Alterazioni della integrità marginale
e permeabilità marginale
dello strato ibrido e dei sistemi adesivi
Carlo Prati
Lorenzo Breschi
Stefano Chersoni
Dipartimento di Scienze Odontostomatologiche,
“Alma Mater Studiorum” Università di Bologna
Dipartimento di Scienze Chirurgiche
Specialistiche,
Università degli Studi di Trieste
Franklin Tay
Paolo Ferrieri
Dipartimento di Scienze Odontostomatologiche,
“Alma Mater Studiorum” Università di Bologna
Dipartimento di Materiali Dentari,
Università degli Studi di Siena
Faculty of Dentistry,
The University of Hong Kong
Dipartimento di Scienza della Terra e
Ambientale,
“Alma Mater Studiorum” Università di Bologna
INTRODUZIONE
I sistemi adesivi hanno ormai circa 15-18 anni di utilizzo clinico e
di ricerca e sono ormai ben conosciuti anche dall’operatore generico e sistematicamente insegnati
nei corsi universitari. È noto che
la loro introduzione ha rivoluzionato l’odontoiatria conservatrice,
con modifiche sostanziali del disegno di cavità, delle tecniche di ricostruzione, etc. La longevità di
tali materiali, che inizialmente era
calcolabile in mesi, ormai si è prolungata al punto che occorre modificare i metodi di studio per poter eseguire valutazioni predittive
e poter comprendere il loro comportamento. In altre parole alla
loro introduzione (anni 1984-1990)
era importante conoscere le loro
proprietà di adesione alla dentina
(e allo smalto) e le loro proprietà
di sigillo marginale. Due test di laboratorio erano e sono stati quindi fondamentali per tale scopo: i
test di trazione e i test di microinfiltrazione. I test clinici offrivano
in tale periodo dati poco soddisfacenti e che comunque riflettevano
solo una parte (probabilmente la
migliore) dei risultati clinici possibili con tali materiali.
68
IISESSIONE
Successivamente è stato possibile entrare nel dettaglio nei
meccanismi di adesione e comprendere meglio il ruolo dello
smear layer, dei resin tags, del
collagene e della apatite, grazie
all’utilizzo di tecniche tipo FTIR e
RAMAN e soprattutto grazie al
microscopio elettronico a scansione (SEM). La conoscenza della
morfologia dello strato ibrido è
stata resa possibile da una serie
di studi (sicuramente alcuni storici e fondamentali) e ha rappresentato la vera chiave di volta
delle tecniche adesive.
Attualmente si sta assistendo
alla introduzione di nuovi sistemi
adesivi (SA) in teoria migliori, più
semplici o comunque differenti da
quanto sviluppato negli anni precedenti. Occorrono altre tecniche
di studio da affiancare al SEM per
valutare il loro comportamento e
poter comprendere non solo i loro
limiti nel breve tempo (1-6 mesi)
ma soprattutto nel medio e lungo
termine, intendendo un periodo
temporale ormai da valutare fra i
3 e i 10 anni. Se inizialmente era
accettabile disporre di materiali
che avessero una durata clinica di
qualche anno (nella migliore delle
ipotesi), ora occorrono materiali
Pietro Suppa
Dipartimento di SAU e FAL,
“Alma Mater Studiorum” Università di Bologna
di durata clinica prolungata e materiali che vengono utilizzati anche in condizioni più critiche (per
esempio in restauri di dimensioni
maggiori) e che devono comunque
rimanere biologicamente validi
per un tempo più prolungato
(Prati, 2000). Occorrono quindi test di laboratorio più adatti e modificati per valutare quali sono i
meccanismi che portano al deterioramento dei sistemi adesivi.
In altre parole se inizialmente
la ricerca si dedicava a incrementare i valori di adesione dei sistemi adesivi, ora si dedica a comprendere i meccanismi responsabili del fallimento nel medio e lungo periodo. Una situazione simile
si è riscontrata anche in altri
campi, come per esempio dopo la
introduzione dei materiali compositi per la aeronautica e per la
nautica. Attualmente, quindi, conosciamo i meccanismi di adesione, conosciamo i meccanismi per
incrementare tale adesione, ma
non conosciamo i meccanismi che
portano nel medio-lungo periodo
al deterioramento delle proprietà
adesive e delle proprietà di sigillo
marginale. La perdita del sigillo
marginale osservata a distanza di
tempo tramite la formazione di le-
sioni demineralizzative marginali,
la permeabilità dello strato ibrido
e la permeabilità e i fenomeni di
osmosi delle resine costituiscono
attualmente i limiti clinici delle
tecniche adesive.
Scopo del presente articolo è
quello di descrivere i meccanismi
attualmente conosciuti (o ipotizzati) responsabili del deterioramento marginale dei restauri in
composito e che hanno quindi
dirette relazioni con la attività e
la longevità clinica.
DETERIORAMENTO
MARGINALE DELLO SMALTO
Ormai numerosi studi hanno dimostrato che lo smalto perimarginale subisce un grave ed esteso
danneggiamento lungo tutto il
margine del restauro come conseguenza dello stress da contrazione del composito (Dietschi et
al., 2002; Braga et al., 2002; Tay
et al., 2002). In altre parole con
l’inizio della polimerizzazione il
composito inizia la contrazione e
provoca uno stress considerevole
sulle pareti esterne e interne del
restauro fino a raggiungere e superare la forza di coesione della
struttura prismatica smaltea e fino quindi a causare la frattura di
vari prismi dello smalto. Studi in
vitro a dimostrazione dello stress
marginale sono stati proposti dal
Gruppo del prof. Rengo e sono
documentati in una tesi di PhD
(Ausiello, 2002).
Un nostro recente studio dimostra che nei restauri in composito
si verifica la formazione di una zona marginale dell’ampiezza di 20100 micron in cui i prismi dello
smalto sono parzialmente danneggiati e presentano fratture parallele al margine del restauro.
Tali fratture risultano ampiamente rimaneggiate e molto più ampie
dopo immersione alternata dei
campioni in soluzioni cariogene a
pH debolmente acido (pH 4.4) utilizzate per simulare le condizioni
ambientali del cavo orale (Papakostantinos, thesis, 2002). L’utilizzo di repliche per rilevare le modificazioni dello smalto prima e dopo
la immersione in soluzione acida
ha permesso di dimostrare un notevole danneggiamento dello
smalto perimarginale con comparsa di profonde zone di elevata porosità causata dalla rimozione dei
prismi e soprattutto della sostanza interprismatica. Lo smalto perimarginale appare quindi eroso e
destrutturato maggiormente rispetto allo smalto distante 1-3 mm
dalla zona marginale (Prati et al.,
2003, in stampa). Tali alterazioni
dello smalto provocano o probabilmente possono provocare alterazioni cliniche tipo discolorazione
marginale, delaminazione dello
smalto marginale con esposizione
di ampie zone di smalto prismatico, demineralizzazione dello struttura cristallina dello smalto
(Savarino et al., 2002) e altre lesioni profonde fino a carie secondarie
(Papagiannoulis et al., 2002).
Dati clinici confermano che lo
smalto perimarginale subisce deterioramenti, fratture, chips e delaminazioni. Tali lesioni compaiono a distanza di tempo (1-5 anni)
a seconda del tipo di adesivo, del
tipo di composito e del tipo di cavità e zona (V classe e II classe sono più a rischio) (Prati, 2000). È
probabile, ma non dimostrato,
che lo smalto sia comunque in
grado di resistere meglio all’attacco acido del biofilm batterico (noto come placca batterica) e che
possa subire anche processi di
remineralizzazione indotta dal
fluoro o dagli agenti salivari. Al
contrario è probabile che la dentina, con la sua struttura tubulare,
una volta raggiunta dai batteri
per il fallimento del sigillo marginale, possa “riempirsi” di batteri
responsabili del lento degrado del
collagene dentinale (Love, 2002) e
dello strato ibrido marginale e
profondo dei restauri.
Riassumendo, lo smalto si deteriora in quanto stressato e fratturato durante la polimerizzazione e la contrazione del composito. Tali zone di smalto fratturato
rappresentano delle porte aperte
per la formazione di carie secondarie e secondary white spots,
ma soprattutto rappresentano
porte di entrata per batteri che
possono raggiungere la dentina.
Futuri studi dovranno chiarire
meglio se la formazione di carie
secondaria della dentina in assenza di carie secondarie dello
smalto è possibile (come alcune
evidenze cliniche sembrano ormai sostenere) e che ruolo svolge
il deterioramento dello strato
ibrido dentinale.
DETERIORAMENTO
MARGINALE DELLA DENTINA
Numerosi studi morfologici e ultrastrutturali hanno permesso
una valutazione approfondita dei
meccanismi di adesione dei sistemi adesivi dentinali alla dentina.
Le differenze significative di adesione rispetto allo smalto che circonda la cavità sono dovute principalmente alle differenze strutturali che caratterizzano l’istologia della dentina dallo smalto. È
infatti fondamentale sottolineare
che la dentina è un tessuto fortemente idratato e risulta caratterizzata da un’importante componente organica di collagene di tipo I e altre proteine non-collageniche. È evidente che tali proteine, se esposte all’ambiente orale
senza la protezione offerta dal minerale o senza essere impregnate
dalla resina adesiva, risultano facilmente idrolizzabili dagli enzimi
orali e batterici permettendo la
VII SIMPOSIO INTERNAZIONALE
69
rapida creazione di un gap marginale (Love, 2002 ). Tale zona di
mancanza di integrità marginale
rappresenta pertanto una zona di
facile progressione della patologia
cariosa secondaria.
Risulta inoltre importante
sottolineare che la maggior parte
degli studi sulla morfologia dello
strato ibrido (zona di integrazione fra adesivo e dentina) sono
stati effettuati su dentina medio/profonda e in condizioni di
dentina di “laboratorio” ovvero
su un substrato di dentina ideale
per la totale assenza della patologia cariosa e per la metodica di
preparazione contr ollata ed
estremamente accurata (Van
Meerbeek et al., 2000).
Tali osservazioni sono però
difficilmente riferibili alla dentina superficiale/marginale date le
differenze sostanziali con la dentina medio/profonda, soprattutto in termini di rapporto relativo
tra presenza e diametro dei tubuli e dentina intertubulare.
Recenti studi condotti dal nostro
gruppo sul marginal hybrid layer
hanno evidenziato come la
mor fologia dello strato ibrido
marginale sia notevolmente differente dallo strato ibrido classico
evidenziabile in dentina profonda
(Prati et al., 2000). In particolare
è stato evidenziato come la dentina localizzata nelle immediate vicinanze del restauro (perimarginale) presenti numerosi vuoti,
porosità, irregolarità dovute alla
formazione di uno strato ibrido
incompleto (detto anche ibridoide) e a tubuli parzialmente pervi
in quanto non riempiti dalla resina adesiva. Tale condizione di
scarsa qualità di ibridizzazione
comporta l’esposizione della matrice proteica della dentina alla
cavità orale, permettendo quindi
una facile aggressione da parte
degli enzimi litici della cavità orale. Tale zona perimarginale rappresenterebbe quindi la zona di
70
IISESSIONE
minore resistenza all’azione acida dei batteri e quindi alla formazione della carie secondaria.
Tali indagini morfologiche sono
suffragate dall’esperienza clinica
quotidiana che ci insegna che il
gradino cervicale delle cavità
profonde di II classe, così come i
margini cervicali in dentina delle
V classi rappresentano zone critiche in termini di mantenibilità
e controllo a medio/lungo termine (Perdigao & Lopes, 1999).
Studi in vitro (Pereira, 1998 )
utilizzando tecniche di analisi
della microdurezza hanno dimostrato la presenza di zone di demineralizzazione proprio in corrispondenza della dentina perimarginale. Tali aree sono anche
risultate più facilmente aggredibili dall’acido lattico rispetto alla
dentina controllo.
Recentemente abbiamo sviluppato una nuova metodica di indagine in grado di consentire una
analisi della qualità dell’ibridizzazione della dentina da parte della
resina adesiva. Tale indagine è
basata sull’utilizzo di anticorpi
monoclonali anti-collagene di tipo I e anti-proteglicani (Breschi
et al., 2003). È noto infatti che il
collagene di tipo I e i proteoglicani
rappresentano i principali costituenti della matrice organica
dentinale (Marshall et al., 1997) e
la loro evidenziazione immunoistochimica nella dentina è stata
precedentemente documentata
mediante un SEM ad alta risoluzione (Breschi et al., 2002 ).
Risulta ipotizzabile che se tali
proteine vengono infiltrate dalla
resina fluida dell’adesivo durante
il processo di ibridizzazione della
matrice dentinale (quindi vengono completamente inglobate dall’adesivo) non possono essere riconosciute dall’anticorpo. In pratica la corretta infiltrazione della
matrice organica da parte della
resina non permette il legame fra
l’anticorpo e la proteina dato che
la resina adesiva maschera l’epitopo specifico del legame. Tale
premessa ci porta a ipotizzare
che una accurata analisi al SEM
ad alta risoluzione dello strato
ibrido dopo metodica di immunomarcatura della matrice dentinale, ci permette di definire come
non correttamente ibridizzate le
fibre collagene che risultano positive alla marcatura e che pertanto
permettono il legame con l’anticorpo (FIGURA 1). Questa metodica
di indagine estremamente selettiva ci ha permesso di effettuare
valutazioni ultrastrutturali sulla
distribuzione di tali zone di scarsa ibridizzazione dello strato ibrido di differenti sistemi adesivi (total etch vs self-etching) evidenziando la presenza di numerose
fibre collagene non ibridizzate, localizzate soprattutto a livello delle
porzioni più profonde dello strato
ibrido di sistemi total etching. Tali
dati confermano anche analisi
dello strato ibrido che hanno evidenziato una differente capacità
di penetrazione dei vari agenti
chimici delle resine adesive nello
smear layer (Spencer et al., 2001)
e nello strato di fibre collagene
mordenzate (Eliades et al., 2001).
In pratica possiamo ipotizzare
che i moder ni sistemi adesivi
dentinali siano in grado di infiltrare in maniera estremamente
efficace il collagene superficiale
esposto in seguito alla mordenzatura, ma non siano in grado di
garantire una altrettanto adeguata infiltrazione anche del collagene più profondo, in prossimità
della dentina non modificata dal
sistema adesivo stesso. Come
precedentemente esposto tale zona di scarsa ibridizzazione (strato
ibridoide) rappresenta il punto
debole del legame in quanto facilmente deteriorabile nel tempo.
In conclusione i dati ad oggi
disponibili sulla longevità dei restauri effettuati con materiali re-
Figura 1 - Immagine, acquisita mediante un SEM ad alta definizione, della
matrice organica della dentina intertubulare dopo immunomarcatura
delle fibre collagene e dei proteoglicani. La matrice organica risulta essere caratterizzata da strutture fibrillari di 70-90 nm caratterizzate da una intensa marcatura. Gli anticorpi anti-collagene di tipo I sono coniugati con
particelle di oro collodale da 30 nm, mentre le particelle di oro più piccole
(15 nm di diametro) sono coniugate agli anticorpi anti-proteoglicani.
sinosi ci indicano come sia fondamentale il controllo a breve termine dell’adattamento marginale.
In tal senso risulta importante
una esecuzione clinica altamente
precisa e controllata a livello dei
margini in dentina, tale da garantire una adeguata infiltrazione
della resina adesiva e da minimizzare gli effetti della contrazione da polimerizzazione che possono rapidamente determinare
una via di accesso preferenziale
alla lesione cariosa secondaria.
PERMEABILITÀ
DELLO STRATO
IBRIDO DENTINALE
L’abilità di un sistema adesivo
smalto dentinale nel sigillare la
dentina è sicuramente il più importante requisito per garantire un
restauro adesivo di lunga durata.
Studi di microscopia elettronica a scansione e a trasmissione hanno valutato la morfologia
dell’interfaccia adesivo dentina. I
sistemi adesivi si legano alla den-
Figura 2 - Replica in vivo di superficie dentinale dopo applicazione di OneStep Plus: si notano numerose bolle di fluido dentinale che immediatamente permeabilizzano strato ibrido e adesivo.
tina creando il cosiddetto strato
ibrido formato dall’infiltrazione
dei monomeri nella dentina demineralizzata.
Per superare i problemi relativi all’umidità del substrato dentinale, i monomeri adesivi sono
stati modificati in modo da contenere sia una componente idrofila sia idrofoba. In virtù di queste modificazioni i sistemi adesivi
hanno purtroppo aumentato la
loro capacità di assorbire acqua.
L’assorbimento d’acqua potrebbe essere in grado di degradare il polimero e soprattutto la
sua interfaccia con i tessuti duri.
La conseguente espansione da
assorbimento può pr odurre
stress interfacciali. Alcuni componenti delle resine possono letteralmente dissolversi in acqua e
tutto questo ha sicuramente
enormi effetti negativi sulla longevità dei restauri.
Un costante stress da espansione prodotto dall’assorbimento
d’acqua può esercitare uno
stress di trazione sulle fibre collagene che compongono lo strato
ibrido portando ad un vero e pro-
prio strappamento specie quando queste risultano indebolite da
concomitanti fenomeni idrolitici.
Recentemente Tay et al. hanno evidenziato il fenomeno della
permeabilità all’acqua negli adesivi single step. Il flusso d’acqua
dalla dentina verso l’interfaccia
con il composito può diminuire il
legame con il composito stesso
quando la polimerizzazione non è
immediata come nei compositi
autopolimerizzanti.
Gli Autori suggeriscono che
l’acqua può diffondere dalla dentina attraverso lo strato ibrido e
adesivo comportando una diminuzione della superficie disponibile per il legame. Negli studi al
TEM questo fenomeno era già
noto con il nome di water tree
manifestandosi come una fila
continua di bolle d’acqua all’interfaccia adesivo composito.
Diversi studi hanno tra l’altro
mostrato che piccoli ioni o molecole possono diffondere attraverso lo
strato ibrido in assenza di un evidente gap interfacciale. Questo fenomeno è noto come nanoleakage,
cioè il passaggio di un tracciante
VII SIMPOSIO INTERNAZIONALE
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attraverso lo strato ibrido. Tutto
questo potrebbe essere responsabile del deterioramento indotto nel
tempo dall’acqua.
Itthagarun et al. (2000) hanno
descritto una tecnica in grado di
evidenziare tramite un materiale
da impronta idrofobico la fuoriuscita di fluido dentinale dalla
dentina di dente vitale. Con una
simile tecnica Chersoni et al. (in
stampa) hanno studiato la
morfologia dello strato ibrido dopo la conservazione delle interfacce resina-dentina in acqua,
evidenziando assorbimento e rilascio di acqua da parte dello
strato ibrido.
Da un nostro recente studio si
è evidenziato in vivo il passaggio
di fluido dentinale attraverso lo
strato ibrido (FIGURA 2) e il sovrastante adesivo. Il significato clinico di questo studio è probabilmente importante perché dimostra che materiali da restauro
vengono ad essere applicati su di
un substrato relativamente umido, inoltre la presenza di fluidi all’interno dell’adesivo o del composito può rendere ragione del rapido degrado idrolitico del legame.
Il fenomeno è stato evidenziato sia per adesivi self o total etch,
siano essi ad uno o più passaggi.
Gli adesivi multi passaggio,
ad esempio All-Bond 2 (Bisco;
Schaumburg, IL, USA), presentano una superficie omogenea e regolare che è in grado di sigillare
completamente la superficie dentinale e dimostra solamente in
cavità profonde delle rarissime
bolle sulla superficie riconducibili alla presenza di fluido dentinale (FIGURA 3).
I sistemi semplificati, come ad
esempio One-Step Plus (Bisco)
presentano numerose bolle di
fluido dentinale replicate dal silicone che progressivamente aumentano di numero e dimensione quando ci si sposta verso le
zone profonde delle cavità.
72
IISESSIONE
Il monocomponente probabilmente è soggetto a problemi di
permeabilità legati al contenuto
elevato di resine idrofiliche; in
pratica, una volta polimerizzato,
permette comunque il passaggio
di fluidi e probabilmente ciò è
spiegabile mediante la formazioni di canali (water tree) che il
fluido dentinale si crea già durante l’applicazione dell’adesivo e
tali canali sono poi responsabili
dell’accumulo di fluido soprattutto in dentina profonda.
Tale meccanismo è probabilmente ostacolato nei sistemi multistep in quanto il bonding è meno idrofilico e in genere si dispone in spessori superiori grazie
anche alla viscosità. Risulta
quindi difficile che i fluidi completino la formazione dei canali
in tutto lo spessore dell’adesivo
se non in cavità molto profonde e
comunque in quantità non rilevante.
In relazione a quanto osservato non è quindi consigliabile l’utilizzo del sistema monocomponente in cavità dentinali profonde in denti vitali. È inoltre ipotizzabile una certa relazione tra
tempi clinici e contaminazione
da fluido dentinale; ciò richiede
una standardizzazione, non solo
a livello di applicazione dei sistemi adesivi, ma anche nelle successive fasi di applicazione e polimerizzazione del composito o
del cemento resinoso. ■
Figura 3 - Replica in vivo di superficie dentinale dopo applicazione del sistema adesivo All-Bond 2:
non si nota la presenza di fluido dentinale.
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VII SIMPOSIO INTERNAZIONALE
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