Valorizzazione del patrimonio pubblico dismesso Scenari di trasformazione e prove di fattibilità nel percorso partecipato per il recupero e il riuso dell’ex deposito ATAC Vittoria a Roma Lea Angeloni*, Alessandro Giangrande*, Elena Mortola*, Romina Peritore* * Associazione culturale PSP (Progettazione Sostenibile Partecipata) INTRODUZIONE La diffusione crescente di pratiche di riappropriazione dello spazio pubblico volte a soddisfare la richiesta di luoghi aperti alla fruizione e all ’ uso collettivo induce a ritenere sempre più strategici e urgenti il recupero e il riuso dei beni pubblici dismessi o sottoutilizzati. L’individuazione dei nuovi usi di questi beni dovrà avvenire attraverso percorsi partecipativi e tramite la sperimentazione di nuove forme di autorganizzazione e gestione dei loro spazi che – entro un quadro regolativo e nell’ambito di decisioni concertate – potranno accogliere anche attività a carattere privato. L’alienazione dei beni del patrimonio pubblico non rappresenta quasi mai la migliore soluzione dei problemi economici dello Stato o degli enti che ne sono i proprietari, anche se le politiche nazionali e locali, specie in Italia, sembrano invariabilmente orientate in questo senso. Un’alternativa alla vendita del patrimonio potrà essere la sperimentazione di nuove forme di autofinanziamento delle comunità, con l’assenso politico e l’eventuale sostegno finanziario del soggetto pubblico. LE PROPRIETA’ ATAC IN DISMISSIONE: DEPOSITI, RIMESSE, ECC. 165 mila mq 540 mila mc Proprietà destinate alla vendita diretta (6) Complessi immobiliari da alienare previa trasformazione urbanistico-edilizia (9) LA NASCITA DEL DEPOSITO ATAC VITTORIA Nel 1915, in accordo con lo sviluppo urbanistico dei quartieri Prati e Della Vittoria e in linea con il programma di ampliamento e modernizzazione delle reti tecnologiche e del traffico, il Comune di Roma assegna all ’ ATM (oggi ATAC) un’area di circa 15.000 mq per realizzarvi un deposito tramviario tra viale Angelico e viale Carso, che sarà denominato ‘Vittoria’. Dal 1920 il deposito, ormai realizzato, contribuisce al disegno del quartiere delineando la forma di alcune importanti aree come quelle di piazza Bainsizza e della rete stradale limitrofa LA PARTECIPAZIONE DEGLI ABITANTI Nel 2002 il Comune cede all’ATAC l’area del deposito. Poco dopo l’ATAC, per risanare una situazione debitoria ritenuta grave, decide di predisporne la vendita ai privati a fini di ‘valorizzazione’. Il nuovo PRG prevede per le aree e le strutture di proprietà dell’ATAC la possibilità di ‘dismissioni o riconversione funzionale degli immobili per usi diversi dal servizio pubblico locale’ con trasformazione delle loro destinazioni da ‘servizi di pubblica utilità’ a ‘nuove specifiche destinazioni d’uso’ da precisare, senza variazione della volumetria. Il 20 febbraio 2008, in un’assemblea indetta dal Municipio Roma 17, viene presentato il progetto vincitore del concorso bandito nel 2007 dal Comune, che prevede per l’area una massiccia cementificazione e incontra la più decisa opposizione del Comitato cittadino Della Vittoria e di tutti gli intervenuti. Nei tre anni successivi nessuna iniziativa viene presa dal Comune fino a quando nel 2011 la Giunta Comunale approva due delibere (n. 35 e n. 39), aprendo la strada alla valorizzazione e vendita dell’area. Nell ’ aprile 2011 nasce il Coordinamento Cittadino Progetto Partecipato (CCPP) formato da abitanti, associazioni e organismi presenti e attivi nel territorio del Municipio. Nei due mesi successivi il CCPP svolge alcune attività per identificare i desiderata degli abitanti e degli studenti del quartiere in merito alle possibili trasformazioni dell ’ area dell ’ ex deposito: camminate di quartiere, indagini mediante questionari, analisi SWOT, costruzione di scenari che prefigurano il futuro dell’area in modo ‘visionario’. IL LABORATORIO DI PROGETTAZIONE PARTECIPATA Il CCPP chiede al Municipio di attivare il Laboratorio di Progettazione Partecipata per la riqualificazione e il riuso dell’ex deposito ATAC ‘Vittoria, che viene attivato il 14 giugno 2011. Il Laboratorio utilizza i materiali prodotti dal CCPP per valutare e scegliere le pratiche che gli abitanti maggiormente desiderano svolgere, assieme agli spazi adatti a ospitarle (‘centri’). Elabora le linee guida per il recupero e il riuso degli spazi dell’ex deposito e sviluppa alcune proposte progettuali esemplificative per dimostrare la fattibilità – anche economica e finanziaria – di progetti di valorizzazione congruenti con linee guida. Promuove una raccolta di firme (circa 900) per dare forza alle proposte degli abitanti Indice Assemblee Pubbliche per discutere con le Istituzioni del futuro dell’ex-rimessa Nello stesso tempo il Laboratorio critica le successive versioni dei Programmi unitari di valorizzazione territoriale per l ’ ex deposito elaborati Dipartimento VI del Comune, del tutto incongruenti con le linee guida. Il 2 agosto 2012 il Municipio esprime parere contrario all ’ approvazione della proposta di deliberazione comunale relativa al Programma già contestato dal Laboratorio. Nella fase di consultazione messa in atto dal Comune in ottemperanza al regolamento comunale della partecipazione (settembre 2012) gli abitanti e le associazioni si pronunciano sfavorevolmente nei confronti del Programma stesso. Poiché il parere del Municipio e dei cittadini non è tuttavia vincolante, il Comune prosegue nel suo iter decidendo di portarlo all’approvazione della Giunta con le varianti di PRG necessarie per attuarlo. LE CRITICHE AL PROGRAMMA DI VALORIZZAZIONE Il Programma di valorizzazione è del tutto privo di un’idea di città diversa, capace di promuovere un modello sostenibile per i cittadini e il territorio; induce un’ulteriore densificazione urbanistica nel quartiere Della Vittoria, caratterizzato da un’elevata densità abitativa, e sottrae ai suoi abitanti l’unica area rimasta libera da costruzioni utilizzabile per sanare la carenza di servizi nel quartiere. L’attuazione del Programma comporta importanti varianti del PRG. La SUL (Superficie Utile Lorda) realizzabile in loco è eccessiva per ragioni di sostenibilità ambientale e qualità urbana. La quota di SUL destinata a spazio pubblico è molto inferiore a quella prescritta dal PRG e limitata a servizi di standard (verde e parcheggi). La volumetria del progetto è significativamente maggiore di quella del manufatto esistente . Il progetto allegato non tiene conto dei fabbisogni oggettivi del quartiere: le destinazioni d’uso (residenze, commercio, direzionale) sono in contrasto con quelle proposte dagli abitanti. Nonostante il PRG definisca l ’ ex deposito ‘ manufatto di archeologia industriale ’ e lo inserisca nell ’ elaborato della Carta per la Qualità, il progetto prevede interventi di demolizione e ricostruzione nella quasi totalità dello spazio edificato e non rispetta il contesto dal punto di vista storico e morfologico del tessuto insediativo. Le diverse altezze degli edifici, che variano da due a sei piani fuori terra, negano di fatto l’impianto a corte del complesso. L’analisi urbanistica allegata al Programma non fornisce né informazioni sulla fattibilità tecnica ed economica del progetto, né dati riguardanti la consistenza storica degli edifici esistenti, le dotazioni di verde e servizi, gli attuali flussi di traffico veicolare e la situazione idrogeologica del quartiere, disattendendo di fatto il PRG dove stabilisce che le nuove specifiche destinazioni d’uso e la SUL massima debbano essere definite sulla base di una valutazione di sostenibilità urbanistica estesa agli ambiti di riferimento. Ciò impedisce tra l’altro di valutare la possibilità di realizzare senza rischi i numerosi parcheggi interrati previsti e il possibile aumento di traffico e della sosta selvaggia indotti dal nuovo complesso. LE LINEE GUIDA DEL LABORATORIO (IN SINTESI) La riqualificazione degli spazi dell’ex deposito sarà l’occasione per promuovere un modello di sviluppo sostenibile. Il Programma di valorizzazione, lungi dall’essere un’operazione di speculazione edilizia, dovrà contemperare i ricavi con il risanamento urbano, la sostenibilità ambientale e le azioni dirette a realizzare nuovi modelli di aggregazione sociale; dovrà anche costituire un volano economico e di opportunità per i giovani e le associazioni del quartiere. In particolare ● il DSM (Dipartimento di Salute Mentale) di via Monte Santo, struttura socio-sanitaria di indiscussa utilità per il territorio, non potrà essere alienata ● il progetto dovrà rispettare le NTA del PRG: il nuovo complesso non supererà la volumetria esistente e almeno la metà della SUL sarà destinata a ‘servizi o spazi pubblici d’interesse generale o locale’ (vedi PRG) ● una SUL massima realizzabile in loco di 15549 mq è insostenibile ed eccessiva ● gli elementi di maggior pregio e l’impianto a corte dell’ex deposito andranno salvaguardati ● l’area centrale del complesso sarà destinata a una nuova piazza verde pubblica ● l’area centrale sarà in comunicazione diretta con gli adiacenti spazi oltre via Monte Nero, che dovranno essere riqualificati e integrati con il nuovo complesso ● le nuove destinazioni d’uso saranno conformi ai desiderata degli abitanti. ● l’intero complesso sarà sostenibile sotto il profilo energetico e ambientale UN’ESEMPLIFICAZIONE PROGETTUALE: PIANTA E PROSPETTI UN’ESEMPLIFICAZIONE PROGETTUALE : I ‘CENTRI’ PIAZZA VERDE BORDI EDIFICATI E STRADE ADIACENTI ULTIMO ATTO: LA DELIBERA DI VALORIZZZIONE VIENE RESPINTA Il Comune, alla fine del 2012, autorizza l’ATAC a concedere, a garanzia dei prestiti bancari, l’iscrizione di ipoteca sulle proprietà in dismissione e decide di portare all’approvazione della Giunta Comunale la delibera di valorizzazione delle stesse con le necessarie varianti di PRG. Il CCPP entra a far parte del Comitato interassociativo NO A ROMA CAPITALE DEL CEMENTO. Il Comitato raccoglie oltre 60 comitati e associazioni che si oppongono alle decine di delibere urbanistiche che riverserebbero ulteriore cemento su Roma: di esso fa parte anche l’associazione CARTE IN REGOLA, che organizza i presidi dei cittadini che, nell’aula capitolina, ne contrastano fermamente l’approvazione. La delibera riguardante il piano di valorizzazione del deposito ATAC Vittoria – sottoposta con molte altre all’approvazione del consiglio comunale il 10 aprile 2013, ultimo giorno utile della consiliatura – viene respinta grazie all’ostruzionismo dell’opposizione, validamente sostenuta dai presidi dei cittadini. Allo stato attuale, Il destino delle ex deposito e del progetto partecipato è ancora tutto da decidere. CONTRO L’ALIENAZIONE DEL PATRIMONIO PUBBLICO DISMESSO Dopo oltre 150 anni dall’unità d’Italia, l’idea che l’alienazione dei beni pubblici non sia uno strumento adeguato per ripianare i debiti contratti dallo Stato e dagli enti pubblici che ne sono i possessori non è certo diffusa presso la classe politica del paese. Che la vendita di questi beni sia un pessimo affare e già stato messo in evidenza, tra gli altri, da Roberta Basilio (2012). Dopo aver osservato che il valore complessivo dei nostri beni demaniali assomma a una cifra compresa tra i 500 e gli 800 miliardi di euro, Basilio conclude: “Se tutto ciò rendesse solo l’1 per cento del proprio valore, si coprirebbe la metà delle spese ordinarie della macchina statale ”. Dal 1861 in poi ogni processo di alienazione dei beni pubblici non ha contribuito di fatto a risanare il bilancio dello Stato, ma ha determinato soltanto una perdita definitiva di spazi che altrimenti avrebbero potuto essere utilizzati come beni comuni. Quintino Sella, alla fine del 1872, arrivava a dire alla Camera dei deputati che dalle privatizzazioni dei beni pubblici si erano ricavati soltanto 277 milioni di lire, a fronte di un valore di mercato degli stessi di 700.798.613 lire. Nei tempi recenti le cose sono andate anche peggio. E’ il caso, ad esempio, delle operazioni di cartolarizzazione di Tremonti (Scip 1 e Scip 2) che hanno portato alle casse dello Stato solo 2 miliardi, a fronte di un valore pari a circa 16 miliardi di euro. Presso molti amministratori è ancora diffusa la convinzione che la rendita che un ente pubblico potrebbe ricavare dal suo patrimonio dismesso sia molto minore di quanto si potrebbe ottenere dalla loro vendita. Ma i cespiti derivanti dalla vendita, anche se inizialmente più elevati, costituiscono entrate straordinarie una tantum, mentre dalla messa a frutto di questi beni si potrebbe ottenere un flusso strutturale di introiti, certamente più lento ma che non intacca lo stock di capitale pubblico e conserva per i cittadini un bene fruibile, del quale sono essi i veri proprietari. COME FINANZIARE IL RECUPERO DEGLI SPAZI PUBBLICI DISMESSI? Molto spesso le amministrazioni e lo Stato e gli Enti locali hanno grossi deficit di bilancio: ciò significa che non possono disporre delle risorse necessarie per realizzare le opere pubbliche. La Cassa Depositi e Prestiti, un ente creato appositamente per finanziare le opere pubbliche delle amministrazioni, dal 2009 ha modificato in parte la sua mission iniziando a finanziare monopolisti, privati e pubblici, comportandosi di fatto come un soggetto speculativo privato, a discapito degli enti locali, ai quali propone spesso la (s)vendita degli immobili e la privatizzazione dei servizi pubblici. Sembra dunque che agli enti locali non resti che fare sistematicamente ricorso al project financing, il modo ormai più usuale delle amministrazioni per realizzare le opere pubbliche. Il project financing nasce nei paesi anglosassoni allo scopo di finanziare iniziative economiche che prevedono la realizzazione di un progetto, che viene valutato dai finanziatori per la sua capacità di generare flussi di cassa ed in virtù della remunerazione del capitale di rischio: da qui la necessità di applicare un prezzo al servizio come controprestazione che l’utente è tenuto a effettuare per fruire del servizio stesso, consentendo al privato di svolgere un’attività organizzata di tipo imprenditoriale, con costi e ricavi. Nelle opere pubbliche, dove la funzione sociale è predominante e l ’ applicazione di tariffe socialmente accettabili non consente di generare flussi di cassa in grado di consentire il rimborso dei fondi impiegati, il project financing non sembra essere la forma migliore di Partenariato Pubblico Privato (PPP). Da qui la necessità di considerare altre forme di finanziamento e gestione di questo tipo di interventi. Attualmente già esistono – o sono incorso di sperimentazione – forme di finanziamento alternative, dove le amministrazioni si rivolgono non solo ai soggetti finanziatori usuali (Europa, Stato, Regione, banche, grandi imprese private) ma anche ai soggetti il cui interesse è quello di contribuire a uno sviluppo che contemperi il profitto con la sostenibilità ambientale e sociale del territorio di cui fanno parte: abitanti, city users, cooperative e imprese locali. CROWDFUNDING Il crowdfunding civico, cioè il finanziamento diretto di progetti di riqualificazione effettuato dai cittadini stessi che aquisiscono così specifici diritti d’uso a lungo termine degli spazi recuperati, costituisce un esempio di pratiche di sostegno economico-finanziario e di gestione dei progetti di utilità pubblica basata su reti di autofinanzamento web. Nell ’ ottica dello sviluppo di un ’ altra economia basata sulla cooperazione, la fiducia e il coinvolgimento attivo dei cittadini, il crowdfunding si è velocemente affermato all’estero con piattaforme famose come Kickstarter e IndieGoGo, ma è presente anche in Italia grazie a piattaforme di raccolta fondi quali Eppela, ShinyNote, SiamoSoci e la neonata Starteed. Una piattaforma europea orientata prevalentemente al crowdfunding civico è Spacehive, che è fondamentalmente un sito di project management che consente di farsi carico di un progetto impegnandosi per farlo finanziare. La piattaforma utilizza anche volontari che aiutano a realizzare il progetto e a mantenerlo. Brickstarter, una piattaforma concepita in Finlandia, incoraggia i cittadini a farsi carico di progetti comunitari, piuttosto che aspettare che il governo si decida a realizzarli. Essa sta portando avanti due esperimenti a piccola scala. Un gruppo locale sta facendo una ricerca per sviluppare una proposta alternativa per un master plan a livello di quartiere; un altro gruppo sta elaborando soluzioni per un wind park e un piccolo insediamento urbano lungo la costa. Un altro esempio di successo di crowdfunding è la riscostruzione della Moschea di Joplin in Missouri (USA) che nel 2011 è stato colpito da violenti temporali, da un tornado e da un incendio che lo hanno raso al suolo. Per raggiungere l’obiettivo di riscostruire la moschea i promotori della campagna chiesero 250.000 dollari, che vennero raggiunti in una settimana. A questi si aggiunsero ulteriori fondi per finanziare la sicurezza, l’espansione della struttura originaria e le strade di accesso. Per questa iniziativa sono stati raccolti in tutto più di 400.000 dollari. COOPERATIVE DI COMUNITA’ Le Cooperative di Comunità affrontano problemi di degrado o di sottoutilizzo del patrimonio pubblico. L’investimento dei soci riguarda tale patrimonio che sarà recuperato e riusato dalla Cooperativa per svolgere attività sociali, culturali e commerciali: le quote versate all’inizio per il recupero saranno riscattate come quote anticipate di affitto da versare all’ente gestore - in questo caso la Cooperativa stessa - che dovrà comunque fare riferimento all’amministrazione pubblica. Il patrimonio resta di proprietà pubblica a tutto vantaggio dell’intera comunità che potrà utilizzare i servizi offerti dai soci della Cooperativa impegnati nelle diverse attività. Gli interventi sono articolati per attività (residenziale, culturale, sociale, ristoro, sport e commerciale), mentre i soci possono essere imprese di costruzione, esperte nel recupero; privati interessati a gestire una attività tra quelle sopra indicate; privati interessati ad utilizzare singoli alloggi o spazi residenziali organizzati in cohousing; ecc. Un’esperienza interessante – sviluppata in Germania - è quella di Tubinga. Il Comune, nel 1993, ha acquistato l ’ area della Caserma Francese, un ’ area di 65 ettari con edifici militari, e l ’ ha trasformata grazie ad un piano urbanistico in un quartiere residenziale che offre servizi per la comunità, aree verdi e collegamenti con tutta la città. Ciò è stato possibile grazie al contributo di Cooperative di Comunità private formate da famiglie o da singles e da piccole aziende innovative. Il Comune ha indicato i criteri di progettazione creando un’offerta mista di residenze, e ha posto un limite ai prezzi massimi di vendita o di affitto. In questa ottica si colloca, in Italia, il progetto “Cooperative di Comunità” avviato in Italia a fine 2010 durante il Congresso Nazionale di Legacoop. Nell’ambito di questo progetto già esistono e sono attive alcune cooperative il cui scopo è quello di mantenere vive e valorizzare comunità locali a rischio di deperimento, quando non di estinzione: alcune per far fronte alla mancanza di servizi basilari per la comunità, come scuole, negozi, servizi socio-assistenziali; altre spinte da motivazioni ambientalistiche e di valorizzazione delle risorse del territorio, o dalla necessità di rispondere a crisi occupazionali determinatesi nelle aree circostanti. IL PRESTITO OBBLIGAZIONARIO In Italia il Consiglio dei Ministri, attraverso l’Unità tecnica di Finanza di Progetto del Dipartimento per la programmazione e il coordinamento della politica economica, con riferimento alle grandi opere infrastrutturali, ha individuato alcuni strumenti a sostegno del PPP atti a favorire lo sviluppo di forme di finanziamento alternative al finanziamento bancario, come il Prestito Obbligazionario (2010). Questo strumento è utilizzato da tempo in altri paesi, con finalità più ampie. In particolare è utilizzato dalla città di New York dal 2002 per finanziare i progetti di varia natura da realizzare nel settore trasporti, education, sanità, salute e servizi sociali, housing, cultura, biblioteche e parchi, manutenzioni, ecc. Questo programma viene finanziato principalmente mediante l'emissione di debito a lungo termine (principalmente obbligazioni). Poiché i progetti variano notevolmente per dimensione, complessità e costi, il flusso di spesa può essere considerevolmente irregolare. Mettere a bilancio queste spese comporterebbe per il Comune di New York un onere eccessivo e imprevedibile per i contribuenti, a causa della variazione delle aliquote fiscali di anno in anno. Ad esempio, nel 2009 l’impegno di capitali è stato di 9.5 miliardi di dollari di cui il 75% coperto da finanziamenti di cittadini; il restante dallo stato di New York, dallo Stato federale, e da sovvenzioni private. E’ opportuno notare che il prestito, nell’anno considerato, è stato effettuato nonostante il debito complessivo della città di New York ammontasse a 54, 4 miliardi di dollari, pari a circa 6600 dollari per abitante. CONCLUSIONI Un soggetto pubblico potrà dunque mantenere la proprietà del suo patrimonio, a patto che intenda sperimentare nuove pratiche di fattibilità economico-finanziaria e di gestione come quelle precedentemente illustrate. Chris Anderson, ex direttore di Wired USA, ha affermato che queste pratiche non servono solamente per raccogliere finanziamenti, ma anche per fare ricerca di mercato in quanto fanno emergere una domanda che altrimenti non potrebbe essere individuata in altri modi. La loro riuscita di pende dalla capacità di costruire una community attorno all ’ idea che si vuole perseguire, attivando cosi una rete di collaborazioni che permettano al progetto di svilupparsi ma anche di essere generativo della community stessa che, una volta costituita, sarà pronta a supportare, implementare e contribuire alla realizzazione di altri progetti simili. Tutto ciò è in perfetta in sintonia con il processo partecipativo già avviato per l’ex deposito ATAC Vittoria. La sua attuazione non potrà tuttavia prescindere dalle tecniche finanziare che consentiranno di trovare le risorse necessaria. Il limite del crowdfunding è costituito dalla dimensione del problema economico (per recuperare l’ex deposito sarebbe infatti necessario un finanziamento di alcune decine di milioni di euro, una cifra di quattro ordini di grandezza maggiore di quella che si riesce in media a raccogliere con tale pratica). Il recupero e riuso dell’ex deposito, restando l’area di proprietà pubblica, potrebbe fondarsi invece soprattutto su pratiche come le Cooperative di Comunità e il Prestito Obbligazionario. In questo caso il Comune di Roma dovrebbe avviare un processo partecipativo aperto non solo ai cittadini, ma anche alle piccole imprese, alle cooperative e alle associazioni direttamente interessate a partecipare al recupero del complesso e alla sua futura gestione. GRAZIE PER L’ATTENZIONE