Laboratorio 3 3. Fonti: FERTILIZZANTI E PIANI DI CONCIMAZIONE Giardini L., 2003. A come Agricoltura. Patron Editore, Bologna. Agronomica, 1995. Tecniche di coltivazione delle principali colture industriali. Gruppo Eridania Bèghin-Say. INDICE 3. FERTILIZZANTI E PIANI DI CONCIMAZIONE ........................................................ 1 3.1. INTRODUZIONE......................................................................................................... 2 3.2. LA CONCIMAZIONE ORGANICA ........................................................................... 5 3.2.1 Il letame ..................................................................................................................... 6 3.2.2 Reflui zootecnici........................................................................................................ 8 3.3. LA CONCIMAZIONE MINERALE.......................................................................... 18 3.3.1 Concimi chimici ...................................................................................................... 18 Concimi azotati ..................................................................................................................... 19 Concimi fosfatici ................................................................................................................... 21 Concimi potassici.................................................................................................................. 22 3.3.2 Concimi organo-minerali......................................................................................... 24 3.3.3 La risposta alla concimazione.................................................................................. 26 3.3.4 La dose ottimale di concime.................................................................................... 27 3.3.5 La distribuzione in campo ....................................................................................... 28 3.3.6 Puntualizzazioni conclusive .................................................................................... 36 3.3.7 Risposta qualitativa alla concimazione.................................................................... 37 1 3.1. INTRODUZIONE La fertilizzazione delle colture comprende l'insieme delle pratiche volte a favorire la nutrizione delle piante attraverso l'apporto degli elementi nutritivi e attraverso il miglioramento delle caratteristiche del terreno che influenzano lo sviluppo e la capacità di assorbimento radicale. In pratica, se si considera che le piante sono organismi che sintetizzano sostanza organica e non si devono necessariamente nutrire di essa come gli animali, ma solo degli elementi minerali, di acqua e di aria, si deve però riconoscere la notevole influenza che l'abitabilità del terreno ha sui processi nutritivi. Si può quindi affermare che la fertilizzazione si interessa in via diretta di soddisfare tali esigenze attraverso apporti specifici e in via indiretta di contribuire a che le piante trovino nel loro substrato ciò che non è possibile fornire artificialmente. Queste finalità, diverse ma complementari, trovano un riscontro a livello normativo nella suddivisione dei fertilizzanti in “concimi” ed in “ammendanti e correttivi”: in base alla Legge 748/84 i primi vengono definiti come “qualsiasi sostanza, naturale o sintetica, idonea a fornire alle colture gli elementi chimici della fertilità a queste necessarie” mentre i secondi come “qualsiasi sostanza, naturale o sintetica, minerale od organica, capace di modificare e migliorare le proprietà e le caratteristiche chimiche, fisiche, biologiche e meccaniche di un terreno”. Si comprende, quindi, qual è l’importanza della fertilizzazione ed in particolare della concimazione al suo interno, nei confronti della quale è possibile procedere con la seguente logica: definire i fabbisogni in elementi nutritivi delle diverse colture, stimare quanto tali fabbisogni può essere reso disponibile naturalmente dal terreno e fornire il complemento nel modo più efficiente ed economico. Gli elementi nutritivi essenziali e le loro funzioni principali essenziali all'interno delle piante sono indicati nella Tab. 3.1; in base agli orientamenti attuali essi si possono dividere in elementi principali, secondari e microelementi. In alternativa, si possono riunire i principali e i secondari nell'unica categoria dei macroelementi. 2 Tabella 3.1 Elementi nutritivi delle piante I termini “macro-” e “micro-” indicano il livello di assorbimento e di concentrazione nei tessuti, che sono nettamente più elevati per i primi rispetto ai secondi; tutti gli elementi sono comunque indispensabili per un sano e regolare sviluppo delle colture. Tra le due categorie, i macroelementi rappresentano i costituenti principali della materia vivente, o di porzioni importanti di essa, mentre i microelementi sono più spesso deputati allo svolgimento di ruoli chiave nella regolazione fisiologica del vegetale. 3 A parte i tre elementi carbonio, idrogeno e ossigeno, l'assorbimento avviene principalmente per via radicale. Questo fa si che si debba, di norma, concimare il terreno, che a sua volta provvede a rifornire le colture, non senza dover superare difficoltà legate alle molteplici interazioni che caratterizzano il sistema pianta-suolo. La dinamica dei singoli elementi nell'ecosistema occupa un altro importante capitolo degli studi sulla nutrizione vegetale: gli elementi nutritivi raramente presentano forme statiche nel tempo, essendo più spesso soggetti a trasformazioni dall'una all'altra in un processo continuo che, a livello del terreno, prevede momenti di equilibrio dinamico tra entrate e uscite, ma anche di squilibrio per una prevalenza delle entrate (es. concimazioni) o delle uscite (es. perdite per lisciviazione). La Fig. 3.1 riporta schematicamente il ciclo dell'azoto, cioè dell'elemento nutritivo principe. Appare evidente la complessità dell'insieme, in cui l'elemento stesso compare in diversi ruoli, di volta in volta sotto forma organica o minerale, e in quest'ultimo caso coprendo l'intero arco dei possibili stati di ossidazione, da ione ammoniacale NH4+ a ione nitrico N03-. Figura 3.1 Rappresentazione schematica del ciclo dell'azoto (modificato da Van Diest, 1984) All'interno del ciclo si possono riconoscere alcune fasi salienti per la nutrizione delle piante: in particolare, volendo considerare solamente la parte che riguarda il terreno, la mineralizzazione e la nitrificazione sono i processi attraverso i quali l'elemento viene reso disponibile per le colture, laddove l'immobilizzazione microbica, le perdite atmosferiche 4 (volatilizzazione e denitrificazione) e la lisciviazione in profondità costituiscono le principali cause di sottrazione. Questi processi assumono particolare rilevanza rispetto alle decisioni da prendere in materia di concimazione. Le analisi fisico-chimiche costituiscono un importante strumento per una migliore conoscenza delle caratteristiche del terreno e della disponibilità degli elementi nutritivi (Fig. 3.2). Figura 3.2 Reazione del terreno ed assimilabilità degli elementi nutritivi (Da F. Trough) Particolare importanza riveste il tipo di acidità, di origine minerale od organica; quest'ultima è generalmente meglio tollerata dalle colture ed è quindi meno bisognosa di interventi correttivi. Assai raro è il caso dei terreni con pH pari o superiore a 8,6 , che denota una alcalinità da sodio difficilmente correggibile. 3.2. LA CONCIMAZIONE ORGANICA Per concimazione organica si intende l'apporto artificiale di sostanza organica (di origine animale, vegetale o mista) al terreno agrario al fine di migliorarne la fertilità in senso lato. 5 Ai concimi organici si attribuisce un complesso di azioni di carattere fisico, chimico e microbiologico che si manifestano però sul suolo coltivato con varia intensità anche in funzione dei tipo di fertilizzante. I concimi organici possono essere classificati come di seguito: - Di origine mista: letame, composte o letame artificiale, terricciati, spazzature ed immondizie delle città. - Di origine animale: orine, deiezioni solide, sangue, ossa, cornunghia, residui di pesca, farina di carne, residui di cuoio, cascami di lana, ecc.; - Di origine vegetale: residui colturali, piante verdi (sovescio), torba, pannelli, semi, vinacce, foglie secche, alghe, borlande, ecc. Prendiamo ora in considerazione solo quelli che presentano il maggior interesse per l'agricoltura di pieno campo. 3.2.1 Il letame Il letame di stalla o stallatico è formato dalle deiezoni solide e liquide degli animali in stabulazione, mescolate a materiali di varia origine costituenti la lettiera. É certamente, ancora oggi, uno dei fertilizzanti organici più largamente impiegati sia perché viene prodotto in notevole quantità all'interno dell'azienda agraria e sia perché possiede un indiscutibile alto valore agronomico. Si tratta di un materiale di consistenza più o meno eterogenea, di composizione incostante, con caratteristiche variabili in funzione dei tipo e della quantità di lettiera, dei tipo di animale che lo ha prodotto, della tecnica di produzione e di conservazione e, di conseguenza, delle fermentazioni intervenute. La lettiera può essere formata da svariati materiali, come paglie, stocchi di mais, torba, erbe palustri, segatura di legno, ecc. Queste sostanze differiscono fra di loro oltre che per la composizione chimica, anche per la capacità di imbibizione (importante per trattenere le urine) e per la facilità con cui possono avviare certe fermentazioni. Ne consegue quindi che l'uso di, una lettiera o di un'altra può influenzare fortemente le caratteristiche dei letame. La lettiera più comunemente impiegata è tuttavia la paglia dei cereali ed in modo particolare quella di frumento che è disponibile in quasi tutte le aziende. Essa è povera di azoto e fosforo ma piuttosto ricca di potassio e dotata di un buon potere di imbibizione. 6 La composizione dei letame varia anche in funzione della specie animale che lo produce, della sua età, dei suo stato di salute e dei tipo di alimentazione. In generale si può dire che il letame degli equini e degli ovini è piuttosto asciutto, ricco di elementi nutritivi e capace di sviluppare molto calore durante la fermentazione. È perciò ricercato in orto–floricoltura per la formazione di letti caldi. Quello dei suini invece è piuttosto acquoso ed è complessivamente il meno pregiato. Il letame bovino invece possiede caratteristiche intermedie ed è decisamente il più usato tanto che, comunemente, quando si parla di letame si intende proprio questo tipo. La quantità di letame bovino fresco prodotto annualmente in una stalla di tipo tradizionale è pari a circa 22 volte il peso vivo dei bestiame stabulato, impiegando da 3 a 4 kg di lettiera al giorno per ogni capo adulto. Il processo di "maturazione" inizia nella stalla con una fermentazione ammoniacale che riguarda soprattutto le urine e che può disperdere notevoli quantitativi di NH3-. In una seconda fase inizia anche l'ossidazione della sostanza organica delle feci e della lettiera che comporta quindi anche perdita di sostanza organica. Solo successivamente, quando il materiale è ben ammucchiato in letamaio, umido, e quindi in condizioni di prevalente anaerobiosi, i processi fermentativi si orientano verso l'umificazione e quindi verso la formazione di quei composti organici ai quali si attribuisce gran parte dei pregi di questo fertilizzante. L’agricoltore dovrà quindi, per quanto possibile, contenere i processi iniziali (ad esempio riducendo i tempi di esposizione all'aria levando il materiale dalla stalla 1–2 volte al giorno per portarlo in letamaio) e favorire i secondi. Una tecnica particolare di preparazione dei letame è quella che si attua negli allevamenti con lettiera permanente: il bestiame vive per lunghi periodi (da 20 a 100 giorni) sulle sue deiezioni alle quali si aggiunge periodicamente nuova lettiera. Il continuo calpestamento da parte degli animali e l'inumidimento spontaneo con le urine fanno si che buona parte dei processi di maturazione avvengano, direttamente nelle aree di allevamento, in condizioni sufficientemente propizie; il prodotto così ottenuto si rivela, quindi, talora, non peggiore di quello tradizionale. La letamaia viene svuotata quando il terreno è pronto per ricevere il letame che, ovviamente, possiederà caratteristiche diverse anche in funzione dei grado di "maturazione". Nella tab. 3.2 si riportano alcuni valori indicativi della sua composizione; le oscillazioni dipendono, oltre che dal grado di maturazione, anche da tutti i fattori illustrati precedentemente. Il letame di maiale è mediamente un po' più povero in elementi nutritivi, mentre quelli di cavallo e di pecora sono più ricchi soprattutto in azoto (6,5 e 8‰). 7 Tabella 3.2 Composizione dei letame bovino (% sul tal quale). Tipo di letame Sostanza secca N P2O5 K2O fresco e paglioso maturo 20-30 15-25 0,3-0,5 0,4-0,6 0,2-0,3 0,2-0,3 0,5-0,7 0,6-0,8 Un altro importante aspetto che riguarda lo stato di maturazione dei letame è quello relativo alla vitalità dei semi di malerbe in esso contenuti; come già ricordato a suo tempo infatti, il concime fresco, o imperfettamente maturato, può costituire una fonte pericolosa di infestazione. Il letame viene impiegato in dosi variabili, grosso modo, da 20 a 60 t/ha e sparso sul terreno prima dell'aratura dei cosiddetti “rinnovi”. Al fine di contenere al minimo le perdite per ossidazione della sostanza organica e la volatilizzazione di azoto elementare e di ammoniaca, è buona norma limitare al minimo l'esposizione all'aria e far seguire immediatamente l'aratura. La sua azione, di solito, non si esaurisce in un solo anno, ma si protrae anche nell'annata successiva a quella dello spargimento e, talora, sia pure con intensità decrescente, arriva fino al 31 e 41 anno. La durata della sua azione tuttavia varia fortemente in funzione, oltre che della dose, anche dei tipo di terreno (nei substrati molto sciolti si esaurisce rapidamente), della profondità di interramento, dell'andamento climatico, del grado di maturazione e dell'epoca di distribuzione (l'interramento eseguito in estate è meno favorevole al prolungarsi dell'effetto fertilizzante di quello eseguito in autunno). Siccome l'efficacia fertilizzante dei letame è in gran parte dovuta alla messa a disposizione degli elementi in esso contenuti ed all'attività dei microrganismi apportati al terreno, le piante che maggiormente ne traggono benefici sono quelle che svolgono il loro ciclo produttivo in periodi favorevoli a tali processi. È questo il motivo per cui le letamazioni vengono eseguite soprattutto alle colture primaverili come mais, bietola, patata, pomodoro, tabacco, ecc. Il frumento invece, ed i cereali autunno-primaverili in genere, non vengono letamati ma usufruiscono solo dell'azione residua dei letame. Da ciò consegue un altro aspetto importante della tecnica di letamazione: la distribuzione sullo stesso appezzamento ogni 2–3–4 anni. 3.2.2 Reflui zootecnici Le deiezioni liquide e solide degli animali possono interessare l'agricoltura anche indipendentemente dalla produzione di letame. Esse infatti costituiscono una importante fonte di sostanza organica e di elementi nutritivi per le piante (tab. 3.3). 8 Tabella 3.3 Composizione media orientativa dei liquami bovini e suini, e della pollina (%). L’utilizzazione di queste sostanze presenta problemi agronomici ed ecologici molto importanti, che assumono diversa rilevanza e configurazione a seconda dell'ambiente in cui vengono prodotte e dell'animale che le produce. Liquami di bovini e suini L’accresciuta domanda di carne sui mercati europei e mondiali ha favorito il sorgere di allevamenti bovini e suini caratterizzati da una notevole concentrazione di capi. In essa si ottiene un prodotto fluido, chiamato liquami di stalla. Le sue caratteristiche sono però abbastanza diverse da quelle dei letame. Il contenuto in sostanza secca varia moltissimo in funzione dei tipo di animale allevato, dei sistema di conservazione e, soprattutto, dei quantitativo di acqua di lavaggio impiegata nella stalla. Mediamente infatti il liquame dei bovini (vitelloni e adulti) contiene circa il 10% di s.s. (metà di quella dei letame) mentre quello dei suini, per i quali si fa ampio ricorso al lavaggio, presenta un contenuto di acqua superiore al 95%. Il potere fertilizzante dei primo liquame è dunque più elevato. In ogni caso è utile richiamare l'attenzione anche sul notevole contenuto in fosforo di questi materiali la cui s.s. presenta un tenore in P205 totale 2–3 volte superiore a quella dei letame. Per lo sfruttamento agronomico dei liquami di stalla vanno considerati gli effetti a breve termine sulle diverse colture e gli effetti a medio e lungo termine sulla fertilità dei terreno. Gli elementi nutritivi contenuti nella s.o., ivi compresi i numerosi microelementi, si rendono disponibili con gradualità nel terreno, man mano che avviene la mineralizzazione. Questo processo è però relativamente rapido anche perché favorito da un rapporto C/N piuttosto stretto. Tutto ciò, unito al fatto che il 15–20% della sostanza secca è sotto forma minerale, 9 conferisce ai liquami una prontezza ed una durata d'azione intermedia fra quella dei letame e quella dei concimi chimici. Sotto il profilo agronomico le dosi annue consigliabili sono quelle capaci di apportare ai terreno 2–4 t/l di s.s. e cioè circa 70–150 m3/ha di liquame suino e 20–40 m3/ha di liquame di vitellone. Le dosi più alte si addicono alle colture da rinnovo e, in modo particolare, al mais. Un problema molto importante è quindi quello di stabilire quali siano le dosi massime di possibile impiego. I principali fattori limitanti l'impiego di dosi eccessive sono: apporto di dosi troppo alte di N, inquinamento delle falde freatiche, eccessivo arricchimento dei terreno con metalli pesanti (specie per le deiezioni suine). In definitiva però, pur tenendo conto dei problemi ancora aperti, l’utilizzazione dei liquami di stalla a scopo fertilizzante appare oggi una soluzione utile ed auspicabile sotto il triplice profilo agronomico (sono concimi ed ammendanti di notevole valore), ecologico (nel terreno agrario si riesce a riciclare un materiale assai scomodo ed inquinante) ed economico (risparmio di concimi chimici, minor costo rispetto alle soluzioni alternative). Il D.Lgs 152/99 ha recentemente stabilito che la dose massima di liquame impiegabile annualmente nei terreni in coltura non debba comportare un apporto superiore a 340 kg/ha di N al netto delle perdite di stoccaggio e di distribuzione. Fanno eccezione le zone vulnerabili, per le quali la dose massima tollerabile è dimezzata. La distribuzione in campo dei liquami di stalla può essere eseguita ricorrendo alla fertirrigazione oppure, più comunemente, ad appositi carri botte (Fig. 3.3). Figura 3.3 Spandiliquarne in funzione. 10 L’epoca migliore per la distribuzione coincide con l'immediata pre–aratura oppure, quando i carribotte riescono a muoversi su terreno lavorato, col periodo che precede l'erpicatura. L'incorporamento nel terreno è necessario per limitare le perdite di azoto e per portare gli altri elementi nutritivi e la sostanza organica ad una certa profondità. Per lo smaltimento dei liquami di stalla sono state proposte anche soluzioni diverse dall’impiego diretto sui terreni agricoli. Esse diventano necessarie soprattutto quando il numero di capi nell'unità di superficie è troppo alto e si impone l'eliminazione artificiale delle deiezioni. Le principali sono: la separazione, la disidratazione, l'incenerimento, la depurazione biologica, il compostaggio. Con la separazione e la disidratazione si riesce a produrre un materiale più ricco perché più concentrato, con la depurazione biologica si può ottenere anche dei biogas, con il compostaggio (fermentazione in cumulo con paglie, residui vari, ecc.) si ottiene una specie di letame (compost). Pollina La composizione media della pollina è riferita nella tab. 3.3. Come per le altre deiezioni animali, anche in questo caso si possono riscontrare notevoli oscillazioni dipendenti dal tipo di animale, dalla dieta adottata, dal locale di allevamento, dalla durata della conservazione, dall’impiego o meno della lettiera. Facendo riferimento alla s.s., invece che al prodotto tal quale, la variabilità si restringe. In ogni caso si tratta di un fertilizzante di grande valore sia per l'impiego immediato e sia per le possibilità di manipolazione industriale che offre. Il prodotto tal quale, così come asportato dai capannoni di allevamento, presenta infatti un elevato contenuto in s.s. e quindi una dotazione in s.o. e in elementi nutritivi assai maggiore di quello dei liquami. Il principio fertilizzante più rappresentato è l'azoto, prevalentemente sotto forma di sali dell'acido urico (50%), ma anche in forma organica (40%) e ammoniacale. Tutt'altro che trascurabile appare inoltre la percentuale di fosforo. Lo stretto rapporto C/N e la forma di N fanno della pollina un fertilizzante ad azione relativamente rapida. Essa dunque si presta bene per la distribuzione in pre–erpicatura, poco tempo prima della semina. Quando se ne possiedono grandi quantità può essere tuttavia conveniente distribuirla prima dell'aratura in modo da evitare effetti fitotossici dovuti ad eccessi di salinità. Questo inconveniente si può manifestare anche quando il prodotto non viene sparso uniformemente su tutta la superficie. 11 Le dosi normali di impiego sono quelle che apportano 1–3 t/ha di s.s. Il contenuto relativamente basso di umidità rende conveniente un ulteriore essiccamento articiciale della pollina in modo da ottenere un concime di facile conservazione, manipolazione e commercializzazione. Di solito questi fertilizzanti vengono anche pellettati in modo da facilitarne la distribuzione in campo con gli spandiconcimi (Fig. 3.4). Figura 3.4 Poffina essiccata e preparata industrialmente in cilindretti lunghi 10-15 mm. In tal modo essa può essere conservata in comuni sacchi di plastica e distribuita in campo con spandiconcime. Rifiuti degli insediamenti civili e industriali Gli insediamenti umani rappresentano una fonte considerevole di materiale organico (e non) che può assumere un ruolo importante in agricoltura. Si tratta, in senso lato, di rifiuti che devono essere in qualche modo rimossi dai luoghi di produzione e che richiedono, di solito, costosi interventi al fine di annullarne la pericolosità e la carica inquinante. Il riciclaggio agricolo di detti materiali presenta però problemi igienico–sanitari e ambientali che non vanno sottovalutati. Ai fini dei recupero agronomico di detti materiali (e di quelli di origine agricola di cui si è detto), il Decreto dei 5/2/98 del Ministero dell'Ambiente individua: 1) Residui compostabili, es. frazione organica dei rifiuti solidi urbani raccolta separatamente, segatura, trucioli, frammenti di legno, rifiuti vegetali derivanti da attività agroindustriali, rifiuti tessili di origine vegetale o animale, deiezioni animati da sole o in miscela con materiale di lettiera, fanghi di depurazione; 12 2) Residui destinati alla produzione dei fertilizzanti, es. ossa, residui di pulitura delle ossa, corna e unghie, penne e piume, residui carnei, sangue, residui di pesce, crisalidi; scarti, peluria e pelucchi di lana e altre fibre di origine animale, rifilature e scarti di pelo; scarti solidi della lavorazione conciaria; borlande; panelli dell'industria olearia; acque di vegetazione delle olive, calce di defecazione e ceneri; deiezioni animali. Di seguito prendiamo brevemente in considerazione i fanghi di depurazione, i residui solidi urbani e i compost che ne possono derivare. I fanghi rappresentano il materiale che viene separato dalle acque di rifiuto dei centri urbani o industriali durante i processi di depurazione. Questi processi sono di vario tipo e possono produrre fanghi con diverse caratteristiche e composizione. I fanghi ottenuti con il solo trattamento primario hanno colore grigio scuro, sono ricchi di grassi e possiedono odore sgradevole. I fanghi ottenuti con il trattamento secondario (fanghi attivi e fanghi–humus da filtri percolatori) sono di colore bruno, di aspetto muciliaginoso, difficili da disidratare, possiedono un odore non sgradevole. La variabilità fra i fanghi è inoltre fortemente legata all'origine degli scarichi. I fanghi che possono essere impiegati come fertilizzanti devono possedere i seguenti requisiti: 1) essere stati sottoposti a idoneo trattamento di stabilizzazione; 2) essere idonei a produrre un effetto positivo (chimico, fisico o biologico) sulla fertilità dei terreno; 3) non contenere sostanze nocive e accumulabili nel terreno, in concentrazioni dannose per le piante e/o gli animali e/o l'uomo. Sono, ad esempio, da evitare i fanghi di impianti che trattino prevalentemente scarichi di ospedali, mentre sono normalmente accettabili fanghi derivati dai trattamento di effluenti di industrie alimentari. I fanghi ottenuti con sedimentazione primaria e quelli dei trattamenti biologici (aerobi e anaerobi) sono sempre molto fluidi (1–5% di s.s.) e richiedono ulteriori interventi che riducano il contenuto di acqua al 50–70%. Con la diffusione sempre maggiore dei depuratori, la produzione di questi fanghi è in continuo aumento e presenta problemi di smaltimento non indifferenti. La composizione, come si è detto, è assai variabile, ma il contenuto in macro e microelementi nutritivi e in s.o. è quasi sempre tale da giustificarne l'utilizzazione come fertilizzanti. Basti pensare che dosi medie di 50 t/ha (fango di fogna coi 5 % di s.s.) possono apportare al terreno, fra l'altro, circa 100 kg di N e 65 kg di P205. Naturalmente il loro valore fertilizzante è tanto più elevato quanto minore è il contenuto in acqua. 13 Un problema importante è quello di stabilire le quantità massime di fango accettabili sui terreni agricoli in relazione alle caratteristiche dei fanghi stessi, dei terreni e delle colture. Se non intervengono fattori limitanti, come appunto il superamento dei limiti tollerati per il contenuto in elementi potenzialmente tossici nei fanghi stessi o nel terreno, le dosi annue di impiego oscillano fra 2 e 5 t/ha di s.s. da incorporarsi con l'aratura. I Rifiuti Solidi Urbani (R. S. U.) sono anch’essi dei materiali che, mentre da un lato devono continuamente essere asportati dai luoghi di produzione, dall'altro possono presentare caratteristiche che ne suggeriscono anche l'utilizzazione agricola nella fertilizzazione. L'impiego del prodotto tal quale non è tuttavia consigliabile perché, oltre a presentare problemi di ordine igienico–sanitario, può contenere materiali indesiderabili come pezzi di metallo, terracotta, vetri, plastica, ecc. è infatti solo la frazione "umida–organica" che possiede interesse agronomico. In proposito possiamo distinguere: a) frazione organica dei residui solidi urbani proveniente da raccolta differenziata (mercati ortofrutticoli, ristoranti, mense, da utenze domestiche, ecc.); b) frazione organica dei residui solidi urbani separata a valle della raccolta. I primi, di solito, possiedono caratteristiche migliori, ma ambedue possono essere utilizzati per ottenere dei compost. Il processo di compostaggio utilizza miscele di più materiali diversi per avere a giusta umidità (45–65%), un equilibrato rapporto C/N (meglio se compreso tra 20 e 30), un'adeguata presenza di lignina e/o cellulosa. Se l'operazione è ben eseguita si ottiene un prodotto scuro, simile al letame maturo, ma più friabile perché meno acquoso (20–50% di umidità). Grossomodo, considerata la sua composizione, possiede un valore fertilizzante vicino a quello dei letame maturo di cui rappresenta un buon surrogato purché non presenti problemi di inquinamento. Altri fertilizzanti organici Molti altri fertilizzanti organici trovano impiego in agricoltura. La loro origine è assai varia e la loro importanza pratica cambia da zona a zona. Ne ricordiamo alcuni. Le alghe marine sono tradizionalmente impiegate nelle zone costiere dopo averle lasciate esposte, per un certo periodo, all'azione delle piogge che ne dilava l'eccesso di salinità. In commercio si trovano alghe essiccate (3–6% di umidità) che contengono l'1% di N, 0,5–0,8% di P2O5, e numerosi microelementi. 14 La torba di sfagno o quella, meno pregevole, derivata da altre specie vegetali, può essere usata allo stato naturale o arricchita di elementi nutritivi e/o di sostanze correttive alcaline. Si tratta di un materiale dotato di notevole capacità ammendante; nei terreni argillosi attenua i difetti legati alla eccessiva tenacità, mentre in quelli sabbiosi migliora la capacità di trattenuta idrica e rallenta il dilavamento dei sali. Il contenuto in acqua oscilla da 50 a 70%, quello in s.o. da 90 a 98% della s.s., il tenore in elementi nutritivi è molto modesto, nelle torbe naturali e relativamente alto in alcune torbe arricchite (es. 3% di ciascuno dei tre elementi principali). Le dosi normali di impiego variano da 2 a 5 t/ha. La vinaccia può essere utilizzata per l'ottenimento di compost oppure distribuita direttamente in campo, cosi come la segatura e i trucioli di legno. Concimi organici di origine animale che incontrano un certo favore da parte degli agricoltori sono: il sangue secco e la farina di carne (relativamente ricchi di azoto), la cornunghia e i cuoiattoli (caratterizzati da un effetto prolungato nel tempo). Il sovescio totale Con questa denominazione si intende l'interramento di tutta la vegetazione di una coltura eseguita appositamente per tale scopo. Le piante alle quali si ricorre con maggior frequenza sono: favetta, lupino, trifoglio incarnato, veccia, ultimo sfalcio di medica o di altra leguminosa pratense, segale, orzo, colza, rafano, eccetera. Allorché si tratta di una leguminosa il terreno viene arricchito anche di un certo quantitativo di azoto derivato dalla fissazione simbiontica ed è questo il motivo per cui molto spesso si sceglie una specie di questa famiglia. Per gli altri elementi nutritivi (e anche per l'azoto quando non si ricorre ad una leguminosa) il sovescio non provoca alcun arricchimento del terreno se si eccettua un certo assorbimento dallo strato sub-attivo con conseguente trasporto degli stessi in una zona più accessibile per le colture. Un vantaggio indiretto può derivare ancora da una migliore disponibilità degli elementi nutritivi stessi (specialmente P e K). Il vantaggio principale derivante al terreno dal sovescio riguarda comunque l'apporto di sostanza organica che raggiunge solitamente valori dell'ordine di 4-7 t/ha. La massa verde cosi interrata è molto acquosa e viene rapidamente attaccata dai microrganismi, per cui la sua azione non si protrae più di qualche mese nel terreno. Oltre tale periodo rimane solo l’effetto 15 dell'humus che ne é derivato per cui, di solito, è bene ritardare il più possibile oltre la fioritura l'interramento della coltura. In qualche caso il sovescio di crucifere comporta un effetto rinettante (disinfestante) del terreno. Un altro effetto ottenibile, ad esempio con graminacee in coltura intercalare da sovescio, è quello di catturare una parte dell’azoto che sarebbe dilavato con le acque di percolazione. Sovescio parziale o interramento di residui colturali Consiste nell'interramento di quelle parti di piante che non costituiscono la produzione per la quale la coltura è stata eseguita. Nella tab. 3.4 si riportano, per alcune colture erbacee, i quantitativi di residui colturali che possono essere utilizzati per un sovescio parziale; si tratta di quantità notevoli che devono attirare l'attenzione dei l'agricoltore. Tabella 3.4 Quantità di residui vegetali che possono lasciare nel terreno alcune colture erbacee. Piante e parti di essa sostanza secca (t *ha-1) barbabietola (foglie e colletti) colza da seme (esclusi i semi) frumento (stoppie e radici) frumento (paglia) girasole (esclusi gli acheni) ioiessa da seme (radici + paglia) mais (stoppie + radici) mais (stocchi) medica di tre anni (radici + cespi) medica di tre anni (c.s. + ultimo sfalcio) patata (fusti + foglie) pomodoro (fusti + foglie) tabacco (fusti) 3–5 4–7 1,5–3 3–6 5–10 4–8 3–5 4–8 4–6 5–8 3–6 5–9 3–5 L'argomento è molto interessante e coinvolge i seguenti aspetti: a) effetti a breve termine dell'interramento dei residui colturali (con particolare riferimento alle foglie ed agli stocchi di mais) sulla produttività delle colture in immediata successione; b) effetti a lungo termine sul bilancio umico dei terreno e quindi sulla sua fertilità; 16 c) relazione fra sovescio parziale e bilancio degli elementi nutritivi nel terreno. Per quanto concerne il primo punto bisogna ricordare che i residui colturali e, in modo particolare quelli sopra ricordati, sono poveri di azoto per cui durante il processo di umificazione sottraggono questo elemento alle riserve dei terreno e mettono in crisi la coltura successiva. L’inconveniente si manifesta solo nei primi anni di sovescio parziale e può essere ovviato con la concimazione: basta distribuire, oltre alla dose di azoto necessaria per la coltura che segue, anche una dose supplementare che serva appunto a favorire l'attacco microbico dei materiale sovesciato. Di solito si consiglia di maggiorare la concimazione azotata in questo modo: 1 kg di in più per ogni quintale di sostanza secca sovesciata. Altri materiali, paglia e stocchi di mais compresi, richiedono integrazioni azotate minori. Il risultato finale, sia per quanto concerne gli effetti immediati sulla produttività della coltura successiva, e sia per l'evoluzione della sostanza organica interrata è pure notevolmente influenzato dalla profondità e dall'epoca di interramento; a parità di condizioni pedologiche infatti (attività microbica, tessitura, umidità, ecc.) i processi ossidativi di mineralizzazione prevarranno su quelli di umificazione (o addirittura di torbificazione) quanto più i residui verranno sovesciati superficialmente ed in stagione calda. Per quanto riguarda il bilancio umico di un terreno nel quale si interrino tutti i residui colturali, le informazioni ancora molto frammentarie. Allorché si ricorre ad interramenti così massicci di materiale organico nel terreno si instaura un equilibrio dinamico fra le varie forme di s.o. dove la incidenza di quella indecomposta, o in via di trasformazione, è probabilmente superiore a quella presente nell'equilibrio preesistente; siccome anche questa frazione è importante ai fini della fertilità dei terreno essa esplica, in certo qual modo, un'azione surrogante dell'humus stabile. D'altro canto si deve pure ricordare che coi sovescio parziale la "qualità" della s.o. interrata è diversa da quella dei letame ed i processi biologici che la interessano sono, almeno in parte, pure diversi. Tutto ciò può giustificare il fatto che la risposta produttiva della coltura all'interramento dei residui colturali sia spesso inferiore a quella riscontrabile in seguito a letamazione. Circa le relazioni esistenti fra sovescio parziale e concimazione, è evidente che, a parte le ricordate implicazioni relative all'azoto, l'interramento dei residui vegetali diminuisce fortemente le asportazioni di elementi nutritivi da parte delle colture. 17 3.3. LA CONCIMAZIONE MINERALE1 Per concimazione, in senso lato, si intende l'apporto di sostanze minerali od organiche ai terreno agrario allo scopo prevalente di esaltare la funzione nutritiva intervenendo soprattutto sulla sua fertilità chimica. Con questa pratica agronomica si apportano dunque al terreno gli elementi nutritivi asportati dalle colture in modo da permettere il perenne rinnovarsi dei processo produttivo senza andare incontro al graduale sfruttamento del suolo. Nel secolo diciannovesimo con le importanti ricerche sulla nutrizione dei vegetali al concetto tradizionale di “restituzione” si sostituì allora quello di “esaltazione della fertilità”. E gli strumenti messi a disposizione, assieme al vecchio letame ed alla cenere, furono i nitrati dei giacimenti sudamericani, i concimi fosfatici e potassici ricavati da miniere sparse in diverse parti dei mondo. Ci fu poi, in seguito, la nascita della moderna industria dell'azoto con il ricorso all’inesauribile riserva atmosferica per la sintesi dei concimi azotati. Il ricorso ai concimi minerali ha messo l'agricoltore in grado di forzare la produzione vegetale agraria facendogli conseguire risultati produttivi prima difficilmente raggiungibili. Il progresso agronomico è quindi vincolato alla disponibilità di fertilizzanti chimici. 3.3.1 Concimi chimici Possiamo distinguere vari gruppi di concimi chimici: azotati, fosfatici, potassici, composti, contenenti elementi minori. Si possono inoltre distinguere: concimi solidi e concimi fluidi (gassosi o liquidi). Per “titoli” dei fertilizzanti si intende la percentuale in peso di principio nutritivo contenuto. Per gli azotati il titolo è espresso in N, per i fosfatici in P205, per i potassici in K20. 100 kg di urea (titolo 46%) contengono 46 kg di N; 100 kg di perfosfato minerale (titolo 20–21%) contengono una quantità di P pari a quella contenuta in 20–21 kg di P205. 1 Nella comune terminologia, per concimi minerali o concimi inorganici o concimi chimici si intendono indifferentemente tutti i fertilizzanti derivati da minerali inorganici o costituiti mediante un processo di sintesi anche se i composti ottenuti sono di natura organica (es. urea). 18 Concimi azotati L’azoto è un costituente fondamentale della materia vivente e quindi dove non c'è azoto non c'è vita. Esso è considerato una leva potente per lievitare le produzioni agrarie anche se, talora, può arrecare qualche inconveniente. L’eccessiva disponibilità di questo elemento infatti può favorire un eccessivo sviluppo dei collenchima a scapito dello sclerenchima con conseguente maggiore suscettibilità, da parte della pianta, all'allettamento, a rotture, ad attacchi parassitari; in secondo luogo, sempre per lo stesso motivo, si può riscontrare anche una minore allegagione dei fiori, un allungamento dei ciclo vegetativo e quindi una minore precocità di produzione. I concimi azotati vengono distinti in cinque gruppi: nitrici, ammoniacali, nitrici–ammoniacali. organici, a lento effetto. Concimi nitrici - Siccome lo ione nitrico è direttamente e facilmente assorbito dall'apparato radicale delle piante, questi concimi possiedono una prontezza d'azione che non si riscontra in altri fertilizzanti. Essi quindi si prestano molto bene per interventi eseguiti in copertura (quando le piante sono già nate) e soprattutto allorché si vuole una risposta immediata dalla coltura. Lo ione nitrico non è trattenuto dal potere assorbente del terreno per cui è notevolmente soggetto a perdite per dilavamento. Per limitare tali perdite di azoto in profondità si tende, in genere, a consigliare l'impiego di questi fertilizzanti in distribuzioni frazionate nel corso dei ciclo colturale. I concimi nitrici più noti in commercio sono due, il nitrato di sodio e il nitrato di calcio. Ambedue possiedono un titolo di azoto pari al 15–16% ed ambedue possono essere fabbricati sinteticamente attraverso la produzione industriale dell'acido nitrico. Fino ad una cinquantina di anni fa però il nitrato di sodio derivava esclusivamente dai giacimenti sudamericani dei Cile (nitrato dei Cile). Sono però disponibili anche il nitrato di Mg e il nitrato di Ca e Mg. Il loro impiego è limitato perché possiedono due difetti fondamentali: titolo troppo basso e costo dell'unità azoto eccessivamente alto. Concimi ammoniacali - Lo ione ammonio, viene assorbito dalle piante generalmente in quantità molto minore dello ione nitrico ma, una volta arrivato nel terreno, subisce il processo di nitrificazione. I concimi appartenenti a questo gruppo sono dunque caratterizzati da un'azione un po' più lenta dei precedenti. L’agricoltura moderna tuttavia è orientata verso l'impiego di dosi molto 19 alte di azoto che tendono a minimizzare l'effetto produttivo della predetta differenziazione. Lo ione ammonio inoltre, viene trattenuto dai colloidi del terreno per cui i concimi che lo contengono sono meno soggetti dei precedenti a perdite per dilavamento. Essi vengono normalmente considerati concimi da distribuirsi poco prima della semina, ma non è raro il loro impiego anche in copertura. Il solfato ammonico solido (cristallino o granulare) è il classico concime azotato ammoniacale impiegato in Italia; il suo titolo è dei 20–21%. L'ammoniaca anidra rappresenta il concime azotato a più alto titolo (82,3% N) ed è un composto di sintesi dal quale si può partire per ottenere i fertilizzanti azotati più conosciuti. É un composto gassoso, di una certa pericolosità, che va conservato in appositi contenitori e sotto pressione per ridurne l'ingombro. La soluzione ammoniacale è molto più facile da conservare e da distribuire (alla pressione atmosferica o a bassa pressione) ma il titolo molto più basso e quindi il maggiore ingombro ne fanno un prodotto meno interessante dei due precedenti. Concimi nitrici-ammoniacali - Assommano le caratteristiche fondamentali dei due gruppi precedenti. Il composto principale è il nitrato ammonico che ha un titolo dei 26,5%. E molto impiegato in Italia. Si ricordano anche il nitrato ammonico calcareo, il solfonitrato ammonico e una soluzione (UAN) a base di urea e nitrato ammonico. Concimi azotati organici - I concimi azotati organici di sintesi possiedono caratteristiche agronomiche abbastanza simili ai composti ammoniacali. Essi si prestano motto bene quindi per essere impiegati prima della semina in quanto non evidenziano la prontezza d'azione dei nitrati e sono relativamente poco dilavati. Per l'urea tuttavia è motto frequente anche la distribuzione in copertura. A questo gruppo appartengono due composti che, sia pure per motivi diversi, sono molto conosciuti: la calciocianamide e l'urea. La calciocianamide(20–21% di N) è stato uno dei fertilizzanti azotati più diffusi in passato perché, oltre ad apportare azoto al terreno esplica anche una certa azione erbicida ed antiparassitaria. 20 L'urea (46% di N) è il concime azotato più utilizzato nell'agricoltura italiana. Il prodotto, nella sua forma granulare, possiede un alto titolo di azoto, permette un ovvio risparmio nelle spese di trasporto, si distribuisce facilmente, possiede un'azione sufficientemente pronta, e, ciò che più conta, viene di solito commerciato ad un prezzo tale che l'unità N presenta un costo fra i più bassi rispetto agli altri concimi azotati. Essa può entrare anche a far parte di concimi liquidi azotati misti: soluzione acquosa di urea e nitrato ammonico, urea in soluzione ammoniacale, eccetera. Concimi azotati a lento effetto o “ritardanti” - Uno dei principali difetti dei concimi azotati è quello di essere soggetti a perdite per dilavamento che possono talora raggiungere valori anche molto consistenti. Questa caratteristica negativa comporta una riduzione della percentuale di azoto utilizzato dalle piante, costringe spesso ad interventi in copertura e favorisce talora impoverimenti precoci del terreno in modo tale che la pianta può trovarsi in carenza di tale elemento soprattutto verso la fine dei ciclo produttivo. Un concime azotato ideale dovrebbe dunque essere intrinsecamente poco solubile, trattenuto dal terreno, e liberare ioni nitrici gradualmente nel tempo in relazione alle esigenze delle piante coltivate. Si potrebbe in tal modo eseguire una sola concimazione alla semina. I risultati ottenuti nel recente passato non sono sempre stati pari alle aspettative, anche per colture di pieno campo che sembravano prestarsi molto bene al l'utilizzazione di questi prodotti (es. prati irrigui). Con dosi elevate, infatti, a parità di quantità di N distribuito l'efficacia dei «ritardati» è mediamente uguale a quella dei nitrato ammonico o dell'urea. Un certo interesse suscita la loro utilizzazione nelle aziende che accettano i contributi dell'UE impegnandosi a non superare determinati livelli di concimazione azotata. Altri settori in cui trovando una certa diffusione sono la concimazione dei verde ornamentale e la formulazione dei concimi composti. Concimi fosfatici Il fosforo sostiene un ruolo importante nei processi riproduttivi delle cellule, è contenuto in sostanze di riserva, partecipa alla composizione di composti ad elevato valore biologico, interviene nella glicolisi degli zuccheri. A livello macroscopico una pianta allevata in carenza di fosforo presenta fenomeni di nanismo, di ritardo vegetativo, di stentata formazione dei semi. Questo elemento inoltre 21 favorisce fortemente l'espansione delle radici, rende la pianta più resistente alle malattie e meno suscettibile all'allettamento, migliora la qualità e la conservabilità dei frutti. Un'agricoltura intensiva provoca sempre impoverimento dei terreno per quanto riguarda la sua dotazione fosfatica in quanto il fosforo entra a far parte dei prodotti più nobili (granelle, prodotti zootecnici) che escono normalmente dall'azienda. Il fertilizzante fosfatico più conosciuto è certamente il perfosfato minerale o perfosfato semplice che viene ottenuto trattando i fosfati naturali con acido solforico. Il titolo è espresso in P2O5. solubile in acqua (fosfato monocalcico) o citrato ammonico (fosfato bicalcico) e nei prodotti commerciati in Italia varia da 18–20% a 19–21%. Si trova sia sotto forma polverulenta che, più spesso, granulare. La sua leggera acidità ne consiglia l'impiego soprattutto nei terreni a pH 7 o più elevato. Altra caratteristica dei perfosfato minerale è quella di contenere una elevata percentuale di solfato di calcio (40–50%) e tracce di altri elementi. Un concime molto simile al precedente è il perfosfato d'ossa che utilizza però le ossa macinate come materiale di partenza. Si ricordano ancora: 1) perfosfato concentrato, con titoli in P2O5. solubile che va da 24-26% a 34-36%, ottenuti rimpiazzando parzialmente l'acido solforico con l'acido fosforico nella fase di attacco dei fosfati naturali; 2) perfosfato triplo, con titoli in P2O5. solubile che va da 36–38% e 46–48%, e con basso contenuto in solfato di calcio (5–10%) perché il passaggio del fosforo della forma tricalcica e quella monocalcica è stata ottenuta con l'impiego dell'acido fosforico; 3) le scorie di defosforazione della ghisa o scorie Thomas, con 16–18% di P2O5 solubile, pH basico e quindi adatte per terreni acidi. Di scarso interesse pratico sono invece risultati i tentativi di utilizzazione diretta delle fosforidi macinate contenenti solo fosfato tricalcico. Concimi potassici Il potassio non è un elemento plastico come i precedenti ma esplica, all'interno della pianta, un insieme di funzioni di altissimo valore biologico anche se solo parzialmente conosciute. 22 Rispetto ai due elementi ricordati sopra, il potassio è certamente meno importante sotto il profilo agronomico per due motivi principali: a) la quantità utilizzata dalle piante ritorna quasi tutta al terreno con il letame, le orine ed i residui colturali; b) i terreni italiani sono molto spesso, costituzionalmente ricchi di K. Tutto ciò tuttavia non deve distogliere l'interesse dell'agricoltore da questo elemento fertilizzante; le piante infatti ne abbisognano di quantitativi molto consistenti e, soprattutto, adottando particolari tipi di agricoltura (senza interramento di residui colturali, con poche o nulle letamazioni) si possono creare delle pericolose carenze nel terreno. I concimi potassici più diffusi sono il cloruro e il solfato potassico. Il primo è ottenuto sia dai sali grezzi di potassio (titolo minimo tollerato 37%) che per via chimica (titolo minimo 60%), il secondo è ottenuto da sali di potassio ed ha un titolo minimo tollerato dei 47%. li solfato. malgrado il costo più elevato, è preferito dagli agricoltori sia per la presenza di S (18–48% SO3) che per lo scarso contenuto in Cl (il massimo valore tollerato è pari al 3%) che può provocare talora inconvenienti nel terreno (es. entra in antagonismo di assorbimento con NO3). Altri prodotti commerciali sono: sale grezzo di potassio (contiene anche Mg), sale grezzo di potassio arricchito (con titolo un po' più alto), sali misti potassici, sale potassico ETC (basso tenore in cloro). Sotto quest'ultima denominazione vengono commercializzati solfati, ossidi e carbonati (es. il salino potassico, prodotto dagli zuccherifici per incenerimento dei residui della fermentazione e distillazione dei melasso). Un ottimo concime potassico è anche rappresentato dalle ceneri. Concimi minerali composti Con la denominazione di concimi composti si indicano dei fertilizzanti che contengono più di uno dei tre elementi principali della fertilità. A rigore di termini si dovrebbe distinguere fra concimi complessi (elementi combinati chimicamente) e concimi composti (miscele di più fertilizzanti) ma la vigente legislazione non distingue le due tipologie. Possono essere invece distinte le seguenti tipologie: c.c. binari (NP, NK, PK), c.c. ternari (NPK). 23 Il titolo dei concimi complessi viene espresso in unità N, P2O5, K2O indicati nell'ordine; cosi, ad esempio, nel sacchetto dei NPK (una denominazione commerciale) si trovano scritti i numeri 7–10–9; essi significano che il concime contiene il 7% di N, il 10% di P2O5 ed il 9% di K2O. I concimi composti, contenendo due o più elementi nutritivi, permettono un discreto risparmio nelle spese di distribuzione in campo, di trasporto e di immagazzinaggio. I concimi composti contengono gli elementi nutritivi in rapporti ben determinati e rigidi che non sempre si adattano alle esigenze dei l'agricoltore. Inoltre l'agricoltore poco preparato può essere indotto a distribuire un concime binario o ternario, dopo averne constatato l'efficacia, ma senza sapere che essa può essere dovuta o solo al N o solo al P o solo al K. Il loro impiego in copertura è sconsigliabile in quanto solo l'azoto si trova nelle condizioni di espletare completamente la sua attività. É doveroso ricordare infine che, salvo rare eccezioni (es. fosfato biammonico), il prezzo dell'unità nutritiva contenuta nei concimi complessi è superiore a quello dei concimi semplici. La maggior parte dei concimi composti si presenta sotto forma granulare, ma esistono anche soluzioni e sospensioni. Un interessante concime complesso binario, ad esempio, è rappresentato dai polifosfato d’ammonio, ottenuto trattando l'acido superfosforico con l'ammoniaca. La soluzione binaria NP che cosi si ottiene, contiene il 10% di N e il 34% di P2O5; la cristallizzazione avviene solo a -2,5 °C e quindi si può utilizzare questo fertilizzante per la concimazione liquida. 3.3.2 Concimi organo-minerali Secondo quanto specificato dalla legge sui fertilizzanti: "Sono concimi organo-minerali i prodotti ottenuti per reazione o miscela di uno o più concimi organici con uno o più concimi minerali semplici oppure composti". Si distinguono in: concimi organo-minerali azotati, c. organo-minerali NP, c. organo-minerali NK e c. orqano-minerali NPK. Questi concimi sono generalmente un po' più costosi dei precedenti e mediamente meno impiegati nella pratica agricola. La sostanza organica che contengono può rallentare mediamente la messa a disposizione dell'azoto e migliorare, in condizioni favorevoli, la disponibilità degli altri elementi nutritivi. Le quantità impiegate vengono decise in base alla 24 richiesta di elementi nutritivi da parte delle colture e ai titolo dei concimi; esse quindi sono troppo basse per avere una qualche influenza concreta sul bilancio umico dei terreno. Il mercato di questi prodotti si sta tuttavia espandendo anche perché ne viene agevolata la produzione industriale al fine di recuperare e riciclare biomasse organiche che altrimenti dovrebbero essere trattate come rifiuti. Concimi contenenti elementi minori É noto che accanto ad N, P e K, anche il calcio occupa un posto di preminente importanza nel quadro dei fabbisogni nutritivi della pianta; esso tuttavia è normalmente contenuto in quantità sufficiente nel terreno e, d'altra parte, molti dei su ricordati concimi (es. perfosfati, nitrato di calcio, certi composti) ne apportano continuamente alle colture. Altri elementi indispensabili alla vita delle piante e che possono talora evidenziare un certo interesse per la concimazione sono: S, Mg, Fe, Cu, Mn, Zn, B, Mo. Analogamente a quanto si è detto per il calcio, molti fertilizzanti contengono già sufficienti quantità di S (perfosfati, solfato ammonico, solfato potassico, letame, ecc.) per cui in condizioni pedologiche normali non si sente il bisogno di specifiche somministrazioni. Nei terreni poveri di S, tuttavia, e nelle aziende che ricorrono solo a concimi minerali ad alto titolo, non è infrequente l'utilità di interventi specifici (es. 300–400 kg/ha di gesso o 50–100 kg/ha di solfo finemente macinato). La situazione del magnesio non è molto diversa: l'assorbimento da parte delle piante è piuttosto elevato e motti moderni fertilizzanti ad alto titolo non ne contengono affatto. Si possono quindi talora verificare fenomeni di carenza che possono essere eliminati con somministrazioni di dolomite, solfato di magnesio, solfato di magnesio e potassio, ecc. Per evitare il più possibile manifestazioni di carenza da parte degli altri elementi minori (Fe, Cu, Mn, Zn, B, Mo) si possono seguire varie vie: 1) impiego di fertilizzanti organici o minerali che contengano naturalmente tali elementi: 2) arricchimento dei concimi con microelementi; 3) somministrazione diretta dei microelementi con appropriati fertilizzanti. 25 3.3.3 La risposta alla concimazione La risposta di una pianta coltivata alla somministrazione di un determinato elemento fertilizzante (Fig. 3.5), come ad un qualsiasi altro fattore della produzione, è sempre di ordine quantitativo e qualitativo. La funzione che esprime la risposta quantitativa coi variare della dose di fertilizzante è molto spesso diversa da quella che esprime la risposta qualitativa: il massimo risultato produttivo può non coincidere, ad esempio, con la migliore espressione qualitativa dei prodotto. Figura 3.5 Effetti delle concimazioni, in prove di lunga durata su frumento e patata in diversi tipi di terreno. La reattività delle varie colture alla concimazione con un certo elemento fertilizzante dipende, a parità di altre condizioni (luce, temperatura, presenza di altri elementi, ecc.) dai seguenti fattori: a) Quantità di elemento richiesto nel complesso. Questa (Tab. 3.5) a sua volta, dipende dalla resa e dalla composizione chimica dei prodotto. In linea di massima si può dire che la coltura risponde alla concimazione con un determinato elemento perché assorbe dal terreno una certa quantità dello stesso. b) Ritmo di assorbimento nel corso dei ciclo vegetativo. In certi periodi la coltura assorbe molto intensamente i principali elementi di cui abbisogna, per cui risente positivamente della concimazione che glieli fa trovare prontamente assorbibili. c) Attitudine della specie a modificare la disponibilità dell'elemento nel terreno e ad assorbirlo fino ad un certo valore minimo dei suo potenziale. Ci sono specie che assorbono certi elementi meno facilmente di altre specie. Le prime si avvantaggiano di più della concimazione. 26 d) Disponibilità dell'elemento nel terreno. In terreni molto poveri di elementi nutritivi l'effetto della concimazione è più elevato. Tabella 3.5 Produzioni di alcune colture e conseguenti asportazioni dei tre principali elementi fertilizzanti (valori medi orientativi). Quindi, contrariamente a quanto di solito si asserisce, l’efficacia di un fertilizzante non dipende solamente dalla quantità di elemento complessivamente assorbito dalla pianta per accrescersi e fornire le produzioni richieste. La barbabietola, ad esempio, è pianta potassofila ma reagisce poco alla concimazione potassica; il pomodoro, a sua volta, asporta discrete quantità di azoto dal terreno, ma non si avvantaggia, in modo molto vistoso, della concimazione azotata. 3.3.4 La dose ottimale di concime Occorre innanzitutto distinguere tra "dose tecnica ottimale" e "dose economica ottimale"; la prima (Dt) è quella oltre la quale la produzione non si accresce più agendo solo sulla dose di fertilizzante; la seconda (De) è quella oltre la quale il reddito non cresce più agendo solo sulla dose di concime. Con riferimento all'aspetto quantitativo, e in assenza di effetti significativi sulla qualità, Dt > De e le due dosi coincidono (caso teorico) quanto il costo della 27 concimazione è nullo e le spese di coltivazione e di raccolta non variano con l'aumentare della produzione. Il valore della Dt dipende, oltre che dai ricordati fattori influenti sulla risposta delle colture, anche dai seguenti aspetti: 1) perdite ed effetto residuo dei fertilizzanti; 2) tecnica colturale. Le perdite (dilavamento, volatilizzazione, ecc.) interessano soprattutto i concimi azotati e raggiungono valori dal 20-50%. Sono più elevate nei terreni sciolti, in climi piovosi o con l'impiego di elevati volumi di adacquamento. Per il fosforo ed il potassio è invece più importante il fenomeno di immobilizzazione nel terreno che influenza direttamente il cosiddetto “effetto residuo”, o capacità del concime di estrinsecare parte della sua azione anche nelle annate successive a quella in cui è stato distribuito. Ne consegue quindi che, almeno in linea di principio e fino a che non si sia giunti approssimativamente a condizioni di equilibrio dinamico tali che la parte di elemento "fissata" sia compensata dall'azione residua delle concimazioni eseguite nelle precedenti annate, le concimazioni potassiche e fosfatiche (specie queste ultime) devono apportare un quantitativo di principio nutritivo superiore dei 50-100% alla prevista asportazione delle colture. Per quanto riguarda la tecnica colturale si ricorda che profondità, epoca e modalità di aratura e delle altre lavorazioni dei terreno, apporti di sostanza organica, densità, epoca e modalità di semina, irrigazione, avvicendamento colturale, sarchiatura e rincalzatura, trattamenti diserbanti ed antiparassitari, sono tutti interventi agronomici che interagiscono più o meno con la concimazione, condizionando la risposta della coltura, le perdite, l'effetto residuo e quindi il valore della dose tecnica ottimale. A titolo di esempio ricordiamo come la maggiore densità di semina comporti generalmente la necessità di concimare più abbondantemente in modo da corrispondere alle accresciute esigenze nutritive sull'unità di superficie coltivata. 3.3.5 La distribuzione in campo Scelta la dose di concime da impiegare su una determinata coltura, occorre deciderne le modalità ed i tempi di applicazione in campo. Questo aspetto della concimazione si rivela di grande interesse ai fini della caratterizzazione della Dt e va quindi esaminato attentamente. Esso coinvolge una problematica molto vasta, che interessa la meccanica di distribuzione, la 28 localizzazione, l'interramento ed il frazionamento o meno della dose impiegata, ed esige soluzioni diverse in funzione dell'elemento fertilizzante, dei tipo di concime e della coltura. Meccanica della distribuzione Le macchine impiegate per la distribuzione dei fertilizzanti appartengono a categorie anche molto diverse soprattutto in funzione dei fatto che i materiali da distribuire possono essere solidi, liquidi o gassosi. Nell'ambito delle macchine distributrici di concimi solidi (fig. 3.6) esiste una vasta gamma di soluzioni tecniche più o meno adatte ai due tipi fondamentali di prestazioni richieste: spargimento dei fertilizzante su tutta la superficie (a spaglio) e localizzazione. Figura 3.6 Spandiconcime. Per la distribuzione dei concimi liquidi e gassosi, bisogna ricorrere a macchine diverse dalle precedenti. Anche in questo caso però si incontrano notevoli differenziazioni a seconda della natura dei fertilizzante, dello spargimento superficiale o con interramento, dei ricorso o meno alla localizzazione (Fig. 3.7). Fondamentalmente, comunque, anche queste sono costituite da un gran e serbatoio, dai distributori e dal sistema regolatore di portata. Per i concimi liquidi veri e propri il serbatoio in acciaio inossidabile o in materiale plastico contiene la sostanza da distribuire alla pressione 29 atmosferica o poco superiore. La barra orizzontale è simile a quelle impiegate per i trattamenti antiparassitari e diserbanti. Figura 3.7 Macchina per la distribuzione di ammoniaca anidra (foto Cera). In molti spandiconcimi per ammoniaca anidra il serbatoio è, per lo più, di acciaio dolce, resistente all'azione corrosiva dei fertilizzante ed alle elevate pressioni (circa 20 atm) da esso esercitate. La distribuzione dei concimi può essere eseguita anche con la fertirrigazione o per via fogliare ma di queste modalità si dirà in seguito. Modalità di distribuzione dei concimi solidi Siccome i tre principali elementi fertilizzanti possiedono una diversa mobilità nel terreno ed una diversa persistenza d'azione, sono state messe a punto diverse metodologie di distribuzione. Esse sono fondamentalmente quattro: 1) localizzazione con interramento; 2) localizzazione superficiale; 30 3) distribuzione su tutta la superficie con interramento, 4) distribuzione su tutta la superficie senza interramento. Le variabili sono quindi due: la localizzazione, in alternativa allo spargimento più o meno uniforme dei concime, e l'interramento, in alternativa alla distribuzione superficiale. La localizzazione dei concime è una operazione molto comune e consiste nella sua distribuzione in bande (od anche a postarella) in modo da creare delle zone ad elevata concentrazione di principio fertilizzante. Essa può essere realizzata meccanicamente facendo arrivare nel terreno il concime qualche centimetro sotto il seme, oppure lateralmente (fig. 3.8). Con colture già in atto la localizzazione viene invece eseguita ai lati della fila di piante. I vantaggi che si attribuiscono ad un simile modo di procedere sono innumerevoli: aumento della concentrazione con attivazione dei l'assorbimento radicale, riduzione (almeno temporanea) dei fenomeni di insolubilizzazione ed adsorbimento. Figura 3.8 Localizzazione dei concime alla semina. La piantina appena nata trova subito alimento disponibile per cui può accrescersi con facilità (effetto starter) e superare la fase iniziale che la vede generalmente più soggetta all'alea degli attacchi parassitari, alla competizione di malerbe ed alle avversità climatiche. Si possono e si devono fare tuttavia anche considerazioni meno favorevoli; esse sono legate principalmente alla notevole solubilità dei concimi azotati ed alla loro mobilità nel terreno. 31 Localizzando infatti quantità elevate di questi concimi in immediata vicinanza dei seme, si ha un aumento eccessivo della salinità, con crescita della pressione osmotica che favorisce il fenomeno di plasmolisi e provoca quindi danni anche notevoli. Nella pratica agricola l'agricoltore localizza molto spesso i concimi fosfatici (es. 2-3 q/ha di perfosfato semplice) ma sta molto attento nell'impiego dell'azoto (evita la localizzazione alla semina o usa dosi molto basse). In contrapposto alla localizzazione sta, come si è detto, la distribuzione a pieno campo. Essa serve molto bene per concimazioni di fondo, che impieghino alti quantitativi di fertilizzanti ed elevino la fertilità dei terreno nel suo complesso; in questi casi non sono infatti praticamente da temere danni per le colture. Inoltre è intuitivo che, potendo localizzare solo una parte di concime, la parte rimanente debba essere distribuita su tutta l’area coltivata. Ed è proprio questa combinazione fra le due tecniche distributive a sortire, nella quasi generalità dei casi, i risultati più lusinghieri. Lo spargimento uniforme dei concime su tutto l'appezzamento riveste poi un particolare interesse per i prati e le colture seminate molto fitte come il frumento. Il problema relativo all'interramento o meno dei fertilizzanti si pone in termini diversi a seconda che si considerino quelli a base di P e/o di K e quelli azotati. L'interramento dei concimi fosfatici e potassici infatti è necessario in quanto, lo si è detto più volte, essi sono poco mobili nel terreno e quindi la distribuzione superficiale non ne permetterebbe il necessario contatto con le radici. Questa operazione può essere effettuata in più modi: a) direttamente con lo spandiconcime; b) con lavorazioni complementari leggere (es. erpicatura) che seguano la distribuzione superficiale; c) con l'aratura. Il primo sistema si attua soprattutto allorché si localizza il concime, il secondo è il più usato per la distribuzione a spaglio, il terzo infine serve egregiamente per forti concimazioni di "arricchimento" (es. con perfosfato) alle quali si ricorre in terreni molto poveri. Fra l'altro, quest'ultimo metodo favorisce anche l'approfondimento dell'apparato radicale e conferisce alle piante maggiore resistenza alla siccità. Per l'azoto la questione dei l'interramento non si pone quasi mai in termini di efficacia in quanto si tratta, come si è detto, di composti molto solubili e quindi basta una modesta quantità di acqua per portarli fino alle radici anche se vengono applicati in superficie. Per i nitrati, ad esempio, può bastare la condensazione notturna a 32 permetterne la penetrazione nel terreno. Altri aspetti sono quindi da tenere soprattutto presenti: dilavamento, perdite gassose, perdite dovute all'erosione. Mentre però, per quanto concerne il dilavamento, l'interramento dei concime sortisce effetti benefici solo in quanto annulla le perdite per scorrimento superficiale, negli altri due tipi di perdite la sua azione è più completa. è noto infatti che la volatilizzazione di ammoniaca dei terreno può venire notevolmente ridotta evitando di lasciare per troppo tempo certi concimi sulla superficie dei suolo. Per quanto concerne la distribuzione dei concimi composti è forse appena opportuno ricordare che, a parte ogni altra considerazione, l'interramento si rivela molto opportuno per la modesta mobilità dei fosforo e dei potassio. Epoca di distribuzione Ancora una volta bisogna distinguere il fosforo ed il potassio dall'azoto. Normalmente infatti, tranne nei casi di colture poliennali, i primi due elementi vengono distribuiti prima della semina o, al più tardi, contemporaneamente ad essa. Per l'azoto invece, accanto alla suddetta epoca, si parla anche di intervento in copertura, cioè con le piante nate (qualsiasi sia lo stadio vegetativo raggiunto). Attorno a questo argomento si è discusso lungamente in passato e si è tornati a discutere ora, per due motivi contrapposti: a) spiccata tendenza verso lo snellimento della tecnica colturale che vorrebbe suggerire un'unica distribuzione di questo elemento nel corso dell'anno; b) necessità di contenere le perdite per motivi economici e ambientali. Al momento attuale soprattutto per le colture autunno-primaverili (es. frumento) e per quelle eseguite in ambiente molto piovoso o fortemente irrigate, si ritiene utile distribuire in copertura almeno il 70-80% della dose di azoto prevista. In tal modo si può risparmiare concime limitando le perdite per dilavamento. Inoltre si corre meno il rischio di non rifornire in modo ottimale la coltura durante la fase di maturazione. In passato, soprattutto per il frumento, si eseguivano numerose concimazioni invernali con piccole dosi di nitrato di calcio o di sodio. Ora si preferisce intervenire, in media, due volte con concimi meno costosi (es. nitrato ammonico) e dosi più elevate. Su colture estive si interviene, oltre che con nitrato ammonico, anche con urea. 33 Concimazione fogliare Per concimazione fogliare si intende la irrorazione sulle piante di una soluzione acquosa contenente elementi nutritivi che verranno assorbiti dalla parte epigea delle stesse. Per quanto concerne i tre elementi principali della fertilità è stato osservato che, in linea di massima, l’assorbimento dell'azoto e dei potassio è migliore di quello dei fosforo e che, fra i vari concimi azotati, quello che meglio si presta a questo tipo di utilizzazione è l’urea. In pratica, con l'urea, le concimazioni fogliari vengono eseguite adottando concentrazioni che oscillano dall'1 al 5%. Ne consegue che, se da un iato la concimazione fogliare offre il vantaggio di una rapida risposta da parte delle piante e la possibilità di prescindere dai complessi fenomeni che avvengono nel terreno, dall'altro presenta l'inconveniente di non prestarsi al completo rifornimento di elementi richiesti in quantitativi molto elevati. Per raggiungere tale obiettivo infatti occorrerebbe eseguire un numero notevole di distribuzioni che renderebbero troppo costosa questa tecnica di concimazione. La distribuzione fogliare incontra invece maggiori possibilità di successo nella somministrazione di microelementi che, essendo richiesti in piccole dosi, non vanno incontro all'inconveniente precedente. Confortanti applicazioni si eseguono, ad esempio, con composti di Fe, Zn, Mo, Mn, Mg, Cu, ecc., distribuiti isolatamente o in formulati comprendenti più elementi nutritivi. In proposito si segnala ancora che i composti organici di tipo "chelati" sono quelli che generalmente forniscono i migliori risultati. In definitiva, la concimazione fogliare, pur con gli innegabili successi ottenuti in campo applicativo, non è praticamente riuscita a superare la fase di intervento complementare della normale concimazione eseguita al terreno. Concludendo questo argomento si può dire che anche se la concimazione fogliare ha destato un certo interesse, dal punto di vista tecnico, anche per grandi colture erbacee di pieno campo (es. cereali, bietola, tabacco), maggiori possibilità applicative si riscontrano per le orticole (pomodoro, insalate, fagioli, pisello, ecc.) ma, soprattutto, per le colture da fiore (garofani, azalee, ortensie, rose, crisantemi, ecc.), per le ornamentali (es. cactacee, croton, ficus, asparagus, felci) e per i fruttiferi. Un buon vantaggio economico si ottiene con la pratica comune di abbinare la distribuzione dei fertilizzante con i trattamenti antiparassitari. 34 Fertirrigazione Per fertirrigazione si intende la distribuzione di fertilizzanti con l'acqua irrigua. Un impianto di fertirrigazione (Fig. 3.9) costituito da un normale impianto irriguo (a pioggia, a goccia o di altro tipo) entro il quale, oltre all'acqua di irrigazione si immette il liquame di stalla o il letame vero e proprio previamente macinato e ridotto in poltiglia. La fertirrigazione con materiale paglioso, tipo letame, si rivela, in verità, notevolmente difficoltosa soprattutto per quanto concerne il buon funzionamento dell'impianto; per questo motivo essa ha sempre trovato scarsi consensi. Più applicata invece, perché più facile, è la distribuzione delle urine e dei liquami di stalla che vengono miscelati all'acqua in modo da ottenere diluizioni variabili a seconda della quantità di acqua e di concime da distribuire e dei contenuto in s.s. di quest'ultimo. Una controindicazione a questa pratica è rappresentata dall'inquinamento atmosferico, preoccupante per le aziende poste nelle vicinanze di centri abitati. Figura 3.9 Schematizzazione di due impianti per fertirrigazione. In [A] il fertilizzante solido idrosolubile viene immesso in una vasca dove entra in soluzione e viene aspirato da una pompa per la immissione in una condotta tubata dell'acqua irrigua. La pompa funziona sfruttando la pressione dell'acqua di irrigazione. Il fertilizzante impiegato può anche essere, per sua natura, allo stato fluido. In [B] il fertilizzante liquido viene iniettato nella tubazione dell'acqua irrigua da un dosatore che funziona in modo indipendente. 1) linea di irrigazione; 2) filtro acqua; 3) condotta di derivazione acqua motrice; 4) pompa iniettrice a funzionamento idraulico; 5) condotta scarico acqua motrice; 6) serbatoio fertilizzante solubile; 7) filtro soluzione fertilizzante; 8) condotta prelievo fertilizzante; 9) uscita fertilizzante dosato; 10) derivazione e uscita acqua per la solubilizzazione dei fertilizzante; 11) attacchi rapidi a baionetta; 12) entrata acqua in pressione; 13) dosatore-iniettore con filtro acqua incorporato; 14) autobotte con concime liquido. Per i concimi chimici solidi esiste la possibilità di applicare alle condotte il cosiddetto concimatore che permette ad una certa frazione di acqua di passare dal recipiente che contiene il fertilizzante, di sciogliere la dose stabilita ed immetterla poi nella condotta principale. Accorgimenti più o meno simili sono possibili per altri sistemi di irrigazione che non 35 prevedano il ricorso a tubazioni. I concimi liquidi e gassosi si prestano molto bene per questo tipo di impiego soprattutto in quanto risultano facilmente dosabili; l'immissione nell’impianto irriguo può effettuarsi con dispositivo a livello costante (c. liquidi) o con speciale attrezzatura che introduca l’ammoniaca anidra in pressione nelle condotte tubate. Si esegue la fertirrigazione anche impiegando direttamente (senza aggiunta artificiale di concimi) le acque reflue degli impianti di depurazione degli scarichi cittadini. Per queste però, come anche per i liquami zootecnici, occorre fare attenzione agli aspetti igienico-sanitario. Messa a confronto con la normale tecnica di concimazione, la fertirrigazione possiede i seguenti vantaggi: a) poco lavoro per lo spargimento; b) non si calpesta il terreno con le macchine; c) si può distribuire l'azoto man mano che la pianta ne abbisogna; a) offre la possibilità di intervenire anche quando il terreno non sarebbe accessibile in altro modo. Esistono tuttavia anche aspetti negativi: a) necessità di un attrezzato e preciso impianto di irrigazione; b) relativa difformità di spargimento allorché si impiegano dosi modeste di concime; c) limitazione applicativa alle sole colture irrigue; a) esecuzione di interventi irrigui anche con sola funzione concimante; ecc. I vantaggi numerosi e gli altrettanto numerosi svantaggi hanno fatto si che negli ultimi decenni si sia molto parlato e discusso della fertirrigazione senza giungere ad una vera e propria affermazione di questa tecnica su larga scala nelle colture di pieno campo. Nei settori orticolo e floricolo, invece, specie con colture pacciamate, la sua applicazione è abbastanza diffusa. Una fertirrigazione particolarmente attenta e precisa viene fatta nelle colture idroponiche. Altri esempi, spesso molto rudimentali, si incontrano sui prati e pascoli di zone marginali. 3.3.6 Puntualizzazioni conclusive Fra le più importanti acquisizioni dei precedenti paragrafi si ricorda: a) la quantità di elementi nutritivi disponibili varia da terreno a terreno; 36 b) le varie colture presentano, a parità di altre condizioni, una diversa reattività alla somministrazione dello stesso elemento nutritivo e/o di concime organico; c) l'effetto della concimazione si può prolungare per più anni; a) una parte dell'azoto distribuito e un po' di fosforo non vengono utilizzati dalle colture e possono inquinare i corpi idrici. Da tutto ciò si possono trarre alcune importanti conseguenze: a) se un terreno presenta una scarsa dotazione per qualche elemento nutritivo non facilmente dilavabile (es. P e K) è utile intervenire con una "concimazione di arricchimento" capace di portare la dotazione a livelli ritenuti sufficienti; b) per l'azoto le concimazioni di arricchimento non sono generalmente consigliabili a meno che non sia possibile fare ricorso a fertilizzanti organici; c) tenendo presente il bilancio (apporti-asportazioni) degli elementi nutritivi nel complesso dei l'avvicendamento, converrà distribuire alle singole colture quegli elementi nutritivi che più ne stimolano la produttività (es. N soprattutto ai cereali, P soprattutto alla bietola, al pomodoro, ecc.); a) se l'azienda pratica la monosuccessione (es. mais dopo mais) o coltiva piante poliennali (es. frutteti), la coltura dovrà essere concimata anche con gli elementi nutritivi asportati ed ai quali, di norma, reagisce debolmente; e) si potrà non tener conto delle asportazioni (ma solo per un periodo limitato di anni) allorché, come succede per il K in molti suoli argillosi italiani, il terreno è molto ricco di un determinato elemento nutritivo. 1) nella individuazione della dose ottimale di concime da utilizzare occorre tener conto anche degli aspetti ambientali accanto alle tradizionali valutazioni produttive ed economiche. 3.3.7 Risposta qualitativa alla concimazione L’apporto di elementi nutritivi al terreno persegue, in prevalenza, lo scopo fondamentale di aumentare la produzione di sostanza organica da parte dei vegetali, ma riesce anche a modificare la composizione biochimica dei raccolti e quindi la qualità della produzione stessa. Consideriamo ora i singoli principi fertilizzanti. 37 La risposta qualitativa alla concimazione azotata dipende dai parametro di valutazione dei prodotto. In generale si può dire che, anche sotto l'aspetto qualitativo, l'azoto deve essere considerato un elemento fertilizzante dei quale si devono temere gli eccessi. E ciò, sia detto per inciso, anche se questi eccessi corrispondono quasi sempre a dosi più elevate di quelle impiegate di norma nella pratica agricola. In proposito può essere utile ricordare qualche esempio. Con scarsa disponibilità di N si ottengono granelle striminzite, frutta piccola e talora astringente e fibrosa, ortaggi da foglie o da radici o da inflorescenza eccessivamente dotati di fibra, e quindi poco graditi al consumatore. Una buona dotazione di azoto, in equilibrio con gli altri fattori della produzione migliora le qualità alimentari di insalate, spinacio, cavolo e carota in cui si registra anche un incremento dei tenore vitaminico, nella patata migliora la qualità delle proteine, nella frutta permette l'ottenimento di una buona pezzatura anche ad alti livelli produttivi e diminuisce, di solito, l'acidità; nei prati misti di graminacee e leguminose mantiene un confacente rapporto fra i diversi tipi di essenze. Le segnalazioni relative a peggioramenti qualitativi indotti da eccessiva disponibilità azotata sono numerose: la frutta in genere e l'uva evidenziano una contrazione dei tenore zuccherino, dell'acidità e della vitamina C assieme ad un peggioramento della colorazione e della conservabilità; nei cereali e nella patata diminuisce il contenuto amilaceo ed aumenta il tenore proteico ma a scapito della qualità delle proteine; nella fragola provoca un peggioramento delle qualità organolettiche, nel garofano aumenta il numero dei fiori ma ne peggiora le caratteristiche commerciali (lunghezza e rigidità dei gambo, colore e ampiezza dei fiore), nello spinacio e nelle graminacee foraggere favorisce la formazione di nitriti, nella bietola aumenta la frazione di "azoto nocivo" che risulta sfavorevole alla cristallizzazione dello zucchero. La risposta qualitativa alla concimazione potassica evidenzia un effetto positivo piuttosto prolungato, poi un intervallo in cui le caratteristiche dei prodotto rimangono pressoché costanti ed infine, solo in certi casi, un possibile peggioramento. Dei tre elementi principali della fertilità chimica il potassio è considerato quello che esplica gli effetti miglioratori più sensibili nella produzione agraria: negli ortaggi aumenta il contenuto zuccherino, il sapore, il colore ed il contenuto proteico; nella patata migliora i tempi di cottura, la consistenza dei tuberi, il peso specifico, il tenore in vitamina C; al prodotto delle piante da fibra conferisce maggiore resistenza e flessibilità; nella frutta evidenzia azione positiva sul titolo zuccherino, 38 sulla colorazione, sulla consistenza e sulla pezzatura; sullo spinacio riduce il tenore in acido ossalico. Effetti negativi, dovuti ad eccesso di K si possono avere, ad esempio, nel pomodoro da industria dove aumenta l'acidità e nelle leguminose da granella dove può influenzare negativamente la cuocibilità. Il fosforo è un elemento che possiede una spiccata azione sulla qualità dei prodotti anche se essa è solitamente meno appariscente di quella dei potassio in quanto le deficienze di P si manifestano prima, ed in modo più vistoso, sotto il profilo quantitativo. Cosi è noto, ad esempio, che una buona dotazione di fosforo aumenta il contenuto proteico delle foraggere, migliora la qualità e la conservabilità dei tuberi di patata, influenza positivamente le caratteristiche dell'orzo da birra e della bietola da zucchero (favorisce la trasformazione dell'azoto non proteico in azoto proteico), aumenta il tenore in glutine della farina di frumento. Se si eccettuano alcuni casi particolarissimi (es. diminuzione dei peso medio dei buibilli dell’aglio, allegagione troppo abbondante nei fruttiferi) è un elemento del quale non si deve temere l'eccessiva presenza. Esercizio: 1 Si devono apportare 250 kg*ha-1 di N, 200 kg*ha-1 di P e 180 kg*ha-1 di K ad un terreno. Si ha a disposizione il concime 8-24-24. Quanto ne devo apportare? BISOGNI: 250 kg*ha-1 di N, 200 kg*ha-1 di P 180 kg*ha-1 di K Titolo concime 8-24-24, quindi in percentuale (8% di N; 24% di P; 24% di K) Quanti kg di concime? N: 8 (N): 100 (C) = 250 (N): x (C) x=(100 * 250)/8= 3125 kg Esercizio: 2 1 1 1 Si devono apportare 250 kg*ha- di N, 200 kg*ha- di P e 180 kg*ha- di K ad un terreno. Sono già stati distribuiti 450 q di liquame (N=0.2% , P=0.1% e K=0.25%). Calcolare quanti kg di N P e K si devono ancora apportare 1 450 q*ha- di liquame => quanti kg? 1 q = 100 kg => 450 q = 45000 kg liquame Titolo del liquame: N=0,2% , P=0,1% e K=0,25% Quindi in 45000 kg di liquame ci sono: N: (45000*0.2)/100= 90 kg P: (45000*0.1)/100= 45 kg K: (45000*0.25)/100= 112,5 kg Calcolo le unità (kg ha-1) che mancano da apportareUnità da apportare: 39 250 kg*ha-1 di N 200 kg*ha-1 di P 180 kg*ha-1 di K Unità apportate: 90 kg*ha-1 di N 45 kg*ha-1 di P 112,5 kg*ha-1 di K Mancano: 250 – 90 = 160 kg*ha-1 di N 200 – 45 = 155 kg*ha-1 di P 180 – 112,5 = 67,5 kg*ha-1 di K 3.Problema generale: Calcolare le quantità (X, Y e Z) da somministrare dei concimi (A, B e C) a disposizione, in base al fabbisogno dei vari elementi N, P e K di una coltura. Fabbisogni di N, P e K della coltura (FabbN; FabbP; FabbK) Titoli dei concimi A, B e C a disposizione (%Na,%Nb,%Nc; %Pa, %Pb, %Pc; %Ka, %Kb, %Kc). Soluzione: Conc. A Conc. B Conc. C Fabb. N %Na %Nb %Nc FabbN P %Pa %Pb %Pc FabbP K %Ka %Kb %Kc FabbK Le quantità X, Y e Z dei concimi A, B e C da somministrare si ricavano risolvendo il sistema ricavato dalla tabella sopra: %Na*X + %Nb*Y + %Nc*Z= FabbN %Pa*X + %Pb*Y + %Pc*Z = FabbP %Ka*X + %Kb*Y + %Kc*Z = FabbK 40