Il coraggio delle scelte: gli ignavi e Caronte
…non ragioniam di lor, ma guarda e passa
Inferno - Canto III
Dante ci parla del coraggio e della viltà. Egli deve trovare la forza d’animo per compiere un pericoloso
viaggio, il solo che può farlo uscire dall’angosciante condizione di peccatore smarrito, disorientato.
Dapprima non sa trovare il coraggio ma poi Virgilio lo convince che quella è l’unica via d’uscita possibile.
Gli ignavi, i codardi questo coraggio di scegliere non l’hanno avuto. Per questo sono i peccatori che egli
maggiormente disprezza: essi sono, infatti, respinti da Dio e da Lucifero. Non si sono schierati né per il bene
né per il male. Quello del coraggio di scegliere è certamente anche oggi un tema che non può lasciarci
indifferenti. I concetti di giusto e sbagliato sono mutati, ma non è cambiata per gli individui l’esigenza di
scegliere, di schierarsi, di assumersi responsabilità.
La porta dell'Inferno si mostra ai due poeti con la sua minacciosa iscrizione che dichiara l'immutabilità della
pena: "lasciate ogne speranza, voi ch'intrate". Dante è spaventato e confuso. Virgilio lo esorta ad
abbandonare ogni viltà e ad avere coraggio, lo prende per mano e lo introduce nell’ambiente infernale, in
un’atmosfera oscura e densa di grida e lamenti strazianti. Siamo nell'Antinferno: si sentono risuonare
nell'aria tenebrosa sospiri, pianti e grida disperate, cosicché Dante prova un profondo turbamento. Sono lì
punite le anime dei vili o ignavi, “che visser sanza ‘nfamia e sanza lodo”, che non presero mai posizione,
sgraditi a Dio ma anche Lucifero, ("a Dio spiacenti ed a' nemici sui"), rifiutati dal Paradiso ma degni di tale
disprezzo da non essere accolti neppure all’Inferno. Una schiera interminabile di anime nude (tra le quali
“colui che fece per viltade il gran rifiuto”) corre dietro a un'”insegna” in perpetuo movimento, pungolata da
mosconi e vespe, mentre vermi ripugnanti succhiano ai loro piedi il sangue mischiato alle lacrime. Dante
vede una moltitudine affollata presso il fiume Acheronte, sul quale sopraggiunge la barca di Caronte, il
traghettatore delle anime alla riva infernale. Accortosi che Dante è vivo, Caronte gli intima di allontanarsi,
perché è destinato ad un altro viaggio, per vie diverse. Virgilio lo riduce al silenzio dicendogli che quel
viaggio è voluto da Dio stesso. Le anime, pallide di paura e tremanti, bestemmiano Dio e la specie umana.
Piangendo, si affrettano a salire sulla barca di Caronte, che le trasporta sull’altra riva. Un terremoto scuote
l’Inferno e Dante, sopraffatto dalle emozioni, sviene.
Le tematiche.
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L’eternità della condanna e della pena cui i dannati sono condannati;
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Il tema del libero arbitrio, della responsabilità morale e del coraggio di scegliere il bene o il male;
□
La caratterizzazione dell’ambiente infernale e del primo “mostro”.
Le sequenze.
Nel III canto dell’Inferno si possono individuare quattro sequenze:
□
Una introduttiva, in cui si descrive la terribile scritta della porta dell'Inferno (vv. 1-21);
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Due macrosequenze centrali: la prima in cui si descrive l’impatto con la realtà infernale e la
visione degli ignavi (vv. 22-69); la seconda in cui si descrive l'incontro con Caronte e con le anime
dannate (vv. 70-129).
□
Una sequenza conclusiva: in cui Dante, sopraffatto dalle dolorose impressioni suscitate
dall’incontro con la realtà infernale e da un terribile terremoto, sviene “come l'uom cui sonno
piglia”.
La pena degli ignavi (i vili):
I dannati nudi, mescolati agli angeli che non si schierarono né con Dio né con Lucifero, sono costretti a
correre eternamente dietro un'insegna, punti da vespe e mosconi; il loro sangue e le loro lacrime sono raccolti
dai vermi.
Contrappasso:
Sono costretti a correre dietro una bandiera perché in vita non ne seguirono alcuna, e la loro vita inutile
alimenta bestie inutili.
«Per me si va ne la città dolente,
per me si va ne l'etterno dolore,
per me si va tra la perduta gente.
Giustizia mosse il mio alto fattore;
fecemi la divina podestate,
la somma sapïenza e 'l primo amore.
Dinanzi a me non fuor cose create
se non etterne, e io etterno duro.
Lasciate ogne speranza, voi ch'intrate".
Queste parole di colore oscuro
vid'ïo scritte al sommo d'una porta;
per ch'io: «Maestro, il senso lor m'è duro».
Ed elli a me, come persona accorta:
«Qui si convien lasciare ogne sospetto;
ogne viltà convien che qui sia morta.
Noi siam venuti al loco ov'i' t'ho detto
che tu vedrai le genti dolorose
c'hanno perduto il ben de l'intelletto».
E poi che la sua mano a la mia puose
con lieto volto, ond'io mi confortai,
mi mise dentro a le segrete cose.
Quivi sospiri, pianti e alti guai
risonavan per l'aere sanza stelle,
per ch'io al cominciar ne lagrimai.
Diverse lingue, orribili favelle,
parole di dolore, accenti d'ira,
voci alte e fioche, e suon di man con elle 1
facevano un tumulto, il qual s'aggira
sempre in quell'aura sanza tempo tinta,
come la rena quando turbo spira.
E io ch'avea d'error la testa cinta,
dissi: «Maestro, che è quel ch'i' odo?
e che gent'è che par nel duol sì vinta?».
Ed elli a me: «Questo misero modo
tegnon l'anime triste di coloro
che visser sanza 'nfamia e sanza lodo.
Mischiate sono a quel cattivo coro
de li angeli che non furon ribelli
né fur fedeli a Dio 2, ma per sé fuoro.
Caccianli i ciel per non esser men belli,
né lo profondo inferno li riceve,
ch'alcuna gloria i rei avrebber d'elli».
E io: «Maestro, che è tanto greve
a lor che lamentar li fa sì forte?».
Rispuose: «Dicerolti molto breve.
Questi non hanno speranza di morte
e la lor cieca vita è tanto bassa,
che 'nvidiosi son d'ogne altra sorte.
Fama di loro il mondo esser non lassa;
misericordia e giustizia li sdegna:
non ragioniam di lor, ma guarda e passa».
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La porta dell’inferno
1-21: “Attraverso me si va nella città del dolore,
attraverso me si va nell’eterno dolore, attraverso me si
va tra le anime dannate.
Giustizia ha spinto il mio sommo creatore; mi ha fatto
la potenza divina, la somma sapienza e la fonte
dell’amore.
Prima di me non furono create cose se non eterne, ed
io in eterno duro. Lasciate ogni speranza o voi che
entrate”.
Queste parole di colore scuro vidi scritte sulla
sommità di una porta; perciò dissi: “Maestro, il loro
significato mi disorienta”.
Ed egli a me, come persona sensibile, rispose: “Qui
bisogna lasciare ogni indugio; ogni viltà qui deve
cessare.
Noi siamo giunti al luogo dove ti ho detto che vedrai
le anime sofferenti di coloro che hanno perso il bene
dell’intelletto (cioè di Dio, somma verità)”. E dopo
che ebbe posato la sua mano sulla mia con volto
sereno, per cui io mi rianimai, mi fece entrare in quel
mondo segregato.
Gli ignavi
22- 69: Qui sospiri, pianti e acuti lamenti risuonavano
nell’atmosfera senza stelle, tanto che al primo contatto
iniziai a piangere.
Diverse lingue, orribili parlate, parole di dolore,
esclamazioni d’ira, voci alte (acute) e fioche (deboli e
strozzate), e con esse un battere di mani creavano un
frastuono, che di continuo si diffonde in
quell’atmosfera eternamente buia, come la sabbia
quando soffia un vento vorticoso.
Ed io che avevo la testa stretta dal dubbio, dissi:
“Maestro, che cos’è quel che odo? E che gente è
questa che sembra tanto preda del dolore?”.
Ed egli a me: “Questa misera condizione è propria
delle infelici anime di coloro che vissero senza
infamia e senza lode.
Sono mescolate a quel gruppo malvagio di angeli che
non furono ribelli ma neppure fedeli a Dio, ma che
fecero parte per sé.
I cieli li cacciano per non essere meno belli, ma
neppure il profondo inferno li accoglie, perché i
dannati potrebbero ricavarne qualche vanto.
Ed io: “Maestro, che cosa li opprime al punto da farli
lamentare tanto forte?”.
Rispose:”Ti dirò brevemente. Essi non hanno speranza
di morte, e la loro cieca vita è tanto umiliante, che
sono invidiosi di ogni altra sorte.
Il mondo non li ricorda; la misericordia e la giustizia
divine li disprezzano: non parliamo di loro, ma guarda
e passa oltre.
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suon di man con elle: gli ignavi cercano disperatamente di cacciare con le mani le vespe e i mosconi che li tormentano.
Gli angeli che restarono neutrali quando Lucifero si ribellò a Dio.
E io, che riguardai, vidi una 'nsegna
che girando correva tanto ratta,
che d'ogne posa mi parea indegna;
e dietro le venìa sì lunga tratta
di gente, ch'i' non averei creduto
che morte tanta n'avesse disfatta.
Poscia ch'io v'ebbi alcun riconosciuto,
vidi e conobbi l'ombra di colui
che fece per viltade il gran rifiuto3.
Incontanente intesi e certo fui
che questa era la setta d'i cattivi,
a Dio spiacenti e a' nemici sui.
Questi sciaurati, che mai non fur vivi,
erano ignudi e stimolati molto
da mosconi e da vespe ch'eran ivi.
Elle rigavan lor di sangue il volto,
che, mischiato di lagrime, a' lor piedi
da fastidiosi vermi era ricolto.
E poi ch'a riguardar oltre mi diedi,
vidi genti a la riva d'un gran fiume;
per ch'io dissi: «Maestro, or mi concedi
ch'i' sappia quali sono, e qual costume
le fa di trapassar parer sì pronte,
com'i' discerno per lo fioco lume».
Ed elli a me: «Le cose ti fier conte
quando noi fermerem li nostri passi
su la trista riviera d'Acheronte».
Allor con li occhi vergognosi e bassi,
temendo no 'l mio dir li fosse grave,
infino al fiume del parlar mi trassi.
Ed ecco verso noi venir per nave
un vecchio, bianco per antico pelo 4,
gridando: «Guai a voi, anime prave!
Non isperate mai veder lo cielo:
i' vegno per menarvi a l'altra riva
ne le tenebre etterne, in caldo e 'n gelo.
E tu che se' costì, anima viva,
pàrtiti da cotesti che son morti».
Ma poi che vide ch'io non mi partiva,
disse: «Per altra via, per altri porti
verrai a piaggia, non qui, per passare:
più lieve legno convien che ti porti».
E 'l duca lui: «Caron, non ti crucciare:
vuolsi così colà dove si puote
ciò che si vuole, e più non dimandare».
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E io, che guardai con attenzione, vidi una bandiera
che girava in tondo tanto velocemente da sembrare
incapace di una qualche sosta; e dietro di lei veniva
una schiera tanto lunga di gente, che io non avrei
mai creduto che la morte ne avesse annientata tanta.
Dopo che ne ebbi riconosciuto qualcuno, vidi e
riconobbi l’ombra di colui che fece per viltà il gran
rifiuto.
Subito compresi e fui sicuro che questa era la
schiera dei vili, sgraditi a Dio ma anche ai suoi
nemici (Lucifero e i diavoli).
Questi sciagurati, che mai furono vivi, erano nudi e
continuamente tormentati da mosconi e da vespe
che li attorniavano.
Essi rigavano il loro volto di sangue che,
mischiato alle lacrime, veniva assorbito ai loro
piedi
da vermi ripugnanti.
Caronte e la moltitudine dei dannati
70-120: E quando mi misi a guardare oltre, vidi
delle anime sulla riva di un grande fiume;
per cui dissi: “Maestro, concedimi ora di sapere chi
sono, e per quale motivo appaiono così pronte ad
attraversare, come mi sembra in questa scarsa
luce”.
Ed egli a me: “Le cose ti saranno chiare quando ci
fermeremo sulla triste riva dell’Acheronte”.
Allora con gli occhi vergognosi e bassi, temendo di
importunarlo con le mie parole, fino al fiume mi
trattenni dal parlare.
Ed ecco verso noi venire sulle acque un vecchio,
dai capelli e dalla barba bianchi, che gridava: “Guai
a voi, anime malvagie! Non sperate di poter mai
rivedere il cielo: io vengo per condurvi all’altra
riva, nelle tenebre eterne, tra le fiamme e tra il
ghiaccio.
E tu che sei qui, anima viva, allontanati da costoro
che sono morti”.
Ma quando vide che non me ne andavo, disse: “Per
un’altra via, per altri porti giungerai a riva per
passare, non qui: un più lieve legno (imbarcazione)
è opportuno che ti porti.
E la mia guida a lui: “Caronte non ti irritare: si
vuole così là dove si può ciò che si vuole, e più non
domandare”.
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È probabilmente di Pier da Morrone, papa Celestino V. Fece vita eremitica fin quando, il 4 aprile 1292, fu eletto papa nel conclave
di Perugia, sotto pressione di Carlo II d'Angiò. Dopo breve esitazione accettò e fu incoronato pontefice il 29 agosto 1294 con il nome
di Celestino V. Ben presto si accorse delle trame politiche che lo circondavano e della sua inesperienza ed incapacità. Il 3 dicembre
1294 riunì il concistoro e rinunciò al papato, su pressione del cardinal Caetani, che gli successe con il nome di Bonifacio VIII. Pier
da Morrone intendeva riprendere la vita eremitica, ma il nuovo papa, temendo che potesse divenire uno strumento nelle mani dei suoi
oppositori, lo fece rinchiudere nel castello di Fumone, dove morì nel maggio del 1296.
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Un vecchio, bianco, per antico pelo: Caronte, figlio dell'Erebo e della Notte, è, nella tradizione classica, il traghettatore delle anime
nell'aldilà. Il personaggio è descritto da Virgilio in Eneide, VI, 298-304, nei più minuti particolari, che Dante efficacemente
sintetizza in pochi tratti.
Quinci fuor quete le lanose gote
al nocchier de la livida palude,
che 'ntorno a li occhi avea di fiamme rote.
Ma quell'anime, ch'eran lasse e nude,
cangiar colore e dibattero i denti,
ratto che 'nteser le parole crude.
Bestemmiavano Dio e lor parenti,
l'umana spezie e 'l loco e 'l tempo e 'l seme
di lor semenza e di lor nascimenti.
Poi si ritrasser tutte quante insieme,
forte piangendo, a la riva malvagia
ch'attende ciascun uom che Dio non teme.
Caron dimonio, con occhi di bragia
loro accennando, tutte le raccoglie;
batte col remo qualunque s'adagia.
Come d'autunno si levan le foglie
l'una appresso de l'altra, fin che 'l ramo
vede a la terra tutte le sue spoglie,
similemente il mal seme d'Adamo 5
gittansi di quel lito ad una ad una,
per cenni come augel per suo richiamo.
Così sen vanno su per l'onda bruna,
e avanti che sien di là discese,
anche di qua nuova schiera s'auna.
«Figliuol mio», disse 'l maestro cortese,
«quelli che muoion ne l'ira di Dio
tutti convegnon qui d'ogne paese;
e pronti sono a trapassar lo rio,
ché la divina giustizia li sprona,
sì che la tema si volve in disio.
Quinci non passa mai anima buona;
e però, se Caron di te si lagna,
ben puoi sapere omai che 'l suo dir suona».
Finito questo, la buia campagna
tremò sì forte, che de lo spavento
la mente di sudore ancor mi bagna.
La terra lagrimosa diede vento,
che balenò una luce vermiglia
la qual mi vinse ciascun sentimento;
e caddi come l'uom cui sonno piglia.
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Allora si acquietarono le guance barbute del nocchiero
della livida palude, che attorno agli occhi aveva cerchi
di fuoco.
Ma quelle anime, che erano sfinite e nude, mutarono
colore e batterono i denti, appena compresero quelle
spietate parole.
Bestemmiavano Dio e i loro genitori, la specie umana
e il luogo e il tempo e l’origine della loro stirpe e della
loro nascita.
Poi si raccolsero tutte quante insieme, piangendo forte,
sulla riva malvagia che attende ciascun uomo che non
teme Dio.
Caronte demonio, con occhi di brace facendo loro
cenni, le raduna tutte; colpisce col remo chiunque
s’attarda.
Come d’autunno cadono le foglie l’una dopo l’altra,
fin quando il ramo vede in terra tutte le sue foglie, allo
stesso modo quei malvagi discendenti di Adamo si
buttano con forza da quella riva (verso la barca) ad una
ad una, ai cenni di Caronte, come uccelli che
obbediscono al richiamo.
Così se ne vanno attraverso le acque scure, e prima
che siano scese sull’altra riva, da questa parte se ne
ammassa una nuova folla.
Lo svenimento di Dante.
121-136: “Figliolo mio”, disse il mio gentile maestro,
“coloro che muoiono nell’ira di Dio (in peccato
mortale) giungono qui da ogni luogo del mondo;
e sono pronti ad attraversare il fiume, perché la
giustizia divina li spinge a tal punto che il timore
(della punizione) si muta in desiderio.
Di qui non passa mai un’anima buona; perciò se
Caronte si lamenta della tua presenza, puoi ben capire
ora cosa questo significhi per te”.
Cessate queste parole, quella buia pianura tremò così
forte che, per lo spavento, la mente ancora al ricordo si
bagna di sudore.
Quella terra intrisa di lacrime sprigionò un vento che
fece balenare un lampo rossastro che annientò tutti i
miei sensi; così caddi come un uomo che sia
improvvisamente preda del sonno.
Analisi del testo
La porta dell’Inferno e l’ambiente infernale. La funzione di questo canto nell'ambito della
cantica, è quella di presentare il mondo infernale, descrivendone alcune caratteristiche costanti.
Sulla porta dell'Inferno vi è una scritta terrificante, che preannuncia l'eterno e disperato dolore e la
mancanza di ogni speranza per le anime condannate dalla giustizia divina. Dante è colto da nuovi
timori ma Virgilio lo prende per mano e con parole rassicuranti lo introduce nel mondo dei morti.
5 Adamo ed Eva furono i biblici progenitori del genere umano: Adamo creato con un impasto d'argilla animato dal soffio vitale divino, Eva plasmata da una costola di Adamo, scivolato in un sonno profondo. L’oscurità, preannunciata dalla selva e dalla scritta di colore scuro, caratterizza l’ambiente
infernale, dominato dalle “tenebre etterne” e da colori lividi e cupi, in cui brillano gli occhi di brace
di Caronte. L’Inferno si caratterizza per l’opposizione alto/basso, luce/tenebre: il mondo
dell'Inferno è un mondo basso, tenebroso, un mondo di degradazione, e le anime, prive del conforto
della luce divina, sono nude e sole con la loro disperazione e il loro dolore.
Gli ignavi e il libero arbitrio. La condizione
dei vigliacchi è disperata: il mondo non li Eliot, La terra desolata (The Wast Land, I, 60-63):
ricorda ed essi non possono sperare nella Unreal City,
misericordia divina. Per affrontare il viaggio under the brown fog of a winterf dawn,
a crowed flowed over London Bridge, so many,
che lo porterà alla salvezza Dante deve I had not thought death had undone so many.
abbandonare
ogni
esitazione,
essere
coraggioso, e non rifiutare le prove a cui sarà sottoposto. Chi invece, come gli ignavi, non ha il
coraggio di compiere una scelta non può salvarsi e merita solo disprezzo. Tale giudizio presuppone
una concezione della vita come viaggio, in cui l'uomo, dotato del libero arbitrio, è messo alla prova
e deve assumersi la responsabilità morale delle proprie scelte, scegliendo fra il bene e il male. Da
questo consegue il premio per i giusti e la punizione per i malvagi.
Gli ignavi, che non hanno avuto il coraggio di scegliere, “mai non fur vivi” (la loro vita è stata una
non vita) e non meritano di essere ricordati individualmente ma solo come massa senza nome.
<<Non ragioniam di lor, ma guarda e passa>>, afferma con sdegno Virgilio. Per queste anime
bastano poche parole e un rapido sguardo, poi si può passare oltre.
Caronte, il traghettatore delle anime e la moltitudine dei
dannati. Il primo mostro infernale è raffigurato con poche ma
efficaci pennellate: un vecchio coi capelli e la barba bianchi, che
assume in crescendo tratti demoniaci che terrorizzano le anime dei
dannati. Egli ricorda loro, con le sue grida e i suoi gesti minacciosi,
l’eternità
del
dolore e delle Ungaretti, Soldati
tremende pene che Si sta come / d’autunno / sugli alberi / le foglie.
li attendono.
Il terribile nocchiero dagli occhi infuocati le raccoglie con un cenno
sulla barca e quelle, pronte, obbediscono ammucchiandosi come le
foglie che cadono d'autunno e come gli uccelli obbedienti al richiamo. Poi si allontanano sull'acqua
torbida mentre altri dannati, quando ancora la barca non è giunta sull’altra sponda, si accalcano
sulla riva dell’Acheronte.
Virgilio spiega che la giustizia divina spinge le anime a voler affrettare la pena, cambiando la paura
in desiderio. Virgilio spiega a Dante che la riva dell’Acheronte è il luogo in cui convergono da ogni
parte del mondo le anime malvagie, e che nessuna anima buona passa di lì, perciò la reazione di
Caronte dovrebbe rincuorarlo, in quanto preannuncia che la sua anima non è destinata all’Inferno.
In quel mentre, tra folate di vento e lampi rossastri, un terremoto scuote l'abisso infernale e Dante,
sopraffatto dalle emozioni, cade a terra privo di sensi.
Lo stile. In questo canto Virgilio è sostegno e guida non solo del Dante agens, ma anche del Dante
auctor 6. Numerosi sono infatti i riferimenti alla letteratura classica, in particolare al canto VI
dell’Eneide, in cui è narrata la discesa di Enea nell’Ade, dove la descrizione dei suoni e delle luci
dell’ambiente infernale, la figura di Caronte, la doppia similitudine delle foglie e degli uccelli sono
già presenti. Ma Virgilio tende ad una dilatazione descrittiva pittoresca ed orrorifica, mentre Dante
mira alla sintesi drammatica, ricorrendo a figure sintattiche come l’anafora, la climax, il chiasmo,
l’antitesi. Non mancano le figure semantiche, quali la metafora, la similitudine, la sineddoche.
6 Dante agens e Dante auctor: con il primo termine si intende Dante pellegrino che compie il viaggio; con il secondo Dante poeta, autore
dell’opera.
Esercizi di verifica.
1. Il canto può essere suddiviso in quattro sequenze. Individuale e di ciascuna riassumi brevemente
il contenuto.
2. Dante è intimorito e disorientato dalla terribile scritta che campeggia sulla porta dell’Inferno.
Quali sono le ragioni del suo timore?
3. Nel canto III si realizza per Dante il primo impatto con l’ambiente infernale. Quali elementi lo
caratterizzano?
4. Agli ignavi è riservata una pena particolarmente infamante. Descrivila completando la tabella:
Caratteristiche della pena
Tipo di contrappasso
Rapporto tra pena e peccato
Gli ignavi sono costretti a…
Il contrappasso è per:
Infatti essi in vita…
□ analogia
□ contrasto
5. <<Non ragioniam di lor, ma guarda e passa>>, afferma con sdegno Virgilio. Quali sono le
ragioni del gran disprezzo che Dante e Virgilio manifestano nei confronti degli ignavi?
6. La condanna di Dante nei confronti degli ignavi presuppone l’idea del “libero arbitrio”, che può
essere causa del male. Spiega di cosa si tratta.
7. La folla delle anime sulle rive dell’Acheronte manifesta disperazione di fronte al proprio
destino. Rileva nel testo: reazioni emotive, comportamenti e parole che le caratterizzano.
8. Alla vista di Dante Caronte reagisce con tormento ed irritazione. Qual è la ragione? Virgilio lo
invita a non agitarsi (Caron non ti crucciare). Con quale motivazione?
9. Caronte è il primo “mostro” che Dante e Virgilio incontrano sul loro cammino. Individua il suo
aspetto fisico, i suoi gesti, le sue parole ed il compito che svolge:
Caronte
Aspetto fisico
Gesti
Parole
Compito svolto
10. Virgilio, dopo l’incontro con Caronte, spiega a Dante che dovrebbe rallegrarsi per la sua
reazione nei suoi confronti. Per quale ragione?
11. Nei versi 112-117 le anime dannate sono oggetto di due similitudini collegate. Completa lo
schema e spiegalo.
Le foglie
cadono
Gli uccelli
similmente
Le anime
a terra
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Ignavi – Canto III Inferno – pdf