Un modello obsoleto?
Crescita e specializzazione dell’economia
italiana
(R.Faini e A.Sapir)
“Oltre il declino” Fondazione Rodolfo Debenedetti
Discussant: Fabrizio Onida, Università Bocconi
Roma, 3 febbraio 2000
Tesi degli Autori
Perdita di competitività (quote mercato UE e mercato
mondiale) e crescita lenta ultimo decennio non sono spiegate
da:
 forti spinte salariali (anzi: moderazione salariale)
 shocks idiosincratici di offerta: volatilità e rincari prezzi
energia e materia prime, ciclo del dollaro, crisi finanziaria
Asia 1997-98 hanno colpito Italia in modo identico o solo
lievemente diverso rispetto agli altri concorrenti UE
 cambio reale sopravalutato
Spiegazione principale: modello di specializzazione più rigido,
più esposto a concorrenza EMs, meno intensivo in capitale
umano e alte tecnologie, con circolo vizioso domanda-offerta.
2
Commento generale
Ampia convergenza su queste tesi, con qualche
integrazione:




cambio reale e competitività-costi
settori e prodotti di specializzazione
dimensioni d’impresa
vincoli finanziari e di governance alla crescita delle
imprese
 politiche per cambiare il modello di specializzazione
3
Cambio reale e competitività (1)
Dopo alterne vicende negli anni ’80, negli anni ’90 la relative
export performance misurata dall’OECD (crescita reale
effettiva delle esportazioni di beni e servizi meno la crescita
reale delle importazioni dei rispettivi mercati di sbocco) , dopo
un guadagno cumulato di circa il 20% negli anni della crisi
della lira 1992-95, registra per l’Italia una impressionante serie
di andamenti negativi, che superano il 35% fino ad oggi. Nel
solo triennio 2002-04 la perdita cumulata supera il 18%.
4
Export performance (beni e servizi)
(1985=100)
140
120
Italy
France
100
Germany
80
United
Kingdom
USA
Japan
Total
OECD
60
40
85 86 87 88 89 90 91 92 93 94 95 96 97 98 99 00 01 02 03 04 05 06
5
Fonte: Economic Outlook n°76, OECD (2005)
…segue
La perdita di quota dell’Italia non è dunque, se non in misura
limitata come da vari esercizi di CMS (ICE 2002 e 2003),
riconducibile ad una sfavorevole composizione geografica dei
mercati di sbocco delle esportazioni, ma va attribuita alla
sfavorevole composizione settoriale (modello di
specializzazione) e al “residuo” fattore di competitività.
6
Cambio reale e competitività (2)
• Vari confronti su livello e andamento del cambio reale non
danno informazioni univoche. Misurato in termini di CLUP
(serie storiche OECD), negli anni ’90 il cambio reale per
l’Italia mostra un andamento speculare a quello di Francia e
Germania, e soprattutto appare oggi aver più che esaurito il
vantaggio da deprezzamento del 1993-95 (qualche discrepanza
con indici IMF).
• Il quadro appare meno sfavorevole con indici di cambio reale
in termini di prezzi al consumo o prezzi industriali.
• Esperienze dirette occasionali di imprese con impianti in
Europa.
7
Costi unitari del lavoro relativi
(1995=100)
160
140
120
100
80
60
86
87
88
89
Italy
90
91
France
92
93
94
Germany
Fonte: Economic Outlook n°76, OECD (2005)
95
96
97
United Kingdom
98
99
Spain
00
01
USA
02
03
04
Japan
8
Cambio reale e competitività (3)
Il deflatore del PIL negli anni post-ingresso nell’euro mantiene
una crescita sistematicamente superiore alla media
dell’euroarea. Anche con questo indicatore il cambio reale per
l’Italia tende ad apprezzarsi rispetto agli altri paesi dell’euro,
esercitando una pressione crescente sui margini di manovra
delle imprese esposte alla concorrenza internazionale. Tanto
più perché:
 i nuovi concorrenti (Cina e vari EMs) che competono molto
sul prezzo emergono soprattutto dalla seconda metà degli anni
‘90
 a causa del proprio modello di specializzazione l’Italia è
maggiormente esposta alla concorrenza sul prezzo rispetto ai
concorrenti più avanzati europei
9
Deflatori del PIL
(1990=100)
170
160
150
140
Italy
130
Euro-area
120
USA
110
United
Kingdom
Japan
100
90
80
90
91
92
93
94
95
96
97
98
Fonte: Economic Outlook n°76, OECD (2005)
99
00
01
02
03
04
05
10
Modello di specializzazione
I limiti del modello di specializzazione dell’Italia e della sua
persistenza nel tempo a differenza della generalità dei
concorrenti più avanzati (da cui crescente divergenza con i PI e
pericolosa maggior somiglianza ai PVS) rimandano a variabili
tra loro interdipendenti:
(a) industry specific (caratteristiche strutturali dei settori)
(b) firm specific (dimensione, governance impresa familiare)
(c) country specific (politiche, finanza)
11
Caratteristiche industry specific
A partire dall’inizio degli anni ’90 (Fig. 8 Faini-Sapir) i settori
di vantaggio comparato sono tendenzialmente a crescita lenta
della domanda mondiale. Questa sfavorevole composizione
settoriale si accentua dopo la fase della lira debole che dà un
effimero rilancio al “made in Italy”
12
Crescita delle importazioni mondiali e quote
di mercato per mercato
Fonte: ICE (2004)
13
In particolare i settori Tradizionali (supplier dominated,
Pavitt), i quali peraltro subiscono le perdite di quota più
vistose negli anni recenti, sono:
 meno intensivi in manodopera qualificata (CEC 1999,
Chiarlone-Helg 2002)
 meno intensivi in ICT
 meno orientati alla R&S di laboratorio come fonte di
innovazione di frontiera
 più esposti alla concorrenza dei paesi a basso costo del lavoro
e dei servizi, ma solo nelle fasce basse e medie di qualità.
14
…segue
Queste fasce di prodotti infatti stanno perdendo peso
sull’export mix, contribuendo a spiegare il puzzle delle quote
export calanti a prezzi costanti più che a prezzi correnti e
la minore somiglianza Italia-Cina quando si introducono indici
di qualità. (De Nardis-Traù 1999, Amighini-Chiarlone 2004,
Prometeia-ICE 2003)
15
Ancora, questi settori tradizionali sono dominanti nei distretti
industriali, la cui formula di successo dagli anni ’70 in poi è
oggi messa in crisi dalle tendenze di fragmentation dei
processi produttivi, con outsourcing di parti, componenti e
prodotti finiti in una logica di economie di scala di filiera che
comporta crescenti backward and forward linkages extradistretto e una internazionalizzazione basata su IDE e non solo
export.
Strategia non facile per le imprese e con pesanti costi
d’aggiustamento per i territori: delocalizzare le fasi
manifatturiere per i prodotti “non di qualità”, mantenere
concentrate le fasi di R&S, design, progettazione
ingegneristica, marketing, finanza.
16
Nei settori dei beni strumentali (v. indici di Balassa) negli
anni ’80 e seguenti si segnalano:
 punti di forza conquistati e mantenuti in quasi tutta la
meccanica strumentale “non elettrica” (macchine
operatrici per i vari processi manifatturieri)
 passaggio da vantaggi a svantaggi comparati
nell’Elettromeccanica e nell’Informatica (macchine per
ufficio)
 parziale recupero, restando nell’area degli svantaggi
comparati, nelle macchine generatrici e motori
(prevalentemente termoelettromeccanica)
 debolezza crescente negli autoveicoli stradali
Persistenti svantaggi comparati in larga parte dei settori ad
alta intensità delle nuove tecnologie (telecom, elettronica di
consumo, elettronica professionale, aeronautica), nonostante
alcune nicchie di specializzazione (radar e controllo traffico
per usi civili e militari, robotistica, elettromedicale...)
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Le imprese esportatrici riescono ad essere price makers nelle
fasce alte dei beni di consumo (De Nardis-Pensa 2004).
In generale, il comportamento asimmetrico del passthrough “cambio-prezzi in valuta estera” nelle fasi di
apprezzamento (pass-through pieno) e deprezzamento (passthrough incompleto) del cambio della lira 1989-2001
(Bugamelli-Tedeschi, forthcoming BI 2005) segnala la
preferenza delle imprese esportatrici verso profitti unitari
piuttosto che volumi: razionalità micro vs. esternalità
negative macro?
18
Diversi lavori su indici di commercio intra-industriale
sull’insieme dei settori trovano l’Italia - ad eccezione dei
settori del “made in Italy” di consumo - relativamente
caratterizzata da una specializzazione “verticale negativa”
(export di prodotti a valore medio unitario nettamente più
basso degli analoghi prodotti importati nello stesso settore),
assomigliante più a Spagna, Portogallo, Grecia che ai paesi
europei più avanzati: Bugamelli 2001, CEPII 1998,
Cipollone 1999, Chiarlone 2001)
19
Altri lavori sul pattern di specializzazione dell’Italia,
basandosi su indici di capitale umano definiti come intensità di
manodopera operai vs. dirigenti-impiegati, trovano l’Italia
relativamente specializzata in settori a bassa intensità di
capitale umano, in ciò tendendo più dei propri concorrenti
avanzati ad assomigliare ai patterns di specializzazione degli
EMs. Limite dei dati disponibili su disaggregazione FL a vari
livelli di qualifiche.
20
…segue
Analisi degli Autori (Tab. 10) conferma il crescente svantaggio
comparato dell’Italia nei settori intensivi in R&S (aspetto
solo parzialmente correlato all’intensità di manodopera
qualificata). A sua volta, la bassa propensione dell’Italia alla
R&S non dipende solo dalla composizione del prodotto ma
anche dai comportamenti delle imprese a parità di settori e
dimensione media d’impresa (Foresti 2002).
21
Caratteristiche “firm specific”
dimensione d’impresa
Imprese di minore dimensione:
 minor livello e tasso di crescita produttività del lavoro (Pagano-Schivardi
2001)
 minori investimenti fissi per addetto
 minor retribuzione per addetto e conseguente minor attrazione FL
qualificata
 minori investimenti ICT, minor propensione ad adottare tecnologie gestionali
basate su codifiche e standard informativi (Trento-Warglien e FabianiSchivardi-Trento 2003 da dati INVIND Banca d’Italia)
 minori investimenti in R&S
 minori innovazioni di prodotto e organizzative-gestionali e minor capacità di
intraprendere forme di internazionalizzazione più attiva della pura esportazione
(VIII Indagine Capitalia sulle PMI, 2002)
 minori investimenti in capitale umano (Traù 1999, Bugamelli-Pagano 2003)
 maggiori barriere all’entrata come esportatori in mercati lontani/difficili
(sunk cost of export) (Bugamelli-Infante 2003)
 maggiore instabilità come esportatori e minor numero di mercati (ICEISTAT)
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Principali indicatori delle imprese
manifatturiere italiane per classi di addetti
70000
60000
50000
40000
30000
20000
10000
0
Valore aggiunto per
addetto
1-9
Retribuzione lorda per
dipendente
10-19
Fonte: ISTAT, Rapporto Annuale (2002)
20-99
100-249
Investimenti per
addetto
250+
23
Caratteristiche “firm specific”
dimensione d’impresa (2)
Circolo vizioso domanda-offerta di FL altamente istruita e
qualificata, originato dal progressivo indebolimento dei
grandi gruppi industriali in concorrenza sul mercato aperto.
La “scomparsa dell’Italia industriale” (Gallino 2003) non
rappresenta solo l’emarginazione dal “cuore oligopolistico”
del mercato internazionale, ma anche intacca profondamente
gli incentivi alla formazione di capitale umano e in ultima
analisi di formazione della classe dirigente del paese
(endogeneità sottolineate dalla teoria della crescita
endogena, modelli di apprendimento ecc. Acemoglu et al.)
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Vincolo finanziario alla crescita
(firm-country specific)
Struttura finanziaria squilibrata:
 alto debito/attivo
 alta % debito bancario a breve
 alti oneri finanziari netti
 garanzie reali-personali vs. cashflow lending
 multiaffidamento
(Conti-Varetto e Guiso, in CSC 2004)
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Vincolo finanziario alla crescita e alla mobilità
del capitale tra imprese e settori
Imprese familiari con:
– struttura proprietaria concentrata, chiusa e lenta a
riallocarsi,
– governance societaria informale, condizionata da legami
di parentela, commistione proprietà-controllo, basata su
patti non trasparenti e bilanci poco informativi, assenza di
controlli interni, assenza di intermediari specializzati
(Unicredit Banca d’Impresa Scenari economici II 2004,
Cipolletta 2004).
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Ad esempio, nel campione di 834 imprese clienti UBI:
 nel 58% dei casi il DG ha legami di parentela col
proprietario
 nel 78% dei casi non ci sono membri indipendenti nel CdA
 nell’87% dei casi non esiste un Comitato Audit
 nell’82% dei casi l’affidamento è accompagnato da
garanzie reali o personali
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Sostegno pubblico a R&S e istruzione superiore può
incidere sul modello di specializzazione a condizione che:

siano lanciati e sostenuti dal governo grandi progetti
trasversali (energia, ambiente, spazio, biotec, nuovi
materiali...) in cooperazione tra industria e Università- CNRCentri di ricerca. Le giuste critiche a rinascenti velleità di
industria di Stato e il parallelo favore a politiche industriali
“orizzontali” (Rapporto Bangemann 1990 ecc.) non devono
sottovalutare il ruolo del settore pubblico come
catalizzatore di progetti, anche se non legati alla difesa.
28
…segue

incentivi industriali siano più rivolti a crescitaconcentrazione-collaborazione industriale che a garanzia del
piccolo che resta piccolo

ambiente burocratico statale e locale smetta di
essere/apparire ostile a esigenze di crescita dimensionale
delle imprese

sistema bancario ri-orienti la sua cultura verso
finanziamento della crescita e mobilizzazione del capitale di
rischio.
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Discussione prof. Onida - Fondazione Rodolfo DeBenedetti