la Biblioteca di via Senato mensile, anno vii Milano n. 12 – dicembre 2015 SPECIALE DANTE ALIGHIERI Dante, nostro ‘moderno’ Virgilio di claudio bonvecchio Pitirim i’ vorrei che tu, Vilfredo e io... di carlo gambescia Dante Alighieri e l’utopia possibile di gianluca montinaro Storia e vicende delle edizioni dantesche di enrico malato La Commedia di Bonino Bonini (1487) di giancarlo petrella Un commentatore dell’opera di Dante di antonio castronuovo La Comedìa di Dante: vertigine e totalità di marco cimmino Giordano Bruno e ‘la Furiosa Commedia’ di guido del giudice Quando il ’900 mise Dante sotto torchio di massimo gatta Il mistero della Profana commedia di antonio castronuovo Dante nelle raccolte di via Senato di giancarlo petrella ISSN 2036-1394 SPECIALE 750° DANTE ALIGHIERI la Biblioteca di via Senato – Milano M E N S I L E D I B I B L I O F I L I A – A N N O V I I – N . 1 2 / 6 7 – M I L A N O , DICEMBRE 2 0 1 5 Sommario 4 SPECIALE DANTE ALIGHIERI DANTE, NOSTRO ‘MODERNO’ VIRGILIO di Claudio Bonvecchio 54 SPECIALE DANTE ALIGHIERI GIORDANO BRUNO E ‘LA FURIOSA COMMEDIA’ di Guido del Giudice 8 SPECIALE DANTE ALIGHIERI PITIRIM I’ VORREI CHE TU, VILFREDO E IO... di Carlo Gambescia 60 SPECIALE DANTE ALIGHIERI QUANDO IL ’900 MISE DANTE SOTTO TORCHIO di Massimo Gatta 14 SPECIALE DANTE ALIGHIERI DANTE ALIGHIERI E L’UTOPIA POSSIBILE di Gianluca Montinaro 70 SPECIALE DANTE ALIGHIERI IL MISTERO DELLA PROFANA COMMEDIA di Antonio Castronuovo 20 SPECIALE DANTE ALIGHIERI STORIA E VICENDE DELLE EDIZIONI DANTESCHE di Enrico Malato 74 SPECIALE DANTE ALIGHIERI LA MONARCHIA DI DANTE: DENTRO L’UTOPIA 28 SPECIALE DANTE ALIGHIERI LA COMMEDIA DI BONINO BONINI (1487) di Giancarlo Petrella 42 SPECIALE DANTE ALIGHIERI UN COMMENTATORE DELL’OPERA DI DANTE di Antonio Castronuovo 48 SPECIALE DANTE ALIGHIERI VERTIGINE E TOTALITÀ NELLA COMEDÌA DI DANTE di Marco Cimmino 78 SPECIALE DANTE ALIGHIERI DANTE NELLE RACCOLTE DI VIA SENATO di Giancarlo Petrella 87 BvS: il ristoro del buon lettore IL SEGRETO DEL BOSCO E DI CIMA SCOTONI di Gianluca Montinaro 88 HANNO COLLABORATO A QUESTO NUMERO Si ringraziano le Aziende che sostengono questa Rivista con la loro comunicazione Biblioteca di via Senato Via Senato 14 - 20122 Milano Tel. 02 76215318 - Fax 02 798567 [email protected] [email protected] www.bibliotecadiviasenato.it Presidente Marcello Dell’Utri Direttore responsabile Gianluca Montinaro Servizi Generali Gaudio Saracino Coordinamento pubblicità Ines Lattuada Margherita Savarese Progetto grafico Elena Buffa Fotolito e stampa Galli Thierry, Milano Immagine di copertina Marco Carnà, Ritratto di Dante Alighieri, dal volume Dante, Monarchia, Silvio Berlusconi editore, 2004 (collana Biblioteca dell’Utopia) Stampato in Italia © 2015 – Biblioteca di via Senato Edizioni – Tutti i diritti riservati Reg. Trib. di Milano n. 104 del 11/03/2009 Per ricevere a domicilio (con il solo rimborso delle spese di spedizione, pari a 27 euro) gli undici numeri annuali della rivista «la Biblioteca di via Senato» scrivere a: [email protected] L’Editore si dichiara disponibile a regolare eventuali diritti per immagini o testi di cui non sia stato possibile reperire la fonte Editoriale D ire che Dante Alighieri (1265-1321) è patrimonio individuale di ogni italiano non è fare un’affermazione sbagliata. Del «ghibellin fuggiasco» tutti hanno sentito parlare e in tanti hanno letto almeno qualche riga dalle sue opere (se non altro sui banchi di scuola). Scritte tanto in latino quanto in volgare queste ultime hanno – ininterrottamente per più di sette secoli, e più che mai oggi – fin dalla loro stesura suscitato commenti, chiose, glosse e interpretazioni, configurandosi come fenomeno assoluto di permanenza culturale e sedimentazione critica. È quindi giusto che anche «la Biblioteca di via Senato», nella ricorrenza dei 750 anni dalla nascita, dedichi un numero monografico al ‘sommo poeta’. Senza alcuna ‘ottocentesca retorica’ (alimentata fra gli altri da Giuseppe Mazzini che, in Dell’amor patrio di Dante, elevò Dante a esempio di «come si serva la terra natia e come si viva nella sciagura»). Ma con tanta passione intellettuale. La stessa che guidò Jorge Luis Borges alla scoperta di Dante e dei suoi libri e che lo spinse a scrivere come la «Commedia, che continuiamo a leggere e che continua a sorprenderci, durerà oltre la nostra vita, ben oltre le nostre veglie e sarà resa più ricca da ogni generazione di lettori». Gianluca Montinaro 4 la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2015 dicembre 2015 – la Biblioteca di via Senato Milano 5 SPECIALE DANTE ALIGHIERI DANTE, NOSTRO ‘MODERNO’ VIRGILIO Il cammino terreno e la Pax Dantis CLAUDIO BONVECCHIO R icorre - ma sarebbe, forse, meglio dire ‘incombe’ - il 750° anniversario della nascita di Dante Alighieri. Il termine ‘incombe’ non è casuale. È stato utilizzato perché, troppo spesso, analoghe ricorrenze si prestano - quasi fossero una maledizione incombente - per dar sfogo alla vuota retorica istituzionale o para-istituzionale. Una retorica in cui le parole si inanellano alle parole, allo scopo, recondito, di glorificare lo scrivente e non già per ricordare l’oggetto dello scritto o del discorso. In realtà, questo non dovrebbe mai avvenire e tanto più non dovrebbe accadere per un personaggio come Dante che non è solo il ‘padre nobile’ della lingua italiana ma, anche, un grande e raffinato ingegno: uno dei maggiori di tutti tempi e di tutte le culture. La ricorrenza della sua nascita dovrebbe essere, invece, l’occasione per puntualizzare non solo il significato storico di Dante ma pure l’estrema attualità del suo magistero: dei suoi insegnamenti. Dante, infatti, con la sua testimonianza poetica, politica e religiosa ci ha indicato alcune mete che - ancora oggi - si presentano come talmente scontate da essere irrinunciabili. Anzi - proprio nel momento presente, in cui una crisi generale e Sopra: Dante Alighieri. Nella pagina accanto: Giovanni del Ponte (1385-1437), Dante (miniatura), Firenze, Biblioteca Riccardiana generalizzata sembra stritolare, con dita di fiamma, l’Occidente - Dante, dal ‘profondo abisso del passato’, pare voglia illuminarci e spingerci su una strada da percorrere, obbligatoriamente, nella convinzione che ogni epoca ha avuto (e ha) le sue crisi. Non a caso, Bernardo di Chiaravalle ricordava, profeticamente, ai contemporanei e ai posteri che «Habet mundus iste noctes suas et non paucas»: «Ha questo mondo le sue notti e poche non sono». Ce lo dovremmo ricordare, più spesso. Proprio per questo, la sapienza di Dante ci insegna che dobbiamo credere nell’Occidente e nella sua storia, ponendoci sulla scia del grande teologo Bernardo di Chartres che affermava come «gli uomini sono nani sulle spalle dei giganti». Dove i ‘giganti’ sono i valori dell’Occidente e della sua storia: oggi misconosciuti e derisi da tutti coloro che credono che solo l’Illuminismo sia il sole cui rivolgere sguardi e speranze. Mentre i ‘nani’ siamo noi, che tutto dobbiamo alla tradizione greco-romana prima ed ebraico-cristiana poi: senza tralasciare la grande eredità del Sacro Romano Impero e quella che ci hanno lasciato gli arabi spagnoli. Anche questa è una lezione che ci viene da Dante: uomo del Medioevo e della sua cultura, ma di una modernità sconcertante: di cui dobbiamo ‘far tesoro’. Ma Dante insegna, ancora, che esiste - in una epoca, la nostra, che ha fatto dello scientismo, del razionali- 6 la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2015 Sopra: Eugene Delacroix (1798-1863), La barca di Dante (1822), Parigi, Museo del Louvre. Nella pagina accanto, in basso: Dante Gabriele Rossetti (1828-1882), Salutatio Beatricis (1859), Ottawa, National Gallery of Canada; sopra: Frontespizio del I tomo de La Divina Commedia, stampata a Parigi da Marcel Prault de Saint Germain, 1768 (Milano, Biblioteca di via Senato) smo e di un banale neo-positivismo la sua humana religio - una sfera spirituale (la “Divina Commedia” degli uomini) che noi non possiamo né ignorare né, tanto meno, abrogare. Questa ‘sfera spirituale’ coincide con quella ‘divina armonia’ in cui tutte le persone, di ogni epoca, hanno una loro collocazione, un loro compito e una loro umana vocazione. Vocazione che li dovrebbe spingere a farsi - come Dante - “Fedeli d’Amore”. Questa ‘divina armonia’ coincide con il destino dato all’Umanità e che l’Umanità stessa deve contribuire a forgiare: in una continua interazione tra Microcosmo e Macrocosmo. Dante, insomma, ci invita a ri-spiritualizzare un mondo in cui ciascuno deve occupare il posto che si sceglie con il suo pensiero e con le sue azioni. Se questo posto è situato all’Inferno, al Purgatorio o al Paradiso, alla fine poco importa. Ciò che conta, comunque, è il senso e la pienezza di una vita che non può essere spesa nel mero consumismo, annebbiata dalla pubblicità, annichilita dal conformismo, omologata nella banalità o spesa nell’adorazione del Moloch tecnologico. Come avviene. Dante, infine, ci ricorda - e lo fa nel Monarchia, nella Commedia e non solo - la necessità che la società (ma meglio e più correttamente si dovrebbe dire la comunità) realizzi il bonum commune: una vita, individuale dicembre 2015 – la Biblioteca di via Senato Milano e collettiva, migliore e più giusta. Ma per raggiungere questo scopo, la società (la comunità) deve essere guidata dal ‘sole’ e dalla ‘luna’ o, se si preferisce, dalle «due spade»: il potere temporale e quello spirituale che, ai suoi tempi, erano rappresentati dall’Imperatore e dal Papa. In termini moderni, questa esigenza è immutata. Immutata è la necessità che esistano - e siano giusti, forti e operativi - il potere politico e quello del pensiero. E non già un potere del pensiero asservito a quello politico o un potere politico prono al volere di quello del pensiero, per lo più coincidente con quello dell’ideologia: che è tutt’altro dal pensiero. Noi invece abbiamo sperimentato e sperimentiamo ancora - in Europa e, soprattutto, in Italia - questa nefasta commistione, in cui l’ideologia, alleata con il conformismo, tende a soffocare ogni voce libera, piegando il potere politico a sé e utilizzandolo come il proprio braccio armato. Il risultato è che l’ideologia fattasi pensiero, non potendo più togliere la vita, come in passato, cerca di soffocare la parola e il pensiero ge- 7 nuino, condannando all’oblio e all’esclusione chi rifiuta ogni allineamento. Come è avvenuto, in altre forme e in altri tempi, con l’esilio coatto di Dante. Nihil novum sub sole, dunque. E si potrebbe continuare all’infinito. Come si può notare, Dante si rivela un grande e attuale Maestro. Un Maestro che parla con la sua vita e con i suoi scritti che affascinano e coinvolgono, che ammaestrano e allietano, che redarguiscono e mettono in guardia. Dante, con il suo messaggio meta-temporale, ci presenta - con vis poetica, ma con estrema crudezza - ciò che noi siamo e, parimenti, ciò che potremmo (e dovremmo) essere. Per questo vorremmo che fosse il nostro ‘moderno’ Virgilio e che ci conducesse - come fece con lui il suo antico mentore - nel viaggio della nostra esistenza terrena, aiutandoci a superare gli scogli, gli ostacoli e gli abissi della realtà che stiamo vivendo: la nostra realtà. Questo per potere, come Lui, alla fine del viaggio, aspirare a «riveder le stelle» e conseguire finalmente la pace che tutti desideriamo come il bene più prezioso: la Pax Dantis. 8 la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2015 dicembre 2015 – la Biblioteca di via Senato Milano 9 SPECIALE DANTE ALIGHIERI PITIRIM I’ VORREI CHE TU, VILFREDO E IO... Per una lettura sociologica dell’opera di Dante CARLO GAMBESCIA D ante Alighieri, croce e delizia dello studente prima del 1968… Perché i ragazzi nati dopo e usciti da licei buonisti intitolati ai due Kennedy, Martin Luther King, Nelson Mandela, lo hanno riscoperto, grazie, si far per dire, alle ‘pubbliche letture’ dell’attore Benigni. Senza magari sapere che la prima Lectura Dantis, storicamente parlando, fu tenuta dal Boccaccio, nell’anno di grazia 1373.1 Che dire? Ogni tempo ha i conferenzieri che si merita (e si potrebbe pure aggiungere, gli uditori…). Chiediamo scusa per lo sfogo stile professore in pensione. In realtà, non è così. Fucile scarico: desideriamo solo scrivere dei sedimenti sociologici presenti in Dante. Deformazione professionale? Forse. Però si può trattare di felix culpa. Un modo, insomma, per invitare a rileggere Dante con occhi diversi. Sopra: frontespizio de La Divina Commedia con brevi e chiare note, Bologna, Luigi Gamberini e Gaspare Parmeggiani, 1826 (Milano, Biblioteca di via Senato). Nella pagina accanto: Le Arpie, il bosco dei suicidi, Lano Maconi e Iacopo da Santo Andrea (Inferno, canto XIII), miniatura di scuola ferrarese (Guglielmo Giraldi e aiuti, 1478 circa), Roma, Biblioteca Apostolica Vaticana, cod. Urbinate Latino 365, c. 33 r. Due premesse. La prima. Secondo Augusto del Noce, con Dante si chiude il primo grande ciclo del pensiero politico occidentale: quello che va da Platone a Dante. E se ne apre un altro, che da Marsilio Ficino giunge fino a noi. Scrive Del Noce: «Il primo incorpora la politica nella morale, vista come rispetto di un ordine assoluto di valori; e intende questa incorporazione come lotta continua per la giustizia contro la cupiditas. Il secondo, o distingue politica da morale, o incorpora questa in quella, parlandone come di una conformità a un ‘senso della storia’, in divenire verso la realizzazione della giustizia».2 Perciò, se in Dante, pensatore del primo ciclo, persiste una qualche traccia sociologica, per riprendere il titolo di un celebre libro di don Luigi Sturzo, è rinvenibile in una sociologia del soprannaturale.3 Tradotto: nell’Alighieri, il senso di ogni azione sociale resta metastorico, non storico. Sul punto poi ritorneremo. Seconda premessa: per inseguire questa traccia, resta utile la dicotomia, introdotta da Benedetto Croce, a proposito della Commedia (ad aggiungere Divina, come è noto, furono i posteri), tra il senso poetico universale e la sua struttura di «romanzo teologico». Osserva Croce: «Si potrebbe forse acconciamente chiamare, questo lavoro compiuto da Dante, un ‘romanzo 10 la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2015 sociologico’, o ‘etico-politico-teologico’ in analogia dei romanzi ‘scientifici’ o ‘socialistici’, che si sono scritti nei tempi a noi vicini e si scrivono ancora, il fine dei quali è divulgare e rendere altrui accetto e desiderabile qualcosa che si crede o si desidera, presentandolo con l’aiuto dell’immaginazione. Mutati i tempi e gl’interessi degli uomini, diventate le scienze naturali e le disquisizioni sociologiche ciò che un tempo furono la teologia e i problemi della salvazione dell’anima, romanzi teologici ora non se ne compongono più; ma parecchi se ne composero nel corso del medioevo e questo di Dante fu di gran lunga il più ricco di tutti, il più grandioso e meglio architettato».4 Diciamo che Croce, pur criticando, non sempre giustamente, Dante, come pensatore del primo ciclo in nome dei valori del secondo ciclo del pensiero occidentale - in parte condivisi dal grande filosofo - coglie un aspetto fondamentale: quello della struttura sociologi- ca della Commedia. Però, ecco il punto, quella «struttura sociologica», va interpretata non come utopia ma quale «sociologia del soprannaturale». A questo punto il lettore - ovviamente non quello con studi al liceo Bobby Kennedy - si interrogherà intorno allo scopo di questo tour de force che si è già mangiato buona parte dello spazio accordatoci. Rispondiamo subito, semplificando, forse troppo: la struttura trinitaria - ecco il soprannaturale… - della Divina Commedia, tra l’altro già ben evidenziata da un dantista del calibro di Mario Apollonio,5 rinvia all’opera di uno dei più importanti sociologi del secolo scorso: Pitirim A. Sorokin. Insomma, c’è consonanza. Persino biografica. Anche Sorokin fu un esule, costretto a trasferirsi all’inizio degli anni Venti negli Stati Uniti, dalla Russia in fiamme: l’alternativa era la fucilazione. Non tornerà più in patria. Ma anche in America si farà molti nemici per le sue idee e posizioni che precedono di decenni gli sferzanti giudizi di Solženicyn sul materialismo occidentale. Ma anche, come anticipato, rispondenza nel- dicembre 2015 – la Biblioteca di via Senato Milano 11 Nella pagina accanto: Henry Holiday (1839-1927), Dante incontra Beatrice (1883), Liverpool, Walker Art Gallery Sopra dall’alto: Baccio Baldini (1436-1487), La porta dell’Inferno, incisione su disegno di Sandro Botticelli (1445-1510), eseguita per l’edizione della Commedia col commento di Cristoforo Landino, stampata a Firenze il 30 agosto 1481 da Nicolò di Lorenzo di Alemagna (o dalla Magna); il celebre sociologo russo Pitirim Sorokin (1889-1968), in una foto del 1920 circa. Sopra a destra: incipit dell’Inferno, pagina miniata di scuola fiorentina (fine XIV secolo), Roma, Biblioteca Apostolica Vaticana, codice Vaticano Latino 4776, c. 1 r. l’approccio cognitivo. Benché, a dire il vero, Sorokin definì sbrigativamente Dante, citando dal Monarchia, «scrittore antimilitarista».6 Inciso: in merito al giudizio, non sempre benevolo, di altri sociologi sull’Alighieri, torneremo nelle conclusioni. Entriamo nel merito. Dante, sviluppa il suo poema articolandolo in tre cantiche: si va dal materialismo, non privo di oscenità, dell’Inferno, al graduale abbandono del mondo sensistico via Purgatorio, per giungere, per gradi, fino alle ascetiche vette del Paradiso, il mondo ideale della contemplazione assoluta. Anche Sorokin, nella sua Dynamics,7 in qualche misura vero poema sociologico, distingue tre approcci alla realtà, individuali ma anche collettivi fino al punto di incarnare lo spirito stesso di una civiltà: sensistico (vincolato ai desideri materiali), idealistico (un mix scalare di sensi, ragione, intuizione), ideazionale (contemplativo). Dante, a sua volta, grazie alle energiche figure di anime dannate schiave dei sensi, di anime pentite in attesa di perdere le catene terrene, di anime gloriose illuminate da Dio, delinea le tipologie culturali del male, del pentimento, della contemplazione. Allo stesso modo, Sorokin tratteggia - precorrendo il Nisbet della sociologia come forma d’arte8 - alcuni tipi di personalità cultu- 12 la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2015 rale: dal sensista, sempre diviso tra continenza e incontinenza, fermissimo, però, nel ridurre tutto al possesso; all’ideazionalista, che contempla il puro ideale; per finire con l’idealista, che mescola, con raro equilibrio, passione, ragione e intuizione di una realtà superiore. NOTE 1 D. Mattalia, Dante Alighieri, in W. Binni ( a cura di), I classici italiani nella storia della critica, Firenze, La Nuova Italia, 1974, p. 10. 2 Augusto Del Noce, Dante (1971), in Id., Rivoluzione, Risorgimento, Tradizione, Milano, Giuffrè Editore, 1993, p. 325. 3 Luigi Sturzo, La vera vita. Sociologia del soprannaturale, Bologna, Nicola Zanichelli Editore, 1960. 4 Sono due sociologie, ripetiamo, tese verso l’alto: si volgono a un uomo che non deve mai dimenticare la sua natura soprannaturale ma neppure ignorare che la vicenda umana si dipana, sociologicamente, sulla terra: quell’«aiuola», se vista dal Cielo, «che ci fa tanto fero- Benedetto Croce, La poesia di Dante, Bari, Editori Laterza, 1921, pp. 47-65. La definizione e le parole di Croce fanno tuttora rumore. 5 Mario Apollonio, Dante, in AA.VV., Storia letteraria d’Italia, Milano, Vallardi, 1965. L’ Apollonio, forse esagerando, allarga lo schema della meditazione trinitaria all’intera opera di Dante, in particolare alla Vita Nuova (sotto il segno dell’Amore), alla Commedia (sotto il segno del Figlio), alla Monarchia (sotto il segno del Padre); cfr. Ibid., I, pp. 255-262. 6 Pitirim A. Sorokin, Storia delle teorie sociologiche, Roma, Città Nuova Editrice, 1974, p. 342. 7 Id., Social and Cultural Dynamics, New York, The Bedminster Press, 1937-1941. 8 Robert Nisbet, La sociologia come forma d’arte, Roma, Armando Editore, 1981. 9 Pitirim A. Sorokin, Social and Cultural Dynamics, cit. , IV, pp. 775-779. dicembre 2015 – la Biblioteca di via Senato Milano 13 Nella pagina accanto da sinistra: Incipit del Paradiso, reading Dante» si trova davanti «a fabric full of beauties but without beauty in outline: a gorgeous dress ill made up».11 Bocciato, insomma. Weber, per la serie nessuno è perfetto, citando dalla chiusa della Commedia, oppone il Dante contemplativo (e potenzialmente anticapitalista) al puritano Milton di Paradise Lost: «la Divina Commedia del Puritanesimo», quindi pro e proto capitalista.12 Tarde, acuto studioso dei fenomeni giuridici, invece è più generoso: inserisce Dante per l’italiano, con Pascal, Corneille e Racine per il francese, Cicerone e Virgilio per il latino, tra i «rimodellatori» della lingua, i quali sono simili ai grandi legislatori della storia.13 Simmel, sembra aver letto, una seconda volta, addirittura in italiano, la Commedia.14 Quindi apprezzava Dante. Infine, l’apoteosi, Pareto e Mosca: il primo cita copiosamente Dante nel Trattato di sociologia generale15 e in altri suoi importanti lavori.16 Il secondo lo menziona meno, ma sempre nella maniera più brillante e opportuna, sia nella Teorica dei governi e governo parlamentare che negli Elementi di scienza politica.17 Ad esempio, Pareto usa Dante per fustigare, con citazioni ad hoc la borghesia decadente,18 la quale come, Filippo Argenti, «e ‘l Fiorentino spirito bizzarro / in sé medesimo si volvea co’ denti» (Inferno, VIII, vv. 62-63). Mosca, altro esempio, usa l’Alighieri a icastica riprova delle grandi costanti della scienza politica, ossia della persistenza delle ragioni politologiche « per ch’una gente impera ed altra langue»19 (Inferno, VII, v. 82). Inutile, infine, cercare Dante, nella manualistica sociologica contemporanea. Parliamo di studiosi che, purtroppo, hanno studiato alla Bobby Kennedy… Perciò, caro lettore, «non ragioniam di lor, ma guarda e passa» (Inferno, III, v. 51). miniatura di scuola veneta contenuta in un codice pergamenaceo della seconda metà del XIV secolo, Padova, Biblioteca del Seminario Vescovile, ms. 9; ritratto di Dante, in antiporta ai tre volumi della Divina Commedia, stampati a Padova da Giuseppe Comino, 1726-1727 (Milano, Biblioteca di via Senato) ci» (Paradiso, XXIII, v. 151). C’è però una differenza. In Dante, il percorso è lineare, dal basso verso l’alto, come si evince da questi versi: «Giù per lo mondo sanza / fine amaro [nell’Inferno]/ e per lo monte del cui bel cacume / li occhi della mia donna mi levaro» [dal Purgatorio, grazie a Beatrice, per salire in Paradiso] (Paradiso, XVII, vv. 112-115). Per Sorokin, invece, il «grande mistero socioculturale» legato al «perché», noto solo a Dio, della transizione da un tipo di sistema socioculturale all’altro, trova la sua spiegazione, nella sequenza uniforme - come egli scrive - «crisi, catarsi, carisma e resurrezione», alla quale sono obbligate, per riscattarsi dal loro peccato di finitezza, tutte le civiltà umane, condannate a nascere, sviluppare e dissolversi.9 Riassumendo: in Dante si ascende, in Sorokin si fluttua, ma sempre dando del tu al soprannaturale. Dicevamo del giudizio di alcuni sociologi sull’Alighieri. Comte, pur apprezzandone il pensiero, «eccelso spirito», incasella Dante tra gli «spiriti metafisici», nonostante quel suo essere, scrive, «scarsamente favorevole allo spirito veramente cattolico».10 Probabilmente, un complimento, o quasi. Invece, Herbert Spencer, senza tante cerimonie, asserisce che «when 10 Auguste Comte, Corso di Filosofia Positiva, Torino, Utet, 1967, II, Lezione 56°, pp. 286-288. 11 Herbert Spencer, An Autobiography, London, William and Norgate, 1904, I, pp. 262-263. 12 Max Weber, L’etica protestante e lo spirito del capitalismo, Firenze, Sansoni, 1965, pp. 158-159. Per una lettura diversa, se non addirittura riabilitativa, cfr. Oscar Nuccio, Il pensiero economico italiano, 1. Le fonti (1050-1450), Cagliari, Edizioni Gallizzi, 1985, II, pp. 1879-1920. 13 Gabriel Tarde, Logica sociale, in Id., Scritti sociologici, Torino, Utet, 1976, p. 471. 14 George Simmel, La filosofia del denaro, Torino, Utet, 1977, p. 57. 15 Vilfredo Pareto, Trattato di sociologia generale, Torino, Utet, 1988. 16 Id., Scritti sociologici, Torino, Utet, 1965. 17 Gaetano Mosca, Scritti Politici, Tori- no, Utet, 1982. 18 Vilfredo Pareto, Il mito virtuista, in Id., Scritti sociologici, cit., p. 636. 19 Gaetano Mosca, Elementi di scienza politica, in Id., Scritti politici, cit., II, p. 1048. Ma si vedano anche le pagine che Mosca dedica al Monarchia, «opera importantissima» nella sua Storia delle dottrine politiche (Bari, Editori Laterza, 1972, pp. 84-85). 14 la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2015 dicembre 2015 – la Biblioteca di via Senato Milano 15 SPECIALE DANTE ALIGHIERI DANTE ALIGHIERI E L’UTOPIA POSSIBILE L’uomo e la monarchia universale GIANLUCA MONTINARO D ante: un utopista? Una domanda che è lecito porsi, anzi necessario, in relazione tanto alle vicende dell’uomo quanto alle opere dell’intellettuale. Come noto il ‘sommo poeta’ ebbe parte attiva nella vita politica del comune della sua città, Firenze, giungendo a ricoprire - seppure per breve tempo, nell’anno 1300 - la carica di Priore, ovvero la suprema magistratura dello Stato. Pur da quella posizione Dante non riuscì a porre pace fra le fazioni che, ormai da tempo, si stavano affrontando in una pericolosa lotta per il potere che stava precipitando Firenze nel caos. Gli effetti nefasti presto si videro. Il prevalere del partito dei Neri (appoggiato dal legato pontificio Carlo di Valois) su quello dei Bianchi scatenò ritorsioni e vendette. In molti, fra cui lo stesso Dante (che in quel momento si trovava in missione a Roma), ne fecero le spese. Accusato di «baratteria, frode, falsità, dolo e pederastia», venne prima raggiunto da una condanna in contumacia al confino e quindi, Nella pagina accanto: Cacciaguida e Firenze antica (Paradiso, canti XV-XVI), miniatura di scuola settentrionale (1456), Firenze, Biblioteca Laurenziana, cod. Laur. Plut. 40.1, c. 273 r. (part.). Sopra: Federico Faruffini (1833-1869), Ritratto di Dante Alighieri, ispirato ai disegni di Giotto e Pietro Lombardo, tratto dalla Commedia, con ragionamenti e note di Niccolò Tommaseo, Milano, Francesco Pagnoni, 1868 avendo scelto, indignato, di non presentarsi di fronte al tribunale, preferendo l’esilio, da una seconda condanna: la morte sul rogo. Cominciò per Dante il lungo peregrinare da una corte all’altra, in cerca di ospitalità e protezione. E, benché non smise mai di sognare il rientro a Firenze, l’amata patria, rifiutò sdegnosamente l’amnistia del 1315 che, come prezzo, aveva l’umiliante pubblico riconoscimento della propria colpevolezza. Però fu certo in seguito al tragico evento della condanna e all’ingiustizia della pena che Dante prese a ragionare, in quelle che sarebbero state le sue opere più importanti, sulla natura dell’uomo e sulle caratteristiche del potere: ormai corrotto il primo e quasi irrimediabilmente deviato il secondo. Come era stato possibile che proprio lui, Dante, che tanto fedelmente aveva servito la repubblica fiorentina, fosse stato allontanato con accuse sì false e ridicole? Perché i suoi concittadini, che pure ben lo conoscevano, non avevano fatto sentire il proprio dissenso? Qual era «la cagion che il mondo» aveva «fatto reo»? E, soprattutto, come avrebbe potuto essere altrimenti? È probabile che nella mente di Dante, ormai lontano da Firenze, si sia fatto strada un paragone non del tutto sbagliato. Un paragone con un altro martire innocente del potere deviato e della corruzione dell’uomo: Socrate. Anche il filosofo ateniese era stato vittima di un nuovo regime - quello democratico - instauratosi, dopo 16 la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2015 Sopra: Dante e le tre fiere, dall’Inferno, nella versione di Giorgio Petrocchi, illustrata da Monika Beisner, Arbizzano, Stamperia Valdonega, 2005, edizione privata (Milano, Biblioteca di via Senato). Nella pagina a destra: Domenico di Michelino (1417-1491), Dante e il suo poema (affresco, 1465), Firenze, cattedrale di Santa Maria del Fiore l’esperienza oligarchica dei Trenta tiranni, nell’Atene del 399 a.C. Ed è pure probabile che, come l’allievo prediletto di Socrate, Platone, si sia a lungo interrogato nei suoi dialoghi sul perché la città attica avesse condannato un uomo giusto, un esempio di virtù da additare ai giovani, e non di pericolosa corruzione come sostenuto da Meleto, così Dante pensò e ripensò alla propria vicenda, ponendola come punto di partenza per riflettere sull’umanità divisa e corrotta e sul potere superbo e avido. Socrate e Platone: due figure che compaiono (certo non con il riguardo che il ‘sommo poeta’ tributa ad Aristotele) tanto nella Commedia (nel IV canto dell’Inferno) quanto soprattutto nel Convivio. In quest’ultimo, ragionando sulla nobiltà (che non è solo privilegio di sangue ma conquista personale attraverso l’esercizio della virtù), Dante riconosce a Socrate un «posto privilegiato in ragione della testimonianza da lui resa alla virtù. Perché, dice infatti il ‘sommo poeta’, parlare di Democrito, di Platone, di Aristotele, che posero la sapienza al di sopra di tutto, “quando troviamo li altri che per questi pensieri la loro vita disprezzaro, sì come Zeno, Socrate, Seneca, e molti altri?”. Dante non pagò con la vita la propria fedeltà alla «virtù» ma l’esilio certo dovette sembrargli una pena paragonabile alla morte se (sempre nel Convivio) ebbe a scrivere che a Firenze avrebbe desiderato «con tutto lo cuore di riposare l’animo stancato e terminare lo tempo che m’è dato». Sappiamo che, almeno fisicamente, nella ‘corrotta’ città toscana, Dante non fece rientro. Ci tornò invece più volte, letterariamente, nelle sue pagine che abbondano di riflessioni e ricordi. Come quello di Cacciaguida che, nel Paradiso, narra della antica Firenze, «in pace, sobria e pudica», ove non c’era pericolo di esilio e tutti erano certi «de la sepoltura», ove «la cittadinanza, dicembre 2015 – la Biblioteca di via Senato Milano che ora è mista», era «pura» perché tutte le più nobili famiglie discendevano direttamente da Ugo il Grande di Toscana, ove quindi in generale non esisteva «cagione onde piangesse». Ma anche di invettive e presagi, come quello, terribile, annunciato da Ciacco (VI canto dell’Inferno) al quale addirittura «ripugna pronunciare il nome della città tanto essa ora “è piena d’invidia sì che già trabocca il sacco”» e tanto i suoi abitanti «son tra l’anime più nere», in preda a «superbia, invidia e avarizia». Ma Firenze non è altro che lo specchio del mondo, in preda ai tre peccati - le tre fiere - che travagliano gli uomini, li smarriscono nella «selva oscura», impedendo loro di salire la vetta del colle, vestita «già de’ raggi del pianeta che mena dritto altrui per ogne calle». Come la nobile Firenze del passato non esisteva più, così nel mondo erano tramontati i valori aristocratici e cavallereschi che fino a poco prima lo avevano guidato. Arginare la deriva tornando a quel passato, cortigiano e feudale, che fino ad allora aveva retto la società? Troppo tardi, un adynaton: mercanti e banchieri, senza titoli né scrupoli, si erano ormai impadroniti del mondo. Forse più possibile 17 sperare in un elemento esterno, una entità forte, così potente e autorevole da porre un argine all’avidità che pervadeva il mondo, alle divisioni che lo dilaniavano, alle ingiustizie che lo offendevano: l’impero universale. Se il fine di ogni individuo è la propria felicità - sostiene il ‘sommo poeta’ - essa si può conseguire solo in un clima di pace e di soddisfazione diffusa. E solo una condizione può permettere il raggiungimento di questo stato: la presenza di un potere provvidenziale, «un principato unico al di sopra di tutte le realtà politiche». Un’utopia, quella di Dante. Un’utopia che affonda le sue radici nel vissuto del poeta e nel momento storico. Un’utopia che non si pone sotto il segno della fattibilità quanto della necessità. Il ragionamento sillogistico alla base della Monarchia fa infatti derivare la individuale «felicità dal sommo bene che è la pace universale». Essa è nient’altro che «massimo grado di unità», assenza di conflitto, concordia e armonia generale (secondo un cliché che sarà ripreso in epoca umanistica e rinascimentale). E per raggiungere queste condizioni «conviene che uno solo sia colui che regola, ovvero colui che regge, e questo si deve chiamare 18 la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2015 Sopra: Limbo: la ‘bella scola’ e il ‘nobile castello’ (Inferno, canto IV), miniatura di scuola toscana, attribuita a Priamo della Quercia (1450 ca.), Londra, British Museum, codice Yates Thompson 36, c. 7 v. A sinistra: Giorgione (1478-1510), I tre filosofi (1508 ca.), Vienna, Kunsthistorisches Museum, (part.) “monarca” o “imperatore”». Utopia o degenerazione utopistica? Non a caso Dante pone una condizione: che il monarca sia giusto di natura. E tale non potrebbe non essere visto che, «avendo tutto e non avendo nulla da poter desiderare (la sua giurisdizione termina solo con l’Oceano)», il monarca «ha allontanato da sé del tutto la cupidigia», il peggiore dei mali, la malattia che si insinua nel cuore dell’uomo pervertendolo e circuendolo. Aggiunge inoltre il ‘sommo poeta’ che l’imperatore deve avere un’altra caratteristica: «la carità o retto amore». E non potrebbe non averla perché necessariamente il genere umano «da lui è, o deve essere, massimamente amato». Solo così gli uomini, ora in pace e felici, potranno esercitare il loro arbitrio, finalmente davvero libero perché svincolato dagli appetiti dell’avidità e della cupidigia. «La libertà - ricorda Dante - è il più grande dono elargito da Dio alla natura umana (come già ho detto nel Paradiso della Commedia) perché grazie a esso siamo felici qui in quanto uomini». Solo così gli uomini potranno «sussistere per sé», liberi di agire per il supremo Bene. Un’utopia reazionaria, quella di Dante, come scritto anche da Edoardo Sanguineti? Certo, reazionaria nella misura in cui lo è la normale tensione conservatrice insita in ogni individuo libero che desidera feli- dicembre 2015 – la Biblioteca di via Senato Milano 19 Sopra da sinistra: Il nobile castello (Inferno, canto IV), miniatura di scuola fiorentina (fine XIV secolo), Roma, Biblioteca Apostolica Vaticana, codice Vaticano Latino 4776, c. 13 v.; Dante e le tre fiere, incipit dell’Inferno, miniatura di scuola senese (1345), Firenze, Biblioteca Laurenziana, cod. Laur. Plut. 40.3, c. 1 r. A destra: Cacciaguida e Firenze antica (Paradiso, canti XV-XVI), miniatura di scuola settentrionale (1456), Firenze, Biblioteca Laurenziana, cod. Laur. Plut. 40.1, c. 273 r. cità, pace e concordia, per sé e per la propria patria. E quindi, o meglio, un’utopia - come detto poco innanzi necessaria. Tanto ad annientare le ingiustizie quanto a evitare sedizioni e ribellioni. In caso contrario gioco facile avrebbero demagoghi e tribuni della plebe a titillare, negli istinti più turpi, le masse, facendo leva su invidia e avidità. E difatti, di lì a poco, la Storia ne avrebbe portato esempio, sia a Firenze, col Tumulto dei Ciompi e, nel secolo successivo, con l’esperienza savonaroliana, sia a Roma, con Cola di Rienzo. Forse solo un appunto (ma non secondario!) si potrebbe muovere a Dante. Quello di non aver compreso fin da principio che il suo discorso, che ha per «materia la politica», avrebbe dovuto essere primariamente ordinato a fini speculativi, secondo l’insegnamento platonico, piuttosto che pratici. Giusto l’opposto ebbe a scrivere il ‘sommo poeta’. Capì poi, coi fatti, come inevitabilmente ogni teorizzazione politica sia condannata a rimanere sempre sulla carta, perché il mondo del divenire storico il mondo degli uomini - vive di perenne conflitto. E come tutte le utopie mutino, alla stregua degli uomini, la propria natura: da perfetta a sempre perfettibile. 20 la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2015 dicembre 2015 – la Biblioteca di via Senato Milano 21 SPECIALE DANTE ALIGHIERI STORIA E VICENDE DELLE EDIZIONI DANTESCHE Dalla stampa di Pietro Bembo alla “NECOD” ENRICO MALATO «Onorate l’altissimo poeta […]». Inferno, IV, 80 D el più grande poeta italiano - e si dica pure il più grande di tutte le letterature, di tutti i tempi -, Dante Alighieri (1265-1321), non resta un solo rigo, una firma, scritti di suo pugno. La più antica testimonianza estesa con data certa di una sua opera è in un manoscritto della Commedia vergato fra l’ottobre 1330 e il gennaio 1331, in cui il copista, tal Forese Donati, pievano di Santo Stefano di Botèna (nel Mugello), nella nota di sottoscrizione, come allora usava, scusandosi con il lettore perché non imputasse a difetto di diligenza le oscurità o incertezze che suo malgrado fossero rimaste nel testo, avvertiva (trad.): «per difetto e imperizia dei copisti volgari, il libro è incorso in numerose alterazioni di parole e falsità. Io invero, cercando di distinguere il vero dal falso, attingendo a diversi codici, ho trascritto il testo nel modo più fedele che ho potuto» (il manoscritto, andato poi perduto, era in circolazione nel 1548, quando l’erudito fiorentino Luca Martini ne tra- Nella pagina accanto: Filippino, Il Codice Filippino della ‘Commedia’ (ms. CF 2 16, già 4 20, della Bibl. Oratoriana dei Girolamini di Napoli, c. 1r). Sopra: Riccardiano Braidense: Il Codice Riccardiano-Braidense della ‘Commedia’ (mss. 1005 della Bibl. Riccardiana di Firenze e AG XII 2 della Bibl. Braidense di Milano, c. 1r del primo) scrisse tutte le peculiarità di lezione in margine a un’edizione del 1515 di Aldo Manuzio, oggi alla Biblioteca Braidense di Milano: noto come Mart). Allora i libri esistevano solo in copie manoscritte: ogni esemplare vergato da un copista - professionale o per diletto - che s’impegnava sul singolo lavoro di trascrizione, e inevitabilmente lasciava filtrare nel testo trascritto sviste, errori, omissioni, comunque deviazioni dalla “volontà dell’autore”; talvolta anche per scelta intenzionale, quando, di fronte a un testo “difficile”, in un passaggio di cui non capiva il significato, cercava da un lato di attribuire un senso che a lui paresse plausibile, generalmente semplificando e comunque alterando la lezione originale, oppure, nel caso di copisti più scrupolosi, quando era possibile, cercando in altri esemplari di copia una lezione alternativa a quella che appariva incomprensibile. È ciò che ha fatto, e racconta di aver fatto, Forese Donati: il quale, come altri suoi colleghi contemporanei e posteriori, non possedeva alcuno degli strumenti della moderna filologia per distinguere il ‘vero’ dal ‘falso’; operando una scelta che finiva con l’essere soltanto di gusto, dunque arbitraria, che, ripetuta centinaia di volte, in altrettanti manoscritti, in centinaia di luoghi, ha determinato un inquinamento esteso, intrecciato, spesso irreparabile, del testo trasmesso. È il “dramma” della filologia dantesca, per cui da circa settecento anni si insegue un testo della Commedia 22 la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2015 A sinistra: Adolfo de Carolis (1874-1928), Dantes Adriacus (incisione realizzata nel 1921, in occasione del VI centenario della morte del Poeta). A destra: la Commedia nella stampa di Mantova 1472 (ed. Georg di Augusta e Paul di Butzbach; c. 1r) conforme alla volontà di Dante, indagato in un patrimonio che oggi è di circa otto o novecento testimoni (antichi manoscritti, o parti di essi, conservati, e antiche stampe fondate su più antichi manoscritti poi perduti), residuo di almeno un paio di migliaia prodotti. Analoga situazione si presenta per le Rime, che, trasmesse a loro volta da centinaia di testimoni (da un minimo di uno a varie decine per ciascun componimento), spesso frammiste a rime di altri talvolta falsamente attribuite a Dante, uniscono al problema della lezione quello dell’attribuzione, cioè dell’autenticità dantesca. E così per le altre opere, anche se, meno richieste e meno testimoniate, presentano un grado meno avanzato di alterazione (ma per alcune, il Convivio, il De vulgari eloquentia, incompiute, si aggiunge la complicazione di un testo incerto perché non finito dall’Autore). Al problema dei testi si aggiunge poi quello dell’interpretazione, particolarmente severo per un’opera complessa come la Commedia, che ha imposto fin dalla prima circolazione, certo ancora in vita di Dante, nel secondo decennio del Trecento, un corredo di esigui, all’inizio, e via via sempre più ampi apparati di note per orientamento del lettore, illustrativi del testo dantesco (piccoli sommari in forma di rubriche, chiose più o meno sporadiche, poi ampie note di commento sistematico, proemî introduttivi alle cantiche, ai canti, ecc.), che nel tempo hanno costituito il cosiddetto «secolare commento»: un patrimonio esegetico di fondamentale importanza, cui da sempre si attinge per una corretta interpretazione dell’opera dantesca. Tutta questa problematica, testuale e interpretativa, fin dall’origine accompagna la trasmissione e con essa la storia editoriale dell’opera di Dante. Si è vista l’incertezza del primo copista di cui si abbia notizia, che è la stessa dei curatori delle prime stampe, a partire dal 1472: incerti perfino nel titolo del poema, che oscilla tra Comedia (Comedìa) e Commedia, Le terze rime, Il Dante, La Visione, ecc., fino a La Divina Commedia, che si afferma a partire dall’edizione Giolito del 1555. Tentativi di sistemazione sono stati fatti nel corso dei secoli: al 1502 risale un’edizione autorevolmente curata da Pietro Bembo, che offrì il testo di riferimento per tutto il Cinquecento, fin quando, nel 1595, gli Accademici della Crusca realizzarono la prima edizione con varianti, che si allontanava in ben 465 luoghi dal testo di Bembo. Ma è con gli inizi del XVIII secolo che rinasce - dopo un periodo di semi-“appannamento” nell’età barocca - ed esplode in tutto il mondo la fama di Dante e l’interesse per la sua opera. Mentre si moltiplicano le nuove edizioni con nuovi commenti soprattutto de La Divina Commedia (Giovanni Antonio Volpi, 1726-’27; Pompeo Venturi, 1732; Baldassarre Lombardi, 1791), ma non solo del poema, si affrontano in ottica “moderna” i problemi della documentazione storica e dello studio dell’opera del grande Fiorentino. A Venezia, a Roma, a Firenze si formano cenacoli di studi danteschi; fra gli altri, soprattutto attivo quello di Verona, dove si costituisce una specie di “Società dantesca”, di cui furono animatori Scipione Maffei, Bartolomeo Perazzini, il canonico Giovan Jacopo Dionisi e tanti altri, che «proclama la necessità di correggere il testo delle opere di Dante a bene intenderne il significato» e «invita i letterati di tutta Italia a riunire le loro forze intorno a Dante» (M. Zamboni, La criti- dicembre 2015 – la Biblioteca di via Senato Milano ca dantesca a Verona nella seconda metà del secolo XVIII, Città di Castello, Lapi, 1901, p. 1). La risposta è corale, non solo in Italia, ma in Europa, e poi in America. In Inghilterra, dove già nel Seicento John Milton era stato ammiratore (e imitatore) di Dante, poi in Svizzera e in Francia, in Germania, in Russia, in America, grandi estimatori del poeta della Commedia furono Coleridge, Shelley, Byron, M.me de Staël e Sismonde de Sismondi, Dumas e Sainte-Beuve, così Goethe, Schelling, Schlegel, Hegel, e ancora Puškin, Gogol’, Turgenev, Longfellow, ecc. Ma è la diffusione dei temi danteschi nella grande pittura europea già dalla fine del Settecento che dà la misura della straordinaria popolarità raggiunta dall’opera sua: basti ricordare i nomi di Joshua Reynolds, William Blake, John Flaxman, William Dyce e poi Dante Gabriel Rossetti in Inghilterra, Ingres, Carpaux, Delacroix in Francia, Asmus Jacob Carstens in Germania, Ary Scheffer in Olanda, e tanti altri. Nello stesso tempo, accanto all’ammirazione per il poeta si afferma l’esigenza di un approfondimento critico della sua opera, partendo dal recupero dei testi, trasmessi con troppe incertezze e varianti di lezione dalla ricchissima tradizione manoscritta medievale e rinascimentale. Di qui, un fiorire di iniziative, che vede spesso studiosi stranieri all’avanguardia. In Germania il filologo Karl Witte, che aveva “scoperto” Dante durante un soggiorno romano nel 1820, dedicò la sua vita allo studio dell’opera dantesca e offrì nel 1862 il primo tentativo di edizione critica moderna della Divina Commedia, seguita nel 1865 da una traduzione integrale in tedesco; imitato dal re Giovanni di Sassonia (König Johann von Sachsen), grande ammiratore del poeta fiorentino, che a sua volta, sotto lo pseudonimo di Filalete, ne realizzò (tra il 1825 e il 1865 circa) una pregiata traduzione e un ampio commento che restano un contributo tra i più importanti della dantologia dell’Ottocento. In Svizzera il pastore protestante Giovanni Andrea Scartazzini pubblicò tra il 1874 e il 1882 La Divina Commedia riveduta nel testo e commentata, che nel commento rappresenta - con quello italiano di Niccolò Tommaseo (1837, 18542, 18653) - il maggiore sforzo esegetico sul poema del XIX secolo. In Inghilterra Edward Moore, rettore del St. Edmund College di Oxford, in lunghi anni di studio allestiva una edizione di Tutte le Opere di Dante che, pubblicata nel 1894, s’impose subito - dopo la serie delle edizioni ottocentesche - come la nuova edizione di rife- 23 rimento dell’opera dantesca (nota come Oxford Dante). Sono soltanto alcuni nomi di maggior spicco in un panorama estesissimo che accoglie non soltanto i più illustri letterati dell’Ottocento, ma personalità dell’aristocrazia e della politica, estimatori e spesso “cultori”, come allora si diceva, di Dante e della sua opera: dal ricordato re Giovanni di Sassonia alla regina madre Elisabetta di Prussia, alla regina Augusta di Prussia, alla granduchessa Sofia di Weimar, dal primo ministro inglese William Ewart Gladstone a - in Italia - Sidney Sonnino e la regina Margherita. Fin dalla metà del Settecento s’iniziano e poi si moltiplicano le traduzioni - oggi centinaia -, in tutte le lingue del mondo, della Divina Commedia e delle opere minori di Dante. Si costituiscono «Accademie» o «Società dantesche» mirate da un lato alla ricerca scientifica, dall’altro all’alta divulgazione: basti ricordare la Deutsche Dante-Gesellschaft (Dresda, 1865, che ridà vita a un Dante-Verein, Breslavia, 1825), la Oxford Dante Society (1876), la Dante Society of America (Cambridge, Mass., 1880), la Società Dantesca Italiana (Firenze, 1888) e la Casa di Dante in Roma (1914), ecc., fino alle Società dantesche Olande- 24 se (Utrecht, 1963, che rinnova un’iniziativa del 1874), Francese (Nizza, 1937), Argentina (Buenos Aires, 1951), Giapponese (Kyoto, 1951), ecc., alla recentissima Ungherese (Budapest, 2004). Società tuttora operative, che hanno dato contributi spesso importanti al progresso degli studi danteschi - edizioni di testi e studi critici, convegni, conferenze, mostre, ecc. -, più cospicue in coincidenza dei Centenari del 1865, 1921, 1965. Una data fondamentale nella storia degli studi danteschi del Novecento è il 1921, Sesto Centenario della morte di Dante, che vede la pubblicazione del volume Le Opere di Dante. Testo critico della Società Dantesca Italiana, curato da un’équipe di insigni studiosi sotto la direzione di Michele Barbi. Non era l’edizione critica che si attendeva - l’Edizione Nazionale delle Opere di Dante, per cui la Società era stata costituita nel 1888 -, ma era un contributo straordinario. Se la difficoltà oggettiva dell’impresa, in ragione della complessa tradizione dei testi, cui sopra si è accennato, aveva reso impossibile il conseguimento dell’obiettivo massimo, la realizzazione di quel volume - poi designato come l’«Edizione del Centenario» - segnò ugualmente una svolta: un volume non di grande mole (meno di mille pagine), privo di apparati filologici e di corredi scientifici (che furono promessi e poi non vennero), privo di commento, che tuttavia sul solo fondamento dell’autorità dei suoi curatori s’impose, in sostituzione della già benemerita edizione Moore (il ricordato Oxford Dante), come la nuova edizione di riferimento delle opere di Dante; tale restando sostanzialmente fino a oggi per i lettori di tutto il mondo. Solo la Commedia venne poi sostituita dall’edizione Petrocchi, realizzata in occasione del Centenario del 1965 e subito accettata come l’edizione più sicura, contro altre proposte, precedenti e successive; e poco dopo, il De vulgari eloquentia, sostituito dall’edizione Mengaldo (1968), che poté utilizzare un altro antico codice sfuggito all’editore del 1921. Mentre nuove edizioni di altre opere dantesche non hanno ottenuto il generale consenso che ha avuto l’edizione Petrocchi del poema. Questo, sommariamente riassunto, il quadro complessivo della situazione editoriale delle opere di Dante alle soglie del XXI secolo, che andrebbe integrato dal quadro dei tentativi di esegesi: tra i quali - a parte i molti commenti, pur spesso pregevoli, concepiti con primaria destinazione scolastica - si distinguono nel corso del XX secolo due iniziative: una Nuova Edizione migliorata nel te- la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2015 sto e largamente commentata delle Opere di Dante, promossa da Michele Barbi nel 1934 (Firenze, Le Monnier), ormai datata e comunque incompiuta, anche per la morte del promotore (1941); e una edizione con commento di tutte le Opere minori di Dante realizzata nella serie «Letteratura italiana. Storia e testi» della Casa editrice Ricciardi (Milano-Napoli 1978-1984), per molti versi preziosa, ancorché a sua volta datata e non ineccepibile. Ciò non toglie che la filologia e la critica dantesca abbiano fatto progressi enormi, nel corso del XX e agli inizi del XXI secolo, con proposte per altro a volte contrastanti, spesso non facilmente controllabili in una bibliografia ormai sconfinata. È stato rilevato che ogni anno vengono pubblicati nel mondo - a parte i giornali e i periodici non specialistici e a parte l’editoria scolastica - da 800 a 1500 libri, articoli, saggi, note critiche, recensioni che hanno a oggetto un tema dantesco. La difficoltà di reperire e di orientarsi in questo ‘mare magno’ di proposte critiche, di distinguere quelle più attendibili da altre che lo siano meno, è diventata un ostacolo oggettivo al progresso degli studi. Perciò, un “punto” sui risultati acquisiti, una riflessione riepilogativa su ciò che è maturato nel dibattito critico internazionale, la quale sia anche di orientamento per i lettori (più e) meno specializzati, è sembrato il contributo onorifico più utile e più degno al Settimo Centenario della morte di Dante: a cento anni da quel Sesto Centenario che produsse la prima edizione completa e affidabile delle Opere del sommo poeta. Di qui, nell’ambito dell’iniziativa dantesca del Centro Pio Rajna, il progetto di una «Nuova Edizione commentata delle Opere di Dante»: di cui le ragioni storiche, le problematiche scientifiche e le linee programmatiche di sviluppo sono state esposte in un saggio del sottoscritto, che ne segna un po’ il tracciato (E. M., Per una nuova edizione commentata delle opere di Dante, in «Rivista di studi danteschi», a. IV 2004, pp. 3-160, poi anche in vol., Roma, Salerno Editrice, 2004). Un progetto estremamente impegnativo, per certi aspetti addirittura (in apparenza) “temerario”, che ha trovato tuttavia occasione e motivo di definizione e di fattibilità nella ricorrenza dei Centenari danteschi, i quali hanno stimolato una concentrazione di attenzione e di interesse sul tema Dante e sulla problematica dantesca: il Settecentocinquantenario della nascita del Poeta (1265-2015) in prima battuta, e con esso il Settecentenario della morte, che segue di pochi anni (1321-2021). 26 Da questa congiuntura di dati storici e di eventi in scadenza, la plausibilità del disegno di celebrare i Centenari danteschi con commemorazioni, certo, cerimonie, onoranze di vario tipo - che sono state fatte e si faranno -, ma soprattutto con quello che Michele Barbi nel 1913 proponeva come «il più degno monumento a Dante» che si potesse immaginare per il Centenario del 1921. E quale monumento - si chiedeva - può essere «più conveniente a un poeta che raccogliere insieme le opere sulle quali si fonda e deve mantenersi la sua fama?» (M. B., Problemi di critica dantesca. Prima Serie, Firenze, Sansoni, 1934, p. 427). Un ‘monumento’ cartaceo, di carta stampata, non meno solido e durevole e solenne del ben noto oraziano «monumentum aere perennius», ‘più resistente al tempo del bronzo’ (Orazio, Carmina, III 30 1): una raccolta completa e ben curata di tutta l’opera dantesca. La prima idea era venuta alla metà del Trecento a Giovanni Boccaccio, che riuscì però solo in parte a realizzarla, con gli strumenti del tempo suo: copiando di proprio pugno, più volte, quasi tutte le opere del grande e amato concittadino (tre volte la Commedia), cui premise un suo Trattatello in laude di Dante, noto anche come Vita di Dante, variamento riscritto, rimasto come la prima e più la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2015 compiuta e ancora oggi preziosa biografia del nostro poeta (Barbi, op. cit., pp. 395 sgg.). La convergenza del Settecentocinquantenario della nascita con il Settecentenario della morte del Poeta, incardinati sul “fatidico” numero sette, era l’occasione buona. Quel progetto, più volte evocato e riproposto nel corso dei secoli, soprattutto gli ultimi, sempre irrealizzato, è oggi in via di realizzazione, presso la Salerno Editrice, a cura del Centro Pio Rajna, in collaborazione con la Casa di Dante in Roma, nel ricordato progetto della «Nuova Edizione commentata delle Opere di Dante (NECOD)». Il disegno è di offrire al lettore del XXI secolo una raccolta completa delle opere del poeta fiorentino, in un testo rigorosamente riveduto alla luce delle ultime conquiste della filologia dantesca e corredata di tutti gli strumenti interpretativi necessari a una lettura moderna di quelle: ampie introduzioni critiche che illustrino la storia, i contenuti, i valori dell’opera presentata; puntuali “Note al testo” che diano conto del testo che viene offerto; bibliografie essenziali ma non sommarie, per un orientamento verso ulteriori approfondimenti; ampi apparati di commento che aiutino il lettore - lo specialista come il meno esperto, purché non cursorio - a comprendere ogni aspetto del messaggio trasmesso dal poeta: il senso letterale, ovviamente, in primo luogo (perciò con traduzione lineare dei testi latini e dei rari passaggi in altre lingue, d’oc e d’oïl), e ogni altro degli elementi che a quel messaggio danno corpo, valori allegorici, riferimenti storici, riprese di “fonti” di qualunque tipo, comunicazioni teoriche e didascaliche. Il progetto è stato delineato nel penultimo decennio del secolo passato ed è mirato a concludersi, almeno nella sua parte fondamentale, entro il Settecentenario della morte del Poeta, nel 2021. Insieme all’edizione completa delle Opere di Dante (prevista in 8 volumi per 16 tomi complessivi, dei quali 4 pubblicati e 4 in corso di pubblicazione) è prevista un’ampia ricognizione di tutti i documenti e i contributi antichi e moderni utili a illuminare al meglio e nella forma più compiuta la figura e l’opera di Dante: iniziando da quel «Secolare Commento» alla Commedia che si è già segnalato come il più cospicuo apporto dei secoli alla conoscenza e all’approfondimento dell’opera dantesca, oggi disperso in centinaia di manoscritti e antiche stampe ai quattro angoli del mondo, dei quali è stata fatta una puntuale ricognizione, con registrazione documentale di ogni testimone, fino ai più disparati documenti relativi a Dante e alla sua famiglia, dicembre 2015 – la Biblioteca di via Senato Milano 27 Nella pagina accanto: Comedìa con figure dipinte: l’incunabolo veneziano del 1491 (di Pietro Piasi) nell’esemplare della Casa di Dante in Roma, con postille manoscritte e figure miniate di Antonio Grifo (c. 130r). A destra: Copertina del «Giornale del Centenario» (n. 46, 10 maggio 1865), pubblicazione ideata in occasione del VI centenario della nascita del Poeta e stampata dal febbraio 1864 al settembre 1865. Sotto: Ritratto di Dante, dal «Giornale del Centenario» (n. 47, 20 maggio 1865), foglio stampato in occasione del VI centenario della nascita del Poeta dal 1131 al 1350, individuati e recuperati negli archivi pubblici e privati di ogni parte d’Italia (e talvolta all’estero). Sono nati così - e sono oggi abbastanza avanzati - i progetti, collaterali alla NECOD, del Censimento dei Commenti danteschi (3 volumi in 4 tomi, tutti pubblicati) e della Edizione (diventata poi «Edizione Nazionale») dei Commenti danteschi (75 volumi in oltre 200 tomi, dei quali 33 pubblicati e 4 in corso di pubblicazione), cui si aggiungono riproduzioni in facsimile dei Commenti figurati alla Commedia (4 ad oggi pubblicate, una in corso di stampa) e altri contributi di ricerca storica e approfondimento esegetico: una nuova edizione interamente rifatta del Codice diplomatico dantesco, un’edizione sinottica de Le Vite di Dante dal XIV al XVI secolo (con appendice sulla Iconografia dantesca), una raccolta di Lecturae Dantis che “fa il punto” sull’esegesi della Commedia alla data del settecentocinquantenario dantesco («Lectura Dantis Romana», Cento canti per cento anni, 3 volumi in 6 tomi, tutti pubblicati), con altri contributi («Biblioteca storica dantesca», «La navicella dell’ingegno. Studi su Dante», varie pubblicazioni per circa un centinaio di volumi), nella scia della semestrale «Rivista di studi danteschi» (che, fondata nel 2001, esibisce oggi 30 volumi pubblicati). Uno sforzo di ricostruzione storica e critica, con il coinvolgimento di oltre un centinaio di studiosi, italiani e stranieri, giovani e meno giovani, sentito e vissuto come il più solenne atto d’omaggio a Dante, per i suoi Centenari, possibile nel XXI secolo. Un omaggio al quale - anche questo va detto - lo Stato italiano ha dato un decisivo contributo. L’«Edizione Nazionale dei Commenti danteschi», una delle imprese di più lungo respiro e maggior impegno, è un’edizione avallata dal Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo. Altre iniziative, sostenute da enti privati illuminati, sono realizzate sotto l’egida dello Stato: la «Nuova Edizione commentata delle Opere di Dante», il Censimento e con esso l’Edizione dei Commenti danteschi, i facsimili dei Commenti figurati vedono la luce sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica; in particolare la NECOD si fregia anche del Patrocinio della Presidenza del Consiglio dei Ministri e del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo. Potranno costituire, nel loro insieme, quel “monumento” che Barbi aveva auspicato agli inizi del secolo passato, aveva tentato di avviare nei decenni successivi, ma non aveva potuto portare a realizzazione. 28 la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2015 dicembre 2015 – la Biblioteca di via Senato Milano 29 SPECIALE DANTE ALIGHIERI LA COMMEDIA DI BONINO BONINI (1487) Un esemplare particolare nella Biblioteca di via Senato GIANCARLO PETRELLA L’ ultimo giorno di maggio dell’anno 1487, a primavera ormai inoltrata, nella tipografia bresciana di Bonino Bonini fu tirato un sospiro di sollievo. Si concludeva infatti, dopo mesi di complicato lavoro, l’impressione della Commedia dantesca avviata verisimilmente l’inverno precedente. Il titolare di bottega, il tipografo di origini dalmate Boninus Boninis, non poteva però esserne pienamente soddisfatto, nonostante il risultato fosse un aristocratico in folio di 310 carte (cioè, per chi ha dimestichezza di bibliologia, con fascicoli di quattro o tre fogli tipografici: &8 a-i8 k6 l-r8 aa-mm8 nn4 A6 B8 C-L6), impresso con due serie di romano (R111 per il testo, R81 per la glossa) e arricchito di un corpus iconografico di 68 silografie a piena pagina (la Biblioteca di via Senato ne conserva un esemplare con provenienza da una prestigiosa biblioteca ecclesiastica veneziana dispersa a fine Settecento). Il progetto iniziale prevedeva infatti che quella bresciana fosse la prima edizione interamente illustrata del poema dantesco. Sarebbe stata la risposta all’edizione fiorentina impressa sei Nella pagina accanto: Dante Alighieri, La Commedia, Brescia, Bonino Bonini, 31 maggio 1487, c. b8v (Inf. III) Sopra: Dante Alighieri, La Commedia, Firenze, Niccolò di Lorenzo, 1481, Inf. III. (doppia incisione a illustrare il canto III dell’Inferno) anni prima da Niccolò di Lorenzo nella quale solo i primi 19 canti dell’Inferno erano accompagnati da rami (mm 95 x 174) incisi dall’orefice Baccio Baldini, già collaboratore della tipografia di Niccolò di Lorenzo, su disegni attribuiti a Sandro Botticelli.1 Per ovviare alle difficoltà contro le quali si era arenata l’impresa fiorentina, Bonino Bonini poteva giocare la carta dell’esperienza nel campo del libro illustrato maturata negli anni veronesi.2 Decisiva fu la sostituzione delle dispendiose incisioni su metallo, che comportavano anche un delicato lavoro di assemblaggio dovendosi stampare in due momenti distinti rispetto al testo, con la più democratica tecnica silografica che, dal Bonini già ampiamente sperimentata durante i suoi anni di attività a Verona con la duplice edizione del Valturio illustrato da un centinaio di silografie,3 consentiva invece di limitare i costi e imprimere in un sol colpo testo e illustrazione. La soluzione adottata dal tipografo Bonino Bonini comportò pertanto il definitivo accantonamento dell’incisione su rame proposto dall’audace bottega fiorentina. Anche il nuovo progetto bresciano, forse troppo ottimistico, era però destinato a un parziale fallimento. Il Dante del Bonini (edizione ben nota, come si deduce anche dai frequenti, ma troppo spesso irrilevanti, passaggi in cataloghi di mostre e collezioni dantesche),4 esibisce infatti una silografia a piena pagina per ogni canto sino al I del Paradiso. Qui il pro- 30 la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2015 Da sinistra: Dante Alighieri, La Commedia, Brescia, Bonino Bonini, 31 maggio 1487, c. i5v (Inf. XIX): silografia originale del canto XIX (tràdita da un numero molto esiguo di esemplari). Nella maggior parte delle copie figura la silografia del canto XI modificata; Dante Alighieri, La Commedia, Brescia, Bonino Bonini, 31 maggio 1487, c. h1r (Inf. XI): silografia originale (I stato) prima che fosse riadattata per essere impiegata per il canto XIX getto illustrativo originario si arenò bruscamente. Segnale forse che il processo tipografico e iconografico non riuscirono a procedere concordemente o di più urgenti difficoltà economiche, come potrebbe suggerire l’adozione per l’ultima cantica di soluzioni di risparmio anche nella qualità della carta e nella stampa senza interruzione fra un canto e l’altro.5 Non sono poi da trascurare altre possibili distrazioni editoriali che, oltre a differire la conclusione del Dante, crearono probabilmente una certa confusione in tipografia. Mentre la stampa della Commedia era già in corso l’officina Bonini intraprese infatti la pubblicazione di un’edizione di Esopo corredata anch’essa di una settantina di silografie a piena pagina, benché di fattura palesemente più modesta di quelle dante- sche. Il colophon assicura che l’Esopo fu licenziato il 7 marzo dello stesso 1487, pertanto quando già si era sicuramente alle prese con la non facile edizione dantesca. Verisimilmente il Dante era sotto il torchio già a febbraio, quando il Bonini sottoscrisse una doppia edizione in folio (per complessive 152 carte) dell’Interpretatio in Vergilium con falsa attribuzione a Pomponio Leto. Ciò indubbiamente contribuì a creare una certa confusione in tipografia e nel corso di quei primi mesi del 1487 il lavoro di stampa del Dante dovette affrontare più di una difficoltà, costringendo spesso titolare e maestranze a escogitare soluzioni d’emergenza. La cronaca di quei mesi ha lasciato i suoi segni nell’edizione dantesca, da cui bisogna ora ripartire. Innanzitutto, se le silografie che dicembre 2015 – la Biblioteca di via Senato Milano 31 Da sinistra: Dante Alighieri, La Commedia, Brescia, Bonino Bonini, 31 maggio 1487, c. h1r (Inf. XI): II stato della silografia dopo le modifiche apportate per essere impiegata per il canto XIX; Dante Alighieri, La Commedia, Brescia, Bonino Bonini, 31 maggio 1487, c. i5v (Inf. XIX): silografia del canto XI accortamente modificata per sostituire la silografia originale del canto XIX non più utilizzabile adornano l’edizione sono dunque 68, in realtà le matrici sono solo 60. In otto canti si riscontrano infatti palesi ed eclatanti casi di riuso, evidenti segnali sia delle difficoltà incontrate dagli artisti cui era affidato il compito di tradurre il Poema in immagini sia della confusione che poteva insorgere in bottega nel governare e coordinare il lavoro di compositori, torcolieri e incisori. Nell’ordine, casi di riuso si ravvisano in Inf. XIX (c. i5v: riuso della matrice originale impiegata per il canto XI); Inf. XXVI (c. o6r: stesso legno già impiegato per illustrare il canto XXII a c. m7v); Purg. XVIII (c. gg7v: riuso della stessa silografia del canto XI); Purg. XIX (c. hh2v: riuso della silografia impiegata al canto XIV); Purg. XXVI (c. kk4v: stessa silografia che figura a c. bb3v per illustrare Purg. III); Purg. XXXI (c. mm3v: stessa silografia impiegata al canto precedente); Purg. XXXII (c. mm6v: riuso della silografia originale del canto XXIX); Purg. XXXIII (c. nn1v: addirittura terza occorrenza della stessa silografia originale del canto XXX impiegata anche nel canto XXXI). Rispetto al progetto illustrativo originario, è naturale che l’adozione di una stessa silografia in più occorrenze comporti un clamoroso stravolgimento del rapporto fra testo e immagine. Dalla frequenza dei casi riscontrati, sembra evidente che fu soprattutto negli ultimi canti del Purgatorio che si commise qualche errore, o in fase di progettazione del corpus iconografico o durante la composizione tipografica. La difficoltà nel rappresentare i riferimenti alla processione liturgica dei canti finali del 32 la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2015 Da sinistra. Dante Alighieri, La Commedia, Brescia, Bonino Bonini, 31 maggio 1487, c. c6v (Inf. IV): il castello degli spiriti magni; Dante Alighieri, La Commedia, Brescia, Bonino Bonini, 31 maggio 1487, c. e1v (Inf. VI): Dante, Virgilio, Cerbero Purgatorio e la materia teologica del Paradiso giustificano forse la necessità di ricorrere spesso a soluzioni d’emergenza, come l’impiego di altri legni poco o nulla attinenti, e infine l’interruzione del progetto illustrativo all’altezza del II canto del Paradiso. La silografia di Purg. XXIX (c. ll5r) rappresenta solo alcuni dettagli della processione liturgica cui assiste Dante nel Paradiso Terrestre in compagnia di Stazio e Matelda: un grifone traina verso un gruppo di anziani un carro trionfale accanto al quale sfilano tre donne da un lato e quattro dall’altro (XXIX 106150). Il particolare dell’albero su cui piomba un’aquila sembra invece a tutti gli effetti un’impropria anticipazione di un episodio del canto XXXII. Anche la silografia di Purg. XXX (c. ll8v), scandita da una serie di rapidissimi trapassi, appare una contaminazione di due canti successivi, come lasciano intendere alcuni particolari: Dante, per l’ultima volta in compagnia di Virgilio, dapprima incontra Beatrice, quindi è immerso da Matelda nel fiume Leté (episodio che riconduce però a Purg. XXXI 94-102) e infine condotto da due donne sull’altra sponda davanti al grifone e a Beatrice (ancora Purg. XXXI 103-126). La silografia di Purg. XXXII (c. mm6v), che raffigura solo alcuni dettagli della complessa processione mistica del carro trainato dal grifone, è la stessa già impiegata al canto XXIX. Rispetto però all’impiego fattone al canto XXIX, trova qui corretto riscontro testuale l’episodio dell’albero su cui piomba un’aquila (Purg. XXXII 109-117). Infine, all’altezza di Purg. XXXIII (c. nn1v), la terza occorrenza della silografia già impiegata ai canti XXX e XXXI è giustificabile dalla ripetitività di alcuni particolari figurativi: la presenza di Beatrice e l’immersione di Dante nel fiume Eunoé da parte di Matelda (Purg. XXXIII 127-145). 34 È probabile che i tempi della stampa mal si accordassero con quelli di esecuzione delle incisioni che, come sospetto, in alcuni momenti giunsero forse in tipografia a stampa già avviata o persino conclusa. Il caso dell’illustrazione del primo canto del Paradiso (c. nn4v) ha del clamoroso. La silografia, anziché introdurre visivamente il lettore alla terza cantica, risulta infatti clamorosamente priva di alcun legame col canto. Se attentamente interpretata sembra possa piuttosto trattarsi del legno progettato, ma poi non impiegato (!), per il canto XXXIII del Purgatorio: l’artista rappresenta infatti Dante e Matelda nel Paradiso Terrestre che ascoltano il salmo intonato dalle sette donne sotto lo sguardo attento di Beatrice (Purg. XXXIII 1-6); quindi, con rapidi trapassi, Dante da solo a fianco di Beatrice (XXXIII 22-24) e infine il Poeta condotto dalle sette donne fino al fiume Eunoé (XXXIII 106-114). L’ipotesi più plausibile è dunque che tale silografia sia stata terminata in ritardo rispetto all’inizio della stampa, costringendo così i compositori a ricorrere alla soluzione d’emergenza di cui si è detto, ossia il reimpiego del la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2015 legno di Purg. XXX. Non appena disponibile fu invece adottata, a questo punto però senza alcuno scrupolo di corrispondenza testuale, al canto successivo. Le ragioni di questo curioso fraintendimento iconografico non sono pienamente comprensibili. Rimane infatti non verificabile l’ipotesi che anche la silografia originale per il I canto del Paradiso sia stata terminata in ritardo rispetto all’inizio della tiratura del foglio nn4.5 e possa perciò essere stata impiegata solo in una porzione ristretta della tiratura. Nessuno degli esemplari superstiti esaminati di questa edizione (circa 90 dei 115 censiti) presenta infatti la presunta silografia corretta a c. nn4v. Proprio l’analisi sistematica di una novantina di esemplari, conservati in biblioteche italiane, europee e d’Oltreoceano, consente di svelare altri retroscena. È dimostrabile che qualcosa di simile successe anche all’altezza di Purgatorio XX (c. hh5v). Qui fu impiegata a sproposito la silografia originale (che dunque fu incisa ed era perciò a disposizione in tipografia) progettata per il canto precedente (Purg. XIX: c. hh2v), dove fu invece reimpiegata la silografia del dicembre 2015 – la Biblioteca di via Senato Milano 35 Sopra: Dante Alighieri, La Commedia, Brescia, Bonino Bonini, 31 maggio 1487, cc. a1v-a2r (Inf. I): incipit dell’Inferno in superbo esemplare con miniatura coeva. Nella pagina accanto in alto: Dante Alighieri, La Commedia, Brescia, Bonino Bonini, 31 maggio 1487, c. k5v (Inf. XVII): Dante, i tre usurai, Gerione. In basso da sinistra: Dante Alighieri, La Commedia, Brescia, Bonino Bonini, 31 maggio 1487, c. f3v (Inf. VIII): Dante,Virgilio, Flegiàs di fronte alla città di Dite; Dante Alighieri, La Commedia, Brescia, Bonino Bonini, 31 maggio 1487, c. a1v (Inf. I); Dante Alighieri, La Commedia, Brescia, Bonino Bonini, 31 maggio 1487, c. m4v (Inf. XXI): silografia solo abbozzata o lavoro di maestranze che raffigura la bolgia dei barattieri canto XIV, col risultato di alterare il corretto rapporto testo/immagine in due canti consecutivi. All’altezza della prima cantica si riscontra persino un caso di matrice non finita ma frettolosamente inserita nella forma tipografica forse per non dilatare oltre i ritmi di stampa. La silografia di Inferno XXI (c. m4v) è di qualità talmente inferiore alle precedenti da lasciar supporre fosse solo abbozzata. La narrazione è per certi versi solo intuibile, dal momento che mancano parecchi particolari. Sembrano però intravedersi le seguenti scene: Dante e Virgilio osservano dal ponte della quinta bolgia la punizione dei barattieri; un diavolo porta un dannato sulle spalle, mentre un altro viene uncinato nella pece bollente (XXI 28-63); Dante si ripara dietro una sporgenza mentre Virgilio parlamenta con Malacoda (XXI 58-117). Un caso limite, finora pressoché sconosciuto, è rappresentato da Inf. XIX. La quasi totalità degli esemplari superstiti presenta infatti a c. l5v la stessa matrice di Inf. XI appositamente riadattata con l’eliminazione del riferimento esplicito al canto XI (l’epigrafe di papa Anastasio incisa sulla lastra tombale) e l’apertura al centro di un foro quadrato nel quale incastrare un piccolo legno raffigurante uno di «que’ che son nel mio bel San Giovanni / fatti per loco d’i battezzatori» da cui fuoriescono le gambe del peccatore, inequivocabile allusione figurativa all’episodio più rappresentativo del canto XIX, ossia il batti- 36 Dante Alighieri, La Commedia, Brescia, Bonino Bonini, 31 maggio 1487, c. ff6r (Purg. XV): silografia di modesta qualità, opera di artista meno dotato o di un garzone di bottega becco con papa Niccolò III. L’escamotage, come si intuisce, fu una soluzione d’emergenza adottata in tipografia in un secondo momento per proseguire nella tiratura dei fogli rimanenti dopo che la silografia originaria di Inf. XIX era stata resa inutilizzabile da qualche accidente. Un pugno di sparuti esemplari (13 sui 115 registrati da ISTC, cui se ne può aggiungere uno in collezione privata)6 trasmettono fortunatamente il I stato del foglio. L’artista bresciano raffigura, con tratto sottile privo di ogni accenno di tratteggio diagonale e di ombreggiatura, Dante e Virgilio che camminano lungo l’argine e si affacciano per vedere il fondo della bolgia sottostante pieno di fori dai quali fuoriescono le gambe dei simoniaci confitti a capo in giù. Gli accidenti in tipografia non finivano mai. Il caso volle che quando la silografia originaria di Inf. XI era già stata ri- la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2015 maneggiata per sostituire quella di Inf. XIX, fosse necessario ristampare il foglio tipografico che la conteneva (c. h1.8). Nel frattempo però la silografia già impiegata al canto XI, e perciò ipoteticamente non più necessaria, aveva subìto un irreversibile intervento per adattarla meglio al contenuto del canto XIX, ‘il canto dei simoniaci’. Come detto, per ragioni di coerenza iconografica, al momento del riuso si era reso necessario raschiare l’epigrafe ANASTASIO PAPA GUARDO incisa sulla lastra tombale (per evitare al lettore la sgradevole sensazione di déjà vu) e aprire il foro al centro in cui inserire una piccola matrice raffigurante papa Niccolò III conficcato a testa in giù (Inf. XIX 13-57). Dovendo ora reimpiegare (a questo punto per la terza volta) la silografia di Inf. XI, in officina si ricorse, con ammirevole pragmatismo e una buona dose di creatività artigianale, all’inserimento nel foro aperto al centro della scritta a caratteri tipografici ANASTASIO PAPA GVARDO (Inf. XI 8) nel frattempo irrimediabilmente erasa dalla lastra tombale. Cronologicamente l’operazione avvenne pertanto quando la stampa della Commedia era giunta almeno all’altezza del canto XIX dell’Inferno e forse anche oltre. A stampa però ancora in corso. Il corpus silografico, sebbene da ritenersi governato da un’unica regia, è riconducibile a diversi artisti operanti nella stessa bottega, ma dotati di sensibilità e capacità ben distinguibili. Le prime silografie (Inf. I-VIII), caratterizzate da ampie ambientazioni paesistiche e pungente espressività delle pene e dei dannati, paiono assegnabili a due artisti: il primo, identificabile come il Maestro A, è autore di Inf. I-IV; il secondo, il Maestro B, di Inf. V-VII. Li accomuna la componente di fondo genericamente mantegnesca, che rimanda a una sorta di koinè che riguarda l’area padana, condivisa in particolare da altri artisti coevi attivi a Brescia quali il giovane Butinone, Caylina il Vecchio e Antonio Cicognara. Essa si esprime in questo caso nelle profondità prospettiche delle composizioni, nella definizione proporzionale e risalto volumetrico dei personaggi, nell’insistenza grafica della resa fisionomica come si trattasse di scultura, guardando ai dettagli anche nel trattamento del terreno in primo piano con fenditure ma popolato di piante. Di tutt’altro tenore risulta la resa del terreno in altri legni, nei quali si riscontra una netta semplificazione dei motivi precedenti. Tali casi si alternano a una più generica qualificazione per rade linee sovrapposte per lo più in orizzontale, per cui si dicembre 2015 – la Biblioteca di via Senato Milano esclude ogni cordonatura rocciosa del gradino in primo piano. Il Maestro A è ben riconoscibile nell’efficacissima silografia di Inf. I a motivo della soluzione cifrata dei panneggi delle vesti di Dante e Virgilio e per l’accuratezza dei tratti fisionomici che consentono di enfatizzare le linee d’espressione (a esempio le rughe di Dante) e di rendere nei dettagli la folta barba e capigliatura di Virgilio. Identici dettagli e in generale una maggiore sommarietà inducono ad attribuirgli anche le successive tre silografie (Inf. I-IV), mentre da Inferno V questo artista sembra passare la mano al Maestro B, cui è possibile ricondurre i legni di Inf. V-VII. Depone a vantaggio della distinzione di due artisti non solo l’aspetto qualitativo e di cura dei dettagli, ma anche alcune difformità figurative, a esempio la mutata foggia del copricapo di Virgilio e la sua veste che si impreziosisce di una foderatura e cappa di vaio nelle silografie di Inf. V-VII. Inoltre, il Maestro A si caratterizza per una narrazione più scandita, l’altro per una concitazione dei movimenti e una carica espressiva più accentuata nella resa anatomica e fisionomica dei personaggi, come ben si mostra nei corpi nudi degli avari e prodighi proni a terra di Inf. VII. All’altezza di Inf. VIII è ragionevole supporre l’emergere di una personalità artistica ancora diversa, che più avanti lascia spazio ad altri artisti ancora meno dotati per capacità esecutive, che incidono legni di qualità assai debole, e all’occorrenza anche ai modestissimi garzoni impegnati in Inf. XXII, Inf. XXIX e in tanti legni del Purgatorio. Quest’alternanza di artisti con soluzioni differenti da un canto all’altro (a esempio non paiono assegnabili allo stesso artista i legni consecutivi di Purg. II e Purg III, o anche Purg. IX e Purg XI) conferma la necessità del Bonini di parcellizzare il lavoro di incisione per ragioni di tempistica con risultati talvolta assai difformi e ben riscontrabili anche in canti ravvicinati. Fin dove possibile, ossia per Inferno I-XX, gli artisti bresciani ebbero certamente come modello le incisioni realizzate da Baccio Baldini per l’edizione del 1481. Ciò dimostra, in modo inequivocabile, il rapporto diretto fra il Dante bresciano e l’unico precedente a stampa, il cui progetto iconografico, clamorosamente fallito già all’altezza di Inf. XXI per le difficoltà tecniche, oltre che economiche, connesse con la stampa delle incisioni su metallo, il Bonini volle perciò esplicitamente riprendere. L’exemplar fiorentino fornì il cartone preparatorio per parecchie delle prime diciannove silografie bresciane, pur con apprezzabili autonome divaga- 37 Dante Alighieri, La Commedia, Brescia, Bonino Bonini, 31 maggio 1487, c. nn4v (Par. I): silografia progettata per l’ultimo canto del Purgatorio e impiegata a sproposito per il I del Paradiso zioni. Se i legni di Inferno I e II paiono una chiara traduzione speculare dello schema narrativo delle incisioni fiorentine (Dante ripetuto tre volte nella selva di Inf. I dapprima sonnolento, poi nell’atto di ripararsi dalla luce che filtra, infine spaventato dalle tre fiere; nel legno successivo Dante e Virgilio ripetuti due volte con la presenza di Beatrice avvolta da raggi luminosi su una nuvoletta e uno scorcio dell’entrata dell’Ade), la silografia del canto III lascia invece intravedere modelli fin qui insospettati. Sembra che l’edizione Firenze 1481 prevedesse addirittura due versioni dell’incisione per questo canto, come confessa l’esemplare della Bayerische Staadtbibliothek di Monaco che le conserva entrambe alla stessa pagina. Ad andamento orizzontale (la prima da leggersi da sinistra a destra, la seconda da destra a sinistra) paiono due varia- 38 Sopra e accanto: Dante Alighieri, La Commedia, Brescia, Bonino Bonini, 31 maggio 1487, interventi manoscritti nei cartigli delle silografie di Inf. IIIII in alcuni esemplari. Sopra a destra: Andrea Mantegna (attribuito), Cristo al Limbo, c. 1475-80, bulino zioni sullo stesso tema: raffigurano Dante e Virgilio, ripetuti tre volte frontalmente, che attraversano la porta dell’Ade, sul cui stipite si legge l’incipit dell’epigrafe minacciosa, e assistono al tumulto degli ignavi che si accalcano dietro un’insegna e alla ressa delle anime sulle sponde dell’Acheronte in attesa di essere traghettate da Caronte. Nella prima incisione Dante compare anche una quarta volta, nell’angolo a destra, chino a terra, con evidente allusione a Inf. III 136 («e caddi come l’uom cui sonno piglia»). Nessuna di queste incisioni può essere il modello per la silografia bresciana che, ad andamento verticale, è invece interamente occupata dalla maestosa volta della porta dell’Ade e dai due Poeti, colti di spalle nell’atto di attraversarla. Dante e Virgilio sono poi ripetuti all’interno, varcata la soglia, in dimensioni ridotte la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2015 con coerenza prospettica, di fronte a una massa indistinta di esili figurine calve che si accalcano sulle sponde dell’Acheronte in attesa del nocchiero Caronte. Sembra qui cogliersi la reminiscenza, se non addirittura una palese citazione, del fortunato bulino mantegnesco del Cristo al Limbo nell’ambientazione architettonica dell’arco con i conci fratturati e nell’innovativa disposizione di spalle dei protagonisti. Altrettanto può dirsi per il consueto proscenio geologico e per la resa delle stratificazioni geologiche, anch’esso spia dell’interesse mantegnesco di quest’artista, in qualche misura aggiornato alla cultura figurativa dei primi anni Ottanta. Anche il mostruoso diavolo volante che inforca un peccatore nel sabbione infuocato della silografia di Inf. XVII (c. k5v) sembra imparentato coi rumorosi mostri volanti che occupano la parte superiore del citato Cristo al Limbo, mentre in mastro Adamo deformato dall’idropisia colto nell’atto di sferrare un pugno a Sinone troiano (Inf. XXX: c. q3r) agisce forse il ricordo del sileno obeso al centro del Baccanale con sileno di Mantegna. dicembre 2015 – la Biblioteca di via Senato Milano Nel Dante del Bonini è evidente un improvviso scarto qualitativo fra le prime 19 silografie dell’Inferno, per le quali ci si appoggiava alle incisioni fiorentine, e le successive. L’impressione è che il venir meno dei cartoni preparatori, per così dire, offerti dal Dante 1481 abbia creato inaspettate difficoltà esecutive agli artisti bresciani, costretti a progettare ex novo i disegni e tradurre visivamente il Poema dantesco. A questo punto può non essere casuale che proprio la silografia progettata per Inf. XXI (c. m4v) sia rimasta abbozzata e quella per Inf. XXII insolitamente lacunosa. Nella prima la narrazione è solo intuibile per la mancanza di parecchi particolari: sono appena delineati il paesaggio alle spalle dei due Poeti, l’intera scena centrale della bolgia dei barattieri con tre diavoli e la figura di Virgilio che probabilmente avrebbe dovuto essere rappresentato mentre parlamenta con Malacoda. La silografia successiva (Inf. XXII, c. m7v), pur finita, è già del tipo che si incontra assai di frequente negli ultimi canti dell’Inferno e quasi costantemente nel Purgatorio: i peccatori sono ridotti ad anonimi manichini privi di ogni dettaglio anatomico e fisionomico, così come non resta traccia della definizione dei panneggi delle vesti e della resa espressiva dei due Poeti caratteristica delle prime silografie assegnabili a due artisti di maggior spessore. Al contrario, i legni di Inf. XXV (c. o2v) e Inf. XXVIII (c. p2r), pur scolastici, tradiscono nella sovrabbondanza figurativa un innegabile sforzo di fedeltà testuale. Alludo ai dettagli di crudo realismo di Inf. XXVIII: Maometto squartato dalla gola al basso ventre da cui fuoriescono le interiora (XXVIII 22-31); Mosca dei Lamberti NOTE 1 DANTE ALIGHIERI, La Divina Commedia; illustrazioni di Sandro Botticelli; prefazione a la Divina Commedia di J. RISSET; presentazione e commenti ai disegni di Botticelli di P. DREYER, Parigi, Diane de Selliers, 1996; i saggi raccolti in Sandro Botticelli pittore della ‘Divina Commedia’, Roma, Scuderie Papali al Quirinale, 20 settembre – 3 dicembre 2000, Catalogo della Mostra a cura di S. GENTILE, 2 voll., Milano, Skira, 2000; C. LANDINO, Comento sopra la Comedia, a cura di P. PROCACCIOLI, Roma, Salerno editrice, 2001, I, pp. 126-193. 2 Sul Bonini, in mancanza di un più robusto studio a lui dedicato, si veda qui almeno, L. 39 con le mani mozzate (XXVIII 103-111); Pietro da Medicina con la gola tagliata colto nell’atto di profetizzare, con le mani aperte, il tradimento ai danni dei due nobili fanesi (XXVIII 64-90) e nuovamente Pietro da Medicina che spalanca la bocca di Curione cui è stata tagliata la lingua (XXVIII 94-102); infine, Bertrand de Born che solleva con la mano la propria testa tagliata (XXVIII 118-141). A un’artista diverso, incline ai dettagli e che fa ampio ricorso al tratteggio chiaroscurale, sono da attribuirsi, oltre alla silografia di Inf. XXIV (c. n6r), le ultime della prima cantica (tra cui quella di Inf. XXX dominata dalla caricaturale figura di mastro Adamo in primo piano deformato dall’idropisia) e le prime del Purgatorio. Ancora sua è probabilmente la figura di Lucia con lunga veste cinta al seno e capelli raccolti in una raffinata acconciatura che si accosta a Dante meditabondo nella silografia di Purg. IX (c. dd5r). Poi dovette cedere il passo a qualche modesto garzone di bottega che proseguì, con poche idee e troppa fretta, il corpus iconografico, lasciando forse qualche legno persino non finito (così parrebbero le silografie di Purg. XV, Purg. XVI, Purg. XXV). Nelle prime quattro silografie (Inf. I-IV), forse in accordo col Bonini, l’acquirente era invitato a inserire il nome dei personaggi raffigurati in appositi cartigli lasciati vuoti. Si tratta di un interessante episodio del rapporto di convivenza fra libro a stampa e manoscritto nei primi decenni della stampa. Nella prima silografia il lettore era chiamato non solo a completare l’illustrazione col nome dei due Poeti (quello di Dante da ripetersi addirittura tre volte in corrispondenza delle tre raffigurazioni ravvici- DONATI, Tipografi e incisori, in Storia di Brescia, III, La dominazione veneta 1576-1797, Brescia, Morcelliana, 1964, pp. 701-721: 711-713; la voce di A. CIONI, in Dizionario Biografico degli Italiani, XII, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1970, pp. 215-219; P. VENEZIANI, La tipografia a Brescia nel XV secolo, Firenze, Olschki, 1986, pp. 76-78. 3 ROBERTUS VALTURIUS, De re militari, Verona, Bonino Bonini, 13 febbraio 1483 (BMC VII, p. 952; ISTC iv00089000); ROBERTUS VALTURIUS, Opera dell’arte militare, tr. Paolo Ramusio, Verona, Bonino Bonini, 17 febbraio 1483 (BMC VII, p. 952; ISTC iv00090000). 4 Oltre ai classici P. COLOMB DE BATINES, Bi- bliografia Dantesca, Prato, Tipografia Aldina Editrice, 1895, I, pp. 49-52; G. MAMBELLI, Gli annali delle edizioni dantesche, n° 12; M. SANDER, Le livre à figures italien depuis 1467 jusqu’à 1530, Milan, Hoepli, 1942, n° 2312; IV, pp. LXLXII: LXI, si vedano le relative schede anche in Pagine di Dante. Le edizioni della ‘Divina Commedia’ dal torchio al computer. Catalogo della mostra Foligno, 11 marzo – 28 maggio 1989, Ravenna, 8 luglio – 16 ottobre 1989, Firenze 1990, a cura di ROBERTO RUSCONI, Milano-Perugia, Electa-Editori Umbri Associati, 1989 pp. 137-138; C. LANDINO, Comento sopra la Comedia, a cura di P. PROCACCIOLI, pp. 174-175; e nei recenti Dante poeta e italiano legato con 40 la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2015 nate), ma anche a esercitare un più attento sforzo di comprensione del testo e dell’immagine riconoscendo le tre fiere e inserendo per ognuna il nome corretto al luogo opportuno. Nelle due silografie successive, ai consueti cartigli in corrispondenza di Dante e Virgilio, si aggiungono il cartiglio riservato a Beatrice (Inf. II 52-114) e quello (anticipato già nello scorcio della silografia di Inf. II e poi più correttamente in Inf. III) destinato a ospitare la minacciosa iscrizione sulla porta dell’Ade (Inf. III 1-21). Nella silografia di Inf. IV al lettore era infine riservato un autentico gioco enigmistico consistente nell’identificare correttamente una decina di personaggi maschili e femminili che affollano il castello degli spiriti magni. È altrettanto curioso che l’invito a completare il libro a stampa non prosegua però oltre la quarta silografia. Già in Inf. V non resta traccia dei cartigli in bianco né fu adottata la soluzione, che sarà invece piuttosto usuale a partire dalle edizioni della Commedia veneziane del 1491, di corredare le matrici dei nomi dei personaggi, privando però così l’acquirente di ogni residuo margine di intervento sulla propria copia. Come reagirono gli acquirenti all’invito a completare le figure? Casi isolati, ma di estremo interesse sul fronte della storia dei singoli esemplari, sono le iscrizioni vergate sulla volta della porta dell’Ade, e non nel troppo angusto cartiglio soprastante (Inf. III, c.b8v) proprio nella amore in un volume. Mostra di manoscritti e stampe antiche della raccolta di Livio Ambrogio, Roma, Palazzo Incontro, 21 giugno – 31 luglio 2011, Roma, Salerno editrice, 2011, n° 26; Censimento dei commenti danteschi. 3. Le «Lecturae Dantis» e le edizioni delle opere di Dante dal 1472 al 2000, a cura di CIRO PERNA – TERESA NOCITA, Roma, Salerno ed., 2012, p. 367. Il corpus silografico del Dante bresciano è interamente riprodotto e descritto in G. PETRELLA, Dante Alighieri, Commedia, Brescia, Bonino Bonini, 1487. Repertorio iconografico delle silografie, Milano, Edizioni CUSL, 2012 (liberamente accessibile e scaricabile in formato pdf alla pagina web http://creleb.unicatt.it). 5 Le prime due cantiche risultano stampate con carta di buona qualità prevalentemente del tipo con filigrana ‘cerchio sormontato da croce con doppio braccio’ o all’occorrenza copia della Biblioteca di via Senato («Lassate ogni speranza o voi ch’entrate») e in quella della Biblioteca di Treviso e della Staatsbibliothek di Berlino,7 mentre nell’esemplare della Biblioteca Comunale di Savona fu più semplicemente aggiunta l’indicazione manoscritta «Porta Inferi».8 Nell’esemplare della Biblioteca Forteguerriana di Pistoia una mano coeva non solo inserì per esteso, o in forma abbreviata, in inchiostro rosso i nomi nei cartigli delle silografie Inf. II-IV (probabilmente anche nella prima, ma la copia è mutila proprio di c. a1), ma proseguì anche nelle quattro silografie successive (Inf. V-VIII) che pure non presentano cartigli a stampa destinati ad accogliere l’intervento manoscritto dei lettori.9 Compì lo sforzo maggiore alla silografia di Inf. IV cimentandosi con l’ardua identificazione suggerita dall’incisore: non soltanto i Poeti a sinistra, che sembra creassero meno problemi (inserisce correttamente «lucano horatio homero ouidio»), ma anche, fra i personaggi nel castello, la coppia «re latino [la]vinia»; «ipocrate» nella figura solitaria a sinistra con turbante orientaleggiante forse piuttosto da identificarsi con Saladino (Inf. IV 129); probabilmente «lucrecia mar[zia] corn[iglia]» (Inf. IV 128), nei tre cartigli che sovrastano la massa di figure maschili e femminili al centro; infine solo «aueroè» nel gruppo dei filosofi barbuti a destra, lasciando vuoti un paio di altri cartigli. Segnale che c’era chi stava al gioco lanciato da Bonino Bonini! ‘balestra’. Nella terza cantica si riscontra invece l’impiego di carta di qualità inferiore priva di filigrana (per un profilo dell’edizione e l’analisi delle varianti riscontrate negli esemplari superstiti rinvio a G. PETRELLA, Dante in tipografia. Errori, omissioni e varianti nell’edizione Brescia, Bonino Bonini, 1487, «La Bibliofilia», 115, 2013, pp. 167-195; G. PETRELLA, Iconografia dantesca ed elementi paratestuali nell’edizione della Commedia Brescia, Bonino Bonini, 1487, «Paratesto», X, 2013, pp. 9-36). 6 Si è individuato il foglio l4.5 nel I stato originale negli esemplari: Bergamo, Biblioteca Civica Angelo Mai, Inc. 4 25; Milano, Biblioteca Nazionale Braidense, Castiglioni 19; Milano, Biblioteca Nazionale Braidense, AI XIV 27; Torino, Biblioteca Nazionale, XV II 39; Torino, Collezione privata Livio Ambrogio, II copia con legatura in mezza pergamena; Udine, Biblio- teca Comunale Joppi, Thes. II. 139- inv. 16891; Liège, Université de Liège, XV.A33; Madrid, Biblioteca Nacional de España, Inc. 776; Oxford, Bodleian Library, Bodley Auct. 2Q 4.11; Cambridge (MA, USA), Harvard College Library, Houghton Library, Hollis 002372943; Montreal, McGill University Library, Incunabula Dante 1487; New York, Morgan Library, PML 18151; London (Ontario), University of Western Ontario, King’s University College, SMC D6.08; Stanford (CA, USA), Stanford University Library, Rare Book Collection KA1487 .D36 F CB. 7 Milano, Biblioteca di via Senato; Treviso, Biblioteca Comunale, n. 13349 – Cass. C ex S.3.98.i; Berlin, Staatsbibliothek, 2° Inc 2812. 8 Savona, Biblioteca Comunale, Inc. 44. 9 Pistoia, Biblioteca Forteguerriana, Inc. 33 (mutilo della prima carta). SCOPRI SU BELLISSIMA.COM IL NUOVO MONDO DI 42 la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2015 dicembre 2015 – la Biblioteca di via Senato Milano 43 SPECIALE DANTE ALIGHIERI UN COMMENTATORE DELL’OPERA DI DANTE Sulle tracce di Benvenuto da Imola ANTONIO CASTRONUOVO N on possediamo l’autografo della Divina Commedia, che conosciamo mediante le copie manoscritte realizzate dopo la scomparsa di Dante. Anche di uno dei grandi commenti al poema dantesco, quello di Benvenuto Rambaldi da Imola, non abbiamo l’autografo, andato perduto, anche se nessuno può dire “inesorabilmente”: l’Italia è piena di carte, di grandi archivi inesplorati e di cassapanche dimenticate in soffitta. Prima o poi potrebbe anche emergere dall’ombra qualcosa di rilevante e inatteso. Benvenuto era nato a Imola attorno al 1330; dopo gli studi in città, lo ritroviamo a Bologna, all’epoca centro culturalmente assai vivace e aperto alle sollecitazioni pre-umanistiche, dove praticava tra i muri della propria casa la professione di magister, di lettore e interprete di classici. È riconducibile agli anni bolognesi un’ampia lettura “critica” del poema dantesco, attuata lungo le serie di lezioni che Benvenuto teneva ai suoi allievi. Diligente e attento, uno di loro annotò le lezioni in un bel fascio di carte che finirono per Sopra: Frontespizio del volume dedicato al Paradiso della traduzione del Comentum di Tamburini, Imola, Galeati, 1856. Nella pagina accanto: Frontespizio della traduzione italiana manoscritta del Comentum attuata da Giovanni Tamburini costituire il codice Lectura Dantis Bononiensis, oggi conservato a Torino (e di imminente pubblicazione critica, a cura di Paolo Pasquino, presso l’editore Longo di Ravenna). Bene: queste letture costituiscono il magma intellettuale da cui prese poi vita il grande Comentum super Dantis Aldighieri Comœdiam, opera che nacque gradualmente, concrescendo su stessa mediante progressive aggiunte e correzioni. Per non chiari motivi di contrasto con l’ambiente dei letterati felsinei, Benvenuto fu indotto dopo il 1375 a trasferirsi a Ferrara, dove di certo dimorava nel 1377. Grazie all’ospitale accoglienza di Niccolò II d’Este pose mano alla stesura definitiva del commento dantesco, che portò a termine verso il 1383. Il grande manoscritto era redatto in un latino volgare che, per essere la lingua parlata dell’insegnamento, ci appare oggi agile e popolaresco, di straordinaria efficacia espositiva. Benvenuto morì a Ferrara non oltre il 1388. Il posto di rilievo che occupa tra i commentatori trecenteschi della Commedia sorge dallo spirito di libera osservazione critica, tale per cui Benvenuto, sempre attento alla tradizione esegetica, non l’accolse pedissequamente, confutandola invece spesso. Tuttavia, non è solo la posizione esegetica a fare di lui, nel tardo Trecento, una figura di novità: vi concorre anche lo stile retorico-letterario. L’accurata analisi di Benvenuto è 44 infatti stemperata in un largo flusso di carattere novellistico, arricchita di ricordi e facezie, lungo una scrittura capace di miscelare realismo e umorismo. Tutto ciò fa del suo Comentum un’opera al tempo stesso dotta e gradevole, della quale cantano le lodi due dantisti del calibro di Sapegno e Momigliano. E tutto questo in un Benvenuto che, pur già distante dall’orizzonte ancora medievale di Dante, ne accoglie ed esalta l’alto magistero di poesia, celebrandone la laudatio. Questa sua personalità di interprete e di creatore, di esegeta e artefice, fece sì che i lettori che per primi ebbero per mano il suo grande commento ne gioissero, come accade a noi moderni. Il che depone per la modernità stessa del spirito critico di Benvenuto, capace di collegare la sua epoca al gusto della nostra. Forse per il suo stile scorrevole e per il ricco patrimonio di riferimenti, il Comentum fu presto giudicato di grande rilievo e molti furono i signori che ne vollero possedere copia manoscritta, pagando appositamente un amanuense per procurarsela. Ne deriva che dell’opera esiste un buon numero di codici residui. Una lo- la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2015 ro prima mappa fu redatta più di cent’anni orsono da Luigi Rossi-Casè, autore della monografia Di maestro Benvenuto da Imola, commentatore di Dante (Pergola, Gasperini, 1889). La mappa è stata poi integrata da Marcella Roddewig nel lungo saggio Per la tradizione manoscritta dei commenti danteschi: Benvenuto da Imola e Giovanni da Serravalle (accolto negli atti del convegno Benvenuto da Imola lettore degli antichi e dei moderni, Ravenna, Longo, 1991). Infine, l’elenco dei codici è riproposto (parzialmente) dal bellissimo saggio che Franco Quartieri ha dedicato a Benvenuto da Imola: un moderno antico commentatore di Dante (Ravenna, Longo, 2001). La settantina di codici oggi noti è costituita in parte da commenti integrali, che vertono cioè su tutt’e tre le cantiche del poema dantesco, in parte è limitata a una sola di esse. L’elenco dei codici sarebbe qui ridondante, ma vale citare i sei principali, quelli completi. Il più antico risale al 1395 ed è conservato alla Biblioteca Nazionale di Parigi; gli altri furono stilati nei primi decenni del Quattrocento: il più famoso (del 1408) è custodito dalla Biblioteca Estense di Modena, gli altri so- dicembre 2015 – la Biblioteca di via Senato Milano 45 Nella pagina accanto: due carte del codice imolese dell’Inferno dantesco incorniciato dal Comentum di Benvenuto da Imola. A destra: pagina dell’apografo imolese, copia manoscritta del Comentum super Dantis Aldighieri Comœdiam conservato presso la Biblioteca Estense di Modena no sparsi tra Medicea-Laurenziana di Firenze, Marciana di Venezia e Vaticana di Roma. Ora, sia la Roddewig sia Quartieri indicano l’esistenza nella città natale di Benvenuto di un codice parziale di commento dell’Inferno. Oltre a ciò, viene anche spontaneo chiedersi se e come Imola abbia coltivato un efficace ricordo del proprio figlio. Doverosa dunque una sosta negli archivi della città, dove il codice davvero esiste e risale all’inizio del Quattrocento. A prima vista, per le convenzionali dimensioni di cm 30 x 21 e per la legatura moderna in pelle rossa con cordoni dorati al dorso, sembra di maneggiare un codice di ortodossa concezione, che il successivo lavoro degli uomini ha salvato dall’incuria. Ma che sia codice eterodosso risalta bene alla prima visione: non è infatti una vera copia del Comentum, quanto una sua apposizione attorno alle terzine in centro pagina di un manoscritto dell’Inferno. Oltretutto, il commento appare solo parzialmente: delle 264 carte di cui consta il codice, solo le prime 32 sono incorniciate dal commento, che circonda soltanto i canti I-XIV dell’Inferno. A salvare l’ortodossia della tradizione interviene la conformità del testo a quello del codice estense. Le carte commentate sono comunque di grande bellezza: lo sguardo non finisce di gioire perdendosi nella selva dei caratteri del commento, per poi sostare sulle centrali terzine dantesche. La scrittura del commento proviene dalla mano di un solo copista ed è in stile semigotico; stile usato anche per le terzine dei canti, i cui titoli sono redatti in inchiostro rosso, come anche la loro rima iniziale; la prima lettera di ogni terzina è maiuscola e resa ben evidente da un tocco di giallo. Avere per mano questi codici resta sempre una gran bella esperienza di educazione alla civiltà. La città di Benvenuto fece anche altro per lui. Pur città nativa, per secoli fu priva di una copia completa del Comentum: fu un suo cittadino a premere, a metà Otto- cento, affinché la comunità si procurasse una copia del codice estense e poi, come non bastasse, a condurre su quella copia la sola traduzione oggi accessibile in lingua italiana. Quando l’avvocato Giovanni Tamburini diventò nel 1835 presidente della locale Accademia degli Industriosi (unico istituto imolese ad essere accolto nel noto repertorio di Michele Maylender, Storia delle Accademie d’Italia, Bologna, Cappelli, 1926-1930) chiese al Magistrato che reggeva la città di ordinare una copia del codice estense del Comentum, dato che gli sembrava ormai inderogabile che la città nativa dell’autore ne possedesse un esemplare integrale. L’apografo imolese (così è detta la copia manoscritta) è costituito da tre grossi volumi - uno per cantica - rilegati in tutta pelle, delle dimensioni di cm 36 x 25. La sua bellezza materiale è notevole, come la sua storia. L’avvertenza posta in premessa ne narra le vicende: la copia fu richiesta dalla «illustrissima Magistratura della città di Imola» nel novembre 1842 alla Regia Biblioteca Estense, affinché fosse prodotta una copia completa del manoscritto da quella bibliote- 46 La recente edizione in 3 volumi del Comentum tradotto in italiano da Tamburini (Russi, VACA edizioni, 2009) ca custodito. Il Primo Bibliotecario estense, Antonio Lombardi, diede il permesso e per avviare il lavoro di copiatura chiese due anni di tempo, una idonea quantità di carta e una somma non superiore ai duecento scudi romani. Il lavoro dell’amanuense iniziò nel febbraio 1843 e fu notevolissimo: un incarico di mano ferma e pazienza certosina. Poiché la copia doveva andare a Imola, cioè all’estero, a Modena fecero le cose con la massima attenzione: ogni volume si chiude con una dichiarazione di conformità all’originale, firmata dal copista e dal prefetto della Regia Estense. Una volta ottenuta la copia a vantaggio della città, il Tamburini volle onorare Benvenuto e pensò dapprima di dare alle stampe il Comentum secondo il testo della copia. Ma meditò anche sul fatto che il latino del- la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2015 l’opera non era più, come nel Trecento, la lingua migliore per propagare la conoscenza dell’autore. Prese dunque una decisione storica: sapendo di disporre di un testo affidabile, volle cimentarsi nella sua traduzione letterale. Ho accennato al fatto che la sua è diventata la sola accessibile traduzione italiana, per la semplice ragione che esistono traduzioni precedenti, ma in forma di codici manoscritti risalenti al Tre-Quattrocento (uno alla Nazionale di Parigi, l’altro alla Bodleian di Oxford). Ne deriva che quella di Tamburini può essere considerata, sostanzialmente, la sola abbordabile traduzione. L’operazione si protrasse per cinque anni, dal 1844 al 1849, e fu condotta servendosi probabilmente di alcuni aiutanti, la cui traduzione Tamburini controllò e corresse, per apporre a fatica conclusa la propria firma. Gli archivi imolesi conservano l’autografo del suo lavoro, una minuta in 102 fascicoli, che infine servì per giungere nel 1855 (Inferno) e 1856 (Purgatorio, Paradiso) all’edizione presso la tipografia Galeati: tre volumi dal titolo Benvenuto Rambaldi da Imola illustrato nella vita e nelle opere e di lui commento latino sulla Divina Commedia di Dante Alighieri voltato in italiano dall’avv. Giovanni Tamburini. Edizione abbastanza rara, di cui sono provviste solo alcune biblioteche italiane. È idea comune che quella di Tamburini sia una cattiva traduzione, nel senso che egli si concesse parecchia libertà: ci sarebbero troppe indebite aggiunte, parecchie omissioni e anche vari errori. Tuttavia, il suo merito evidente è di aver portato il Comentum di Benvenuto all’attenzione di un numero di lettori ben maggiore rispetto a quanto potrebbe oggi fare l’ostacolo della lingua latina. Una recente riedizione, anch’essa in tre volumi (ma raccolti in cofanetto), ha inteso valorizzare l’impresa di Tamburini, portandola all’attenzione di un ancor più vasto pubblico. Curata da Walter Pretolani, con premessa del dantista Emilio Pasquini e una scrupolosa nota storica di Ivan Rivalta, l’opera porta il titolo Commedia con il commento di Benvenuto da Imola nella traduzione di Giovanni Tamburini (Russi, VACA edizioni, 2009). Trattasi di un’edizione che conviene a ogni dantista procurarsi, non perché destinata al limbo delle opere épuisées, soprattutto in quanto brillante prova di come - nella fitta rete del dantismo - la provincia italiana abbia giocato un ruolo di non secondario rilievo. 48 la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2015 dicembre 2015 – la Biblioteca di via Senato Milano 49 SPECIALE DANTE ALIGHIERI VERTIGINE E TOTALITÀ NELLA COMEDÌA DI DANTE Attraverso una grande cattedrale d’inchiostro MARCO CIMMINO M isurare un capolavoro, per chi genio non sia, è impresa titanica e, forse, addirittura inutile: un’opera definitiva come la Comedìa dantesca si presta a tali e tante chiavi interpretative da far tremare le vene e i polsi a chiunque si prenda la briga di affrontarla, sia pure per poche e brevi note come queste. Tuttavia, c’è almeno una riflessione ultima e mignola che lo scrivente si sente di affrontare, e riguarda l’impressione, direi quasi il sentimento, di vertigine che dà il poema, se si cerca di abbracciarne con lo sguardo la totalità, quasi fosse un monumento di pietra e marmo, e non opera d’inchiostro. Perché, certamente, fu così che l’Alighieri immaginò la sua opera, prima ancora di iniziarne la paziente e metodica stesura: una visione monumentale, come quella che poteva folgorare il viandante, quando, dalla campagna, giungeva in una città e si trovava di fronte una vertiginosa cattedrale gotica, sorta come un miracolo d’ingegno e di fede, in mezzo alle basse case e alle piazze polverose. Una specie di sindrome di Stendhal, ma senza la smaliziata presunzione dei moderni: stupore e meraviglia, piuttosto. Nella pagina accanto: William Blake (1757-1827), La porta dell’Inferno (acquerello), Londra, Tate Gallery. Sopra: Luca Signorelli (1445-1523), Dante (part. di affresco, 1500), Orvieto, Duomo, Cappella Nuova (anche detta della Madonna di San Brizio) Così, immaginiamo Dante di fronte alla propria gigantesca creazione: viva quasi al di fuori del proprio creatore. Una concezione olistica e non letteraria del poema: una cattedrale d’inchiostro e di pergamena. Perché, quasi certamente, Dante progettò la Comedìa proprio come si progetta una cattedrale: con la fantasia dell’architetto, con la precisione dell’ingegnere. E, come, in una cattedrale, pilastri e contrafforti giocano tra loro la sublime partita dell’estetica e dell’equilibrio, concorrendo a sostenere l’impianto, in un intrecciarsi invisibile di forze e di spinte contrapposte, così, nella smisurata piramide dantesca, che s’innalza dall’abisso più buio alla rarefatta astrazione di Dio, intervengono forze meravigliose e segrete, interagiscono legami simbolici e semantici, in un incessante rimandarsi di suggestioni e richiami. Questo è certamente frutto di un processo poietico del tutto originale, perfino per una civiltà letteraria come quella del XIV secolo, per cui una rappresentazione enciclopedica dell’universo non doveva essere rara. Dante non rappresentò didascalicamente la storia e la cronaca, le sacre scritture e i bestiari, ma dipinse un tutto: un’unica immensa scenografia del cosmo, in cui il minimo ed il massimo convivessero con naturalezza. Un equilibrismo, forse: ma un equilibrismo eccelso. Per questo, può essere interessante proporre una lettura della Comedìa più adatta all’analisi di un’opera figurativa o, ancor più, architettonica, che quella tradizionale, a due dimensioni, che parte dalla filologia e dell’ermeneutica. 50 In alto da sinistra: Incipit del Purgatorio, miniatura di scuola toscana (XV secolo), Roma, Biblioteca Apostolica Vaticana, codice Barberiniano Latino 4112, c. 75 r.; Beatrice e Dante nell’Empireo (incipit del Paradiso), miniatura di scuola fiorentina, Roma, Biblioteca Apostolica Vaticana, cod. Barberiniano Latino 4112 (datato 30 maggio 1419), c. 141 r. Qui sopra: Ritratto allegorico di papa Bonifacio VIII, miniatura di scuola settentrionale (inizi del XVI secolo), tratto dal Vaticinia de Pontificibus Romanis di Gioacchino da Fiore, Roma, Biblioteca Apostolica Vaticana, cod. Rossiano 1374, c. 4 v. la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2015 La struttura triplice del poema si ripropone anche nel complesso meccanismo architettonico della visione dantesca: vi sono plinti e contrafforti che si sostengono vicendevolmente nella medesima cantica, ve ne sono che, viceversa, creano corrispondenze tra canti di cantiche diverse e, infine, se ne trovano alcuni che determinano l’equilibrio globale dell’opera. Queste corrispondenze funzionano, tra loro, esattamente come i contrappassi che contraddistinguono pene e beatitudini: alcune sono analogiche ed altre antitetiche o speculari. Ecco, dunque, che possiamo individuare un primo sistema di spinte e controspinte, all’interno della Comedìa: una sola è la legge divina, ma agisce in due modi distinti ed opposti. Il suo valore è simbolico e, allo stesso tempo, educativo: è creazione poetica e monito morale insieme. Prendiamo a titolo di esempio una delle contrapposizioni più evidenti e più analizzate dell’Inferno dantesco: quella tra il V canto ed il XXXIII: tra Paolo e Francesca e Ugolino e Ruggeri. Dante intese rappresentare, attraverso questi due canti, non tanto una, pure evidente, contrapposizione tra uomo e animale, tra amore ed odio, quanto dare al lettore un’immagine globale di due diverse umanità. Questo avviene per mezzo di diversi espedienti, che non riguardano soltanto la retorica e la stilistica, ma come dicevamo, la visione olistica e figurativa del poema. Innanzitutto, l’atmosfera, che è determinata dalle condizioni oggettive in cui si trovino i protagonisti: una bufera incessante ed inarrestabile per Paolo e Francesca, una palude ghiacciata che imprigiona i dannati, per Ugolino e Ruggeri. Da una dicembre 2015 – la Biblioteca di via Senato Milano A destra dall’alto: I quattro poeti italiani (al centro Dante), da La Divina Commedia, Firenze, Le Monnier, 1837 (Milano, Biblioteca di via Senato); Luigi Ademollo (1764-1849), Paolo e Francesca, incisione per l’edizione della Commedia stampata a Firenze, All’insegna dell’Ancora, nel biennio 1817-1819, con dedica ad Antonio Canova parte il movimento assoluto: dall’altra l’assoluta immobilità. La passione, ci vuole dire Dante, ci agita e ci percuote, ci rovescia e ci trasporta: il tradimento è l’esatto contrario dell’amore, e paralizza l’anima dell’uomo, addirittura precipitandolo nell’Inferno, prima che muoia. Nel V canto ci troviamo all’inizio dell’Inferno e nel XXXIII nel suo fondo: i lussuriosi sono dannati con molte attenuanti, i traditori, invece, con molte aggravanti. Pare, in questo, di trovarsi di fronte alla gradazione della pena stabilita da un codice: di fatto, probabilmente, è proprio così che funziona il meccanismo dantesco, rigorosamente matematico. E, poi, l’amore e l’odio: amore che permette ai due amanti una deroga alla solitudine imposta ai dannati nell’espiazione eterna delle loro colpe; odio che, pure, concede ad Ugolino di poter condividere la propria dannazione con colui che uccise i suoi figli ed i suoi nipoti, innocenti: qui sta la terribile aggravante di Ruggeri, che ne determina il doppio contrappasso. Eppure, Ugolino, a modo suo, è un’immagine dell’amore: non dell’amore cortese e nobile, ma di quello bestiale, che lega un animale ai propri cuccioli. Già a questo punto i rimandi potrebbero sommergerci: tentiamo di procedere, in questo gioco complesso di ricostruzione dei vari fili che formano la trama di questo rapporto tra i due canti, pensando con sgomento ed ammirazione a quanti altri fili e quante altre trame s’intreccino nell’intero poema. Basti pensare al comune atteggiamento dell’amante Francesca e dell’odiante Ugolino, entrambi in lacrime durante la narrazione delle proprie opposte vicende: eppure, nel fondo dell’Inferno, è proprio il Conte che richiama Dante a un’umanità che pare aver perduto, mano a mano che è disceso nel fondo dell’abisso, «…e se non piangi, di che pianger suoli?». Proprio la quasi superumana capacità dell’Alighieri di creare al di fuori di sé è racchiusa in questo rimprovero paradossale. Ma facciamo un altro esempio, questa volta strutturale, per meglio rendere l’idea di questo colossale 51 52 la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2015 A sinistra: Raffaello Sanzio (1483-1520), Ritratto di Dante (part. dell’affresco La disputa del Sacramento, 1509), Roma, Palazzi Vaticani, Stanza della Segnatura. Sotto: Dante Gabriele Rossetti (1828-1882), Beatrice incontra Dante a una festa nuziale e gli nega il saluto (1855), Oxford, Ashmolean Museum gioco di richiami e di corrispondenze: la rappresentazione plastica, tra Inferno e Paradiso, della concezione politica ed etica di Chiesa ed Impero, da parte di Dante. Egli colloca nel canto dei simoniaci, un personaggio, Bonifacio VIII, che, nel 1300 è ancora vivo e vegeto: utilizza, a tale scopo, il noto espediente. Niccolò III si trova a capofitto nel pozzo infuocato e non può vedere chi si muova sopra di lui: di qui l’equivoco: «…se’ tu già costì ritto, Bonifazio?», in cui il papa postula addirittura un errore del libro del destino. Dante aggira così il dato anagrafico, per manifestare la propria inappellabile condanna verso la deriva intrapresa dalla curia romana, cui va aggiunta, come sempre, la sua personale avversione nei confronti di colui che egli ritiene responsabile delle sciagure di Firenze e delle sue proprie. Esattamente allo stesso modo, il poeta nel XXX canto del Paradiso, farà profetizzare a Beatrice la collocazione di Arrigo VII, che sarebbe morto solo nel 1313, nella Candida Rosa, con l’indicazione del seggio incoronato, a lui già destinato da Dio. Va da sé che l’utilizzo speculare del medesimo espediente narrativo, tra il XIX dell’Inferno e il XXX del Paradiso, non è semplicemente frutto del caso, ma rientra in quella esattissima rete di corrispondenze di cui si diceva poco sopra: è come se l’Alighieri cercasse di dirci che, nella sua immagine dell’universo, tutto si tiene, tutto si collega, in una visione perfettamente armonica, che deriva dalla perfezione del motore immobile che ne alimenta l’esistenza, cioè Dio. E a Dio tutto ritorna, esattamente come ogni azione buona o cattiva dell’uomo medievale, che vive un’esistenza imperniata letteralmente sulla religione. Naturalmente, all’interno della Comedìa, vi sono innumerevoli altri esempi di questo sistema architettonico: non è questa la sede per un’analisi dettagliata del fenomeno. Tuttavia, è speranza di chi scrive l’aver indicato al lettore questa chiave interpretativa del poema dantesco, in modo che, ogni qual volta egli s’imbattesse in questi rimandi, in questi rinvii, in una casella del mosaico, possa riconoscerne lo stigma: ne riconduca la scoperta ad una visione organica e globale dell’opera eccelsa di Dante. Poiché, certamente, così il poeta la vide, prima ancora di comporla, in quel sogno meraviglioso che è la creazione del genio: una perfetta cattedrale d’inchiostro, ad maiorem gloriam Dei. La qualità delle migliori nocciole e il cacao più buono danno vita ad una consistenza e ad un bouquet di sapori inimitabile. Ferrero Rocher è quel dolce invito che ti regala un momento prezioso, perfetto da condividere 54 la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2015 dicembre 2015 – la Biblioteca di via Senato Milano 55 SPECIALE DANTE ALIGHIERI GIORDANO BRUNO E ‘LA FURIOSA COMMEDIA’ Echi danteschi nelle opere del Nolano GUIDO DEL GIUDICE C’ è un piccolo borgo, che dalle colline digrada verso il mare, in cui le memorie di Dante Alighieri e di Giordano Bruno stanno una accanto all’altra. Si tratta di Noli, un tempo florida Repubblica Marinara, ove entrambi fecero tappa, nel corso del loro peregrinare. Nel 1306 vi passò Dante, diretto in Francia, che rimase a tal punto colpito dalla sua posizione, ai piedi del Monte Ursino, da richiamarla all’inizio del Purgatorio: Vassi in Sanleo e discendesi in Noli, montasi su in Bismantova e ’n Cacume con esso i piè; ma qui convien ch’om voli. Nel 1576 fu la volta di Bruno trovare asilo all’ombra della chiesa di San Paragorio, come egli stesso dichiarò nel primo costituto del processo Veneto: «deposto l’abito, andai a Noli, territorio genoese, dove mi trattenni quattro o cinque mesi a insegnar la grammati- ca a putti». Ecco perché due lapidi, sotto il portico del Palazzo comunale, ricordano oggi questi due geni così diversi, accomunati dal destino dell’esule. Giordano Bruno conosceva e amava le opere del tosco poeta: la Monarchia, libro messo all’indice che lesse di nascosto a S. Domenico Maggiore, costituì uno dei riferimenti principali della sua concezione politica, e l’eco della Commedia si avverte con chiarezza in alcune pagine molto suggestive. Nel secondo dialogo delle Cena de le Ceneri, una delle sue opere più famose, il Nolano racconta l’avventuroso viaggio compiuto insieme ai due amici londinesi John Florio e Matthew Gwinn, per raggiungere il palazzo di Lord Fulke Greville, ove sarà protagonista di un’accesa disputa sull’infinità dell’universo con due pedanti di Oxford. Il viaggio lungo il Tamigi, per il tono utilizzato e per i numerosi riferimenti, che attingono oltre che alla Commedia, al VI canto dell’Eneide virgiliana, è rappresentato come una vera e Nella pagina accanto: Paul Gustave Doré (1832-1883), Purgatorio, Canto IV. Sotto da sinistra: le due lapidi che a Noli, nel portico del Palazzo comunale, ricordano i passaggi di Giordano Bruno e Dante Alighieri nella cittadina ligure 56 la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2015 Sopra: Giovanni Di Paolo (1399-1482), Dante e Beatrice verso il cielo del Sole (1450 ca.), miniatura tratta dalla Divina Commedia di Alfonso d’Aragona, Londra, British Library. A sinistra: Raffaello Sorbi (1844-1931), Dante e Beatrice (1903), collezione privata. A destra: frontespizio della prima edizione de La cena de le ceneri (1584) propria discesa agl’inferi. La barca sgangherata che la compagnia, vista l’ora tarda, decide di noleggiare scricchiola sotto i colpi di remo di due anziani barcaioli, un dei quali «pareva il nocchier antico del tartareo regno». «Piaccia a Dio - esclama il Nolano - che questo non sii Caronte». L’allegorica traversata dell’Acheronte si arresta bruscamente quando, con la scortesia tipica della plebe inglese, che Bruno fustigò in più occasioni,i due arcigni traghettatori sbarcano, in malo modo, i passeggeri sulla sponda del fiume, in corrispondenza di un largo e fangoso pantano. La descrizione assume i toni comici della letteratura burlesca allorché il povero Bruno, fidando sulla sua esperienza di viaggiatore, prende il comando del drappello e, piccolo com’è, rischia quasi di annegare: «Il Nolano, il quale ha studiato ed ha pratticato ne le scuole piú che noi, disse: - Mi par veder un porco passag- gio; però seguitate a me. - Ed ecco, non avea finito quel dire, che vien piantato lui in quella fanga di sorte che non possea ritrarne fuora le gambe; e cossí, aggiutando l’un l’altro, vi dammo per mezzo, sperando che questo purgatorio durasse poco». Nell’interpretazione “tropologica” che Bruno aveva preannunciato nell’Argomento del dialogo, il pantano, la «buazza», come lui la chiama, corrisponde dunque al purgatorio. Nel finale della stessa Cena, il filosofo richiamerà esplicitamente una sua opera, purtroppo perduta: «A voi, Smitho, mandarò quel dialogo del Nolano, che si chiama Purgatorio de l’inferno; e ivi vedrai il frutto della redenzione». Quale fosse questo purgatorio e a quale redenzione egli si riferisse non ci è dato sapere, ma potremmo metaforicamente identificarla nell’avventurosa peregrinatio attraverso l’ingannevole scienza del tempo, per arrivare alla dimora della verità che, in questo caso, è una verità esclusivamente di ragione, e non di fede. Dall’inferno del Tamigi, attraverso il pantano del purgatorio, si giunge infine a quello che sembra un paradiso: «In conclusione, tandem laeta arva tenemus: ne parve essere ai campi Elisii, essendo arrivati a la grande ed ordinaria strada». La piccola “commedia” del Nolano si rivela, però, più infernale che divina, per- dicembre 2015 – la Biblioteca di via Senato Milano ché, risaliti sulla strada maestra, i tre compagni di avventura si accorgono di essere praticamente tornati al punto di partenza: «ne ritrovammo poco piú o meno di vintidui passi discosti da onde eravamo partiti per ritrovar gli barcaroli, e vicino a la stanza del Nolano». Senza alcuna redenzione ricomincia, dunque, il viaggio del filosofo nel tenebroso Averno dell’ignoranza. A mio avviso, però, l’influenza del modello dantesco agisce a un livello più alto, in un altro dialogo del periodo londinese: il De gl’heroici furori. Non a caso Bruno confessa nell’Argomento, che l’opera avrebbe dovuto chiamarsi Cantica: «avevo pensato prima di donar a questo libro un titolo simile a quello di Salomone, il quale sotto la scorza d’amori ed affetti ordinarii contiene similmente divini ed eroici furori, come interpretano gli mistici e cabalisti dottori; volevo, per dirla, chiamarlo Cantica». Se è vero che il riferimento dichiarato è al Cantico de’ Cantici, non si può non avvertire la suggestione del grande poema dantesco. Anche in questa cantica, come in quelle della Divina Commedia, il protagonista è l’autore stesso: lì un poeta-filosofo, qui un filosofo-poeta. Lì l’intercessione di Beatrice consente a Dante un percorso di purificazione morale e religiosa che culminerà nella visione dell’eterno. Qui, invece, è Diana che permette ad Atteone, rappresentazione autobiografica del filosofo, di cogliere il principio divino nell’unità del reale. La sostanziale differenza con l’esperienza del sommo poeta è rimarcata dall’utilizzo, consueto in Bruno, di un mito della tradizione classica, quello del cacciatore Atteone, che per aver sorpreso Diana nuda al bagno, viene tramutato dalla dea in cervo e sbranato dai suoi stessi cani. In questa “furiosa commedia”, Diana è tramite e fine stesso dell’esperienza mistica: come la luna illumina la notte con la sua luce riflessa, così la «Diana ignuda», rappresenta per il furioso a caccia della verità, la natura comprensibile in cui si irradia lo splendore della natura superiore: «Questa verità è cercata come cosa inaccessibile, come oggetto inobiettabile, non sol che incompresibile. Però a nessun pare possibile de vedere il sole, l’universale Apolline e luce absoluta per specie suprema ed eccellentissima; ma sí bene la sua ombra, la sua Diana, il mondo, l’universo, la natura che è nelle cose, la luce che è nell’opacità della materia, cioè quella in quanto splende nelle tenebre». La Dea non introduce, dunque, il furioso alla contemplazione della divinità assoluta, ma permette di riconoscerne la potenza nella divinità co- 57 municata, che è la Natura. Del resto, anche Beatrice, dopo aver presentato a Dante lo spettacolo dell’armonia dell’universo, deve cedere il passo: servirà la mediazione mistica, rappresentata da San Bernardo, per arrivare alla visione diretta della divina trinità, che resterà in ogni caso un’esperienza ineffabile: Nel suo profondo vidi che s’interna legato con amore in un volume, ciò che per l’universo si squaderna: sustanze e accidenti e lor costume, quasi conflati insieme, per tal modo che ciò ch’i’ dico è un semplice lume. 58 Sopra: Girolamo Mazzola detto il Parmigianino (1503-1540), Diana e Atteone (part. di affresco, 1524), Fontanellato, rocca Sanvitale. A destra: frontespizio della prima edizione del De gl’heroici furori (1585) Siamo, dunque, al cospetto di due grandi mistici: un misticismo che, paradossalmente, assume in Dante, letterato politicamente impegnato, un afflato intensamente religioso e in Bruno, pensatore formatosi nel grembo della Chiesa cattolica, gli accenti laici di un materialismo panteisticamente divinizzato. Per entrambi si tratta di un viaggio metafisico-teologico, ma con due teorie della rivelazione ra- la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2015 dicalmente diverse: in una prevale la fede, nell’altra la filosofia. Si avverte, con chiarezza, la distanza che separa il Medioevo dal Rinascimento: il poeta, pur consapevole della sua grandezza e profondamente critico nei confronti del potere temporale della chiesa, depone l’orgoglio intellettuale ai piedi della croce; il filosofo, che a tutto antepone il messaggio pichiano di dignità della ragione, affida non alla fede ma al furore, cioè a un’esperienza tutta intellettuale, il «disquarto» del velo di Maya. Per entrambi, comunque, la contemplazione del divino costituisce, nei limiti delle rispettive concezioni teologiche, il fine ultimo e trascendente dell’esperienza conoscitiva. Media Italia S.p.a. Agenzia media a servizio completo Torino, Via Luisa del Carretto, 58 Tel. 011/8109311 [email protected] Milano, Via Washington, 17 Tel. 02/480821 Roma, Via Abruzzi 25, Tel. 06/58334027 Bologna, Via della Zecca, 1 Tel. 051/273080 60 la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2015 dicembre 2015 – la Biblioteca di via Senato Milano 61 SPECIALE DANTE ALIGHIERI QUANDO IL ’900 MISE DANTE SOTTO TORCHIO Le edizioni dantesche dei Mardersteig MASSIMO GATTA F orse nessun’altra opera come quella dantesca ha unito i primordi della tipografia italiana con gli esiti prestigiosi della moderna stampa al torchio, in un’ideale parabola che nel nome di Dante ha avvicinato l’Umanesimo al Novecento, e forse il nuovo è solo l’antico dimenticato oppure osservato meglio, infatti: «Molte cose sono nuove, perché semplicemente dimenticate: la conoscenza è l’occasione migliore per consolidare il ponte creativo tra la cultura visiva del passato e quella del presente».1 Fin dal torchio di Johann Neumeister a Foligno dove, tra il 5 e il 6 aprile del 1472, vede la luce l’editio princeps non commentata della Comedia dantesca,2 sembra non ci sia secolo in cui le opere del fiorentino non siano state messe “sotto torchio”. Neumeister giunge a Foligno nel 1464 in qualità di copista, e solo nel 1470 circa lo si vedrà all’opera con un torchio, avendo acquistato le attrezzature da Johann Reinhardt, tedesco come lui ma attivo a Trevi, luogo dal quale proveniva anche il collaboratore di Neumeister, Evangelista Angelini. Ma come accadde a Gutenberg, gli affari andarono male e lo stampatore venne imprigionato per debiti, e in seguito ritornò in patria. Si deve invece al celebre stampatore Windelin von Speyer, veneziano d’adozione,3 la prima stampa della Commedia col commento in volgare di Jacopo della Lana sotto il nome di Benvenuto da Imola, uscita a Venezia dai suoi torchi nel 1477. E da questa suggestiva Venezia 62 la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2015 Sopra: Stampa al torchio Dingler dell’Officina Bodoni, 2001. A sinistra: Sotto: Rino Grazioli torcoliere dell’Officina Bodoni, 1961. Nella pagina accanto: Pietro Annigoni, Ritratto di Giovanni Mardersteig, 1949 quattrocentesca, le cui acque lambivano le Fondamenta degli Incurabili,4 con volo pindarico che attraversa quasi cinque secoli di stampa, approdiamo a Montagnola (Lugano) dove il principe degli stampatori al torchio del Novecento, il weimariano Hans Mardersteig impianta, fin dal 1922,5 la sua Officina Bodoni che ha rappresentato, per intere generazioni di tipografi al torchio,6 una vera e propria università della stampa manuale. L’11 agosto del 1962 Hermann Hesse venne sepolto, come desiderava, nel piccolo cimitero di Sant’Abbondio a Montagnola, accanto ai suoi amici.7 A quel luogo di sepoltura pensava fin dal settembre del ’27, quando aveva accompagnato la salma dell’amico Hugo Ball, il fondatore del Dadaismo, che lì riposa insieme alla moglie, la poetessa Emmy Hennings. A Sant’Abbondio, tra i tanti amici che lo circondano, c’è anche Friedrich Spiess, il torcoliere dell’Officina Bodoni di Mardersteig,8 amico e vicino di casa di Hesse in quei suoi felici anni ticinesi (l’altro era il maestro torcoliere Peter Demeter). Hesse scrisse nel ’23 un ritratto dell’Officina Bodoni,9 che Mardersteig stamperà lo stesso anno come plaquette, così come anni dopo farà la Stamperia Valdonega,10 tradotta in inglese da Ralph Manheim. Casa Camuzzi a Montagnola, dove Hesse dicembre 2015 – la Biblioteca di via Senato Milano visse, e ora trasformata in multiproprietà, era luogo ideale degli incontri amicali tra Hesse e lo stampatore tedesco. Il nome di Dante è elemento catalizzatore per alcuni dei maggiori stampatori al torchio del nostro Novecento. Prima di analizzare il contributo specifico dei Mardersteig, mi piace ricordare il duplice Dante di Franco Riva, il canto XVII del Paradiso, stampato in edizione privata nell’autunno del 1975 per Enrico Ottaviano e Alessandro Falck,11 quindi nel Natale del ’77 ornato da una acquaforte di Arnaldo Ciarrocchi.12 Più ampio fu invece il contributo dantesco del torchio Stanhope del veronese Alessandro Zanella: dalla stampa privata dell’88 per Gianfranco Tomezzoli e Anna Tantini della canzone Io son venuto al punto de la rota,13 rimesso sotto torchio nel ’93 in una edizione con 4 incisioni di Enrico Castellani14 e, lo stesso anno, come prova di stampa di un nuovo inchiostro tipografico;15 dai canti XXVIII del Purgatorio e XXVI dell’Inferno stampati per Silvio Berlusconi Editore rispettivamente nel ’9516 e nel ’96,17 al testo dantesco inserito in Nugae del 2003,18 fino al canto XIII dell’Inferno del ’97, stampato per le Edizioni Tiratura di coda.19 Risale invece al primo quarto del Novecento uno dei primi volumi dell’Officina Bodoni (nata nel 1923), stampato nel nome di Dante. Nel luglio del ’25, giusto 90 anni fa, i torcolieri Spiess e Demeter misero “sotto torchio” il primo Dante dell’Officina, la Vita nuova, 63 con un Proemio di Benedetto Croce (pp. III-VII),20 all’epoca uno dei maggiori filosofi viventi, bibliofilo sui generis e conoscitore dell’opera di Mardersteig;21 scrive Croce nella sua nota a proposito dell’importanza di questa edizione: «Ma la critica non sarebbe a suo luogo nel proemio della presente edizione, bella come forse non l’ha mai finora avuta (sebbene ne abbia avute di assai lussuose) il libretto di Dante. In questa edizione conviene lasciare il lettore a solo a solo con Dante». Il testo seguito era quello filologicamente approntato dalla Società Dantesca Italiana, stampato con gli eleganti caratteri Bodoni Casale e Bodoni Catania, che diedero il nome alla magistrale impresa tipografica.22 L’edizione si presentava di notevole complessità; scrive al riguardo Ottavio Besomi: «Mardersteig sta attendendo ora a una edizione della Vita nuova di Dante, tipograficamente forse il compito più difficile mai affrontato dall’Officina, per il quale crede di aver trovato una soluzione molto soddisfacente. La realizzazione però è molto complessa, e Mardersteig lavora tutto il giorno al torchio fino a tarda notte. Appena stampati i campioni, ne manderà una copia anche a Reinhart.23 […] Sull’altro versante, l’attività dello stampatore continuava con altri titoli: La vita nuova (con il Proemio di Benedetto Croce) era ormai uscita, Mardersteig stava mettendo mano ad altri lavori»;24 dal colophon apprendiamo inoltre che il testo critico utilizzato, della Società Dantesca Italiana, era stato concesso dagli editori R. Bemporad & figlio di Firenze. Quasi vent’anni dopo seguiranno le Nove poesie dantesche, scelte da Antonio 64 la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2015 Pellizzari, sempre seguendo il testo della S.D.I., un’edizione privata di grande eleganza formale.25 Sicuramente però il Dante di Mardersteig strutturalmente più complesso fu La Divina Commedia, nell’edizione della Società Dantesca Italiana rivista dal dantista Giovanni Nencioni, uscita nell’aprile del ’63 in 9 volumi (2 per cantica)26 con 100 illustrazioni di Salvador Dalì,27 stampata per conto di Arti e Scienze (Roma) e di Salani (Firenze). L’edizione di testa, stampata al torchio dall’Officina, sarà di 44 esemplari su carta giapponese Kaji Torinoko,28 di cui 19 ad personam e 25 numerati, tutti firmati al colophon dall’artista spagnolo. L’edizione normale, su carta Magnani, verrà invece stampata in 3000 esemplari nella Stamperia Valdonega.29 Scrive NOTE 1 Presentazione non firmata in «Tipoitalia», 1, inverno 2008. 2 Cfr. La prima edizione della Divina Commedia. Foligno, 1472, a cura di E. Casamassima, Milano, Il Polifilo, 1972, ristampa anastatica in 850 esemplari. 3 Un suggestivo romanzo con protagonista lo stampatore tedesco è quello di M. Lovric, The Floating Book, London, Virago Press, 2003. 4 Il richiamo è ovviamente a I. Brodskij, Mardersteig di questa edizione: «È un grosso impegno per ogni tipografo quello di stampare un’opera così importante come la Divina Commedia di Dante e di studiarne l’impostazione grafica. Ho stampato varie edizioni in lingua inglese e in lingua italiana, tuttavia nessuna di esse mi aveva affascinato come questa, tanto più che qui dovevo tener conto di alcuni limiti imposti dal formato e dalle illustrazioni colorate e molto personali di Dalì».30 Mardersteig si riferiva a varie edizioni dantesche stampate nel corso dei decenni, anche per conto terzi nella Stamperia Valdonega 31 la Divina Commedia introdotta da Natalino Sapegno, stampata nella collana ideata dal banchiere Raffaele Mattioli “La letteratura italiana. Storia e testi” (v. 4), edita a Milano nel ’57 per Fondamenta degli Incurabili, Venezia, Consorzio Venezia Nuova, 1989. 5 Cfr. Giovanni Mardersteig a Montagnola. La nascita dell’Officina Bodoni 1922-1927, scritti di L. Tedeschi e O. Besomi, Verona, Edizioni Valdonega, 1993 [catalogo della mostra, a cura di L. Tedeschi, Montagnola, 15 ottobre21 novembre 1993]; Giovanni Mardersteig a Brera. La nascita dell’Officina Bodoni 19221927, a cura di L. Tedeschi, presentazione di A. Batori, Verona, Valdonega, 1994, brochure con l’elenco delle opere esposte [Milano, Bi- blioteca Braidense, 2-25 giugno 1994]. 6 Sulla tipografia al torchio in Italia nel Novecento segnalo due interessanti tesi: C. Tavella, Stamperie private in Italia fra tradizione e modernità, rel. J. Clough, Politecnico di Milano, Fac. del Design, Corso di laurea in Design della comunicazione, a. a. 2009/2010; E. Apolloni, Umanisti del torchio e “dimestiche” stamperie. La privatissima arte nera nella Verona del Novecento, rel. T. Brugnoli, Università degli Studi di Verona, laurea magistrale in Editoria e giornalismo, a. a. 2013/2014. dicembre 2015 – la Biblioteca di via Senato Milano Riccardo Ricciardi Editore; le Opere di Dante, con testo critico della Società Dantesca Italiana (Firenze, Società Dantesca Italiana, 1960); il Dante di Giovanni Villani, stampato in 400 esemplari (Verona, 1962); le Rime per la Donna Pietra in 125 esemplari (Verona, Le Rame, 1965); il Dante a Verona, catalogo di una mostra al Museo di Castelvecchio (Verona, Comune, 1965); Le Opere di Dante, nell’Edizione Nazionale della Società Dantesca Italiana, introduzione di Giorgio Petrocchi, in 4 volumi (Milano, Mondadori, 1966-67); The Divine Comedy in 3 volumi, traduzione di Thomas G. Bergin e illustrazioni di Leonard Baskin, stampata da Meriden Gravure Company (New York, Grossman Publishers, 1969);32 Il Dante di Guttuso, brani della Divina Commedia illustrati dal pittore siciliano (Milano, Mondadori, 1970, ristampa 1975);33 La prima edizione della Divina Commedia. Foligno 1472 (Milano, Il Polifilo, 1972); la Vita Nuova, a cura di Domenico de Robertis (Milano, Ricciardi, 1980); le Opere minori, a cura sempre di de Robertis e di Gian- 65 franco Contini, edite nella collana dei “Classici italiani” (Milano, Ricciardi, 1984); la Divina Commedia in 3 volumi illustrata da Mario Donizetti, Renato Balsamo e Alessandro Kokocinsky, in 475 copie numerate e firmate dagli artisti (Bologna, Art’è-Scripta, 2004)34 e infine La Divina Commedia, traduzione di Robert e Jean Hollander, con 100 illustrazioni di Monika Beisner, stampata privatamente in 500 copie, di cui 75 con la suite delle tavole numerate e firmate (Verona, Valdonega, 2007).35 Ma al di là dei prestigiosi esiti tipografici, di cui abbiamo dato testimonianza, l’omaggio forse maggiore che il mondo della stampa manuale ha tributato nel Novecento al grande poeta fiorentino paradossalmente non è un libro ma un carattere di stampa, pensato, voluto, disegnato e realizzato per il torchio, e il cui prestigio fu tale che in seguito verrà adattato anche per la stampa in Monotype. Ci riferiamo al Dante, l’ultimo elegante carattere romano disegnato da Marder- 66 la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2015 steig36 tra il ’46 e il ’52,37 considerato «il suo capolavoro»38 e che compendiava l’esperienza e lo studio che lo stampatore aveva accumulato fin dal ’29 coi suoi primi caratteri: Bembo, Griffo, Zeno, Zarotto, Fontana39 e Pacioli, oltre ad essere stato l’esito estremo di una vita dedicata allo studio della tipografia e appunto dei caratteri,40 punzonista eccelso dei quali fu sempre il grande Charles Malin (1883-1955), conosciuto da Mardersteig fin dal ’27. Il Dante è un carattere graziato dotato di leggibilità perfetta; la font è stata digitalizzata nei primi anni Novanta nella serie VAL (Valdonega Ae- 7 Vedi sul tema C. Zanda, Un bel posticino. La Spoon River di Hermann Hesse, Milano, Marcos y Marcos, 2012. 8 Un profilo di Spiess è quello di C. Zanda in Idem, Un bel posticino. La Spoon River di Hermann Hesse, cit., pp. 131-132; vedi anche M. Gatta, Tra i torchi dei Mardersteig, in M. Nocera, Officina Mardersteig. Un incontro con Martino Mardersteig, con una nota di M. Mardersteig, due scritti di F. Riva e lettere di G. Mardersteig ad A. Vigevani, Macerata, Biblohaus, 2015, pp. 119-125. 9 Pubblicato su «Neue Zürcher Zeitung», 4 novembre 1923. 10 Fondata da Mardersteig nel 1948, avviando il progetto di una stamperia, alternativa all’Officina Bodoni, attrezzata con macchine compositrici e pianocilindriche, cfr. 50 an- sthetic Line) ed è quindi utilizzabile nell’editoria elettronica: «Il programma VAL è stato sviluppato nella Stamperia Valdonega dal figlio Martino Mardersteig col proposito di offrire alla propria clientela il carattere Dante, disegnato negli anni ’50 dal suo fondatore Giovanni Mardersteig per la composizione in piombo, in una nuova versione studiata per la fotocomposizione più fedele all’originale, rispetto a quella digitalizzata dalla Monotype41 di Londra nel 1991».42 Come ricordava lo stesso Mardersteig nel suo Credo del 1962: «L’ultima serie di tipi incisi da Charles ni di libri nella Stamperia Valdonega. Dalla tipografia al digitale, Verona, Valdonega, 1998 [opuscolo della mostra, Biblioteca Trivulziana, Milano 4-28 giugno 1998]. Utili anche The Officina Bodoni & The Stamperia Valdonega. An Exhibition marking the 100th anniversary of the birth of Giovanni Mardersteig, New York, The Grolier Club [printed at the Stinehour Press, design Jerry Kelly], 1992 [brochure della mostra, 17 dicembre 1991] e G. Zuanazzi, La Stamperia Valdonega di Verona, rel. L. Rossetti, Università degli Studi di Padova, Fac. di Lettere, tesi di specializzazione per bibliotecari, a.a. 1987-1988. 11 Stampa privata in 50 esemplari numerati, su carta Amatruda di Amalfi, senza illustrazioni, carattere Bembo tondo c. 24 [I Giorni, 9], cfr. Editiones Dominicae. I libri privati di Franco Riva stampati al torchio a mano sibi & sodalibus, con l’aggiunta dell’elenco degli scritti di Riva, a cura di F. Riva, Verona, Stamperia Valdonega, 1985, p. 31, n. 80 [catalogo della mostra, Biblioteca Civica, Verona, 15 giugno – 15 luglio 1985]; Privato ac Dominico More. Il torchio e i libri di Franco Riva, a cura di L. Tamborini, Milano, Biblioteca di via Senato Electa, 1997, p. 117, n. 79 [catalogo della mostra, Biblioteca di via Senato, Milano, 19 settembre – 16 ottobre 1997]. 12 Stampato in 120 esemplari numerati su carta a tino Magnani, caratteri Bembo tondo c. 24 e Janson corsivo c. 20 [I Poeti Illustrati nuova serie, XXIII]. Testo in italiano e latino, precede il Canto la dedica di Dante a Cangrande; cfr. Editiones Dominicae. I libri privati di Franco Riva stampati al torchio a mano sibi dicembre 2015 – la Biblioteca di via Senato Milano Malin, ed è il lavoro più esteso, è il carattere DANTE. Anche in questo caso le migliori forme di alfabeti creati nell’importante periodo del primo umanesimo furono oggetto di studio con il desiderio di combinare con una forma armoniosa la massima leggibilità, a mezzo di un occhio relativamente grande. Debbo essere molto grato all’amico incisore che, a rifare e a ritoccare tanti punzoni, non perse la pazienza finché il mio ideale non fosse raggiunto!».43 Questo carattere verrà però utilizzato la prima volta solo nell’autunno del ’55 per la stampa al torchio & sodalibus, cit., p. 33, n. 85 e Privato ac Dominico More. Il torchio e i libri di Franco Riva, cit., p. 121, n. 83. 13 Stampato in 200 esemplari numerati su carta Magnani, con una incisione su linoleum di F. Arduini, carattere Bodoni, cfr. Con il torchio. Alessandro Zanella tipografo ed editore, a cura di A. Corubolo, testi di C. Zambianchi e A. Corubolo, Verona, Ampersand [ma Stamperia, Lazise, in 600 copie numerate], 2014, p. 65, n. 50. 14 Stampato per le Edizioni Proposta d’Arte Colophon in 110 esemplari numerati, testo composto da R. Olivieri in carattere Bembo su carta Hahnemühle, cfr. Con il torchio. Alessandro Zanella tipografo ed editore, cit., p. 71, n. 70. 15 Stampato in 25 esemplari numerati a 67 del Trattatello in laude di Dante, di Giovanni Boccaccio. Il testo utilizzato furono le 27 carte iniziali del Codice membranaceo 104.6 della Biblioteca Capitolare di Toledo, autografo del Boccaccio, trascritto e curato da Giovanni Muzzioli. Il Dante venne utilizzato nei corpi 10 e 12 tondo e corsivo, con iniziali in corpo 30 stampate in rosso e azzurro, mentre il titolo al frontespizio era in corpo 20, in nero e rosso.44 Questo volume, e il carattere che lo celebra e dal quale prese il nome, sarà anche l’ultima opera di Charles Malin, che morirà nello stesso anno.45 stampa, carattere Bembo, cfr. Con il torchio. Alessandro Zanella tipografo ed editore, cit., p. 115, n. 180. 16 Testo critico stabilito da G. Petrocchi, 3 litografie di R. Savinio, in 205 esemplari, 5 esemplari su carta Torinoko Kozu e 200 su carta Alcantara, carattere Garamond, rilegato da G. De Stefanis, cfr. Con il torchio. Alessandro Zanella tipografo ed editore, cit., p. 76, n. 85. 17 Testo critico stabilito da G. Petrocchi, 3 xilografie incise da P. Di Silvestro, in 205 esemplari, 5 esemplari su carta Torinoko Kozu e 200 su carta Alcantara, carattere Garamond, cfr. Con il torchio. Alessandro Zanella tipografo ed editore, cit., p. 76, n. 86. In Silvio Berlusconi Editore catalogo dei libri, MilanoVerona, Ruggero Olivieri, Alessandro Zanella, 1993, viene però indicato che il volume era illustrato da Fabrizio Clerici, come anche nel pieghevole Silvio Berlusconi Editore catalogo dei libri, s.n.t., 1993. 18 Stampato su carta Hahnemühle per il Consorzio degli Studi Universitari di Verona in 100 esemplari, testi di Catullo, Dante, Shakespeare, Maffei, Goethe, Ruskin, Barbarani, carattere Centaur, cfr. Con il torchio. Alessandro Zanella tipografo ed editore, cit., p. 84, n. 109. 19 Testo stabilito da G. Petrocchi sull’antica vulgata trecentesca; xilografie originali di P. Di Silvestro, in 10 esemplari numerati a stampa su carta Hahnemühle, carattere Spectrum, cfr. Con il torchio. Alessandro Zanella tipografo ed editore, cit., p. 116, n. 181. 20 Cfr. L’opera di Benedetto Croce, bibliografia a cura di S. Borsari, Napoli, nella sede 68 dell’Istituto [ma L’Arte Tipografica, Napoli], 1964, p. 224, n. 1834. 21 Cfr. B. Croce, Lettere a Vittorio Enzo Alfieri (1925-1952), Milano, Spes, 1986. Del filosofo abruzzese Mardersteig stamperà al torchio anche Un angolo di Napoli (1953), ed Aesthetica in nuce (1966). 22 La Vita nuova venne stampata in 230 esemplari, 5 su pergamena e gli altri su carta Fabriano a tino, nei caratteri Bodoni Casale tondo e corsivo c. 20, e Bodoni Catania tondo c. 16, rilegati in marocchino o in pergamena a seconda della tiratura, cfr. G. Mardersteig, L’Officina Bodoni. I libri e il mondo di un torchio 1923-1977, introduzione di H. Smoller, Verona, Edizioni Valdonega, 1980, pp. 26-28, n. 14. 23 Scrittore, traduttore e mecenate (1880-1963). 24 O. Besomi, Come nasce un libro nell’Officina Bodoni di Montagnola, in Giovanni Mardersteig a Montagnola. La nascita dell’Officina Bodoni 1922-1927, cit., pp. 65-67. 25 Edizione stampata nell’agosto del ’43 in 51 esemplari, di cui uno su carta Giappone imperiale, gli altri su carta a tino, carattere Centaur tondo c. 16 con iniziali in c. 24, Cfr. L’Officina Bodoni. I libri e il mondo di un torchio 1923-1977, cit., p. 69, n. 63. 26 Gli altri volumi contenevano rispettivamente una serie delle 100 tavole a colori, le progressive dei colori di una tavola e le cento tavole in nero riprodotte in calcografia. 27 Incise e stampate a Parigi da Raymond Jacquet. 28 Il figlio di Mardersteig, Martino, ne seguì la fabbricazione nella cartiera di Y. Moriki sull’isola Shikoku. 29 Cfr. L’Officina Bodoni. I libri e il mondo di un torchio 1923-1977, cit., pp. 124-125, n. 133. 30 Ibidem, p. 124. 31 Segnalate in Giovanni und Martino Mardersteig. Buchgestalter, Typographen und Drucker in Verona, herausgegeben von E. von Freeden und J. Fischer, Leipzig, Museum la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2015 für Druckkunst [stampa Verona, Stamperia Valdonega], 2008, pp. 93-98, catalogo realizzato in occasione dei 60 anni della Stamperia Valdonega. 32 Cfr. Giovanni and Martino Mardersteig. Book designers, typographers, and printers in Verona. Catalogue of the exhibition celebrating sixty years since the founding of the press Stamperia Valdonega 1948-2008, edited by J. Kelly, New York, The Grolier Club [stampa Verona, Stamperia Valdonega], 2008, p. 46, n. 29 e tav. 8 [catalogo della mostra, New York, The Grolier Club, 20 novembre 2008 – 6 gennaio 2009]. 33 Ibidem, p. 46, n. 31, “con le tavole stampate fino a 9 colori per rinforzare la quadricromia” (M. Nocera). 34 Ibidem, p. 52, n. 63. 35 Ibidem, p. 54, n. 73 e tav. 20. 36 “[…] il carattere Dante, creato da Giovanni Mardersteig, è il risultato dell’armonia alfabetica. Si tratta di un carattere molto bello, molto ben leggibile, ben studiato e molto ammirato. Per ottenere il disegno del primo Dante, Giovanni Mardersteig passò giorni e giorni a studiare e confrontare i più antichi incunaboli e codici, fino a che non riuscì nell’impresa. Grazie alla sua esperienza riuscì a disegnare un carattere del tutto nuovo, i cui punzoni furono magistralmente realizzati da Charles Malin.”, M. Nocera, Officina Mardersteig. Un incontro con Martino Mardersteig, cit., pp. 34-35. 37 Cfr. J. Dreyfus, Il creatore di caratteri da stampa, in Giovanni Mardersteig. Stampatore, editore, umanista, a cura di F. Origoni e S. Marinelli, Verona, Edizioni Valdonega, 1989 [catalogo della mostra, Verona, Museo di Castelvecchio, 2 giugno – 15 settembre 1989], pp. 49-96, per il carattere Dante vedi pp. 7995; cfr. anche Idem, The Dante Types, «Fine Print», october 1985, C. Tavella, Mardersteig, tipografo intellettuale, in Eadem, Stamperie private in Italia fra tradizione e modernità, cit., pp. 75-86 [83-85] e M. Nocera, Officina Mardersteig. Un incontro con Martino Mar- dersteig, cit., pp. 34-39. Di notevole interesse è inoltre Dante, un carattere progettato da Giovanni Mardersteig, «Tipoitalia», 1, inverno 2008, pp. 20-31 e A. Lawson, Dante, in Idem, Anatomy of a Typeface, London, Hamish Hamilton, 1990, pp. 98-109. 38 Così M. Rattin e M. Ricci in Giovanni Mardersteig, in Idem, Questioni di carattere. La tipografia in Italia dal 1961 agli anni Settanta, Viterbo, Nuovi Equilibri, 1997, pp. 120129, il giudizio è a p. 127. 39 Disegnato per la stamperia Clear-Type di William Collins Clear. 40 Cfr. Scritti di Giovanni Mardersteig sulla storia dei caratteri e della tipografia, Milano, Il Polifilo [stampa Verona, Stamperia Valdonega], 1998, in 650 esemplari. 41 Cfr. The Work of Giovanni Mardersteig with ‘Monotype’ Faces, London, The Monotype Corporation Ltd. [ma stampa Verona, Stamperia Valdonega], 1967. 42 Dal colophon della brochure Valdonega Aesthetic Line, Verona, Stamperia Valdonega, 1995. 43 G. Mardersteig, Credo (1962), Verona, Stamperia Valdonega, 18 ottobre 1979, p. [15]. All’epoca dello scritto di Mardersteig il carattere Dante, su consiglio di S. Morison, venne inciso anche meccanicamente alla Monotype, mentre l’incisione di Malin rimaneva ad uso esclusivo dell’Officina Bodoni. 44 Stampato in 140 esemplari numerati di cui i primi 15 su carta Giappone imperiale e 125 su carta a mano Rives, tutti rilegati in marocchino rosso, cfr. G. Mardersteig, L’Officina Bodoni. I libri e il mondo di un torchio 19231977, cit., pp. 105-106, n. 111. 45 Dopo la scomparsa di Malin Mardersteig fece “[…] incidere meccanicamente da Ruggero Olivieri a Milano matrici [del carattere Dante, N.d.A.] nei corpi 16 e 18, quest’ultimo solo corsivo, con ascendenti e discendenti lunghe, facendo poi aggiungere al corpo 18 un’alternativa in corsivo cancelleresco”, in Dante, un carattere progettato da Giovanni Mardersteig, cit., p. 28. giochipreziosi.it UN MONDO DI DIVERTIMENTO! GR GRUPPO UPPO GIOCHI GIOCHI PREZIOSI 70 la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2015 dicembre 2015 – la Biblioteca di via Senato Milano 71 SPECIALE DANTE ALIGHIERI IL MISTERO DELLA PROFANA COMMEDIA Una parodia dantesca semi-futurista ANTONIO CASTRONUOVO S e c’è un’opera della storia letteraria sottoposta a un’infinità di parodie, imitazioni, deformazioni, traduzioni nei più diversi linguaggi, dialetti compresi, questa è la Commedia di Dante: alla fine del 1949, e per varie puntate, uscì addirittura una parodia su vari numeri di «Topolino», col titolo L’inferno di Topolino. Alla luce della massima fama e diffusione dell’opera non potrebbe essere altrimenti; e tuttavia esiste un mondo che non è riuscito a esprimere Dante mediante gli schemi del proprio linguaggio: il futurismo. Sembra insomma che Dante non sia entrato nell’immaginario futurista, se non per l’atmosfera dell’irriverente romanzo Venezianella e Studentaccio, di recente riscoperto e pubblicato (Milano, Mondadori, 2013). Composto da Marinetti tra autunno 1943 ed estate 1944 il romanzo traspone nei due personaggi - in una delirante ricchezza di dettagli surreali - le figure di Beatrice e Dante. Alcuni noti repertori bibliografici, come la Bibliografia del futurismo di Claudia Salaris (Roma, Biblioteca del Vascello, 1988, p. 106) e Filippo Tommaso Marinetti: bibliografia di Domenico Cammarota (Milano, Skira, 2002, p. 182), segnalano però un titolo sonoro: La profana commedia di Francesco de Goyzueta, pubblicata a Mi- Nella pagina accanto: la copertina del volume di Francesco de Goyzueta, La profana commedia, (Milano, 1915). Sopra: il frontespizio dell’opera lano da Bietti e Reggiani nel 1915. Ambedue le bibliografie definiscono l’opera una «parodia dell’opera dantesca»: è tuttavia cosa originale che la Commedia potesse diventare profana, anche perché Dante usa il termine “profano” una sola volta, quando si riferisce ai golosi definendoli «miseri profani» che urlano come cani e si dimenano alla ricerca inutile di un transitorio sollievo (Inferno, VI, 21). Nulla si reperisce sulla figura dell’autore: persona colta e inventiva il cui sonoro nome - Francesco de Goyzueta - fa sospettare che sia uno pseudonimo. Il bibliofilo può però consolarsi apprendendo che La profana commedia è opera rintracciabile. Il Catalogo Unico delle biblioteche italiane (ICCU) ne individua 18 esemplari, ben distribuiti nelle biblioteche dell’Italia centro-settentrionale. Il valore venale è presto individuato: nel momento in cui scrivo (ottobre 2015) la libreria antiquaria milanese Pontremoli ne ha copia in vendita a 220 euro. Questi dati suggeriscono due fatti: la presenza in tante biblioteche italiane fa sospettare che sia stato libro di buona diffusione al momento della stampa; la penuria di copie in commercio privato indica per contro che si tratta di libro di una certa rarità. Si tratta di un volumetto in ottavo, rilegato in mezza tela antica, di 162 pagine e con copertina figurata, sulla quale, a ulteriore dimostrazione che è implicato nella parodia, Dante appare in posa meditativa, come a osservare perplesso il bailamme attorno a lui e a 72 la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2015 da repente torpor sentomi preso, rendonsi grevi le palpèbre, cade di mano il libro e resto lì rappreso. A leggere il gravoso Treïtscke, fautore del pangermanesimo, può capitare di cadere nelle spire del sonno; ed è così che l’autore viene visitato da uno Spirito che gli sarà guida in un viaggio variopinto, traboccante di figure, vicende, luoghi e colpi di scena. L’indice del volume, che non elenca i canti bensì i temi di volta in volta traversati, dimostra la ricchezza inventiva, che si allunga, con gustosa immaginazione, sulla storia, la letteratura e la politica. Se qualcosa di futurista c’è nella Profana commedia è l’apparizione di Marinetti in veste di protagonista. Accade nel canto IV, quando alcuni illustri poeti, tra cui il vate d’Annunzio, stanno dialogando ed ecco che alle loro spalle appare un personaggio: Ci volgemmo tementi... Era del novo Parnaso Futurista il Sommo Capo, che ghignando riprese: Nausea io provo L’incipit del canto I de La Profana commedia preannunciare che nel testo ne accadono di tutti i colori. Lo profetizza anche il sottotitolo: Poema tragicomico in 34 canti, dove “tragicomico” è termine che fa già sospettare quanto di pungente il testo riserva. Firmata da Giovanni Vaccaro, la prefazione Al lettore lo dice a chiare lettere: «È questa l’opera più originale e bizzarra che sia mai apparsa, e chi la leggerà attentamente non potrà non ritrarne un godimento intellettuale affatto nuovo e diverso da quello che potrebbe derivargli dalla lettura di un qualunque altro componimento del genere». Nata da uno sgorgo infrenabile di fantasia, e transitando su multiformi tonalità (georgica, comica, elegiaca, bacchica), l’opera non rinuncia a un incipit di sfacciata parodia dantesca: Nel mezzo del cammin di nostra vita mentre leggevo Treïtscke, disteso ne la mia sedia a dondol preferita, del rivedervi, teste di Prïàpo! spalleggiator d’un fetido passato! ma qui (se ’l ficchi bene ognuno in capo!) qui sono onnipotente e venerato! / [...] son quel Marinetti che copriste di beffe e di disprezzo! Piace l’appellativo di «teste di Prïàpo» affibbiato a poeti «spalleggiatori d’un fetido passato»: se non è qualcosa di propriamente futurista, ha di certo una sonorità di ribellismo anarchico. Tonalità che La profana commedia conserva nel suo essere giocata in chiave antiaustriaca, tanto che l’ultimo verso prende commiato dal lettore invocando un’Italia libera e lanciando l’acuto messaggio che chi in guerra muore lo fa per trarla «dal lungo servaggio». Nel maggio 1915 l’Italia era entrata nel primo conflitto mondiale: il finale fa pertanto presumere che il poema fosse composto quando già la dichiarazione di guerra all’Austria era avvenuta. E la parodia tragicomica di Francesco de Goyzueta si avviava rapidamente a far parte di anni soltanto tragici, e null’affatto comici. WE OPTIMISE CONTENT AND CONNECTIONS TO FUEL BUSINESS SUCCESS. V.le del Mulino, 4 – Ed. U15 – 20090 Milanofiori – Assago (MI) – Tel. 02 33644.1 Via Cristoforo Colombo 173 - 00147 Roma – Tel. 06 488888.1 E-mail: [email protected] – web: www.mediacom.com 74 la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2015 dicembre 2015 – la Biblioteca di via Senato Milano 75 SPECIALE DANTE ALIGHIERI LA MONARCHIA DI DANTE: DENTRO L’UTOPIA Il poeta e il dramma del potere Riproponiamo qui la prefazione editoriale al XIV volume della collana “Biblioteca dell’Utopia”: Dante, Monarchia, con il Commentario di Cola di Rienzo e il Volgarizzamento di Marsilio Ficino, (Milano, Silvio Berlusconi editore, 2004). C ontinua con la Monarchia di Dante il viaggio di questa collana alla ricerca dell’utopia. L’opera, scritta in latino dal sommo poeta in tre libri, non si riferisce genericamente agli stati retti da un re; con essa l’Alighieri voleva aiutare la causa dell’Impero, ovvero di quel principato che sta sopra gli altri: desiderava difenderne i diritti contro le pretese della Chiesa e l’atteggiamento dei guelfi più oltranzisti. In queste pagine si riflettono, come in uno specchio, le argomentazioni e le discussioni politiche del tempo. Dante, ad esempio, si schiera con coloro che sostenevano la tesi che l’imperatore ricevesse la sua autorità direttamente da Dio e non dalle mani del pontefice, più o meno l’esatto contrario di quanto pensava papa Bonifacio VIII. A sostegno delle tesi opposte circolavano numerosi Nella pagina accanto: l’uscita dalla ‘natural burella’ (Inferno, canto XXXIV), miniatura di scuola ferrarese (Guglielmo Giraldi e aiuti, 1478 circa), Roma, Biblioteca Apostolica Vaticana, cod. Urbinate Latino 365, c. 95 v. Sopra: Giotto (o, più probabilmente scuola giottesca), Ritratto di Dante (XIV secolo), Firenze, palazzo del Bargello trattati, ai quali Dante attinse alcune argomentazioni o con cui polemizzò. In controluce ecco allora apparire il De potestate regia et papali di Giovanni da Parigi, la glossa anonima alla bolla Unam sanctam di Bonifacio VIII, la Determinatio compendiosa de iurisdictione Imperii attribuita a Tolomeo da Lucca, il De regimine christiano di Giacomo da Viterbo: è soltanto un piccolo gruppo di scritti sicuramente utilizzati, ai quali è possibile aggiungere molto ancora. A ben guardare in essi, ci si accorge di quanto capillare fosse la discussione in atto. Così, per fare il solito esempio, Giovanni da Parigi fa derivare l’autorità del re direttamente da Dio e dal popolo, che ha eletto sovrano lui e la sua famiglia. Sul primo cardine di tale potere non vi poteva essere particolare discussione; sul secondo, ovvero sul popolo, tutte potevano aprirsi. Allora Giovanni cerca prova in Aristotele, nelle storie di Mosè e Giosuè, nelle dichiarazioni di papa Gelasio, dove poteva. Giacomo da Viterbo, al contrario, era il teorico della «plenitudo potestatis Papae», ovvero della derivazione da lui di ogni potere e del suo pieno diritto di esercitare, nel modo più assoluto, entrambe le autorità, spirituale e temporale. Gli argomenti evangelici evocati, a cominciare dall’incarico che Cristo dà direttamente a Pietro, sembravano allora più ortodossi e convincenti. Dante dunque oscilla in quest’ambito, preferendo la soluzione ricordata, scrivendo un’opera che dovette sembrare piena di buon senso e di realismo. Senonché, nel ripubblicarla oggi, dopo gli inchini che si devono al 76 la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2015 A sinistra: Andrea del Castagno (1421-1457), Ritratto di Dante (1450 ca.), Firenze, Cenacolo dell’ex convento di Santa Apollonia. Nella pagina accanto da sinistra: Frontespizio di Dante, Monarchia, con il Commentario di Cola di Rienzo e il Volgarizzamento di Marsilio Ficino, Milano, Silvio Berlusconi editore, 2004 (collana Biblioteca dell'Utopia) e il ritratto di Dante, di Marco Carnà, dallo stesso volume suo genio, ci rendiamo conto di come taluni problemi da lui affrontati siano ancora presenti con la maschera mutata. La legittimazione di un potere ora l’abbiamo risolta con il concetto di democrazia, ma non possiamo fare a meno di discutere cosa sia la stessa democrazia e quali limiti abbia. I re sono finiti nei rotocalchi e nella cronaca rosa, gli imperatori sono scomparsi, ma intorno al desiderio di Dio ne sappiamo forse meno che al tempo di Dante. Ci accorgiamo che dietro le guerre in corso, dietro le scelte epocali si parla ancora e necessariamente di Dio. Che ora non concede il potere all’uno o all’altro, ma ogni forma di potere invoca Lui per legittimarsi. Bush insegna. Così, nel riprendere il testo della Monarchia ci accostiamo, anche senza accorgercene, ai dibattiti politici in corso. Gli arricchimenti qui proposti con Marsilio Ficino e Cola di Rienzo ci spingono in seno all’utopia. Se il primo fu sostanzialmente un uomo alla ricerca dell’anima in ogni atto della propria vita, il secondo si dimenticò un giorno di averla. La sostituì con la grandezza dell’antica Roma, con un progetto di unificazione dell’Italia centra- le, con assemblee di laici, poi con l’autorità e infine - termina sempre così - con tasse insopportabili che fecero imbestialire il popolo. E da esso fu ucciso. Problemi, come si potrà notare, che con qualche dettaglio in più o in meno saprebbero suscitare complessi dibattiti, ai quali si potrebbe partecipare ancora con l’opera dantesca e con quelle sue preoccupazioni sul potere che continuano a essere attuali. In tal modo questa collana aggiunge dopo Machiavelli e Campanella, Pico della Mirandola e Giulio Cesare Croce, Cardano e Giordano Bruno un autore italiano che ci aiuta a comprendere meglio i confini dell’utopia, ammesso che essa li abbia e concesso che si possano raggiungere. Il suo mondo sembra lontano dal nostro, ma tale è soltanto per gli aspetti tecnici, mentre quelli politici si camuffano e cambiano sembiante per restare uguali nella sostanza. Siamo ricorsi una battuta? No, semplicemente giochiamo con l’utopia, cercando di svelarla o di sbugiardarla anche in quelle opere ormai consegnate alla storia, sulle quali molti pensano si debbano versare soltanto giudizi accademici. Rileggere la Monarchia è comunque anche rivivere una passione, una sconfitta, un sogno, una dimensione perduta. Cercare di attualizzarne i contenuti ci sempre un dovere civile. Accostarsi a quegli antichi argomenti senza le paure filologiche permette di farli ritornare, con il gioco mentale dei confronti, nella nostra realtà. E fatto tutto questo, ci si accorge che si è entrati e usciti dall’utopia; con essa abbiamo pensato. Aver utilizzato Dante non è stato mancanza di rispetto, anzi. Come dire: preferite la compagnia di un grande per comprendere la differenza tra ciò che è reale e quello che non è, tra ciò che speriamo e quanto ci costringe. Ha scritto George Santayana ne La vita della ragione: «una società ideale è un dramma recitato esclusivamente nell’immaginazione». Con Dante, comunque, è un gran bel dramma. Anche se la posta in gioco è sempre la comprensione di cosa sia il potere. dicembre 2015 – la Biblioteca di via Senato Milano el corso degli anni la Biblioteca di via Senato ha raccolto un numero cospicuo di edizioni dantesche. Dante e tutte le sue opere, con ovvia preminenza della Divina Commedia, sono tra i temi cari della biblioteca e ne costituiscono da sempre uno degli argomenti centrali. Sono oltre trecento, per esempio, le edizioni della Commedia: si va da alcuni incunaboli, alle edizioni illustrate del XVI e XVIII secolo, fino ai più recenti testi contemporanei. Arricchiscono il fondo anche prime edizioni in lingue straniere, innumerevoli testi critici, N studi, saggi e apparati bibliografici. Ma Dante è stato anche oggetto di mostre e pubblicazioni da parte di BvS: si segnalano qui la Monarchia (XIV volume della collana “Biblioteca dell’Utopia”) e il catalogo Dante e l’Islam. Incontri di civiltà. • Dante, Monarchia, con il Commentario di Cola di Rienzo e il Volgarizzamento di Marsilio Ficino, Milano, Silvio Berlusconi editore, 2004. XIV volume della collana “Biblioteca dell’Utopia”. La traduzione della Monarchia è di 77 Nicoletta Marcelli e Mario Martelli. La traduzione del Commentarium di Cola di Rienzo è di Paolo D’Alessandro e Francesco Furlan. Il ritratto originale di Dante in antiporta è di Marco Carnà. L’annotazione storico-critica, l’introduzione e la cura generale sono di Francesco Furlan. Il volume è promosso da Publitalia ’80 e coordinato da Marcello Dell’Utri. • Dante e l’Islam. Incontri di civiltà (catalogo dell’omonima mostra tenutasi presso BvS dal 4 novembre 2010 al 27 marzo 2011), con scritti di Giovanni Curatola, Francesca Flores d’Arcais, Farian Sabahi, Tullio Gregory, Milano, Edizioni Biblioteca di via Senato, 2010. 78 la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2015 dicembre 2015 – la Biblioteca di via Senato Milano 79 SPECIALE DANTE ALIGHIERI DANTE NELLE RACCOLTE DI VIA SENATO Catalogo delle edizioni dantesche del XV e XVI secolo GIANCARLO PETRELLA I l Fondo antico della Biblioteca di via Senato custodisce un nucleo nient’affatto disprezzabile di edizioni dantesche, sia per numero sia soprattutto per qualità degli esemplari. Dante rappresenta infatti una delle architravi della raccolta libraria, come suggerisce un rapido computo delle edizioni conservate: oltre trecento edizioni della Commedia, dall’edizione ancora incunabola del 1477, a quelle novecentesche; cui si aggiungono le edizioni delle opere cosiddette minori, tra cui la princeps ancora quattrocentesca del Convivio (1490) e quella primo-cinquecentesca del De vulgari eloquentia in volgare (1529), e alcune centinaia di opere di argomento dantesco, del calibro del Dialogo di Antonio Manetti «circa al sito, forma et misure dello inferno» e parecchie Lecturae Dantis.1 Del Fondo Dantesco si fornisce qui il catalogo delle edizioni dei primi due secoli della stampa tipografica che assomma a 26 edizioni, per un totale di 30 esemplari (di alcune edizioni si conserva infatti più di un esemplare). Si segnala innanzitutto un drappello di 5 edizioni incunabole, rispettivamente la princeps del Convivio sottoscritta a Firenze da Francesco Bonaccorsi nel 1490 e 4 della Commedia: l’importante edizione veneziana licenziata nel 1477 dal tipografo di origini alemanne Vindelino da Spira, la quinta in assoluto dopo le tre edizioni del 1472 e quella napoletana dello stesso anno, la prima accompagnata dal commento di Jacomo della Lana e dalla Vita del poeta di Giovanni Boccaccio; l’edizione veneziana di Ottaviano Scoto del 1484, la seconda corredata del commento del fiorentino Cristoforo Landino, destinato a rapido e duraturo successo; l’edizione bresciana illustrata del 1487 di cui si è già copiosamente discusso in questo fascicolo; infine l’edizione veneziana per i tipi di Pietro Quarengi del 1497, l’ultima del secolo decimoquinto, corredata dal doppio apparato paratestuale, iconografico (100 vignette silografiche a testo) e di glossa (commento del Landino). La Biblioteca di via Senato, tirando le fila, conserva dunque 4 delle 15 edizioni quattrocentesche della Commedia (ricordo al lettore che l’unica biblioteca al mondo a conservarle tutte si trova a poche centinaia di metri da via Senato: è la Biblioteca Trivulziana!). Lo scaffale delle edizioni del secolo XVI non può che essere inaugurato dalla straordinaria aldina del 1502 (si badi con titolo non ancora Divina Commedia, ma Le terze rime), sogno ambito di ogni bibliofilo: prima edizione della Commedia in formato tascabile (in ottavo), nel nuovo carattere corsivo progettato per Aldo Manuzio dall’incisore Francesco Griffo da Bologna, senza commento, così da offrirsi nuovamente ai lettori sgombra da pesanti orpelli eruditi, ma filologicamente presieduta dal magistero di Pietro Bembo. Tascabile e minutissima nel carattere anche l’altrettanto rivoluzionaria edizioncina uscita nel 1515 dai torchi dell’officina aldina a pochi mesi 80 dalla scomparsa di Aldo. Dal titolo esplicito Dante col sito et forma dell’Inferno comprende tre silografie a doppia pagina, che dovevano risultare utilissime al lettore coevo come allo studente di oggi, raffiguranti lo schema dell’Inferno con i relativi gironi, una classificazione dei peccati dell’Inferno e del Purgatorio. Interessante e raffinata la scelta di accostarle l’edizione benacense firmata da Paganino e Alessandro Paganini databile c. 1527-1533 che sostanzialmente riprende nel formato e nelle scelte iconografiche l’aldina del 1515. La tradizione esegetica cinquecentesca è scandita da altrettante significative prime edizioni: la bellissima edizione veneziana illustrata del 1544 per l’editore Francesco Marcolini che offre per la prima volta il commento di Alessandro Vellutello; quella del 1564 curata da Francesco Sansovino che per la prima volta unisce il commento del Vellutello con quello quattrocentesco ancora in voga del Landino; l’edizione veneziana del 1568 che tramanda il commento di Bernardino Daniello da Lucca pubblicata postuma da Pietro da Fino. Altrettanto celebre, ma per ragioni di iconografia dantesca, l’edizione veneziana del 1529 a istanza di Lucantonio Giunta che squaderna al verso del frontespizio, il ritratto del Poeta. La raccolta è inevitabilmente il frutto di acquisizioni disorganiche, che hanno finito con il riaggregare la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2015 estemporanei tasselli di biblioteche e collezioni oggi disperse ma di cui forniscono affidabile testimonianza gli ex libris e le note di possesso. La storia dei singoli esemplari si incrocia o sovrappone pertanto a quella delle edizioni. Si pensi al Dante bresciano del 1487. Della straordinarietà dell’edizione, condotta in porto non senza difficoltà, già si è accennato. La copia di via Senato è latrice di interessanti informazioni circa la sua personalissima storia. Appartenne infatti (forse sin dal XV secolo?) al monastero camaldolese di San Mattia di Murano, la cui biblioteca, attestata sin dal secolo XIII, contava circa 12.000 volumi nel Settecento, come dichiara il catalogo compilato nel 1777. Poi vennero le soppressioni napoleoniche e la gloriosa libraria fu dispersa in mille rivoli. Parecchi volumi riaffiorano ora nelle biblioteche veneziane del Museo Correr e della Marciana, oltre che in biblioteche non italiane. A quella data il nostro Dante non si trovava però già più a Venezia, se infatti oltre alla nota di possesso «Questo Dante è del Monastero de S.to Mattia de Murano», alla c. aa1v (in corrispondenza dell’incipit della seconda cantica) si legge la nota di proprietà del giurista torinese Casimiro Donaudi «Casimiro Donaldi Torinese Baccalare nell’una e nell’altra legge l’anno della nostra salvazione giusta l’Era volgare MDCCLX». dicembre 2015 – la Biblioteca di via Senato Milano Parecchi esemplari confessano provenienze di rango, non solo italiane. Alludo qui innanzitutto all’esemplare del Dante del 1564 che, prima di finire Oltreoceano e poi tornare in Italia, fu nel tardo Ottocento in Francia nelle mani dello scrittore Anatole France (1844-1924) che lo donò alla poetessa e romanziera Anna de Noailles (1876-1933) con dedica «a madame la Comtesse de Noailles a la poétesse genérante et charmante ces oeuvres du poète courtois 27 janvier 1890». Quindi fu da lei donato «a monsieur Lucien Corpechot anti-dreyfusard! En profond remerciement de son amitié … Février 1908». Altri personaggi della cultura d’Oltralpe si affacciano da questo Dante: al foglio di guardia anteriore si leggono le firme di Maurice Barrès (1862-1923), Lucien Corpechot (1871-1944) e soprattutto Marcel Proust. La rara prima edizione della traduzione in castigliano dell’Inferno (Burgos 1515) faceva parte della raccolta di Lord George John Warren (1803-1866), 5th Baron Vernon, raffinato collezionista (suo il codice Poggiali della Commedia ora a Ravenna) nonché appassionato cultore della letteratura italiana e degli studi danteschi e socio corrispondente dell’Accademia della Crusca. Non è dunque un caso che stessa provenienza tradisca la prima edizione dantesca curata dall’Accademia, datata 1595.2 Proprio la seconda copia di quest’edizione «ridotta a miglior lezione dagli Accademici della Crusca» (Firenze, Domenico Manzani, 1595) riserva una piacevole sor- 81 presa filologica: l’esemplare appartenne a monsignor Francesco Nerli, futuro cardinale (1636-1708), il quale, si scopre, fu esegeta dantesco e circa nel 1658 interfoliò quella copia di una dotta, e ancora inedita, lectura Dantis dettata al canonico Matteo Strozzi, come assicura una nota in principio: «Osservazioni di monsignor Francesco Nerli poi cardinale, dettate da esso circa l’1658 al canonico Matteo Strozzi, e giungono fino al principio del canto 22° del Paradiso non essendosi ritrovate le altre restanti». Un raffinato pedigree denunciano anche l’edizione aldina del 1502, con armorial bookplate «Syston Park» che rimanda alla biblioteca della residenza della famiglia Thorold, avviata da Sir John Thorold (1734-1815) e proseguita da Sir John Hayford Thorold (1773-1831);3 e l’edizione veneziana del 1578, con legatura inglese seicentesca con al centro del piatto anteriore l’insegna con motto «Deo et Patriae» di Sir Christopher Hatton (16051670). L’amoroso convivio, Venezia, Niccolò Zoppino, 1529 e l’edizione antologica Prose antiche di Dante, Petrarcha et Boccaccio et di molti altri nobili et virtuosi ingegni, Firenze, Antonio Francesco Doni, 1547 recano invece l’inconfondibile timbro circolare con intestazione lungo la fascia esterna WALTER ASHBURNER FIRENZE del bibliofilo inglese trapiantato a Firenze Walter Ashburner (1864-1936), professore a Oxford e cofondatore del British Institute di Firenze.4 Anche L’amoroso Convivio di Dante, Venezia, Melchiorre Sessa, 1531 fu tra Otto e No- 82 la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2015 (scheda 21); T. NOCITA, Edizioni delle opere di Dante dal 1472 al 2000, in Censimento dei commenti danteschi. 3. Le «Lecturae Dantis» e le edizioni delle opere di Dante dal 1472 al 2000, a cura di Ciro Perna e Teresa Nocita, Roma, Salerno ed., 2012, p. 366. Milano, BvS: esemplare in legatura ottocentesca in marocchino ocra a firma Jeffrey binder; ex libris Hopetoun. vecento sugli scaffali di importanti raccolte private fiorentine: prima in quella del conte e bibliografo Camillo Gustavo Galletti (1805-1868),5 in parte defluita nella strepitosa collezione del barone di origini ungheresi, ma trapiantato a Firenze, Horace Landau (1824-1903).6 L’esemplare figura nel Catalogue des livres manuscrits et imprimés composant la bibliothèque de m. Horace de Landau. Première-Deuxième Partie, (Florence, 1885-1890, I, 163) e nel catalogo di vendita della Biblioteca del barone Landau. Quarta vendita all’asta presso la Galleria Ciardiello Firenze Lungarno Corsini, a cura della Libreria Antiquaria U. Hoepli, 16-18 gennaio 1949, n. 244. Non resta ora che sfogliare il catalogo delle edizioni dantesche quattro-cinquecentesche: SEC. XV 1. Commedia, (comm. Jacomo della Lana), [Venezia], Vindelinus de Spira, 1477. In folio; got.; cc. [376]; fasc. π 8 a-i10 K10 l-m8 n-s10 t8 10 v x-y aa-gg10 hh-ii8 KK-OO10 PP12. GW 7964; BMC V, p. 248; IGI 358; ISTC id00027000; Dante poeta e italiano legato con amore in un volume. Mostra di manoscritti e stampe antiche della Raccolta di Livio Ambrogio. Roma, Palazzo Incontro 21 giugno – 31 luglio 2011, Catalogo, Roma, Salerno Editrice, 2011, p. 34 2. Commedia (comm. Christophorus Landinus), Venezia, Ottaviano Scoto, 23 marzo 1484. In folio; rom.; cc. [270]; fasc. a10 b-z8 &8 A-H8 I-K6; iniziali silografiche. GW 7967; BMC V, p. 279; IGI 361; ISTC id00030000; Dante poeta e italiano, p. 39 (scheda 25); T. NOCITA, Edizioni delle opere di Dante, p. 367. Milano, BvS: esemplare in legatura novecentesca in marocchino verde, a firma Gruel con filettature a secco ai piatti e tagli dorati. 3. Commedia, (comm. Christophorus Landinus), Brescia, Bonino Bonini, 31 maggio 1487 In folio; rom.; cc. [310]; fasc. &8 a-i8 k6 l-r8 aa-mm8 nn4 A6 B8 C-L6; ill. silografiche a piena pagina. SANDER 2312; GW 7968; BMC VII, p. 971; IGI 362; ISTC id00031000; Dante poeta e italiano, p. 39 (scheda 26); G. PETRELLA, Dante in tipografia. Errori, omissioni e varianti nell’edizione Brescia, Bonino Bonini, 1487, «La Bibliofilia», 115 (2013), pp. 167-195; ID., Iconografia dantesca ed elementi paratestuali nell’edizione della Commedia Brescia, Bonino Bonini, 1487, «Paratesto», 10 (2013), pp. 9-36; T. NOCITA, Edizioni delle opere di Dante, p. 367. Milano, BvS: esemplare con legatura ottocentesca in mezza pelle, proveniente dal convento di San Mattia di Murano soppresso a inizio Ottocento come da nota di possesso «Dante del Monasterio di Sancto Mattia de Murano»; l’esemplare fu poi del giurista torinese Casimiro Donaudi. 4. Convivio, Firenze, Francesco Bonaccorsi, 20 settembre 1490 In 4°; rom.; cc. [90]; fasc. a-k8 l10. GW 7973; BMC VI, p. 673; IGI 367; ISTC dicembre 2015 – la Biblioteca di via Senato Milano id00036000; Dante poeta e italiano, p. 135 (scheda 172); T. NOCITA, Edizioni delle opere di Dante, p. 343. Milano, BvS: esemplare in legatura settecentesca in marocchino; ex libris Massimo Listri. 5. Commedia, (comm. Christophorus Landinus), Venezia, Pietro Quarenghi, 11 ottobre 1497. In folio; rom. e got.; cc. [12] CCXCVII (con errori di cartulazione) [1]; fasc. a10 2a-z8 &8 A-I8 k8 L-M10 N6; iniziali silografiche e ill. silografiche a piena pagina e a testo. ESSLING 534; SANDER 2316; GW 7972; BMC V, p. 513; IGI 366; ISTC id00035000; Dante poeta e italiano, p. 42 (scheda 30); T. NOCITA, Edizioni delle opere di Dante, p. 368; Milano, BvS: esemplare con raffinatissima legatura in pelle ottocentesca a imitazione delle legature Canevari rinascimentali con Apollo e Pegaso. SEC. XVI 6. Le terze rime, Venezia, Aldo Manuzio, agosto 1502. In 8°, cc. [244]. ANTOINE-AUGUSTIN RENOUARD, Annales de l’imprimerie des Aldes, Paris, J. Renouard, 1834, n. 34-5; The Aldine Press Catalogue of the Ahmanson-Murphy Collection of Books by or Relating to the Press in the Library of the University of California, Los Angeles Incorporating Works Recorded Elsewhere, Berkeley-Los Angeles-London, University of California Press, 2001, 59; PIERO SCAPECCHI, Annali delle edizioni di Aldo Manuzio, in Serie delle edizioni aldine per ordine cronologico ed alfabetico, Bologna, Arnaldo Forni editore, 2013, n. 62; EDIT16 CNCE 1144. Milano, BvS: esemplare in legatura ottocentesca in pieno vitellino con fregi e ancora aldina ai piatti; tagli dorati e cesellati; iniziali rubricate; privo della marca con ancora aldina all’ultima carta H4v (variante C: EDIT16 CNCE 1144). Ex libris Syston Park che rimanda alla collezione inglese di sir John Thorold (17341815) e del figlio John Hayford Thorold (1773-1831). 7. Commedia, Venezia, Bartolomeo Zani, 1507. 83 In folio, cc. [10] CCXCVIII, ill. (silografie a ogni canto). ESSLING 535; ADAMS D86; EDIT16 CNCE 1147. Milano, BvS: esemplare in legatura ottocentesca in mezza pelle con titulus in oro al dorso e supra libros MDU ai piatti. 8. La traducion del dante de lengua toscana en verso castellano por el reverendo don pero fernandez de villegas arcediano de burgos, Burgos, Fadrique de Basilea, 1515. In folio, cc. [332]. PALAU 68283; ADAMS D115. Milano, BvS: esemplare in legatura ottocentesca in pieno marocchino marrone a firma Francis Bedford. Ex libris con motto «Vernon semper viret» con monogramma VW che rimanda alla collezione dantesca di lord George John Warren Vernon (1803-1866). 9. Dante col sito, et forma dell’inferno tratta dalla istessa descrittione del poeta, Venezia, eredi di Aldo Manuzio e Andrea Torresano, agosto 1515. In 8°, cc. [2] 244 [4], ill.: tre silografie raffiguranti l’Inferno a doppia pagina (cc. H4v-H5r), una classificazione dei peccati nell’Inferno a doppia pagina (cc. H5vH6r) e una classificazione dei peccati del Purgatorio a piena pagina (c. H6v). RENOUARD 73-8; ESSLING 537; SANDER 2321; AHMANSON-MURPHY 136; ADAMS D-88; EDIT16 CNCE 1150. Milano, BvS: esemplare in legatura settecentesca in vitello con fregi in oro; secondo esemplare in legatura settecentesca in piena pergamena con fregi e titulus in oro al dorso, supra libros araldico con motto «Labor ipse voluptas» ed ex libris di Alice Marion Trusted. 10. Dante col sito et forma dell’inferno, [Toscolano Maderno], Paganino Paganini e Alessandro Paganini, [1527-1533]. In 8°, cc. [248], ill.: quattro silografie raffiguranti la topografia dell’Inferno, i cerchi dell’Inferno e del Purgatorio. ADAMS D91; ANGELA NUOVO, Alessandro Paganino (1509-1538), Padova, Antenore, 1990, n. 78, p. 186- 84 187, EDIT16 CNCE 1155. Milano, BvS: esemplare in legatura in marocchino rosso con titulus in oro al dorso; tagli dorati cesellati; supra libros MDU. 11. Comedia di Danthe Alighieri poeta divino con l’espositione di Christophoro landino nuovamente impressa, Venezia, Giacomo Pocatela per Lucantonio Giunta, 1529. In folio, cc. [12] CCXCV [1], ill.: ritratto di Dante al verso del frontespizio e silografie a testo. SANDER 2326; ADAMS D92; EDIT16 CNCE 1159. Milano, BvS: esemplare in legatura settecentesca in piena pergamena rigida con tagli spruzzati di verde e tassello con titulus al dorso. 12. L’amoroso convivio, Venezia, Niccolò Zoppino, 1529. In 8°, cc. [8] 124. SANDER 2330; ADAMS D118; BALDACCHINI 231; EDIT16 A1156; EDIT16 CNCE 1158. Milano, BvS: esemplare con ex libris Franz Pollack-Parnau e timbro del bibliofilo Walter Ashburner. 13. De la volgare eloquenzia, Vicenza, Tolomeo Gianicolo, 1529. In 4°, cc. [26]. MAMBELLI 277; ADAMS D121; EDIT16 CNCE 1160. Milano, BvS: esemplare in legatura moderna in mezza pelle verde con titolo in oro al dorso; ex libris Jacobj Ceruttj. 14. L’amoroso Convivio di Dante con la additione et molti suoi notandi, accuratamente revisto et emendato, Venezia, Melchiorre Sessa, 1531. In 8°, cc. [8] 112. EDIT16 CNCE 1161. Milano, BvS: esemplare con ex libris «Francesco Riccardi de Vernaccia» e nota autografa di possesso «Lucio Punini 1575». Timbro del bibliofilo Gustavo Camillo Galletti (1805-1868) ed ex libris del barone Horace de Landau (1824-1903). la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2015 15. Comedia del divino poeta Danthe Alighieri, con la dotta & leggiadra spositione di Christophoro Landino con somma diligentia & accuratissimo studio nuovamente corretta, & emendata … Aggiuntavi di nuovo una copiosissima tavola, Venezia, Bernardino Stagnino per Giovanni Giolito de Ferrari, 1536. In 4°, cc. [28] 440, ill.: al frontespizio ritratto di Dante in medaglione; silografia a ogni canto. ESSLING 544; SANDER 2327; DE BATINES I, pp. 81-82; MAMBELLI 29; ADAMS D93; EDIT16 CNCE 1162. Milano, BvS: esemplare in legatura ottocentesca in marocchino marrone a firma Ramage London a imitazione di legatura rinascimentale con fregi a secco. 16. La Comedia di Dante Aligieri con la nova espositione di Alessandro Vellutello, Venezia, Francesco Marcolini a istanza di Alessandro Vellutello, 1544. In 4°, cc. [442], ill.: silografie a testo. ADAMS D94; EDIT16 CNCE 1163. Milano, BvS: esemplare in legatura seicentesca in marocchino bordeaux con decorazione in oro ai piatti, tagli spruzzati. 17. Il Dante con argomenti & dechiaratione de molti luoghi nuovamente revisto & stampato, Lyon, Jean de Tournes, 1547. In 16°, pp. 539 [5], medaglione con ritratto di Dante al frontespizio. MAMBELLI 32; ADAMS D96; EDIT16 CNCE 1165. Milano, BvS: esemplare in legatura coeva in marocchino bordeaux con ricca decorazione ai ferri. Secondo esemplare in legatura seicentesca in piena pergamena rigida con nota di possesso (Carlo Giuliani). 18. Prose antiche di Dante, Petrarcha et Boccaccio et di molti altri nobili et virtuosi ingegni, nuovamente raccolte, Firenze, Antonio Francesco Doni, 1547. In 4°, pp. 78 [2], ill.: a c. A1r silografia a piena pagina raffigurante Dante, Petrarca e Boccaccio. EDIT16 CNCE 34179. Milano, BvS: esemplare in legatura pergamena- dicembre 2015 – la Biblioteca di via Senato Milano cea con timbro Walter Ashburner (1864-1936). Presenza di postille coeve. 19. Dante con nuove et utili ispositioni. Aggiuntovi di più una tavola di tutti i vocaboli più degni d’osservatione, che a i luoghi loro sono dichiarati, Lyon, Guillaume Rouillé, 1552. In 16°, pp. 644 [12], ill. : ritratto di Dante a c. a4v, tre silografie a piena pagina all’inizio di ogni cantica. ADAMS D99; EDIT16 CNCE 1168. Milano, BvS: esemplare in legatura in pelle coeva con decorazione a intrecci geometrici dorati e tagli dorati e cesellati con motivo floreale. Secondo esemplare in legatura novecentesca in marocchino con supra libros MDU. Terzo esemplare in legatura coeva in pergamena con ex libris «The Brother Julian F.S.C. Collection, Donated by Mr. Christian a. Zabriskie New York City». 20. Dante con nuove et utilissime annotationi. Aggiuntovi l’indice de vocaboli piu degni d’osservatione, che a i lor luoghi sono dichiarati, Venezia, Giovanni Antonio Morando, 1554. In 8°, cc. 278 [6]. ADAMS D100; EDIT16 CNCE 1169. Milano, BvS: esemplare in legatura ottocentesca in mezza pelle con angoli, supra libros MDU. Nota autografa di provenienza: «P. Leone De Maria Min.». 85 21. Dante con l’espositione di Christoforo Landino et di Alessandro Velutello sopra la sua comedia dell’inferno, del purgatorio, & del paradiso. Con tavole, argomenti, & allegorie, & riformato, riveduto, & ridotto alla sua vera lettura per Francesco Sansovino fiorentino, Venezia, Domenico Nicolini da Sabbio per Giovanni Battista e Melchiorre Sessa, 1564. In folio, cc. [28], 392 (i.e. 396 con errori di cartulazione), ill.: ritratto di Dante al frontespizio in medaglione, silografie all’inizio dei canti. ADAMS D103; MAMBELLI 40; MORTIMER 147; EDIT16 CNCE 1171. Milano, BvS: esemplare in legatura pergamenacea antica con supra libros MDU. Esemplare con lunga trafila di provenienze e dediche francesi e successivo ex libris Robert Woods Bliss e Mildred Bliss, Dumbarton Oaks. 22. Dante con l’espositione di M. Bernardino Daniello da Lucca, sopra la sua Comedia dell’Inferno, del Purgatorio, & del Paradiso; nuovamente stampato & posto in luce, Venezia, Pietro da Fino, 1568. In 4°, pp. [12] 727 [1], ill.: silografia all’inizio delle tre cantiche. ADAMS D104; MAMBELLI 41; EDIT16 CNCE 1172. Milano, BvS: esemplare in legatura in pelle settecentesca con fregi in oro. 86 la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2015 23. Vita Nuova di Dante Alighieri. Con XV. canzoni del medesimo. E la vita di esso Dante scritta da Giovanni Boccaccio, Firenze, Bartolomeo Sermartelli, 1576. In 8°, 2 parti, pp. [8] 116, [4] 80. MAMBELLI 663; EDIT16 CNCE 1176. Milano, BvS: esemplare in legatura pergamenacea con supra libros MDU. Ex libris Biblioteca Banzi; ex libris Ferdinando Belvisi; timbro «Bibliot. Cler. Reg. S. Mich. Flor.». 24. Dante con l’espositioni di Christoforo Landino et di Alessandro Velutello. Sopra la sua comedia dell’inferno, del purgatorio, & del paradiso. Con tavole, argomenti, & allegorie, & riformato, riveduto, & ridotto alla sua vera lettura, per Francesco Sansovino fiorentino, Venezia, eredi di Francesco Rampazetto a istanza di Giovanni Battista e Melchiorre Sessa, 1578. In folio, cc. [28] 392 [i.e. 396], ill.: ritratto di Dante al frontespizio e silografie all’inizio dei canti. ADAMS D108; MAMBELLI 49; EDIT16 CNCE 1177. Milano, BvS: esemplare in legatura pergamenacea ottocentesca. Secondo esemplare con legatura seicentesca in vitello marrone con fregi in oro alle armi di Sir Christopher Hatton (1605-1670); tagli dorati. 25. La Divina Commedia di Dante Alighieri nobile fiorenNOTE 1 Ricordo qui il bel catalogo offerto in occasione della mostra Dante e l’Islam. Incontri di civiltà, Milano, Biblioteca di via Senato Edizioni, 2010. 2 Si veda su di lui la voce a cura di ANTONIO MARZO, in Censimento dei commenti danteschi. 2. I commenti di tradizione a stampa (dal 1477 al 2000) e altri di tradizione manoscritta posteriori al 1480, a cura di Enrico Malato e Andrea Mazzucchi, coordinamento editoriale di Massimiliano Corrado, Roma, Salerno editore, 2014, pp. 226-230. 3 Catalogue of an important portion of the extensive and valuable library of the late Sir John Hayford Thorold, London, Dryden tino ridotta a miglior lezione dagli accademici della Crusca, Firenze, Domenico Manzani, 1595. In 8°, pp. [16] 493 [i.e. 511] [61], ill.: tavola ripiegata raffigurante la pianta dell’Inferno. ADAMS D110; MAMBELLI 51; EDIT16 CNCE 1180. Milano, BvS: esemplare in legatura in mezza pelle antica con ex libris con motto «Vernon semper viret» con monogramma VW del bibliofilo e dantista lord George John Warren Vernon (1803-1866). Con fitte postille. Secondo esemplare in legatura settecentesca in mezzo marocchino marrone appartenuto a monsignor Francesco Nerli, poi cardinale, con la sua nota di possesso e completamente interfoliato con le sue postille dettate al canonico Matteo Strozzi. Successivo ex libris Earl of Guilford con motto «la vertue est la seule noblesse». 26. Dante con l’espositioni di Christoforo Landino et d’Alessandro Vellutello. Sopra la sua comedia dell’Inferno, del Purgatorio et del Paradiso, con tauole, argomenti, & allegorie; & riformato, riueduto, & ridotto alla sua vera lettura, per Francesco Sansouino fiorentino, Venezia, Domenico Nicolini per Giovanni Battista e Giovanni Bernardo Sessa, 1596. In folio, cc. [28], 392 [i.e. 396], ill. ADAMS D111; MAMBELLI 52; EDIT16 CNCE 1181. Milano, BvS: esemplare in legatura seicentesca in piena pelle con fregi in oro ai piatti, supra libros MDU, tagli spruzzati. Press, 1884; SEYMOUR DE RICCI, English collectors of books and manuscripts (1530-1930) and their marks of ownership, Cambridge, University Press, 1930, pp. 159-160; A catalogue of books printed in the fifteenth century now in the Bodleian Library, by Alan Coates et alii, VI, Oxford, University Press, 2005, p. 2924. 4 Bibliothèque Ashburner. Manuscrits et incunables, livres à figures, reliures, Milan, Librairie ancienne U. Hoepli, 1938. 5 GUIDO GREGORIO FAGIOLI VERCELLONE, in Dizionario Biografico degli Italiani, LI, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1998, pp. 583-585. 6 ANITA MONDOLFO, La Biblioteca Landau Fi- naly, in Studi di bibliografia e di argomento romano in memoria di Luigi de Gregori, Roma, Palombi, 1949, pp. 265-285; PIERRE DE MONTERA, D’Horace de Landau a Horace Finaly; une famille étrangère de banquiers, de bibliophiles et d’écrivains, «Rivista di letterature moderne e comparate», XXVII, 1974, pp. 211225; GIOVANNA LAZZI – MAURA ROLIH SCARLINO, I manoscritti Landau Finaly della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, Firenze – Milano, Giunta Regionale Toscana - Ed. Bibliografica, 1994, pp. XVII-XXIV; MAURA ROLIH SCARLINO, Contributo a un inventario virtuale della Biblioteca lasciata da Horace Landau, «Nuovi annali della Scuola speciale per archivisti e bibliotecari», XIV, 2000, pp. 147-181. dicembre 2015 – la Biblioteca di via Senato Milano 87 BvS: il ristoro del buon lettore Il segreto del bosco e di Cima Scotoni Natura e tempo che non passa sulle Dolomiti «A una certa età tutti voi, uomini, cambiate. Non rimane più niente di quello che eravate da piccoli. Diventate irriconoscibili». Forse Christian lo pensa. E, in fondo, ne ha la certezza. Lui che conosce, come pochi, i boschi e le vette delle Dolomiti, fra gli altipiani del Fanes e le cime delle Tofane e di Lagazuoi. Lui sa che questi alberi e queste rocce sono la «foresta più bella». Lui ha sperimentato come solo i più puri - i bambini - possano cogliere l’intrinseca maestosità delle selve di abeti, dei rotolanti ruscelli e delle pareti a strapiombo. Christian Agreiter, che con la moglie, la dolce Manuela, gestisce da anni l’antico rifugio di famiglia il rifugio Scotoni - è come il vento Matteo, uno dei protagonisti ‘non umani’ del racconto Il segreto del bosco vecchio di Dino Buzzati (opera che la Biblioteca di via Senato conserva nella prima edizione del 1935, stampata a Milano per Treves-TreccaniTumminelli). «Eterna voce della foresta nel suo potente respiro», Christian da sempre veglia l’Alta Badia dal suo pianoro, un piccolo regno fatato, ove sorge la sua casa di legno e pietra, «carica di enigmatiche risonanze». GIANLUCA MONTINARO Rifugio Scotoni Alpe Lagazuoi, 2 San Cassiano in Badia (Bz) Tel. 0471/847330 Che si arrivi al rifugio in estate, quando tutto è verde e rosa, o in inverno, quando le forti raffiche di neve uniformano il paesaggio, all’interno il fuoco sempre arde nel grande camino. Sulle braci Christian arrostisce la celebre ‘grigliata Scotoni’. Tagli di chianina e di maiale, con polenta e formaggio. Piatto di sontuosa succulenza, servito su un tagliere di legno scuro, contornato di verdure. Manuela, nell’attesa, avrà lasciato in tavola un assaggio di tartare di manzo, accompagnata da un nonnulla di cipolla tritata e di paprica. O del favoloso speck, tagliato a listarelle (come si usa in Alta Badia) con rafano e pucia. Dalla fornita cantina può giungere un grande rosso: magari un Supertuscan, magari un Percarlo (affinato una deci- na di anni) della fattoria di San Giusto a Rentennano. Infine prima di lasciare la vampa del camino, un dolce kaiserschmarren, con marmellata di mirtilli. Si guarda fuori, verso il bosco, e si respirano i secoli. Nulla sembra mutare fra l’eterno delle vette e delle crode. Christian, come il vento Matteo, sa che piccola cosa è l’uomo: «il tempo meraviglioso s’ingrandisce d’ora in ora, inghiottendo senza pausa la vita, accumulando con pazienza gli anni, diventando sempre più immenso». Sulla porta potrebbe narrare di quando, in piena notte, si ode «il vero silenzio, il solenne silenzio degli antichi boschi, non comparabile con nessun altro al mondo e che in pochissimi hanno udito». Potrebbe anche narrare di quando, «vagando per le vallate deserte», si incontrano «desideri di origine sconosciuta: per esserne infestati basta solo talora aver contemplato a lungo le foreste nei giorni di tramontana, o aver visto nuvole a forma di cono, o essere passati per certi inesplicabili sentieri obliquanti verso nord-ovest». Mi incammino verso valle. «Il vento arriva carico dei profumi del bosco. Mi si attaccano addosso e non riesco a sbarazzarmene»… 88 HANNO COLLABORATO A QUESTO NUMERO CARLO GAMBESCIA Carlo Gambescia è nato e risiede a Roma. Sociologo. Ha all’attivo tra testi scritti, curati e tradotti alcune decine di volumi. Collabora con pubblicazioni scientifiche italiane e straniere e non disdegna di scrivere, se capita, su quotidiani e riviste. Tra i suoi ultimi volumi: Metapolitica; A destra per caso; Centralità marginali; Liberalismo triste. Quando richieste, svolge consulenze editoriali. Nel tempo libero che gli resta, poco per la verità, scrive sul suo blog: http://carlogambesciametapolitics2puntozero.blogspot.it/ la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2015 CLAUDIO BONVECCHIO Claudio Bonvecchio è Professore Ordinario di Filosofia delle Scienze Sociali nell’Università degli Studi dell’Insubria (Varese) dove è anche Coordinatore del Dottorato in Filosofia delle Scienze Sociali e Comunicazione Simbolica. È Direttore Scientifico della rivista «Metabasis». Autore di innumerevoli saggi e pubblicazioni, è direttore di svariate collane editoriali per varie case editrici. È Member dell’Advisory Board della Eranos Foundation di Ascona (Svizzera). ANTONIO CASTRONUOVO Antonio Castronuovo (1954), bibliofilo e saggista, dirige varie collane per la Editrice la Mandragora di Imola e collabora con parecchie riviste. Tra i suoi titoli Libri da ridere: la vita e i libri di Angelo Fortunato Formíggini (2005), Macchine fantastiche (2007), Ladro di biciclette: cent’anni di Alfred Jarry (2008), Alfabeto Camus (2011). Traduttore dal francese, ha da ultimo pubblicato L’incendio e altri racconti di Irène Némirovsky, Il cervello non ha pudore di Jules Renard e Nuove invenzioni e ultime novità di Gaston de Pawlowski. MARCO CIMMINO Marco Cimmino (Bergamo, 1960). Storico, membro della Società Italiana di Storia Militare e socio accademico del Gruppo Italiano Scrittori di Montagna, si occupa prevalentemente di Grande Guerra. Collaboratore Rai, scrive su molte testate. Membro del comitato scientifico del Festival Internazionale della Storia di Gorizia, è uno dei responsabili del progetto èStoriabus. Tra i suoi saggi più recenti: La conquista dell’Adamello (2009), Da Yalta all’11 settembre (2010) e La conquista del Sabotino (2012), finalista al premio Acqui Storia 2013. GUIDO DEL GIUDICE Guido del Giudice (Napoli, 1957), medico e studioso della filosofia del Rinascimento, è considerato uno dei più profondi conoscitori della vita e dell’opera di Giordano Bruno. A lui si devono le prime traduzioni italiane del Camoeracensis Acrotismus (2008), della Summa terminorum metaphysicorum (2010) e degli Articuli adversus mathematicos (2014). Tra le sue numerose pubblicazioni si ricordano: La coincidenza degli opposti (2005), Io dirò la verità (2012) e Il profeta dell’universo infinito (2015). Dal 1998 cura il sito internet www.giordanobruno.com, punto di riferimento per appassionati e studiosi di tutto il mondo. MASSIMO GATTA Massimo Gatta (1959) ricopre l’incarico, dal 2001, di bibliotecario presso la Biblioteca d’Ateneo dell’Università degli Studi del Molise dove ha organizzato diverse mostre bibliografiche dedicate a editori, editoria aziendale e aspetti paratestuali del libro (ex libris). Collabora alla pagina domenicale de «Il Sole 24 Ore» e al periodico «Charta». È direttore editoriale della casa editrice Biblohaus di Macerata specializzata in bibliografia, bibliofilia e “libri sui libri” (books about books), e fa parte del comitato direttivo del periodico «Cantieri». Numerose sono le sue pubblicazioni e i suoi articoli. ENRICO MALATO Enrico Malato, Professore Emerito di Letteratura italiana presso l’Università di Napoli «Federico II», è direttore di alcune fra le più importanti collane editoriali italiane nonché presidente del Centro Pio Rajna e delle Commissioni Scientifiche preposte alle Edizioni Nazionali delle opere di Machiavelli e Aretino. È Vicepresidente della Casa di Dante in Roma. Ha ideato la «Nuova Edizione commentata delle Opere di Dante (NECOD)». Innumerevoli sono le sue pubblicazioni, fra cui: Dante (1999), Studi su Dante. «Lecturae Dantis», chiose e altre note dantesche (2005) Dante al cospetto di Dio (2013). GIANCARLO PETRELLA Giancarlo Petrella (1974) è docente a contratto di discipline del libro presso l’Università Cattolica di Milano-Brescia. Nel 2013 ha conseguito l’abilitazione per la I fascia di insegnamento di Scienze del libro e del documento. È autore di numerose monografie fra cui: L’officina del geografo; Uomini, torchi e libri nel Rinascimento; La Pronosticatio di Johannes Lichtenberger; Gli incunaboli della biblioteca del Seminario Patriarcale di Venezia (2010); L’oro di Dongo ovvero per una storia del patrimonio librario del convento dei Frati Minori di Santa Maria del Fiume (2012). Collabora con «Il Giornale di Brescia» e la «Domenica del Sole24ore». GIANLUCA MONTINARO Gianluca Montinaro (Milano, 1979) è docente a contratto presso l’università IULM di Milano. Storico delle idee, si interessa ai rapporti fra pensiero politico e utopia legati alla nascita del mondo moderno. Collabora alle pagine culturali del quotidiano «il Giornale». Fra le sue monografie si ricordano: Lettere di Guidobaldo II della Rovere (2000); Il carteggio di Guidobaldo II della Rovere e Fabio Barignani (2006); L’epistolario di Ludovico Agostini (2006); Fra Urbino e Firenze: politica e diplomazia nel tramonto dei della Rovere (2009); Ludovico Agostini, lettere inedite (2012); Martin Lutero (2013); L’utopia di Polifilo (2015). Vai al cinema. Paga . Scopri l’iniziativa, la programmazione dei film e le sale aderenti su grandecinema3.it o scarica l’App. In tutti i cinema e nei migliori cinema