Valori in Billion litres Africa 7% 7% 2% 27% 16% Asia/Australasia West Europe North America Latin america 18% 23% Middle East East Europe L’accesso all’acqua può essere definito come un diritto fondamentale, inalienabile, individuale e collettivo. E’ compito della società garantire il diritto di accesso ad essa senza discriminazioni di razza, sesso, religione, reddito o classe sociale. Le risorse idriche non sono insufficienti a sostenere la domanda mondiale, ma solo ingiustamente distribuite. L'acqua rappresenta una risorsa di primaria importanza. Il mondo verso la crisi idrica Entro il 2025 circa 3 miliardi e mezzo di persone (circa la metà della popolazione mondiale) potrebbero trovarsi di fronte a gravi carenze d’acqua. Le cause del disastro L'emergenza acqua è dovuta ad un insieme di fattori: L'Aumento della popolazione mondiale che comporta una sempre crescente richiesta di questa risorsa. L'inquinamento causato: • dagli scarichi civili che si riversano nei fiumi in tale quantità da bloccare le capacità autodepurative dell'acqua. • • Dai fertilizzanti e i pesticidi usati in agricoltura che provocano l'inquinamento delle falde acquifere. Dall'effetto serra causato dall'aumento della concentrazione di CO2 nell'atmosfera. Acqua come il petrolio. L'acqua si è trasformata, di volta in volta, in obiettivo strategico per indebolire l'avversario, in uno strumento di ricatto che serviva a garantire la supremazia regionale. Il caso turco, così come quello israeliano, dimostra come le "guerre per l'acqua" possano essere la conseguenza più che la causa delle tensioni internazionali. Una politica di potenza basata sul ricatto idrico, e sulle difficoltà di approvvigionamento degli avversari, non è certo la strada migliore per risolvere la scarsità d'acqua: al contrario, tende a "mantenere" l’insufficienza per poter far valere i propri meccanismi. Emergenza acqua Negli ultimi 50 anni la domanda di acqua è triplicata. Nei prossimi 50 potrebbe ulteriormente raddoppiare. Eravamo abituati a considerarla una risorsa inesauribile, ma presto dovremo cambiare idea: ne consumiamo troppa e rischiamo di rimanere a secco. Si stima che nel 2020 saranno dai 3 ai 4 miliardi le persone che avranno l'acqua razionata o che non ne avranno affatto. In Italia l'acqua non manca, ne abbiamo più di 3.000 metri cubi all'anno a testa, il doppio di quanto considerato necessario. ECCO QUANTA NE UTILIZZIAMO ogni volta che... ... ci laviamo le mani 1 litro ... ci laviamo i denti 2 litri ... tiriamo l'acqua del bagno 6 / 9 litri ... facciamo la doccia 20 litri ... usiamo la lavastoviglie20 litri 20 litri ... usiamo la lavatrice55 litri 55 litri ... facciamo il bagno150 litri 150 litri Il governo Berlusconi privatizza l’acqua italiana! • • • • • • Il 5 agosto il Parlamento italiano ha votato l’articolo 23 bis del decreto legge numero 112 del ministro G. Tremonti che nel comma 1 afferma che la gestione dei servizi idrici deve essere sottomessa alle regole dell’economia capitalistica. Tutto questo con l’appoggio dell’opposizione, in particolare del PD, nella persona del suo corrispettivo ministro-ombra Lanzillotta (una decisione che mi indigna, ma non mi sorprende, vista la risposta dell’on. Veltroni alla lettera sull’acqua che gli avevo inviata durante le elezioni!). Così il governo Berlusconi, con l’assenso dell’opposizione, ha decretato che l’Italia è oggi tra i paesi per i quali l’acqua è una merce. Questo è un tradimento da parte di tutti i partiti! Ancora più grave è il fatto, sottolineato dagli amici R.Lembo e R. Petrella, che il “Decreto modifica la natura stessa dello Stato e delle collettività territoriali. I Comuni, in particolare, non sono più dei soggetti pubblici territoriali responsabili dei beni comuni, ma diventano dei soggetti proprietari di beni competitivi in una logica di interessi privati, per cui il loro primo dovere è di garantire che i guadagni dell’impresa siano i più elevati nell’interesse delle finanze comunali. ” Stiamo facendo a pezzi anche la nostra Costituzione! Conflitti e tensioni relativi all’acqua "Nel prossimo secolo, le guerre scoppieranno per l’acqua”. La scarsa disponibilità d’acqua, infatti, è attualmente causa di oltre 50 conflitti nel mondo. E siccome da questa risorsa dipende la vita, è naturale pensare che molte altre guerre si scateneranno nel prossimo futuro, per il controllo delle riserve idriche. L’acqua è un bene prezioso, ma un miliardo e cinquecento persone nel mondo, non né hanno diritto. I paesi interessati sono principalmente alcune zone dell'Africa: Niger, Alto Volta, Mauritania, Mali, Ciad, Senegal. Molti stati in tutto il mondo sono interessati da conflitti inerenti le risorse idriche: • Bolivia • Botswana • Cina • Egitto • Iraq • Israele • Kenya • Siria • Turchia A Cochabamba, 2500 metri d’altezza sulle Ande boliviane, l’acqua è un bene scarso e prezioso. Solo il 55 per cento degli abitanti ha accesso per qualche ora al giorno alla vecchia rete municipale. Il 20 per cento la attinge da pozzi e raccolte d’acqua piovana. La gente che vive nelle zone più povere, fa ricorso alla distribuzione con le autobotti. È impossibile irrigare le terre circostanti. La Banca mondiale si rifiuta di prestare garanzia per un prestito di 25 milioni di dollari, se non a condizione che il governo venda il sistema pubblico delle acque ai privati. Ad aggiudicarsi l’appalto è l’impresa Aguas del Tunari, società fantoccio di una multinazionale estera che fa capo al gigante americano Bechtel Corporation. Un colosso che nel 2001 ha presentato un saldo attivo pari al doppio del prodotto interno lordo della Bolivia. La concessione dà a Aguas del Tunari il monopolio assoluto della gestione e della distribuzione di ogni risorsa idrica per 40 anni. Tutte le sorgenti vengono sottoposte a permessi di utilizzo e ai contadini è vietato addirittura raccogliere l’acqua piovana nei pozzi. Segue un aumento del prezzo dell’acqua del 300 per cento. In una città in cui il salario minimo mensile non raggiunge i 100 dollari, le bollette che i cittadini vedono recapitarsi ammontano mediamente a 20 dollari al mese, circa un quarto del reddito di una famiglia. • Manifestanti a Cochabamba I sindacati operai locali e le organizzazioni di agricoltori insorgono. Danno vita alla Coordinadora de Defensa del Agua y de la Vida, che mobilita gli abitanti e organizza l’opposizione. Nel giro di un mese milioni di boliviani marciano su Cochabamba, proclamano lo sciopero generale e bloccano tutte le strade che consentono lo scambio di merci all’interno del Paese. La reazione del governo è dura: alcuni manifestanti vengono uccisi, molti attivisti arrestati, i mezzi di comunicazione sottoposti a censura. Il Presidente della Repubblica decreta lo stato d’assedio, che durerà 90 giorni. Un ragazzo di 17 anni viene colpito alla testa da un proiettile di un ufficiale dell’esercito: la scena è ripresa dalle telecamere di una televisione boliviana. Diventerà il simbolo di un popolo costretto a lottare per un diritto innegabile. L’ondata di rabbia cresce e il 10 aprile il governo è costretto a cedere: revoca la legislazione sulla privatizzazione delle acque e rescinde unilateralmente il contratto con la Bechtel, affidando la distribuzione idrica alla Coordinadora. I campesinos hanno vinto la battaglia con la multinazionale. A El Alto (800 mila abitanti), dove la povertà è dilagante, negli ultimi mesi si sono moltiplicate le preoccupazioni per il servizio di fornitura dell'acqua. La gente è insoddisfatta per la mancanza di servizio in alcune zone periferiche, e per i costi elevati. Un nuovo allacciamento alla rete idrica può costare fino a 445 dollari americani; secondo i dati delle nazioni unite, il 34 per cento degli 8,6 milioni di boliviani vivono con meno di 2 dollari al giorno, e il salario minimo è di circa 66 dollari al mese. Nel mezzo del delta del Chobe River, al confine nord con il Botswana, c’è un isolotto, il cui nome è doppio, Sedudu per i botswanesi e Kasikili per i namibiani . La contesa per il suo possesso tra i due aridi stati, può essere considerata emblematica dei conflitti legati all’acqua. L’isola Sedudu/Kasikili si estende per 3,5 Kilometri quadrati. Il Chobe River si divide intorno a quel territorio, a nord lambisce la riva namibiana e a sud la riva botswanese. La contesa tra le popolazioni locali di entrambi i paesi va avanti ormai da più di un secolo e affonda le radici nella storia. Era il 1890 quando britannici e tedeschi si spartirono le loro zone di influenza nel trattato noto come Berlin treaty. In esso si stabiliva confini piuttosto vaghi che si prestavano alle più svariate interpretazioni. E così avvenne. Qual è la precisa locazione del “grande canale”? Per il governo del Botswana doveva essere considerato al nord dell’isola, per la Namibia naturalmente a sud. Rappresaglie e scontri locali continuarono per anni e anni. I livelli di tensioni costanti, fino all’occupazione militare dell’isola da parte del Botswana Defence Force. Fu solo nel 1996 che i governi di entrambi i paesi decisero di chiamare a risolvere le controversie la Corte Internazionale di Giustizia per stabilire cosa si dovesse fare. La Corte prese in considerazione entrambe le due versiioni. La sentenza finale della Corte fu a favore del Botswana, indicando che il “grande canale” corrispondeva al braccio del Chobe River che scorre a nord dell’isola. La Cina ha cominciato a riempire l'immenso bacino idrico risultante dallo sbarramento del fiume Yangtze con la Diga delle Tre Gole, la cui costruzione ha avuto inizio nel 1993. Si tratta del più grande progetto idroelettrico mai realizzato al mondo. Lo sbarramento, costato circa 25 miliardi di dollari, ha un'altezza di 185 metri pari alla Tour Eiffel ed il bacino ha una lunghezza di 436 chilometri. La profondità finale dell’acqua prevista è di 175m. Milioni di persone sono state costrette a lasciare le loro case: si stima infatti che circa 150 città grandi e piccole e 1300 villaggi finiranno inghiottiti dalle acque,senza contare gli 8000 siti archeologici distrutti. I lavori di costruzione degli impianti per la produzione di elettricità continueranno fino a tutto il 2009. Quest’opera temeraria ha avuto tra le sue conseguenze collaterali la nascita del primo movimento “verde” nella Cina comunista. Tra i suoi pionieri ci sono anche due donne.Dai Quing, ex cronista del Guangming Daily scoprì i rischi per l’ambiente costruendo la diga inserendoli in un libro che fu censurato fino al 1992. Secondo gli ecologisti, il progetto è davvero pericoloso, perché rischia di turbare in modo imprevedibile l'equilibrio ambientale. Inoltre, già a poche ore dall’inizio del riempimento del bacino, è stata notata la presenza di fessure nell'opera. Lo Yangtze non è un fiume consueto trasporta mille volte più terra del Mississippi. Nel suo percorso trascina ogni anno 530 tonnellate di fango, sabbia e sassi. Ora questa colata invece di scorrere via va a sbattere e a depositarsi contro la muraglia artificiale, e infatti gli ingeneri hanno dovuto costruire una seconda diga, sommersa. La gente comune ha paura. In Cina dal 1949 sono crollate tremila dighe. Il disastro più grave, dopo i nubifragi torrenziali del 1975 nello Henan, vide cadere 62 dighe nuove, una dopo l’altra, Morirono 250.000 persone. Nella foto: una veduta aerea della diga delle Tre Gole (Ap) Negli ultimi vent'anni l'Egitto ha deviato le sue acque verso territori del deserto del Sinai in cui erano stati avviati progetti di recupero del territorio, contravvenendo le leggi internazionali, dato che il Nilo scorre attraverso Sudan, Etiopia, Uganda, Kenya, Tanzania, Ruanda, Burundi e Zaire. Le acque del Nilo dovrebbero quindi essere condivise equamente e razionalmente tra tutti questi Paesi e non deviate fuori dal loro bacino di raccolta. Nel 1996 Mubarak annunciò il suo piano di deviazione dell'acqua del Nilo dalla zona al di sotto del Canale di Suez verso la parte settentrionale del deserto del Sinai, a est del Canale, a 40 km dalla striscia di Gaza. Molti pensano che quest'acqua alla fine arriverà in Israele. Molti territori sahariani si sono fortemente opposti al progetto egiziano di deviazione tra cui l'Etiopia che ha disperatamente bisogno di sviluppare progetti idrici per coltivare viveri per la sua popolazione. Ironicamente il Nord del Sinai nel sottosuolo è pieno d'acqua e le precipitazioni sarebbero sufficienti, se venisse coltivato, per sostenere almeno un milione di persone della zona. Minacce di guerra totale, esercitazioni dei rispettivi eserciti lungo le frontiere, proclami bellicosi da parte dei due governi. Questi gli ingredienti del pericoloso cocktail di guerra che si stava preparando alla frontiera tra Siria e Turchia nel 1998, dopo che Ankara aveva ammonito Damasco a sospendere il supporto offerto ai guerriglieri curdi del PKK. Ma al di là delle motivazioni politiche vi era una più elementare causa di attrito: l'acqua. Già all'inizio degli anni '90 il Pentagono e la Banca Mondiale valutarono che la costruzione dell'immenso bacino idroelettrico turco basato sulla gigantesca diga Ataturk avrebbe potuto provocare un conflitto tra Ankara ed i suoi vicini meridionali, Siria ed Iraq, per il controllo delle acque dell'Eufrate. Da quando è stato imbottigliato nelle dighe e nei bacini dell'Anatolia, il flusso del fiume è calato progressivamente fino a determinare un crollo della portata d'acqua in Iraq e Siria. Nonostante la mediazione del presidente egiziano Mubarak la tensione tra i due paesi è cresciuta con il rischio di un conflitto in cui Damasco avrebbe potuto verificare la potenza di missili balistici pervenuti da Cina e Russia innescando una reazione a catena che avrebbe portato a tragici esiti. Gli effetti di un conflitto sui delicati equilibri medioorientali sarebbero stati devastanti coinvolgendo senza dubbio anche Libano e Iraq. Nonostante Ankara abbia promesso un ulteriore aumento del flusso d'acqua diretto nei paesi vicini il contenzioso sembra destinato a restare aperto dal momento che la Turchia ha la possibilità di togliere in qualunque momento l'acqua a Iraq e Siria. Dopo cinquant'anni di guerre combattute per il petrolio il Medio Oriente scopre improvvisamente che il vero oro è rappresentato dall'acqua. La Turchia sta costruendo dighe sul Tigri e sull'Eufrate, che scorrono attraverso Siria e Iraq. Inoltre la Turchia ha firmato, nel 2004, un trattato con Israele per inviare 50 milioni di metri cubi d'acqua l'anno, per 20 anni, in cambio di armi. Questo viene chiamato il Grande Progetto Anatolico e include vasti progetti di irrigazione, sette dighe sull'Eufrate, sei dighe sul Tigri e la gigantesca diga di Ataturk. La diga di Ataturk priverà la Siria e l'Iraq della maggior parte del corso dell'Eufrate. Con Israele che già si appropria dell'acqua del Giordano dalle Alture del Golan, la Siria sarà seriamente priva d'acqua quando il Grande Progetto Anatolico della Turchia sarà completato. Israele riceve due terzi della sua acqua dai territori che ha invaso: le alture del Golan e la Cisgiordania. Prende l'acqua dal Giordano contravvenendo alle leggi internazionali che stabiliscono che l'acqua non deve essere deviata dal suo bacino di raccolta. Quest'acqua viene poi trasportata alle città, alle fattorie e alle industrie israeliane. Il fiume Giordano scorre dalle alture del Golan, in Siria e Libano, attraverso la Giordania, Israele e Palestina. Israele iniziò a prendere acqua dalle alture del Golan nel 1949 cacciando gli abitanti dei villaggi. Nel settembre del 1953 Israele iniziò a costruire in segreto un condotto per deviare il Giordano. Quando gli USA se ne accorsero furono applicate delle sanzioni e Israele sospese i lavori, ma ben presto furono riavviati e il canale completato. Siria e Giordania protestarono contro l'appropriazione da parte di Israele della loro acqua ma Israele ignorò le risoluzioni del Consiglio di sicurezza dell'ONU e occupò le alture del Golan nel 1967. Nel 1982 invase il Libano e prese il controllo dei fiumi Hasbani e Wazzani che confluiscono nel Giordano, oltre che del Litani. Un quarto dell'acqua che rimane in Israele proviene da riserve sotterranee nella Cisgiordania, che fu occupata nel 1967. Nel 1994 Giordania e Israele firmarono un trattato di pace in cui Israele accettava di condividere l'acqua del Giordano, ma nel 1999 Israele tagliò la fornitura d'acqua alla Giordania del 60% a causa della siccità. Nel 1997 la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto in materia di utilizzo dei corsi d'acqua internazionali per scopi diversi dalla navigazione stabilì chiaramente come queste acque dovessero essere condivise: equamente e razionalmente. I Palestinesi, secondo questo principio, hanno diritto a una parte equa e razionalizzata delle acque internazionali situate nella loro terra. Al momento non possono godere di questo diritto. Le severe restrizioni che Israele impone sull'uso dell'acqua agli agricoltori palestinesi limita decisamente la loro possibilità di coltivare. • Distribuzione in diverse zone dell'acqua del fiume A volte anche la principale fonte di vita dell’umanità può diventare causa di odio e morte. Le diciotto vittime degli scontri avvenuti tra le popolazioni Maasai e Kikuyu nella Rift Valley, Kenya centrale, sono una testimonianza di quanto oggi l’accesso alle risorse idriche in alcune aree del mondo basti a scatenare tensioni e manifestazioni di violenza e una catena di sangue. Nel distretto di Narok un gruppo di guerrieri Maasai muniti di armi tradizionali ha attaccato alcuni membri della popolazione Kikuyu, uccidendone uno a colpi di machete e ferendone altri. Secondo le testimonianze riportate dall’agenzia sudafricana Sapa, i Maasai avrebbero voluto vendicare un membro del loro clan ucciso giorni fa da alcuni componenti del gruppo rivale, alimentando una catena di vendette e faide cominciata il 21 gennaio scorso. Quel giorno, alcuni Maasai fecero irruzione nel campo di un coltivatore Kikuyu, colpevole di aver deviato il corso del fiume Ewaso Kedong per irrigare i propri campi, lasciando a secco le mandrie dei celebri guerrieri che per secoli hanno dominato le pianure del Kenya e della Tanzania. Ne è nata una piccola guerra che ha destabilizzato entrambe le comunità e che rischia di prolungarsi a lungo, se le autorità locali e quelle governative non interverranno in tempo. Acqua e politica. La guerra per l’acqua tra Maasai, Kikuyu e altre popolazioni delle regioni interne del Kenya è una questione che va avanti da almeno un secolo. Molto tempo prima dell’indipendenza, i Maasai vivevano in una vasta regione del Kenya centrale. Il colonialismo britannico e le lotte per il potere interno negli anni di Yomo Kenyatta li tagliarono fuori, relegandoli in alcune aree che costituiscono una piccola parte della terra di cui prima erano signori. I Maasai rivendicano diritti territoriali antecedenti al governo coloniale e a quello dell'indipendenza. Lo stato non interviene e non fa nulla per risolvere questi conflitti”. Ma c’è di più. Da qualche tempo, i Maasai sono in conflitto con il governo dell’attuale presidente, Mwai Kibaki. Alcuni capi clan si sono presentati alle porte del palazzo del governo, nella capitale Nairobi, chiedendo la restituzione di un milione di ettari di terra lasciata in concessione agli inglesi nel 1905. I Maasai sostenevano che il contratto scadesse dopo 99 anni. Il governo, li ha liquidati sostenendo che il contratto fosse valido per 999 anni, e che i guerrieri avevano sbagliato data: si dovranno ripresentare nell’agosto del 3004. Il XXI secolo sarà dunque il secolo delle guerre per l’acqua? Le preoccupazioni causate dalla scarsità d’acqua non sempre sfociano automaticamente in uno scontro, ma . Certamente la questione idrica risultare un elemento importante come dimostra il caso del Nilo o dell’Eufrate ma Spesso essa si aggiunge a cause territoriali, socio-economiche o politiche precedenti, esacerbandole. E’ il caso della Cina, che avverte come una minaccia reale la penuria d’acqua che la colpisce, poiché questa rimette in discussione la sicurezza alimentare. Nel conflitto arabo-israeliano, l’acqua è diventata la continuazione della competizione per la spartizione delle terre. La disputa tra Siria e Turchia che avrebbe potuto portare a uno scontro armato tra i due Paesi. E la storia si ripete in molte parti del mondo. In molte regioni del mondo l’acqua è oggetto di dispute a volte sempre più violente,quindi ci si chiede:come poter prevenire tutto questo? - Tracciare una mappa delle cause e caratteristiche dei conflitti legati alle risorse d'acqua nei sei bacini internazionali. - Identificare ostacoli ed incentivi alla gestione cooperativa delle risorse idriche dei bacini Aumentare la coscienza e la comprensione, a livello pubblico e politico, dei temi della gestione delle acque internazionali, della prevenzione dei conflitti e della condivisione dei vantaggi derivanti dalla cooperazione. - Consolidare il dialogo tra le parti, in particolare governi nazionali e locali, società civile e settori privati. - Coinvolgere ogni Paese e settore nella ricerca di soluzioni concrete, reciprocamente vantaggiose e sostenibili. • - Creare un ambiente che consenta l'attuazione delle migliori procedure di prevenzione dei conflitti, investimenti e progetti sostenibili. - Prevenire nuovi conflitti derivanti da (trasformazioni politiche, privatizzazioni, crescita demografica, aumento dei fabbisogni energetici, situazioni di emergenza, mutamenti climatici. Gestire meglio le risorse, la scarsità d’acqua, più che un problema di quantità rappresenta una battaglia di idee, di modelli di governo, di scelte politiche. Prima o poi queste certine andranno fatte: il prima sarà, meglio sarà, per evitare che le tensioni si accumulino e finiscano col minacciare la società, conducendola alla guerra civile; prima che cambiamenti climatici non determino un’accelerazione di questi polemiche. www.greencrossit alia.it www.sgrtv.it www.warnews.it www.equilibri.net www.internaziona le.it