Il coraggio delle scelte: gli ignavi e Caronte …non ragioniam di lor, ma guarda e passa Inferno - Canto III Dante ci parla del coraggio e della viltà. Egli deve trovare la forza d’animo per compiere un pericoloso viaggio, il solo che può farlo uscire dall’angosciante condizione di peccatore smarrito, disorientato. Dapprima non sa trovare il coraggio ma poi Virgilio lo convince che quella è l’unica via d’uscita possibile. Gli ignavi, i codardi questo coraggio di scegliere non l’hanno avuto. Per questo sono i peccatori che egli maggiormente disprezza: essi sono, infatti, respinti da Dio e da Lucifero. Non si sono schierati né per il bene né per il male. Quello del coraggio di scegliere è certamente anche oggi un tema che non può lasciarci indifferenti. I concetti di giusto e sbagliato sono mutati, ma non è cambiata per gli individui l’esigenza di scegliere, di schierarsi, di assumersi responsabilità. La porta dell'Inferno si mostra ai due poeti con la sua minacciosa iscrizione che dichiara l'immutabilità della pena: "lasciate ogne speranza, voi ch'intrate". Dante è spaventato e confuso. Virgilio lo esorta ad abbandonare ogni viltà e ad avere coraggio, lo prende per mano e lo introduce nell’ambiente infernale, in un’atmosfera oscura e densa di grida e lamenti strazianti. Siamo nell'Antinferno: si sentono risuonare nell'aria tenebrosa sospiri, pianti e grida disperate, cosicché Dante prova un profondo turbamento. Sono lì punite le anime dei vili o ignavi, “che visser sanza ‘nfamia e sanza lodo”, che non presero mai posizione, sgraditi a Dio ma anche Lucifero, ("a Dio spiacenti ed a' nemici sui"), rifiutati dal Paradiso ma degni di tale disprezzo da non essere accolti neppure all’Inferno. Una schiera interminabile di anime nude (tra le quali “colui che fece per viltade il gran rifiuto”) corre dietro a un'”insegna” in perpetuo movimento, pungolata da mosconi e vespe, mentre vermi ripugnanti succhiano ai loro piedi il sangue mischiato alle lacrime. Dante vede una moltitudine affollata presso il fiume Acheronte, sul quale sopraggiunge la barca di Caronte, il traghettatore delle anime alla riva infernale. Accortosi che Dante è vivo, Caronte gli intima di allontanarsi, perché è destinato ad un altro viaggio, per vie diverse. Virgilio lo riduce al silenzio dicendogli che quel viaggio è voluto da Dio stesso. Le anime, pallide di paura e tremanti, bestemmiano Dio e la specie umana. Piangendo, si affrettano a salire sulla barca di Caronte, che le trasporta sull’altra riva. Un terremoto scuote l’Inferno e Dante, sopraffatto dalle emozioni, sviene. Le tematiche. □ L’eternità della condanna e della pena cui i dannati sono condannati; □ Il tema del libero arbitrio, della responsabilità morale e del coraggio di scegliere il bene o il male; □ La caratterizzazione dell’ambiente infernale e del primo “mostro”. Le sequenze. Nel III canto dell’Inferno si possono individuare quattro sequenze: □ Una introduttiva, in cui si descrive la terribile scritta della porta dell'Inferno (vv. 1-21); □ Due macrosequenze centrali: la prima in cui si descrive l’impatto con la realtà infernale e la visione degli ignavi (vv. 22-69); la seconda in cui si descrive l'incontro con Caronte e con le anime dannate (vv. 70-129). □ Una sequenza conclusiva: in cui Dante, sopraffatto dalle dolorose impressioni suscitate dall’incontro con la realtà infernale e da un terribile terremoto, sviene “come l'uom cui sonno piglia”. La pena degli ignavi (i vili): I dannati nudi, mescolati agli angeli che non si schierarono né con Dio né con Lucifero, sono costretti a correre eternamente dietro un'insegna, punti da vespe e mosconi; il loro sangue e le loro lacrime sono raccolti dai vermi. Contrappasso: Sono costretti a correre dietro una bandiera perché in vita non ne seguirono alcuna, e la loro vita inutile alimenta bestie inutili. «Per me si va ne la città dolente, per me si va ne l'etterno dolore, per me si va tra la perduta gente. Giustizia mosse il mio alto fattore; fecemi la divina podestate, la somma sapïenza e 'l primo amore. Dinanzi a me non fuor cose create se non etterne, e io etterno duro. Lasciate ogne speranza, voi ch'intrate". Queste parole di colore oscuro vid'ïo scritte al sommo d'una porta; per ch'io: «Maestro, il senso lor m'è duro». Ed elli a me, come persona accorta: «Qui si convien lasciare ogne sospetto; ogne viltà convien che qui sia morta. Noi siam venuti al loco ov'i' t'ho detto che tu vedrai le genti dolorose c'hanno perduto il ben de l'intelletto». E poi che la sua mano a la mia puose con lieto volto, ond'io mi confortai, mi mise dentro a le segrete cose. Quivi sospiri, pianti e alti guai risonavan per l'aere sanza stelle, per ch'io al cominciar ne lagrimai. Diverse lingue, orribili favelle, parole di dolore, accenti d'ira, voci alte e fioche, e suon di man con elle 1 facevano un tumulto, il qual s'aggira sempre in quell'aura sanza tempo tinta, come la rena quando turbo spira. E io ch'avea d'error la testa cinta, dissi: «Maestro, che è quel ch'i' odo? e che gent'è che par nel duol sì vinta?». Ed elli a me: «Questo misero modo tegnon l'anime triste di coloro che visser sanza 'nfamia e sanza lodo. Mischiate sono a quel cattivo coro de li angeli che non furon ribelli né fur fedeli a Dio 2, ma per sé fuoro. Caccianli i ciel per non esser men belli, né lo profondo inferno li riceve, ch'alcuna gloria i rei avrebber d'elli». E io: «Maestro, che è tanto greve a lor che lamentar li fa sì forte?». Rispuose: «Dicerolti molto breve. Questi non hanno speranza di morte e la lor cieca vita è tanto bassa, che 'nvidiosi son d'ogne altra sorte. Fama di loro il mondo esser non lassa; misericordia e giustizia li sdegna: non ragioniam di lor, ma guarda e passa». 3 6 9 12 15 18 21 24 27 30 33 36 39 42 45 48 La porta dell’inferno 1-21: “Attraverso me si va nella città del dolore, attraverso me si va nell’eterno dolore, attraverso me si va tra le anime dannate. Giustizia ha spinto il mio sommo creatore; mi ha fatto la potenza divina, la somma sapienza e la fonte dell’amore. Prima di me non furono create cose se non eterne, ed io in eterno duro. Lasciate ogni speranza o voi che entrate”. Queste parole di colore scuro vidi scritte sulla sommità di una porta; perciò dissi: “Maestro, il loro significato mi disorienta”. Ed egli a me, come persona sensibile, rispose: “Qui bisogna lasciare ogni indugio; ogni viltà qui deve cessare. Noi siamo giunti al luogo dove ti ho detto che vedrai le anime sofferenti di coloro che hanno perso il bene dell’intelletto (cioè di Dio, somma verità)”. E dopo che ebbe posato la sua mano sulla mia con volto sereno, per cui io mi rianimai, mi fece entrare in quel mondo segregato. Gli ignavi 22- 69: Qui sospiri, pianti e acuti lamenti risuonavano nell’atmosfera senza stelle, tanto che al primo contatto iniziai a piangere. Diverse lingue, orribili parlate, parole di dolore, esclamazioni d’ira, voci alte (acute) e fioche (deboli e strozzate), e con esse un battere di mani creavano un frastuono, che di continuo si diffonde in quell’atmosfera eternamente buia, come la sabbia quando soffia un vento vorticoso. Ed io che avevo la testa stretta dal dubbio, dissi: “Maestro, che cos’è quel che odo? E che gente è questa che sembra tanto preda del dolore?”. Ed egli a me: “Questa misera condizione è propria delle infelici anime di coloro che vissero senza infamia e senza lode. Sono mescolate a quel gruppo malvagio di angeli che non furono ribelli ma neppure fedeli a Dio, ma che fecero parte per sé. I cieli li cacciano per non essere meno belli, ma neppure il profondo inferno li accoglie, perché i dannati potrebbero ricavarne qualche vanto. Ed io: “Maestro, che cosa li opprime al punto da farli lamentare tanto forte?”. Rispose:”Ti dirò brevemente. Essi non hanno speranza di morte, e la loro cieca vita è tanto umiliante, che sono invidiosi di ogni altra sorte. Il mondo non li ricorda; la misericordia e la giustizia divine li disprezzano: non parliamo di loro, ma guarda e passa oltre. 51 1 2 suon di man con elle: gli ignavi cercano disperatamente di cacciare con le mani le vespe e i mosconi che li tormentano. Gli angeli che restarono neutrali quando Lucifero si ribellò a Dio. E io, che riguardai, vidi una 'nsegna che girando correva tanto ratta, che d'ogne posa mi parea indegna; e dietro le venìa sì lunga tratta di gente, ch'i' non averei creduto che morte tanta n'avesse disfatta. Poscia ch'io v'ebbi alcun riconosciuto, vidi e conobbi l'ombra di colui che fece per viltade il gran rifiuto3. Incontanente intesi e certo fui che questa era la setta d'i cattivi, a Dio spiacenti e a' nemici sui. Questi sciaurati, che mai non fur vivi, erano ignudi e stimolati molto da mosconi e da vespe ch'eran ivi. Elle rigavan lor di sangue il volto, che, mischiato di lagrime, a' lor piedi da fastidiosi vermi era ricolto. E poi ch'a riguardar oltre mi diedi, vidi genti a la riva d'un gran fiume; per ch'io dissi: «Maestro, or mi concedi ch'i' sappia quali sono, e qual costume le fa di trapassar parer sì pronte, com'i' discerno per lo fioco lume». Ed elli a me: «Le cose ti fier conte quando noi fermerem li nostri passi su la trista riviera d'Acheronte». Allor con li occhi vergognosi e bassi, temendo no 'l mio dir li fosse grave, infino al fiume del parlar mi trassi. Ed ecco verso noi venir per nave un vecchio, bianco per antico pelo 4, gridando: «Guai a voi, anime prave! Non isperate mai veder lo cielo: i' vegno per menarvi a l'altra riva ne le tenebre etterne, in caldo e 'n gelo. E tu che se' costì, anima viva, pàrtiti da cotesti che son morti». Ma poi che vide ch'io non mi partiva, disse: «Per altra via, per altri porti verrai a piaggia, non qui, per passare: più lieve legno convien che ti porti». E 'l duca lui: «Caron, non ti crucciare: vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole, e più non dimandare». 54 57 60 63 66 69 72 75 78 81 84 87 90 93 E io, che guardai con attenzione, vidi una bandiera che girava in tondo tanto velocemente da sembrare incapace di una qualche sosta; e dietro di lei veniva una schiera tanto lunga di gente, che io non avrei mai creduto che la morte ne avesse annientata tanta. Dopo che ne ebbi riconosciuto qualcuno, vidi e riconobbi l’ombra di colui che fece per viltà il gran rifiuto. Subito compresi e fui sicuro che questa era la schiera dei vili, sgraditi a Dio ma anche ai suoi nemici (Lucifero e i diavoli). Questi sciagurati, che mai furono vivi, erano nudi e continuamente tormentati da mosconi e da vespe che li attorniavano. Essi rigavano il loro volto di sangue che, mischiato alle lacrime, veniva assorbito ai loro piedi da vermi ripugnanti. Caronte e la moltitudine dei dannati 70-120: E quando mi misi a guardare oltre, vidi delle anime sulla riva di un grande fiume; per cui dissi: “Maestro, concedimi ora di sapere chi sono, e per quale motivo appaiono così pronte ad attraversare, come mi sembra in questa scarsa luce”. Ed egli a me: “Le cose ti saranno chiare quando ci fermeremo sulla triste riva dell’Acheronte”. Allora con gli occhi vergognosi e bassi, temendo di importunarlo con le mie parole, fino al fiume mi trattenni dal parlare. Ed ecco verso noi venire sulle acque un vecchio, dai capelli e dalla barba bianchi, che gridava: “Guai a voi, anime malvagie! Non sperate di poter mai rivedere il cielo: io vengo per condurvi all’altra riva, nelle tenebre eterne, tra le fiamme e tra il ghiaccio. E tu che sei qui, anima viva, allontanati da costoro che sono morti”. Ma quando vide che non me ne andavo, disse: “Per un’altra via, per altri porti giungerai a riva per passare, non qui: un più lieve legno (imbarcazione) è opportuno che ti porti. E la mia guida a lui: “Caronte non ti irritare: si vuole così là dove si può ciò che si vuole, e più non domandare”. 96 3 È probabilmente di Pier da Morrone, papa Celestino V. Fece vita eremitica fin quando, il 4 aprile 1292, fu eletto papa nel conclave di Perugia, sotto pressione di Carlo II d'Angiò. Dopo breve esitazione accettò e fu incoronato pontefice il 29 agosto 1294 con il nome di Celestino V. Ben presto si accorse delle trame politiche che lo circondavano e della sua inesperienza ed incapacità. Il 3 dicembre 1294 riunì il concistoro e rinunciò al papato, su pressione del cardinal Caetani, che gli successe con il nome di Bonifacio VIII. Pier da Morrone intendeva riprendere la vita eremitica, ma il nuovo papa, temendo che potesse divenire uno strumento nelle mani dei suoi oppositori, lo fece rinchiudere nel castello di Fumone, dove morì nel maggio del 1296. 4 Un vecchio, bianco, per antico pelo: Caronte, figlio dell'Erebo e della Notte, è, nella tradizione classica, il traghettatore delle anime nell'aldilà. Il personaggio è descritto da Virgilio in Eneide, VI, 298-304, nei più minuti particolari, che Dante efficacemente sintetizza in pochi tratti. Quinci fuor quete le lanose gote al nocchier de la livida palude, che 'ntorno a li occhi avea di fiamme rote. Ma quell'anime, ch'eran lasse e nude, cangiar colore e dibattero i denti, ratto che 'nteser le parole crude. Bestemmiavano Dio e lor parenti, l'umana spezie e 'l loco e 'l tempo e 'l seme di lor semenza e di lor nascimenti. Poi si ritrasser tutte quante insieme, forte piangendo, a la riva malvagia ch'attende ciascun uom che Dio non teme. Caron dimonio, con occhi di bragia loro accennando, tutte le raccoglie; batte col remo qualunque s'adagia. Come d'autunno si levan le foglie l'una appresso de l'altra, fin che 'l ramo vede a la terra tutte le sue spoglie, similemente il mal seme d'Adamo 5 gittansi di quel lito ad una ad una, per cenni come augel per suo richiamo. Così sen vanno su per l'onda bruna, e avanti che sien di là discese, anche di qua nuova schiera s'auna. «Figliuol mio», disse 'l maestro cortese, «quelli che muoion ne l'ira di Dio tutti convegnon qui d'ogne paese; e pronti sono a trapassar lo rio, ché la divina giustizia li sprona, sì che la tema si volve in disio. Quinci non passa mai anima buona; e però, se Caron di te si lagna, ben puoi sapere omai che 'l suo dir suona». Finito questo, la buia campagna tremò sì forte, che de lo spavento la mente di sudore ancor mi bagna. La terra lagrimosa diede vento, che balenò una luce vermiglia la qual mi vinse ciascun sentimento; e caddi come l'uom cui sonno piglia. 99 102 105 108 111 114 117 120 123 126 129 132 135 Allora si acquietarono le guance barbute del nocchiero della livida palude, che attorno agli occhi aveva cerchi di fuoco. Ma quelle anime, che erano sfinite e nude, mutarono colore e batterono i denti, appena compresero quelle spietate parole. Bestemmiavano Dio e i loro genitori, la specie umana e il luogo e il tempo e l’origine della loro stirpe e della loro nascita. Poi si raccolsero tutte quante insieme, piangendo forte, sulla riva malvagia che attende ciascun uomo che non teme Dio. Caronte demonio, con occhi di brace facendo loro cenni, le raduna tutte; colpisce col remo chiunque s’attarda. Come d’autunno cadono le foglie l’una dopo l’altra, fin quando il ramo vede in terra tutte le sue foglie, allo stesso modo quei malvagi discendenti di Adamo si buttano con forza da quella riva (verso la barca) ad una ad una, ai cenni di Caronte, come uccelli che obbediscono al richiamo. Così se ne vanno attraverso le acque scure, e prima che siano scese sull’altra riva, da questa parte se ne ammassa una nuova folla. Lo svenimento di Dante. 121-136: “Figliolo mio”, disse il mio gentile maestro, “coloro che muoiono nell’ira di Dio (in peccato mortale) giungono qui da ogni luogo del mondo; e sono pronti ad attraversare il fiume, perché la giustizia divina li spinge a tal punto che il timore (della punizione) si muta in desiderio. Di qui non passa mai un’anima buona; perciò se Caronte si lamenta della tua presenza, puoi ben capire ora cosa questo significhi per te”. Cessate queste parole, quella buia pianura tremò così forte che, per lo spavento, la mente ancora al ricordo si bagna di sudore. Quella terra intrisa di lacrime sprigionò un vento che fece balenare un lampo rossastro che annientò tutti i miei sensi; così caddi come un uomo che sia improvvisamente preda del sonno. Analisi del testo La porta dell’Inferno e l’ambiente infernale. La funzione di questo canto nell'ambito della cantica, è quella di presentare il mondo infernale, descrivendone alcune caratteristiche costanti. Sulla porta dell'Inferno vi è una scritta terrificante, che preannuncia l'eterno e disperato dolore e la mancanza di ogni speranza per le anime condannate dalla giustizia divina. Dante è colto da nuovi timori ma Virgilio lo prende per mano e con parole rassicuranti lo introduce nel mondo dei morti. 5 Adamo ed Eva furono i biblici progenitori del genere umano: Adamo creato con un impasto d'argilla animato dal soffio vitale divino, Eva plasmata da una costola di Adamo, scivolato in un sonno profondo. L’oscurità, preannunciata dalla selva e dalla scritta di colore scuro, caratterizza l’ambiente infernale, dominato dalle “tenebre etterne” e da colori lividi e cupi, in cui brillano gli occhi di brace di Caronte. L’Inferno si caratterizza per l’opposizione alto/basso, luce/tenebre: il mondo dell'Inferno è un mondo basso, tenebroso, un mondo di degradazione, e le anime, prive del conforto della luce divina, sono nude e sole con la loro disperazione e il loro dolore. Gli ignavi e il libero arbitrio. La condizione dei vigliacchi è disperata: il mondo non li Eliot, La terra desolata (The Wast Land, I, 60-63): ricorda ed essi non possono sperare nella Unreal City, misericordia divina. Per affrontare il viaggio under the brown fog of a winterf dawn, a crowed flowed over London Bridge, so many, che lo porterà alla salvezza Dante deve I had not thought death had undone so many. abbandonare ogni esitazione, essere coraggioso, e non rifiutare le prove a cui sarà sottoposto. Chi invece, come gli ignavi, non ha il coraggio di compiere una scelta non può salvarsi e merita solo disprezzo. Tale giudizio presuppone una concezione della vita come viaggio, in cui l'uomo, dotato del libero arbitrio, è messo alla prova e deve assumersi la responsabilità morale delle proprie scelte, scegliendo fra il bene e il male. Da questo consegue il premio per i giusti e la punizione per i malvagi. Gli ignavi, che non hanno avuto il coraggio di scegliere, “mai non fur vivi” (la loro vita è stata una non vita) e non meritano di essere ricordati individualmente ma solo come massa senza nome. <<Non ragioniam di lor, ma guarda e passa>>, afferma con sdegno Virgilio. Per queste anime bastano poche parole e un rapido sguardo, poi si può passare oltre. Caronte, il traghettatore delle anime e la moltitudine dei dannati. Il primo mostro infernale è raffigurato con poche ma efficaci pennellate: un vecchio coi capelli e la barba bianchi, che assume in crescendo tratti demoniaci che terrorizzano le anime dei dannati. Egli ricorda loro, con le sue grida e i suoi gesti minacciosi, l’eternità del dolore e delle Ungaretti, Soldati tremende pene che Si sta come / d’autunno / sugli alberi / le foglie. li attendono. Il terribile nocchiero dagli occhi infuocati le raccoglie con un cenno sulla barca e quelle, pronte, obbediscono ammucchiandosi come le foglie che cadono d'autunno e come gli uccelli obbedienti al richiamo. Poi si allontanano sull'acqua torbida mentre altri dannati, quando ancora la barca non è giunta sull’altra sponda, si accalcano sulla riva dell’Acheronte. Virgilio spiega che la giustizia divina spinge le anime a voler affrettare la pena, cambiando la paura in desiderio. Virgilio spiega a Dante che la riva dell’Acheronte è il luogo in cui convergono da ogni parte del mondo le anime malvagie, e che nessuna anima buona passa di lì, perciò la reazione di Caronte dovrebbe rincuorarlo, in quanto preannuncia che la sua anima non è destinata all’Inferno. In quel mentre, tra folate di vento e lampi rossastri, un terremoto scuote l'abisso infernale e Dante, sopraffatto dalle emozioni, cade a terra privo di sensi. Lo stile. In questo canto Virgilio è sostegno e guida non solo del Dante agens, ma anche del Dante auctor 6. Numerosi sono infatti i riferimenti alla letteratura classica, in particolare al canto VI dell’Eneide, in cui è narrata la discesa di Enea nell’Ade, dove la descrizione dei suoni e delle luci dell’ambiente infernale, la figura di Caronte, la doppia similitudine delle foglie e degli uccelli sono già presenti. Ma Virgilio tende ad una dilatazione descrittiva pittoresca ed orrorifica, mentre Dante mira alla sintesi drammatica, ricorrendo a figure sintattiche come l’anafora, la climax, il chiasmo, l’antitesi. Non mancano le figure semantiche, quali la metafora, la similitudine, la sineddoche. 6 Dante agens e Dante auctor: con il primo termine si intende Dante pellegrino che compie il viaggio; con il secondo Dante poeta, autore dell’opera. Esercizi di verifica. 1. Il canto può essere suddiviso in quattro sequenze. Individuale e di ciascuna riassumi brevemente il contenuto. 2. Dante è intimorito e disorientato dalla terribile scritta che campeggia sulla porta dell’Inferno. Quali sono le ragioni del suo timore? 3. Nel canto III si realizza per Dante il primo impatto con l’ambiente infernale. Quali elementi lo caratterizzano? 4. Agli ignavi è riservata una pena particolarmente infamante. Descrivila completando la tabella: Caratteristiche della pena Tipo di contrappasso Rapporto tra pena e peccato Gli ignavi sono costretti a… Il contrappasso è per: Infatti essi in vita… □ analogia □ contrasto 5. <<Non ragioniam di lor, ma guarda e passa>>, afferma con sdegno Virgilio. Quali sono le ragioni del gran disprezzo che Dante e Virgilio manifestano nei confronti degli ignavi? 6. La condanna di Dante nei confronti degli ignavi presuppone l’idea del “libero arbitrio”, che può essere causa del male. Spiega di cosa si tratta. 7. La folla delle anime sulle rive dell’Acheronte manifesta disperazione di fronte al proprio destino. Rileva nel testo: reazioni emotive, comportamenti e parole che le caratterizzano. 8. Alla vista di Dante Caronte reagisce con tormento ed irritazione. Qual è la ragione? Virgilio lo invita a non agitarsi (Caron non ti crucciare). Con quale motivazione? 9. Caronte è il primo “mostro” che Dante e Virgilio incontrano sul loro cammino. Individua il suo aspetto fisico, i suoi gesti, le sue parole ed il compito che svolge: Caronte Aspetto fisico Gesti Parole Compito svolto 10. Virgilio, dopo l’incontro con Caronte, spiega a Dante che dovrebbe rallegrarsi per la sua reazione nei suoi confronti. Per quale ragione? 11. Nei versi 112-117 le anime dannate sono oggetto di due similitudini collegate. Completa lo schema e spiegalo. Le foglie cadono Gli uccelli similmente Le anime a terra