Omelie dei Padri
Patriarcato Ecumenico - Sacra Arcidiocesi Ortodossa di Italia e Malta
Vicariato arcivescovile della CampaniaChiesa dei SS. Pietro e Paolo- Napoli
Omelia 21
di S. Gregorio Palamas
ASCENSIONE del SIGNORE
(prima parte)
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1. I giudei festeggiavano la pasqua della legge, cioè il passaggio dall’Egitto alla terra di
Palestina; abbiamo festeggiato anche noi la Pasqua dell’Evangelo, cioè il passaggio della
nostra natura, innestata in Cristo, dalla morte alla vita, dalla corruzione all’immortalità.
Quale discorso potrà dimostrare la superiorità della nostra Pasqua nei confronti delle
solennità dell’antica legge e del tema delle antiche feste? Discorso umano non saprebbe
esprimere degnamente l’altezza di questa eccellenza; ma la Sapienza consustanziale del
Padre, del Verbo di Dio che prede i tempi e le essenze, che nel suo amore si è fatto una
cosa sola con noi e con noi ha vissuto, ci ha mostrato oggi il motivo per festeggiare le
sue opere, straordinariamente più alto anche di questa altezza. Oggi infatti noi
festeggiamo il passaggio della nostra natura, innestata in lui, non dagli inferi alla terra, ma
dalla terra al cielo del cielo, al trono, al di là del cielo, del Signore dell’universo. Oggi,
infatti, non solo, dopo la risurrezione, il Signore stette in mezzo ai suoi discepoli, ma
anche si separò da essi, e sotto i loro occhi ascese al cielo, salì ed entrò nel vero santo dei
santi, e sedette alla destra del Padre; Egli è al di sopra di ogni principato e potenza, al di sopra di
ogni nome e di ogni dignità, conosciuta e nominata sia nel tempo presente sia nel tempo a
venire. Come, prima della risurrezione del Signore, molte risurrezioni sono avvenute,
così avvennero molte ascensioni prima della sua ascensione: lo Spirito elevò al cielo il
profeta Geremia, un angelo Abacuc, e, soprattutto, è scritto che Elia fu assunto su un
carro di fuoco. Ma neppure Elia oltrepassò la sorte assegnata ai terrestri; l’ascensione di
ciascuno di costoro era come un trasferimento, che li innalzava dalla terra, ma non li
conduceva fuori dai limiti terrestri. Nello stesso modo quelli che risuscitarono tornarono
di nuovo sulla terra e tutti morirono. Ma da quando Cristo è risuscitato dai morti, la
morte non ha più potere su di lui e così, da quando è asceso e siede nell’alto dei cieli,
ogni altezza è più bassa di lui, testimonianza per tutti che egli è Dio su tutte le cose. E
questo è quello che Isaia chiama il monte luminoso di Dio, la dimora di Dio al di sopra di
tutti i monti spirituali, il corpo del Signore: infatti non un angelo, non un uomo, ma lo
stesso Signore venne attraverso la carne e ci salvò, fatto, per noi, simile a noi, pur
rimanendo immutabilmente Dio. Come quando discese non cambiò di sede, ma condiscese, così di nuovo sale al cielo non trasferendosi nella divinità, ma intronizzando, là
in alto, la nostra natura che egli assunse. Era veramente necessario che là fosse
presentata a Dio la nostra natura, la primogenita dei morti, come la primizia dei
primogeniti offerta per tutto il genere umano.
2. Molte furono le risurrezioni e le ascensioni ma nessuna noi festeggiamo come la
risurrezione e l’ascensione del Signore, poiché delle altre noi non abbiamo né avremo
parte. Da esse non abbiamo altro giovamento che di essere spinti alla fede nella
risurrezione e nell’ascensione del nostro Salvatore, alle quali tutti quanti partecipiamo e
parteciperemo. Questa, infatti, è la risurrezione e l’ascensione della carne dell’uomo e
non semplicemente della natura umana, ma anche di coloro che hanno fede in Cristo e
che questa fede mostrano nelle loro opere. Infatti ciò che il Signore è divenuto, lo è
divenuto per noi, lui che, per la propria natura divina, era ingenerato e increato; e quella
vita che visse, la visse per noi, per mostrarci la via che conduce alla vera vita; e la
passione che patì nella sua carne, per noi la patì, per guarirci dalle nostre passioni, e per i
nostri peccati fu condotto a morte, e per noi risuscitò e ascese al cielo, preparandoci la
risurrezione e l’ascensione per l’eternità; e tutti gli eredi di questa vita imitano, per
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quanto ne sono capaci, la condotta della sua vita sulla terra. Principio di questa
imitazione è per noi il santo battesimo, che è figura della sepoltura e della risurrezione
del Signore; parte centrale è la vita secondo la virtù, e la condotta secondo l’evangelo;
compimento è la vittoria sulle passioni ottenuta attraverso le lotte spirituali, vittoria che
ci procura la vita esente da dolore e da morte, la vita celeste. Così ci dice anche
l’Apostolo: Se vivete secondo la carne, morirete; se invece con la forza dello Spirito, darete morte alle
opere del corpo, vivrete. Coloro dunque che vivono secondo Cristo, imitano la sua condotta
di vita da quando aveva un corpo di carne; muoiono, quando giunge la loro ora, poiché
anch’egli è morto nella carne, e nella carne anch’essi, come lui, risorgeranno, gloriosi e
immortali, non ora, ma quando il tempo verrà; e poi saranno assunti in cielo, come dice
Paolo: Saremo rapiti tra le nubi, incontro al Signore, nel cielo, e così saremo sempre con il Signore.
3. Vedete dunque come ciascuno di noi, purché lo voglia, sarà accomunato nella
risurrezione e nell’ascensione del Signore, sarà erede di Dio, coerede di Cristo? Per
questo grande è la nostra gioia mentre festeggiamo la risurrezione, l’ascensione,
l’insediamento in cielo della nostra natura, primizia della risurrezione e dell’ascensione di
ciascuno dei credenti, e mettiamo al centro del nostro pensiero le parole evangeliche di
cui oggi si darà lettura, cioè: Il Signore risorto si fermò in mezzo ai suoi discepoli. Perché
dunque stette in mezzo ad essi, con essi si accompagnò nel cammino, li condusse fuori, verso
Betania, e, elevate le mani al cielo li benedisse? Lo fece per mostrarsi tutto quanto salvo e
integro, per far vedere i piedi che pur conservando le ferite dei chiodi, e le mani
trapassate, sulla croce, dai chiodi, il fianco trafitto dalla lancia, i segni incancellabili delle
percosse, e per confermare così la fede nella passione salvifica. A me l’espressione: Stette
in mezzo ai discepoli sembra dimostrare anche che essi furono confermati nella fede in
lui; attraverso tale apparizione e benedizione, infatti, non solo stette in mezzo a tutti
loro, ma stette nel centro del cuore di ciascuno e ciascuno confermò nella fede. Così per
ciascuno di essi è possibile dire la parola del salmo: Dio è in mezzo ad essa; non potrà vacillare.
Da allora gli apostoli del Signore sono divenuti caldi e incrollabili. Stette dunque in mezzo a
loro e disse: “Pace a voi”, parola dolce, consueta, a lui usuale. La pace è di due specie: quella
che abbiamo con Dio, che è il frutto della fede in lui, e quella che abbiamo gli uni verso
gli altri, frutto naturale della parola evangelica; qui, il Signore ce le ha date entrambe con
una sola parola di saluto. E come ordinò di fare ai discepoli, la prima volta che li mandò,
dicendo: In qualunque casa entrate, dite: “Pace a questa casa”, così anch’egli fa: entrato nella
casa in cui erano radunati, subito diede loro la pace. E li vide sbigottiti e sconvolti per
quella visione inaspettata e straordinaria; credevano infatti di vedere uno spirito, cioè che
quello che vedevano fosse un fantasma. Ed egli, svelando i turbamenti del loro cuore ed
annunciando di essere colui al quale, prima della passione e della risurrezione, avevano
detto: Ora sappiamo che tu sai tutto e non hai bisogno che alcuno ti interroghi, li rassicurò
offrendosi alle loro domande e al loro contatto. E come vide che avevano compreso la
verità, li rassicurò con quest’altra prova, cioè offrendo loro, sotto i loro occhi, la pace e la
comunione del pasto. E poiché ancora non potevano credere ed erano stupiti, non più per
l’incertezza, ma per la gioia, disse loro: Avete qui qualcosa da mangiare? Ed essi gli diedero un pezzo
di pesce arrostito e un favo di miele; egli li prese e, sotto i loro occhi, mangiò.
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4. Si nutrì, quel corpo senza macchia dopo la risurrezione, non perché avesse bisogno di
cibo, ma per confermare la fede nella propria risurrezione e per mostrare che era, anche
ora, lo stesso corpo, quello che prima della passione mangiava con loro. Consumò il cibo
non secondo i processi naturali dei corpi mortali, ma per mezzo di un’energia divina. Si
potrebbe dire che avvenne come per il fuoco che consuma la cera, tranne che il fuoco ha
bisogno di materia per bruciare, mentre i corpi immortali non hanno bisogno di alimento
per sussistere. Egli mangiò un pezzo di pesce arrostito e un po’ di miele tratto dal favo,
simboli anche questi del suo mistero: la nostra natura, infatti, come il pesce, nuota
nell’umido elemento dei piaceri e delle passioni e il Verbo di Dio, avendola unita
ipostaticamente a se stesso e purificata da ogni comportamento passionale col divino e
inaccessibile fuoco della sua divinità, l’ha resa simile a Dio e come infuocata. Rende
simili a Dio non solo l’impasto creaturale che egli ha assunto per noi, ma anche ciascuno
di coloro che sono degni della comunione con lui, rendendolo partecipe del fuoco che il
Signore è venuto a portare sulla terra. A favo di miele è simile la nostra natura, che
racchiude in se stessa, come miele, il tesoro spirituale, o piuttosto, favo di miele è
ciascuno di coloro che credono in Cristo; trattiene infatti in se stesso, nell’anima e nel
corpo, la grazia, custodita in lui come miele nel favo. Il Signore, dunque, mangia di questi
cibi, poiché fa volentieri suo proprio cibo la salvezza di ciascuno di quelli che sono resi
partecipi della sua natura; non mangia tutto, mangia da un favo di miele, cioè una parte,
poiché non tutti hanno creduto, e non prende con le sue mani quella parte, ma questa gli
è offerta dai discepoli; i discepoli infatti gli presentano soltanto coloro che hanno
creduto, separandoli dagli infedeli. Così anche attraverso queste azioni, mangiando cioè
del pesce e del miele sotto gli occhi dei discepoli, il Signore rammentò loro le parole che
aveva detto prima di incamminarsi verso la passione, provando anche così che era
veramente lui: come aveva predetto, così infatti avvenne. Egli aprì la loro mente, perché
comprendessero le Scritture e conoscessero che, come era stato scritto, così era
avvenuto. Era necessario che, nell’indescrivibile oceano del suo amore per gli uomini, il
Figlio Unigenito di Dio si facesse uomo per gli uomini, e che dall’alto la voce del Padre e
l’apparizione del divino Spirito lo rivelassero e ne dessero testimonianza. Era necessario
che fosse creduto e ammirato per l’eccezionalità delle sue opere e delle sue parole, che
divenisse oggetto di invidia e fosse tradito da coloro che non cercano la gloria di Dio, ma
quella degli uomini; che fosse messo in croce e sepolto e risorgesse dai morti il terzo
giorno, e che, nel suo nome, fosse proclamata la conversione e il perdono dei peccati, e
che l’annuncio partisse da Gerusalemme. Suoi araldi e testimoni dovevano essere quelli
che con i loro occhi avevano visto ed erano diventati suoi servitori; ad essi promise che
avrebbe mandato dall’alto ciò che il Padre aveva promesso, cioè lo Spirito santo, e
ordinò loro di rimanere a Gerusalemme, finché non fossero stati rivestiti della potenza
proveniente dall’alto.
5. Il Signore rivolgeva dunque ai suoi discepoli queste parole di salvezza, li fece poi
uscire di casa e li condusse a Betania. Dopo che li ebbe benedetti, si separò da loro, ed
ecco, era trasportato in cielo, e il suo carro era una nube di luce. Ascese dunque nella
gloria ed entrò nel santo dei santi, non fatto da mano d'uomo, sedette nei cieli alla destra
della Maestà, rendendo il nostro impasto di creature mortali partecipe del trono e della
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divinità. Gli apostoli non cessavano di fissare il cielo, quando, per l'autorità degli angeli,
appresero che il Signore discenderà di nuovo dal cielo, e tutti lo vedranno. Così anche lo
stesso Signore aveva predetto, e Daniele aveva previsto. Dice: Io vidi uno, simile a un Figlio
di uomo, avanzare sulle nubi del cielo; e il Signore: Tutte le tribù della terra vedranno il Figlio
dell'uomo venire sopra le nubi del cielo. Allora i discepoli adorarono, dal Monte degli Ulivi da
dove era asceso, il loro sovraceleste Signore, che era disceso dall'alto e aveva fatto della
terra un cielo e che di nuovo era salito di dove era disceso; egli aveva congiunto quanto
stava in basso a ciò che stava in alto; celeste e a un tempo terrestre aveva costituito la sua
chiesa a gloria del suo amore per gli uomini. Pieni di gioia, gli apostoli ritornarono a
Gerusalemme, e stavano sempre nel tempio; la loro mente era in cielo, ed essi lodavano e
benedicevano Dio, preparandosi ad accogliere la preannunciata venuta dello Spirito divino.
Questo è, in sintesi, fratelli, il modo di vivere di coloro che sono chiamati da Cristo:
perseverare nelle suppliche e nelle preghiere, e, imitando gli angeli, tenere l'occhio della
mente fisso verso il Signore, che sta al di sopra dei cieli, lodarlo e benedirlo con una vita
irreprensibile, e così accogliere la sua mistica venuta, secondo le parole di colui che disse:
Comporrò salmi e comprenderò su di una via senza biasimo, quando verrai da me. Anche il grande
Paolo spiegò questo quando disse: La nostra patria è nei cieli, dove Gesù è entrato aprendo per
noi la strada. E anche il capo degli apostoli, Pietro, a questo ci conduce, quando dice:
Cingetevi i fianchi della mente, vivete in perfetta sobrietà e sperate nella grazia che vi viene offerta nella
rivelazione di Gesù Cristo che voi amate, pur non vedendolo. Questo disse, se pure in enigma,
anche il Signore, quando dice: Siano cinti i vostri fianchi e siano accese le lucerne, e voi siate simili
a uomini che aspettano il ritorno del loro Signore. In questo modo egli non abolì il sabato, ma lo
portò a compimento, dimostrando che il sabato è veramente giorno benedetto, giorno in
cui le fatiche del corpo hanno una sosta per un fine superiore. Per questo spetta al
sabato l'eredità della benedizione, quando, liberi dalle opere di questa terra, opere che tra
non molto perderanno la loro efficacia, noi ci eleviamo a Dio, cercando, con speranza
che non teme vergogna, beni celesti e incontaminati.
6. Nell'antica legge il primo dei giorni della settimana era il sabato; perciò agli stolti
giudei sembrò che il Signore avesse abolito il sabato della legge, ma lo stesso Signore
disse: Non sono venuto per abolire la legge, ma per portarla a compimento. Perché non abolì il
sabato, ma gli diede compimento e, attraverso di questo, diede compimento alla legge.
Egli promise che avrebbe dato lo Spirito santo a coloro che notte e giorno glielo
chiedono, e ordinò di essere sempre svegli e vigilanti, dicendo: Siate pronti, poiché nell'ora in
cui non pensate il Figlio dell'uomo verrà. Egli ha reso tutti i giorni come un sabato benedetto
per coloro che hanno scelto di dargli perfetta obbedienza, e così non ha abolito, ma
anche in questo modo ha dato compimento alla legge. Ma voi, che siete implicati nelle
opere di questo mondo, se vi asterrete dall'avidità, dall'odio che vi oppone gli uni agli
altri, e se cercate la verità e la castità, anche voi potrete fare di tutti i giorni un sabato,
poiché non fate il male. E quando si presenta il giorno più degli altri salutare, bisogna
astenersi da tutti i lavori e le parole anche non biasimevoli, e sostare a lungo nella chiesa
di Dio, porgere orecchio e mente alla lettura e all'insegnamento, attendere con
contrizione alla supplica e alle preghiere, ed elevare inni a Dio. Darete così anche voi
compimento al sabato vivendo secondo l'evangelo dell'amore di Dio, elevando gli occhi
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della vostra mente a Cristo, che con il Padre e lo Spirito siede al di sopra dei cieli, che ci
ha reso figli di Dio non semplicemente adottandoci con un nome, ma nella comunione
dello Spirito divino, attraverso la sua carne e il suo sangue, rendendoci familiari di Dio e
gli uni degli altri.
7. Custodiamo dunque attraverso un amore indissolubile questa unità fra di noi;
eleviamo sempre in alto il nostro sguardo, verso colui che ci ha generati. Non siamo più,
infatti, uomini di terra, come il primo uomo, ma siamo come il secondo uomo, il Signore
del cielo. Come il primo uomo terrestre, terrestri erano gli uomini, quale l'uomo celeste,
tali sono anche gli uomini celesti. Come dunque noi portammo l'immagine dell'uomo di
terra, cerchiamo di portare anche l'immagine dell'uomo celeste, e, levando in alto il
nostro cuore verso di lui, contempliamo questa grandiosa visione, la nostra natura, che
perennemente dimora nel fuoco immateriale della divinità e, deponendo le vesti di pelle,
che dal tempo della trasgressione abbiamo indossato, teniamo fermo il nostro passo sulla
terra santa, dimostrando che terra santa è la nostra virtù e il cammino senza deviazioni
verso Dio. Avremo così perfetta fiducia, perché Dio abita nel fuoco, accorrendo verso di lui,
saremo illuminati e, uniti a lui, vivremo nella luce, nella gloria della chiarità altissima,
dello splendore di quel triplice e unico sole. Ad esso ogni gloria, potenza, onore e
adorazione, ora e sempre, e nei secoli i secoli. Amin.
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