Le origini del Bridge
E’ possibile apprezzare un buon manicaretto senza
preoccuparsi di conoscerne la ricetta; il vero buongustaio,
tuttavia, trova logico documentarsi sugli ingredienti che lo
compongono e sulla tecnica impiegata nella preparazione.
Così, per analogia, a nulla giova, sotto il profilo
strettamente tecnico, sapere quando e come sia nato il
gioco del bridge ma averne notizia è utile sia per soddisfare
legittime curiosità sia per completare un quadro d’insieme
che può consentire una valutazione più precisa di ogni fase
di gioco e spiegare più chiaramente i motivi che sono alla
base dell’enorme diffusione che il bridge ha raggiunto nel
mondo.
1665 Il gioco deriva dal WHIST (briscola) – praticato in
Inghilterra dalle classi umili sin dal XVI
secolo. Si giocava in tre – l’atout era
determinata dal colore dall’ultima carta
distribuita.
1742 Ingresso in nobiltà – Edmond Hoyle
pubblica a Londra il “Short Treatise” un
volume sulla tecnica di gioco e di
comportamento al tavolo (gioco ancora individuale).
Favorito dall’espansione coloniale dell’Inghilterra, il Whist
continuò la sua evoluzione contaminato da altri giochi a lui
simili e diede luogo alle più disparate combinazioni.
1873 a Buyukdere sul Bosforo nasce “Whist-bridge” –
quattro giocatori in due coppie contrapposte, con la
determinazione della briscola (atout) ancora casuale
lasciata al mazziere. Contemporaneamente dal Medio
Oriente si diffonde il “Biritch” (o meglio biriċ) che vuol dire
annunciatore, un gioco analogo di origini russe. Il WhistBridge dalle austere sale dei circoli esclusivi, forse per
merito del personale di servizio, si diffonde rapidamente tra
i marinai che sulle rive del Bosforo attendono la partenza
delle loro navi e, probabilmente per merito di questi ultimi
arriva prima al Cairo, poi, sulla Costa Azzurra e, infine, a
Parigi e, di li, in tutta l’Europa.
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E’ circa il 1880 quando Milton Work radunò i suoi amici
appassionati di carte fondando il Club del Whist
dell’Università della Pennsylvania per lanciare la sfida a un
gruppo di uomini di affari riuniti sotto il titolo di Saturday
Night Whist Club. Dalla semplice partita libera in cui veniva
praticato il gioco venne per la prima volta effettuato un
duplicato. La sfida si svolse in due stanze dove i membri di
una squadra sedevano Nord-Sud in una ed Est-Ovest
nell’altra. Si giocarono un certo numero di smazzate uguali
nelle due sale, favorendo, in tal modo, i più bravi
diminuendo l’effetto della sorte. Vinse la squadra di Milton
Work. Il duplicato diede un forte impulso allo sviluppo del
whist ed il via all’attività agonistica.
Il primo testo in cui si parla di bridge risale al 1886 e si
intitola “Birritch, or Russian Bridge. La differenza con il
whist era che il seme d’atout non veniva sorteggiato ma
scelto di mano in mano dal mazziere o dal suo compagno nel
caso il primo non avesse preferenze.
1892 lo statunitense John T. Mitchell cominciò a organizzare
in America i primi campionati agonistici, apportando le
prime regole, tra cui quella che il premio partita di otteneva
al raggiungimento di sette e non cinque prese, la scala
gerarchica dei colori è ancora quella classica del poker
(cuori, quadri, fiori, picche).
Nei primi anni del ‘900 capitò che alcuni giocatori,
trovandosi solo in tre, provarono a giocare lasciando
esposte le carte del quarto. Leggenda racconta che furono
tre soldati in trincea a sperimentare tale novità.
L’introduzione del morto prese piede anche per i tavoli da
quattro giocatori rendendo di fatto più divertente il gioco.
Con l’avvento del XX secolo l’evoluzione del gioco diviene
rapidissima.
Dall’Inghilterra, il successo del gioco in tutto l'Impero
Britannico è tanto fulmineo che, tramite gli ufficiali inglesi
di stanza in Oriente, arriva fino in India, dove, nel 1904,
alcuni di loro, per stabilire l'atout nella quale la smazzata
deve essere giocata, inventano una sorta di primitiva Asta
Licitativa che, finalmente, fa assumere al gioco delle
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sembianze che
oggigiorno.
lo
rendono
molto
simile
al
Bridge
di
Con tale regola sempre nel 1904 nasce in Francia, a cura di
F. Roe, l’ “Auction bridge”, le cui regole cominciano a
prevedere la determinazione dell’atout attraverso un’asta
(auction) e che il giocatore che se l’aggiudicava otteneva il
diritto di giocare con il morto. La dichiarazione, se non
veniva contrastata dagli avversari, poteva essere interrotta
a qualsiasi livello, senza pregiudicare la validità di tutte le
prese realizzate, poi, durante il gioco. La gerarchia dei
colori assume la sua configurazione definitiva ed attuale
(picche, cuori, quadri e fiori). Il gioco ha ampia diffusione in
Francia e negli Stati Uniti.
Questa nuova versione del gioco era molto più divertente ed
ebbe una rapida diffusione così che il "Portland Club" di
Londra, da questa parte dell'Atlantico, ed il "Whist Club" di
New York, dall'altra, aggiornarono continuamente le regole
e, di fatto, né diventano i depositari, fin quando nel 1925,
per merito dell’Americano Harold Stirling Vanderbilt,
vengono sancite da un accordo tra il Portland Club di
Londra, il Whist Club di new York e la Commissione
Francaise de Bridge, le regole del “Contract Bridge”, in
pratica le regole attualmente in vigore.
La licitazione poteva proseguire anche se l’avversario non la
contrastava, perché ai fini del punteggio della partita, aveva
valore solamente il contratto che la
coppia in attacco aveva specificatamente
dichiarato
e
si
era
impegnata
a
mantenere contro la difesa dell’altra
coppia (in modo da consentire maggiore
interesse nella partita anche alla coppia
meno favorita dalla sorte perché in
possesso di carte peggiori).
Inventò anche il primo sistema artificiale
il “Fiori Vanderbilt”.
Le regole del Contract furono affinate
progressivamente negli anni seguenti in
base ad accordi intercorsi tra il Portland Club di Londra, il
Whist Club di New York e la Commission Française du
Bridge.
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John Templeton Mitchell (per i Tornei a Coppie), Cassius M.
Paine e J. L. Sebring (per i Tornei Duplicati) e, più tardi,
Edwin Cull Howell (per i Tornei a Coppie a Classifica Unica),
ideano le Regole di Movimento grazie a quali tutti i giocatori
possono misurarsi con le stesse carte, eliminando buona
parte dell'influenza della Dea Bendata e distinguendo in
maniera perentoria il Bridge da tutti gli altri giochi
d'azzardo, fino a proporlo prepotentemente come il Re
incontrastato di tutti i giochi di carte.
Dal 1927 al 1932 sviluppo straordinario negli Stati Uniti
grazie a Ely Culbertson e la moglie Josephine Murphy che
nel 1929 fonda la prima rivista di bridge “Bridge World”,
ancora oggi la più autorevole pubblicazione in materia.
1932 in Europa si fonda la European Bridge League (E.B.L.).
1932 viene fondata a Scheweningen la International Bridge
League che si occupa dell’organizzazione del primo
campionato Europeo.
1937 il primo Campionato Mondiale a
squadre disputatosi a Budapest e
vinto dall’Austria.
In Italia il movimento bridgistico si
organizzò nel 1937, quando Pietro
Acchiappati, Paolo Baroni, Adolfo
Giannuzzi, Raoul Morpugo, Federico
Rosa e Giano Vedovelli costituiscono
in quel di Milano l’Associazione
Italiana
Bridge,
anche
se
rappresentative italiane partecipano
alle manifestazioni internazionali sin dal 1932. Pubblicano
un bollettino mensile sul quale accanto agli articoli di
tecnica danno notizie sull’attività internazionale nei primi
campionati Europei.
Nel 1940 il regime impone un cambio autarchico di
denominazione e abbiamo così l’Associazione Italiana Ponte.
La guerra provoca un’interruzione dell’attività in tutta
Europa.
L’Associazione risorge nel 1946; la sede è il Biffi in Galleria
a Milano, ove si svolgono i primi tornei di circolo. Riprende
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la pubblicazione del bollettino e nel 1947, sempre a Milano,
vengono organizzati i primi Campionati Italiani a squadre.
Arriviamo così a Eugenio Chiaradia, napoletano, professore
di filosofia, considerato il padre del bridge moderno.
Rivoluzionò la fase della dichiarazione riesumando il “Fiori
Vanderbilt”
nella
derivazione
“Fiori
Napoletano”,
consentendo ad ogni coppia di raggiungere un livello di
comunicazione quasi perfetto. Alle sue intuizioni ed al suo
sistema si sono ispirati e si ispirano ancora oggi
universalmente lo studio e l’evoluzione dei sistemi
dichiarativi (orientato sulla forza onori, regolamentò i
principi della licita ascendente e discendente).
Intanto a Milano, Mario Franco e Michele Giovine
sventagliano sui tavoli da gioco il loro sistema “Marmic”,
certamente pieno di lacune, ma aggressivo come un pirata.
Poco dopo, a Roma, un gruppo di studiosi – primi tra tutti i
Manca – misero insieme un mosaico per formare il “Fiori
Romano”, sistema che seleziona il meglio dell’esperienza
mondiale degli anni 30 – 50 (orientato sulla distribuzione).
In questo periodo maturò il BLUE TEAM, la nostra squadra
Nazionale di Bridge.
Grandi giocatori incredibilmente
straordinari per spirito, volontà, ovviamente anche
eccellenti tecnici. Il Blue Team apportò fama e gloria
mondiale ai due “FIORI” di Roma e di
Napoli.
La nostra squadra nazionale dal 1957
al 1972 vinse dieci campionati del
mondo
consecutivamente
e
tre
Olimpiadi; i suoi componenti furono in
tutto
otto:
Avarelli,
Belladonna,
Chiaradia, D’Alielo, Forquet, Garozzo,
Pabis Ticci e Siniscalco.
Ma a questo punto salta fuori un toscano a dire la sua.
Benito Bianchi compì un capolavoro riunendo nel “Quadri
Livorno”,
accanto
a
spunti
originali,
il
meglio
dell’esperienza napoletana-romana.
Successivamente si è avuto una proliferazione di sistemi
…… : Acol, Quadri Italia, Precision, Sistema Lancia, ecc. ecc.
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Nel 1987 la Federazione Italiana Bridge ha invitato tutte le
strutture bridgistiche a “normalizzare” le dichiarazioni (i
sistemi) creando e pubblicando lo “Standard Italia”, come
base di linguaggio comune per tutti i giocatori.
Il compito di stilare il metodo viene affidato a: Giorgio
Belladonna, Camillo Pabis Ticci e Franco Di Stefano. Lo
sviluppo di tale sistema ha avuto la sua culla in Lombardia
ed in particolar modo a Milano. Nato dal lavoro di grandi
teorici dell’Acol e dello Standard Americano, ha assunto
molti principi logici (non convenzioni) dei sistemi
convenzionali che si sono largamente sviluppati in Italia.
Con lo Standard Italia l’impatto risulta meno difficile, il
linguaggio universale più comprensibile; in questo modo il
Bridge diventa per tutti uno sport semplice e piacevole da
praticarsi anche con partner occasionali.
La FIGB
non esclude nel tempo
un’altrettanta auspicabile sua evoluzione
con più sofisticate elaborazioni di tecniche
dichiarative.
Nel 1993 la Federazione assume la
definitiva denominazione di Federazione Italiana Gioco
Bridge, a seguito del riconoscimento da parte del Comitato
Olimpico Nazionale Italiano come Disciplina Sportiva
Associata.
La FIGB è oggi una potenza bridgistica di massimo livello
grazie da un lato alla sua organizzazione, che ha avuto una
espansione enorme a partire dai primi anni novanta e che è
divenuta un modello a livello internazionale ed ha portato i
suoi tecnici, arbitri e dirigenti a
rivestire delicati incarichi di vertice
sia nella EBL che nella WBF e
dall’altro agli incredibili successi
riportati
dalle
proprie
squadre
nazionali.
Oltre Il mitico Blue Team
che ha
dominato incontrastato e imbattuto il
palcoscenico mondiale ed europeo dal
1957 al 1975, vincendo 13 Campionati del Mondo, 3
Olimpiadi e 12 Campionati d’Europa. Il nuovo Blue Team, di
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Lauria, Versace, Bocchi, Duboin, Fantoni, Nunes, Sementa, a
partire dal 1995 ha inanellato otto vittorie di cui sette
consecutive ai Campionati d’Europa, 3 Olimpiadi e 2
Mondiali. La Nazionale Femminile ha vinto 5 Campionati
d’Europa e 2 Olimpiadi. Ancor più rilevante sotto il profilo
della continuità e del futuro della federazione i successi
ottenuti dal 1992 in poi dagli azzurrini: 2 titoli mondiali e 5
Europei, oltre a 4 medaglie d’argento gli juniores e 1 titolo
continentale i cadetti.
Bibliografia:
Guido Barone “Il libro completo del bridge”
Luca Marietti “La storia del bridge”
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