34 IL CAFFÈ 27 luglio 2014 tra La noia dipinta ad arte da Ingmar Bergman a Lynch, da Antonioni a Kiarostami fino ad Ozu Quei film dove si vede asciugare la pittura MARIAROSA MANCUSO Ci vollero una trentina di anni e la sentenza della Corte suprema degli Usa per accettare come opera letteraria “Tropico del cancro” La vera poesia del visionario nella “pornografia” di Miller MARCO BAZZI “Q uesto non è un libro. È libello, calunnia, diffamazione. Ma non è un libro, nel senso usuale della parola. No, questo è un insulto, uno scaracchio in faccia all’Arte, un calcio alla Divinità, all’Uomo, al Destino, all’Amore, alla Bellezza… a quel che vi pare”. Così, Henry Miller, all’inizio degli anni Trenta, riassunse il senso del libro che stava scrivendo durante il suo soggiorno parigino e che sarebbe diventato il suo capolavoro: Tropico del cancro. Un libro che subì la persecuzione della censura. Non in Francia, dove uscì nel 1934, ma negli Stati Uniti, dove venne pubblicato nel ‘61. Ci fu un processo che cambiò la politica della censura americana spianando la strada alla “rivoluzione sessuale”. La Corte suprema degli Stati Uniti, nella causa contro la casa editrice Grove Press, sentenziò che Tropico del cancro è un’opera di letteratura e non un libro pornografico. “Il cancro del tempo ci divora – scrive Miller -. I nostri eroi si sono uccisi, o s’uccidono. Protagonista, dunque, non è il tempo, ma l’atemporalità”. Orwell scrisse che Miller è “il solo scrittore in prosa che abbia immaginazione e valore apparso negli ultimi anni tra i popoli di lingua inglese”. Lo definì “un Walt Whitman tra i cadaveri”. In effetti l’opera di Miller, nato a New York da immigrati tedeschi, influenzò larga parte della letteratura moderna, non solo americana. “Una sola cosa mi interessa, ora – scrive nelle prime pagine -, e ha per me un’importanza vitale: registrare tutto quello che nei libri è omesso”. I l 30 luglio 2007, a poche ore di distanza l’uno dall’altro, Ingmar Bergman e Michelangelo Antonioni entrarono nel paradiso dei registi. Coincidente, per quanto ci riguarda, con l’inferno degli spettatori. Non abbiamo tanto amato lo svedese, per via delle sue donne tormentate e autolesioniste con i cocci di stoviglia. Meno ancora abbiamo amato l’italiano che faceva dire alle sue attrici “mi fanno male i capelli”. Per noi la cosa finì lì. Per l’olandese Peet Gelderblom fu l’inizio di “Directorama”, grandioso fumetto satirico sul cinema d’autore. Paradiso, esterno giorno, si incontrano il cherubino Bergman e il cherubino Antonioni. “Ti ammiro molto”, dice Michelangelo al rivale, e intanto pensa “Musone pieno di pretese”. Ti ammiro molto, risponde Ingmar, e intanto pensa “Ciarlatano e venditore di fumo”. Scambio di battute più che sufficiente per conquistarci alla causa. Scritto in inglese (grazie, globalizzazione), pubblicato a vignette settimanali sul sito internet con lo stesso nome, “Di- IL SETTIMO SIGILLO Diretto nel 1957 da Ingmar Bergman, trasposizione cinematografica della pièce teatrale “Pittura su legno”, che lo stesso Bergman aveva scritto nel 1955 per la sua compagnia di attori teatrali. Infatti, nel suo romanzo autobiografico e visionario, racconta tutto: parla delle sue donne, delle sue puttane, dello scolo, dei pidocchi, della carogna di una civiltà in sfacelo… Descrive particolari osceni: “Oh Tania, dove sono ora la tua fica calda, le tue giarrettiere unte, pesanti, le tue cosce morbide, piene? C’è l’osso nei miei venti centimetri di cazzo. Ti stiro tutte le grinze della fica, Tania, gonfia di seme”. Miller si aggira, con pochi soldi, in una Parigi che fa da sfondo ai suoi pensieri sulla vita e sulla morte, al suo sogno di scrivere un grande romanzo, ai suoi selvaggi incontri sessuali. “Parigi ti prende, ti afferra per le palle, per così dire, come una troia innamorata che morirebbe piuttosto che lasciarti sfuggire alle sue mani”. È il diario di un girovagare, di un lasciarsi trasportare dalla vita senza una meta precisa, tra un incontro e l’altro, tra filosofia ed erotismo. E Miller si sente un po’ come Rimbaud, poeta che scoprì a 36 anni e che mise nel pantheon dei suoi dei letterari, dedicandogli un bellissimo saggio: Il tempo degli assassini. “Le creature umane formano una strana fauna, una strana flora. Da lontano paiono trascurabili; da vicino possono sembrare brutte e cattive. Ma soprattutto occorre che abbiano intorno aria, spazio sufficiente – spazio, anche più che tempo. Il sole tramonta. Sento questo fiume che scorre dentro di me, il suo passato, la terra antica, il clima mutevole. Le colline gli fanno dolce corona: il suo corso è stabilito”. Un altro libro che non si può non leggere. (6 - continua) rectorama” rivelò un fratello in spirito. Un ex critico cinematografico – titolare di “24LiesASecond”, vale a dire “24 bugie al secondo” – che irride David Lynch disegnandolo mentre dirige con la benda sugli occhi: “Non sono io che devo vedere il film, è il film che deve vedere me”. In rappresentanza dei recensori, la divina Pauline Kael che scriveva sul New Yorker e qui minaccia: “Provate ad annoiarmi, frocetti, e ve ne pentirete”. Peet Gelderblom da regista gira cortometraggi intitolati OutofSync (fuori sincrono, non ditelo a Enrico Ghezzi), quindi al cinema come arte e avanguardia ancora crede. Per questo è così bravo a seppellire sotto una risata i vizi dei padri nobili. Possiamo essere davvero feroci solo verso le cose che conoscia- lacinetecadelmondo lalibreriadelmondo virgolette mo bene (ditelo a Sabina Guzzanti, a Maurizio Crozza, e a tutti i comici italiani convinti che la satira sia la prosecuzione della politica con altri mezzi). E Abbas Kiarostami, altra bestia nera nella nostra lista? In “Directorama” dedica le sue cinque sequenze a Ozu, altro campione della noia cinematografica con le sue inquadrature dal basso e gli scavalcamenti di campo (errore da bocciatura alla scuola di cinema). Ecco il cinema iraniano, dove la restituzione di un quaderno scolastico occupa un intero film, ancora ne vogliamo a Marco Muller per averlo portato al Festival di Locarno con tutti gli onori. Legnetto trascinato dalla corrente, vecchio che cammina sulla spiaggia e osserva il mare, branco di cani, paperelle, stagno con ranocchie gracidanti. Noi diciamo “un film dove si vede crescere l’erba”. Gli americani, “un film dove si vede la pittura asciugare”. Lo diceva il poliziotto Gene Hackman in “Bersaglio mobile” di Arthur Penn, dopo aver visto un film di Eric Rohmer. (6 - continua)