero un grande uomo. Dietro a quelle parole si nasconde la personalità di un maestro,
di un essere umano che in novant’anni di vita, molti dei quali spesi in nome del karate, mai cedette
al combattimento.
NOTE
Ideale estetico – di non facile denizione in quanto assunse sfumature differenti nei diversi periodi
– che indica una sensazione di solitudine.
2
Ideale estetico introdotto in Giappone da Fujiwara no Toshinari e poi sviluppato con sfumature
diverse da artisti posteriori, è il fascino della solitudine, della calma, del passato.
3
La misura standard di 1 jo = 1 tatami è di circa m. 1,80 di lunghezza x m. 0,90 di larghezza.
4
Proverbio giapponese che dice: “La rana del pozzo non sa nulla del grande oceano”.
5
La parata che consente la difesa della parte alta del corpo.
6
Tempio di Shaolin.
7
“Te” = mano; modo, maniera, metodo; trucco…
8
“Te” in questo caso è da considerare per il suo signicato di “metodo”.
9
Si tratta di due modi diversi di leggere gli stessi caratteri cinesi.
10
To = dinastia imperiale cinese dei Tang.
11
La tecnica del karate.
12
Metodo.
13
Tecnica, metodo.
14
1921.
15
1905-6.
16
Via del karate.
17
Via del karate del Giappone.
18
Metodo d’insegnamento del karate-do.
19
1924-25.
20
1934-35.
21
Area comprendente le città di Osaka, Kyoto, Kobe.
22
Sistema sillabico di scrittura giapponese.
23
Hei.
24
Ho.
25
Via.
26
Palestra.
27
Metodo della mente.
28
Colpo frontale di pugno ad altezza media.
29
Parata bassa.
30
Colpo di pugno portato dalla posizione naturale senza passare dal anco, semplicemente
sollevando in avanti il braccio (è la prima tecnica del Ten no kata).
31
Fendente diagonale.
32
La mano che ritorna.
33
Mano a gancio.
34
La mano che attacca.
35
Mano che muore.
36
Le forme.
37
Associazione per la preservazione delle arti marziali antiche.
38
Il metodo della mente.
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Postfazione e note - Egami KarateDo Italia