la Biblioteca di via Senato
mensile, anno vii
Milano
n. 12 – dicembre 2015
SPECIALE
DANTE ALIGHIERI
Dante, nostro
‘moderno’ Virgilio
di claudio bonvecchio
Pitirim i’ vorrei che
tu, Vilfredo e io...
di carlo gambescia
Dante Alighieri
e l’utopia possibile
di gianluca montinaro
Storia e vicende delle
edizioni dantesche
di enrico malato
La Commedia di
Bonino Bonini (1487)
di giancarlo petrella
Un commentatore
dell’opera di Dante
di antonio castronuovo
La Comedìa di Dante:
vertigine e totalità
di marco cimmino
Giordano Bruno e
‘la Furiosa Commedia’
di guido del giudice
Quando il ’900 mise
Dante sotto torchio
di massimo gatta
Il mistero della
Profana commedia
di antonio castronuovo
Dante nelle raccolte
di via Senato
di giancarlo petrella
ISSN 2036-1394
SPECIALE 750° DANTE ALIGHIERI
la Biblioteca di via Senato – Milano
M E N S I L E D I B I B L I O F I L I A – A N N O V I I – N . 1 2 / 6 7 – M I L A N O , DICEMBRE 2 0 1 5
Sommario
4 SPECIALE DANTE ALIGHIERI
DANTE, NOSTRO
‘MODERNO’ VIRGILIO
di Claudio Bonvecchio
54 SPECIALE DANTE ALIGHIERI
GIORDANO BRUNO E
‘LA FURIOSA COMMEDIA’
di Guido del Giudice
8 SPECIALE DANTE ALIGHIERI
PITIRIM I’ VORREI CHE TU,
VILFREDO E IO...
di Carlo Gambescia
60 SPECIALE DANTE ALIGHIERI
QUANDO IL ’900 MISE
DANTE SOTTO TORCHIO
di Massimo Gatta
14 SPECIALE DANTE ALIGHIERI
DANTE ALIGHIERI
E L’UTOPIA POSSIBILE
di Gianluca Montinaro
70 SPECIALE DANTE ALIGHIERI
IL MISTERO DELLA
PROFANA COMMEDIA
di Antonio Castronuovo
20 SPECIALE DANTE ALIGHIERI
STORIA E VICENDE DELLE
EDIZIONI DANTESCHE
di Enrico Malato
74 SPECIALE DANTE ALIGHIERI
LA MONARCHIA DI DANTE:
DENTRO L’UTOPIA
28 SPECIALE DANTE ALIGHIERI
LA COMMEDIA
DI BONINO BONINI (1487)
di Giancarlo Petrella
42 SPECIALE DANTE ALIGHIERI
UN COMMENTATORE
DELL’OPERA DI DANTE
di Antonio Castronuovo
48 SPECIALE DANTE ALIGHIERI
VERTIGINE E TOTALITÀ
NELLA COMEDÌA DI DANTE
di Marco Cimmino
78 SPECIALE DANTE ALIGHIERI
DANTE NELLE RACCOLTE
DI VIA SENATO
di Giancarlo Petrella
87 BvS: il ristoro del buon lettore
IL SEGRETO DEL BOSCO
E DI CIMA SCOTONI
di Gianluca Montinaro
88 HANNO COLLABORATO
A QUESTO NUMERO
Si ringraziano le Aziende che sostengono
questa Rivista con la loro comunicazione
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Immagine di copertina
Marco Carnà, Ritratto di Dante Alighieri,
dal volume Dante, Monarchia,
Silvio Berlusconi editore, 2004
(collana Biblioteca dell’Utopia)
Stampato in Italia
© 2015 – Biblioteca di via Senato
Edizioni – Tutti i diritti riservati
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11/03/2009
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Editoriale
D
ire che Dante Alighieri (1265-1321)
è patrimonio individuale di ogni
italiano non è fare un’affermazione
sbagliata. Del «ghibellin fuggiasco» tutti
hanno sentito parlare e in tanti hanno letto
almeno qualche riga dalle sue opere (se non
altro sui banchi di scuola). Scritte tanto in
latino quanto in volgare queste ultime hanno –
ininterrottamente per più di sette secoli, e più
che mai oggi – fin dalla loro stesura suscitato
commenti, chiose, glosse e interpretazioni,
configurandosi come fenomeno assoluto di
permanenza culturale e sedimentazione critica.
È quindi giusto che anche «la Biblioteca
di via Senato», nella ricorrenza dei 750 anni
dalla nascita, dedichi un numero monografico
al ‘sommo poeta’. Senza alcuna ‘ottocentesca
retorica’ (alimentata fra gli altri da Giuseppe
Mazzini che, in Dell’amor patrio di Dante,
elevò Dante a esempio di «come si serva la
terra natia e come si viva nella sciagura»).
Ma con tanta passione intellettuale. La stessa
che guidò Jorge Luis Borges alla scoperta di
Dante e dei suoi libri e che lo spinse a scrivere
come la «Commedia, che continuiamo a leggere
e che continua a sorprenderci, durerà oltre la
nostra vita, ben oltre le nostre veglie e sarà
resa più ricca da ogni generazione di lettori».
Gianluca Montinaro
4
la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2015
dicembre 2015 – la Biblioteca di via Senato Milano
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SPECIALE DANTE ALIGHIERI
DANTE, NOSTRO
‘MODERNO’ VIRGILIO
Il cammino terreno e la Pax Dantis
CLAUDIO BONVECCHIO
R
icorre - ma sarebbe, forse,
meglio dire ‘incombe’ - il
750° anniversario della nascita di Dante Alighieri. Il termine
‘incombe’ non è casuale. È stato utilizzato perché, troppo spesso, analoghe ricorrenze si prestano - quasi
fossero una maledizione incombente - per dar sfogo alla vuota retorica
istituzionale o para-istituzionale.
Una retorica in cui le parole si inanellano alle parole, allo scopo, recondito, di glorificare lo scrivente e
non già per ricordare l’oggetto dello
scritto o del discorso. In realtà, questo non dovrebbe mai avvenire e
tanto più non dovrebbe accadere
per un personaggio come Dante che
non è solo il ‘padre nobile’ della lingua italiana ma, anche, un grande e raffinato ingegno:
uno dei maggiori di tutti tempi e di tutte le culture.
La ricorrenza della sua nascita dovrebbe essere,
invece, l’occasione per puntualizzare non solo il significato storico di Dante ma pure l’estrema attualità del suo
magistero: dei suoi insegnamenti. Dante, infatti, con la
sua testimonianza poetica, politica e religiosa ci ha indicato alcune mete che - ancora oggi - si presentano come
talmente scontate da essere irrinunciabili. Anzi - proprio nel momento presente, in cui una crisi generale e
Sopra: Dante Alighieri.
Nella pagina accanto: Giovanni del Ponte (1385-1437),
Dante (miniatura), Firenze, Biblioteca Riccardiana
generalizzata sembra stritolare, con
dita di fiamma, l’Occidente - Dante,
dal ‘profondo abisso del passato’,
pare voglia illuminarci e spingerci
su una strada da percorrere, obbligatoriamente, nella convinzione
che ogni epoca ha avuto (e ha) le sue
crisi. Non a caso, Bernardo di Chiaravalle ricordava, profeticamente, ai
contemporanei e ai posteri che
«Habet mundus iste noctes suas et
non paucas»: «Ha questo mondo le
sue notti e poche non sono». Ce lo
dovremmo ricordare, più spesso.
Proprio per questo, la sapienza di Dante ci insegna che dobbiamo credere nell’Occidente e nella
sua storia, ponendoci sulla scia del
grande teologo Bernardo di Chartres che affermava come «gli uomini sono nani sulle
spalle dei giganti». Dove i ‘giganti’ sono i valori dell’Occidente e della sua storia: oggi misconosciuti e derisi da tutti coloro che credono che solo l’Illuminismo sia
il sole cui rivolgere sguardi e speranze. Mentre i ‘nani’
siamo noi, che tutto dobbiamo alla tradizione greco-romana prima ed ebraico-cristiana poi: senza tralasciare la
grande eredità del Sacro Romano Impero e quella che ci
hanno lasciato gli arabi spagnoli. Anche questa è una lezione che ci viene da Dante: uomo del Medioevo e della
sua cultura, ma di una modernità sconcertante: di cui
dobbiamo ‘far tesoro’.
Ma Dante insegna, ancora, che esiste - in una epoca, la nostra, che ha fatto dello scientismo, del razionali-
6
la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2015
Sopra: Eugene Delacroix (1798-1863), La barca di Dante (1822), Parigi, Museo del Louvre. Nella pagina accanto, in basso:
Dante Gabriele Rossetti (1828-1882), Salutatio Beatricis (1859), Ottawa, National Gallery of Canada; sopra: Frontespizio
del I tomo de La Divina Commedia, stampata a Parigi da Marcel Prault de Saint Germain, 1768 (Milano, Biblioteca di via
Senato)
smo e di un banale neo-positivismo la sua humana religio
- una sfera spirituale (la “Divina Commedia” degli uomini) che noi non possiamo né ignorare né, tanto meno,
abrogare. Questa ‘sfera spirituale’ coincide con quella
‘divina armonia’ in cui tutte le persone, di ogni epoca,
hanno una loro collocazione, un loro compito e una loro
umana vocazione. Vocazione che li dovrebbe spingere a
farsi - come Dante - “Fedeli d’Amore”. Questa ‘divina
armonia’ coincide con il destino dato all’Umanità e che
l’Umanità stessa deve contribuire a forgiare: in una continua interazione tra Microcosmo e Macrocosmo. Dante, insomma, ci invita a ri-spiritualizzare un mondo in
cui ciascuno deve occupare il posto che si sceglie con il
suo pensiero e con le sue azioni. Se questo posto è situato
all’Inferno, al Purgatorio o al Paradiso, alla fine poco importa. Ciò che conta, comunque, è il senso e la pienezza
di una vita che non può essere spesa nel mero consumismo, annebbiata dalla pubblicità, annichilita dal conformismo, omologata nella banalità o spesa nell’adorazione
del Moloch tecnologico. Come avviene.
Dante, infine, ci ricorda - e lo fa nel Monarchia,
nella Commedia e non solo - la necessità che la società
(ma meglio e più correttamente si dovrebbe dire la comunità) realizzi il bonum commune: una vita, individuale
dicembre 2015 – la Biblioteca di via Senato Milano
e collettiva, migliore e più giusta. Ma per raggiungere
questo scopo, la società (la comunità) deve essere guidata dal ‘sole’ e dalla ‘luna’ o, se si preferisce, dalle «due
spade»: il potere temporale e quello spirituale che, ai
suoi tempi, erano rappresentati dall’Imperatore e dal
Papa. In termini moderni, questa esigenza è immutata.
Immutata è la necessità che esistano - e siano giusti, forti e operativi - il potere politico e
quello del pensiero. E non già un
potere del pensiero asservito a
quello politico o un potere politico
prono al volere di quello del pensiero, per lo più coincidente con
quello dell’ideologia: che è tutt’altro dal pensiero. Noi invece abbiamo sperimentato e sperimentiamo
ancora - in Europa e, soprattutto,
in Italia - questa nefasta commistione, in cui l’ideologia, alleata
con il conformismo, tende a soffocare ogni voce libera, piegando il
potere politico a sé e utilizzandolo
come il proprio braccio armato. Il
risultato è che l’ideologia fattasi
pensiero, non potendo più togliere
la vita, come in passato, cerca di
soffocare la parola e il pensiero ge-
7
nuino, condannando all’oblio e all’esclusione chi rifiuta ogni allineamento. Come è avvenuto, in altre forme e
in altri tempi, con l’esilio coatto di Dante. Nihil novum
sub sole, dunque. E si potrebbe continuare all’infinito.
Come si può notare, Dante si rivela un grande e
attuale Maestro. Un Maestro che parla con la sua vita e
con i suoi scritti che affascinano e coinvolgono, che ammaestrano e allietano, che redarguiscono e mettono in guardia. Dante,
con il suo messaggio meta-temporale, ci presenta - con vis poetica, ma
con estrema crudezza - ciò che noi
siamo e, parimenti, ciò che potremmo (e dovremmo) essere. Per questo vorremmo che fosse il nostro
‘moderno’ Virgilio e che ci conducesse - come fece con lui il suo antico mentore - nel viaggio della nostra esistenza terrena, aiutandoci a
superare gli scogli, gli ostacoli e gli
abissi della realtà che stiamo vivendo: la nostra realtà. Questo per potere, come Lui, alla fine del viaggio,
aspirare a «riveder le stelle» e conseguire finalmente la pace che tutti
desideriamo come il bene più prezioso: la Pax Dantis.
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la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2015
dicembre 2015 – la Biblioteca di via Senato Milano
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SPECIALE DANTE ALIGHIERI
PITIRIM I’ VORREI CHE TU,
VILFREDO E IO...
Per una lettura sociologica dell’opera di Dante
CARLO GAMBESCIA
D
ante Alighieri, croce e delizia dello studente prima
del 1968… Perché i ragazzi nati dopo e usciti da licei buonisti intitolati ai due Kennedy, Martin Luther King, Nelson Mandela,
lo hanno riscoperto, grazie, si far
per dire, alle ‘pubbliche letture’
dell’attore Benigni. Senza magari
sapere che la prima Lectura Dantis,
storicamente parlando, fu tenuta
dal Boccaccio, nell’anno di grazia
1373.1 Che dire? Ogni tempo ha i
conferenzieri che si merita (e si potrebbe pure aggiungere, gli uditori…).
Chiediamo scusa per lo sfogo
stile professore in pensione. In realtà, non è così. Fucile scarico: desideriamo solo scrivere dei sedimenti sociologici presenti in Dante. Deformazione professionale? Forse. Però si può trattare di
felix culpa. Un modo, insomma, per invitare a rileggere
Dante con occhi diversi.
Sopra: frontespizio de La Divina Commedia con brevi e
chiare note, Bologna, Luigi Gamberini e Gaspare
Parmeggiani, 1826 (Milano, Biblioteca di via Senato).
Nella pagina accanto: Le Arpie, il bosco dei suicidi, Lano
Maconi e Iacopo da Santo Andrea (Inferno, canto XIII),
miniatura di scuola ferrarese (Guglielmo Giraldi e aiuti,
1478 circa), Roma, Biblioteca Apostolica Vaticana, cod.
Urbinate Latino 365, c. 33 r.
Due premesse. La prima. Secondo Augusto del Noce, con Dante si chiude il primo grande ciclo
del pensiero politico occidentale:
quello che va da Platone a Dante. E
se ne apre un altro, che da Marsilio
Ficino giunge fino a noi. Scrive Del
Noce: «Il primo incorpora la politica nella morale, vista come rispetto di un ordine assoluto di valori; e
intende questa incorporazione come lotta continua per la giustizia
contro la cupiditas. Il secondo, o distingue politica da morale, o incorpora questa in quella, parlandone
come di una conformità a un ‘senso
della storia’, in divenire verso la
realizzazione della giustizia».2
Perciò, se in Dante, pensatore del primo ciclo,
persiste una qualche traccia sociologica, per riprendere il titolo di un celebre libro di don Luigi Sturzo, è rinvenibile in una sociologia del soprannaturale.3 Tradotto: nell’Alighieri, il senso di ogni azione sociale resta
metastorico, non storico. Sul punto poi ritorneremo.
Seconda premessa: per inseguire questa traccia,
resta utile la dicotomia, introdotta da Benedetto Croce, a proposito della Commedia (ad aggiungere Divina,
come è noto, furono i posteri), tra il senso poetico universale e la sua struttura di «romanzo teologico». Osserva Croce: «Si potrebbe forse acconciamente chiamare, questo lavoro compiuto da Dante, un ‘romanzo
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sociologico’, o ‘etico-politico-teologico’ in analogia
dei romanzi ‘scientifici’ o ‘socialistici’, che si sono scritti nei tempi a noi vicini e si scrivono ancora, il fine dei
quali è divulgare e rendere altrui accetto e desiderabile
qualcosa che si crede o si desidera, presentandolo con
l’aiuto dell’immaginazione. Mutati i tempi e gl’interessi degli uomini, diventate le scienze naturali e le disquisizioni sociologiche ciò che un tempo furono la teologia e i problemi della salvazione dell’anima, romanzi
teologici ora non se ne compongono più; ma parecchi
se ne composero nel corso del medioevo e questo di
Dante fu di gran lunga il più ricco di tutti, il più grandioso e meglio architettato».4
Diciamo che Croce, pur criticando, non sempre
giustamente, Dante, come pensatore del primo ciclo in
nome dei valori del secondo ciclo del pensiero occidentale - in parte condivisi dal grande filosofo - coglie un
aspetto fondamentale: quello della struttura sociologi-
ca della Commedia. Però, ecco il punto, quella «struttura sociologica», va interpretata non come utopia ma
quale «sociologia del soprannaturale».
A questo punto il lettore - ovviamente non quello
con studi al liceo Bobby Kennedy - si interrogherà intorno allo scopo di questo tour de force che si è già mangiato buona parte dello spazio accordatoci. Rispondiamo subito, semplificando, forse troppo: la struttura trinitaria - ecco il soprannaturale… - della Divina Commedia, tra l’altro già ben evidenziata da un dantista del calibro di Mario Apollonio,5 rinvia all’opera di uno dei
più importanti sociologi del secolo scorso: Pitirim A.
Sorokin. Insomma, c’è consonanza. Persino biografica.
Anche Sorokin fu un esule, costretto a trasferirsi all’inizio degli anni Venti negli Stati Uniti, dalla Russia in
fiamme: l’alternativa era la fucilazione. Non tornerà
più in patria. Ma anche in America si farà molti nemici
per le sue idee e posizioni che precedono di decenni gli
sferzanti giudizi di Solženicyn sul materialismo occidentale. Ma anche, come anticipato, rispondenza nel-
dicembre 2015 – la Biblioteca di via Senato Milano
11
Nella pagina accanto: Henry Holiday (1839-1927), Dante incontra Beatrice (1883), Liverpool, Walker Art Gallery
Sopra dall’alto: Baccio Baldini (1436-1487), La porta dell’Inferno, incisione su disegno di Sandro Botticelli (1445-1510),
eseguita per l’edizione della Commedia col commento di Cristoforo Landino, stampata a Firenze il 30 agosto 1481 da
Nicolò di Lorenzo di Alemagna (o dalla Magna); il celebre sociologo russo Pitirim Sorokin (1889-1968), in una foto del
1920 circa. Sopra a destra: incipit dell’Inferno, pagina miniata di scuola fiorentina (fine XIV secolo), Roma, Biblioteca
Apostolica Vaticana, codice Vaticano Latino 4776, c. 1 r.
l’approccio cognitivo. Benché, a dire il vero, Sorokin
definì sbrigativamente Dante, citando dal Monarchia,
«scrittore antimilitarista».6 Inciso: in merito al giudizio, non sempre benevolo, di altri sociologi sull’Alighieri, torneremo nelle conclusioni.
Entriamo nel merito. Dante, sviluppa il suo poema articolandolo in tre cantiche: si va dal materialismo,
non privo di oscenità, dell’Inferno, al graduale abbandono del mondo sensistico via Purgatorio, per giungere, per gradi, fino alle ascetiche vette del Paradiso, il
mondo ideale della contemplazione assoluta. Anche
Sorokin, nella sua Dynamics,7 in qualche misura vero
poema sociologico, distingue tre approcci alla realtà,
individuali ma anche collettivi fino al punto di incarnare lo spirito stesso di una civiltà: sensistico (vincolato ai
desideri materiali), idealistico (un mix scalare di sensi,
ragione, intuizione), ideazionale (contemplativo).
Dante, a sua volta, grazie alle energiche figure di anime
dannate schiave dei sensi, di anime pentite in attesa di
perdere le catene terrene, di anime gloriose illuminate
da Dio, delinea le tipologie culturali del male, del pentimento, della contemplazione. Allo stesso modo, Sorokin tratteggia - precorrendo il Nisbet della sociologia come forma d’arte8 - alcuni tipi di personalità cultu-
12
la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2015
rale: dal sensista, sempre diviso tra continenza e incontinenza, fermissimo, però, nel ridurre tutto al possesso;
all’ideazionalista, che contempla il puro ideale; per finire con l’idealista, che mescola, con raro equilibrio,
passione, ragione e intuizione di una realtà superiore.
NOTE
1
D. Mattalia, Dante Alighieri, in W. Binni ( a cura di), I classici italiani nella storia
della critica, Firenze, La Nuova Italia, 1974,
p. 10.
2
Augusto Del Noce, Dante (1971), in Id.,
Rivoluzione, Risorgimento, Tradizione, Milano, Giuffrè Editore, 1993, p. 325.
3
Luigi Sturzo, La vera vita. Sociologia
del soprannaturale, Bologna, Nicola Zanichelli Editore, 1960.
4
Sono due sociologie, ripetiamo, tese verso l’alto: si volgono a un uomo che non deve mai dimenticare la sua
natura soprannaturale ma neppure ignorare che la vicenda umana si dipana, sociologicamente, sulla terra:
quell’«aiuola», se vista dal Cielo, «che ci fa tanto fero-
Benedetto Croce, La poesia di Dante,
Bari, Editori Laterza, 1921, pp. 47-65. La definizione e le parole di Croce fanno tuttora
rumore.
5
Mario Apollonio, Dante, in AA.VV.,
Storia letteraria d’Italia, Milano, Vallardi,
1965. L’ Apollonio, forse esagerando, allarga lo schema della meditazione trinitaria
all’intera opera di Dante, in particolare alla
Vita Nuova (sotto il segno dell’Amore), alla
Commedia (sotto il segno del Figlio), alla
Monarchia (sotto il segno del Padre); cfr.
Ibid., I, pp. 255-262.
6
Pitirim A. Sorokin, Storia delle teorie
sociologiche, Roma, Città Nuova Editrice,
1974, p. 342.
7
Id., Social and Cultural Dynamics, New
York, The Bedminster Press, 1937-1941.
8
Robert Nisbet, La sociologia come forma d’arte, Roma, Armando Editore, 1981.
9
Pitirim A. Sorokin, Social and Cultural
Dynamics, cit. , IV, pp. 775-779.
dicembre 2015 – la Biblioteca di via Senato Milano
13
Nella pagina accanto da sinistra: Incipit del Paradiso,
reading Dante» si trova davanti «a fabric full of beauties but without beauty in outline: a gorgeous dress ill
made up».11 Bocciato, insomma. Weber, per la serie
nessuno è perfetto, citando dalla chiusa della Commedia, oppone il Dante contemplativo (e potenzialmente
anticapitalista) al puritano Milton di Paradise Lost: «la
Divina Commedia del Puritanesimo», quindi pro e proto capitalista.12 Tarde, acuto studioso dei fenomeni giuridici, invece è più generoso: inserisce Dante per l’italiano, con Pascal, Corneille e Racine per il francese, Cicerone e Virgilio per il latino, tra i «rimodellatori» della lingua, i quali sono simili ai grandi legislatori della
storia.13 Simmel, sembra aver letto, una seconda volta,
addirittura in italiano, la Commedia.14 Quindi apprezzava Dante. Infine, l’apoteosi, Pareto e Mosca: il primo
cita copiosamente Dante nel Trattato di sociologia generale15 e in altri suoi importanti lavori.16 Il secondo lo
menziona meno, ma sempre nella maniera più brillante
e opportuna, sia nella Teorica dei governi e governo parlamentare che negli Elementi di scienza politica.17 Ad esempio, Pareto usa Dante per fustigare, con citazioni ad hoc
la borghesia decadente,18 la quale come, Filippo Argenti, «e ‘l Fiorentino spirito bizzarro / in sé medesimo si
volvea co’ denti» (Inferno, VIII, vv. 62-63). Mosca, altro
esempio, usa l’Alighieri a icastica riprova delle grandi
costanti della scienza politica, ossia della persistenza
delle ragioni politologiche « per ch’una gente impera
ed altra langue»19 (Inferno, VII, v. 82).
Inutile, infine, cercare Dante, nella manualistica
sociologica contemporanea. Parliamo di studiosi che,
purtroppo, hanno studiato alla Bobby Kennedy… Perciò, caro lettore, «non ragioniam di lor, ma guarda e
passa» (Inferno, III, v. 51).
miniatura di scuola veneta contenuta in un codice
pergamenaceo della seconda metà del XIV secolo, Padova,
Biblioteca del Seminario Vescovile, ms. 9; ritratto di
Dante, in antiporta ai tre volumi della Divina Commedia,
stampati a Padova da Giuseppe Comino,
1726-1727 (Milano, Biblioteca di via Senato)
ci» (Paradiso, XXIII, v. 151).
C’è però una differenza. In Dante, il percorso è lineare, dal basso verso l’alto, come si evince da questi
versi: «Giù per lo mondo sanza / fine amaro [nell’Inferno]/ e per lo monte del cui bel cacume / li occhi della
mia donna mi levaro» [dal Purgatorio, grazie a Beatrice, per salire in Paradiso] (Paradiso, XVII, vv. 112-115).
Per Sorokin, invece, il «grande mistero socioculturale»
legato al «perché», noto solo a Dio, della transizione da
un tipo di sistema socioculturale all’altro, trova la sua
spiegazione, nella sequenza uniforme - come egli scrive
- «crisi, catarsi, carisma e resurrezione», alla quale sono obbligate, per riscattarsi dal loro peccato di finitezza, tutte le civiltà umane, condannate a nascere, sviluppare e dissolversi.9 Riassumendo: in Dante si ascende,
in Sorokin si fluttua, ma sempre dando del tu al soprannaturale.
Dicevamo del giudizio di alcuni sociologi sull’Alighieri. Comte, pur apprezzandone il pensiero, «eccelso
spirito», incasella Dante tra gli «spiriti metafisici», nonostante quel suo essere, scrive, «scarsamente favorevole allo spirito veramente cattolico».10 Probabilmente, un complimento, o quasi. Invece, Herbert
Spencer, senza tante cerimonie, asserisce che «when
10
Auguste Comte, Corso di Filosofia Positiva, Torino, Utet, 1967, II, Lezione 56°, pp.
286-288.
11
Herbert Spencer, An Autobiography,
London, William and Norgate, 1904, I, pp.
262-263.
12
Max Weber, L’etica protestante e lo
spirito del capitalismo, Firenze, Sansoni,
1965, pp. 158-159. Per una lettura diversa,
se non addirittura riabilitativa, cfr. Oscar
Nuccio, Il pensiero economico italiano, 1. Le
fonti (1050-1450), Cagliari, Edizioni Gallizzi, 1985, II, pp. 1879-1920.
13
Gabriel Tarde, Logica sociale, in Id.,
Scritti sociologici, Torino, Utet, 1976, p. 471.
14
George Simmel, La filosofia del denaro, Torino, Utet, 1977, p. 57.
15
Vilfredo Pareto, Trattato di sociologia
generale, Torino, Utet, 1988.
16
Id., Scritti sociologici, Torino, Utet,
1965.
17
Gaetano Mosca, Scritti Politici, Tori-
no, Utet, 1982.
18
Vilfredo Pareto, Il mito virtuista, in Id.,
Scritti sociologici, cit., p. 636.
19
Gaetano Mosca, Elementi di scienza
politica, in Id., Scritti politici, cit., II, p. 1048.
Ma si vedano anche le pagine che Mosca
dedica al Monarchia, «opera importantissima» nella sua Storia delle dottrine politiche
(Bari, Editori Laterza, 1972, pp. 84-85).
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la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2015
dicembre 2015 – la Biblioteca di via Senato Milano
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SPECIALE DANTE ALIGHIERI
DANTE ALIGHIERI
E L’UTOPIA POSSIBILE
L’uomo e la monarchia universale
GIANLUCA MONTINARO
D
ante: un utopista? Una domanda che è lecito porsi,
anzi necessario, in relazione tanto alle vicende dell’uomo
quanto alle opere dell’intellettuale.
Come noto il ‘sommo poeta’
ebbe parte attiva nella vita politica
del comune della sua città, Firenze,
giungendo a ricoprire - seppure per
breve tempo, nell’anno 1300 - la
carica di Priore, ovvero la suprema
magistratura dello Stato. Pur da
quella posizione Dante non riuscì a
porre pace fra le fazioni che, ormai
da tempo, si stavano affrontando in
una pericolosa lotta per il potere
che stava precipitando Firenze nel
caos. Gli effetti nefasti presto si videro. Il prevalere del partito dei Neri (appoggiato dal
legato pontificio Carlo di Valois) su quello dei Bianchi
scatenò ritorsioni e vendette. In molti, fra cui lo stesso
Dante (che in quel momento si trovava in missione a
Roma), ne fecero le spese. Accusato di «baratteria, frode, falsità, dolo e pederastia», venne prima raggiunto
da una condanna in contumacia al confino e quindi,
Nella pagina accanto: Cacciaguida e Firenze antica (Paradiso,
canti XV-XVI), miniatura di scuola settentrionale (1456),
Firenze, Biblioteca Laurenziana, cod. Laur. Plut. 40.1, c. 273
r. (part.). Sopra: Federico Faruffini (1833-1869), Ritratto di
Dante Alighieri, ispirato ai disegni di Giotto e Pietro Lombardo,
tratto dalla Commedia, con ragionamenti e note di Niccolò
Tommaseo, Milano, Francesco Pagnoni, 1868
avendo scelto, indignato, di non
presentarsi di fronte al tribunale,
preferendo l’esilio, da una seconda
condanna: la morte sul rogo.
Cominciò per Dante il lungo
peregrinare da una corte all’altra, in
cerca di ospitalità e protezione. E,
benché non smise mai di sognare il
rientro a Firenze, l’amata patria, rifiutò sdegnosamente l’amnistia del
1315 che, come prezzo, aveva l’umiliante pubblico riconoscimento della propria colpevolezza. Però fu certo in seguito al tragico evento della
condanna e all’ingiustizia della pena
che Dante prese a ragionare, in
quelle che sarebbero state le sue
opere più importanti, sulla natura
dell’uomo e sulle caratteristiche del potere: ormai corrotto il primo e quasi irrimediabilmente deviato il secondo. Come era stato possibile che proprio lui, Dante,
che tanto fedelmente aveva servito la repubblica fiorentina, fosse stato allontanato con accuse sì false e ridicole? Perché i suoi concittadini, che pure ben lo conoscevano, non avevano fatto sentire il proprio dissenso?
Qual era «la cagion che il mondo» aveva «fatto reo»? E,
soprattutto, come avrebbe potuto essere altrimenti?
È probabile che nella mente di Dante, ormai lontano da Firenze, si sia fatto strada un paragone non del tutto sbagliato. Un paragone con un altro martire innocente del potere deviato e della corruzione dell’uomo: Socrate. Anche il filosofo ateniese era stato vittima di un
nuovo regime - quello democratico - instauratosi, dopo
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la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2015
Sopra: Dante e le tre fiere, dall’Inferno, nella versione di Giorgio Petrocchi, illustrata da Monika Beisner, Arbizzano,
Stamperia Valdonega, 2005, edizione privata (Milano, Biblioteca di via Senato). Nella pagina a destra: Domenico di
Michelino (1417-1491), Dante e il suo poema (affresco, 1465), Firenze, cattedrale di Santa Maria del Fiore
l’esperienza oligarchica dei Trenta tiranni, nell’Atene del
399 a.C. Ed è pure probabile che, come l’allievo prediletto di Socrate, Platone, si sia a lungo interrogato nei suoi
dialoghi sul perché la città attica avesse condannato un
uomo giusto, un esempio di virtù da additare ai giovani, e
non di pericolosa corruzione come sostenuto da Meleto,
così Dante pensò e ripensò alla propria vicenda, ponendola come punto di partenza per riflettere sull’umanità
divisa e corrotta e sul potere superbo e avido.
Socrate e Platone: due figure che compaiono (certo non con il riguardo che il ‘sommo poeta’ tributa ad
Aristotele) tanto nella Commedia (nel IV canto dell’Inferno) quanto soprattutto nel Convivio. In quest’ultimo,
ragionando sulla nobiltà (che non è solo privilegio di
sangue ma conquista personale attraverso l’esercizio
della virtù), Dante riconosce a Socrate un «posto privilegiato in ragione della testimonianza da lui resa alla
virtù. Perché, dice infatti il ‘sommo poeta’, parlare di
Democrito, di Platone, di Aristotele, che posero la sapienza al di sopra di tutto, “quando troviamo li altri che
per questi pensieri la loro vita disprezzaro, sì come Zeno, Socrate, Seneca, e molti altri?”.
Dante non pagò con la vita la propria fedeltà alla
«virtù» ma l’esilio certo dovette sembrargli una pena
paragonabile alla morte se (sempre nel Convivio) ebbe a
scrivere che a Firenze avrebbe desiderato «con tutto lo
cuore di riposare l’animo stancato e terminare lo tempo
che m’è dato». Sappiamo che, almeno fisicamente, nella
‘corrotta’ città toscana, Dante non fece rientro. Ci tornò
invece più volte, letterariamente, nelle sue pagine che
abbondano di riflessioni e ricordi. Come quello di Cacciaguida che, nel Paradiso, narra della antica Firenze, «in
pace, sobria e pudica», ove non c’era pericolo di esilio e
tutti erano certi «de la sepoltura», ove «la cittadinanza,
dicembre 2015 – la Biblioteca di via Senato Milano
che ora è mista», era «pura» perché tutte le più nobili famiglie discendevano direttamente da Ugo il Grande di
Toscana, ove quindi in generale non esisteva «cagione
onde piangesse». Ma anche di invettive e presagi, come
quello, terribile, annunciato da Ciacco (VI canto dell’Inferno) al quale addirittura «ripugna pronunciare il nome
della città tanto essa ora “è piena d’invidia sì che già trabocca il sacco”» e tanto i suoi abitanti «son tra l’anime
più nere», in preda a «superbia, invidia e avarizia».
Ma Firenze non è altro che lo specchio del mondo,
in preda ai tre peccati - le tre fiere - che travagliano gli
uomini, li smarriscono nella «selva oscura», impedendo
loro di salire la vetta del colle, vestita «già de’ raggi del
pianeta che mena dritto altrui per ogne calle». Come la
nobile Firenze del passato non esisteva più, così nel
mondo erano tramontati i valori aristocratici e cavallereschi che fino a poco prima lo avevano guidato. Arginare
la deriva tornando a quel passato, cortigiano e feudale,
che fino ad allora aveva retto la società? Troppo tardi, un
adynaton: mercanti e banchieri, senza titoli né scrupoli, si
erano ormai impadroniti del mondo. Forse più possibile
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sperare in un elemento esterno, una entità forte, così potente e autorevole da porre un argine all’avidità che pervadeva il mondo, alle divisioni che lo dilaniavano, alle ingiustizie che lo offendevano: l’impero universale.
Se il fine di ogni individuo è la propria felicità - sostiene il ‘sommo poeta’ - essa si può conseguire solo in un
clima di pace e di soddisfazione diffusa. E solo una condizione può permettere il raggiungimento di questo stato:
la presenza di un potere provvidenziale, «un principato
unico al di sopra di tutte le realtà politiche». Un’utopia,
quella di Dante. Un’utopia che affonda le sue radici nel
vissuto del poeta e nel momento storico. Un’utopia che
non si pone sotto il segno della fattibilità quanto della necessità. Il ragionamento sillogistico alla base della Monarchia fa infatti derivare la individuale «felicità dal sommo
bene che è la pace universale». Essa è nient’altro che
«massimo grado di unità», assenza di conflitto, concordia
e armonia generale (secondo un cliché che sarà ripreso in
epoca umanistica e rinascimentale). E per raggiungere
queste condizioni «conviene che uno solo sia colui che
regola, ovvero colui che regge, e questo si deve chiamare
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Sopra: Limbo: la ‘bella scola’ e il ‘nobile castello’ (Inferno,
canto IV), miniatura di scuola toscana, attribuita a Priamo
della Quercia (1450 ca.), Londra, British Museum, codice
Yates Thompson 36, c. 7 v.
A sinistra: Giorgione (1478-1510), I tre filosofi (1508 ca.),
Vienna, Kunsthistorisches Museum, (part.)
“monarca” o “imperatore”».
Utopia o degenerazione utopistica? Non a caso
Dante pone una condizione: che il monarca sia giusto di
natura. E tale non potrebbe non essere visto che, «avendo
tutto e non avendo nulla da poter desiderare (la sua giurisdizione termina solo con l’Oceano)», il monarca «ha allontanato da sé del tutto la cupidigia», il peggiore dei mali, la malattia che si insinua nel cuore dell’uomo pervertendolo e circuendolo. Aggiunge inoltre il ‘sommo poeta’
che l’imperatore deve avere un’altra caratteristica: «la carità o retto amore». E non potrebbe non averla perché
necessariamente il genere umano «da lui è, o deve essere,
massimamente amato».
Solo così gli uomini, ora in pace e felici, potranno
esercitare il loro arbitrio, finalmente davvero libero perché svincolato dagli appetiti dell’avidità e della cupidigia.
«La libertà - ricorda Dante - è il più grande dono elargito
da Dio alla natura umana (come già ho detto nel Paradiso
della Commedia) perché grazie a esso siamo felici qui in
quanto uomini». Solo così gli uomini potranno «sussistere per sé», liberi di agire per il supremo Bene.
Un’utopia reazionaria, quella di Dante, come
scritto anche da Edoardo Sanguineti? Certo, reazionaria nella misura in cui lo è la normale tensione conservatrice insita in ogni individuo libero che desidera feli-
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Sopra da sinistra: Il nobile castello (Inferno, canto IV),
miniatura di scuola fiorentina (fine XIV secolo), Roma,
Biblioteca Apostolica Vaticana, codice Vaticano Latino
4776, c. 13 v.; Dante e le tre fiere, incipit dell’Inferno,
miniatura di scuola senese (1345), Firenze, Biblioteca
Laurenziana, cod. Laur. Plut. 40.3, c. 1 r. A destra:
Cacciaguida e Firenze antica (Paradiso, canti XV-XVI),
miniatura di scuola settentrionale (1456), Firenze,
Biblioteca Laurenziana, cod. Laur. Plut. 40.1, c. 273 r.
cità, pace e concordia, per sé e per la propria patria. E
quindi, o meglio, un’utopia - come detto poco innanzi necessaria. Tanto ad annientare le ingiustizie quanto a
evitare sedizioni e ribellioni. In caso contrario gioco facile avrebbero demagoghi e tribuni della plebe a titillare, negli istinti più turpi, le masse, facendo leva su invidia e avidità. E difatti, di lì a poco, la Storia ne avrebbe
portato esempio, sia a Firenze, col Tumulto dei Ciompi
e, nel secolo successivo, con l’esperienza savonaroliana,
sia a Roma, con Cola di Rienzo.
Forse solo un appunto (ma non secondario!) si potrebbe muovere a Dante. Quello di non aver compreso
fin da principio che il suo discorso, che ha per «materia la
politica», avrebbe dovuto essere primariamente ordinato
a fini speculativi, secondo l’insegnamento platonico,
piuttosto che pratici. Giusto l’opposto ebbe a scrivere il
‘sommo poeta’. Capì poi, coi fatti, come inevitabilmente
ogni teorizzazione politica sia condannata a rimanere
sempre sulla carta, perché il mondo del divenire storico il mondo degli uomini - vive di perenne conflitto. E come
tutte le utopie mutino, alla stregua degli uomini, la propria natura: da perfetta a sempre perfettibile.
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la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2015
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SPECIALE DANTE ALIGHIERI
STORIA E VICENDE DELLE
EDIZIONI DANTESCHE
Dalla stampa di Pietro Bembo alla “NECOD”
ENRICO MALATO
«Onorate l’altissimo poeta […]».
Inferno, IV, 80
D
el più grande poeta italiano
- e si dica pure il più grande
di tutte le letterature, di
tutti i tempi -, Dante Alighieri
(1265-1321), non resta un solo rigo,
una firma, scritti di suo pugno. La
più antica testimonianza estesa con
data certa di una sua opera è in un
manoscritto della Commedia vergato
fra l’ottobre 1330 e il gennaio 1331,
in cui il copista, tal Forese Donati,
pievano di Santo Stefano di Botèna
(nel Mugello), nella nota di sottoscrizione, come allora usava, scusandosi con il lettore perché non imputasse a difetto di diligenza le oscurità o incertezze che suo malgrado fossero
rimaste nel testo, avvertiva (trad.): «per difetto e imperizia dei copisti volgari, il libro è incorso in numerose alterazioni di parole e falsità. Io invero, cercando di distinguere il vero dal falso, attingendo a diversi codici, ho trascritto il testo nel modo più fedele che ho potuto» (il manoscritto, andato poi perduto, era in circolazione nel
1548, quando l’erudito fiorentino Luca Martini ne tra-
Nella pagina accanto: Filippino, Il Codice Filippino della
‘Commedia’ (ms. CF 2 16, già 4 20, della Bibl. Oratoriana
dei Girolamini di Napoli, c. 1r). Sopra: Riccardiano
Braidense: Il Codice Riccardiano-Braidense della ‘Commedia’
(mss. 1005 della Bibl. Riccardiana di Firenze e AG XII 2
della Bibl. Braidense di Milano, c. 1r del primo)
scrisse tutte le peculiarità di lezione
in margine a un’edizione del 1515 di
Aldo Manuzio, oggi alla Biblioteca
Braidense di Milano: noto come
Mart).
Allora i libri esistevano solo in
copie manoscritte: ogni esemplare
vergato da un copista - professionale
o per diletto - che s’impegnava sul
singolo lavoro di trascrizione, e inevitabilmente lasciava filtrare nel testo trascritto sviste, errori, omissioni, comunque deviazioni dalla “volontà dell’autore”; talvolta anche per
scelta intenzionale, quando, di fronte a un testo “difficile”, in un passaggio di cui non capiva il significato,
cercava da un lato di attribuire un senso che a lui paresse
plausibile, generalmente semplificando e comunque alterando la lezione originale, oppure, nel caso di copisti
più scrupolosi, quando era possibile, cercando in altri
esemplari di copia una lezione alternativa a quella che
appariva incomprensibile. È ciò che ha fatto, e racconta
di aver fatto, Forese Donati: il quale, come altri suoi colleghi contemporanei e posteriori, non possedeva alcuno
degli strumenti della moderna filologia per distinguere il
‘vero’ dal ‘falso’; operando una scelta che finiva con l’essere soltanto di gusto, dunque arbitraria, che, ripetuta
centinaia di volte, in altrettanti manoscritti, in centinaia
di luoghi, ha determinato un inquinamento esteso, intrecciato, spesso irreparabile, del testo trasmesso.
È il “dramma” della filologia dantesca, per cui da
circa settecento anni si insegue un testo della Commedia
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A sinistra: Adolfo de Carolis (1874-1928), Dantes Adriacus
(incisione realizzata nel 1921, in occasione del VI
centenario della morte del Poeta).
A destra: la Commedia nella stampa di Mantova 1472
(ed. Georg di Augusta e Paul di Butzbach; c. 1r)
conforme alla volontà di Dante, indagato in un patrimonio che oggi è di circa otto o novecento testimoni (antichi
manoscritti, o parti di essi, conservati, e antiche stampe
fondate su più antichi manoscritti poi perduti), residuo di
almeno un paio di migliaia prodotti. Analoga situazione si
presenta per le Rime, che, trasmesse a loro volta da centinaia di testimoni (da un minimo di uno a varie decine per
ciascun componimento), spesso frammiste a rime di altri
talvolta falsamente attribuite a Dante, uniscono al problema della lezione quello dell’attribuzione, cioè dell’autenticità dantesca. E così per le altre opere, anche se, meno richieste e meno testimoniate, presentano un grado meno
avanzato di alterazione (ma per alcune, il Convivio, il De
vulgari eloquentia, incompiute, si aggiunge la complicazione di un testo incerto perché non finito dall’Autore).
Al problema dei testi si aggiunge poi quello dell’interpretazione, particolarmente severo per un’opera
complessa come la Commedia, che ha imposto fin dalla
prima circolazione, certo ancora in vita di Dante, nel secondo decennio del Trecento, un corredo di esigui, all’inizio, e via via sempre più ampi apparati di note per
orientamento del lettore, illustrativi del testo dantesco
(piccoli sommari in forma di rubriche, chiose più o meno
sporadiche, poi ampie note di commento sistematico,
proemî introduttivi alle cantiche, ai canti, ecc.), che nel
tempo hanno costituito il cosiddetto «secolare commento»: un patrimonio esegetico di fondamentale importanza, cui da sempre si attinge per una corretta interpretazione dell’opera dantesca.
Tutta questa problematica, testuale e interpretativa,
fin dall’origine accompagna la trasmissione e con essa la
storia editoriale dell’opera di Dante. Si è vista l’incertezza
del primo copista di cui si abbia notizia, che è la stessa dei
curatori delle prime stampe, a partire dal 1472: incerti
perfino nel titolo del poema, che oscilla tra Comedia (Comedìa) e Commedia, Le terze rime, Il Dante, La Visione, ecc.,
fino a La Divina Commedia, che si afferma a partire dall’edizione Giolito del 1555. Tentativi di sistemazione sono stati fatti nel corso dei secoli: al 1502 risale un’edizione
autorevolmente curata da Pietro Bembo, che offrì il testo
di riferimento per tutto il Cinquecento, fin quando, nel
1595, gli Accademici della Crusca realizzarono la prima
edizione con varianti, che si allontanava in ben 465 luoghi
dal testo di Bembo. Ma è con gli inizi del XVIII secolo che
rinasce - dopo un periodo di semi-“appannamento”
nell’età barocca - ed esplode in tutto il mondo la fama di
Dante e l’interesse per la sua opera. Mentre si moltiplicano le nuove edizioni con nuovi commenti soprattutto de
La Divina Commedia (Giovanni Antonio Volpi, 1726-’27;
Pompeo Venturi, 1732; Baldassarre Lombardi, 1791),
ma non solo del poema, si affrontano in ottica “moderna”
i problemi della documentazione storica e dello studio
dell’opera del grande Fiorentino. A Venezia, a Roma, a
Firenze si formano cenacoli di studi danteschi; fra gli altri, soprattutto attivo quello di Verona, dove si costituisce
una specie di “Società dantesca”, di cui furono animatori
Scipione Maffei, Bartolomeo Perazzini, il canonico Giovan Jacopo Dionisi e tanti altri, che «proclama la necessità di correggere il testo delle opere di Dante a bene intenderne il significato» e «invita i letterati di tutta Italia a riunire le loro forze intorno a Dante» (M. Zamboni, La criti-
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ca dantesca a Verona nella seconda metà del secolo XVIII, Città
di Castello, Lapi, 1901, p. 1).
La risposta è corale, non solo in Italia, ma in Europa, e poi in America. In Inghilterra, dove già nel Seicento
John Milton era stato ammiratore (e imitatore) di Dante,
poi in Svizzera e in Francia, in Germania, in Russia, in
America, grandi estimatori del poeta della Commedia furono Coleridge, Shelley, Byron, M.me de Staël e Sismonde de Sismondi, Dumas e Sainte-Beuve, così Goethe, Schelling, Schlegel, Hegel, e ancora Puškin, Gogol’,
Turgenev, Longfellow, ecc. Ma è la diffusione dei temi
danteschi nella grande pittura europea già dalla fine del
Settecento che dà la misura della straordinaria popolarità
raggiunta dall’opera sua: basti ricordare i nomi di Joshua
Reynolds, William Blake, John Flaxman, William Dyce
e poi Dante Gabriel Rossetti in Inghilterra, Ingres, Carpaux, Delacroix in Francia, Asmus Jacob Carstens in
Germania, Ary Scheffer in Olanda, e tanti altri.
Nello stesso tempo, accanto all’ammirazione per il
poeta si afferma l’esigenza di un approfondimento critico della sua opera, partendo dal recupero dei testi, trasmessi con troppe incertezze e varianti di lezione dalla
ricchissima tradizione manoscritta medievale e rinascimentale. Di qui, un fiorire di iniziative, che vede spesso
studiosi stranieri all’avanguardia. In Germania il filologo Karl Witte, che aveva “scoperto” Dante durante un
soggiorno romano nel 1820, dedicò la sua vita allo studio dell’opera dantesca e offrì nel 1862 il primo tentativo di edizione critica moderna della Divina Commedia,
seguita nel 1865 da una traduzione integrale in tedesco;
imitato dal re Giovanni di Sassonia (König Johann von
Sachsen), grande ammiratore del poeta fiorentino, che a
sua volta, sotto lo pseudonimo di Filalete, ne realizzò
(tra il 1825 e il 1865 circa) una pregiata traduzione e un
ampio commento che restano un contributo tra i più
importanti della dantologia dell’Ottocento. In Svizzera
il pastore protestante Giovanni Andrea Scartazzini
pubblicò tra il 1874 e il 1882 La Divina Commedia riveduta nel testo e commentata, che nel commento rappresenta - con quello italiano di Niccolò Tommaseo (1837,
18542, 18653) - il maggiore sforzo esegetico sul poema
del XIX secolo. In Inghilterra Edward Moore, rettore
del St. Edmund College di Oxford, in lunghi anni di studio allestiva una edizione di Tutte le Opere di Dante che,
pubblicata nel 1894, s’impose subito - dopo la serie delle
edizioni ottocentesche - come la nuova edizione di rife-
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rimento dell’opera dantesca (nota come Oxford Dante).
Sono soltanto alcuni nomi di maggior spicco in un
panorama estesissimo che accoglie non soltanto i più illustri letterati dell’Ottocento, ma personalità dell’aristocrazia e della politica, estimatori e spesso “cultori”, come
allora si diceva, di Dante e della sua opera: dal ricordato
re Giovanni di Sassonia alla regina madre Elisabetta di
Prussia, alla regina Augusta di Prussia, alla granduchessa
Sofia di Weimar, dal primo ministro inglese William
Ewart Gladstone a - in Italia - Sidney Sonnino e la regina
Margherita. Fin dalla metà del Settecento s’iniziano e poi
si moltiplicano le traduzioni - oggi centinaia -, in tutte le
lingue del mondo, della Divina Commedia e delle opere
minori di Dante. Si costituiscono «Accademie» o «Società dantesche» mirate da un lato alla ricerca scientifica,
dall’altro all’alta divulgazione: basti ricordare la Deutsche
Dante-Gesellschaft (Dresda, 1865, che ridà vita a un Dante-Verein, Breslavia, 1825), la Oxford Dante Society (1876),
la Dante Society of America (Cambridge, Mass., 1880), la
Società Dantesca Italiana (Firenze, 1888) e la Casa di Dante
in Roma (1914), ecc., fino alle Società dantesche Olande-
24
se (Utrecht, 1963, che rinnova un’iniziativa del 1874),
Francese (Nizza, 1937), Argentina (Buenos Aires, 1951),
Giapponese (Kyoto, 1951), ecc., alla recentissima Ungherese (Budapest, 2004). Società tuttora operative, che
hanno dato contributi spesso importanti al progresso degli studi danteschi - edizioni di testi e studi critici, convegni, conferenze, mostre, ecc. -, più cospicue in coincidenza dei Centenari del 1865, 1921, 1965.
Una data fondamentale nella storia degli studi danteschi del Novecento è il 1921, Sesto Centenario della
morte di Dante, che vede la pubblicazione del volume Le
Opere di Dante. Testo critico della Società Dantesca Italiana,
curato da un’équipe di insigni studiosi sotto la direzione di
Michele Barbi. Non era l’edizione critica che si attendeva
- l’Edizione Nazionale delle Opere di Dante, per cui la
Società era stata costituita nel 1888 -, ma era un contributo straordinario. Se la difficoltà oggettiva dell’impresa, in ragione della complessa tradizione dei testi, cui sopra si è accennato, aveva reso impossibile il conseguimento dell’obiettivo massimo, la realizzazione di quel
volume - poi designato come l’«Edizione del Centenario» - segnò ugualmente una svolta: un volume non di
grande mole (meno di mille pagine), privo di apparati filologici e di corredi scientifici (che furono promessi e poi
non vennero), privo di commento, che tuttavia sul solo
fondamento dell’autorità dei suoi curatori s’impose, in
sostituzione della già benemerita edizione Moore (il ricordato Oxford Dante), come la nuova edizione di riferimento delle opere di Dante; tale restando sostanzialmente fino a oggi per i lettori di tutto il mondo. Solo la
Commedia venne poi sostituita dall’edizione Petrocchi,
realizzata in occasione del Centenario del 1965 e subito
accettata come l’edizione più sicura, contro altre proposte, precedenti e successive; e poco dopo, il De vulgari eloquentia, sostituito dall’edizione Mengaldo (1968), che
poté utilizzare un altro antico codice sfuggito all’editore
del 1921. Mentre nuove edizioni di altre opere dantesche
non hanno ottenuto il generale consenso che ha avuto
l’edizione Petrocchi del poema.
Questo, sommariamente riassunto, il quadro complessivo della situazione editoriale delle opere di Dante
alle soglie del XXI secolo, che andrebbe integrato dal
quadro dei tentativi di esegesi: tra i quali - a parte i molti
commenti, pur spesso pregevoli, concepiti con primaria
destinazione scolastica - si distinguono nel corso del XX
secolo due iniziative: una Nuova Edizione migliorata nel te-
la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2015
sto e largamente commentata delle Opere di Dante, promossa da Michele Barbi nel 1934 (Firenze, Le Monnier), ormai datata e comunque incompiuta, anche per la morte
del promotore (1941); e una edizione con commento di
tutte le Opere minori di Dante realizzata nella serie «Letteratura italiana. Storia e testi» della Casa editrice Ricciardi (Milano-Napoli 1978-1984), per molti versi preziosa, ancorché a sua volta datata e non ineccepibile. Ciò
non toglie che la filologia e la critica dantesca abbiano
fatto progressi enormi, nel corso del XX e agli inizi del
XXI secolo, con proposte per altro a volte contrastanti,
spesso non facilmente controllabili in una bibliografia
ormai sconfinata. È stato rilevato che ogni anno vengono
pubblicati nel mondo - a parte i giornali e i periodici non
specialistici e a parte l’editoria scolastica - da 800 a 1500
libri, articoli, saggi, note critiche, recensioni che hanno a
oggetto un tema dantesco. La difficoltà di reperire e di
orientarsi in questo ‘mare magno’ di proposte critiche, di
distinguere quelle più attendibili da altre che lo siano
meno, è diventata un ostacolo oggettivo al progresso degli studi. Perciò, un “punto” sui risultati acquisiti, una riflessione riepilogativa su ciò che è maturato nel dibattito
critico internazionale, la quale sia anche di orientamento
per i lettori (più e) meno specializzati, è sembrato il contributo onorifico più utile e più degno al Settimo Centenario della morte di Dante: a cento anni da quel Sesto
Centenario che produsse la prima edizione completa e
affidabile delle Opere del sommo poeta.
Di qui, nell’ambito dell’iniziativa dantesca del
Centro Pio Rajna, il progetto di una «Nuova Edizione
commentata delle Opere di Dante»: di cui le ragioni storiche, le problematiche scientifiche e le linee programmatiche di sviluppo sono state esposte in un saggio del
sottoscritto, che ne segna un po’ il tracciato (E. M., Per
una nuova edizione commentata delle opere di Dante, in «Rivista di studi danteschi», a. IV 2004, pp. 3-160, poi anche
in vol., Roma, Salerno Editrice, 2004). Un progetto
estremamente impegnativo, per certi aspetti addirittura
(in apparenza) “temerario”, che ha trovato tuttavia occasione e motivo di definizione e di fattibilità nella ricorrenza dei Centenari danteschi, i quali hanno stimolato
una concentrazione di attenzione e di interesse sul tema
Dante e sulla problematica dantesca: il Settecentocinquantenario della nascita del Poeta (1265-2015) in prima
battuta, e con esso il Settecentenario della morte, che segue di pochi anni (1321-2021).
26
Da questa congiuntura di dati storici e di eventi in
scadenza, la plausibilità del disegno di celebrare i Centenari danteschi con commemorazioni, certo, cerimonie,
onoranze di vario tipo - che sono state fatte e si faranno -,
ma soprattutto con quello che Michele Barbi nel 1913
proponeva come «il più degno monumento a Dante»
che si potesse immaginare per il Centenario del 1921. E
quale monumento - si chiedeva - può essere «più conveniente a un poeta che raccogliere insieme le opere sulle
quali si fonda e deve mantenersi la sua fama?» (M. B.,
Problemi di critica dantesca. Prima Serie, Firenze, Sansoni,
1934, p. 427). Un ‘monumento’ cartaceo, di carta stampata, non meno solido e durevole e solenne del ben noto
oraziano «monumentum aere perennius», ‘più resistente al tempo del bronzo’ (Orazio, Carmina, III 30 1): una
raccolta completa e ben curata di tutta l’opera dantesca.
La prima idea era venuta alla metà del Trecento a Giovanni Boccaccio, che riuscì però solo in parte a realizzarla, con gli strumenti del tempo suo: copiando di proprio
pugno, più volte, quasi tutte le opere del grande e amato
concittadino (tre volte la Commedia), cui premise un suo
Trattatello in laude di Dante, noto anche come Vita di Dante, variamento riscritto, rimasto come la prima e più
la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2015
compiuta e ancora oggi preziosa biografia del nostro
poeta (Barbi, op. cit., pp. 395 sgg.). La convergenza del
Settecentocinquantenario della nascita con il Settecentenario della morte del Poeta, incardinati sul “fatidico”
numero sette, era l’occasione buona.
Quel progetto, più volte evocato e riproposto nel
corso dei secoli, soprattutto gli ultimi, sempre irrealizzato, è oggi in via di realizzazione, presso la Salerno Editrice, a cura del Centro Pio Rajna, in collaborazione con la
Casa di Dante in Roma, nel ricordato progetto della
«Nuova Edizione commentata delle Opere di Dante
(NECOD)». Il disegno è di offrire al lettore del XXI secolo una raccolta completa delle opere del poeta fiorentino, in un testo rigorosamente riveduto alla luce delle ultime conquiste della filologia dantesca e corredata di tutti
gli strumenti interpretativi necessari a una lettura moderna di quelle: ampie introduzioni critiche che illustrino la storia, i contenuti, i valori dell’opera presentata;
puntuali “Note al testo” che diano conto del testo che
viene offerto; bibliografie essenziali ma non sommarie,
per un orientamento verso ulteriori approfondimenti;
ampi apparati di commento che aiutino il lettore - lo specialista come il meno esperto, purché non cursorio - a
comprendere ogni aspetto del messaggio trasmesso dal
poeta: il senso letterale, ovviamente, in primo luogo (perciò con traduzione lineare dei testi latini e dei rari passaggi in altre lingue, d’oc e d’oïl), e ogni altro degli elementi
che a quel messaggio danno corpo, valori allegorici, riferimenti storici, riprese di “fonti” di qualunque tipo, comunicazioni teoriche e didascaliche.
Il progetto è stato delineato nel penultimo decennio del secolo passato ed è mirato a concludersi, almeno
nella sua parte fondamentale, entro il Settecentenario
della morte del Poeta, nel 2021. Insieme all’edizione
completa delle Opere di Dante (prevista in 8 volumi per 16
tomi complessivi, dei quali 4 pubblicati e 4 in corso di
pubblicazione) è prevista un’ampia ricognizione di tutti i
documenti e i contributi antichi e moderni utili a illuminare al meglio e nella forma più compiuta la figura e
l’opera di Dante: iniziando da quel «Secolare Commento» alla Commedia che si è già segnalato come il più cospicuo apporto dei secoli alla conoscenza e all’approfondimento dell’opera dantesca, oggi disperso in centinaia di
manoscritti e antiche stampe ai quattro angoli del mondo, dei quali è stata fatta una puntuale ricognizione, con
registrazione documentale di ogni testimone, fino ai più
disparati documenti relativi a Dante e alla sua famiglia,
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Nella pagina accanto: Comedìa con figure dipinte:
l’incunabolo veneziano del 1491 (di Pietro Piasi)
nell’esemplare della Casa di Dante in Roma, con postille
manoscritte e figure miniate di Antonio Grifo (c. 130r).
A destra: Copertina del «Giornale del Centenario»
(n. 46, 10 maggio 1865), pubblicazione ideata in occasione
del VI centenario della nascita del Poeta e stampata dal
febbraio 1864 al settembre 1865.
Sotto: Ritratto di Dante, dal «Giornale del Centenario»
(n. 47, 20 maggio 1865), foglio stampato in occasione del
VI centenario della nascita del Poeta
dal 1131 al 1350, individuati e recuperati negli archivi
pubblici e privati di ogni parte d’Italia (e talvolta all’estero). Sono nati così - e sono oggi abbastanza avanzati - i
progetti, collaterali alla NECOD, del Censimento dei
Commenti danteschi (3 volumi in 4 tomi, tutti pubblicati) e
della Edizione (diventata poi «Edizione Nazionale») dei
Commenti danteschi (75 volumi in oltre 200 tomi, dei quali 33 pubblicati e 4 in corso di pubblicazione), cui si aggiungono riproduzioni in facsimile dei Commenti figurati
alla Commedia (4 ad oggi pubblicate, una in corso di stampa) e altri contributi di ricerca storica e approfondimento
esegetico: una nuova edizione interamente rifatta del Codice diplomatico dantesco, un’edizione sinottica de Le Vite di
Dante dal XIV al XVI secolo (con appendice sulla Iconografia dantesca), una raccolta di Lecturae Dantis che “fa il punto” sull’esegesi della Commedia alla data del settecentocinquantenario dantesco («Lectura Dantis Romana»,
Cento canti per cento anni, 3 volumi in 6 tomi, tutti pubblicati), con altri contributi («Biblioteca storica dantesca»,
«La navicella dell’ingegno. Studi su Dante», varie pubblicazioni per circa un centinaio di volumi), nella scia
della semestrale «Rivista di studi danteschi» (che, fondata nel 2001, esibisce oggi 30 volumi pubblicati). Uno
sforzo di ricostruzione storica e critica, con il coinvolgimento di oltre un centinaio di studiosi, italiani e stranieri,
giovani e meno giovani, sentito e vissuto come il più solenne atto d’omaggio a Dante, per i suoi Centenari, possibile nel XXI secolo.
Un omaggio al quale - anche questo va detto - lo
Stato italiano ha dato un decisivo contributo. L’«Edizione Nazionale dei Commenti danteschi», una delle imprese di più lungo respiro e maggior impegno, è un’edizione avallata dal Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo. Altre iniziative, sostenute da enti
privati illuminati, sono realizzate sotto l’egida dello Stato: la «Nuova Edizione commentata delle Opere di Dante», il Censimento e con esso l’Edizione dei Commenti danteschi, i facsimili dei Commenti figurati vedono la luce sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica; in
particolare la NECOD si fregia anche del Patrocinio
della Presidenza del Consiglio dei Ministri e del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo. Potranno costituire, nel loro insieme, quel “monumento”
che Barbi aveva auspicato agli inizi del secolo passato,
aveva tentato di avviare nei decenni successivi, ma non
aveva potuto portare a realizzazione.
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la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2015
dicembre 2015 – la Biblioteca di via Senato Milano
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SPECIALE DANTE ALIGHIERI
LA COMMEDIA
DI BONINO BONINI (1487)
Un esemplare particolare nella Biblioteca di via Senato
GIANCARLO PETRELLA
L’
ultimo giorno di maggio
dell’anno 1487, a primavera ormai inoltrata, nella tipografia bresciana di Bonino Bonini
fu tirato un sospiro di sollievo. Si
concludeva infatti, dopo mesi di
complicato lavoro, l’impressione
della Commedia dantesca avviata verisimilmente l’inverno precedente.
Il titolare di bottega, il tipografo di
origini dalmate Boninus Boninis,
non poteva però esserne pienamente soddisfatto, nonostante il risultato fosse un aristocratico in folio di
310 carte (cioè, per chi ha dimestichezza di bibliologia, con fascicoli di
quattro o tre fogli tipografici: &8 a-i8
k6 l-r8 aa-mm8 nn4 A6 B8 C-L6), impresso con due serie di romano
(R111 per il testo, R81 per la glossa) e arricchito di un
corpus iconografico di 68 silografie a piena pagina (la Biblioteca di via Senato ne conserva un esemplare con provenienza da una prestigiosa biblioteca ecclesiastica veneziana dispersa a fine Settecento). Il progetto iniziale
prevedeva infatti che quella bresciana fosse la prima edizione interamente illustrata del poema dantesco. Sarebbe stata la risposta all’edizione fiorentina impressa sei
Nella pagina accanto: Dante Alighieri, La Commedia,
Brescia, Bonino Bonini, 31 maggio 1487, c. b8v (Inf. III)
Sopra: Dante Alighieri, La Commedia, Firenze, Niccolò di
Lorenzo, 1481, Inf. III. (doppia incisione a illustrare il
canto III dell’Inferno)
anni prima da Niccolò di Lorenzo
nella quale solo i primi 19 canti dell’Inferno erano accompagnati da rami (mm 95 x 174) incisi dall’orefice
Baccio Baldini, già collaboratore
della tipografia di Niccolò di Lorenzo, su disegni attribuiti a Sandro
Botticelli.1 Per ovviare alle difficoltà
contro le quali si era arenata l’impresa fiorentina, Bonino Bonini poteva
giocare la carta dell’esperienza nel
campo del libro illustrato maturata
negli anni veronesi.2 Decisiva fu la
sostituzione delle dispendiose incisioni su metallo, che comportavano
anche un delicato lavoro di assemblaggio dovendosi stampare in due
momenti distinti rispetto al testo,
con la più democratica tecnica silografica che, dal Bonini già ampiamente sperimentata durante i suoi anni di attività a Verona con la duplice edizione del Valturio illustrato da un centinaio di silografie,3
consentiva invece di limitare i costi e imprimere in un sol
colpo testo e illustrazione. La soluzione adottata dal tipografo Bonino Bonini comportò pertanto il definitivo
accantonamento dell’incisione su rame proposto dall’audace bottega fiorentina. Anche il nuovo progetto
bresciano, forse troppo ottimistico, era però destinato a
un parziale fallimento. Il Dante del Bonini (edizione ben
nota, come si deduce anche dai frequenti, ma troppo
spesso irrilevanti, passaggi in cataloghi di mostre e collezioni dantesche),4 esibisce infatti una silografia a piena
pagina per ogni canto sino al I del Paradiso. Qui il pro-
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la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2015
Da sinistra: Dante Alighieri, La Commedia, Brescia, Bonino Bonini, 31 maggio 1487, c. i5v (Inf. XIX): silografia originale
del canto XIX (tràdita da un numero molto esiguo di esemplari). Nella maggior parte delle copie figura la silografia del
canto XI modificata; Dante Alighieri, La Commedia, Brescia, Bonino Bonini, 31 maggio 1487, c. h1r (Inf. XI): silografia
originale (I stato) prima che fosse riadattata per essere impiegata per il canto XIX
getto illustrativo originario si arenò bruscamente. Segnale forse che il processo tipografico e iconografico non
riuscirono a procedere concordemente o di più urgenti
difficoltà economiche, come potrebbe suggerire l’adozione per l’ultima cantica di soluzioni di risparmio anche
nella qualità della carta e nella stampa senza interruzione
fra un canto e l’altro.5 Non sono poi da trascurare altre
possibili distrazioni editoriali che, oltre a differire la conclusione del Dante, crearono probabilmente una certa
confusione in tipografia. Mentre la stampa della Commedia era già in corso l’officina Bonini intraprese infatti la
pubblicazione di un’edizione di Esopo corredata anch’essa di una settantina di silografie a piena pagina, benché di fattura palesemente più modesta di quelle dante-
sche. Il colophon assicura che l’Esopo fu licenziato il 7 marzo dello stesso 1487, pertanto quando già si era sicuramente alle prese con la non facile edizione dantesca. Verisimilmente il Dante era sotto il torchio già a febbraio,
quando il Bonini sottoscrisse una doppia edizione in folio
(per complessive 152 carte) dell’Interpretatio in Vergilium
con falsa attribuzione a Pomponio Leto.
Ciò indubbiamente contribuì a creare una certa
confusione in tipografia e nel corso di quei primi mesi del
1487 il lavoro di stampa del Dante dovette affrontare più
di una difficoltà, costringendo spesso titolare e maestranze
a escogitare soluzioni d’emergenza. La cronaca di quei
mesi ha lasciato i suoi segni nell’edizione dantesca, da cui
bisogna ora ripartire. Innanzitutto, se le silografie che
dicembre 2015 – la Biblioteca di via Senato Milano
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Da sinistra: Dante Alighieri, La Commedia, Brescia, Bonino Bonini, 31 maggio 1487, c. h1r (Inf. XI): II stato della
silografia dopo le modifiche apportate per essere impiegata per il canto XIX; Dante Alighieri, La Commedia, Brescia,
Bonino Bonini, 31 maggio 1487, c. i5v (Inf. XIX): silografia del canto XI accortamente modificata per sostituire la
silografia originale del canto XIX non più utilizzabile
adornano l’edizione sono dunque 68, in realtà le matrici
sono solo 60. In otto canti si riscontrano infatti palesi ed
eclatanti casi di riuso, evidenti segnali sia delle difficoltà
incontrate dagli artisti cui era affidato il compito di tradurre il Poema in immagini sia della confusione che poteva insorgere in bottega nel governare e coordinare il
lavoro di compositori, torcolieri e incisori. Nell’ordine,
casi di riuso si ravvisano in Inf. XIX (c. i5v: riuso della matrice originale impiegata per il canto XI); Inf. XXVI (c.
o6r: stesso legno già impiegato per illustrare il canto XXII
a c. m7v); Purg. XVIII (c. gg7v: riuso della stessa silografia
del canto XI); Purg. XIX (c. hh2v: riuso della silografia
impiegata al canto XIV); Purg. XXVI (c. kk4v: stessa silografia che figura a c. bb3v per illustrare Purg. III); Purg.
XXXI (c. mm3v: stessa silografia impiegata al canto precedente); Purg. XXXII (c. mm6v: riuso della silografia originale del canto XXIX); Purg. XXXIII (c. nn1v:
addirittura terza occorrenza della stessa silografia originale del canto XXX impiegata anche nel canto XXXI).
Rispetto al progetto illustrativo originario, è naturale che l’adozione di una stessa silografia in più occorrenze comporti un clamoroso stravolgimento del
rapporto fra testo e immagine. Dalla frequenza dei casi
riscontrati, sembra evidente che fu soprattutto negli ultimi
canti del Purgatorio che si commise qualche errore, o in
fase di progettazione del corpus iconografico o durante la
composizione tipografica. La difficoltà nel rappresentare
i riferimenti alla processione liturgica dei canti finali del
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la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2015
Da sinistra. Dante Alighieri, La Commedia, Brescia, Bonino Bonini, 31 maggio 1487, c. c6v (Inf. IV): il castello degli spiriti
magni; Dante Alighieri, La Commedia, Brescia, Bonino Bonini, 31 maggio 1487, c. e1v (Inf. VI): Dante, Virgilio, Cerbero
Purgatorio e la materia teologica del Paradiso giustificano
forse la necessità di ricorrere spesso a soluzioni d’emergenza, come l’impiego di altri legni poco o nulla attinenti,
e infine l’interruzione del progetto illustrativo all’altezza
del II canto del Paradiso. La silografia di Purg. XXIX (c.
ll5r) rappresenta solo alcuni dettagli della processione liturgica cui assiste Dante nel Paradiso Terrestre in compagnia di Stazio e Matelda: un grifone traina verso un
gruppo di anziani un carro trionfale accanto al quale sfilano tre donne da un lato e quattro dall’altro (XXIX 106150). Il particolare dell’albero su cui piomba un’aquila
sembra invece a tutti gli effetti un’impropria anticipazione
di un episodio del canto XXXII. Anche la silografia di
Purg. XXX (c. ll8v), scandita da una serie di rapidissimi
trapassi, appare una contaminazione di due canti successivi, come lasciano intendere alcuni particolari: Dante, per
l’ultima volta in compagnia di Virgilio, dapprima incontra Beatrice, quindi è immerso da Matelda nel fiume Leté
(episodio che riconduce però a Purg. XXXI 94-102) e infine condotto da due donne sull’altra sponda davanti al
grifone e a Beatrice (ancora Purg. XXXI 103-126). La silografia di Purg. XXXII (c. mm6v), che raffigura solo alcuni dettagli della complessa processione mistica del carro
trainato dal grifone, è la stessa già impiegata al canto
XXIX. Rispetto però all’impiego fattone al canto XXIX,
trova qui corretto riscontro testuale l’episodio dell’albero
su cui piomba un’aquila (Purg. XXXII 109-117). Infine,
all’altezza di Purg. XXXIII (c. nn1v), la terza occorrenza
della silografia già impiegata ai canti XXX e XXXI è giustificabile dalla ripetitività di alcuni particolari figurativi:
la presenza di Beatrice e l’immersione di Dante nel fiume
Eunoé da parte di Matelda (Purg. XXXIII 127-145).
34
È probabile che i tempi della stampa mal si accordassero con quelli di esecuzione delle incisioni che, come
sospetto, in alcuni momenti giunsero forse in tipografia a
stampa già avviata o persino conclusa. Il caso dell’illustrazione del primo canto del Paradiso (c. nn4v) ha del clamoroso. La silografia, anziché introdurre visivamente il
lettore alla terza cantica, risulta infatti clamorosamente
priva di alcun legame col canto. Se attentamente interpretata sembra possa piuttosto trattarsi del legno progettato, ma poi
non impiegato (!), per il canto
XXXIII del Purgatorio: l’artista rappresenta infatti Dante e Matelda nel
Paradiso Terrestre che ascoltano il
salmo intonato dalle sette donne
sotto lo sguardo attento di Beatrice
(Purg. XXXIII 1-6); quindi, con rapidi trapassi, Dante da solo a fianco
di Beatrice (XXXIII 22-24) e infine il
Poeta condotto dalle sette donne fino
al fiume Eunoé (XXXIII 106-114).
L’ipotesi più plausibile è dunque che
tale silografia sia stata terminata in ritardo rispetto all’inizio della stampa,
costringendo così i compositori a ricorrere alla soluzione d’emergenza di
cui si è detto, ossia il reimpiego del
la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2015
legno di Purg. XXX. Non appena disponibile fu invece
adottata, a questo punto però senza alcuno scrupolo di
corrispondenza testuale, al canto successivo. Le ragioni di
questo curioso fraintendimento iconografico non sono
pienamente comprensibili. Rimane infatti non verificabile l’ipotesi che anche la silografia originale per il I canto
del Paradiso sia stata terminata in ritardo rispetto all’inizio
della tiratura del foglio nn4.5 e possa perciò essere stata
impiegata solo in una porzione ristretta della tiratura. Nessuno degli
esemplari superstiti esaminati di questa edizione (circa 90 dei 115 censiti)
presenta infatti la presunta silografia
corretta a c. nn4v.
Proprio l’analisi sistematica di
una novantina di esemplari, conservati in biblioteche italiane, europee e
d’Oltreoceano, consente di svelare
altri retroscena. È dimostrabile che
qualcosa di simile successe anche all’altezza di Purgatorio XX (c. hh5v).
Qui fu impiegata a sproposito la silografia originale (che dunque fu incisa
ed era perciò a disposizione in tipografia) progettata per il canto precedente (Purg. XIX: c. hh2v), dove fu
invece reimpiegata la silografia del
dicembre 2015 – la Biblioteca di via Senato Milano
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Sopra: Dante Alighieri, La Commedia, Brescia, Bonino Bonini, 31 maggio 1487, cc. a1v-a2r (Inf. I): incipit dell’Inferno in
superbo esemplare con miniatura coeva. Nella pagina accanto in alto: Dante Alighieri, La Commedia, Brescia, Bonino Bonini,
31 maggio 1487, c. k5v (Inf. XVII): Dante, i tre usurai, Gerione. In basso da sinistra: Dante Alighieri, La Commedia, Brescia,
Bonino Bonini, 31 maggio 1487, c. f3v (Inf. VIII): Dante,Virgilio, Flegiàs di fronte alla città di Dite; Dante Alighieri, La
Commedia, Brescia, Bonino Bonini, 31 maggio 1487, c. a1v (Inf. I); Dante Alighieri, La Commedia, Brescia, Bonino Bonini, 31
maggio 1487, c. m4v (Inf. XXI): silografia solo abbozzata o lavoro di maestranze che raffigura la bolgia dei barattieri
canto XIV, col risultato di alterare il corretto rapporto
testo/immagine in due canti consecutivi. All’altezza della
prima cantica si riscontra persino un caso di matrice non
finita ma frettolosamente inserita nella forma tipografica
forse per non dilatare oltre i ritmi di stampa. La silografia di Inferno XXI (c. m4v) è di qualità talmente inferiore
alle precedenti da lasciar supporre fosse solo abbozzata.
La narrazione è per certi versi solo intuibile, dal momento
che mancano parecchi particolari. Sembrano però intravedersi le seguenti scene: Dante e Virgilio osservano dal
ponte della quinta bolgia la punizione dei barattieri; un
diavolo porta un dannato sulle spalle, mentre un altro
viene uncinato nella pece bollente (XXI 28-63); Dante si
ripara dietro una sporgenza mentre Virgilio parlamenta
con Malacoda (XXI 58-117).
Un caso limite, finora pressoché sconosciuto, è rappresentato da Inf. XIX. La quasi totalità degli esemplari
superstiti presenta infatti a c. l5v la stessa matrice di Inf. XI
appositamente riadattata con l’eliminazione del riferimento esplicito al canto XI (l’epigrafe di papa Anastasio
incisa sulla lastra tombale) e l’apertura al centro di un foro
quadrato nel quale incastrare un piccolo legno raffigurante uno di «que’ che son nel mio bel San Giovanni /
fatti per loco d’i battezzatori» da cui fuoriescono le gambe
del peccatore, inequivocabile allusione figurativa all’episodio più rappresentativo del canto XIX, ossia il batti-
36
Dante Alighieri, La Commedia, Brescia, Bonino Bonini, 31
maggio 1487, c. ff6r (Purg. XV): silografia di modesta
qualità, opera di artista meno dotato o di un garzone di
bottega
becco con papa Niccolò III. L’escamotage, come si intuisce,
fu una soluzione d’emergenza adottata in tipografia in un
secondo momento per proseguire nella tiratura dei fogli
rimanenti dopo che la silografia originaria di Inf. XIX era
stata resa inutilizzabile da qualche accidente. Un pugno di
sparuti esemplari (13 sui 115 registrati da ISTC, cui se ne
può aggiungere uno in collezione privata)6 trasmettono
fortunatamente il I stato del foglio. L’artista bresciano raffigura, con tratto sottile privo di ogni accenno di tratteggio diagonale e di ombreggiatura, Dante e Virgilio che
camminano lungo l’argine e si affacciano per vedere il
fondo della bolgia sottostante pieno di fori dai quali fuoriescono le gambe dei simoniaci confitti a capo in giù. Gli
accidenti in tipografia non finivano mai. Il caso volle che
quando la silografia originaria di Inf. XI era già stata ri-
la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2015
maneggiata per sostituire quella di Inf. XIX, fosse necessario ristampare il foglio tipografico che la conteneva (c.
h1.8). Nel frattempo però la silografia già impiegata al
canto XI, e perciò ipoteticamente non più necessaria,
aveva subìto un irreversibile intervento per adattarla meglio al contenuto del canto XIX, ‘il canto dei simoniaci’.
Come detto, per ragioni di coerenza iconografica, al momento del riuso si era reso necessario raschiare l’epigrafe
ANASTASIO PAPA GUARDO incisa sulla lastra tombale (per evitare al lettore la sgradevole sensazione di déjà
vu) e aprire il foro al centro in cui inserire una piccola matrice raffigurante papa Niccolò III conficcato a testa in giù
(Inf. XIX 13-57). Dovendo ora reimpiegare (a questo
punto per la terza volta) la silografia di Inf. XI, in officina
si ricorse, con ammirevole pragmatismo e una buona dose
di creatività artigianale, all’inserimento nel foro aperto al
centro della scritta a caratteri tipografici ANASTASIO
PAPA GVARDO (Inf. XI 8) nel frattempo irrimediabilmente erasa dalla lastra tombale. Cronologicamente
l’operazione avvenne pertanto quando la stampa della
Commedia era giunta almeno all’altezza del canto XIX dell’Inferno e forse anche oltre. A stampa però ancora in
corso.
Il corpus silografico, sebbene da ritenersi governato
da un’unica regia, è riconducibile a diversi artisti operanti
nella stessa bottega, ma dotati di sensibilità e capacità ben
distinguibili. Le prime silografie (Inf. I-VIII), caratterizzate da ampie ambientazioni paesistiche e pungente
espressività delle pene e dei dannati, paiono assegnabili a
due artisti: il primo, identificabile come il Maestro A, è
autore di Inf. I-IV; il secondo, il Maestro B, di Inf. V-VII.
Li accomuna la componente di fondo genericamente
mantegnesca, che rimanda a una sorta di koinè che riguarda l’area padana, condivisa in particolare da altri artisti coevi attivi a Brescia quali il giovane Butinone,
Caylina il Vecchio e Antonio Cicognara. Essa si esprime
in questo caso nelle profondità prospettiche delle composizioni, nella definizione proporzionale e risalto volumetrico dei personaggi, nell’insistenza grafica della resa
fisionomica come si trattasse di scultura, guardando ai
dettagli anche nel trattamento del terreno in primo piano
con fenditure ma popolato di piante. Di tutt’altro tenore
risulta la resa del terreno in altri legni, nei quali si riscontra una netta semplificazione dei motivi precedenti. Tali
casi si alternano a una più generica qualificazione per rade
linee sovrapposte per lo più in orizzontale, per cui si
dicembre 2015 – la Biblioteca di via Senato Milano
esclude ogni cordonatura rocciosa del gradino in primo
piano. Il Maestro A è ben riconoscibile nell’efficacissima
silografia di Inf. I a motivo della soluzione cifrata dei panneggi delle vesti di Dante e Virgilio e per l’accuratezza dei
tratti fisionomici che consentono di enfatizzare le linee
d’espressione (a esempio le rughe di Dante) e di rendere
nei dettagli la folta barba e capigliatura di Virgilio. Identici dettagli e in generale una maggiore sommarietà inducono ad attribuirgli anche le successive tre silografie (Inf.
I-IV), mentre da Inferno V questo artista sembra passare
la mano al Maestro B, cui è possibile ricondurre i legni di
Inf. V-VII. Depone a vantaggio della distinzione di due
artisti non solo l’aspetto qualitativo e di cura dei dettagli,
ma anche alcune difformità figurative, a esempio la mutata foggia del copricapo di Virgilio e la sua veste che si
impreziosisce di una foderatura e cappa di vaio nelle silografie di Inf. V-VII. Inoltre, il Maestro A si caratterizza
per una narrazione più scandita, l’altro per una concitazione dei movimenti e una carica espressiva più accentuata nella resa anatomica e fisionomica dei personaggi,
come ben si mostra nei corpi nudi degli avari e prodighi
proni a terra di Inf. VII.
All’altezza di Inf. VIII è ragionevole supporre
l’emergere di una personalità artistica ancora diversa, che
più avanti lascia spazio ad altri artisti ancora meno dotati
per capacità esecutive, che incidono legni di qualità assai
debole, e all’occorrenza anche ai modestissimi garzoni impegnati in Inf. XXII, Inf. XXIX e in tanti legni del Purgatorio. Quest’alternanza di artisti con soluzioni differenti
da un canto all’altro (a esempio non paiono assegnabili
allo stesso artista i legni consecutivi di Purg. II e Purg III,
o anche Purg. IX e Purg XI) conferma la necessità del Bonini di parcellizzare il lavoro di incisione per ragioni di
tempistica con risultati talvolta assai difformi e ben riscontrabili anche in canti ravvicinati. Fin dove possibile, ossia
per Inferno I-XX, gli artisti bresciani ebbero certamente
come modello le incisioni realizzate da Baccio Baldini per
l’edizione del 1481. Ciò dimostra, in modo inequivocabile, il rapporto diretto fra il Dante bresciano e l’unico
precedente a stampa, il cui progetto iconografico, clamorosamente fallito già all’altezza di Inf. XXI per le difficoltà
tecniche, oltre che economiche, connesse con la stampa
delle incisioni su metallo, il Bonini volle perciò esplicitamente riprendere. L’exemplar fiorentino fornì il cartone
preparatorio per parecchie delle prime diciannove silografie bresciane, pur con apprezzabili autonome divaga-
37
Dante Alighieri, La Commedia, Brescia, Bonino Bonini, 31
maggio 1487, c. nn4v (Par. I): silografia progettata per
l’ultimo canto del Purgatorio e impiegata a sproposito per
il I del Paradiso
zioni. Se i legni di Inferno I e II paiono una chiara traduzione speculare dello schema narrativo delle incisioni fiorentine (Dante ripetuto tre volte nella selva di Inf. I
dapprima sonnolento, poi nell’atto di ripararsi dalla luce
che filtra, infine spaventato dalle tre fiere; nel legno successivo Dante e Virgilio ripetuti due volte con la presenza
di Beatrice avvolta da raggi luminosi su una nuvoletta e
uno scorcio dell’entrata dell’Ade), la silografia del canto
III lascia invece intravedere modelli fin qui insospettati.
Sembra che l’edizione Firenze 1481 prevedesse addirittura due versioni dell’incisione per questo canto, come
confessa l’esemplare della Bayerische Staadtbibliothek di
Monaco che le conserva entrambe alla stessa pagina. Ad
andamento orizzontale (la prima da leggersi da sinistra a
destra, la seconda da destra a sinistra) paiono due varia-
38
Sopra e accanto: Dante Alighieri, La
Commedia, Brescia, Bonino Bonini, 31
maggio 1487, interventi manoscritti
nei cartigli delle silografie di Inf. IIIII in alcuni esemplari. Sopra a destra:
Andrea Mantegna (attribuito), Cristo
al Limbo, c. 1475-80, bulino
zioni sullo stesso tema: raffigurano
Dante e Virgilio, ripetuti tre volte
frontalmente, che attraversano la
porta dell’Ade, sul cui stipite si legge
l’incipit dell’epigrafe minacciosa, e assistono al tumulto
degli ignavi che si accalcano dietro un’insegna e alla ressa
delle anime sulle sponde dell’Acheronte in attesa di essere
traghettate da Caronte. Nella prima incisione Dante compare anche una quarta volta, nell’angolo a destra, chino a
terra, con evidente allusione a Inf. III 136 («e caddi come
l’uom cui sonno piglia»). Nessuna di queste incisioni può
essere il modello per la silografia bresciana che, ad andamento verticale, è invece interamente occupata dalla maestosa volta della porta dell’Ade e dai due Poeti, colti di
spalle nell’atto di attraversarla. Dante e Virgilio sono poi
ripetuti all’interno, varcata la soglia, in dimensioni ridotte
la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2015
con coerenza prospettica, di fronte a
una massa indistinta di esili figurine
calve che si accalcano sulle sponde
dell’Acheronte in attesa del nocchiero Caronte. Sembra qui cogliersi
la reminiscenza, se non addirittura
una palese citazione, del fortunato
bulino mantegnesco del Cristo al
Limbo nell’ambientazione architettonica dell’arco con i conci fratturati e
nell’innovativa disposizione di spalle
dei protagonisti. Altrettanto può dirsi
per il consueto proscenio geologico e per la resa delle stratificazioni geologiche, anch’esso spia dell’interesse mantegnesco di quest’artista, in qualche misura aggiornato alla
cultura figurativa dei primi anni Ottanta. Anche il mostruoso diavolo volante che inforca un peccatore nel sabbione infuocato della silografia di Inf. XVII (c. k5v)
sembra imparentato coi rumorosi mostri volanti che occupano la parte superiore del citato Cristo al Limbo, mentre in mastro Adamo deformato dall’idropisia colto
nell’atto di sferrare un pugno a Sinone troiano (Inf. XXX:
c. q3r) agisce forse il ricordo del sileno obeso al centro del
Baccanale con sileno di Mantegna.
dicembre 2015 – la Biblioteca di via Senato Milano
Nel Dante del Bonini è evidente un improvviso
scarto qualitativo fra le prime 19 silografie dell’Inferno,
per le quali ci si appoggiava alle incisioni fiorentine, e le
successive. L’impressione è che il venir meno dei cartoni
preparatori, per così dire, offerti dal Dante 1481 abbia
creato inaspettate difficoltà esecutive agli artisti bresciani,
costretti a progettare ex novo i disegni e tradurre visivamente il Poema dantesco. A questo punto può non essere
casuale che proprio la silografia progettata per Inf. XXI
(c. m4v) sia rimasta abbozzata e quella per Inf. XXII insolitamente lacunosa. Nella prima la narrazione è solo intuibile per la mancanza di parecchi particolari: sono
appena delineati il paesaggio alle spalle dei due Poeti, l’intera scena centrale della bolgia dei barattieri con tre diavoli e la figura di Virgilio che probabilmente avrebbe
dovuto essere rappresentato mentre parlamenta con Malacoda. La silografia successiva (Inf. XXII, c. m7v), pur finita, è già del tipo che si incontra assai di frequente negli
ultimi canti dell’Inferno e quasi costantemente nel Purgatorio: i peccatori sono ridotti ad anonimi manichini
privi di ogni dettaglio anatomico e fisionomico, così come
non resta traccia della definizione dei panneggi delle vesti
e della resa espressiva dei due Poeti caratteristica delle
prime silografie assegnabili a due artisti di maggior spessore. Al contrario, i legni di Inf. XXV (c. o2v) e Inf.
XXVIII (c. p2r), pur scolastici, tradiscono nella sovrabbondanza figurativa un innegabile sforzo di fedeltà testuale. Alludo ai dettagli di crudo realismo di Inf. XXVIII:
Maometto squartato dalla gola al basso ventre da cui fuoriescono le interiora (XXVIII 22-31); Mosca dei Lamberti
NOTE
1
DANTE ALIGHIERI, La Divina Commedia; illustrazioni di Sandro Botticelli; prefazione a la
Divina Commedia di J. RISSET; presentazione e
commenti ai disegni di Botticelli di P. DREYER,
Parigi, Diane de Selliers, 1996; i saggi raccolti
in Sandro Botticelli pittore della ‘Divina Commedia’, Roma, Scuderie Papali al Quirinale, 20
settembre – 3 dicembre 2000, Catalogo della
Mostra a cura di S. GENTILE, 2 voll., Milano, Skira, 2000; C. LANDINO, Comento sopra la Comedia, a cura di P. PROCACCIOLI, Roma, Salerno editrice, 2001, I, pp. 126-193.
2
Sul Bonini, in mancanza di un più robusto studio a lui dedicato, si veda qui almeno, L.
39
con le mani mozzate (XXVIII 103-111); Pietro da Medicina con la gola tagliata colto nell’atto di profetizzare, con
le mani aperte, il tradimento ai danni dei due nobili fanesi (XXVIII 64-90) e nuovamente Pietro da Medicina
che spalanca la bocca di Curione cui è stata tagliata la lingua (XXVIII 94-102); infine, Bertrand de Born che solleva con la mano la propria testa tagliata (XXVIII
118-141). A un’artista diverso, incline ai dettagli e che fa
ampio ricorso al tratteggio chiaroscurale, sono da attribuirsi, oltre alla silografia di Inf. XXIV (c. n6r), le ultime
della prima cantica (tra cui quella di Inf. XXX dominata
dalla caricaturale figura di mastro Adamo in primo piano
deformato dall’idropisia) e le prime del Purgatorio. Ancora sua è probabilmente la figura di Lucia con lunga
veste cinta al seno e capelli raccolti in una raffinata acconciatura che si accosta a Dante meditabondo nella silografia di Purg. IX (c. dd5r). Poi dovette cedere il passo a
qualche modesto garzone di bottega che proseguì, con
poche idee e troppa fretta, il corpus iconografico, lasciando
forse qualche legno persino non finito (così parrebbero le
silografie di Purg. XV, Purg. XVI, Purg. XXV).
Nelle prime quattro silografie (Inf. I-IV), forse in
accordo col Bonini, l’acquirente era invitato a inserire il
nome dei personaggi raffigurati in appositi cartigli lasciati
vuoti. Si tratta di un interessante episodio del rapporto di
convivenza fra libro a stampa e manoscritto nei primi decenni della stampa. Nella prima silografia il lettore era
chiamato non solo a completare l’illustrazione col nome
dei due Poeti (quello di Dante da ripetersi addirittura tre
volte in corrispondenza delle tre raffigurazioni ravvici-
DONATI, Tipografi e incisori, in Storia di Brescia,
III, La dominazione veneta 1576-1797, Brescia, Morcelliana, 1964, pp. 701-721: 711-713;
la voce di A. CIONI, in Dizionario Biografico degli Italiani, XII, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1970, pp. 215-219; P. VENEZIANI, La
tipografia a Brescia nel XV secolo, Firenze, Olschki, 1986, pp. 76-78.
3
ROBERTUS VALTURIUS, De re militari, Verona,
Bonino Bonini, 13 febbraio 1483 (BMC VII, p.
952; ISTC iv00089000); ROBERTUS VALTURIUS,
Opera dell’arte militare, tr. Paolo Ramusio, Verona, Bonino Bonini, 17 febbraio 1483 (BMC
VII, p. 952; ISTC iv00090000).
4
Oltre ai classici P. COLOMB DE BATINES, Bi-
bliografia Dantesca, Prato, Tipografia Aldina
Editrice, 1895, I, pp. 49-52; G. MAMBELLI, Gli annali delle edizioni dantesche, n° 12; M. SANDER,
Le livre à figures italien depuis 1467 jusqu’à
1530, Milan, Hoepli, 1942, n° 2312; IV, pp. LXLXII: LXI, si vedano le relative schede anche in
Pagine di Dante. Le edizioni della ‘Divina Commedia’ dal torchio al computer. Catalogo della
mostra Foligno, 11 marzo – 28 maggio 1989,
Ravenna, 8 luglio – 16 ottobre 1989, Firenze
1990, a cura di ROBERTO RUSCONI, Milano-Perugia, Electa-Editori Umbri Associati, 1989 pp.
137-138; C. LANDINO, Comento sopra la Comedia, a cura di P. PROCACCIOLI, pp. 174-175; e nei
recenti Dante poeta e italiano legato con
40
la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2015
nate), ma anche a esercitare un più attento sforzo di comprensione del testo e dell’immagine riconoscendo le tre
fiere e inserendo per ognuna il nome corretto al luogo
opportuno. Nelle due silografie successive, ai consueti
cartigli in corrispondenza di Dante e Virgilio, si aggiungono il cartiglio riservato a Beatrice (Inf. II 52-114) e
quello (anticipato già nello scorcio della silografia di Inf.
II e poi più correttamente in Inf. III) destinato a ospitare
la minacciosa iscrizione sulla porta dell’Ade (Inf. III 1-21).
Nella silografia di Inf. IV al lettore era infine riservato un
autentico gioco enigmistico consistente nell’identificare
correttamente una decina di personaggi maschili e femminili che affollano il castello degli spiriti magni. È altrettanto curioso che l’invito a completare il libro a stampa
non prosegua però oltre la quarta silografia. Già in Inf. V
non resta traccia dei cartigli in bianco né fu adottata la soluzione, che sarà invece piuttosto usuale a partire dalle
edizioni della Commedia veneziane del 1491, di corredare
le matrici dei nomi dei personaggi, privando però così
l’acquirente di ogni residuo margine di intervento sulla
propria copia.
Come reagirono gli acquirenti all’invito a completare le figure? Casi isolati, ma di estremo interesse sul
fronte della storia dei singoli esemplari, sono le iscrizioni
vergate sulla volta della porta dell’Ade, e non nel troppo
angusto cartiglio soprastante (Inf. III, c.b8v) proprio nella
amore in un volume. Mostra di manoscritti e
stampe antiche della raccolta di Livio Ambrogio, Roma, Palazzo Incontro, 21 giugno – 31
luglio 2011, Roma, Salerno editrice, 2011, n°
26; Censimento dei commenti danteschi. 3. Le
«Lecturae Dantis» e le edizioni delle opere di
Dante dal 1472 al 2000, a cura di CIRO PERNA –
TERESA NOCITA, Roma, Salerno ed., 2012, p. 367.
Il corpus silografico del Dante bresciano è interamente riprodotto e descritto in G. PETRELLA,
Dante Alighieri, Commedia, Brescia, Bonino
Bonini, 1487. Repertorio iconografico delle silografie, Milano, Edizioni CUSL, 2012 (liberamente accessibile e scaricabile in formato pdf
alla pagina web http://creleb.unicatt.it).
5
Le prime due cantiche risultano stampate con carta di buona qualità prevalentemente del tipo con filigrana ‘cerchio sormontato
da croce con doppio braccio’ o all’occorrenza
copia della Biblioteca di via Senato («Lassate ogni speranza o voi ch’entrate») e in quella della Biblioteca di Treviso e della Staatsbibliothek di Berlino,7 mentre
nell’esemplare della Biblioteca Comunale di Savona fu più
semplicemente aggiunta l’indicazione manoscritta «Porta
Inferi».8 Nell’esemplare della Biblioteca Forteguerriana
di Pistoia una mano coeva non solo inserì per esteso, o in
forma abbreviata, in inchiostro rosso i nomi nei cartigli
delle silografie Inf. II-IV (probabilmente anche nella
prima, ma la copia è mutila proprio di c. a1), ma proseguì
anche nelle quattro silografie successive (Inf. V-VIII) che
pure non presentano cartigli a stampa destinati ad accogliere l’intervento manoscritto dei lettori.9 Compì lo
sforzo maggiore alla silografia di Inf. IV cimentandosi con
l’ardua identificazione suggerita dall’incisore: non soltanto
i Poeti a sinistra, che sembra creassero meno problemi (inserisce correttamente «lucano horatio homero ouidio»),
ma anche, fra i personaggi nel castello, la coppia «re latino
[la]vinia»; «ipocrate» nella figura solitaria a sinistra con
turbante orientaleggiante forse piuttosto da identificarsi
con Saladino (Inf. IV 129); probabilmente «lucrecia
mar[zia] corn[iglia]» (Inf. IV 128), nei tre cartigli che sovrastano la massa di figure maschili e femminili al centro;
infine solo «aueroè» nel gruppo dei filosofi barbuti a destra, lasciando vuoti un paio di altri cartigli. Segnale che
c’era chi stava al gioco lanciato da Bonino Bonini!
‘balestra’. Nella terza cantica si riscontra invece l’impiego di carta di qualità inferiore priva
di filigrana (per un profilo dell’edizione e
l’analisi delle varianti riscontrate negli esemplari superstiti rinvio a G. PETRELLA, Dante in tipografia. Errori, omissioni e varianti nell’edizione Brescia, Bonino Bonini, 1487, «La Bibliofilia», 115, 2013, pp. 167-195; G. PETRELLA, Iconografia dantesca ed elementi paratestuali
nell’edizione della Commedia Brescia, Bonino
Bonini, 1487, «Paratesto», X, 2013, pp. 9-36).
6
Si è individuato il foglio l4.5 nel I stato
originale negli esemplari: Bergamo, Biblioteca
Civica Angelo Mai, Inc. 4 25; Milano, Biblioteca Nazionale Braidense, Castiglioni 19; Milano, Biblioteca Nazionale Braidense, AI XIV 27;
Torino, Biblioteca Nazionale, XV II 39; Torino,
Collezione privata Livio Ambrogio, II copia con
legatura in mezza pergamena; Udine, Biblio-
teca Comunale Joppi, Thes. II. 139- inv. 16891;
Liège, Université de Liège, XV.A33; Madrid, Biblioteca Nacional de España, Inc. 776; Oxford,
Bodleian Library, Bodley Auct. 2Q 4.11; Cambridge (MA, USA), Harvard College Library,
Houghton Library, Hollis 002372943; Montreal, McGill University Library, Incunabula
Dante 1487; New York, Morgan Library, PML
18151; London (Ontario), University of Western Ontario, King’s University College, SMC
D6.08; Stanford (CA, USA), Stanford
University Library, Rare Book Collection
KA1487 .D36 F CB.
7
Milano, Biblioteca di via Senato; Treviso,
Biblioteca Comunale, n. 13349 – Cass. C ex
S.3.98.i; Berlin, Staatsbibliothek, 2° Inc 2812.
8
Savona, Biblioteca Comunale, Inc. 44.
9
Pistoia, Biblioteca Forteguerriana, Inc.
33 (mutilo della prima carta).
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42
la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2015
dicembre 2015 – la Biblioteca di via Senato Milano
43
SPECIALE DANTE ALIGHIERI
UN COMMENTATORE
DELL’OPERA DI DANTE
Sulle tracce di Benvenuto da Imola
ANTONIO CASTRONUOVO
N
on possediamo l’autografo della Divina Commedia,
che conosciamo mediante le copie manoscritte realizzate
dopo la scomparsa di Dante. Anche
di uno dei grandi commenti al poema dantesco, quello di Benvenuto
Rambaldi da Imola, non abbiamo
l’autografo, andato perduto, anche
se nessuno può dire “inesorabilmente”: l’Italia è piena di carte, di
grandi archivi inesplorati e di cassapanche dimenticate in soffitta.
Prima o poi potrebbe anche emergere dall’ombra qualcosa di rilevante e inatteso.
Benvenuto era nato a Imola
attorno al 1330; dopo gli studi in
città, lo ritroviamo a Bologna, all’epoca centro culturalmente assai vivace e aperto alle
sollecitazioni pre-umanistiche, dove praticava tra i
muri della propria casa la professione di magister, di
lettore e interprete di classici. È riconducibile agli anni
bolognesi un’ampia lettura “critica” del poema dantesco, attuata lungo le serie di lezioni che Benvenuto teneva ai suoi allievi. Diligente e attento, uno di loro annotò le lezioni in un bel fascio di carte che finirono per
Sopra: Frontespizio del volume dedicato al Paradiso della
traduzione del Comentum di Tamburini, Imola, Galeati,
1856. Nella pagina accanto: Frontespizio della traduzione
italiana manoscritta del Comentum attuata da Giovanni
Tamburini
costituire il codice Lectura Dantis
Bononiensis, oggi conservato a Torino (e di imminente pubblicazione
critica, a cura di Paolo Pasquino,
presso l’editore Longo di Ravenna). Bene: queste letture costituiscono il magma intellettuale da cui
prese poi vita il grande Comentum
super Dantis Aldighieri Comœdiam,
opera che nacque gradualmente,
concrescendo su stessa mediante
progressive aggiunte e correzioni.
Per non chiari motivi di contrasto con l’ambiente dei letterati
felsinei, Benvenuto fu indotto dopo il 1375 a trasferirsi a Ferrara,
dove di certo dimorava nel 1377.
Grazie all’ospitale accoglienza di
Niccolò II d’Este pose mano alla
stesura definitiva del commento dantesco, che portò a
termine verso il 1383. Il grande manoscritto era redatto in un latino volgare che, per essere la lingua parlata
dell’insegnamento, ci appare oggi agile e popolaresco,
di straordinaria efficacia espositiva. Benvenuto morì a
Ferrara non oltre il 1388.
Il posto di rilievo che occupa tra i commentatori
trecenteschi della Commedia sorge dallo spirito di libera osservazione critica, tale per cui Benvenuto, sempre
attento alla tradizione esegetica, non l’accolse pedissequamente, confutandola invece spesso. Tuttavia, non è
solo la posizione esegetica a fare di lui, nel tardo Trecento, una figura di novità: vi concorre anche lo stile
retorico-letterario. L’accurata analisi di Benvenuto è
44
infatti stemperata in un largo flusso di carattere novellistico, arricchita di ricordi e facezie, lungo una scrittura capace di miscelare realismo e umorismo. Tutto ciò
fa del suo Comentum un’opera al tempo stesso dotta e
gradevole, della quale cantano le lodi due dantisti del
calibro di Sapegno e Momigliano. E tutto questo in un
Benvenuto che, pur già distante dall’orizzonte ancora
medievale di Dante, ne accoglie ed esalta l’alto magistero di poesia, celebrandone la laudatio. Questa sua
personalità di interprete e di creatore, di esegeta e artefice, fece sì che i lettori che per primi ebbero per mano
il suo grande commento ne gioissero, come accade a
noi moderni. Il che depone per la modernità stessa del
spirito critico di Benvenuto, capace di collegare la sua
epoca al gusto della nostra.
Forse per il suo stile scorrevole e per il ricco patrimonio di riferimenti, il Comentum fu presto giudicato
di grande rilievo e molti furono i signori che ne vollero
possedere copia manoscritta, pagando appositamente
un amanuense per procurarsela. Ne deriva che dell’opera esiste un buon numero di codici residui. Una lo-
la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2015
ro prima mappa fu redatta più di cent’anni orsono da
Luigi Rossi-Casè, autore della monografia Di maestro
Benvenuto da Imola, commentatore di Dante (Pergola,
Gasperini, 1889). La mappa è stata poi integrata da
Marcella Roddewig nel lungo saggio Per la tradizione
manoscritta dei commenti danteschi: Benvenuto da Imola e
Giovanni da Serravalle (accolto negli atti del convegno
Benvenuto da Imola lettore degli antichi e dei moderni, Ravenna, Longo, 1991). Infine, l’elenco dei codici è riproposto (parzialmente) dal bellissimo saggio che Franco
Quartieri ha dedicato a Benvenuto da Imola: un moderno
antico commentatore di Dante (Ravenna, Longo, 2001).
La settantina di codici oggi noti è costituita in
parte da commenti integrali, che vertono cioè su tutt’e
tre le cantiche del poema dantesco, in parte è limitata a
una sola di esse. L’elenco dei codici sarebbe qui ridondante, ma vale citare i sei principali, quelli completi. Il
più antico risale al 1395 ed è conservato alla Biblioteca
Nazionale di Parigi; gli altri furono stilati nei primi decenni del Quattrocento: il più famoso (del 1408) è custodito dalla Biblioteca Estense di Modena, gli altri so-
dicembre 2015 – la Biblioteca di via Senato Milano
45
Nella pagina accanto: due carte del codice imolese
dell’Inferno dantesco incorniciato dal Comentum di
Benvenuto da Imola.
A destra: pagina dell’apografo imolese, copia manoscritta
del Comentum super Dantis Aldighieri Comœdiam
conservato presso la Biblioteca Estense di Modena
no sparsi tra Medicea-Laurenziana di Firenze, Marciana di Venezia e Vaticana di Roma.
Ora, sia la Roddewig sia Quartieri indicano l’esistenza nella città natale di Benvenuto di un codice parziale di commento dell’Inferno. Oltre a ciò, viene anche
spontaneo chiedersi se e come Imola abbia coltivato un
efficace ricordo del proprio figlio. Doverosa dunque
una sosta negli archivi della città, dove il codice davvero
esiste e risale all’inizio del Quattrocento. A prima vista,
per le convenzionali dimensioni di cm 30 x 21 e per la
legatura moderna in pelle rossa con cordoni dorati al
dorso, sembra di maneggiare un codice di ortodossa
concezione, che il successivo lavoro degli uomini ha
salvato dall’incuria.
Ma che sia codice eterodosso risalta bene alla prima visione: non è infatti una vera copia del Comentum,
quanto una sua apposizione attorno alle terzine in centro pagina di un manoscritto dell’Inferno. Oltretutto, il
commento appare solo parzialmente: delle 264 carte di
cui consta il codice, solo le prime 32 sono incorniciate
dal commento, che circonda soltanto i canti I-XIV
dell’Inferno. A salvare l’ortodossia della tradizione interviene la conformità del testo a quello del codice
estense.
Le carte commentate sono comunque di grande
bellezza: lo sguardo non finisce di gioire perdendosi
nella selva dei caratteri del commento, per poi sostare
sulle centrali terzine dantesche. La scrittura del commento proviene dalla mano di un solo copista ed è in
stile semigotico; stile usato anche per le terzine dei canti, i cui titoli sono redatti in inchiostro rosso, come anche la loro rima iniziale; la prima lettera di ogni terzina
è maiuscola e resa ben evidente da un tocco di giallo.
Avere per mano questi codici resta sempre una gran
bella esperienza di educazione alla civiltà.
La città di Benvenuto fece anche altro per lui. Pur
città nativa, per secoli fu priva di una copia completa del
Comentum: fu un suo cittadino a premere, a metà Otto-
cento, affinché la comunità si procurasse una copia del
codice estense e poi, come non bastasse, a condurre su
quella copia la sola traduzione oggi accessibile in lingua
italiana.
Quando l’avvocato Giovanni Tamburini diventò
nel 1835 presidente della locale Accademia degli Industriosi (unico istituto imolese ad essere accolto nel noto
repertorio di Michele Maylender, Storia delle Accademie
d’Italia, Bologna, Cappelli, 1926-1930) chiese al Magistrato che reggeva la città di ordinare una copia del codice estense del Comentum, dato che gli sembrava ormai
inderogabile che la città nativa dell’autore ne possedesse un esemplare integrale. L’apografo imolese (così è detta la copia manoscritta) è costituito da tre grossi volumi
- uno per cantica - rilegati in tutta pelle, delle dimensioni di cm 36 x 25. La sua bellezza materiale è notevole,
come la sua storia. L’avvertenza posta in premessa ne
narra le vicende: la copia fu richiesta dalla «illustrissima
Magistratura della città di Imola» nel novembre 1842
alla Regia Biblioteca Estense, affinché fosse prodotta
una copia completa del manoscritto da quella bibliote-
46
La recente edizione in 3 volumi del Comentum tradotto in
italiano da Tamburini (Russi, VACA edizioni, 2009)
ca custodito. Il Primo Bibliotecario estense, Antonio
Lombardi, diede il permesso e per avviare il lavoro di
copiatura chiese due anni di tempo, una idonea quantità di carta e una somma non superiore ai duecento scudi
romani. Il lavoro dell’amanuense iniziò nel febbraio
1843 e fu notevolissimo: un incarico di mano ferma e
pazienza certosina. Poiché la copia doveva andare a
Imola, cioè all’estero, a Modena fecero le cose con la
massima attenzione: ogni volume si chiude con una dichiarazione di conformità all’originale, firmata dal copista e dal prefetto della Regia Estense.
Una volta ottenuta la copia a vantaggio della città,
il Tamburini volle onorare Benvenuto e pensò dapprima di dare alle stampe il Comentum secondo il testo della copia. Ma meditò anche sul fatto che il latino del-
la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2015
l’opera non era più, come nel Trecento, la lingua migliore per propagare la conoscenza dell’autore. Prese
dunque una decisione storica: sapendo di disporre di un
testo affidabile, volle cimentarsi nella sua traduzione
letterale. Ho accennato al fatto che la sua è diventata la
sola accessibile traduzione italiana, per la semplice ragione che esistono traduzioni precedenti, ma in forma
di codici manoscritti risalenti al Tre-Quattrocento
(uno alla Nazionale di Parigi, l’altro alla Bodleian di
Oxford). Ne deriva che quella di Tamburini può essere
considerata, sostanzialmente, la sola abbordabile traduzione.
L’operazione si protrasse per cinque anni, dal
1844 al 1849, e fu condotta servendosi probabilmente
di alcuni aiutanti, la cui traduzione Tamburini controllò e corresse, per apporre a fatica conclusa la propria
firma. Gli archivi imolesi conservano l’autografo del
suo lavoro, una minuta in 102 fascicoli, che infine servì
per giungere nel 1855 (Inferno) e 1856 (Purgatorio, Paradiso) all’edizione presso la tipografia Galeati: tre volumi dal titolo Benvenuto Rambaldi da Imola illustrato
nella vita e nelle opere e di lui commento latino sulla Divina
Commedia di Dante Alighieri voltato in italiano dall’avv.
Giovanni Tamburini. Edizione abbastanza rara, di cui
sono provviste solo alcune biblioteche italiane.
È idea comune che quella di Tamburini sia una
cattiva traduzione, nel senso che egli si concesse parecchia libertà: ci sarebbero troppe indebite aggiunte, parecchie omissioni e anche vari errori. Tuttavia, il suo
merito evidente è di aver portato il Comentum di Benvenuto all’attenzione di un numero di lettori ben maggiore rispetto a quanto potrebbe oggi fare l’ostacolo della
lingua latina.
Una recente riedizione, anch’essa in tre volumi
(ma raccolti in cofanetto), ha inteso valorizzare l’impresa di Tamburini, portandola all’attenzione di un ancor più vasto pubblico. Curata da Walter Pretolani, con
premessa del dantista Emilio Pasquini e una scrupolosa
nota storica di Ivan Rivalta, l’opera porta il titolo Commedia con il commento di Benvenuto da Imola nella traduzione di Giovanni Tamburini (Russi, VACA edizioni,
2009). Trattasi di un’edizione che conviene a ogni dantista procurarsi, non perché destinata al limbo delle
opere épuisées, soprattutto in quanto brillante prova di
come - nella fitta rete del dantismo - la provincia italiana abbia giocato un ruolo di non secondario rilievo.
48
la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2015
dicembre 2015 – la Biblioteca di via Senato Milano
49
SPECIALE DANTE ALIGHIERI
VERTIGINE E TOTALITÀ
NELLA COMEDÌA DI DANTE
Attraverso una grande cattedrale d’inchiostro
MARCO CIMMINO
M
isurare un capolavoro,
per chi genio non sia, è
impresa titanica e, forse,
addirittura inutile: un’opera definitiva come la Comedìa dantesca si
presta a tali e tante chiavi interpretative da far tremare le vene e i polsi
a chiunque si prenda la briga di affrontarla, sia pure per poche e brevi
note come queste. Tuttavia, c’è almeno una riflessione ultima e mignola che lo scrivente si sente di affrontare, e riguarda l’impressione,
direi quasi il sentimento, di vertigine che dà il poema,
se si cerca di abbracciarne con lo sguardo la totalità,
quasi fosse un monumento di pietra e marmo, e non
opera d’inchiostro. Perché, certamente, fu così che
l’Alighieri immaginò la sua opera, prima ancora di iniziarne la paziente e metodica stesura: una visione monumentale, come quella che poteva folgorare il viandante, quando, dalla campagna, giungeva in una città e
si trovava di fronte una vertiginosa cattedrale gotica,
sorta come un miracolo d’ingegno e di fede, in mezzo
alle basse case e alle piazze polverose. Una specie di
sindrome di Stendhal, ma senza la smaliziata presunzione dei moderni: stupore e meraviglia, piuttosto.
Nella pagina accanto: William Blake (1757-1827), La porta
dell’Inferno (acquerello), Londra, Tate Gallery.
Sopra: Luca Signorelli (1445-1523), Dante (part. di
affresco, 1500), Orvieto, Duomo, Cappella Nuova (anche
detta della Madonna di San Brizio)
Così, immaginiamo Dante di fronte alla propria gigantesca creazione: viva quasi al di fuori del proprio
creatore. Una concezione olistica e
non letteraria del poema: una cattedrale d’inchiostro e di pergamena.
Perché, quasi certamente, Dante
progettò la Comedìa proprio come
si progetta una cattedrale: con la
fantasia dell’architetto, con la precisione dell’ingegnere. E, come, in
una cattedrale, pilastri e contrafforti giocano tra loro la sublime
partita dell’estetica e dell’equilibrio, concorrendo a sostenere l’impianto, in un intrecciarsi invisibile di forze
e di spinte contrapposte, così, nella smisurata piramide
dantesca, che s’innalza dall’abisso più buio alla rarefatta astrazione di Dio, intervengono forze meravigliose e
segrete, interagiscono legami simbolici e semantici, in
un incessante rimandarsi di suggestioni e richiami.
Questo è certamente frutto di un processo poietico
del tutto originale, perfino per una civiltà letteraria come quella del XIV secolo, per cui una rappresentazione
enciclopedica dell’universo non doveva essere rara.
Dante non rappresentò didascalicamente la storia e la
cronaca, le sacre scritture e i bestiari, ma dipinse un tutto: un’unica immensa scenografia del cosmo, in cui il minimo ed il massimo convivessero con naturalezza. Un
equilibrismo, forse: ma un equilibrismo eccelso. Per
questo, può essere interessante proporre una lettura della Comedìa più adatta all’analisi di un’opera figurativa o,
ancor più, architettonica, che quella tradizionale, a due
dimensioni, che parte dalla filologia e dell’ermeneutica.
50
In alto da sinistra: Incipit del Purgatorio, miniatura di
scuola toscana (XV secolo), Roma, Biblioteca Apostolica
Vaticana, codice Barberiniano Latino 4112, c. 75 r.;
Beatrice e Dante nell’Empireo (incipit del Paradiso),
miniatura di scuola fiorentina, Roma, Biblioteca Apostolica
Vaticana, cod. Barberiniano Latino 4112 (datato 30 maggio
1419), c. 141 r. Qui sopra: Ritratto allegorico di papa
Bonifacio VIII, miniatura di scuola settentrionale (inizi del
XVI secolo), tratto dal Vaticinia de Pontificibus Romanis di
Gioacchino da Fiore, Roma, Biblioteca Apostolica
Vaticana, cod. Rossiano 1374, c. 4 v.
la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2015
La struttura triplice del poema si ripropone anche
nel complesso meccanismo architettonico della visione
dantesca: vi sono plinti e contrafforti che si sostengono
vicendevolmente nella medesima cantica, ve ne sono
che, viceversa, creano corrispondenze tra canti di cantiche diverse e, infine, se ne trovano alcuni che determinano l’equilibrio globale dell’opera. Queste corrispondenze funzionano, tra loro, esattamente come i contrappassi che contraddistinguono pene e beatitudini:
alcune sono analogiche ed altre antitetiche o speculari.
Ecco, dunque, che possiamo individuare un primo sistema di spinte e controspinte, all’interno della Comedìa: una sola è la legge divina, ma agisce in due modi distinti ed opposti. Il suo valore è simbolico e, allo stesso
tempo, educativo: è creazione poetica e monito morale
insieme. Prendiamo a titolo di esempio una delle contrapposizioni più evidenti e più analizzate dell’Inferno
dantesco: quella tra il V canto ed il XXXIII: tra Paolo e
Francesca e Ugolino e Ruggeri. Dante intese rappresentare, attraverso questi due canti, non tanto una, pure
evidente, contrapposizione tra uomo e animale, tra
amore ed odio, quanto dare al lettore un’immagine globale di due diverse umanità. Questo avviene per mezzo
di diversi espedienti, che non riguardano soltanto la retorica e la stilistica, ma come dicevamo, la visione olistica e figurativa del poema. Innanzitutto, l’atmosfera,
che è determinata dalle condizioni oggettive in cui si
trovino i protagonisti: una bufera incessante ed inarrestabile per Paolo e Francesca, una palude ghiacciata che
imprigiona i dannati, per Ugolino e Ruggeri. Da una
dicembre 2015 – la Biblioteca di via Senato Milano
A destra dall’alto: I quattro poeti italiani (al centro Dante),
da La Divina Commedia, Firenze, Le Monnier, 1837
(Milano, Biblioteca di via Senato); Luigi Ademollo
(1764-1849), Paolo e Francesca, incisione per l’edizione della
Commedia stampata a Firenze, All’insegna dell’Ancora, nel
biennio 1817-1819, con dedica ad Antonio Canova
parte il movimento assoluto: dall’altra l’assoluta immobilità. La passione, ci vuole dire Dante, ci agita e ci percuote, ci rovescia e ci trasporta: il tradimento è l’esatto
contrario dell’amore, e paralizza l’anima dell’uomo,
addirittura precipitandolo nell’Inferno, prima che
muoia. Nel V canto ci troviamo all’inizio dell’Inferno e
nel XXXIII nel suo fondo: i lussuriosi sono dannati con
molte attenuanti, i traditori, invece, con molte aggravanti. Pare, in questo, di trovarsi di fronte alla gradazione della pena stabilita da un codice: di fatto, probabilmente, è proprio così che funziona il meccanismo
dantesco, rigorosamente matematico. E, poi, l’amore e
l’odio: amore che permette ai due amanti una deroga
alla solitudine imposta ai dannati nell’espiazione eterna
delle loro colpe; odio che, pure, concede ad Ugolino di
poter condividere la propria dannazione con colui che
uccise i suoi figli ed i suoi nipoti, innocenti: qui sta la
terribile aggravante di Ruggeri, che ne determina il
doppio contrappasso. Eppure, Ugolino, a modo suo, è
un’immagine dell’amore: non dell’amore cortese e nobile, ma di quello bestiale, che lega un animale ai propri
cuccioli.
Già a questo punto i rimandi potrebbero sommergerci: tentiamo di procedere, in questo gioco complesso di ricostruzione dei vari fili che formano la trama di
questo rapporto tra i due canti, pensando con sgomento ed ammirazione a quanti altri fili e quante altre trame
s’intreccino nell’intero poema. Basti pensare al comune atteggiamento dell’amante Francesca e dell’odiante
Ugolino, entrambi in lacrime durante la narrazione
delle proprie opposte vicende: eppure, nel fondo dell’Inferno, è proprio il Conte che richiama Dante a
un’umanità che pare aver perduto, mano a mano che è
disceso nel fondo dell’abisso, «…e se non piangi, di che
pianger suoli?». Proprio la quasi superumana capacità
dell’Alighieri di creare al di fuori di sé è racchiusa in
questo rimprovero paradossale.
Ma facciamo un altro esempio, questa volta strutturale, per meglio rendere l’idea di questo colossale
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la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2015
A sinistra: Raffaello Sanzio (1483-1520), Ritratto di Dante
(part. dell’affresco La disputa del Sacramento, 1509), Roma,
Palazzi Vaticani, Stanza della Segnatura.
Sotto: Dante Gabriele Rossetti (1828-1882), Beatrice
incontra Dante a una festa nuziale e gli nega il saluto (1855),
Oxford, Ashmolean Museum
gioco di richiami e di corrispondenze: la rappresentazione plastica, tra Inferno e Paradiso, della concezione
politica ed etica di Chiesa ed Impero, da parte di Dante.
Egli colloca nel canto dei simoniaci, un personaggio,
Bonifacio VIII, che, nel 1300 è ancora vivo e vegeto:
utilizza, a tale scopo, il noto espediente. Niccolò III si
trova a capofitto nel pozzo infuocato e non può vedere
chi si muova sopra di lui: di qui l’equivoco: «…se’ tu già
costì ritto, Bonifazio?», in cui il papa postula addirittura un errore del libro del destino.
Dante aggira così il dato anagrafico, per manifestare la propria inappellabile condanna verso la deriva
intrapresa dalla curia romana, cui va aggiunta, come
sempre, la sua personale avversione nei confronti di colui che egli ritiene responsabile delle sciagure di Firenze e delle sue proprie. Esattamente allo stesso modo, il
poeta nel XXX canto del Paradiso, farà profetizzare a
Beatrice la collocazione di Arrigo VII, che sarebbe
morto solo nel 1313, nella Candida Rosa, con l’indicazione del seggio incoronato, a lui già destinato da Dio.
Va da sé che l’utilizzo speculare del medesimo espediente narrativo, tra il XIX dell’Inferno e il XXX del Paradiso, non è semplicemente frutto del caso, ma rientra
in quella esattissima rete di corrispondenze di cui si diceva poco sopra: è come se l’Alighieri cercasse di dirci
che, nella sua immagine dell’universo, tutto si tiene,
tutto si collega, in una visione perfettamente armonica,
che deriva dalla perfezione del motore immobile che ne
alimenta l’esistenza, cioè Dio. E a Dio tutto ritorna,
esattamente come ogni azione buona o cattiva dell’uomo medievale, che vive un’esistenza imperniata letteralmente sulla religione.
Naturalmente, all’interno della Comedìa, vi sono
innumerevoli altri esempi di questo sistema architettonico: non è questa la sede per un’analisi dettagliata del
fenomeno.
Tuttavia, è speranza di chi scrive l’aver indicato al
lettore questa chiave interpretativa del poema dantesco, in modo che, ogni qual volta egli s’imbattesse in
questi rimandi, in questi rinvii, in una casella del mosaico, possa riconoscerne lo stigma: ne riconduca la scoperta ad una visione organica e globale dell’opera eccelsa di Dante. Poiché, certamente, così il poeta la vide,
prima ancora di comporla, in quel sogno meraviglioso
che è la creazione del genio: una perfetta cattedrale
d’inchiostro, ad maiorem gloriam Dei.
La qualità delle migliori nocciole e il cacao più buono
danno vita ad una consistenza
e ad un bouquet di sapori inimitabile.
Ferrero Rocher è quel dolce invito
che ti regala un momento prezioso,
perfetto da condividere
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la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2015
dicembre 2015 – la Biblioteca di via Senato Milano
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SPECIALE DANTE ALIGHIERI
GIORDANO BRUNO E
‘LA FURIOSA COMMEDIA’
Echi danteschi nelle opere del Nolano
GUIDO DEL GIUDICE
C’
è un piccolo borgo, che dalle colline digrada
verso il mare, in cui le memorie di Dante Alighieri e di Giordano Bruno stanno una accanto all’altra. Si tratta di Noli, un tempo florida Repubblica
Marinara, ove entrambi fecero tappa, nel corso del loro
peregrinare. Nel 1306 vi passò Dante, diretto in Francia,
che rimase a tal punto colpito dalla sua posizione, ai piedi
del Monte Ursino, da richiamarla all’inizio del Purgatorio:
Vassi in Sanleo e discendesi in Noli,
montasi su in Bismantova e ’n Cacume
con esso i piè; ma qui convien ch’om voli.
Nel 1576 fu la volta di Bruno trovare asilo all’ombra della chiesa di San Paragorio, come egli stesso dichiarò nel primo costituto del processo Veneto: «deposto l’abito, andai a Noli, territorio genoese, dove mi
trattenni quattro o cinque mesi a insegnar la grammati-
ca a putti». Ecco perché due lapidi, sotto il portico del
Palazzo comunale, ricordano oggi questi due geni così
diversi, accomunati dal destino dell’esule.
Giordano Bruno conosceva e amava le opere del
tosco poeta: la Monarchia, libro messo all’indice che lesse di nascosto a S. Domenico Maggiore, costituì uno
dei riferimenti principali della sua concezione politica,
e l’eco della Commedia si avverte con chiarezza in alcune
pagine molto suggestive. Nel secondo dialogo delle Cena de le Ceneri, una delle sue opere più famose, il Nolano
racconta l’avventuroso viaggio compiuto insieme ai
due amici londinesi John Florio e Matthew Gwinn, per
raggiungere il palazzo di Lord Fulke Greville, ove sarà
protagonista di un’accesa disputa sull’infinità dell’universo con due pedanti di Oxford. Il viaggio lungo il Tamigi, per il tono utilizzato e per i numerosi riferimenti,
che attingono oltre che alla Commedia, al VI canto
dell’Eneide virgiliana, è rappresentato come una vera e
Nella pagina accanto: Paul Gustave Doré (1832-1883), Purgatorio, Canto IV. Sotto da sinistra: le due lapidi che a Noli, nel
portico del Palazzo comunale, ricordano i passaggi di Giordano Bruno e Dante Alighieri nella cittadina ligure
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la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2015
Sopra: Giovanni Di Paolo (1399-1482), Dante e Beatrice
verso il cielo del Sole (1450 ca.), miniatura tratta dalla
Divina Commedia di Alfonso d’Aragona, Londra, British
Library. A sinistra: Raffaello Sorbi (1844-1931), Dante e
Beatrice (1903), collezione privata. A destra: frontespizio
della prima edizione de La cena de le ceneri (1584)
propria discesa agl’inferi. La barca sgangherata che la
compagnia, vista l’ora tarda, decide di noleggiare scricchiola sotto i colpi di remo di due anziani barcaioli, un dei
quali «pareva il nocchier antico del tartareo regno».
«Piaccia a Dio - esclama il Nolano - che questo non sii
Caronte». L’allegorica traversata dell’Acheronte si arresta bruscamente quando, con la scortesia tipica della plebe inglese, che Bruno fustigò in più occasioni,i due arcigni traghettatori sbarcano, in malo modo, i passeggeri
sulla sponda del fiume, in corrispondenza di un largo e
fangoso pantano. La descrizione assume i toni comici
della letteratura burlesca allorché il povero Bruno, fidando sulla sua esperienza di viaggiatore, prende il comando
del drappello e, piccolo com’è, rischia quasi di annegare:
«Il Nolano, il quale ha studiato ed ha pratticato ne le
scuole piú che noi, disse: - Mi par veder un porco passag-
gio; però seguitate a me. - Ed ecco, non avea finito quel
dire, che vien piantato lui in quella fanga di sorte che non
possea ritrarne fuora le gambe; e cossí, aggiutando l’un
l’altro, vi dammo per mezzo, sperando che questo purgatorio durasse poco». Nell’interpretazione “tropologica”
che Bruno aveva preannunciato nell’Argomento del dialogo, il pantano, la «buazza», come lui la chiama, corrisponde dunque al purgatorio. Nel finale della stessa Cena, il filosofo richiamerà esplicitamente una sua opera,
purtroppo perduta: «A voi, Smitho, mandarò quel dialogo del Nolano, che si chiama Purgatorio de l’inferno; e ivi
vedrai il frutto della redenzione». Quale fosse questo
purgatorio e a quale redenzione egli si riferisse non ci è
dato sapere, ma potremmo metaforicamente identificarla nell’avventurosa peregrinatio attraverso l’ingannevole
scienza del tempo, per arrivare alla dimora della verità
che, in questo caso, è una verità esclusivamente di ragione, e non di fede. Dall’inferno del Tamigi, attraverso il
pantano del purgatorio, si giunge infine a quello che
sembra un paradiso: «In conclusione, tandem laeta arva
tenemus: ne parve essere ai campi Elisii, essendo arrivati a
la grande ed ordinaria strada». La piccola “commedia”
del Nolano si rivela, però, più infernale che divina, per-
dicembre 2015 – la Biblioteca di via Senato Milano
ché, risaliti sulla strada maestra, i tre compagni di avventura si accorgono di essere praticamente tornati al punto
di partenza: «ne ritrovammo poco piú o meno di vintidui
passi discosti da onde eravamo partiti per ritrovar gli barcaroli, e vicino a la stanza del Nolano». Senza alcuna redenzione ricomincia, dunque, il viaggio del filosofo nel
tenebroso Averno dell’ignoranza.
A mio avviso, però, l’influenza del modello dantesco agisce a un livello più alto, in un altro dialogo del periodo londinese: il De gl’heroici furori. Non a caso Bruno
confessa nell’Argomento, che l’opera avrebbe dovuto
chiamarsi Cantica: «avevo pensato prima di donar a questo libro un titolo simile a quello di Salomone, il quale
sotto la scorza d’amori ed affetti ordinarii contiene similmente divini ed eroici furori, come interpretano gli mistici e cabalisti dottori; volevo, per dirla, chiamarlo Cantica». Se è vero che il riferimento dichiarato è al Cantico
de’ Cantici, non si può non avvertire la suggestione del
grande poema dantesco. Anche in questa cantica, come
in quelle della Divina Commedia, il protagonista è l’autore stesso: lì un poeta-filosofo, qui un filosofo-poeta. Lì
l’intercessione di Beatrice consente a Dante un percorso
di purificazione morale e religiosa che culminerà nella visione dell’eterno. Qui, invece, è Diana che permette ad
Atteone, rappresentazione autobiografica del filosofo, di
cogliere il principio divino nell’unità del reale. La sostanziale differenza con l’esperienza del sommo poeta è rimarcata dall’utilizzo, consueto in Bruno, di un mito della
tradizione classica, quello del cacciatore Atteone, che per
aver sorpreso Diana nuda al bagno, viene tramutato dalla
dea in cervo e sbranato dai suoi stessi cani. In questa “furiosa commedia”, Diana è tramite e fine stesso dell’esperienza mistica: come la luna illumina la notte con la sua
luce riflessa, così la «Diana ignuda», rappresenta per il
furioso a caccia della verità, la natura comprensibile in
cui si irradia lo splendore della natura superiore: «Questa
verità è cercata come cosa inaccessibile, come oggetto
inobiettabile, non sol che incompresibile.
Però a nessun pare possibile de vedere il sole,
l’universale Apolline e luce absoluta per specie suprema
ed eccellentissima; ma sí bene la sua ombra, la sua Diana, il mondo, l’universo, la natura che è nelle cose, la luce che è nell’opacità della materia, cioè quella in quanto
splende nelle tenebre». La Dea non introduce, dunque,
il furioso alla contemplazione della divinità assoluta, ma
permette di riconoscerne la potenza nella divinità co-
57
municata, che è la Natura. Del resto, anche Beatrice,
dopo aver presentato a Dante lo spettacolo dell’armonia
dell’universo, deve cedere il passo: servirà la mediazione
mistica, rappresentata da San Bernardo, per arrivare alla
visione diretta della divina trinità, che resterà in ogni caso un’esperienza ineffabile:
Nel suo profondo vidi che s’interna
legato con amore in un volume,
ciò che per l’universo si squaderna:
sustanze e accidenti e lor costume,
quasi conflati insieme, per tal modo
che ciò ch’i’ dico è un semplice lume.
58
Sopra: Girolamo Mazzola detto
il Parmigianino (1503-1540), Diana e
Atteone (part. di affresco, 1524),
Fontanellato, rocca Sanvitale.
A destra: frontespizio della prima
edizione del De gl’heroici furori (1585)
Siamo, dunque, al cospetto di
due grandi mistici: un misticismo
che, paradossalmente, assume in
Dante, letterato politicamente impegnato, un afflato intensamente
religioso e in Bruno, pensatore formatosi nel grembo della Chiesa cattolica, gli accenti laici di un materialismo panteisticamente divinizzato.
Per entrambi si tratta di un
viaggio metafisico-teologico, ma
con due teorie della rivelazione ra-
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dicalmente diverse: in una prevale
la fede, nell’altra la filosofia. Si avverte, con chiarezza, la distanza che
separa il Medioevo dal Rinascimento: il poeta, pur consapevole della
sua grandezza e profondamente
critico nei confronti del potere
temporale della chiesa, depone l’orgoglio intellettuale ai piedi della
croce; il filosofo, che a tutto antepone il messaggio pichiano di dignità della ragione, affida non alla
fede ma al furore, cioè a un’esperienza tutta intellettuale, il «disquarto» del velo di Maya.
Per entrambi, comunque, la
contemplazione del divino costituisce, nei limiti delle rispettive concezioni teologiche, il fine ultimo e
trascendente dell’esperienza conoscitiva.
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dicembre 2015 – la Biblioteca di via Senato Milano
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SPECIALE DANTE ALIGHIERI
QUANDO IL ’900 MISE
DANTE SOTTO TORCHIO
Le edizioni dantesche dei Mardersteig
MASSIMO GATTA
F
orse nessun’altra opera come quella dantesca ha
unito i primordi della tipografia italiana con gli
esiti prestigiosi della moderna stampa al torchio, in un’ideale parabola che nel nome di Dante ha
avvicinato l’Umanesimo al Novecento, e forse il nuovo
è solo l’antico dimenticato oppure osservato meglio, infatti: «Molte cose sono nuove, perché semplicemente
dimenticate: la conoscenza è l’occasione migliore per
consolidare il ponte creativo tra la cultura visiva del
passato e quella del presente».1
Fin dal torchio di Johann Neumeister a Foligno
dove, tra il 5 e il 6 aprile del 1472, vede la luce l’editio
princeps non commentata della Comedia dantesca,2
sembra non ci sia secolo in cui le opere del fiorentino
non siano state messe “sotto torchio”. Neumeister
giunge a Foligno nel 1464 in qualità di copista, e solo
nel 1470 circa lo si vedrà all’opera con un torchio,
avendo acquistato le attrezzature da Johann Reinhardt, tedesco come lui ma attivo a Trevi, luogo dal
quale proveniva anche il collaboratore di Neumeister,
Evangelista Angelini. Ma come accadde a Gutenberg,
gli affari andarono male e lo stampatore venne imprigionato per debiti, e in seguito ritornò in patria. Si deve invece al celebre stampatore Windelin von Speyer,
veneziano d’adozione,3 la prima stampa della Commedia col commento in volgare di Jacopo della Lana sotto
il nome di Benvenuto da Imola, uscita a Venezia dai
suoi torchi nel 1477. E da questa suggestiva Venezia
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la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2015
Sopra: Stampa al torchio Dingler dell’Officina Bodoni,
2001. A sinistra: Sotto: Rino Grazioli torcoliere
dell’Officina Bodoni, 1961. Nella pagina accanto: Pietro
Annigoni, Ritratto di Giovanni Mardersteig, 1949
quattrocentesca, le cui acque lambivano le Fondamenta degli Incurabili,4 con volo pindarico che attraversa
quasi cinque secoli di stampa, approdiamo a Montagnola (Lugano) dove il principe degli stampatori al torchio del Novecento, il weimariano Hans Mardersteig
impianta, fin dal 1922,5 la sua Officina Bodoni che ha
rappresentato, per intere generazioni di tipografi al
torchio,6 una vera e propria università della stampa manuale. L’11 agosto del 1962 Hermann Hesse venne sepolto, come desiderava, nel piccolo cimitero di Sant’Abbondio a Montagnola, accanto ai suoi amici.7 A
quel luogo di sepoltura pensava fin dal settembre del
’27, quando aveva accompagnato la salma dell’amico
Hugo Ball, il fondatore del Dadaismo, che lì riposa insieme alla moglie, la poetessa Emmy Hennings. A Sant’Abbondio, tra i tanti amici che lo circondano, c’è anche Friedrich Spiess, il torcoliere dell’Officina Bodoni
di Mardersteig,8 amico e vicino di casa di Hesse in quei
suoi felici anni ticinesi (l’altro era il maestro torcoliere
Peter Demeter). Hesse scrisse nel ’23 un ritratto dell’Officina Bodoni,9 che Mardersteig stamperà lo stesso
anno come plaquette, così come anni dopo farà la
Stamperia Valdonega,10 tradotta in inglese da Ralph
Manheim. Casa Camuzzi a Montagnola, dove Hesse
dicembre 2015 – la Biblioteca di via Senato Milano
visse, e ora trasformata in multiproprietà, era luogo
ideale degli incontri amicali tra Hesse e lo stampatore
tedesco.
Il nome di Dante è elemento catalizzatore per alcuni dei maggiori stampatori al torchio del nostro Novecento. Prima di analizzare il contributo specifico dei
Mardersteig, mi piace ricordare il duplice Dante di
Franco Riva, il canto XVII del Paradiso, stampato in
edizione privata nell’autunno del 1975 per Enrico Ottaviano e Alessandro Falck,11 quindi nel Natale del ’77
ornato da una acquaforte di Arnaldo Ciarrocchi.12 Più
ampio fu invece il contributo dantesco del torchio
Stanhope del veronese Alessandro Zanella: dalla stampa privata dell’88 per Gianfranco Tomezzoli e Anna
Tantini della canzone Io son venuto al punto de la rota,13
rimesso sotto torchio nel ’93 in una edizione con 4 incisioni di Enrico Castellani14 e, lo stesso anno, come prova di stampa di un nuovo inchiostro tipografico;15 dai
canti XXVIII del Purgatorio e XXVI dell’Inferno stampati per Silvio Berlusconi Editore rispettivamente nel
’9516 e nel ’96,17 al testo dantesco inserito in Nugae del
2003,18 fino al canto XIII dell’Inferno del ’97, stampato
per le Edizioni Tiratura di coda.19
Risale invece al primo quarto del Novecento uno
dei primi volumi dell’Officina Bodoni (nata nel 1923),
stampato nel nome di Dante. Nel luglio del ’25, giusto
90 anni fa, i torcolieri Spiess e Demeter misero “sotto
torchio” il primo Dante dell’Officina, la Vita nuova,
63
con un Proemio di Benedetto Croce (pp. III-VII),20 all’epoca uno dei maggiori filosofi viventi, bibliofilo sui
generis e conoscitore dell’opera di Mardersteig;21 scrive
Croce nella sua nota a proposito dell’importanza di
questa edizione: «Ma la critica non sarebbe a suo luogo
nel proemio della presente edizione, bella come forse
non l’ha mai finora avuta (sebbene ne abbia avute di assai lussuose) il libretto di Dante. In questa edizione
conviene lasciare il lettore a solo a solo con Dante». Il
testo seguito era quello filologicamente approntato
dalla Società Dantesca Italiana, stampato con gli eleganti caratteri Bodoni Casale e Bodoni Catania, che
diedero il nome alla magistrale impresa tipografica.22
L’edizione si presentava di notevole complessità; scrive
al riguardo Ottavio Besomi: «Mardersteig sta attendendo ora a una edizione della Vita nuova di Dante, tipograficamente forse il compito più difficile mai affrontato dall’Officina, per il quale crede di aver trovato
una soluzione molto soddisfacente. La realizzazione
però è molto complessa, e Mardersteig lavora tutto il
giorno al torchio fino a tarda notte. Appena stampati i
campioni, ne manderà una copia anche a Reinhart.23
[…] Sull’altro versante, l’attività dello stampatore continuava con altri titoli: La vita nuova (con il Proemio di
Benedetto Croce) era ormai uscita, Mardersteig stava
mettendo mano ad altri lavori»;24 dal colophon apprendiamo inoltre che il testo critico utilizzato, della Società Dantesca Italiana, era stato concesso dagli editori R.
Bemporad & figlio di Firenze. Quasi vent’anni dopo
seguiranno le Nove poesie dantesche, scelte da Antonio
64
la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2015
Pellizzari, sempre seguendo il testo della S.D.I.,
un’edizione privata di grande eleganza formale.25 Sicuramente però il Dante di Mardersteig strutturalmente
più complesso fu La Divina Commedia, nell’edizione
della Società Dantesca Italiana rivista dal dantista Giovanni Nencioni, uscita nell’aprile del ’63 in 9 volumi (2
per cantica)26 con 100 illustrazioni di Salvador Dalì,27
stampata per conto di Arti e Scienze (Roma) e di Salani
(Firenze). L’edizione di testa, stampata al torchio
dall’Officina, sarà di 44 esemplari su carta giapponese
Kaji Torinoko,28 di cui 19 ad personam e 25 numerati,
tutti firmati al colophon dall’artista spagnolo. L’edizione normale, su carta Magnani, verrà invece stampata in
3000 esemplari nella Stamperia Valdonega.29 Scrive
NOTE
1
Presentazione non firmata in «Tipoitalia», 1, inverno 2008.
2
Cfr. La prima edizione della Divina Commedia. Foligno, 1472, a cura di E. Casamassima, Milano, Il Polifilo, 1972, ristampa anastatica in 850 esemplari.
3
Un suggestivo romanzo con protagonista lo stampatore tedesco è quello di M. Lovric, The Floating Book, London, Virago Press,
2003.
4
Il richiamo è ovviamente a I. Brodskij,
Mardersteig di questa edizione: «È un grosso impegno
per ogni tipografo quello di stampare un’opera così importante come la Divina Commedia di Dante e di studiarne l’impostazione grafica. Ho stampato varie edizioni in lingua inglese e in lingua italiana, tuttavia nessuna di esse mi aveva affascinato come questa, tanto più
che qui dovevo tener conto di alcuni limiti imposti dal
formato e dalle illustrazioni colorate e molto personali
di Dalì».30 Mardersteig si riferiva a varie edizioni dantesche stampate nel corso dei decenni, anche per conto
terzi nella Stamperia Valdonega 31 la Divina Commedia
introdotta da Natalino Sapegno, stampata nella collana
ideata dal banchiere Raffaele Mattioli “La letteratura
italiana. Storia e testi” (v. 4), edita a Milano nel ’57 per
Fondamenta degli Incurabili, Venezia, Consorzio Venezia Nuova, 1989.
5
Cfr. Giovanni Mardersteig a Montagnola. La nascita dell’Officina Bodoni 1922-1927,
scritti di L. Tedeschi e O. Besomi, Verona, Edizioni Valdonega, 1993 [catalogo della mostra,
a cura di L. Tedeschi, Montagnola, 15 ottobre21 novembre 1993]; Giovanni Mardersteig a
Brera. La nascita dell’Officina Bodoni 19221927, a cura di L. Tedeschi, presentazione di A.
Batori, Verona, Valdonega, 1994, brochure
con l’elenco delle opere esposte [Milano, Bi-
blioteca Braidense, 2-25 giugno 1994].
6
Sulla tipografia al torchio in Italia nel
Novecento segnalo due interessanti tesi: C.
Tavella, Stamperie private in Italia fra tradizione e modernità, rel. J. Clough, Politecnico
di Milano, Fac. del Design, Corso di laurea in
Design della comunicazione, a. a. 2009/2010;
E. Apolloni, Umanisti del torchio e “dimestiche” stamperie. La privatissima arte nera nella
Verona del Novecento, rel. T. Brugnoli, Università degli Studi di Verona, laurea magistrale in
Editoria e giornalismo, a. a. 2013/2014.
dicembre 2015 – la Biblioteca di via Senato Milano
Riccardo Ricciardi Editore; le Opere di Dante, con testo
critico della Società Dantesca Italiana (Firenze, Società
Dantesca Italiana, 1960); il Dante di Giovanni Villani,
stampato in 400 esemplari (Verona, 1962); le Rime per la
Donna Pietra in 125 esemplari (Verona, Le Rame,
1965); il Dante a Verona, catalogo di una mostra al Museo di Castelvecchio (Verona, Comune, 1965); Le Opere di Dante, nell’Edizione Nazionale della Società
Dantesca Italiana, introduzione di
Giorgio Petrocchi, in 4 volumi (Milano, Mondadori, 1966-67); The Divine Comedy in 3 volumi, traduzione
di Thomas G. Bergin e illustrazioni
di Leonard Baskin, stampata da Meriden Gravure Company (New
York,
Grossman
Publishers,
1969);32 Il Dante di Guttuso, brani
della Divina Commedia illustrati dal
pittore siciliano (Milano, Mondadori, 1970, ristampa 1975);33 La prima edizione della Divina Commedia.
Foligno 1472 (Milano, Il Polifilo,
1972); la Vita Nuova, a cura di Domenico de Robertis (Milano, Ricciardi, 1980); le Opere minori, a cura
sempre di de Robertis e di Gian-
65
franco Contini, edite nella collana dei “Classici italiani” (Milano, Ricciardi, 1984); la Divina Commedia in 3
volumi illustrata da Mario Donizetti, Renato Balsamo e
Alessandro Kokocinsky, in 475 copie numerate e firmate dagli artisti (Bologna, Art’è-Scripta, 2004)34 e infine
La Divina Commedia, traduzione di Robert e Jean Hollander, con 100 illustrazioni di Monika Beisner, stampata privatamente in 500 copie, di cui 75 con la suite
delle tavole numerate e firmate
(Verona, Valdonega, 2007).35
Ma al di là dei prestigiosi esiti
tipografici, di cui abbiamo dato testimonianza, l’omaggio forse maggiore che il mondo della stampa
manuale ha tributato nel Novecento al grande poeta fiorentino paradossalmente non è un libro ma un
carattere di stampa, pensato, voluto, disegnato e realizzato per il torchio, e il cui prestigio fu tale che in
seguito verrà adattato anche per la
stampa in Monotype. Ci riferiamo
al Dante, l’ultimo elegante carattere romano disegnato da Marder-
66
la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2015
steig36 tra il ’46 e il ’52,37 considerato «il suo capolavoro»38 e che compendiava l’esperienza e lo studio che lo
stampatore aveva accumulato fin dal ’29 coi suoi primi
caratteri: Bembo, Griffo, Zeno, Zarotto, Fontana39 e
Pacioli, oltre ad essere stato l’esito estremo di una vita
dedicata allo studio della tipografia e appunto dei caratteri,40 punzonista eccelso dei quali fu sempre il grande
Charles Malin (1883-1955), conosciuto da Mardersteig fin dal ’27. Il Dante è un carattere graziato dotato
di leggibilità perfetta; la font è stata digitalizzata nei
primi anni Novanta nella serie VAL (Valdonega Ae-
7
Vedi sul tema C. Zanda, Un bel posticino.
La Spoon River di Hermann Hesse, Milano,
Marcos y Marcos, 2012.
8
Un profilo di Spiess è quello di C. Zanda
in Idem, Un bel posticino. La Spoon River di
Hermann Hesse, cit., pp. 131-132; vedi anche
M. Gatta, Tra i torchi dei Mardersteig, in M.
Nocera, Officina Mardersteig. Un incontro
con Martino Mardersteig, con una nota di M.
Mardersteig, due scritti di F. Riva e lettere di G.
Mardersteig ad A. Vigevani, Macerata, Biblohaus, 2015, pp. 119-125.
9
Pubblicato su «Neue Zürcher Zeitung», 4
novembre 1923.
10
Fondata da Mardersteig nel 1948, avviando il progetto di una stamperia, alternativa all’Officina Bodoni, attrezzata con macchine compositrici e pianocilindriche, cfr. 50 an-
sthetic Line) ed è quindi utilizzabile nell’editoria elettronica: «Il programma VAL è stato sviluppato nella
Stamperia Valdonega dal figlio Martino Mardersteig
col proposito di offrire alla propria clientela il carattere
Dante, disegnato negli anni ’50 dal suo fondatore Giovanni Mardersteig per la composizione in piombo, in
una nuova versione studiata per la fotocomposizione
più fedele all’originale, rispetto a quella digitalizzata
dalla Monotype41 di Londra nel 1991».42
Come ricordava lo stesso Mardersteig nel suo
Credo del 1962: «L’ultima serie di tipi incisi da Charles
ni di libri nella Stamperia Valdonega. Dalla tipografia al digitale, Verona, Valdonega, 1998
[opuscolo della mostra, Biblioteca Trivulziana,
Milano 4-28 giugno 1998]. Utili anche The
Officina Bodoni & The Stamperia Valdonega.
An Exhibition marking the 100th anniversary
of the birth of Giovanni Mardersteig, New
York, The Grolier Club [printed at the Stinehour Press, design Jerry Kelly], 1992
[brochure della mostra, 17 dicembre 1991] e
G. Zuanazzi, La Stamperia Valdonega di
Verona, rel. L. Rossetti, Università degli Studi
di Padova, Fac. di Lettere, tesi di specializzazione per bibliotecari, a.a. 1987-1988.
11
Stampa privata in 50 esemplari numerati, su carta Amatruda di Amalfi, senza illustrazioni, carattere Bembo tondo c. 24 [I Giorni, 9], cfr. Editiones Dominicae. I libri privati di
Franco Riva stampati al torchio a mano sibi &
sodalibus, con l’aggiunta dell’elenco degli
scritti di Riva, a cura di F. Riva, Verona, Stamperia Valdonega, 1985, p. 31, n. 80 [catalogo
della mostra, Biblioteca Civica, Verona, 15
giugno – 15 luglio 1985]; Privato ac Dominico
More. Il torchio e i libri di Franco Riva, a cura di
L. Tamborini, Milano, Biblioteca di via Senato Electa, 1997, p. 117, n. 79 [catalogo della mostra, Biblioteca di via Senato, Milano, 19 settembre – 16 ottobre 1997].
12
Stampato in 120 esemplari numerati su
carta a tino Magnani, caratteri Bembo tondo
c. 24 e Janson corsivo c. 20 [I Poeti Illustrati
nuova serie, XXIII]. Testo in italiano e latino,
precede il Canto la dedica di Dante a Cangrande; cfr. Editiones Dominicae. I libri privati
di Franco Riva stampati al torchio a mano sibi
dicembre 2015 – la Biblioteca di via Senato Milano
Malin, ed è il lavoro più esteso, è il carattere DANTE.
Anche in questo caso le migliori forme di alfabeti creati
nell’importante periodo del primo umanesimo furono
oggetto di studio con il desiderio di combinare con una
forma armoniosa la massima leggibilità, a mezzo di un
occhio relativamente grande. Debbo essere molto grato all’amico incisore che, a rifare e a ritoccare tanti punzoni, non perse la pazienza finché il mio ideale non fosse raggiunto!».43
Questo carattere verrà però utilizzato la prima
volta solo nell’autunno del ’55 per la stampa al torchio
& sodalibus, cit., p. 33, n. 85 e Privato ac Dominico More. Il torchio e i libri di Franco Riva, cit.,
p. 121, n. 83.
13
Stampato in 200 esemplari numerati su
carta Magnani, con una incisione su linoleum
di F. Arduini, carattere Bodoni, cfr. Con il torchio. Alessandro Zanella tipografo ed editore,
a cura di A. Corubolo, testi di C. Zambianchi e
A. Corubolo, Verona, Ampersand [ma Stamperia, Lazise, in 600 copie numerate], 2014, p.
65, n. 50.
14
Stampato per le Edizioni Proposta d’Arte Colophon in 110 esemplari numerati, testo
composto da R. Olivieri in carattere Bembo su
carta Hahnemühle, cfr. Con il torchio. Alessandro Zanella tipografo ed editore, cit., p. 71,
n. 70.
15
Stampato in 25 esemplari numerati a
67
del Trattatello in laude di Dante, di Giovanni Boccaccio.
Il testo utilizzato furono le 27 carte iniziali del Codice
membranaceo 104.6 della Biblioteca Capitolare di Toledo, autografo del Boccaccio, trascritto e curato da
Giovanni Muzzioli. Il Dante venne utilizzato nei corpi
10 e 12 tondo e corsivo, con iniziali in corpo 30 stampate in rosso e azzurro, mentre il titolo al frontespizio era
in corpo 20, in nero e rosso.44 Questo volume, e il carattere che lo celebra e dal quale prese il nome, sarà anche
l’ultima opera di Charles Malin, che morirà nello stesso
anno.45
stampa, carattere Bembo, cfr. Con il torchio.
Alessandro Zanella tipografo ed editore, cit.,
p. 115, n. 180.
16
Testo critico stabilito da G. Petrocchi, 3
litografie di R. Savinio, in 205 esemplari, 5
esemplari su carta Torinoko Kozu e 200 su
carta Alcantara, carattere Garamond, rilegato
da G. De Stefanis, cfr. Con il torchio. Alessandro Zanella tipografo ed editore, cit., p. 76, n.
85.
17
Testo critico stabilito da G. Petrocchi, 3
xilografie incise da P. Di Silvestro, in 205
esemplari, 5 esemplari su carta Torinoko Kozu
e 200 su carta Alcantara, carattere Garamond, cfr. Con il torchio. Alessandro Zanella
tipografo ed editore, cit., p. 76, n. 86. In Silvio
Berlusconi Editore catalogo dei libri, MilanoVerona, Ruggero Olivieri, Alessandro Zanella,
1993, viene però indicato che il volume era illustrato da Fabrizio Clerici, come anche nel
pieghevole Silvio Berlusconi Editore catalogo
dei libri, s.n.t., 1993.
18
Stampato su carta Hahnemühle per il
Consorzio degli Studi Universitari di Verona in
100 esemplari, testi di Catullo, Dante, Shakespeare, Maffei, Goethe, Ruskin, Barbarani, carattere Centaur, cfr. Con il torchio. Alessandro
Zanella tipografo ed editore, cit., p. 84, n. 109.
19
Testo stabilito da G. Petrocchi sull’antica vulgata trecentesca; xilografie originali di
P. Di Silvestro, in 10 esemplari numerati a
stampa su carta Hahnemühle, carattere
Spectrum, cfr. Con il torchio. Alessandro Zanella tipografo ed editore, cit., p. 116, n. 181.
20
Cfr. L’opera di Benedetto Croce, bibliografia a cura di S. Borsari, Napoli, nella sede
68
dell’Istituto [ma L’Arte Tipografica, Napoli],
1964, p. 224, n. 1834.
21
Cfr. B. Croce, Lettere a Vittorio Enzo Alfieri (1925-1952), Milano, Spes, 1986. Del filosofo abruzzese Mardersteig stamperà al
torchio anche Un angolo di Napoli (1953), ed
Aesthetica in nuce (1966).
22
La Vita nuova venne stampata in 230
esemplari, 5 su pergamena e gli altri su carta
Fabriano a tino, nei caratteri Bodoni Casale
tondo e corsivo c. 20, e Bodoni Catania tondo
c. 16, rilegati in marocchino o in pergamena a
seconda della tiratura, cfr. G. Mardersteig,
L’Officina Bodoni. I libri e il mondo di un torchio 1923-1977, introduzione di H. Smoller,
Verona, Edizioni Valdonega, 1980, pp. 26-28,
n. 14.
23
Scrittore, traduttore e mecenate
(1880-1963).
24
O. Besomi, Come nasce un libro nell’Officina Bodoni di Montagnola, in Giovanni
Mardersteig a Montagnola. La nascita dell’Officina Bodoni 1922-1927, cit., pp. 65-67.
25
Edizione stampata nell’agosto del ’43 in
51 esemplari, di cui uno su carta Giappone
imperiale, gli altri su carta a tino, carattere
Centaur tondo c. 16 con iniziali in c. 24, Cfr.
L’Officina Bodoni. I libri e il mondo di un torchio 1923-1977, cit., p. 69, n. 63.
26
Gli altri volumi contenevano rispettivamente una serie delle 100 tavole a colori, le
progressive dei colori di una tavola e le cento
tavole in nero riprodotte in calcografia.
27
Incise e stampate a Parigi da Raymond
Jacquet.
28
Il figlio di Mardersteig, Martino, ne seguì la fabbricazione nella cartiera di Y. Moriki
sull’isola Shikoku.
29
Cfr. L’Officina Bodoni. I libri e il mondo di
un torchio 1923-1977, cit., pp. 124-125, n.
133.
30
Ibidem, p. 124.
31
Segnalate in Giovanni und Martino
Mardersteig. Buchgestalter, Typographen
und Drucker in Verona, herausgegeben von E.
von Freeden und J. Fischer, Leipzig, Museum
la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2015
für Druckkunst [stampa Verona, Stamperia
Valdonega], 2008, pp. 93-98, catalogo realizzato in occasione dei 60 anni della Stamperia
Valdonega.
32
Cfr. Giovanni and Martino Mardersteig.
Book designers, typographers, and printers in
Verona. Catalogue of the exhibition celebrating sixty years since the founding of the press
Stamperia Valdonega 1948-2008, edited by J.
Kelly, New York, The Grolier Club [stampa
Verona, Stamperia Valdonega], 2008, p. 46, n.
29 e tav. 8 [catalogo della mostra, New York,
The Grolier Club, 20 novembre 2008 – 6 gennaio 2009].
33
Ibidem, p. 46, n. 31, “con le tavole stampate fino a 9 colori per rinforzare la quadricromia” (M. Nocera).
34
Ibidem, p. 52, n. 63.
35
Ibidem, p. 54, n. 73 e tav. 20.
36
“[…] il carattere Dante, creato da Giovanni Mardersteig, è il risultato dell’armonia
alfabetica. Si tratta di un carattere molto bello, molto ben leggibile, ben studiato e molto
ammirato. Per ottenere il disegno del primo
Dante, Giovanni Mardersteig passò giorni e
giorni a studiare e confrontare i più antichi
incunaboli e codici, fino a che non riuscì nell’impresa. Grazie alla sua esperienza riuscì a
disegnare un carattere del tutto nuovo, i cui
punzoni furono magistralmente realizzati da
Charles Malin.”, M. Nocera, Officina Mardersteig. Un incontro con Martino Mardersteig,
cit., pp. 34-35.
37
Cfr. J. Dreyfus, Il creatore di caratteri da
stampa, in Giovanni Mardersteig. Stampatore, editore, umanista, a cura di F. Origoni e S.
Marinelli, Verona, Edizioni Valdonega, 1989
[catalogo della mostra, Verona, Museo di Castelvecchio, 2 giugno – 15 settembre 1989],
pp. 49-96, per il carattere Dante vedi pp. 7995; cfr. anche Idem, The Dante Types, «Fine
Print», october 1985, C. Tavella, Mardersteig,
tipografo intellettuale, in Eadem, Stamperie
private in Italia fra tradizione e modernità,
cit., pp. 75-86 [83-85] e M. Nocera, Officina
Mardersteig. Un incontro con Martino Mar-
dersteig, cit., pp. 34-39. Di notevole interesse
è inoltre Dante, un carattere progettato da
Giovanni Mardersteig, «Tipoitalia», 1, inverno
2008, pp. 20-31 e A. Lawson, Dante, in Idem,
Anatomy of a Typeface, London, Hamish Hamilton, 1990, pp. 98-109.
38
Così M. Rattin e M. Ricci in Giovanni
Mardersteig, in Idem, Questioni di carattere.
La tipografia in Italia dal 1961 agli anni Settanta, Viterbo, Nuovi Equilibri, 1997, pp. 120129, il giudizio è a p. 127.
39
Disegnato per la stamperia Clear-Type
di William Collins Clear.
40
Cfr. Scritti di Giovanni Mardersteig sulla storia dei caratteri e della tipografia, Milano, Il Polifilo [stampa Verona, Stamperia Valdonega], 1998, in 650 esemplari.
41
Cfr. The Work of Giovanni Mardersteig
with ‘Monotype’ Faces, London, The Monotype Corporation Ltd. [ma stampa Verona,
Stamperia Valdonega], 1967.
42
Dal colophon della brochure Valdonega Aesthetic Line, Verona, Stamperia Valdonega, 1995.
43
G. Mardersteig, Credo (1962), Verona,
Stamperia Valdonega, 18 ottobre 1979, p.
[15]. All’epoca dello scritto di Mardersteig il
carattere Dante, su consiglio di S. Morison,
venne inciso anche meccanicamente alla Monotype, mentre l’incisione di Malin rimaneva
ad uso esclusivo dell’Officina Bodoni.
44
Stampato in 140 esemplari numerati di
cui i primi 15 su carta Giappone imperiale e
125 su carta a mano Rives, tutti rilegati in marocchino rosso, cfr. G. Mardersteig, L’Officina
Bodoni. I libri e il mondo di un torchio 19231977, cit., pp. 105-106, n. 111.
45
Dopo la scomparsa di Malin Mardersteig fece “[…] incidere meccanicamente da
Ruggero Olivieri a Milano matrici [del carattere Dante, N.d.A.] nei corpi 16 e 18, quest’ultimo solo corsivo, con ascendenti e discendenti lunghe, facendo poi aggiungere al corpo 18 un’alternativa in corsivo cancelleresco”,
in Dante, un carattere progettato da Giovanni
Mardersteig, cit., p. 28.
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la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2015
dicembre 2015 – la Biblioteca di via Senato Milano
71
SPECIALE DANTE ALIGHIERI
IL MISTERO DELLA
PROFANA COMMEDIA
Una parodia dantesca semi-futurista
ANTONIO CASTRONUOVO
S
e c’è un’opera della storia letteraria sottoposta a un’infinità
di parodie, imitazioni, deformazioni, traduzioni nei più diversi
linguaggi, dialetti compresi, questa è
la Commedia di Dante: alla fine del
1949, e per varie puntate, uscì addirittura una parodia su vari numeri di
«Topolino», col titolo L’inferno di
Topolino. Alla luce della massima fama e diffusione dell’opera non potrebbe essere altrimenti; e tuttavia
esiste un mondo che non è riuscito a
esprimere Dante mediante gli schemi del proprio linguaggio: il futurismo. Sembra insomma che Dante
non sia entrato nell’immaginario futurista, se non per l’atmosfera dell’irriverente romanzo
Venezianella e Studentaccio, di recente riscoperto e pubblicato (Milano, Mondadori, 2013). Composto da Marinetti tra autunno 1943 ed estate 1944 il romanzo traspone nei due personaggi - in una delirante ricchezza di dettagli surreali - le figure di Beatrice e Dante.
Alcuni noti repertori bibliografici, come la Bibliografia del futurismo di Claudia Salaris (Roma, Biblioteca
del Vascello, 1988, p. 106) e Filippo Tommaso Marinetti:
bibliografia di Domenico Cammarota (Milano, Skira,
2002, p. 182), segnalano però un titolo sonoro: La profana commedia di Francesco de Goyzueta, pubblicata a Mi-
Nella pagina accanto: la copertina del volume di Francesco
de Goyzueta, La profana commedia, (Milano, 1915).
Sopra: il frontespizio dell’opera
lano da Bietti e Reggiani nel 1915.
Ambedue le bibliografie definiscono
l’opera una «parodia dell’opera dantesca»: è tuttavia cosa originale che
la Commedia potesse diventare profana, anche perché Dante usa il termine “profano” una sola volta, quando
si riferisce ai golosi definendoli «miseri profani» che urlano come cani e
si dimenano alla ricerca inutile di un
transitorio sollievo (Inferno, VI, 21).
Nulla si reperisce sulla figura
dell’autore: persona colta e inventiva il cui sonoro nome - Francesco
de Goyzueta - fa sospettare che sia
uno pseudonimo. Il bibliofilo può
però consolarsi apprendendo che
La profana commedia è opera rintracciabile. Il Catalogo
Unico delle biblioteche italiane (ICCU) ne individua
18 esemplari, ben distribuiti nelle biblioteche dell’Italia centro-settentrionale. Il valore venale è presto individuato: nel momento in cui scrivo (ottobre 2015) la libreria antiquaria milanese Pontremoli ne ha copia in
vendita a 220 euro. Questi dati suggeriscono due fatti:
la presenza in tante biblioteche italiane fa sospettare
che sia stato libro di buona diffusione al momento della stampa; la penuria di copie in commercio privato indica per contro che si tratta di libro di una certa rarità.
Si tratta di un volumetto in ottavo, rilegato in
mezza tela antica, di 162 pagine e con copertina figurata, sulla quale, a ulteriore dimostrazione che è implicato nella parodia, Dante appare in posa meditativa, come a osservare perplesso il bailamme attorno a lui e a
72
la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2015
da repente torpor sentomi preso,
rendonsi grevi le palpèbre, cade
di mano il libro e resto lì rappreso.
A leggere il gravoso Treïtscke, fautore del pangermanesimo, può capitare di cadere nelle spire del sonno;
ed è così che l’autore viene visitato da uno Spirito che gli
sarà guida in un viaggio variopinto, traboccante di figure,
vicende, luoghi e colpi di scena. L’indice del volume, che
non elenca i canti bensì i temi di volta in volta traversati,
dimostra la ricchezza inventiva, che si allunga, con gustosa immaginazione, sulla storia, la letteratura e la politica.
Se qualcosa di futurista c’è nella Profana commedia è
l’apparizione di Marinetti in veste di protagonista. Accade nel canto IV, quando alcuni illustri poeti, tra cui il vate
d’Annunzio, stanno dialogando ed ecco che alle loro spalle appare un personaggio:
Ci volgemmo tementi... Era del novo
Parnaso Futurista il Sommo Capo,
che ghignando riprese: Nausea io provo
L’incipit del canto I de La Profana commedia
preannunciare che nel testo ne accadono di tutti i colori. Lo profetizza anche il sottotitolo: Poema tragicomico
in 34 canti, dove “tragicomico” è termine che fa già sospettare quanto di pungente il testo riserva. Firmata da
Giovanni Vaccaro, la prefazione Al lettore lo dice a chiare lettere: «È questa l’opera più originale e bizzarra che
sia mai apparsa, e chi la leggerà attentamente non potrà
non ritrarne un godimento intellettuale affatto nuovo e
diverso da quello che potrebbe derivargli dalla lettura
di un qualunque altro componimento del genere».
Nata da uno sgorgo infrenabile di fantasia, e transitando su multiformi tonalità (georgica, comica, elegiaca, bacchica), l’opera non rinuncia a un incipit di
sfacciata parodia dantesca:
Nel mezzo del cammin di nostra vita
mentre leggevo Treïtscke, disteso
ne la mia sedia a dondol preferita,
del rivedervi, teste di Prïàpo!
spalleggiator d’un fetido passato!
ma qui (se ’l ficchi bene ognuno in capo!)
qui sono onnipotente e venerato! / [...]
son quel Marinetti
che copriste di beffe e di disprezzo!
Piace l’appellativo di «teste di Prïàpo» affibbiato a
poeti «spalleggiatori d’un fetido passato»: se non è qualcosa di propriamente futurista, ha di certo una sonorità di
ribellismo anarchico.
Tonalità che La profana commedia conserva nel suo
essere giocata in chiave antiaustriaca, tanto che l’ultimo
verso prende commiato dal lettore invocando un’Italia libera e lanciando l’acuto messaggio che chi in guerra
muore lo fa per trarla «dal lungo servaggio».
Nel maggio 1915 l’Italia era entrata nel primo conflitto mondiale: il finale fa pertanto presumere che il poema fosse composto quando già la dichiarazione di guerra
all’Austria era avvenuta. E la parodia tragicomica di
Francesco de Goyzueta si avviava rapidamente a far parte
di anni soltanto tragici, e null’affatto comici.
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la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2015
dicembre 2015 – la Biblioteca di via Senato Milano
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SPECIALE DANTE ALIGHIERI
LA MONARCHIA DI DANTE:
DENTRO L’UTOPIA
Il poeta e il dramma del potere
Riproponiamo qui la prefazione
editoriale al XIV volume della
collana “Biblioteca dell’Utopia”:
Dante, Monarchia, con il
Commentario di Cola di Rienzo e
il Volgarizzamento di Marsilio
Ficino, (Milano, Silvio
Berlusconi editore, 2004).
C
ontinua con la Monarchia di
Dante il viaggio di questa
collana alla ricerca dell’utopia. L’opera, scritta in latino dal
sommo poeta in tre libri, non si riferisce genericamente agli stati retti da
un re; con essa l’Alighieri voleva aiutare la causa dell’Impero, ovvero di
quel principato che sta sopra gli altri: desiderava difenderne i diritti contro le pretese della Chiesa e l’atteggiamento dei guelfi più oltranzisti. In queste pagine si riflettono, come in uno specchio, le argomentazioni e le discussioni politiche del tempo. Dante, ad esempio, si
schiera con coloro che sostenevano la tesi che l’imperatore ricevesse la sua autorità direttamente da Dio e non
dalle mani del pontefice, più o meno l’esatto contrario di
quanto pensava papa Bonifacio VIII.
A sostegno delle tesi opposte circolavano numerosi
Nella pagina accanto: l’uscita dalla ‘natural burella’ (Inferno,
canto XXXIV), miniatura di scuola ferrarese (Guglielmo
Giraldi e aiuti, 1478 circa), Roma, Biblioteca Apostolica
Vaticana, cod. Urbinate Latino 365, c. 95 v.
Sopra: Giotto (o, più probabilmente scuola giottesca),
Ritratto di Dante (XIV secolo), Firenze, palazzo del Bargello
trattati, ai quali Dante attinse alcune
argomentazioni o con cui polemizzò.
In controluce ecco allora apparire il
De potestate regia et papali di Giovanni
da Parigi, la glossa anonima alla bolla
Unam sanctam di Bonifacio VIII, la
Determinatio compendiosa de iurisdictione Imperii attribuita a Tolomeo da
Lucca, il De regimine christiano di
Giacomo da Viterbo: è soltanto un
piccolo gruppo di scritti sicuramente
utilizzati, ai quali è possibile aggiungere molto ancora. A ben guardare in
essi, ci si accorge di quanto capillare
fosse la discussione in atto.
Così, per fare il solito esempio,
Giovanni da Parigi fa derivare l’autorità del re direttamente da Dio e dal popolo, che ha eletto
sovrano lui e la sua famiglia. Sul primo cardine di tale potere non vi poteva essere particolare discussione; sul secondo, ovvero sul popolo, tutte potevano aprirsi. Allora
Giovanni cerca prova in Aristotele, nelle storie di Mosè e
Giosuè, nelle dichiarazioni di papa Gelasio, dove poteva.
Giacomo da Viterbo, al contrario, era il teorico della
«plenitudo potestatis Papae», ovvero della derivazione
da lui di ogni potere e del suo pieno diritto di esercitare,
nel modo più assoluto, entrambe le autorità, spirituale e
temporale. Gli argomenti evangelici evocati, a cominciare dall’incarico che Cristo dà direttamente a Pietro, sembravano allora più ortodossi e convincenti.
Dante dunque oscilla in quest’ambito, preferendo
la soluzione ricordata, scrivendo un’opera che dovette
sembrare piena di buon senso e di realismo. Senonché,
nel ripubblicarla oggi, dopo gli inchini che si devono al
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la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2015
A sinistra: Andrea del Castagno (1421-1457), Ritratto di
Dante (1450 ca.), Firenze, Cenacolo dell’ex convento di
Santa Apollonia. Nella pagina accanto da sinistra:
Frontespizio di Dante, Monarchia, con il Commentario di
Cola di Rienzo e il Volgarizzamento di Marsilio Ficino,
Milano, Silvio Berlusconi editore, 2004 (collana Biblioteca
dell'Utopia) e il ritratto di Dante, di Marco Carnà, dallo
stesso volume
suo genio, ci rendiamo conto di come taluni problemi da
lui affrontati siano ancora presenti con la maschera mutata. La legittimazione di un potere ora l’abbiamo risolta
con il concetto di democrazia, ma non possiamo fare a meno di discutere cosa sia la stessa democrazia e quali limiti
abbia. I re sono finiti nei rotocalchi e nella cronaca rosa, gli
imperatori sono scomparsi, ma intorno al desiderio di Dio
ne sappiamo forse meno che al tempo di Dante. Ci accorgiamo che dietro le guerre in corso, dietro le scelte epocali si parla ancora e necessariamente di Dio. Che ora non
concede il potere all’uno o all’altro, ma ogni forma di potere invoca Lui per legittimarsi. Bush insegna.
Così, nel riprendere il testo della Monarchia ci accostiamo, anche senza accorgercene, ai dibattiti politici in
corso. Gli arricchimenti qui proposti con Marsilio Ficino
e Cola di Rienzo ci spingono in seno all’utopia. Se il primo
fu sostanzialmente un uomo alla ricerca dell’anima in
ogni atto della propria vita, il secondo si dimenticò un
giorno di averla. La sostituì con la grandezza dell’antica
Roma, con un progetto di unificazione dell’Italia centra-
le, con assemblee di laici, poi con l’autorità e infine - termina sempre così - con tasse insopportabili che fecero imbestialire il popolo. E da esso fu ucciso. Problemi, come si
potrà notare, che con qualche dettaglio in più o in meno
saprebbero suscitare complessi dibattiti, ai quali si potrebbe partecipare ancora con l’opera dantesca e con
quelle sue preoccupazioni sul potere che continuano a essere attuali.
In tal modo questa collana aggiunge dopo Machiavelli e Campanella, Pico della Mirandola e Giulio Cesare
Croce, Cardano e Giordano Bruno un autore italiano che
ci aiuta a comprendere meglio i confini dell’utopia, ammesso che essa li abbia e concesso che si possano raggiungere. Il suo mondo sembra lontano dal nostro, ma tale è
soltanto per gli aspetti tecnici, mentre quelli politici si camuffano e cambiano sembiante per restare uguali nella
sostanza. Siamo ricorsi una battuta? No, semplicemente
giochiamo con l’utopia, cercando di svelarla o di sbugiardarla anche in quelle opere ormai consegnate alla storia,
sulle quali molti pensano si debbano versare soltanto giudizi accademici.
Rileggere la Monarchia è comunque anche rivivere
una passione, una sconfitta, un sogno, una dimensione
perduta. Cercare di attualizzarne i contenuti ci sempre un
dovere civile. Accostarsi a quegli antichi argomenti senza
le paure filologiche permette di farli ritornare, con il gioco mentale dei confronti, nella nostra realtà. E fatto tutto
questo, ci si accorge che si è entrati e usciti dall’utopia; con
essa abbiamo pensato. Aver utilizzato Dante non è stato
mancanza di rispetto, anzi. Come dire: preferite la compagnia di un grande per comprendere la differenza tra ciò
che è reale e quello che non è, tra ciò che speriamo e quanto ci costringe. Ha scritto George Santayana ne La vita
della ragione: «una società ideale è un dramma recitato
esclusivamente nell’immaginazione». Con Dante, comunque, è un gran bel dramma. Anche se la posta in gioco
è sempre la comprensione di cosa sia il potere.
dicembre 2015 – la Biblioteca di via Senato Milano
el corso degli anni la Biblioteca
di via Senato ha raccolto un
numero cospicuo di edizioni
dantesche. Dante e tutte le sue opere,
con ovvia preminenza della Divina
Commedia, sono tra i temi cari della biblioteca e ne costituiscono da sempre
uno degli argomenti centrali. Sono oltre
trecento, per esempio, le edizioni della
Commedia: si va da alcuni incunaboli,
alle edizioni illustrate
del XVI e XVIII secolo,
fino ai più recenti testi
contemporanei. Arricchiscono il fondo anche prime edizioni in
lingue straniere, innumerevoli testi critici,
N
studi, saggi e apparati bibliografici.
Ma Dante è stato anche oggetto di
mostre e pubblicazioni da parte di BvS:
si segnalano qui la Monarchia (XIV volume della collana “Biblioteca dell’Utopia”) e il catalogo Dante e l’Islam. Incontri di civiltà.
• Dante, Monarchia, con il Commentario di Cola di Rienzo e il Volgarizzamento di Marsilio Ficino, Milano, Silvio Berlusconi editore,
2004.
XIV volume della
collana “Biblioteca dell’Utopia”. La traduzione
della Monarchia è di
77
Nicoletta Marcelli e Mario Martelli. La
traduzione del Commentarium di Cola
di Rienzo è di Paolo D’Alessandro e Francesco Furlan. Il ritratto originale di Dante in antiporta è di Marco Carnà.
L’annotazione storico-critica, l’introduzione e la cura generale sono di
Francesco Furlan. Il volume è promosso
da Publitalia ’80 e coordinato da Marcello Dell’Utri.
• Dante e l’Islam. Incontri di civiltà
(catalogo dell’omonima mostra tenutasi presso BvS dal 4 novembre 2010 al 27
marzo 2011), con scritti di Giovanni Curatola, Francesca Flores d’Arcais, Farian
Sabahi, Tullio Gregory, Milano, Edizioni
Biblioteca di via Senato, 2010.
78
la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2015
dicembre 2015 – la Biblioteca di via Senato Milano
79
SPECIALE DANTE ALIGHIERI
DANTE NELLE RACCOLTE
DI VIA SENATO
Catalogo delle edizioni dantesche del XV e XVI secolo
GIANCARLO PETRELLA
I
l Fondo antico della Biblioteca
di via Senato custodisce un nucleo nient’affatto disprezzabile
di edizioni dantesche, sia per numero sia soprattutto per qualità degli
esemplari. Dante rappresenta infatti
una delle architravi della raccolta libraria, come suggerisce un rapido
computo delle edizioni conservate:
oltre trecento edizioni della Commedia, dall’edizione ancora incunabola
del 1477, a quelle novecentesche; cui
si aggiungono le edizioni delle opere
cosiddette minori, tra cui la princeps
ancora quattrocentesca del Convivio
(1490) e quella primo-cinquecentesca del De vulgari eloquentia in volgare (1529), e alcune centinaia di opere
di argomento dantesco, del calibro
del Dialogo di Antonio Manetti «circa al sito, forma et
misure dello inferno» e parecchie Lecturae Dantis.1 Del
Fondo Dantesco si fornisce qui il catalogo delle edizioni
dei primi due secoli della stampa tipografica che assomma a 26 edizioni, per un totale di 30 esemplari (di alcune
edizioni si conserva infatti più di un esemplare). Si segnala innanzitutto un drappello di 5 edizioni incunabole, rispettivamente la princeps del Convivio sottoscritta a Firenze da Francesco Bonaccorsi nel 1490 e 4 della Commedia: l’importante edizione veneziana licenziata nel
1477 dal tipografo di origini alemanne Vindelino da Spira, la quinta in assoluto dopo le tre edizioni del 1472 e
quella napoletana dello stesso anno, la prima accompagnata dal commento di Jacomo della Lana e dalla Vita del
poeta di Giovanni Boccaccio; l’edizione veneziana di Ottaviano Scoto
del 1484, la seconda corredata del
commento del fiorentino Cristoforo
Landino, destinato a rapido e duraturo successo; l’edizione bresciana
illustrata del 1487 di cui si è già copiosamente discusso in questo fascicolo; infine l’edizione veneziana per
i tipi di Pietro Quarengi del 1497,
l’ultima del secolo decimoquinto,
corredata dal doppio apparato paratestuale, iconografico (100 vignette
silografiche a testo) e di glossa (commento del Landino). La Biblioteca
di via Senato, tirando le fila, conserva dunque 4 delle 15 edizioni quattrocentesche della Commedia (ricordo al lettore che l’unica biblioteca al mondo a conservarle tutte si trova a poche centinaia
di metri da via Senato: è la Biblioteca Trivulziana!).
Lo scaffale delle edizioni del secolo XVI non può
che essere inaugurato dalla straordinaria aldina del 1502
(si badi con titolo non ancora Divina Commedia, ma Le
terze rime), sogno ambito di ogni bibliofilo: prima edizione della Commedia in formato tascabile (in ottavo), nel
nuovo carattere corsivo progettato per Aldo Manuzio
dall’incisore Francesco Griffo da Bologna, senza commento, così da offrirsi nuovamente ai lettori sgombra da
pesanti orpelli eruditi, ma filologicamente presieduta dal
magistero di Pietro Bembo. Tascabile e minutissima nel
carattere anche l’altrettanto rivoluzionaria edizioncina
uscita nel 1515 dai torchi dell’officina aldina a pochi mesi
80
dalla scomparsa di Aldo. Dal titolo
esplicito Dante col sito et forma dell’Inferno comprende tre silografie a doppia pagina, che dovevano risultare
utilissime al lettore coevo come allo
studente di oggi, raffiguranti lo schema dell’Inferno con i relativi gironi,
una classificazione dei peccati dell’Inferno e del Purgatorio. Interessante e raffinata la scelta di accostarle
l’edizione benacense firmata da Paganino e Alessandro Paganini databile c. 1527-1533 che sostanzialmente riprende nel formato e nelle scelte iconografiche l’aldina del 1515. La tradizione esegetica cinquecentesca è
scandita da altrettante significative prime edizioni: la bellissima edizione veneziana illustrata del 1544 per l’editore
Francesco Marcolini che offre per la prima volta il commento di Alessandro Vellutello; quella del 1564 curata da
Francesco Sansovino che per la prima volta unisce il commento del Vellutello con quello quattrocentesco ancora
in voga del Landino; l’edizione veneziana del 1568 che
tramanda il commento di Bernardino Daniello da Lucca
pubblicata postuma da Pietro da Fino. Altrettanto celebre, ma per ragioni di iconografia dantesca, l’edizione veneziana del 1529 a istanza di Lucantonio Giunta che
squaderna al verso del frontespizio, il ritratto del Poeta.
La raccolta è inevitabilmente il frutto di acquisizioni disorganiche, che hanno finito con il riaggregare
la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2015
estemporanei tasselli di biblioteche e
collezioni oggi disperse ma di cui
forniscono affidabile testimonianza
gli ex libris e le note di possesso. La
storia dei singoli esemplari si incrocia o sovrappone pertanto a quella
delle edizioni. Si pensi al Dante bresciano del 1487. Della straordinarietà dell’edizione, condotta in porto
non senza difficoltà, già si è accennato. La copia di via Senato è latrice di
interessanti informazioni circa la sua
personalissima storia. Appartenne
infatti (forse sin dal XV secolo?) al monastero camaldolese di San Mattia di Murano, la cui biblioteca, attestata sin
dal secolo XIII, contava circa 12.000 volumi nel Settecento, come dichiara il catalogo compilato nel 1777. Poi
vennero le soppressioni napoleoniche e la gloriosa libraria fu dispersa in mille rivoli. Parecchi volumi riaffiorano
ora nelle biblioteche veneziane del Museo Correr e della
Marciana, oltre che in biblioteche non italiane. A quella
data il nostro Dante non si trovava però già più a Venezia,
se infatti oltre alla nota di possesso «Questo Dante è del
Monastero de S.to Mattia de Murano», alla c. aa1v (in
corrispondenza dell’incipit della seconda cantica) si legge
la nota di proprietà del giurista torinese Casimiro Donaudi «Casimiro Donaldi Torinese Baccalare nell’una e
nell’altra legge l’anno della nostra salvazione giusta l’Era
volgare MDCCLX».
dicembre 2015 – la Biblioteca di via Senato Milano
Parecchi esemplari confessano provenienze di rango, non solo italiane. Alludo qui innanzitutto all’esemplare del Dante del 1564 che, prima di finire Oltreoceano
e poi tornare in Italia, fu nel tardo Ottocento in Francia
nelle mani dello scrittore Anatole France (1844-1924)
che lo donò alla poetessa e romanziera Anna de Noailles
(1876-1933) con dedica «a madame la Comtesse de Noailles a la poétesse genérante et charmante ces oeuvres du
poète courtois 27 janvier 1890». Quindi fu da lei donato
«a monsieur Lucien Corpechot anti-dreyfusard! En profond remerciement de son amitié … Février 1908». Altri
personaggi della cultura d’Oltralpe si affacciano da questo Dante: al foglio di guardia anteriore si leggono le firme di Maurice Barrès (1862-1923), Lucien Corpechot
(1871-1944) e soprattutto Marcel Proust. La rara prima
edizione della traduzione in castigliano dell’Inferno
(Burgos 1515) faceva parte della raccolta di Lord George
John Warren (1803-1866), 5th Baron Vernon, raffinato
collezionista (suo il codice Poggiali della Commedia ora a
Ravenna) nonché appassionato cultore della letteratura
italiana e degli studi danteschi e socio corrispondente
dell’Accademia della Crusca. Non è dunque un caso che
stessa provenienza tradisca la prima edizione dantesca
curata dall’Accademia, datata 1595.2
Proprio la seconda copia di quest’edizione «ridotta
a miglior lezione dagli Accademici della Crusca» (Firenze, Domenico Manzani, 1595) riserva una piacevole sor-
81
presa filologica: l’esemplare appartenne a monsignor
Francesco Nerli, futuro cardinale (1636-1708), il quale,
si scopre, fu esegeta dantesco e circa nel 1658 interfoliò
quella copia di una dotta, e ancora inedita, lectura Dantis
dettata al canonico Matteo Strozzi, come assicura una
nota in principio: «Osservazioni di monsignor Francesco
Nerli poi cardinale, dettate da esso circa l’1658 al canonico Matteo Strozzi, e giungono fino al principio del canto
22° del Paradiso non essendosi ritrovate le altre restanti».
Un raffinato pedigree denunciano anche l’edizione aldina
del 1502, con armorial bookplate «Syston Park» che rimanda alla biblioteca della residenza della famiglia Thorold, avviata da Sir John Thorold (1734-1815) e proseguita da Sir John Hayford Thorold (1773-1831);3 e l’edizione veneziana del 1578, con legatura inglese seicentesca con al centro del piatto anteriore l’insegna con motto
«Deo et Patriae» di Sir Christopher Hatton (16051670). L’amoroso convivio, Venezia, Niccolò Zoppino,
1529 e l’edizione antologica Prose antiche di Dante, Petrarcha et Boccaccio et di molti altri nobili et virtuosi ingegni, Firenze, Antonio Francesco Doni, 1547 recano invece l’inconfondibile timbro circolare con intestazione lungo la
fascia esterna WALTER ASHBURNER FIRENZE del
bibliofilo inglese trapiantato a Firenze Walter Ashburner
(1864-1936), professore a Oxford e cofondatore del British Institute di Firenze.4 Anche L’amoroso Convivio di
Dante, Venezia, Melchiorre Sessa, 1531 fu tra Otto e No-
82
la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2015
(scheda 21); T. NOCITA, Edizioni delle opere di Dante dal
1472 al 2000, in Censimento dei commenti danteschi. 3. Le
«Lecturae Dantis» e le edizioni delle opere di Dante dal 1472
al 2000, a cura di Ciro Perna e Teresa Nocita, Roma, Salerno ed., 2012, p. 366.
Milano, BvS: esemplare in legatura ottocentesca in
marocchino ocra a firma Jeffrey binder; ex libris Hopetoun.
vecento sugli scaffali di importanti raccolte private fiorentine: prima in quella del conte e bibliografo Camillo
Gustavo Galletti (1805-1868),5 in parte defluita nella
strepitosa collezione del barone di origini ungheresi, ma
trapiantato a Firenze, Horace Landau (1824-1903).6
L’esemplare figura nel Catalogue des livres manuscrits et imprimés composant la bibliothèque de m. Horace de Landau.
Première-Deuxième Partie, (Florence, 1885-1890, I, 163)
e nel catalogo di vendita della Biblioteca del barone Landau.
Quarta vendita all’asta presso la Galleria Ciardiello Firenze
Lungarno Corsini, a cura della Libreria Antiquaria U.
Hoepli, 16-18 gennaio 1949, n. 244.
Non resta ora che sfogliare il catalogo delle edizioni
dantesche quattro-cinquecentesche:
SEC. XV
1.
Commedia, (comm. Jacomo della Lana), [Venezia],
Vindelinus de Spira, 1477.
In folio; got.; cc. [376]; fasc. π 8 a-i10 K10 l-m8 n-s10 t8
10
v x-y aa-gg10 hh-ii8 KK-OO10 PP12.
GW 7964; BMC V, p. 248; IGI 358; ISTC
id00027000; Dante poeta e italiano legato con amore in un volume. Mostra di manoscritti e stampe antiche della Raccolta di
Livio Ambrogio. Roma, Palazzo Incontro 21 giugno – 31 luglio 2011, Catalogo, Roma, Salerno Editrice, 2011, p. 34
2.
Commedia (comm. Christophorus Landinus), Venezia, Ottaviano Scoto, 23 marzo 1484.
In folio; rom.; cc. [270]; fasc. a10 b-z8 &8 A-H8 I-K6;
iniziali silografiche.
GW 7967; BMC V, p. 279; IGI 361; ISTC
id00030000; Dante poeta e italiano, p. 39 (scheda 25); T.
NOCITA, Edizioni delle opere di Dante, p. 367.
Milano, BvS: esemplare in legatura novecentesca in
marocchino verde, a firma Gruel con filettature a secco ai
piatti e tagli dorati.
3.
Commedia, (comm. Christophorus Landinus), Brescia, Bonino Bonini, 31 maggio 1487
In folio; rom.; cc. [310]; fasc. &8 a-i8 k6 l-r8 aa-mm8
nn4 A6 B8 C-L6; ill. silografiche a piena pagina.
SANDER 2312; GW 7968; BMC VII, p. 971; IGI
362; ISTC id00031000; Dante poeta e italiano, p. 39 (scheda 26); G. PETRELLA, Dante in tipografia. Errori, omissioni
e varianti nell’edizione Brescia, Bonino Bonini, 1487, «La Bibliofilia», 115 (2013), pp. 167-195; ID., Iconografia dantesca ed elementi paratestuali nell’edizione della Commedia
Brescia, Bonino Bonini, 1487, «Paratesto», 10 (2013), pp.
9-36; T. NOCITA, Edizioni delle opere di Dante, p. 367.
Milano, BvS: esemplare con legatura ottocentesca
in mezza pelle, proveniente dal convento di San Mattia di
Murano soppresso a inizio Ottocento come da nota di
possesso «Dante del Monasterio di Sancto Mattia de
Murano»; l’esemplare fu poi del giurista torinese Casimiro Donaudi.
4.
Convivio, Firenze, Francesco Bonaccorsi, 20 settembre 1490
In 4°; rom.; cc. [90]; fasc. a-k8 l10.
GW 7973; BMC VI, p. 673; IGI 367; ISTC
dicembre 2015 – la Biblioteca di via Senato Milano
id00036000; Dante poeta e italiano, p. 135 (scheda 172); T.
NOCITA, Edizioni delle opere di Dante, p. 343.
Milano, BvS: esemplare in legatura settecentesca in
marocchino; ex libris Massimo Listri.
5.
Commedia, (comm. Christophorus Landinus), Venezia, Pietro Quarenghi, 11 ottobre 1497.
In folio; rom. e got.; cc. [12] CCXCVII (con errori
di cartulazione) [1]; fasc. a10 2a-z8 &8 A-I8 k8 L-M10 N6; iniziali silografiche e ill. silografiche a piena pagina e a testo.
ESSLING 534; SANDER 2316; GW 7972; BMC V, p.
513; IGI 366; ISTC id00035000; Dante poeta e italiano, p.
42 (scheda 30); T. NOCITA, Edizioni delle opere di Dante, p.
368;
Milano, BvS: esemplare con raffinatissima legatura
in pelle ottocentesca a imitazione delle legature Canevari
rinascimentali con Apollo e Pegaso.
SEC. XVI
6.
Le terze rime, Venezia, Aldo Manuzio, agosto
1502.
In 8°, cc. [244].
ANTOINE-AUGUSTIN RENOUARD, Annales de l’imprimerie des Aldes, Paris, J. Renouard, 1834, n. 34-5; The
Aldine Press Catalogue of the Ahmanson-Murphy Collection
of Books by or Relating to the Press in the Library of the University of California, Los Angeles Incorporating Works
Recorded Elsewhere, Berkeley-Los Angeles-London, University of California Press, 2001, 59; PIERO SCAPECCHI,
Annali delle edizioni di Aldo Manuzio, in Serie delle edizioni
aldine per ordine cronologico ed alfabetico, Bologna, Arnaldo
Forni editore, 2013, n. 62; EDIT16 CNCE 1144.
Milano, BvS: esemplare in legatura ottocentesca
in pieno vitellino con fregi e ancora aldina ai piatti; tagli
dorati e cesellati; iniziali rubricate; privo della marca
con ancora aldina all’ultima carta H4v (variante C:
EDIT16 CNCE 1144). Ex libris Syston Park che rimanda alla collezione inglese di sir John Thorold (17341815) e del figlio John Hayford Thorold (1773-1831).
7.
Commedia, Venezia, Bartolomeo Zani, 1507.
83
In folio, cc. [10] CCXCVIII, ill. (silografie a ogni
canto).
ESSLING 535; ADAMS D86; EDIT16 CNCE 1147.
Milano, BvS: esemplare in legatura ottocentesca
in mezza pelle con titulus in oro al dorso e supra libros
MDU ai piatti.
8.
La traducion del dante de lengua toscana en verso castellano por el reverendo don pero fernandez de villegas arcediano de burgos, Burgos, Fadrique de Basilea, 1515.
In folio, cc. [332].
PALAU 68283; ADAMS D115.
Milano, BvS: esemplare in legatura ottocentesca
in pieno marocchino marrone a firma Francis Bedford.
Ex libris con motto «Vernon semper viret» con monogramma VW che rimanda alla collezione dantesca di
lord George John Warren Vernon (1803-1866).
9.
Dante col sito, et forma dell’inferno tratta dalla istessa
descrittione del poeta, Venezia, eredi di Aldo Manuzio e
Andrea Torresano, agosto 1515.
In 8°, cc. [2] 244 [4], ill.: tre silografie raffiguranti
l’Inferno a doppia pagina (cc. H4v-H5r), una classificazione dei peccati nell’Inferno a doppia pagina (cc. H5vH6r) e una classificazione dei peccati del Purgatorio a
piena pagina (c. H6v).
RENOUARD 73-8; ESSLING 537; SANDER 2321;
AHMANSON-MURPHY 136; ADAMS D-88; EDIT16
CNCE 1150.
Milano, BvS: esemplare in legatura settecentesca
in vitello con fregi in oro; secondo esemplare in legatura settecentesca in piena pergamena con fregi e titulus
in oro al dorso, supra libros araldico con motto «Labor
ipse voluptas» ed ex libris di Alice Marion Trusted.
10.
Dante col sito et forma dell’inferno, [Toscolano Maderno], Paganino Paganini e Alessandro Paganini,
[1527-1533].
In 8°, cc. [248], ill.: quattro silografie raffiguranti
la topografia dell’Inferno, i cerchi dell’Inferno e del
Purgatorio.
ADAMS D91; ANGELA NUOVO, Alessandro Paganino (1509-1538), Padova, Antenore, 1990, n. 78, p. 186-
84
187, EDIT16 CNCE 1155.
Milano, BvS: esemplare in legatura in marocchino rosso con titulus in oro al dorso; tagli dorati cesellati;
supra libros MDU.
11.
Comedia di Danthe Alighieri poeta divino con l’espositione di Christophoro landino nuovamente impressa, Venezia, Giacomo Pocatela per Lucantonio Giunta, 1529.
In folio, cc. [12] CCXCV [1], ill.: ritratto di Dante
al verso del frontespizio e silografie a testo.
SANDER 2326; ADAMS D92; EDIT16 CNCE 1159.
Milano, BvS: esemplare in legatura settecentesca
in piena pergamena rigida con tagli spruzzati di verde e
tassello con titulus al dorso.
12.
L’amoroso convivio, Venezia, Niccolò Zoppino,
1529.
In 8°, cc. [8] 124.
SANDER 2330; ADAMS D118; BALDACCHINI 231;
EDIT16 A1156; EDIT16 CNCE 1158.
Milano, BvS: esemplare con ex libris Franz Pollack-Parnau e timbro del bibliofilo Walter Ashburner.
13.
De la volgare eloquenzia, Vicenza, Tolomeo Gianicolo, 1529.
In 4°, cc. [26].
MAMBELLI 277; ADAMS D121; EDIT16 CNCE
1160.
Milano, BvS: esemplare in legatura moderna in
mezza pelle verde con titolo in oro al dorso; ex libris Jacobj Ceruttj.
14.
L’amoroso Convivio di Dante con la additione et molti
suoi notandi, accuratamente revisto et emendato, Venezia,
Melchiorre Sessa, 1531.
In 8°, cc. [8] 112.
EDIT16 CNCE 1161.
Milano, BvS: esemplare con ex libris «Francesco
Riccardi de Vernaccia» e nota autografa di possesso
«Lucio Punini 1575». Timbro del bibliofilo Gustavo
Camillo Galletti (1805-1868) ed ex libris del barone
Horace de Landau (1824-1903).
la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2015
15.
Comedia del divino poeta Danthe Alighieri, con la dotta & leggiadra spositione di Christophoro Landino con somma diligentia & accuratissimo studio nuovamente corretta,
& emendata … Aggiuntavi di nuovo una copiosissima tavola, Venezia, Bernardino Stagnino per Giovanni Giolito
de Ferrari, 1536.
In 4°, cc. [28] 440, ill.: al frontespizio ritratto di
Dante in medaglione; silografia a ogni canto.
ESSLING 544; SANDER 2327; DE BATINES I, pp.
81-82; MAMBELLI 29; ADAMS D93; EDIT16 CNCE
1162.
Milano, BvS: esemplare in legatura ottocentesca
in marocchino marrone a firma Ramage London a imitazione di legatura rinascimentale con fregi a secco.
16.
La Comedia di Dante Aligieri con la nova espositione
di Alessandro Vellutello, Venezia, Francesco Marcolini a
istanza di Alessandro Vellutello, 1544.
In 4°, cc. [442], ill.: silografie a testo.
ADAMS D94; EDIT16 CNCE 1163.
Milano, BvS: esemplare in legatura seicentesca in
marocchino bordeaux con decorazione in oro ai piatti,
tagli spruzzati.
17.
Il Dante con argomenti & dechiaratione de molti luoghi nuovamente revisto & stampato, Lyon, Jean de
Tournes, 1547.
In 16°, pp. 539 [5], medaglione con ritratto di
Dante al frontespizio.
MAMBELLI 32; ADAMS D96; EDIT16 CNCE 1165.
Milano, BvS: esemplare in legatura coeva in marocchino bordeaux con ricca decorazione ai ferri. Secondo esemplare in legatura seicentesca in piena pergamena rigida con nota di possesso (Carlo Giuliani).
18.
Prose antiche di Dante, Petrarcha et Boccaccio et di
molti altri nobili et virtuosi ingegni, nuovamente raccolte,
Firenze, Antonio Francesco Doni, 1547.
In 4°, pp. 78 [2], ill.: a c. A1r silografia a piena pagina raffigurante Dante, Petrarca e Boccaccio.
EDIT16 CNCE 34179.
Milano, BvS: esemplare in legatura pergamena-
dicembre 2015 – la Biblioteca di via Senato Milano
cea con timbro Walter Ashburner (1864-1936). Presenza di postille coeve.
19.
Dante con nuove et utili ispositioni. Aggiuntovi di più
una tavola di tutti i vocaboli più degni d’osservatione, che a i
luoghi loro sono dichiarati, Lyon, Guillaume Rouillé, 1552.
In 16°, pp. 644 [12], ill. : ritratto di Dante a c. a4v, tre
silografie a piena pagina all’inizio di ogni cantica.
ADAMS D99; EDIT16 CNCE 1168.
Milano, BvS: esemplare in legatura in pelle coeva
con decorazione a intrecci geometrici dorati e tagli dorati e cesellati con motivo floreale. Secondo esemplare
in legatura novecentesca in marocchino con supra libros
MDU. Terzo esemplare in legatura coeva in pergamena con ex libris «The Brother Julian F.S.C. Collection,
Donated by Mr. Christian a. Zabriskie New York
City».
20.
Dante con nuove et utilissime annotationi. Aggiuntovi
l’indice de vocaboli piu degni d’osservatione, che a i lor luoghi
sono dichiarati, Venezia, Giovanni Antonio Morando,
1554.
In 8°, cc. 278 [6].
ADAMS D100; EDIT16 CNCE 1169.
Milano, BvS: esemplare in legatura ottocentesca
in mezza pelle con angoli, supra libros MDU. Nota autografa di provenienza: «P. Leone De Maria Min.».
85
21.
Dante con l’espositione di Christoforo Landino et di
Alessandro Velutello sopra la sua comedia dell’inferno, del
purgatorio, & del paradiso. Con tavole, argomenti, & allegorie, & riformato, riveduto, & ridotto alla sua vera lettura per
Francesco Sansovino fiorentino, Venezia, Domenico Nicolini da Sabbio per Giovanni Battista e Melchiorre Sessa,
1564.
In folio, cc. [28], 392 (i.e. 396 con errori di cartulazione), ill.: ritratto di Dante al frontespizio in medaglione, silografie all’inizio dei canti.
ADAMS D103; MAMBELLI 40; MORTIMER 147; EDIT16 CNCE 1171.
Milano, BvS: esemplare in legatura pergamenacea
antica con supra libros MDU. Esemplare con lunga trafila di provenienze e dediche francesi e successivo ex libris
Robert Woods Bliss e Mildred Bliss, Dumbarton Oaks.
22.
Dante con l’espositione di M. Bernardino Daniello da
Lucca, sopra la sua Comedia dell’Inferno, del Purgatorio, &
del Paradiso; nuovamente stampato & posto in luce, Venezia,
Pietro da Fino, 1568.
In 4°, pp. [12] 727 [1], ill.: silografia all’inizio delle
tre cantiche.
ADAMS D104; MAMBELLI 41; EDIT16 CNCE
1172.
Milano, BvS: esemplare in legatura in pelle settecentesca con fregi in oro.
86
la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2015
23.
Vita Nuova di Dante Alighieri. Con XV. canzoni del
medesimo. E la vita di esso Dante scritta da Giovanni Boccaccio, Firenze, Bartolomeo Sermartelli, 1576.
In 8°, 2 parti, pp. [8] 116, [4] 80.
MAMBELLI 663; EDIT16 CNCE 1176.
Milano, BvS: esemplare in legatura pergamenacea con supra libros MDU. Ex libris Biblioteca Banzi; ex
libris Ferdinando Belvisi; timbro «Bibliot. Cler. Reg. S.
Mich. Flor.».
24.
Dante con l’espositioni di Christoforo Landino et di
Alessandro Velutello. Sopra la sua comedia dell’inferno, del
purgatorio, & del paradiso. Con tavole, argomenti, & allegorie, & riformato, riveduto, & ridotto alla sua vera lettura,
per Francesco Sansovino fiorentino, Venezia, eredi di
Francesco Rampazetto a istanza di Giovanni Battista e
Melchiorre Sessa, 1578.
In folio, cc. [28] 392 [i.e. 396], ill.: ritratto di Dante
al frontespizio e silografie all’inizio dei canti.
ADAMS D108; MAMBELLI 49; EDIT16 CNCE 1177.
Milano, BvS: esemplare in legatura pergamenacea
ottocentesca. Secondo esemplare con legatura seicentesca in vitello marrone con fregi in oro alle armi di Sir
Christopher Hatton (1605-1670); tagli dorati.
25.
La Divina Commedia di Dante Alighieri nobile fiorenNOTE
1
Ricordo qui il bel catalogo offerto in occasione della mostra Dante e l’Islam. Incontri
di civiltà, Milano, Biblioteca di via Senato Edizioni, 2010.
2
Si veda su di lui la voce a cura di ANTONIO
MARZO, in Censimento dei commenti danteschi. 2. I commenti di tradizione a stampa (dal
1477 al 2000) e altri di tradizione manoscritta
posteriori al 1480, a cura di Enrico Malato e
Andrea Mazzucchi, coordinamento editoriale
di Massimiliano Corrado, Roma, Salerno editore, 2014, pp. 226-230.
3
Catalogue of an important portion of
the extensive and valuable library of the late
Sir John Hayford Thorold, London, Dryden
tino ridotta a miglior lezione dagli accademici della Crusca,
Firenze, Domenico Manzani, 1595.
In 8°, pp. [16] 493 [i.e. 511] [61], ill.: tavola ripiegata raffigurante la pianta dell’Inferno.
ADAMS D110; MAMBELLI 51; EDIT16 CNCE 1180.
Milano, BvS: esemplare in legatura in mezza pelle
antica con ex libris con motto «Vernon semper viret»
con monogramma VW del bibliofilo e dantista lord
George John Warren Vernon (1803-1866). Con fitte
postille. Secondo esemplare in legatura settecentesca
in mezzo marocchino marrone appartenuto a monsignor Francesco Nerli, poi cardinale, con la sua nota di
possesso e completamente interfoliato con le sue postille dettate al canonico Matteo Strozzi. Successivo ex
libris Earl of Guilford con motto «la vertue est la seule
noblesse».
26.
Dante con l’espositioni di Christoforo Landino et d’Alessandro Vellutello. Sopra la sua comedia dell’Inferno, del Purgatorio et del Paradiso, con tauole, argomenti, & allegorie; &
riformato, riueduto, & ridotto alla sua vera lettura, per Francesco Sansouino fiorentino, Venezia, Domenico Nicolini
per Giovanni Battista e Giovanni Bernardo Sessa, 1596.
In folio, cc. [28], 392 [i.e. 396], ill.
ADAMS D111; MAMBELLI 52; EDIT16 CNCE 1181.
Milano, BvS: esemplare in legatura seicentesca in
piena pelle con fregi in oro ai piatti, supra libros MDU, tagli spruzzati.
Press, 1884; SEYMOUR DE RICCI, English collectors of books and manuscripts (1530-1930)
and their marks of ownership, Cambridge,
University Press, 1930, pp. 159-160; A catalogue of books printed in the fifteenth century now in the Bodleian Library, by Alan Coates
et alii, VI, Oxford, University Press, 2005, p.
2924.
4
Bibliothèque Ashburner. Manuscrits et
incunables, livres à figures, reliures, Milan, Librairie ancienne U. Hoepli, 1938.
5
GUIDO GREGORIO FAGIOLI VERCELLONE, in Dizionario Biografico degli Italiani, LI, Roma,
Istituto della Enciclopedia Italiana, 1998, pp.
583-585.
6
ANITA MONDOLFO, La Biblioteca Landau Fi-
naly, in Studi di bibliografia e di argomento
romano in memoria di Luigi de Gregori, Roma,
Palombi, 1949, pp. 265-285; PIERRE DE MONTERA, D’Horace de Landau a Horace Finaly; une
famille étrangère de banquiers, de bibliophiles et d’écrivains, «Rivista di letterature moderne e comparate», XXVII, 1974, pp. 211225; GIOVANNA LAZZI – MAURA ROLIH SCARLINO, I
manoscritti Landau Finaly della Biblioteca
Nazionale Centrale di Firenze, Firenze – Milano, Giunta Regionale Toscana - Ed. Bibliografica, 1994, pp. XVII-XXIV; MAURA ROLIH SCARLINO, Contributo a un inventario virtuale della
Biblioteca lasciata da Horace Landau, «Nuovi
annali della Scuola speciale per archivisti e
bibliotecari», XIV, 2000, pp. 147-181.
dicembre 2015 – la Biblioteca di via Senato Milano
87
BvS: il ristoro del buon lettore
Il segreto del bosco
e di Cima Scotoni
Natura e tempo che non passa sulle Dolomiti
«A
una certa età tutti voi,
uomini,
cambiate.
Non rimane più niente di quello che eravate da piccoli.
Diventate irriconoscibili». Forse
Christian lo pensa. E, in fondo, ne
ha la certezza. Lui che conosce, come pochi, i boschi e le vette delle
Dolomiti, fra gli altipiani del Fanes e
le cime delle Tofane e di Lagazuoi.
Lui sa che questi alberi e queste rocce sono la «foresta più bella». Lui ha
sperimentato come solo i più puri - i
bambini - possano cogliere l’intrinseca maestosità delle selve di abeti,
dei rotolanti ruscelli e delle pareti a
strapiombo.
Christian Agreiter, che con la
moglie, la dolce Manuela, gestisce
da anni l’antico rifugio di famiglia il rifugio Scotoni - è come il vento
Matteo, uno dei protagonisti ‘non
umani’ del racconto Il segreto del bosco
vecchio di Dino Buzzati (opera che la
Biblioteca di via Senato conserva
nella prima edizione del 1935, stampata a Milano per Treves-TreccaniTumminelli). «Eterna voce della foresta nel suo potente respiro», Christian da sempre veglia l’Alta Badia
dal suo pianoro, un piccolo regno fatato, ove sorge la sua casa di legno e
pietra, «carica di enigmatiche risonanze».
GIANLUCA MONTINARO
Rifugio Scotoni
Alpe Lagazuoi, 2
San Cassiano in Badia (Bz)
Tel. 0471/847330
Che si arrivi al rifugio in estate, quando tutto è verde e rosa, o in
inverno, quando le forti raffiche di
neve uniformano il paesaggio, all’interno il fuoco sempre arde nel
grande camino. Sulle braci Christian arrostisce la celebre ‘grigliata
Scotoni’. Tagli di chianina e di maiale, con polenta e formaggio. Piatto di sontuosa succulenza, servito su
un tagliere di legno scuro, contornato di verdure. Manuela, nell’attesa, avrà lasciato in tavola un assaggio
di tartare di manzo, accompagnata
da un nonnulla di cipolla tritata e di
paprica. O del favoloso speck, tagliato a listarelle (come si usa in Alta
Badia) con rafano e pucia. Dalla fornita cantina può giungere un grande
rosso: magari un Supertuscan, magari un Percarlo (affinato una deci-
na di anni) della fattoria di San Giusto a Rentennano.
Infine prima di lasciare la
vampa del camino, un dolce kaiserschmarren, con marmellata di mirtilli. Si guarda fuori, verso il bosco, e
si respirano i secoli. Nulla sembra
mutare fra l’eterno delle vette e delle crode. Christian, come il vento
Matteo, sa che piccola cosa è l’uomo: «il tempo meraviglioso s’ingrandisce d’ora in ora, inghiottendo
senza pausa la vita, accumulando
con pazienza gli anni, diventando
sempre più immenso». Sulla porta
potrebbe narrare di quando, in piena notte, si ode «il vero silenzio, il
solenne silenzio degli antichi boschi, non comparabile con nessun
altro al mondo e che in pochissimi
hanno udito». Potrebbe anche narrare di quando, «vagando per le vallate deserte», si incontrano «desideri di origine sconosciuta: per esserne infestati basta solo talora aver
contemplato a lungo le foreste nei
giorni di tramontana, o aver visto
nuvole a forma di cono, o essere
passati per certi inesplicabili sentieri obliquanti verso nord-ovest».
Mi incammino verso valle. «Il
vento arriva carico dei profumi del
bosco. Mi si attaccano addosso e
non riesco a sbarazzarmene»…
88
HANNO
COLLABORATO
A QUESTO
NUMERO
CARLO GAMBESCIA
Carlo Gambescia è
nato e risiede a Roma.
Sociologo. Ha all’attivo
tra testi scritti, curati e
tradotti alcune decine di
volumi.
Collabora con pubblicazioni scientifiche
italiane e straniere e non
disdegna di scrivere, se
capita, su quotidiani e riviste.
Tra i suoi ultimi volumi: Metapolitica; A destra per caso; Centralità
marginali; Liberalismo
triste.
Quando richieste,
svolge consulenze editoriali.
Nel tempo libero che
gli resta, poco per la verità, scrive sul suo blog:
http://carlogambesciametapolitics2puntozero.blogspot.it/
la Biblioteca di via Senato Milano – dicembre 2015
CLAUDIO BONVECCHIO
Claudio Bonvecchio
è Professore Ordinario di
Filosofia delle Scienze
Sociali nell’Università
degli Studi dell’Insubria
(Varese) dove è anche Coordinatore del Dottorato
in Filosofia delle Scienze
Sociali e Comunicazione
Simbolica.
È Direttore Scientifico della rivista «Metabasis». Autore di innumerevoli saggi e pubblicazioni,
è direttore di svariate
collane editoriali per varie case editrici.
È Member dell’Advisory Board della Eranos
Foundation di Ascona
(Svizzera).
ANTONIO
CASTRONUOVO
Antonio Castronuovo (1954), bibliofilo e
saggista, dirige varie collane per la Editrice la
Mandragora di Imola e
collabora con parecchie
riviste.
Tra i suoi titoli Libri
da ridere: la vita e i libri di
Angelo Fortunato Formíggini (2005), Macchine fantastiche (2007),
Ladro di biciclette: cent’anni di Alfred Jarry
(2008), Alfabeto Camus
(2011). Traduttore dal
francese, ha da ultimo
pubblicato L’incendio e
altri racconti di Irène Némirovsky, Il cervello non
ha pudore di Jules Renard e Nuove invenzioni
e ultime novità di Gaston
de Pawlowski.
MARCO CIMMINO
Marco
Cimmino
(Bergamo, 1960). Storico, membro della Società
Italiana di Storia Militare
e socio accademico del
Gruppo Italiano Scrittori
di Montagna, si occupa
prevalentemente
di
Grande Guerra.
Collaboratore Rai,
scrive su molte testate.
Membro del comitato
scientifico del Festival Internazionale della Storia
di Gorizia, è uno dei responsabili del progetto
èStoriabus.
Tra i suoi saggi più
recenti: La conquista
dell’Adamello (2009), Da
Yalta all’11 settembre
(2010) e La conquista del
Sabotino (2012), finalista
al premio Acqui Storia
2013.
GUIDO DEL GIUDICE
Guido del Giudice
(Napoli, 1957), medico e
studioso della filosofia del
Rinascimento, è considerato uno dei più profondi
conoscitori della vita e dell’opera di Giordano Bruno.
A lui si devono le prime traduzioni italiane del Camoeracensis Acrotismus
(2008), della Summa terminorum metaphysicorum (2010) e degli Articuli
adversus mathematicos
(2014). Tra le sue numerose pubblicazioni si ricordano: La coincidenza degli
opposti (2005), Io dirò la
verità (2012) e Il profeta
dell’universo
infinito
(2015). Dal 1998 cura il sito
internet www.giordanobruno.com, punto di riferimento per appassionati e
studiosi di tutto il mondo.
MASSIMO GATTA
Massimo
Gatta
(1959) ricopre l’incarico,
dal 2001, di bibliotecario
presso la Biblioteca
d’Ateneo dell’Università
degli Studi del Molise dove ha organizzato diverse
mostre bibliografiche dedicate a editori, editoria
aziendale e aspetti paratestuali del libro (ex libris).
Collabora alla pagina
domenicale de «Il Sole 24
Ore» e al periodico «Charta». È direttore editoriale
della casa editrice Biblohaus di Macerata specializzata in bibliografia, bibliofilia e “libri sui libri”
(books about books), e fa
parte del comitato direttivo del periodico «Cantieri».
Numerose sono le
sue pubblicazioni e i suoi
articoli.
ENRICO MALATO
Enrico Malato, Professore Emerito di Letteratura italiana presso
l’Università di Napoli «Federico II», è direttore di
alcune fra le più importanti collane editoriali
italiane nonché presidente del Centro Pio Rajna e delle Commissioni
Scientifiche preposte alle
Edizioni Nazionali delle
opere di Machiavelli e
Aretino. È Vicepresidente
della Casa di Dante in Roma. Ha ideato la «Nuova
Edizione commentata
delle Opere di Dante (NECOD)». Innumerevoli sono le sue pubblicazioni,
fra cui: Dante (1999),
Studi su Dante. «Lecturae
Dantis», chiose e altre note dantesche (2005) Dante al cospetto di Dio
(2013).
GIANCARLO PETRELLA
Giancarlo Petrella
(1974) è docente a contratto di discipline del libro
presso l’Università Cattolica di Milano-Brescia. Nel
2013 ha conseguito l’abilitazione per la I fascia di
insegnamento di Scienze
del libro e del documento.
È autore di numerose
monografie fra cui: L’officina del geografo; Uomini,
torchi e libri nel Rinascimento; La Pronosticatio di
Johannes Lichtenberger;
Gli incunaboli della biblioteca del Seminario Patriarcale di Venezia (2010);
L’oro di Dongo ovvero per
una storia del patrimonio
librario del convento dei
Frati Minori di Santa Maria del Fiume (2012). Collabora con «Il Giornale di
Brescia» e la «Domenica
del Sole24ore».
GIANLUCA
MONTINARO
Gianluca Montinaro
(Milano, 1979) è docente a
contratto presso l’università IULM di Milano. Storico delle idee, si interessa ai
rapporti fra pensiero politico e utopia legati alla nascita del mondo moderno.
Collabora alle pagine culturali del quotidiano «il
Giornale». Fra le sue monografie si ricordano: Lettere di Guidobaldo II della
Rovere (2000); Il carteggio
di Guidobaldo II della Rovere e Fabio Barignani
(2006); L’epistolario di Ludovico Agostini (2006);
Fra Urbino e Firenze: politica e diplomazia nel tramonto dei della Rovere
(2009); Ludovico Agostini,
lettere inedite (2012);
Martin Lutero (2013);
L’utopia di Polifilo (2015).
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