Angiolo DEL LUCCHESE [email protected]
Filippo Maria GAMBARI [email protected]
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Angiolo DEL LUCCHESE, archeologo preistorico presso la Soprintendenza per i Beni Archeologici
della Liguria, è anche Direttore del Museo Preistorico dei Balzi Rossi, di cui ha curato il nuovo
ordinamento. In campo protostorico ha diretto numerosi scavi in siti liguri dell’età del Bronzo e dell’età
del Ferro, come Bric Tana, Bric Reseghe, Monte Trabocchetto e Castellaro di Bergeggi, dei quali ha
curato o sta curando la pubblicazione.
Ha inoltre prodotto alcuni lavori di sintesi sulla protostoria ligure, come diversi capitoli dei volumi
relativi alle mostre “Dal diaspro al bronzo”, curata in collaborazione con R. Maggi, e “I Liguri. Un antico
popolo europeo tra Alpi e Mediterraneo”.
Filippo Maria GAMBARI nato a Milano il 12/11/1954, coniugato, residente ad Alessandria. Dal 1979 ad
oggi, funzionario archeologo specializzato in Preistoria presso la Soprintendenza Beni Archeologici del
Piemonte; ha partecipato a allestimenti di mostre e di sezioni preistoriche di diversi musei; ha progettato
e diretto numerosi scavi ed interventi sul territorio piemontese per il periodo preromano e per l’arte
rupestre preistorica. Professore incaricato dal 2003 di Preistoria e Protostoria all’Università degli Studi di
Torino. Ha effettuato numerose pubblicazioni su riviste specializzate, cataloghi di mostre, monografie,
atti di convegni relativamente alla Protostoria, per lo più in Piemonte, all’arte rupestre, all’epigrafia
preromana, alle più antiche bevande fermentate, alle influenze etrusche nelle culture dell’età del Ferro
cisalpina.
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L’AREA ALPINA SUD-OCCIDENTALE E IL MONDO LIGURE
Riassunto
I risultati delle ricerche archeologiche e linguistiche dell’ultimo ventennio in Italia nord-occidentale
portano alla necessità di una ridefinizione del concetto di Liguri mutuato dalle fonti antiche: ormai assodato
grazie all’epigrafia che tutta quest’area appartiene per lingua all’ambito celtico fino almeno dagli inizi
dell’età del Ferro, sembra che si possa qui meglio che altrove seguire un modello di etnogenesi che sfocia già
prima del 388 a.C., pur in un quadro di sostanziale forte assimilazione nella cultura materiale, in due
situazioni distinte. I gruppi a nord del Po, infatti, mostrano indizi di una precisa identità “celtica” almeno
dalla fine del VII secolo a.C., mentre i gruppi a sud del Po, in un quadro di minore densità demografica, si
distinguono per differenza in una maggiore assimilazione con il mondo etrusco ed i centri costieri.
Questo lento processo si snoda con continuità almeno dalla media età del Bronzo fino alla media età
del Ferro (dal XVI al V sec. a.C.), in un complesso quadro di relazioni, scambi, movimenti di persone che
stringono sempre più i legami culturali, commerciali, socio-economici ed identitari della Transpadana con
l’areale transalpino (“celticità cumulativa”). Così in Piemonte le grandi novità della media età del Bronzo,
che mostra l’arrivo dall’area mitteleuropea di tipologie ceramiche e metalliche nuove oltre all’introduzione
del cavallo da allevamento, della segale, della canapa, continuano nella partecipazione all’elaborazione
delle prime necropoli a campo d’urne e in una progressiva differenziazione nel XIII secolo a.C. dei gruppi
organizzati lungo le valli dal Ticino alla Dora Baltea (facies di Canegrate) rispetto a quelli del bacino del
Tanaro (facies Alba-Solero). Nell’età del Bronzo Finale, la chiara costituzione dell’ambito transpadano del
Protogolasecca si separa da una facies ben caratterizzata soprattutto nel Cuneese e già definibile, anche per
gli evidenti rapporti con la fascia costiera, Protoligure. Nell’età del Ferro, rispetto all’ambito della cultura di
Golasecca, le genti liguri dell’area a sud del Po, che si distinguono anche nell’abbigliamento disdegnando le
bracae celtiche evidenziate fin dalla fine del VII secolo nelle situle di Sesto Calende, mostrano solo iscrizioni
in lingua ed alfabeto etruschi a riprova di una tendenza all’assimilazione delle élite locali, a dispetto delle
forti similitudini culturali, commerciali e nelle stesse tipologie della cultura materiale con l’ambito
golasecchiano ed hallstattiano.
Nella Liguria attuale l’esistenza di siti costieri, ben documentata dall’avanzato Bronzo Medio,
focalizza il ruolo dei rapporti marittimi, anche se mancano testimonianze archeologiche dirette relative alla
navigazione. La fase formativa dell’ ethnos ligure sembra collocabile nel Bronzo Medio, quando, su una
locale facies delle anse ad ascia, di ascendenza peninsulare e collocabile tra XVII e XVI secolo a.C., si
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innestano e si sovrappongono nuovi influssi di provenienza carpatico – danubiana, che portano alla
diffusione anche in Liguria occidentale della ceramica a coppelle e scanalature, tipica della facies di
Viverone. A questi eventi è probabilmente da riferire una remota fase di “celtizzazione” dell’area ligure,
senza che si arrestino i contatti culturali con il mondo peninsulare, come attestato dalla presenza di sporadici
elementi ceramici di origine appenninica.
L’emergere di un aspetto culturale specificamente ligure si manifesta pienamente nel Bronzo Recente
ed è ben documentato nel sito di Sant’Antonino di Perti, che mostra notevoli punti di contatto con la facies
Alba-Solero del Piemonte meridionale. Sotto la spinta di nuovi e prevalenti influssi provenienti dal gruppo
RSFO della civiltà dei campi d’Urne, il mondo ligure si differenzia da quello che costituirà successivamente
l’ambito golasecchiano. A questo periodo si può riportare una seconda fase di “celtizzazione” della Liguria.
A partire dal Bronzo Finale si comincia inoltre a intravedere una chiara distinzione tra gli aspetti del
levante e quelli del ponente, che sembra preannunciare le distinte identità delle tribù liguri dell’età del Ferro.
La necropoli di Chiavari e quella recentemente scoperta ad Albenga mostrano però alcuni elementi comuni e
lasciano intravedere un mondo ligure il cui aspetto saliente è la capacita di raccogliere stimoli provenienti da
molteplici direzioni per produrre rielaborazioni locali, talvolta anche di buon livello tecnologico.
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Résumé
Les résultats des recherches archéologique et linguistique de ces vingt dernières années en l’Italie du
Nord-Ouest entraînent la nécessité d’une nouvelle définition de la notion de Ligures, empruntée aux auteurs
anciens. Étant désormais établi, grâce à l’épigraphie préromaine, que toute cette aire appartient
linguistiquement au domaine celtique depuis au moins le début de l’âge du Fer, il semble qu’ici mieux
qu’ailleurs, il est possible de suivre un modèle d’ethnogenèse, qui débouche déjà avant 388 av. J.-C. sur deux
situations différentes, même si nous sommes dans un contexte de forte similitude de la culture matérielle. En
effet, les groupes situés au nord du Pô montrent des indices d’une nette identité “celtique” au moins dès la fin
du VIIe s. av. J.-C., tandis que les groupes situés au sud du Pô, dans un contexte de faible densité
démographique, montrent une forte assimilation avec le monde étrusque et les centres côtiers.
Ce lent processus se déroule sans discontinuité au moins de l’âge du Bronze moyen jusqu’à l’âge du
Fer moyen (du XVIe au Ve s. av. J.-C.) dans un cadre complexe de relations, d’échanges et de mouvements de
populations qui resserrent de plus en plus les liens culturels, commerciaux, socio-économiques et identitaires
de la Transpadane avec l’aire transalpine (“celticité cumulative”). Dans le Piémont, les grandes nouveautés
de l’âge du Bronze moyen qui attestent de nouvelles influences d’Europe centrale dans les typologies
céramiques et métalliques en plus de l’introduction du cheval d’élevage, du seigle et du chanvre, participent à
l’élaboration des premières nécropoles de type Champs d’Urnes. Dans une étape de différenciation
progressive au XIIIe s. av. J.-C., elles participent également à l’implantation de groupes organisés le long des
vallées du Tessin et de la Doire Baltée (faciès de Canegrate) ainsi que dans le bassin du Tanaro (faciès AlbaSolero). Au cours de l’âge du Bronze final, le domaine de Protogolasecca nettement constitué au nord du Pô,
se distingue d’un faciès bien marqué, surtout dans la province de Coni, que l’on définit de protoligure à cause
de ses relations avec la zone côtière. Au cours de l’âge du Fer, par rapport au domaine de la culture de
Golasecca, les peuples ligures de la zone située au sud du Pô se distinguent aussi par l’habillement,
dédaignant les bracae celtiques, mises en évidence depuis la fin du VIIe s. av. J.-C. sur les situles de Sesto
Calende. Sur celles-ci, on voit seulement des inscriptions en langue et alphabet étrusques qui attestent d’une
tendance à l’assimilation des élites locales, en dépit de fortes similitudes culturelles et commerciales. On
constate aussi une assimilation des typologies de la culture matérielle avec les domaines de Golasecca et des
cultures du Hallstatt.
En Ligurie actuelle, l’existence de sites côtiers bien documentés depuis le Bronze moyen avancé, met
en évidence le rôle des relations maritimes malgré l’absence de preuves directes relatives à la navigation. La
phase formative de l’ethnos ligure semble datable du Bronze moyen. Durant cette période, le faciès local des
tasses à anses ad ascia, d’origine péninsulaire daté entre le XVIIe et le XVIe s. av. J.-C., témoigne de nouvelles
influences d’origine carpato-danubienne qui portent également sur la diffusion en Ligurie occidentale de la
céramique à cupules et cannelures, typique du faciès de Viverone. Ces événements marquent probablement
une lointaine phase de “celtisation” de la zone ligure avec des contacts culturels ininterrompus avec la
péninsule Italique, attestés par la présence occasionnelle d’éléments céramiques d’origine apenninique.
L’évidence d’un aspect culturel typiquement ligure se retrouve pleinement durant l’âge du Bronze
récent et est bien documentée grâce au site de S. Antonino di Perti, qui montre des contacts importants avec
le faciès Alba-Solero du Piémont méridional. Sous l’impact de nouvelles et importantes impulsions en
provenance du groupe RSFO de la civilisation des Champs d’Urnes, le monde ligure diffère de ce qui
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deviendra le domaine de Golasecca. C’est au cours de cette période que l’on peut définir une deuxième phase
de “celtisation” de la Ligurie.
Durant le Bronze final, on peut entrevoir une nette distinction entre les aspects culturels du Levante
et ceux du Ponente. Cette distinction semble anticiper les différentes identités des tribus ligures de l’âge du
Fer. La nécropole de Chiavari et celle récemment découverte à Albenga montrent pourtant des éléments
communs, mais laissent également entrevoir un monde ligure reconnaissable surtout par sa capacité à
assimiler les impulsions de différentes origines pour élaborer des productions que signale parfois un bon
niveau technologique.
1. PREMESSA
La presenza in area ligure di iscrizioni con onomastica celtica o protoceltica anteriori al
V sec. a.C. è ormai un dato comunemente ammesso dagli studiosi; su tale base è stato proposto
di considerare l’identità etnica dei Liguri sul piano linguistico come non in antitesi con quella
protoceltica delle popolazioni dell’area golasecchiana – leponzia, che si configurerebbero quindi
come un gruppo ad essi imparentato (Maggiani, Prosdocimi 1976; Gambari, Venturino Gambari
1988, pp. 123-127; De Marinis 1988, p. 249; Gambari 1998a, pp. 137-138).
Se si assume dunque il punto di vista che gli antichi Liguri della piena età del Ferro
fossero una popolazione parlante una lingua appartenente alla famiglia delle lingue celtiche, o
comunque a queste fortemente assimilabile, già prima dell’invasione gallica del IV secolo a.C.,
che interessò solo marginalmente la Liguria, si può porre legittimamente il problema
dell’antichità di questa caratterizzazione etnico-linguistica, che dovrà essere ricercata su basi
pressoché esclusivamente archeologiche in epoche più remote prive di scrittura, dal momento
che nessun dato di un certo rilievo fa ritenere che nel corso dell’età del Ferro si sia verificato in
Liguria un sensibile ricambio di popolazione.
Gli studi degli ultimi vent’anni hanno posto l’accento sulla formazione dell’ethnos ligure
da una più ampia entità nord-occidentale nel corso del Bronzo Medio e Recente, secondo un
processo che sarà qui brevemente ripercorso con qualche avvertenza preliminare (Gambari,
Venturino Gambari 1988; 1998; Gambari 1997; 1998a; 1998b; 2004a).
In primo luogo risulta sempre più evidente come l’identità etnica dei Liguri,
analogamente a quella degli altri popoli antichi (Trigger 1989, p. 357 e ss; Wells 2001), non
costituisca un insieme di caratteri che permane immutato nel corso del tempo, ma si sia formata
e continuamente trasformata sulla base di molteplici influssi provenienti da diverse direzioni.
Questo può in parte rendere ragione del fatto che i linguisti incontrino molti strati ed evidenzino
molteplici apporti nell’ambito di uno stesso gruppo, come pure proprio nell’onomastica e nella
toponomastica dell’ambito ligure (Pisani 1953; 1978; Tibiletti Bruno 1978; Petracco Sicardi
1981; Petracco Sicardi, Caprini 1981). Inoltre, non si vuole in alcun modo sostenere che in
epoche precedenti, ad esempio nel Bronzo Antico, tali relazioni tra la Liguria e il mondo
circostante non fossero già attive, anzi numerosi indizi fanno ritenere il contrario: basti
ricordare la diffusione di alcune tipologie metalliche o ceramiche, i cui modelli originari
provengono dall’Europa centrale o dall’Italia peninsulare (Del Lucchese, Odetti 1996).
Purtroppo, le attuali conoscenze sul Bronzo Antico della Liguria costiera sono così limitate e
presentano un tale grado di frammentarietà, che i tempi non sembrano ancora maturi per trattare
con cognizione di causa questo periodo in relazione all’identità etnica delle popolazioni della
Liguria antica, che lasciamo al progredire della ricerca; sembra comunque documentabile che a
partire dal Bronzo Medio prenda avvio un nuovo ciclo di dinamiche culturali (Del Lucchese
2004a).
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L’inizio del lento processo etnogenetico che porterà alla formazione di un’entità
culturale e territoriale specificamente ligure – seppure non sempre fortemente caratterizzata e in
parte differenziata nelle diverse zone, molto varie anche sotto il profilo geomorfologico –
sembra dunque da far risalire al Bronzo Medio, quando il vasto spazio geografico comprendente
Piemonte, Liguria, Lombardia occidentale e i margini occidentali dell’Emilia (Val Trebbia e Val
di Ceno) comincia a configurarsi chiaramente come un’area culturalmente distinta rispetto al
mondo centro-padano e peninsulare. Nel corso di questo periodo la frontiera tra le aree
occidentale e centro-padana, destinata a rimanere invariata per moltissimi secoli, si stabilizza tra
Adda e Oglio, fino a divenire un confine culturale cui alcuni studiosi hanno attribuito valenza
etnica anche attraverso riscontri linguistici di età storica (De Marinis 1988).
A partire dalla metà del XVI sec. si osserva in tutta l’Italia settentrionale la comparsa di
elementi tipologici ed influssi, forse riconducibili anche a movimenti di gruppi umani, la cui
provenienza viene attribuita all’area carpatico-danubiana, dove si ritiene tra l’altro fossero
originariamente stanziate le popolazioni da cui si origineranno i Celti d’età storica (Gambari,
Venturino Gambari 1986; Capoferri 1988, pp. 185-202; Gambari 1995, p. 30). Queste nuove
influenze sembrano divenire prevalenti nell’area nord-occidentale, a differenza di quanto accade
in altre zone come le aree palafitticole del Nord-Est, e paiono ben presto assorbire quasi
completamente gli aspetti culturali precedenti, forse per una maggiore intensità dei nuovi apporti
oppure, più probabilmente, in relazione ad una minore densità demografica e per una
conseguentemente più accentuata labilità della strutturazione socio-politica dei precedenti
abitatori della zona. Appare infatti in tutto il settentrione, ma diviene dominante esclusivamente
nell’Italia nord-occidentale, una particolare decorazione della ceramica a scanalature e coppelle a
centro rilevato, che caratterizza la facies di Viverone. L’esistenza di quest’area culturale, definita
in un primo tempo in negativo dall’assenza della anse soprelevate tipiche della cultura
palafitticolo – terramaricola, ha ricevuto conferma e migliore configurazione grazie alle scoperte
effettuate negli ultimi venticinque anni in Liguria, in Piemonte e sull’Appennino emiliano.
2. LIGURIA
2.1 Nel periodo di passaggio tra Bronzo Antico e Medio, tra XVII e XVI sec. a.C., è
riscontrabile una forte affinità della Liguria e di tutta l’Italia nord-occidentale con la Padania
centrale e la penisola italiana, sia nella produzione metallurgica che in quella ceramica, come
testimoniato in particolare dall’esistenza in Liguria della locale facies delle anse ad ascia,
correlabile con la facies di Grotta Nuova dell’Italia centrale ed il Protoappenninico B dell’Italia
meridionale (Del Lucchese 1998).
Si tratta probabilmente di qualcosa di più di semplici influssi nelle fogge della ceramica :
sembra di essere di fronte a rapporti ben radicati nelle fasi avanzate del Bronzo Antico, come
indiziato anche dal ritrovamento presso Sassello di un’ascia di bronzo di un tipo caratteristico del
mondo laziale e campano (Del Lucchese 2002, pp. 32-34). Si delinea così un momento in cui la
Liguria gravitava prevalentemente verso l’area peninsulare, come è stato del resto evidenziato
anche per l’area provenzale (Vital 1999). A questo momento iniziale del Bronzo Medio sono
attribuibili materiali provenienti dall’area antistante alla grotta Pollera (Tinè 1974), tra cui alcune
scodelle e tazze carenate con ansa canaliculata impostata sull’orlo o sulla spalla, oppure con ansa
ad ascia “lunga”. Altri materiali riferibili all’inizio del Bronzo Medio, come frammenti con anse
ad ascia, compaiono in altre caverne del Finalese e nel sito di Castellari presso Loano (Del
Lucchese 1998).
La successiva facies di Viverone (metà XVI-XV sec. a.C.) è oggi chiaramente testimoniata
in Liguria dai reperti del Bric Tana presso Millesimo, sito che sembra sia stato attivo per tutto il
Bronzo Medio e mostra evidenti contatti culturali con i siti coevi più recentemente indagati in
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Piemonte e nella Lombardia occidentale, caratterizzandosi per la presenza di scodelle carenate e
biconici di buona fattura, spesso con superfici nero lucide, decorati mediante larghe scanalature e
coppelle a centro rilevato (Del Lucchese et al. 1998). E’ in questa fase che si può ipotizzare un
primo momento di celtizzazione dell’areale ligure (fig. 1), ad opera di gruppi provenienti
probabilmente dall’area carpatica (Gambari 1995). Singoli elementi attribuibili allo stesso ambito
culturale sono presenti in diversi altri siti liguri; si ricordano a tale proposito alcuni ritrovamenti
minori nelle caverne del Finalese ed il sito di Renesso di Savignone in provincia di Genova, che
sembrano indicare la penetrazione della facies in tutto il ponente ligure (Del Lucchese 1998). La
non completa soluzione di continuità con alcuni elementi della fase precedente, come la presenza
di qualche scodella con ansa ad ascia decorata con coppelle, fa ritenere che in Liguria la fase di
passaggio non abbia avuto i caratteri traumatici di una vera e propria sostituzione di popolazione.
1. Influssi e apporti esterni verso la Liguria nel Bronzo Medio (A. Del Lucchese)
Tra la ceramica del Bric Tana sono inoltre presenti alcuni elementi che sembrerebbero
attribuibili a fasi avanzate del Bronzo Medio o agli inizi del Bronzo Recente, come scodelle con
carena alta e sfuggente, scodelle con doppia carenatura, alcune pseudoanse e decorazioni a file di
punti irregolarmente disposti, tipiche di un gusto riconducibile alla successiva facies di
Scamozzina, alla quale sono riconducibili anche altri sporadici ritrovamenti liguri, come due
pugnaletti incompleti, ma avvicinabili al tipo Veruno (Bianco Peroni 1994, pp. 78-80), rinvenuti
a Costa Bottuin presso Genova (Prosperi 1992, p. 65) e a Vado Ligure (Del Lucchese 2004a). Tra
gli scarsi reperti metallici raccolti al Bric Tana sono invece da ricordare il pendaglio a tre anelli
tipo Gambolò, che sembra un elemento tipico dell’area nord-occidentale e provenzale (Simone
1991; Venturino Gambari et al. 1995, pp. 213-214; Vital 1999); una borchia conica di stagno
con forellini alla base, ottenuta per modellatura a caldo, e alcune gocce di bronzo, che attestano
l’esistenza di attività metallurgica al Bric Tana e costituiscono per il momento la più antica prova
diretta di fusione e preparazione della lega in Val Bormida e nell’intera Liguria. Nuovi dati e
rivisitazioni di vecchi ritrovamenti fanno del resto ritenere che nel corso dell’età del Bronzo la
Val Bormida e l’area del Sassello, dove sono presenti giacimenti cupriferi non trascurabili,
abbiano acquisito un ruolo produttivo di un certo rilievo nel campo della metallurgia. Essendo
tali zone prive di minerali di stagno, i ritrovamenti del Bric Tana attestano un’attiva circolazione
di questa materia prima e una metallurgia ormai in rapida ascesa, tale da giustificare il
progressivo abbandono dei manufatti litici, e quindi dell’estrazione della materia prima, come
documentato nella cava di valle Lagorara (Campana, Maggi 2002).
Nella Liguria orientale, in particolare nell’area dell’Appennino ligure-emiliano, agli
elementi già descritti, nel Bronzo Medio se ne associano sporadicamente altri che trovano origine
nell’ambito culturale della facies di Grotta Nuova, del protoappenninico e appenninico dell’Italia
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peninsulare, come la presa a piastra forata e le decorazioni a bande punteggiate e a meandro
inciso; un singolo frammento a banda punteggiata è stato recentemente rinvenuto anche a Monte
Caggio presso Sanremo (Del Lucchese 2004a). La diffusione di simili elementi nella Liguria di
ponente e nel Midi francese è da ritenere legata alle rotte marittime che già in questa fase molto
probabilmente solcavano l’alto Tirreno e il mar Ligure per raggiungere la Corsica ed il golfo del
Leone, dove sono pure ben attestati elementi con decorazioni di tipo appenninico (Camps 1988,
pp. 235-240; Vital 1999), ed attesta una continuità di contatti con il mondo peninsulare che,
seppure in tono minore, continuano ad interessare la regione.
2.2 La presenza della facies di Scamozzina, rispetto agli scarsi ritrovamenti liguri, è
certamente meglio percepibile nel Piemonte meridionale, dove grazie alla necropoli di Alba si
evidenzia distintamente la sua evoluzione da quella di Viverone verso la fine del Bronzo Medio.
Questa necropoli documenta nell’area ligure la più antica diffusione della cremazione con il rito
dei Campi d’Urne, nell’ambito di un contesto dapprima caratterizzato dal rito dell’inumazione
entro fossa (Gambari 1995, pp. 33-34); ma in Liguria e in Provenza il rituale incineratorio non
sostituirà mai completamente quelli precedenti, e queste regioni rimangono sostanzialmente
estranee al fenomeno e alla cultura dei Campi d’Urne propriamente detti. Gli scavi degli ultimi
anni nel pozzo carsico del Buco del Diavolo e le datazioni 14C eseguite (Bareschino, Del
Lucchese, Formicola 2004) hanno dimostrato la continuità del rituale del seppellimento in cavità
carsiche anche nel Bronzo Finale e all’inizio dell’età del Ferro; ma la presenza di altri tipi di
sepolture è pure documentata : sembra da riferire al medesimo ambito cronologico la costruzione
e la prima utilizzazione del tumulo di pietre di Pian del Re presso Apricale, mentre le casuali
scoperte delle tombe di Diano Marina (Del Lucchese 1998) e Monte Grange (Frediani, Ricci,
Pallares 1964) attestano la diffusione del rito incineratorio, con resti raccolti in urne sepolte entro
fosse o deposte in anfratti naturali appositamente adattati. Se può essere lecito trarre conclusioni
da questi scarsi dati, sembra di intravedere anche in questo caso tendenze conservatrici, che si
manifestano nella lunga sopravvivenza delle sepolture in cavità carsiche, come accade anche in
Provenza, e in un conseguente rallentamento della diffusione del rito incineratorio dei Campi
d’Urne rispetto ad aree caratterizzate da maggiore dinamismo culturale.
2.3 L’unificazione culturale di tutta l’area ligure e la sua differenziazione da quelle
limitrofe si attuano però con il Bronzo Recente. Infatti i caratteri più tipici della facies di
Canegrate, che caratterizza questo periodo nell’Italia nord-occidentale transpadana, non
compaiono nel Piemonte meridionale né in Liguria; sembra così evidenziarsi lo stretto ed
esclusivo legame di questo aspetto culturale con il successivo ambito golasecchiano. A Sud del
Po si delinea invece un ambito specificamente ligure, che ha in comune con Canegrate alcune
tipologie di oggetti metallici ma se ne distingue per tipologia ceramica, con le facies Alba –
Solero in Piemonte (Venturino Gambari, Giaretti 2004) e Sant’Antonino di Perti in Liguria (Del
Lucchese, Scotti 2004). Queste si caratterizzano per la presenza di influssi transalpini
occidentali dal gruppo Reno- Svizzera- Francia occidentale della cultura dei Campi d’Urne,
attivati probabilmente lungo la direttrice fluviale Senna – Saona – Po e successivamente diffusi
anche indirettamente per via marittima, come sembra ipotizzabile per il sito di Camogli. Aspetti
culturali affini sono chiaramente delineati anche nell’Appennino tosco – emiliano (Catarsi
Dall’Aglio, Dall’Aglio 1987), pur con tutti i problemi caratteristici delle aree di confine, e nella
Francia sud-orientale (Vital 1999) completando e definendo così l’ambito territoriale degli
antichi Liguri. Da evidenziare che la provenienza dei citati influssi dall’area dei Campi d’Urne
occidentale, considerata già celtica (Sperber 2004), può corrispondere ad una seconda fase di
celtizzazione della Liguria.
A Sant’Antonino di Perti e in altri siti liguri coevi come Camogli e Zignago, in un
contesto privo di soluzioni di continuità rispetto alla fase precedente, di cui sono presenti fasi di
frequentazione o elementi residui, compaiono elementi caratteristici del Bronzo Recente come i
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vasi biconici con doppia carenatura, liscia o decorata a baccellature verticali od oblique; le
decorazioni a solcature disposte in fasci alternati verticali ed orizzontali e quelle a forma di
anello allungato; le fitte incisioni verticali eseguite a pettine; la decorazione rustica e gli orli
aggettanti e a tesa, spesso con spigolo vivo all’interno. Evidenti e più volte sottolineate le
affinità con le facies di Scamozzina (fase recente) e di Canegrate, anche per quanto riguarda i
reperti metallici, cui si uniscono però significativi punti di contatto con la zona del Midi
francese, e in particolare con un gusto ornamentale riconducibile alle prime fasi del gruppo
Reno - Svizzera - Francia Orientale della cultura dei Campi d’Urne (BF I e IIa = BrD – Ha A1).
Nel levante e nelle zone costiere, soprattutto a Camogli, sono presenti inoltre aspetti di origine
subappenninica (fig. 2), come la decorazione barbotine, i vasi con listello interno, le anse a
bastoncello soprelevato e quelle con costolatura, mentre altri sporadici elementi, come l’ascia ad
alette allungate tipo Allevard di Bastia di Sassello, sono peculiari del mondo alpino e padano
occidentale (Del Lucchese 2004a).
2. Influssi e apporti esterni verso la Liguria nel Bronzo Recente (A. Del Lucchese).
In questo periodo tutta l’area appare caratterizzata da una certa uniformità culturale,
prodotta da rapporti non limitati e occasionali, ma intensi e duraturi : questa distribuzione delle
facies nord-occidentali coincide ormai esattamente con l’attestazione storica dei territori
attribuiti agli antichi Liguri, tanto da non potere apparire casuale; del resto i dati finora raccolti
in Liguria sembrano confermare la continuità di molti abitati d’altura dalla media età del Bronzo
all’età del Ferro. La definizione dell’area ligure e dei suoi confini sembra non essere più messa
sostanzialmente in discussione nel corso del Bronzo Finale e all’inizio dell’età del Ferro, dal
momento che non sono riscontrabili elementi di soluzione di continuità tali da fare ipotizzare
qualcosa di diverso da una lenta evoluzione in loco sulla base dei diversi influssi provenienti
dalle aree limitrofe, per cui possiamo verosimilmente ritenere che i Liguri della piena età del
Ferro fossero in qualche modo i discendenti dei portatori delle facies Sant’Antonino di Perti del
Bronzo Recente, senza con questo escludere possibili minori apporti esterni e quale che fosse il
loro grado di autocoscienza di formare un’unità etnica. A riprova di ciò si può richiamare la
continuità insediativa di alcuni siti, ma ancora più chiaramente confermano questo assunto le
caratteristiche della ceramica d’uso comune dei siti liguri, in cui accanto ad elementi innovativi
tratti dal gusto peculiare di ogni periodo, si conservano molto a lungo la decorazione a
scanalature, le decorazioni a file di impressioni digitali o strumentali di vario tipo, i cordoni
plastici ad impressioni digitali, le caratteristiche di fabbrica di una ceramica plasmata a mano e
ricca di inclusi, tanto che riesce spesso difficile, in assenza di forme diagnostiche ricostruibili,
attribuire ad una precisa fase cronologica i frammenti ceramici provenienti da raccolte non
stratigrafiche.
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2.4. Dunque, in Liguria, il Bronzo Finale e l’inizio dell’età del Ferro, contrariamente a
quanto avviene in altre aree dell’Italia settentrionale, manifestano una evidente continuità con
le fasi precedenti, sia da un punto di vista economico, sia per quanto riguarda le modalità
insediative, il perdurare in vita degli insediamenti e i caratteri tipologici della ceramica. Si ha
l’impressione di assistere così ad un lento sviluppo, stimolato da sempre attivi contatti con le
regioni limitrofe, che si manifesta con l’inserimento nuovi modelli tipologici sul vecchio
substrato, comunque sempre presente e vitale. Anche la tipologia delle strutture individuate nei
siti d’abitato (basi di capanne e muri di terrazzamento di pietre a secco), come pure la
prevalente attestazione di siti d’altura arroccati, i cosiddetti castellari, non si differenzia
sensibilmente da quella dei periodi precedenti; tuttavia nella prima età del Ferro, pur nella
carenza di dati pienamente soddisfacenti, sembra delinearsi la tendenza alla concentrazione dei
ritrovamenti in pochi abitati di maggiori dimensioni, come il villaggio delle Anime, il
castellaro di Verezzi ed il sito arroccato del monte Trabocchetto (Del Lucchese 2004b, con
bibliografia). I rapporti con il mondo circostante non si devono ritenere limitati a
comunicazioni via terra, come indiziato dalla presenza di numerosi siti con tracce di
frequentazione nell’area costiera tra Bronzo Finale e inizio età del Ferro, tra i quali si ricordano
in particolare Diano Marina, Loano – Giardino del Principe, Genova, con i ritrovamenti di San
Tommaso e le pur labili presenze del Portovecchio e Chiavari (Del Lucchese 2004b). Del resto
gli spostamenti via terra sono sempre stati in Liguria particolarmente difficoltosi per l’asperità
dei luoghi (coste alte e rocciose, fiumi con foci paludose, fondovalle stretti) e dovevano
svolgersi prevalentemente, e in molti casi obbligatoriamente, attraverso le vie di crinale fin
dalle epoche più remote, come evidenziato da numerosi esempi documentabili (Maggi 1990).
L’esistenza dei siti costieri pone il problema della possibilità di rapporti legati alla navigazione,
come già ricordato anche per i periodi precedenti. Dalle coste tosco-laziali era infatti agevole,
seguendo la circolazione delle correnti superficiali marine, risalire con la terra in vista il
Tirreno e il Mar Ligure, raggiungendo il golfo del Leone. Contatti a breve e medio raggio nel
Mediterraneo occidentale, tra Italia peninsulare, Sicilia, Sardegna, Corsica, Francia
meridionale, Baleari e Spagna, sono attestati con crescente intensità nel periodo in questione
dalla presenza di piccoli gruppi di oggetti metallici caratteristici di determinate aree culturali
anche in zone molto lontane da quelle d’origine (Giardino1985).
L’evoluzione delle forme e decorazioni ceramiche nel corso del Bronzo Finale e
all’inizio dell’età del Ferro è un tema ancora in corso di definizione e approfondimento, sia
perché i materiali di alcuni siti sono tuttora in corso di studio, sia per le lacune che ancora
permangono per alcune fasi e aree geografiche. Ciononostante, si possono agevolmente
delineare alcuni caratteri generali, dai materiali raccolti nel sito di Chiavari, nei castellari di
Uscio, Pignone, Vezzola e Zignago, a Novà, al villaggio delle Anime, al monte Trabocchetto e
nella grotta Cornarea (Del Lucchese 2004b, con bibliografia).
Elementi caratteristici del Bronzo Finale sono i vasi biconici, ora di maggiori
dimensioni e con forma che tende a diventare progressivamente globosa nelle fasi più recenti,
decorati a fasci perpendicolari di solcature o decorazioni incise a zig-zag doppio sulla spalla.
Al castellaro di Uscio presentano spalla modellata a turbante e decorazioni incise a motivi
triangolari o fasci di solcature marginate da file di punti, incisioni sull’interno del labbro
nettamente distinto e allungato. Frequenti anche le decorazioni geometriche a falsa cordicella e
i cordoni plastici con impressioni oblique. Nella prima età del Ferro compaiono forme a corpo
cordiforme e lungo orlo, tipiche dei Campi d’Urne francesi (De Marinis 1988, p. 250), ma si
evidenzia anche la presenza di elementi della ceramica fine che sembrano imitare modelli
golasecchiani e villanoviani in forma impoverita (monte Trabocchetto); da questa
sovrapposizione di influssi nasce l’identità ligure, che si manifesta in una notevole continuità
nella ceramica comune, con il patrimonio tradizionale di decorazioni a scanalature, file di
impressioni e cordoni digitali in lenta evoluzione.
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2.5. A partire dal Bronzo Recente e nel corso delle fasi successive la metallurgia appare
pienamente sviluppata, e accanto ad elementi comuni a tutta l’area nord-occidentale sembrano
documentabili anche peculiarità locali, che paiono avere il loro epicentro nell’area metallurgica
della val Bormida, che recenti ritrovamenti hanno evidenziato come fondamentale per l’età del
Bronzo ligure. Un aspetto particolarmente interessante, che mostra chiaramente i legami della
Liguria con il mondo “occidentale” è costituito dalla presenza di armille di vario tipo, di cui si
conoscono ormai numerosi esemplari. Da ricordare gli esemplari inediti tipo La Poype del Bric
della Sorte, la cui decorazione mostra caratteri di quasi completa identità con quella dell’armilla
del ripostiglio di Pinerolo; la presenza in zona di numerosi frammenti di panelle e residui di
fusione pone il problema della provenienza di queste produzioni, finora riferite all’ambiente
delle Alpi occidentali francesi, quindi con aree celtiche o celtizzate, ma che alla luce di queste
scoperte potrebbero anche essere almeno in parte di produzione locale. In assenza di grandi siti
organizzati, si può pensare all’esistenza di gruppi di metallurghi itineranti, che potevano servire
una vasta zona corrispondente grosso modo alla parte centrale del mondo ligure. Attraverso le
armille del Buco del Diavolo e di monte Bignone si può seguire anche in Liguria, come già
delineata in passato per le Alpi occidentali francesi (Bocquet, Lebascle 1983), l’evoluzione di
questo tipo di oggetti ornamentali nel Bronzo Finale e all’inizio dell’età del Ferro, la cui area di
diffusione si estende a tutta la Liguria di Ponente, come evidenziato dal frammento di Rocca dei
Corvi (Del Lucchese 2004b). La realizzazione della decorazione non più per incisione sul pezzo
finito ma nel corso della fusione appare in alcuni casi evidente, e dimostra la presenza di una
metallurgia di elevato livello tecnologico nella zona. Più in generale, nel corso del Bronzo
Finale notevole sviluppo presenta anche in Liguria la diffusione degli oggetti metallici,
testimoniata da contesti abitativi ma più spesso di provenienza sporadica o da ripostigli; si
ricordano a questo proposito quello di Giusvalla (Gambari, Venturino Gambari 1994) e quello di
Loto, interessante per la presenza di un’armilla a nastro carenato tipo Zerba, e soprattutto di un
lingotto discoidale di rame (Tizzoni 1976, pp. 318-321) che ben s’inserisce in un’area che ormai
emerge come di antichissima tradizione estrattiva per i minerali di rame (Campana, Maggi,
Pearce 1999). Da sottolineare per il Bronzo Finale la presenza nei siti di abitato e nei ripostigli
di numerosi elementi frammentari, indizio di una metallurgia ormai ampiamente diffusa con
progressivo aumento della circolazione di metallo e intenso riciclaggio dei rottami. Alcuni
ritrovamenti ancora in gran parte inediti, come quelli di Bric S. Bernardo e Bric della Sorte in
Val Bormida e la distribuzione dei ritrovamenti sporadici (Del Lucchese 2002; 2004b) fanno
ipotizzare inoltre come i giacimenti cupriferi di Murialdo e di Sassello abbiano giocato un ruolo
importante nella metallurgia di questi periodi e come la Val Bormida abbia probabilmente
rivestito un ruolo di rilevanza non solo locale, come evidenziato dal vecchio ritrovamento del
ripostiglio di Cairo Montenotte, contenente ben 40 kg di oggetti metallici (Gambari 1997).
Anche tra i reperti metallici, accanto a forme a vasta diffusione nell’Italia centro-settentrionale o
comuni a tutta l’Italia nord-occidentale, si nota una chiara presenza di tipi caratteristici dell’area
transalpina occidentale (armilla di Cairo Montenotte, asce del Sanguineto e di Pizzo d’Evigno)
accanto ad elementi, varianti e caratteri peculiari, da riferire specificamente ad una metallurgia
“ligure” (rasoio di Sassello, ascia di Monte Saccarello, armille tipo Borniga), in conformità alla
tendenza generale ad una “localizzazione” delle produzioni metallurgiche nel Bronzo Finale e
nella prima età del Ferro (Bietti Sestieri 1996, p. 267), legata alla progressiva definizione di
confini politici nel quadro di una società che ha ormai raggiunto livelli di strutturazione e
organizzazione maggiori rispetto alle fasi precedenti, anche quando non si vada oltre ad
organismi tribali con limitato grado di integrazione politica su scala comprensoriale o
subregionale.
2.6. In sintesi si può notare per gli aspetti culturali del Bronzo Finale e della prima età
del Ferro della Liguria una sostanziale, ininterrotta continuità con il Bronzo Medio-Recente,
unita ad un forte influsso del gruppo della cultura dei Campi d’Urne presente nella Francia
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orientale (“Reno-Svizzera-Francia orientale”) e del mondo provenzale. Questi caratteri, che
legano la Liguria ad aree celtiche o fortemente celtizzate occidentali, forniscono un elemento di
identità che si estende nel tempo e fa perdurare una evidente differenziazione, nell’ambito
dell’Italia nord-occidentale, dell’area ligure rispetto a quella protogolasecchiana (De Marinis,
1988), dalla quale sembrano provenire solo alcuni generici influssi, come pure, a maggior
ragione, dal mondo peninsulare e da quello nord -orientale. A partire dal Bronzo Finale si
comincia a intravedere poi, nello stesso ambito della Liguria, una chiara differenziazione tra gli
aspetti del levante, noti in particolare dai castellari di Pignone, Zignago e Uscio, che mostrano
talune affinità con il protovillanoviano tipo Bismantova, e quelli del ponente (Cornarea, Diano
Marina), più legati ad elementi francesi e piemontesi, come evidenziato fra l’altro dalla
strettissima affinità che lega l’urna di Diano Marina a quelle della necropoli di Chiusa Pesio nel
cuneese (Venturino Gambari 2001, pp. 18-21) : sembrano definirsi le distinte identità delle tribù
liguri dell’età del Ferro.
Successivamente, la necropoli di Chiavari (De Marinis 2004) e quella recentemente
scoperta ad Albenga (Massabò 2004) mostreranno, accanto a caratteri peculiari, alcuni elementi
comuni (forma delle tombe, cinerari ovoidali) e lasceranno intravedere un mondo ligure il cui
aspetto saliente non è tanto quello di produzioni proprie fortemente caratterizzate, tipiche di
società ricche, potenti o almeno con forti elementi di stabilità, quanto la capacità di raccogliere
stimoli provenienti da molteplici direzioni per produrre rielaborazioni locali, talvolta anche di
buon livello tecnologico. Il mondo celtico transalpino occidentale, come pure quello
hallstattiano e la cultura di Golasecca costituiscono, in opposizione dialettica con la cultura
villanoviana, un termine di confronto privilegiato per i Liguri (fig. 3), con il risultato di
mantenere nel corso del tempo un certo grado di affinità culturale tra queste popolazioni, tra le
quali quelle della regione pericostiera, meno sviluppate da un punto di vista economico per la
carenza di territorio adatto all’agricoltura e più marginali rispetto ai sopraccitati ambiti celtici,
manifestano conseguentemente un’identità più sbiadita e caratterizzata da aspetti eclettici.
3. Influssi e apporti esterni verso la Liguria nel Bronzo Finale e nella prima età del Ferro (A. Del Lucchese).
3. L’ENTROTERRA PIEMONTESE O “LIGURIA INTERNA”
3.1 Cercare di ricostruire l’etnogenesi dei Liguri in Italia nordoccidentale, come già
proposto al Convegno UISPP di Forlì nel 1996 (Gambari, Venturino Gambari 1998) ed
accennato nelle premesse, significa confrontare con le risultanze archeologiche, e cioè attraverso
le distinzioni della cultura materiale, dei modelli di formazione di un gruppo di popolazioni che
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esprimeranno già nella prima età del Ferro delle etnie parlanti lingue di tipo celtico, diversificate
dai gruppi transpadani per effetto di differenziati processi di “celticità cumulativa”. In realtà
risulta ormai acquisito che questi gruppi si distinguono progressivamente tra di loro fin dalla
avanzata età del Bronzo, anche sulla base di influenze ed apporti esterni, pur accreditando
quell’immagine di antica autoctonia che distingue i Liguri nelle fonti antiche. Da questo punto
di vista il Piemonte, sulla base delle ricerche degli ultimi vent’anni, risulta un punto
d’osservazione privilegiato, sia per la disponibilità di una buona documentazione per tutte le
diverse fasi dell’età del Bronzo sia perché nella divisione culturale della Regione fin dalla
protostoria si possono cogliere bene con una visione di sintesi gli indizi dei processi di
distinzione e formazione dei popoli storici.
Un quadro fortemente unitario ed “italiano” nei momenti finali dell’antica età del
Bronzo, come in Liguria, sembra ormai consolidato nel XVII sec. a.C. anche in Piemonte,
quando, in un quadro di probabili rapporti anche con il mar Ligure, risulta evidente
l’omogeneità della diffusione delle soprelevazioni d’ansa ad ascia (Gambari 1998a, pp. 130131) fino alle Alpi Cozie (Chiomonte) o fino al Lago Maggiore (Mercurago), ma già in questo
panorama sono stati evidenziati ormai importanti indizi di precoce “discontinuità”. E’ stato
ribadito anche di recente il quadro di apparente debolezza demografica del Piemonte rispetto ad
altre aree dell’Italia settentrionale nei primi momenti dell’età del Bronzo (Gambari 2004b), ma
nonostante questo quadro disomogeneo e mal documentato risultano netti precoci indizi di
influenze mitteleuropee orientali, come i più recenti elementi di corredo della grotticella della
Boira Fusca al Salto di Cuorgnè, tra cui un pugnale di tipo Lussan ed un pendaglio in bronzo
perforato a disco che, anche se lo stato della superficie non permette di riconoscere un’eventuale
decorazione “solare”, sembra da confrontare con esemplari simili presenti nei ripostigli del
Bacino Carpatico in associazione con pugnali analoghi nell’antica età del Bronzo (orizzonte
Hajdúsámson; Moszolics 1967, pp. 229-230); indicazioni convergenti anche per la probabile
individuazione della “via” del Gran San Bernardo vengono del resto anche dalla Valle d’Aosta,
dove nelle due tombe femminili con inumati distesi di Aosta/Montfleury, C.so Volontari del
Sangue, datate radiometricamente 3 498 ± 44 bp (calibrata al 90 % 1940-1730 BC), si
distinguono elementi d’ornamento tipici del Br A2 della Slovacchia e del Bacino Carpatico che
evidenziano indiscutibili influenze transalpine orientali (Mollo Mezzena 1997, pp. 143-147).
Questi elementi minori acquistano importanza alla luce dei riscontri successivi: infatti,
intorno al 1 600 a.C., in un momento di crisi climatica su scala continentale coincidente con
l’avvio della facies di Viverone come espressa radiometricamente a Roc del Col (3 420 ± 70 b.p.
= 90 % 1890-1520 BC), appare marcato l’avvio di una netta separazione dell’identità culturale –
e, in prospettiva, etnica – dell’Italia nordoccidentale all’interno della Cisalpina. Si manifesta
infatti un quadro di evidenti influenze esterne in cui sono presumibili spostamenti di piccoli
gruppi a carattere guerriero, fortemente mobili grazie allo sviluppo dell’allevamento bovino ed
all’utilizzo, anche bellico, del cavallo attaccato a carri leggeri, in singolare coincidenza con la
cronologia approssimativa fissata in Europa per la divisione del ramo centroeuropeo degli
indoeuropei e per l’inizio della separazione delle lingue celtiche secondo Marija Gimbutas e
Francisco Villar (1996, cap. II, fig. 1).
Da questo momento il Piemonte occidentale dimostra sul piano della bronzistica e della
cultura materiale di far parte a tutti gli effetti dell’areale della cultura dei Tumuli centroeuropea,
ma sono notevoli le non occasionali identità tipologiche non solo con l’ambito generale di
questa cerchia ma specificamente con l’areale carpatico e mitteleuropeo orientale, come la
cuspide di lancia della Stazione Vecchia di Cuneo o i pendenti a bulla a disco singolo ed il
pettine-pendaglio di Viverone (Gambari, Venturino Gambari 1988; Gambari 1998a, p. 133;
2004c pp. 11-13). In particolare i pendenti a bulla tipo Viverone hanno confronti identici coevi
solo nel Bacino Carpatico (Furmánek, Kruta 2002, nn. 218-219 p. 171), mentre il pettine©Pré-actes du colloque du collège de France, juillet 2006
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pendaglio è presente a questa cronologia limitatamente al Bacino Carpatico mentre diventerà
comune come elemento di influenza mitteleuropea nell’età del Bronzo Finale nell’areale Reno –
Svizzera – Francia Orientale. Questi specifici rimandi nella bronzistica si affiancano alla totale
scomparsa delle soprelevazioni d’ansa nella ceramica ed alla diffusione di una decorazione a
solcature e coppelle, anch’essa con evidenti rimandi a prototipi in ambito carpatico, che
caratterizzerà l’areale nord-occidentale italiano come in generale la cultura dei Tumuli per tutta
l’età del Bronzo media-recente, con influenze anche verso l’ambito palafitticolo-terramaricolo
ma sempre con una netta distinzione di forme e tipologie decorative.
L’impressione di forte discontinuità data dalla cultura materiale viene rafforzata da altri
elementi: tra la fine dell’antica e la media età del Bronzo la prima attestazione paleobotanica in
Italia nord-occidentale di cariossidi di segale e probabilmente di pollini di canapa (ad Alba:
Motella De Carlo 1995, pp. 252-253; Caramiello, Zeme 1995, pp. 241-242) oltre all’arrivo in
tutta Italia del cavallo completano un quadro di novità rispetto ai periodi precedenti.
3.2 Nel corso del XV-XIV secolo, con le culture Alba-Scamozzina-Monza, a cavallo tra
Bronzo Medio e Bronzo Recente, il processo di formazione di un ambito fortemente unitario e
caratterizzato appare giungere a compimento, anche attraverso la affermazione esclusiva (forse
dopo una breve fase di biritualismo) del rito crematorio tipico dei Campi d’Urne, attestato
precocemente fin dal XV secolo nella tomba della Cascina Chiappona di Alessandria, con un
corredo comprendente le cavigliere a spirale tipiche della cultura dei Tumuli e derivate da
modelli caratteristici dell’ambito di Mad’arove ed Otomani (Gambari 2004b, pp. 85-86) e la
formazione di una evidente cerchia metallurgica autonoma, strettamente collegata all’areale
franco-elvetico e renano (Gambari, Venturino Gambari 1994; De Marinis 1998).
Con la piena età del Bronzo Recente (BR II-III; XIII sec. a.C. in cronologia calibrata) si
possono già cogliere gli embrioni di una distinzione areale che ricalca quella successiva dell’età
del Ferro (fig. 4), anche per l’oggettivo ruolo ed importanza dei distinti bacini fluviali di Po,
Ticino, Dora e Tanaro, ed appaiono già evidenti le differenze anche nella geografia del
popolamento: la cultura di Canegrate tra Lombardia occidentale e Piemonte nord-orientale ha
potuto avvantaggiarsi, in un periodo di siccità e di forte irregolarità dei regimi fluviali, del suo
addensarsi a cavallo del corso del Ticino, il cui flusso è sempre stato bilanciato dalla riserva
d’acqua del lago Maggiore, conoscendo un grande sviluppo delle relazioni commerciali ed
un’ininterrotta crescita demografica e preparando così a tutti gli effetti i presupposti della cultura
di Golasecca, mentre il popolamento nelle altre aree del Piemonte, ed in particolare della Liguria
interna a sud del Po con la facies Alba-Solero (Venturino Gambari, Giaretti 2004), sembra
oggettivamente più rado soprattutto perché non risultano presenti necropoli con un rilevante
numero di sepolture. Nondimeno questa facies dimostra la rilevanza acquisita dalla direttrice del
Tanaro e conferma come proprio le vie commerciali in questo momento influenzino
profondamente la caratterizzazione dei gruppi culturali, indirizzando le relazioni sulla lunga
distanza, mentre il ruolo del Piemonte come intermediario tra il centro della Padania e la
penisola, da una parte, e le aree transalpine dall’altra renda inevitabile una distinzione tra aree
geografiche pur vicine in funzione delle diverse destinazioni relazionali (Gambari 1998b; 2004a,
p. 17).
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4. Confronto tra gli areali dell’età del Bronzo (1) e dell’età del Ferro (2) in Piemonte (F. Gambari).
3.3 Nell’età del Bronzo Finale (XII-X secolo) la prevalente continuità soprattutto dei siti
d’altura (mentre quelli sui bassi terrazzi fluviali mostrano abbandoni ed alluvioni successive)
sembra distinguere l’Italia nord-occidentale rispetto al quadro noto nell’areale palafitticoloterramaricolo e nell’Italia centrale, con la diffusione del Protovillanoviano e del Protoveneto. In
sostanza, pur in un quadro di importanti sviluppi e rafforzati contatti transalpini, sembrano
continuare i processi culturali della fase precedente, in particolare per lo sviluppo della facies
Protogolasecchiana sulla precedente tradizione della cultura di Canegrate. In questo periodo i
centri piemontesi rappresentano quell’entroterra mitico e lontano che i primi Greci frequentatori
dell’Alto Adriatico collegheranno alle vie per l’Europa sconosciuta, agli Iperborei, ai Cigni,
all’ambra (Gambari 2004a) I Liguri, “vicini agli Iperborei” sono in questo caso le popolazioni
protoceltiche stanziate a nord ed a sud del Po ed in particolare quelli che controllano le vie verso
i valichi alpini lungo il Ticino e la Dora Baltea, lungo direttrici che, almeno nell’XI-X secolo a.C.
sembrano caratterizzate, se non dal generalizzato controllo, almeno dalla forte influenza
culturale protogolasecchiana, anche se appare ormai distinguibile nel Piemonte nord-occidentale
una diversa manifestazione definita provvisoriamente facies Pont-Valperga (cfr. il poster 1 di
F. Rubat Borel in questo stesso volume di Atti). Tipologie bronzee di richiamo all’areale renano,
che risultano uniche nel quadro italiano, penetrano effettivamente dai valichi della Val d’Aosta
per tutta l’età del Bronzo Finale con una direttrice nord-sud e in profondità nel territorio
piemontese in direzione della costa ligure.
A sud del Po, l’influenza della cultura protogolasecchiana nei suoi rapporti con l’areale
protovillanoviano appare nella Liguria Cispadana più evidente nel Piacentino, nell’Oltrepò
Pavese e nel Tortonese, dove tra X e IX secolo compaiono diversi elementi caratteristici, mentre
la via del Tanaro sembra rivestire ancora una rilevanza leggermente minore. Si delineano così le
relazioni caratteristiche delle due diverse sottoaree della Liguria interna nel corso dell’età del
Ferro (Gambari 2004a).
Concentrandoci sull’area del Cuneese essa appare invece già nell’età del Bronzo Finale
differenziarsi con forme originali, pur in un ambito inizialmente leggermente appartato rispetto
ai flussi commerciali primari. Le necropoli di Boves, Chiusa Pesio (De Marinis, Spadea 2004,
pp. 169-170) e Valdieri mostrano lo sviluppo tra XII e X secolo di tipologie ben caratterizzate e
distinte di urne. La fase più avanzata del Bronzo Finale mostra chiaramente la presenza a
Valdieri di tombe a cassetta di lastre, spesso strutturate in modo incompleto, ancora in continuità
i modelli del Bronzo Recente documentati nella necropoli di Alba, C. so Piave. Anche il rito
funerario si caratterizza, in quanto continua ancora nel X secolo la tradizione, documentata
©Pré-actes du colloque du collège de France, juillet 2006
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sempre ad Alba, della copertura dell’urna con una lastra di pietra e non con la scodella messa a
coperchio, che risulterà una costante nell’area bagienna fino alla fine dell’età del Ferro.
Anche se la navigazione del Tanaro non risulta alla luce dei ritrovamenti finora
disponibili attivare ancora nel Bronzo Finale un intenso commercio sulla lunga distanza, appare
evidente come il fiume rappresenti l’asse centrale intorno a cui si organizza fin dall’età del
Bronzo il popolamento dell’Astigiano, dell’Alessandrino e del Cuneese. Anche nel Cuneese è a
controllo della valle del suo principale affluente, lo Stura di Demonte, che si colloca il pianoro
di Fossano, con una morfologia ed una posizione tipica da central place dei modelli di
organizzazione territoriale protostorica. Qui in un momento avanzato dell’età del Bronzo Finale
si concentrano nuclei di insediamento che mostrano forme ceramiche caratteristiche per
declinare poi dopo i primi momenti dell’età del Ferro.
Sembra logico collegare questa facies Cuneese alla eccezionale rilevanza che assume in
quest’epoca il comprensorio metallurgico a cavallo tra la Valle Varaita, le alte valli pinerolesi, il
bacino del Guil sul versante francese, la cui più evidente testimonianza sono le miniere
protostoriche di calcopirite a St. Veran (Rostan, Rossi 2002). La produzione metallurgica di
questo bacino minerario sembra conoscere una crescita continua a partire dall’età del Bronzo
Recente, ma soprattutto dalla fase avanzata del Bronzo Finale, con rapporti sulla lunga distanza
lungo la valle del Tanaro in direzione della Padania centrale e delle grandi concentrazioni
demografiche e commerciali dell’Emilia.
3.4 Il passaggio nel IX secolo all’età del Ferro in Piemonte è segnato da un momento di
discontinuità in coincidenza di un picco pluviale che determinerà una forte irregolarità nel
regime dei fiumi, ed in particolare l’abbandono di tutti i siti ripariali lungo la via fluviale del Po
e l’interruzione delle necropoli corrispondenti. Il passaggio su scala continentale intorno al 860
a.C. in cronologia calibrata (Global Climate Change) dal periodo climatico Subboreale al
Subatlantico, caratterizzato da un forte aumento della percentuale di 14C nell’atmosfera
(Castelletti 2001), denuncia una tendenza nella Cisalpina occidentale all’aumento dell’umidità,
alla diminuzione dei ghiacciai alpini, alla risalita delle falde freatiche. Il temporaneo ma
improvviso venir meno di un complesso di basi ed insediamenti che costituiva lungo il Po,
attraverso la navigazione fluviale, l’asse centrale dei commerci piemontesi accentuerà i
fenomeni di separazione nel corso dell’età del Ferro di tre diversi areali che già cominciavano a
delinearsi dall’età del Bronzo Recente.
Se la crisi demografica e delle strutture di scalo lungo la via del Po favorisce l’asse del
Ticino per le direttrici verso nord-ovest, sembra invece svilupparsi ulteriormente rispetto alla
fase precedente la navigazione lungo il Tanaro, per consentire il collegamento con le zone
metallurgiche delle Alpi Cozie ai centri della Padania centrale, dove sempre più rilevante risulta
il peso del grande centro protourbano villanoviano di Bologna, o ai primi nuclei emporiali della
costa ligure, come Chiavari. Un recente ritrovamento recuperato attraverso un’indagine con la
Procura di Cuneo e la locale Guardia di Finanza ha reso disponibile un ricchissimo ripostiglio di
bronzi del IX secolo a.C. da Chiusa Pesio, attualmente in corso di restauro e studio: oltre 287
reperti di bronzo testimoniano l’appartenza ad una cerchia metallurgica ben evidente tra
Cuneese, Pinerolese e Hautes Alpes francesi, a cavallo delle concentrazioni minerarie del
Queiras. D’altra parte alcuni reperti evidenziano indubbi contatti con il Villanoviano I
bolognese, come una tazza laminata che rappresenta un modello di transizione dal tipo
Fuchsstadt alle tazze Stillfried-Hostomice, due spilloni con capocchia a disco fusa a parte ed
inserita successivamente nel gambo con globetto liscio, di un tipo presente nella necropoli di
San Vitale, uno spillone con capocchia a rotella affine al tipo Benacci.
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Ancora tra la fine del X e la prima metà del IX secolo la spada seppellita nel guado del Po
a Casalgrasso (CN) risulta l’unica in Italia con richiami al tipo Kirschgarthausen, ma appare una
notevole elaborazione locale confermando un alto livello raggiunto da una cerchia metallurgica
della Liguria interna occidentale chiaramente differenziata ma ancora mal conosciuta. Invece
risaltano sempre più netti i contatti con l’Emilia e con il mare attraverso la via fluviale: tra la
fine del IX e la prima metà dell’VIII secolo viene seppellito nel letto del Tanaro ad Asti come
offerta votiva un elmo crestato villanoviano probabilmente prodotto nell’Etruria meridionale
costiera (Ridella 1998, pp. 282-283); in un momento circa coevo si colloca il coltello a lama
serpeggiante, originariamente offerta votiva o parte del corredo di una tomba sconvolta, della
grotta del Bandito di Roaschia (CN), che presenta una tipologia ed una decorazione diffuse
soprattutto a Bologna nella necropoli Benacci e nel ripostiglio di San Francesco nel pieno VIII
secolo a.C., come una origine analoga vale pochi decenni più tardi per la fibula a cavallino
proveniente da un pozzetto d’abitato ad Alba (Gambari 2004a, p. 23).
Questi materiali, pur esigui, appaiono molto rilevanti in un contesto che mantiene un
popolamento abbastanza rado e sembrano indizi di una frequentazione lungo la via del Tanaro,
che rappresenta a lungo una alternativa efficace in direzione ovest alla navigazione costiera fino
agli empori della Narbonese ed evidentemente è identificabile come quella più accessibile per i
centri etruschi della pianura padana, a partire da Felsina. L’utilizzo di queste vie dell’interno
anche da parte dei centri marittimi dell’Etruria meridionale può far pensare ad un qualche ruolo,
almeno tra IX e VIII secolo a.C., della pirateria ligure accennata dalle fonti, prima della probabile
costituzione tra la fine dell’VIII secolo e gli inizi del VI di una vera “talassocrazia” etrusca nel
Tirreno settentrionale. Il peso di questi contatti e la stessa influenza sull’ambito locale deve aver
avuto effetti inversamente proporzionali alla consistenza dei centri locali e delle strutture sociali
delle popolazioni, tanto da proiettarsi direttamente sugli sviluppi successivi.
3.5 Poco prima della metà del VI secolo, con i primi sintomi della crisi dei rapporti tra i
centri dell’Etruria Meridionale e gli insediamenti greci alle foci del Rodano, appare evidente un
potenziamento della via del Tanaro verso ovest, forse in conseguenza anche della fondazione
dell’emporio di Genova (De Marinis, Spadea 2004, sez. V). E’ in questo momento che nasce
l’emporio fluviale di Villa del Foro, la cui attività continua fino ad una fase di impoverimento ed
all’abbandono nel secondo quarto del V secolo (Gambari 1998a, pp. 141-142; 255-256; 2004d).
Il collegamento da Villa del Foro all’emporio genuate fissa forse nel territorio la direttrice che,
passata la Bormida all’altezza di Castellazzo e l’Orba a Casal Cermelli, risaliva la valle del
Lemme fino alla Bocchetta, per poi scendere nella valle del Polcevera e raggiungere Genua, su
un tracciato probabilmente sul versante ligure ricalcato dalla successiva Via Postumia.
In questa fase anche i Liguri dell’entroterra mostrano le tracce di una ormai profonda
influenza dalla penisola, ma trascurando a questo punto i ricchi riscontri della cultura materiale
conviene forse concentrarci su un elemento più sfuggente ma diretto indicatore dell’identità
come manifestata verso l’esterno: l’abbigliamento (Gambari 2004c).
Come indiziato dalle statue-stele lunigianesi dell’età del Ferro, dobbiamo immaginare,
anche sulla base della testimonianza delle fonti, i Liguri intorno al 600 a.C. come guerrieri con
corta tunica (Posid. framm. 118 Jacoby in Diod. V 39,1), ascia e bina gaesa, secondo un
modello che appare decisamente più di impronta etrusca che celtica ed apparentemente ben
distinto da quello dei guerrieri/cavalieri con bracae delle processioni sacrificali rappresentate
nello stesso momento sulle due situle di Sesto Calende della cultura di Golasecca (De Marinis
1988). Indipendentemente dal dato linguistico, questo solo aspetto basterebbe a dimostrare
come, pur nella comunanza d’armamento (pugnali ad antenne halstattiani occidentali, gaesum),
l’atteggiamento dell’élite guerriera dei centri protourbani golasecchiani si improntava ai gruppi
transalpini mentre quello degli omologhi armati dei villaggi liguri (anche fuori dai maggiori
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centri urbani costieri) guardava maggiormente al mondo centro-italico, gettando le basi per la
distinzione anche in Italia tra Celti e Liguri, ben prima dell’invasione del I secolo.
La presenza etrusca nel VI secolo è del resto ben testimoniata nel Cuneese dalle
iscrizioni, a partire dall’epigrafe funeraria di Busca, databile nei decenni finali (Gambari,
Colonna 1988; Colonna 1998). Realizzata su un ciottolo fluviale di origine locale, essa prova
l’esistenza di una piccola comunità etruscofona e marca la sepoltura di un personaggio di origini
liguri, non necessariamente locali, etruschizzato nell’onomastica e negli usi funerari. Lo stesso
nome del personaggio è ben collegabile alla linguistica celtica, come del resto la quasi totalità
dei nomi liguri dell’età del Ferro (Gambari 2004a, p. 24 n. 70-71): la probabile
“etruschizzazione” di un personaggio nato in una famiglia cisalpina di stirpe celto-ligure
evidenza un processo ben distinto dalla alfabetizzazione dell’areale celtico golasecchiano, che
utilizza l’alfabeto etrusco-italico adattandolo alla lingua locale e non produce fenomeni di
rinuncia ai caratteri esteriori dell’identità etnica (fig. 5).
5. Tabella comparativa dei diversi aspetti caratterizzanti l’ambito culturale nei diversi areali piemontesi dell’età del Ferro
(F. Gambari).
Il commercio etrusco-italico verso ambiti ben forniti di risorse cuprifere produce invece
la diffusione lungo la valle del Tanaro di ornamenti tipici dell’areale piceno nel VI secolo e
probabilmente l’imitazione degli stessi a partire dai centri metallurgici delle Alpi francesi
(Gambari 1999). Ma un altro elemento che marca la via commerciale del Tanaro nel VI secolo è
la diffusione del bucchero padano, presente in abbondanza a Villa del Foro e diffuso fino
all’Astigiano (Gambari 1993), o l’arrivo a Villa del Foro della ceramica etrusco-corinzia,
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probabilmente attraverso la mediazione di Genua, lungo la via della valle del Lemme e del
passo della Bocchetta. La diffusione di produzioni coloniali spesso non pregiate evidenzia la
debolezza della produzione artigianale locale, che non raggiunge anche nella diffusione
commerciale i livelli di quella nota nei centri protourbani della cultura di Golasecca. Proprio con
quest’area di produzione e consumo si rapporterà invece direttamente il porto etrusco di
Genova, attivando direttrici attraverso la valle Scrivia verso Tortona e la Lombardia.
D’altra parte, le necessità di attivazione di una primaria via commerciale in territori a
popolamento rado rappresentano invece probabilmente uno dei fattori determinanti delle prime
infiltrazioni nel Piemonte occidentale di gruppi tardohallstattiani già nel VI secolo. Queste
precoci infiltrazioni di piccole comunità celtiche transalpine nell’areale ligure appaiono dunque
in un primo tempo non turbare l’organizzazione del popolamento e anzi forse risultano
funzionali al mantenimento stesso delle vie commerciali, come indiziato dalla necropoli di
Crissolo in Valle Po (Gambari, Venturino Gambari 1997). Ma progressivamente questa presenza
costituirà un fattore di instabilità e di forte elaborazione di identità per differenza (Gambari
2004a) per un mondo ligure abituato ormai anche nell’interno a rapportarsi preferibilmente con
centri e mercanti etruschi ed a vantare la propria antica autoctonia come elemento di distinzione
rispetto ai Galli, novi accolae (Liv. V, 17), e, forse con minori ragioni dal nostro punto di vista,
agli stessi Celti cisalpini della cultura di Golasecca, assimilati o comunque mescolati ormai alle
bande di Galli invasori.
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