Silvia Zucca
12 cose che odio
dello zodiaco
Ovvero come trovare
l’uomo sbagliato
del segno giusto
Dodici racconti ispirati al romanzo
Guida astrologica
per cuori infranti
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«Il libro che si candida a essere il bestseller del 2015.»
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Indice
Quello che gli Arieti non dicono
4
Toro scatenato8
Il Gemelli che visse due volte
11
I Cancri preferiscono le mamme
14
Il Leone da palcoscenico
18
Rain Vergine22
L’insostenibile leggerezza del Bilancia
26
Maledetto lo Scorpione che t’ho incontrato
30
Sesso, bugie e Sagittario
34
Il Capricorno veste Prada
37
Come l’Acquario nessuno mai
40
Pesci e bugie44
Quello che gli Arieti non dicono
Prima che a qualcuno venga in mente di chiederlo, sono una ragazza
normale.
Oddio, ragazza… ho i miei trentacinque, ma la ragazzitudine ormai
è uno stato d’animo, non una questione di anagrafe.
Definire normalità, invece, è tutto un altro paio di maniche…
Come tutte le ragazze (d’ampio termine) normali, desidero la felicità e, anche qui, «normalmente» coincide con l’assunto: trovare-l’uomo-giusto-e-accasarsi-il-più-presto-possibile.
Praticamente facile come dire supercalifragilistichespiralidoso.
Ma io non demordo e, visto che nella vita non bisogna avere preconcetti, stasera Mr Giusto ho deciso di cercarlo in uno Speed Date.
È un po’ come partecipare a Okay il prezzo è giusto, o al vecchio Gioco
delle Coppie ma, visto che siamo nel 2015, tutto si svolge a una velocità
supersonica.
Trecento secondi per capire se vale la pena frequentare la persona
che ti sta davanti, altrimenti grazie e arrivederci.
Bisogna essere scaltri, svegli, funamboli della comunicazione precoce, istrionici venditori porta a porta, quel tanto da farci meritare il
bacio accademico di Giorgio Mastrota.
Poche domande mirate. Le domande giuste per stanare Mr Giusto
o i suoi fac-simili.
4
La maniaca del portafogli a fisarmonica chiederebbe del lavoro, col
rischio di sorbirsi trecento secondi di monologo sui massimi sistemi
o sul funzionamento – oh, ma che interessante! – di uno scarico di
ultima generazione. Quella più fantasiosa si butterebbe a pesce sugli
hobby e, certo, anche se scoprire che il tizio fa collezione di insetti rari
o costruisce orologi a cucù sarebbe utile (e sicuramente mi farebbe
risparmiare tempo), io mi riservo di porre un’altra domanda.
Quella fondamentale. L’unica che abbia davvero senso per me.
«Di che segno sei?»
Prima che mi cataloghiate come pazza, o invariabilmente New Age,
sappiate che la pratica della discriminazione astrologica può aiutare
parecchio per fare una prima, ampia scrematura. Conoscere le caratteristiche base dei segni zodiacali, e di seguito individuarle negli uomini che ti si presentano, è un aiuto in più a dribblare le fregature.
Questo tizio che ho davanti, per esempio, col suo colorito marron
Baywatch e l’aria ruvida del cowboy che non deve chiedere mai, l’avrei detto subito io, che era un Ariete.
L’avevo già notato all’ingresso, spalle ampie e culetto scolpito.
Eh… sarebbe decisamente un Sì, se fossi una di quelle che si lasciano ingolosire dalle toniche terga. Voglio dire, chiaro che una, almeno
una volta nella vita, se lo concede anche, un giro in giostra con un tipo
che, sì, non sarà il più brillante degli oratori, guarda solo film in cui
ci sia un minimo di tre sparatorie, nel cast ci sia Rambo o per lo meno
Steven Seagal, ma è dotato di un lato B che il David di Michelangelo
piangerebbe d’invidia.
E quindi cincischio con la penna accanto al suo nome, tentata di
metterci un asterisco, piuttosto che tirarci una riga sopra, mentre lui
mi descrive le sue prodezze virili di scalate, rafting e immersioni su-
5
bacquee in atolli di cui neppure ho mai sentito parlare.
Figo.
Se non fosse che, uscendoci, dovrei andarci anch’io, perché le membra arietine non sono temprate da estenuanti ma sicure sessioni in
palestra, quanto piuttosto da quegli sport che definire estremi sarebbe
come dire che Jury Chechi faceva qualche piroetta.
Ovvio che così quel sederino potrò ammirarlo spesso. Magari durante una lunga cordata in montagna, o appena prima di lanciarmi
con lui col paracadute, o inguainato in un bello slippino decathlon,
quando mi inviterà a tuffarmi in un corroborante quanto ghiacciato
lago norvegese.
Non sono una fanatica dell’assunto «morire d’amore», perciò devo
chiedermi se davvero desidero uscire con uno per cui il free climbing
potrebbe rientrare nel concetto di passeggiata romantica.
Che poi, boh, fossi un’antropologa, desiderosa di studiare l’uomo nei
suoi primi stadi evolutivi, potrebbe anche essere. Visto che è risaputo
che l’Ariete è un personaggio basico, di quelli che ancora potrebbero
stupirsi di fronte a meraviglie quali la scoperta del fuoco o l’invenzione
della ruota; ma, se appena appena sei meno di bocca buona, proprio
non ti va giù che sia geneticamente impossibilitato a cogliere sfumature
quali il comune senso dell’igiene o la galanteria, che giudica inopportuni sintomi di promiscuità sessuale.
E qui mi pare che oltre al fisico scolpito, be’… ci sia poco altro.
L’aneddoto che mi sta raccontando è costellato di BANG, ZUM,
FRSSH e tutta la fiera dell’onomatopeica, a cui io, in quanto donna, e
quindi per lui poco più di un’ameba senziente, sono invitata a mettere pochi segni d’interpunzione facendo di sì col capo. Tarzan doveva
essere dell’Ariete, e forse anche Chewbecca.
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Quando la campanella sancisce la fine dei trecento secondi a nostra
(o meglio sua) disposizione, lui si alza energicamente e scatta verso il
tavolo della bionda qui accanto, senza quasi salutare.
Ecco l’Ariete predatore, perché, alla faccia di quelli che dicono che
gli uomini non sarebbero multitasking, tra le sue doti c’è anche quella
della poligamia.
Rivolgo un ultimo sguardo, corredato di sospiro, al suo lato migliore, per poi calare con decisione la penna sul suo nome, per cancellarlo
dalla lista.
Grazie. E avanti il prossimo.
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Toro scatenato
Credo che almeno una volta nella vita ogni donna dovrebbe provare
a uscire con uno del Toro.
Così, giusto per rendersi conto che il vecchio detto «meglio sole che
male accompagnate» ha una certa validità.
Se lo dico è con cognizione, credetemi. Io col Toro ci sono uscita. E
sono sopravvissuta per raccontarlo.
Mi sono fatta abbindolare dal suo fascino, o meglio, diciamo che
mi sono lasciata stordire dal profluvio di parole che gli usciva dalla
bocca. Vi assicuro che, se Quasimodo fosse stato del Toro e ci avesse
provato con voi, ci sareste uscite convinte di avere un appuntamento
con Brad Pitt.
Il Toro è totalmente sicuro di incarnare per voi il George Clooney della porta accanto, così come di essere più intelligente di un premio Nobel, di cucinare meglio di Cracco, di essere l’erede di Schumacher al volante, e di ballare che Nureyev se lo sognava. Eccetera eccetera eccetera.
Se ne avesse voglia (e provasse a combattere la sua proverbiale pigrizia) sarebbe persino in grado di farvi cambiare la marca del dentifricio, perché voi non lo sapete, ma la formula originale della Pasta
del Capitano l’aveva inventata lui e gli è stata sottratta con l’inganno.
Lui, insomma, è il meglio. Ne è convinto al 200%. E cercherà di convincere anche voi.
8
Non cascateci.
Come diceva Mina: parole, parole, parole, soltanto parole…
Da bambino, agli orali doveva fare faville. Quanto agli scritti, o meglio ancora nella pratica… be’, è lì che casca l’asino.
La sera che siamo usciti, il mio Toro e io, ha reso ben chiaro che,
avendone le competenze, non solo avrebbe scelto lui il ristorante, ma
anche il vino (perché lì hanno un Lambrusco eccezionale, di un viticoltore che conosco, non vorrai mica ordinare un vino banale come il
Barolo?) e le portate (qual momento migliore per provare il riso coi
piselli?)
Prima del ristorante, però, era di vitale importanza che portassimo
la mia macchina al suo autolavaggio di fiducia (Non puoi mica andare in giro con l’auto così sporca. Ti porto io in un posto più unico che
raro, dove da quando gli ho fatto conoscere certi detersivi neozelandesi non usano altro!).
Ovviamente per farmi questo favore dovevo andare a prenderlo
alle sei e mezzo al lavoro. Quindi, sborsati 50 euro sulla fiducia ai
neozelandesi senza passamontagna, avrei avuto l’onore di guidare da
Milano fino in Brianza alla bettola… ehm, al ristorante, cui lui (e soltanto lui!) avrebbe dato almeno cinque stellette Michelin.
Tralascio i particolari (lui invece non l’ha fatto, commentando ogni
piatto neanche fossimo davanti alla Gioconda) ma, quando cercavo di
intervenire nella conversazione, magari per dirgli che anch’io conosco
dei ristoranti (pure più vicini a casa!) dove non si mangia affatto male,
mi sono meritata quelle occhiatacce che i bambini riservano all’antipatico di turno che cerca di dare un calcio ai loro castelli di sabbia.
Nel suo mondo ideale, le donne sarebbero delle specie di bambolotti dotati di cordicella sulla schiena, che il Toro prontamente tirerebbe
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per far pronunciare una di queste tre frasi: «Hai ragione tu.» / «Sei il
migliore.» / «Sono proprio una ragazza fortunata.»
Se una lancia si può spezzare per il Toro (o sulla testa del Toro…) va
detto che è una buona forchetta, uno di quei commensali che ti mettono allegria e non ti fanno sentire la cicciona di turno se di contorno ordini le patatine fritte invece che l’insalata. Puoi ordinare ciò che
vuoi e ti sentirai sempre al limite dell’anoressia, con lui che fagociterà
almeno il triplo di quello che mangi tu.
Peccato sia anche tirchio e che, di conseguenza, al momento del conto, mi propini tutta una tirata sul rispetto della donna e la parità dei
sessi, che quasi quasi sono anche contenta che mi lasci pagare.
Nel tornare indietro, sbagliamo più volte strada ma la colpa, nell’ordine, è: della mia macchina (anche se la guida lui, visto che è il figlio
segreto di Ayrton Senna) che non essendo dotata degli ultimi ritrovati della tecnologia come il navigatore interspaziale (che invece la
sua ha) gli tende subdoli tranelli; della segnaletica stradale (perché se
adottassero il sistema giapponese, che lui ha testato, sarebbe tutto più
semplice); e infine mia (ovviamente) che lo distraggo continuamente
con le (sue) chiacchiere.
Se tutto questo non fosse bastato a farvi intendere che col Toro suddetto quest’incontro è rimasto One and Only, segnatevi anche questa:
«amare vuol dire non dire mai mi dispiace», la mitica frase di Love
Story. Sicuramente sono stati quelli del Toro a suggerirla, ma soltanto
perché incapaci di porgere delle scuse.
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Il Gemelli che visse due volte
La prima cosa che pensai quando conobbi il Gemelli fu: va be’, è un
simpatico deficiente.
Dopo tre settimane mi ci fidanzai. Rimanendoci letteralmente aggrappata per cinque mesi. Dico aggrappata perché il Gemelli è un tipo
così frenetico e assurdo che rimanerci insieme è una specie di rodeo.
Mi ci fidanzai, dicevo, con tutta la convinzione che la nostra fosse
una storia seria. Non perché sia una di quelle illuse sognatrici che
ogni volta che ricevono un bacio pensano di essere Biancaneve nel
bosco, ma perché lui da subito si sperticò in una Bibbia di proclami
d’amore.
Sia messo agli atti che furono pronunciate espressioni come «Donna
Giusta» o anche «Madre dei miei figli», seguite oltretutto dall’improbabile assunto: «Devo conoscere i tuoi». E qui, voglio sfidare chiunque, perché lo so che alle prime due uno potrebbe anche dire: povera
illusa, gli uomini ti possono dire tutto quello che vogliono. Ma conoscere i miei sicuramente non è sulla lista delle priorità in una storiella
mordi e fuggi.
A meno che non si tratti di un Gemelli.
Ma, insomma, a quel punto pensavo proprio di essere io, ma proprio io, quella «gran culo di Cenerentola», e che finalmente avevo il
mio Principe Azzurro (che per fortuna aveva sostituito la calzamaglia
11
demodé con una roboante motocicletta).
Born to be wild (and Loved!), avevo resistito al suo fascino quel tanto che era bastato per soffiare via la polvere dalle scarpette di cristallo
e mettermi il casco, che in questo caso, più che non farmi rompere la
testa, mi faceva da paraocchi e soprattutto mi impediva di dare ascolto ad amiche, mamme, nonne e parenti di vario ed eventuale grado,
che come il coro di una tragedia greca presagivano il disastro.
Se il tuo fidanzato un giorno è euforico e progetta di partire per una
crociera infinita, il giorno successivo è ridotto a uno stato di catatonia
che ti domandi quand’è che l’hai preso quel nuovo tappeto che hai in
salotto; un altro ha il piglio carismatico e determinato di un capitano
d’industria e il seguente fa capricci isterici peggio di un bambino al
primo giorno d’asilo… Potrebbe essere schizofrenico, è vero, ma se
sulla sua carta d’identità c’è scritto che è nato tra il 22 maggio e il 21
giugno, tranquilla: è semplicemente dei Gemelli.
E, visto che neppure il mio sfuggiva alla regola, l’unica era stato
iscriversi entrambi a un corso di teatro. Dopotutto, qual modo migliore per tenere testa a tutte le sue rappresentazioni?
Be’, però, l’unica cosa in comune tra Ofelia, Giulietta e Desdemona
è che crepano tutte e tre. Perciò l’idea forse non era delle più brillanti.
Anche perché, a parte il suo (ovvio) iniziale entusiasmo, nel breve
periodo il mio Gemelli era già passato ad almeno altri tre o quattro
interessi. Si era iscritto al poligono di tiro per imparare a sparare, così
come alla lega contro la caccia, aveva deciso di essere vegano, e per
suggellare la sua scelta aveva organizzato un grande barbecue con
gli amici. Eh, sì, se tra le sue qualità c’è, per l’appunto, la curiosità, e
questa non fa certo rima con coerenza.
La sua curiosità, dicevamo, lo rende superficiale come la polvere
12
perché, non riuscendo a negarsi niente, è una continua girandola di
interessi sparsi, che sfiorano per un attimo la sua esistenza senza mai
davvero farne parte.
Così è anche per le donne. Lo scoprii a miei spese, quando lo trovai
al suddetto barbecue, che invece di rigirare le braciole di maiale, rigirava direttamente due signorine.
Ma, d’altra parte, come dargli torto? Nell’unico corpo del Gemelli
convivono sette personalità diverse. La cosa più ovvia è che voglia
almeno sette spose per sette fratelli.
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I Cancri preferiscono le mamme
Ci sono quelle storie che sembrano perfette. Quando incontri un
uomo dolce, sensibile, attento, padrone di se stesso e della sua vita,
un uomo capace di farti sentire protetta ma non dominata, una vera
dea, bellissima che neppure Miss Universo, una ballerina meglio della Fracci, la vincitrice morale del Grande Fratello e sicuramente una
cuoca plurititolata alla Masterchef, anche se il massimo che gli cucini
sono un toast e due uova in camicia.
Insomma, se siete così fortunelle da aver trovato questa perla rara…
oddio, io vi consiglierei di verificare che sotto l’epidermide rosata non
abbia la cotenna squamosa dei Visitors. Ma se pure doveste scoprire
che ha tre occhi e le antenne, be’: nessuno è perfetto. Io procederei
immediatamente a fissare la data delle nozze.
Comunque sia, quest’uomo dei sogni, sappiatelo per certo, non appartiene al segno del Cancro.
E questa non è la sua storia.
No, il Cancro non è cattivo. Tutt’altro, anzi, visto che ci tiene molto all’adesivo di caposcout che porta appiccicato alla maglietta. Gli
hanno insegnato che è bene essere sensibili e rispettosi delle donne,
perciò si comporta di conseguenza. Appartenete a questa categoria?
Benone! Avete i requisiti giusti per candidarvi al ruolo di Principessa
Consorte. Inoltrate il vostro CV alla sua casella email, quindi potrete
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sostenere un colloquio col suo braccio destro.
Il mio Cancro è stata un’amica a presentarmelo, a una festa. E lì per
lì non ci avevo fatto caso che lei, neppure cinque minuti dopo, si era
dileguata bofonchiando un «vado un secondo alla toilette», per poi
sparire definitivamente. Ho scoperto in seguito che teneva in tasca un
biglietto sola andata per Singapore, acquistato come tentativo estremo di scollarsi il Cancro dalle terga.
Neanche a dirlo, funzionò. Pare che per il Cancro sia un po’ come
per l’imprinting dei paperi, per cui devi mettergli davanti un’altra
persona e dirle «ce l’hai»; lui allora riconosce l’altra come «donna che
lo accudirà per il resto dei suoi giorni», e il gioco è fatto.
E pensare che al momento non mi sembrava neppure tanto male. Il
Cancro voleva sapere cose di me, faceva domande, sembrava interessato al mio benessere. Ai limiti dello stalker, certo, ma non ci si può
sempre lamentare che gli uomini non richiamano mai e non hanno
attenzioni e poi puntare il dito contro primo che invece ci avvolge
nelle sue spire come un boa constrictor.
Il giorno della nostra prima vera uscita mi arrivarono qualcosa come
venti chiamate. Mi andava bene vederci per una semplice pizza? E se
invece mi avesse portata in un ristorante stellato? Se poi ci fossimo
sentiti in imbarazzo al ristorante stellato? Non era meglio una bella
fiorentina? Ma ero sicura che mi piacesse la fiorentina? Non è che
gli stavo nascondendo di essere vegetariana? E se invece mi avesse
portata a mangiare sushi? Oppure non ero abbastanza alternativa da
mangiare sushi? Mi sarei allora accontentata di una semplice pizza?
A metà pomeriggio sentivo già un gran bisogno di un bel cocktail
a base di Tavor. Gli dissi di non preoccuparsi, che la pizza andava
benissimo e per tagliare la testa al toro avrei fatto io la prenotazione.
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Ma no, mi richiamò poco dopo dicendo che avrebbe pensato a tutto
lui, e che saremmo stati comodi comodi a casa sua, così magari dopo
cena avremmo potuto guardare una puntata di The Big Bang Theory.
Ovviamente non credetti alla storia del telefilm postprandiale, e
pensai che quella di stravaccarsi sul divano fosse solo una mossa tattica per avere lui più libero accesso ai miei canali e io al suo telecomando…
Perciò mi presentai tutta inguepierdata che neppure Pretty Woman,
e mi venne un colpo quando ad aprirmi la porta non fu il mio Cancro
versione nove settimane e mezzo, ma la fotocopia sputata della casalinga del dado Liebig. La sua mamma.
Perché è ora di svelarlo, col Cancro è come fare la spesa al discount:
prendi uno e porti a casa due. Lui e la sua mamma.
Mammina mi indicò un paio di pattine con cui sostituire i miei tacchi dodici, perché in casa mica si sta con le scarpe; e mi spiegò che
era tutto il pomeriggio che spignattava per il suo bambino e per me.
E, ovviamente, chi avrebbe avuto cuore di spedirla via dopo tanto
sforzo, lei che da sola avrebbe dovuto attraversare il pianerottolo fino
al suo appartamento? No, naturalmente a me non dispiaceva che rimanesse a farci compagnia…
E, d’altra parte, quale modo migliore per scoprire tutto, ma proprio
tutto, del suo tenero virgulto?
Le fotografie me le avrebbe fatte vedere dopo cena, quando il suo
bambino si sarebbe steso sul divano, con le pantofolone ben piazzate
sul tavolino, e lei mi avrebbe fatto vedere come si lavano i piatti…
Perché non c’è altro modo, mi spiegò, per assicurarsi di mettere il suo
piccolo Cancro in buone mani.
E qui veniamo all’altro difettuccio di questo tanto eccitante segno…
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Il Cancro è un filino pigro, ma giusto un filino. La cosa che lo manda
più in sollucchero, dopo lo scambio delle figurine Panini, è prenotare
le vacanze, rigorosamente nello stesso posto, stessa spiaggia, stesso
mare, da quando era alto così. Che bellezza rivedere sempre le stesse
persone, avere la sicurezza della stessa sdraio, dello stesso ombrellone, dello stesso bagnino e via discorrendo. Non vedevo l’ora anch’io
di essere coinvolta in quest’avventura?
Oh, chiaro… ma purtroppo s’è fatta una certa, dissi. Lui e mamma
mi dovevano proprio scusare, aggiunsi prima che Anthony Perkins e
mammina cara pensassero di offrirmi una bella doccia calda e rilassante.
A quel punto, il Cancro si scusò per non accompagnarmi fino alla
macchina, ma s’era già tolto le scarpe e avrebbe rischiato di buscarsi
un malanno.
Ovviamente però mi avrebbe chiamata l’indomani, disse, anzi,
quella sera stessa, dal suo lettuccio, per darmi la buonanotte. E poi
domani mattina, per darmi il buongiorno… e poi dopodomani e ancora, e ancora…
Raggiunto il portone, presi il mazzo di fiori che lui e la mamma
avevano scelto per me e lo imbustai nel più vicino cassonetto, per poi
correre via a gambe levate.
Pensai: Chissà, forse farei ancora in tempo a prendere l’ultimo aereo per
Singapore…
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Il Leone da palcoscenico
Eh, lo so… fa assolutamente figo andarsene in giro a dire alle amiche:
«Sai che c’è? Esco con uno altolocato… hai presente? Un Re, addirittura…! Sì, sì: il Re dello zodiaco».
Che poco poco, prima che l’amica di turno chiami il 118 e ti chieda
di infilare quella strana camicia che non ti fa muovere le braccia, ti
senti come Kate Middleton e magari ti metti a salutare dall’autobus
con la manina rigida.
Wow, esci con un Leone!
La prima sorpresa è che, nonostante l’aria arrogante con cui il tuo
Leone ti fa cadere dal cielo la sua nobile presenza, sfogliando i tabloid
non trovi notizia del vostro augusto fidanzamento. Insomma, nonostante le arie che si dà, non c’è nessuno che se lo fili per un autografo,
a parte il cameriere che gli porge il conto al ristorante.
La seconda sorpresa è che, al Re, la calzamaglia del Principe Azzurro proprio non ne vuole sapere di salire. Lui non è in cerca di una
principessa. Piuttosto, è in cerca di una grupie.
Obiettivamente, la criniera con cui il mio personale Leone mi aveva
folgorata non era così fulgida da vincere un concorso Pantene. Eppure… Eppure si sapeva vendere benissimo, con un sorriso sprizzante
sicurezza e quell’occhietto furbo che neppure un venditore porta a
porta.
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Insomma, da casalinga disperata, mi ero lasciata infinocchiare e
pensavo di uscire con Raul Bova, tanto che obiettivamente mi veniva un filo d’ansia quando passeggiavamo in pubblico, o quando lui
diceva il suo nome, per esempio, per ritirare dei biglietti del cinema
prenotati. M’immaginavo che la cassiera alzasse gli occhi dal monitor
per poi avere, minimo minimo, un semi mancamento nel riconoscere
cotanto Leone che si trovava dinanzi.
Non succedeva mai. D’altronde, nonostante le numerose velleità, il
mio Leone era impiegato in un ufficio pubblico, perciò sì, in qualche
modo era abituato ad avere davanti una fila di gente che aspettava
di avere udienza da lui, ma la cosa comprensibilmente non gli dava
tutta questa soddisfazione.
Per questo adorava che io l’adorassi.
E allo stesso tempo era costantemente frustrato, perché gli altri non
riuscivano a riconoscere il suo genio superiore… e, va da sé, finiva per
scaricare il suo malumore da star mancata sull’unica persona iscritta
al suo fan club. Io.
Perché gli amici chiamavano per chiedere a me di uscire e non a lui?
Non potevano invitare lui, semmai, e dirgli di portare (se lo riteneva
necessario) anche la sua claque?
A nulla valeva spiegargli che, se non avesse costantemente trattato
gli altri come un pubblico, apostrofandoli in stile Gassman dei poveri
ed esigendo il completo silenzio durante i suoi monologhi in birreria,
forse le cose sarebbero state diverse.
Perché ovviamente faceva l’attore. Seguiva corsi di teatro da anni,
ma puntualmente ai provini lo rimandavano al mittente. Nemo profeta in patria, okay. Anche se non credo che Scorsese lo avrebbe mai
scritturato.
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Per gasarsi sfruttava la tecnologia, e immancabilmente alla fine dei
nostri incontri più intimi in sottofondo scattava quella registrazione
che si era fatto mettendo in fila gli applausi delle sit com e i cori da
stadio.
A quel punto anch’io avevo dovuto tirar fuori le mie doti d’attrice,
facendomi venire le lacrime agli occhi per la sua interpretazione di
Rocco Siffredi.
Una volta, presa dal sacro fuoco dell’arte, giunsi perfino a fingere uno svenimento come quando da ragazzina avevo visto Simon Le
Bon.
Molto romantico. Ma d’altronde ero innamorata.
Da una parte si sentiva in diritto di invadere la mia vita, illuminandola con la sua luce di saggezza e carisma, pretendendo di dettare
legge sul mio lavoro, di spadroneggiare sui miei ritmi e di sentenziare
sul modo in cui conducevo la mia miseranda esistenza: non so perché, ma a quanto pare non so assolutamente scegliere come e quando
sedermi sul divano, dove sonnecchiare dovrebbe essere punibile per
legge, e sono decisamente sconsiderata e irriguardosa nei confronti
del pianeta in cui vivo, visto che alla sera mi piace accendere la luce,
quando potrei imparare a muovermi nella semi oscurità come fanno i
pipistrelli, per amor di risparmio energetico.
Dall’altra parte, quella che lo riguardava, rimaneva basito, vagamente sconvolto, e il più delle volte rancoroso, di fronte alle mie
richieste di essere coinvolta nella sua, di vita. Perché me ne venivo
fuori con la richiesta di fare una vacanza insieme a lui? Forse volevo
spiarlo? Perché mai avrebbe dovuto farmi conoscere i suoi genitori,
visto che ci frequentavamo da soli quattro anni?
Un giorno dimenticai a casa sua la trousse per il trucco, e soprattutto
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il mio spazzolino, indelicatamente infilato nel bicchiere del bagno, accanto al suo. Mi chiamò su tutte le furie, convocandomi urgentemente
in udienza, e mi accusò di stare subdolamente procedendo con un
piano d’invasione nel migliore stile Risiko. Avrei preteso un cassetto,
poi una parte di armadio… e lui, dopo soli quattro anni insieme, di
certo non se la sentiva di mettere radici.
Esasperata, decisi che era giunto il momento di darle un po’ a lui,
allora, le radici, e prima di uscire di casa (con spazzolino e trousse) gli
tirai dietro il cactus che gli avevo regalato.
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Rain Vergine
Ci sono momenti della vita in cui senti il bisogno di trovare una sorta
di quadratura del cerchio, fare un bilanciamento interiore, tirare una
riga netta su tutto ciò che è passato e ridefinirti come persona nuova.
In genere sono i momenti in cui ti ritrovi in libreria, davanti allo scaffale dei manuali di auto aiuto e ti senti più forte quando esci con la
tua copia di Donne che amano troppo rigorosamente imbustata neanche
fosse una rivista porno.
Ecco, in questi momenti, che solitamente coincidono con la fine di
una storia con Scorpione, Leone, Gemelli e scapestrati affini, ti viene
proprio da dire basta, ora mi cerco un uomo posato, un uomo semplice, con la testa sulle spalle e poche velleità pseudo egocentriche.
In quei momenti, e probabilmente solo in quei momenti, potresti
finire per trovare gradevole un uomo della Vergine.
Il Vergine infatti corrisponde in pieno ai canoni del bravo ragazzo,
onesto, anzi onestissimo lavoratore e, incredibilmente, addirittura fedele alla sua compagna.
Eureka! Abbiamo dunque trovato il segno perfetto…?
Mah… perché c’è sempre un ma e stavolta pure con l’acca dell’incertezza suprema.
Il Vergine è quell’individuo che può piacere se sei un’amante dei
manuali di fai da te, quelli che ti spiegano passo per passo come mon-
22
tare un mobile dell’Ikea senza avere sorprese, se sei un’avida lettrice
di Altro Consumo, pronta a disquisire accanitamente della comparativa tra gli aspirapolvere durante la serata al circolo di lettura.
Insomma, il fascino del Vergine risiede tutto nella cristallina pedanteria di una routine che non ti farà più vivere quei brutti scossoni di
cuore del passato.
Certo, forse uscire con un robot della Bimby potrebbe dare qualche
brivido di passione in più, tipo per la scelta tra il taglio brunoise o
il julienne delle verdure; per non parlare di quell’accenno di mania
ossessivo-compulsiva, nota caratteristica dei Vergine, che ti obbligheranno a trottargli dietro calpestando solo le strisce bianche quando
attraversate, salire sul marciapiedi col piede sinistro, o fare una piccola giravolta su te stessa quando entri in un ristorante. Nulla di grave,
insomma.
Io ero, ovviamente, in una delle mie fasi di ridefinizione, quando
conobbi il mio Vergine.
E, visto che la mia libreria già rigurgitava di manuali tra autostima,
autocontrollo, autodisciplina, autoaiuto e tutta la serie di autocose
di cui le single disperate si (auto)alimentano con voracità bulimica,
pensai che fosse un passo avanti non chiudersi in casa a leggere ma
iscriversi a un corso di auto motivazione. Non solo mi sarei (auto)aiutata a scoprire me stessa, ma avrei potuto conoscere altre persone che
si auto aiutavano, e magari avremmo potuto auto aiutarci insieme.
Non da ultimo, chissà, avrei potuto incontrare un uomo, tanto per
cambiare, con la testa sulle spalle e soprattutto una coscienza (anche
se lo scopo di tutti questi auto potenziatori dell’io è farti bastare a te
stesso).
Tutto convergeva perché io conoscessi il mio uomo della Vergine,
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un po’ come a Samarcanda nella canzone di Vecchioni…
Durante la pausa caffè, si avvicinò per parlarmi delle energie dell’universo, e disse che aveva sentito da subito una certa affinità tra noi.
Wow!
Non feci caso che prima d’infilare la moneta nella macchina del caffè ci bussò sopra tre volte, così come mi sembrò del tutto normale che
borbottasse una specie di filastrocca mentre lo sorseggiava. Qualcosa
del tipo: «un, due e tre, e il quattro» (qui il sorso più lungo) «vien da
sé».
La prima volta che ci demmo appuntamento, non iniziò affatto
bene. Ero dovuta tornare in casa perché minacciava di piovere e avevo scordato l’ombrello, e questo decretò un mio ritardo di tre minuti
sulla nostra tabella oraria.
Aveva prenotato per le sette e quarantasette, invece saremmo arrivati alle sette e cinquantuno, perciò, disse, per rimetterci in pari
avremmo rinunciato al caffè. Tuttavia, visto che fui piuttosto indecisa
sul menu, perdemmo più dei dieci minuti che aveva stipulato ci servissero prima dell’antipasto, facendoci accumulare un ritardo di un
quarto d’ora a fine cena.
Per fortuna lui si calmò, trovando un certo conforto nell’elenco
dei pro e dei contro del corso che frequentavamo insieme. E, visto
che non avremmo più fatto in tempo a vedere alla mostra che aveva
messo sulla nostra tabella di marcia, mi propose di andare da lui per
guardare la sua collezione di bicchieri da birra. Ovviamente lo presi
come un invito di tutt’altro genere, e non seppi se essere rinfrancata o
delusa quando si mise a darmi nota di ogni singolo calice che aveva
nella vetrinetta del soggiorno.
Con tutti i suoi elenchi, nel tempo, il Vergine diventò per me una
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specie di guida. Per gli acquisti. Per esempio, dovetti sottopormi a un
duro addestramento all’indispensabile arte della decifrazione delle
etichette, per imparare a mangiare sano e a non farmi fregare al supermercato.
Chissà perché, però, la nostra storia ebbe comunque vita breve…
Un giorno passò in rassegna gli armadietti della mia cucina, e quasi
gli venne una sincope nel constatare che le mie bustine del tè erano
scadute. Volevo morire avvelenata? E poi, cielo… avevo un gatto! Al
solo pensiero di qualche pelo fluttuante per casa, al Vergine l’ipocondria sale a mille, il cervello gli si riempie di pustole, e gli viene pure
l’alluce valgo.
Dopo averci steso una salvietta, mi fece sedere sul divano per «ragionare insieme». Nella vita di coppia, se si voleva che le cose funzionassero, entrambi dovevamo fare dei sacrifici. Lui, per esempio, si
faceva andar giù che il mio mignolo del piede destro fosse più piccolo
del sinistro. Quindi, se lui riusciva a tollerare la mia – praticamente –
zoppia, io potevo anche rinunciare a quell’orrido felino che attentava
ogni notte alle nostre mucose nasali.
Gli dissi che ci avrei pensato, e presi tempo quel tanto che bastava
per fargli fuori un paio degli amati bicchieri da birra, per invertirgli
i vasetti di pelati nella dispensa e lasciargli alcuni miei capelli nel lavandino del bagno. Poi gli comunicai la mia decisione…
E ora, scusate… devo andare a dare da mangiare al gatto.
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L’insostenibile leggerezza del Bilancia
Almeno una volta nella vita, siamo tutte state quell’amica cui qualcuno doveva assolutamente presentare il suo amico perché «era perfetto
per lei».
«… E poi è anche lui è Bilancia. Proprio come te.»
Ammetto che, un po’ come tutti, ho sempre nutrito una campanilistica simpatia per il segno della Bilancia, avendoci dovuto convivere
fin dalla nascita, cercando di guardarne i pregi e considerare con tenera indulgenza i difetti.
E quindi, confesso, ho ceduto a questo pseudo ricatto morale dell’appuntamento al buio solo per la curiosità di provare ad avere di fronte
un tizio del mio segno. Chissà come, non mi era ancora mai capitato
nella vita. E adesso so che probabilmente non ricapiterà mai più.
Ecco, devo dire che l’uomo della Bilancia ha messo a dura prova il
mio amor proprio e la mia autostima.
Cioè, chi vorrebbe mai uscire con uno che non riesce a tirare fuori un’opinione propria neppure sotto tortura? L’uomo della Bilancia
non potrebbe mai iscriversi a un corso di yoga, perché gli è impossibile assumere una posizione.
Certo, sarebbe assolutamente falso dire che non ne ha, di opinioni,
perché lui ce le ha eccome, ma è troppo subdolamente gentile per
renderle palesi. L’uomo della Bilancia somiglia più alla figura di quei
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gangster gentiluomini, fasciati nel loro gessato senza una grinza, che
davanti ti fanno sempre un impeccabile sorriso, e poi mandano il loro
scagnozzo a fare il lavoro sporco e fracassarti le gambe. Metaforicamente, eh!
L’uomo Bilancia te le manda a dire, insomma. Se è contrariato per
qualcosa, se non gli piace quello che hai detto, se non gli va giù quello
che gli hai risposto, sta sicura che te ne accorgerai. Magari dopo un
giorno o due, ma te ne accorgerai. Quando meno te lo aspetti butterà lì un commento (sempre impeccabilmente signorile) su quanto
sia sbagliata quella certa cosa che «certa gente fa» (e che tu gli hai
detto che fai) portando con se una documentazione degna di Perry
Mason e dai migliori giudici di Forum, che attesti che la sua tesi è
assolutamente ragionevole. (D’altra parte, ha avuto ben due giorni
per sfogliare Internet e tutti i suoi archivi e creare così la sua arringa
a effetto).
Quando non è così, ottiene comunque ragione grazie alla snervante arte del compromesso. Il vostro, naturalmente, anche se sembra
che pure lui scenda a patti. Durante una discussione con lui, non distraetevi o vi ritroverete ad aver scelto voi stesse di lavargli e stirargli le camice, così lui «in cambio» vi farà rifare il letto e vi consentirà
anche di preparargli i pasti.
E, ahimè, sebbene mi secchi ammetterlo, devo anche dire che in amore il Bilancia non brilla troppo per il suo fascino. Sebbene sia galante
da far schifo, per dire, di quelli che ti aprono la portiera come fossero
il maggiordomo di Quel che resta del giorno, gratta gratta ti accorgi che
la sua è solo e semplicemente forma e veramente poca sostanza. Lo
farebbe per chiunque, anche per la sua prozia novantenne, ma più
perché «si fa così» e per avere l’apprezzamento degli altri, piuttosto
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che perché lei è mezza rimbambita e deve aiutarsi con due bastoni.
Senza parlare poi dell’indecisione che contraddistingue il segno
come una bandiera alzata (rigorosamente a mezz’asta, certo, né su, né
giù, per non far torto a nessuno…).
E visto che il mio Bilancia non faceva eccezione, fu «solo» dopo due
mesi che effettivamente ci conoscemmo. Forse non era giusto chiamarmi. Forse avrebbe sbagliato i tempi. E se mi avesse telefonato in
un brutto momento? E poi un appuntamento, così… insomma, era un
po’ volgare… E men che meno lo si sarebbe potuto catalogare come
un incontro fortuito, che fa invece così romantico. Insomma, eravamo
ben lontani dalla perfezione di quegli incontri da film che ci piacciono
tanto.
Il compromesso, ancora una volta, fu di «incrociarsi» fintamente per
caso a casa sua, dove dava un piccolo rinfresco per gli amici, e dove si
fece trovare, quando entrai, strategicamente posto accanto a un quadro simil Rothko, che si abbinava splendidamente al colore della sua
camicia.
Mi offrì da bere, ostentando nonchalance, e si propose di farmi da
anfitrione (disse proprio anfitrione!) proponendomi un giro nel suo
bilocale per sfoggiare il notevole gusto con cui l’aveva arredato. Ad
Architectural Digest sarebbero stati orgogliosi di lui.
Ma io? Il suo sguardo cercava approvazione e sostegno nella Bilancia che c’è in me. Viveva per quell’approvazione. Ovviamente
non solo la mia, ma anche quella di tutti gli altri invitati, per cui un
commento della mia amica sulla nuance delle tende del soggiorno lo
mandò in sbattimento per una buona mezz’ora. Cosa voleva dire? Lo
giudicava uno sciocco ad aver scelto le righe piuttosto che i puntini?
Scoprii nel corso della serata che i suoi valori andavano dalla moda
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alle misure estetiche e, sebbene sfoggiasse abbonamenti a riviste come
il Times, in bella disposizione sul tavolo del soggiorno, i giornali più
stropicciati erano quelli scandalistici nascosti nel bagno.
La prova del nove fu la lunga dissertazione che mi fece di quelle ex,
che crudelmente non avevano capito nulla degli abissi della sua sensibile profondità. E sì che lui era stato così tollerante coi loro difetti:
quel naso troppo lungo dell’ultima, per esempio. Non aveva potuto
tacerlo, è vero, ma glielo aveva ripetutamente fatto notare solo per il
suo bene. Dopotutto le rinoplastiche ora sono praticamente operazioni di routine. E le rughe d’espressione di quella ancora precedente? E
poi che orrore i piedi grassocci, non trovavo?
Lo specchio dietro di lui, intanto, rifletteva su una diserzione impietosa dei sui capelli alla sommità del capo. E io, da buona Bilancia,
mica riuscivo a staccare lo sguardo da lì. Ma potevo dirglielo senza
recargli imbarazzo? Be’… dopotutto anche il trapianto di capelli è stato sdoganato da un po’, e magari avremmo potuto andarci insieme
in qualche istituto di bellezza a farci il tagliando, io per i cuscinetti di
cellulite che appuntò nella mia zona cosce, lui, be’ magari anche per
quell’orecchio un po’ a sventola che fissavo in contemporanea alla
piazza d’armi sulla testa.
Be’, un’altra cosa che imparai quella sera dell’uomo Bilancia è che
i difetti li vede, sì, ma solo negli altri. Perciò mi ritrovai a tornare a
casa di nuovo con la mia amica, e non seppi mai, per fortuna, cos’altro avrei potuto migliorare del mio aspetto per diventare il clone di
Barbie.
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Maledetto lo Scorpione che t’ho incontrato
In antichità c’era un detto famoso, che nel corso dei secoli è stato poi
travisato. Diceva: «Dagli Scorpioni mi guardi Iddio, che al resto dello
Zodiaco ci penso io».
Lo Scorpione infatti è il peggio che può capitare di tutto il mondo
astrologico.
Per lui l’egoismo è uno stile di vita, e infatti se gli chiedete quanti
siano i pronomi personali, senza esitazioni risponderà: «Uno!» Che
ovviamente è IO.
«Io» è l’unica cosa che esiste per uno Scorpione. Voi, come compagna, parente, amica, vicina di casa o qualsiasi altra personificazione
senziente, non siete per lui che un accessorio che può prendere e lasciare alla bisogna. Chiedereste a una spazzola il permesso di essere
usata? Oppure domandereste scusa a quello stuzzicadenti che avete
appena buttato nella pattumiera? Quindi perché lo Scorpione dovrebbe darsi pena di chiedere una qualsiasi vostra opinione, visto che per
lui non siete che meri optional alla sua tormentata esistenza?
Tormentato, ecco un’altra parola chiave. Eh, sì, perché lo Scorpione,
oltre a essere un vero Stronzo con qualsiasi maiuscola, si nasconde
dietro la parvenza del Tenebroso-tormentato-dalla-vita. Potreste incontrarlo in un cinema, rigorosamente d’essai, mentre prende appunti sui personaggi più nevrotici di Lars Von Trier, tanto per darsi un
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alibi, oppure a una festa, appoggiato mestamente a una colonna con
l’aria del cane bastonato. Allora vi verrà da pensare: poverino. Ebbene, sappiate che vi ha fregate.
Appena farà breccia nel vostro cuore, con quel suo sguardo perso
(e vagamente psicopatico, proverà ad avvertirvi qualche amica…),
riprogrammerà il vostro cervello impostandolo sulla modalità Candy
Candy-crocerossina senza speranza, subito dopo coadiuvato dal
Trojan Horse Tenebroso e Misterioso che, sì, fa tanto romanzetto
harmony e vi ricorda l’infanzia, quando eravate al mare dalla nonna,
ma proprio per questo è più letale che mai.
Siete una Dead Woman Walking, anche se tutto in voi dice che vi
siete innamorate.
Il mio Scorpione poteva vendere fascino un tanto al chilo. Ne aveva a iosa, con quel suo fare distaccato, vagamente avulso dal mondo
e sofferente per ogni cosa che gli capitava, dalla smagnetizzazione
della Fidaty card alla sciarpa dimenticata al ristorante. Di più, lo Scorpione è così anche quando gli danno una promozione o un aumento
di stipendio. In realtà gli avvenimenti positivi lo infastidiscono un
sacco, perché lo distolgono dal suo cliché di uomo problematico (e
quindi, secondo lui, più intelligente e profondo di ogni essere capace
di sollevare gli angoli della bocca in un sorriso).
Il mio, l’avevo soprannominato scherzosamente «Mai-’na-gioia»,
nel vago e imperfetto tentativo di usare l’ironia per strapparlo da quel
vario turbine di vuoto cosmico in cui piombava ripetutamente quando meno me lo aspettavo. Un giorno era allegro, propositivo, dinamico… Il giorno dopo non gli cavavo una parola neppure col forcipe, e
se insistevo si voltava verso la prima finestra a portata di mano, per
guardare l’infinito e oltre, anche se casa mia dà su un palazzo a nep-
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pure dieci metri. (La dirimpettaia iniziò a sospettare uno stalker, ma
questa è un’altra storia…)
La nostra storia andò a singhiozzi (i miei soprattutto, consumati
tra lenzuola di seta, a strapparmi ipotetici riccioli castani come un’eroina dei suddetti romanzi), tra le angherie più o meno meditate
del mio Scorpione, che lasciava qua e là cadere la propria presenza
che neppure un’apparizione di Padre Pio, interminabili attese e frasi
fatte che scoprii prese soprattutto dal sito internet www.citazionintelligenti.it . Cose del tipo: «Tu non puoi salvarmi», o anche «Bisognerebbe sempre essere un po’ improbabili» e ancora «Non vi dirò:
‘Non piangete’, perché non tutte le lacrime sono un male». Insomma
poteva passare da Oscar Wilde a Gandalf o Twilight in un battito di
ciglia, anche perché, non avendone letto mai neppure uno per sbaglio, per lui era assolutamente la stessa cosa.
Anche quando mi lasciò (ebbene sì, fu lui a lasciarmi, ma a mia discolpa posso dire che ero ridotta così male da non riuscire più a distinguere un sasso dal portachiavi di casa), anche quando mi lasciò,
dicevo, fece in modo di rendere l’agonia più lunga possibile. Non era
stronzo, teneva a sottolineare, ma tormentato da quel male di vivere
che affligge tutte le persone di un certo spessore (e per sottolinearlo non mancava di snocciolare come un rosario le tessere delle associazioni benefiche cui era iscritto, così che, superficialmente, potesse
darsi il patentino da «buono»). E, siccome coltivava Dubbi al posto
dei gerani sul balcone, era incapace di capire se la scelta di lasciarmi
fosse giusta o sbagliata. Cosa che generò telefonate in cui mi cercava
piangendo, richieste di vederci per parlare e dirmi che «era così bello
stare con me…», sguardi languidi e malinconici quando ci si incontrava per caso.
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Alcuni amici mi telefonarono per rimproverarmi di averlo trattato
tanto male. Su Facebook, il mio Scorpione, infatti, non si asteneva mai
dal far riverberare tutta la sua interiore sofferenza, pubblicando cieli
cupi e le sue amate citazioni, che stavolta spaziavano dalla Mazzantini a Grey’s Anatomy.
Iniziai a pensare che forse ero stata io a lasciare lui e non me ne ero
accorta, oppure che avevo capito male e che non mi mollava perché
disamorato, ma perché doveva partire per la guerra. Ancora una volta pensai che la nostra fosse una «bellissima storia d’amore», di quelle
dove l’eroe tutto mascella e capelli fluenti aveva avuto un’infanzia
così difficile da rendergli impossibile amare finché non era sul baratro, sul punto di perdere ogni cosa che gli fosse davvero cara.
Gli dissi che mi mancava anche lui, dopotutto, e che se voleva potevamo ritentare, che la nostra storia valeva la pena di essere salvata...
E lui stavolta sparì.
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Sesso, bugie e Sagittario
Ebbene sì, sul Sagittario io ci avrei puntato parecchio. Come dire,
molti manuali di astrologia si sperticano in lunghissime lodi, soprattutto per il fatto che sia «zodiacalmente molto dotato» e quindi un
supermaschio tra i più hot. E chi non vorrebbe uscire con la versione
astrologica di Rocco Siffredi? Perciò anch’io, dalla mia, volevo provare l’ebbrezza di avere come fidanzato l’uomo chiamato cavallo.
Purtroppo c’è, come sempre, l’altro lato della medaglia. Perché si sa,
il sangue nel corpo è sempre quello e perciò, per irrorare bene certe
parti, va a prosciugarsi significativamente in altre, e il Sagittario è il
tipico esempio dell’uomo che pensa con le parti basse, prima di mettere in moto, lentamente, lo scarsamente innaffiato contenuto della
sua scatola cranica.
La cosa più semplice che può capitare è che si innamori di voi (che
d’altra parte siete donna, quindi un essere per lui estremamente appetibile), che si spertichi in profferte d’amore, che si sdilinquisca in
poesie dai pindarici voli, accomunando i vostri occhi al colore del
mare o la vostra leggiadria a una farfalla… ma che sul suo whatsapp
non faccia altro che fare un copia incolla dello stesso messaggino di
buongiorno da mandare ad altre tre, quattro, dieci donne altrettanto
appetibili e per le quali lui ha altrettanto perso la testa (quella dove il
sangue scorre più liberamente).
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Ed è comunemente noto che il vostro Sagittario recupererà il senno,
insieme a un biglietto di sola andata per altri lidi, non appena voi vi
dimostrerete realmente interessate e inizierete a fare discorsi più seri
sulla vostra vita in comune. Allora si renderà conto che, purtroppo,
siete una persona reale, con desideri e bisogni reali, cosa che per lui
è davvero intollerabile. Come avete potuto mentirgli tanto spudoratamente?
Sì, perché in definitiva la colpa non può essere la sua. Al Sagittario
viene subito l’herpes se pensa di avere colpa di qualcosa, e la risposta
più ovvia, la ripicca più ovvia, è ovviamente il tradimento e poi la
fuga.
Dire che il Sagittario è terrorizzato dal concetto di monogamia è un
po’ come dire che Maria Antonietta era lievemente turbata all’idea di
salire sul patibolo.
Come ho già detto, anch’io ho subito il fascino del Sagittario, e mi
sono ritrovata nella situazione di considerare seriamente di passare
la vita con lui. La vita a volte fa proprio degli strani scherzi, tipo farti
venir meno una serie di sinapsi che ti avvertirebbero del grave abisso
nel quale ti stai immergendo.
Ma il mio Sagittario era in apparenza un essere perfetto, per lo meno
all’inizio della nostra relazione. Ovviamente aitante al punto giusto, e
dotato di quell’aria di spacconeria che solo più tardi capii era sintomo
di una totale ignoranza e mancanza di tatto.
Provate a raccontare un segreto a un Sagittario, e vedrete se prima o
poi la vostra storia non sarà su tutte le prime pagine dei giornali locali. Essendoci poco sangue nel suo cervello, come si diceva, lui apre la
bocca e vi dà fiato senza rendersi conto del danno che può fare. Se ci
fate caso, lo zio scemo che c’è un po’ sempre a tutti i matrimoni, quel-
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lo che si ubriaca e parla a sproposito di quanto la sposa sua nipote si
sia data da fare, anche col testimone, prima di impalmare il fortunato
al suo fianco, è sempre del Sagittario.
Il mio Sagittario era anche un uomo estremamente generoso, e anche questo faceva parte del fascino che esercitava su di me. Peccato
che scoprii a mie spese che la sua generosità, ossia le mani bucate, non
avevano i limiti del suo conto in banca, ma la tendenza a dilagare nel
mio e in quello di chiunque gli si avvicinasse anche solo in amicizia.
D’altra parte, è comprensibile: come puoi non arrivare ad avere debiti se esci a fare il galante con dieci donne diverse alla settimana, e a
tutte pretendi di fare regali che attestino il tuo smisurato amore?
Me ne resi conto quando vidi il mio stesso anello alla mano di quattro mie amiche. Lo aveva comprato in serie, con uno di quei lotti
televisivi, nel vago tentativo di risparmiare prendendone una certa
quantità.
Se non altro servì a riavvicinarmi alle suddette amiche, e tutte insieme fondammo un club: per fargliela pagare.
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Il Capricorno veste Prada
Col Capricorno non si scherza. Anche perché è geneticamente privo
di senso dell’umorismo, per cui scordatevi serate a raccontarvi barzellette (be’, il che può essere un bene…) e, per carità, evitate di fargli
qualsivoglia battuta. Non la capirebbe, vi prenderebbe per matte e,
soprattutto, si potrebbe offendere a morte.
In genere però è un tipo affidabile, tipo che ad avercelo in macchina
potete anche dimenticarvi il navigatore senza problemi, tanto imposterà lui la rotta e vi dirà strada per strada gli svincoli da seguire. La
precisione è il suo mestiere.
Certo, a parte sapervi fornire tutti i dati della toponomastica mondiale, il Capricorno non brilla per la verve della sua conversazione.
Parlare per lui è uno scambio di informazioni fondamentali, senza
convenevoli né fronzoli. Del tipo che «Come stai?» è una domanda
veramente banale: se vi ha davanti, o al telefono, significa che respirate ancora, e tanto basta per lui a stilare la diagnosi che siete viva.
D’altra parte, parlando troppo, finirebbe per dare agli altri informazioni troppo personali, e il Capricorno non si fida neppure di sua
madre.
Di primo acchito, devo dire che ero rimasta affascinata dal mio Capricorno, che diversamente da molti altri segni faceva dell’ordine,
dell’eleganza e della pulizia un baluardo difficilmente eguagliabile.
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Di pari, aveva in odio disordine e asimmetria. Arrivati al ristorante,
ebbi la netta impressione che contasse i tavoli a disposizione, prima di
scegliere quello che bilanciava meglio la nostra presenza.
Così come lo vidi squadrarmi da capo a piedi, con occhi intensi, per
poi chiedermi se quelle che indossavo fossero vere scarpe di Gucci o
una mera imitazione.
In un mondo capricornescamente perfetto, le imitazioni dovrebbero
essere bruciate sulla pubblica piazza come facevano i nazisti coi libri.
Poi, una volta seduti, tirò fuori il cellulare e lo posò alla sua destra,
cosa che spiegò per due motivi. Il primo era il lavoro: «Sai, la reperibilità…» Ma vedevo che gongolava pregustandosi almeno un paio di
chiamate che lo avrebbero distolto da quella nostra cena semisuperflua, per impegnarlo in quello che era invece il suo hobby preferito: la
carriera (di cui non disdegnò di parlarmi, sciorinandomi il suo curriculum vitae).
Il secondo motivo, scoprii, erano le domande.
Quando registrò il mio nome, cognome e numero di telefono non mi
preoccupai, anzi, ne fui praticamente lusingata. Subito dopo però capii
che non era per tenerli nella rubrica del suo telefono che me li aveva
chiesti, ma per correttezza e ordine della scheda che avrebbe stilato.
Mi spiegò che aveva intenzioni molto serie. Stava cercando davvero
una compagna.
Allegria! Finalmente un uomo concreto, non uno di quei perditempo inizialmente tutti smancerie, e che poi si defilano che neanche Speedy Gonzales. No, il mio Capricorno era un Principe Vero, un
gentiluomo vecchio stampo, mi dissi anche osservando i suoi modi
compiti, e la sua mise linda e pinta, rigorosamente tono su tono, che
neppure Mr Grey.
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Ma poi capii che, proprio come il Principe Azzurro, davvero il mio
Principe Capricorno se ne stava andando in giro per il reame con la
scarpetta di cristallo, per scoprire a quale Cenerentola (una Cenerentola in stracci firmati, ben inteso) sarebbe calzata meglio.
Che lavoro facevo? Quanto guadagnavo all’anno? Al netto o al
lordo? Da dove venivano i miei genitori? Avevo qualche parentela
altolocata? (Cosa che presumibilmente mi domandava per capire se
questi miei ipotetici parenti sarebbero potuti tornargli utili). E ancora,
dove trascorrevo le vacanze? Ah, ero stata di recente in Costa Azzurra… Segnò un punto, credo a mio favore, anche se lui mi disse di
preferire di gran lunga la montagna, perché il mare attirava sempre
troppa gente e anche i posti più Vip, disse con malcelato rammarico,
erano ormai diventati alla portata di tutti, tanto che non riuscivi più a
distinguere un capitano d’industria da un panettiere in vacanza.
Iniziai a domandarmi se il fatto che fossimo usciti di martedì avesse una qualche attinenza con la sua ricerca del Sacro Graal, cosa che
mi parve confermata dopo la terza interruzione per le sue telefonate,
quando lo vidi tirar fuori l’agenda per scartabellare tra le pagine e
segnarsi un’altra cena, con tale Annalisa, per la fine del mese. Prima,
le disse, proprio non riusciva a inserirla.
A suo favore, va detto che pagò il conto senza fiatare, facendosi fare
la ricevuta. Probabilmente perché considerava questi incontri alla
stregua di una cena di lavoro e se li sarebbe fatti rimborsare in ufficio.
Naturalmente capii di avere fallito il test ancora prima di varcare la
soglia di casa. No, non perché fu scortese, o mi liquidò con due bacini
all’aria sfiorandomi appena le guance. Fu la sua frase di commiato
a essere del tutto illuminante. Perché dopo il classico «Buonanotte»,
aggiunse: «Le faremo sapere».
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Come l’Acquario nessuno mai
Innanzitutto bisogna che sia chiara una cosa: l’Acquario è un segno
bellissimo.
A questo punto, se c’è qualche uomo dell’Acquario che sta leggendo
queste righe, balzerà subito sulla sedia tentato di sbottare in un: «Non
è vero!», sebbene ritenga che il suo segno dia punti a tutto il mondo
astrologico.
È vero, scherzavo per quanto riguarda la prima frase.
L’Acquario non è perfetto. Ma meglio dargli ragione… Per più di un
motivo. Decisamente in tutto lo zodiaco è il segno più ampiamente
contraddittorio, per cui ben lontano da quella perfezione che dicevo…
E poi perché dirsi d’accordo con lui è l’unico modo per avere un quieto
confronto con qualcuno del segno. L’Acquario, infatti, oltre a non concordare mai, per principio, con quello che dicono o fanno gli altri, pretende che anche tu, alla fin fine, ti «ravveda» e passi dalla sua.
Perché? Perché lui, che si ritiene il miglior segno dell’universo, semplicemente è l’Unico Detentore Mondiale della Verità.
Non sa adattarsi a nient’altro che a se stesso: poverino, l’umanità
non lo può capire perché lui, ahinoi, è nato con un’intelligenza superiore, che lo relega in quella cerchia ristrettissima (probabilmente
tutta composta da Acquari…) di menti supreme.
Per questo non ammette di essere da meno di qualcun altro, in qua-
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lunque disciplina si possa porre sulla sua strada. Ho visto Acquari
con la manualità di un Teletubbies col Parkinson cercare di attaccare
piastrelle per rifare completamente un bagno… tutto perché, se ci riusciva un muratore, perché lui (l’Acquario!) non doveva saperlo fare?
Se da bambino il piccolo l’Acquario voleva fare il musicista e correggeva Mozart e Bach, definendo alcuni movimenti scritti da loro un
po’ troppo banali, da grande, quando ormai è stato conclamato che
alla Scala ci sarebbe andato solo in piccionaia, ha liquidato la cosa con
un’alzata di spalle, perché anche Puccini dopotutto è stato fischiato…
E i veri geni raramente vengono riconosciuti dai loro contemporanei.
Toccherà aspettare. Ai posteri l’ardua sentenza.
Con l’Acquario che conobbi la vita non fu certo facile, anche se, va
detto, fu interessante sotto molti aspetti.
Per lui, ero una preda ambita, e perciò mi meritai un corteggiamento tra i più lunghi, accaniti e fini.
Siccome tra le cose che l’Acquario aborre c’è la banalità, per avere
la sua dichiarazione, mi sottopose a un viaggio di quasi trecento chilometri, perché il posto in cui mi portava era per lui il più romantico
del mondo e tutto doveva essere non meno che perfetto. Peccato non
ricordarmi esattamente cosa fece o disse, visto che ora della famosa
profferta d’amore stavo praticamente dormendo in piedi.
Probabilmente ci mettemmo insieme per sfinimento.
Rose, fiori, nuvolette e danze a piè lieve con sguardi innamorati?
Oh, non proprio…
Da lì in poi la vita insieme fu un lungo e interminabile battibecco.
L’Acquario non soltanto le voleva tutte vinte, ma, come sempre, non
poteva mai essere d’accordo con me. Neppure se io ero d’accordo con
lui.
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Al mare ci si andava regolarmente a ottobre, perché mica si poteva fare i pecoroni che seguivano la massa e rischiare di trovarsi anche il vicino di casa di fianco al nostro ombrellone o, peggio che mai,
«gente» che affollasse le località turistiche da lui scelte. No, no, molto
meglio evitare code e stress, e ritrovarsi in un ristorante deserto col
menu ormai ridotto dal fuori stagione, o sotto l’ombrello, al posto che
l’ombrellone, a guardare romanticamente il mare color acciaio sotto
un cielo freddo e plumbeo.
Viveva di utopie incomplete, il mio Acquario. Artista, anche se dichiarava che l’arte era morta perciò tanto valeva, musicista rigorosamente non praticante, se non per bacchettare gli amici strimpellatori,
tuttologo consumato delle nozioni più disparate e quanto mai inutili
(«Lo sai, amore, che i grilli sono gli animali coi testicoli più grandi?»
Robe così, per dire, e tu te ne rimani lì e voglio vedere cosa gli rispondi).
Ovviamente, in mezzo a tutte queste nozioni più o meno pregnanti,
doveva esserci anche una laurea honoris causa in psicologia, perché
ha sempre avuto la pretesa di sapere com’ero fatta, cosa avrei detto
(da essere inferiore, devo essere prevedibile come un topo da laboratorio) o se fingevo facendo qualcosa che non mi «apparteneva». Il mio
disamore per la trippa, per tanto, per lui era una semplice presa di posizione contro i piatti della tradizione contadina, in quanto borghese e
priva delle basilari nozioni di storia… ma dovevo ammetterlo che io
ero proprio «un tipo da trippa».
E così via, di conseguenza, anche per amici, colleghi, genitori e parenti, tutti così semplici per lui da poter essere indicizzati a una sola
occhiata.
L’utopia, ovviamente, è qualcosa che non può mai essere raggiunto,
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così come la routine inevitabile nella vita di una coppia che non abbia
lo spirito di Bonnie e Clyde. E per l’Acquario o l’amore raggiunge
ogni giorno le vette ansanti di una travolgente passione, oppure niente, non s’ha da fare ed è meglio gettare la spugna piuttosto che tentare
di riscaldare la minestra.
Lo capii solo anni più tardi, dopo che ci fummo lasciati. Il suo innamoramento sarebbe durato notevolmente di più se avessi continuato
a negarmi, o a concedermi una tantum come un bonus fiscale. L’amore perfetto, infatti, per lui è come l’incompiuta di Beethoven, e la
sua amata immortale una donna praticamente inaccessibile che gli
dia sempre il gusto della sfida.
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Pesci e bugie
Il mare è pieno di pesci, è vero… E, se è andata male con tutti gli altri
segni dello zodiaco, è pur legittimo cercare di tirarsi su il morale con
questo vecchio adagio. È un po’ come ammettere: «sto alla canna del
gas», che in effetti, se ci si riduce a mettersi con un Pesci, è davvero la
stessa cosa.
Non fatevene una colpa, primo perché gli uomini del segno sono
davvero esseri camaleontici e quindi in grado di raggirare chiunque,
secondo perché gli fareste un favore: i Pesci vivono di senso di colpa,
il loro e quello degli altri. Ci sguazzano meglio che nel mare, se lo
volete sapere.
Generalmente serio e con l’aria malinconica, il Pesci è quello che
in compagnia racconta le barzellette talmente male che gli altri, per
scusarsi di non essere riusciti a ridere, gli offrono subito un altro bicchiere.
A sentire loro, sono sempre sfortunati, e anche quando vincono 100
euro col gratta e vinci si rammaricano della loro cattiva sorte, perché
qualcun altro di certo avrà preso di più. Tra l’altro, probabilmente
è colpa vostra se non è riuscito ad acchiappare il biglietto vincente,
perché vi sarete attardata da qualche parte prima… Lui però ve lo
comunica così, per amor di informazione, mica per litigare o farvi
sentire in colpa, eh!
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In amore, il Pesci opera un accerchiamento tipo gli squali. Non è
uno da mettersi in gioco, da fare profferte spudorate o dichiarazioni
al chiaro di luna; no, è più quello che getta un mezzo sasso per poi
ritirare due mani, perché prendere l’iniziativa non è sicuro o, meglio,
non è nel suo stile.
Infatti, quando conobbi il mio Pesci, non fu certo con un appuntamento galante che si fece avanti. Si propose piuttosto come amicobarra-confidente, perché se c’è una cosa che i Pesci sanno fare bene
è ascoltare… Se sono disgrazie tanto meglio, perché gli fan scattare
fuori quell’empatia e senso di protezione da pseudo crocerossino che
lui stesso esige dagli altri.
Dopo l’accerchiamento da anguilla-constrictor, però, ovviamente,
arrivò l’assalto. Timido, è vero. Ma poiché il mio Pesci si muoveva
nelle acque torbide di un mio precedente amore finito malamente, i
broker lo davano a ottime percentuali.
Era il classico chiodo scaccia chiodo, e la storia, pur strampalata, a
distanza e del tutto immatura, finì per coinvolgermi.
Solo che, dal ruolo di amica accudita e compresa, mi vidi piombare
nel doppio ruolo di fatina buona e matrigna cattiva allo stesso tempo. Il mio povero Pesci, vittima della società e dell’universo mondo,
non riusciva a concludere un progetto che fosse uno. La colpa, ovviamente, non era sua e dell’incostanza con la quale passava dal voler
brevettare un nuovo marchingegno per calzare le scarpe, al design
di accessori per chihuahua, ma del potere precostituito che non gli
lasciava il tempo e la possibilità di esprimersi al meglio.
Era evidente che qualsiasi onere potesse fargli venire un attacco
d’ansia, e il suo medico di base gli aveva prescritto dello Xanax ogni
volta avesse udito la parola «responsabilità».
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Anche nel nostro stare insieme, per esempio, scoprii che secondo
lui ero io che «lo avevo scelto», e questo gli faceva lavare le mani di
fronte a una qualsivoglia rivendicazione.
C’è però un’altra cosa che il mio Pesci, da ottimo Pesci, sapeva fare
benissimo oltre a lamentarsi della sorte avversa che lo vedeva schiavo
di un lavoro che lo uccideva, vittima di inani soprusi da parte dei colleghi, dello yogurt che gli era scaduto nel frigo e della spazzatura che
gli toccava differenziare… Sapeva mentire che neppure Kevin Spacey
nei Soliti sospetti.
E, proprio come Keyser Söze, lo faceva con quell’aria contrita da
povero disgraziato, che se lo scoprivo passavo io per la strega cattiva.
Se aveva mentito, lui l’aveva fatto per il mio bene.
Le bugie erano generate dal suo scarsissimo senso pratico, perché,
come già detto, era totalmente incapace di prendere una qualsivoglia
decisione da solo.
Certo sapere che la sua ex non era ancora troppo convinta di essere
tale poteva crearmi un certo disagio… Ma perché arrabbiarsi proprio
con lui che era pur sempre la vittima di quell’accanimento amoroso
solo perché aveva omesso di parlargliene? Dopotutto era una brava
persona, mica voleva ferirla. Meglio aspettare che ci arrivasse da sola,
no?
Ma quando? mi domandavo io, il giorno delle nozze?
A quel punto troncai, e devo dire con mio grande rammarico che
gli feci pure un gran favore. Non perché ne fosse contento, ma perché
in questo modo gli avevo evitato di prendere da solo una decisione,
con la bonus track di poterlo far sentire ancora una volta vittima delle
circostanze avverse. Era stato «mollato», che sfortuna.
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12 cose che odio dello zodiaco