Fabrizio D’Ovidio
Il Movimento degli Indicatori
Sociali: declino o rilancio?
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978–88–548–2707–3
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I edizione: settembre 2009
Indice
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Il Movimento degli Indicatori Sociali: declino o rilan­
cio?
F. D’Ovidio
1. Introduzione, p. 7 — 2. La nascita e lo sviluppo di un
Movimento , p. 8 — 3. Tipi e funzioni degli indicatori
sociali, p. 15 — 4. Le aree tematiche, p. 18 — 5. Indica­
tori sociali e policy, p. 29 — 6. Conclusioni e prospetti­
ve, p. 39 — Riferimenti bibliografici, p. 43
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Abstracts
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Il Movimento degli indicatori sociali:
declino o rilancio?a
Fabrizio D’Ovidiob
1. Introduzione
Con questo lavoro si desidera tracciare un percorso storico
del Movimento degli indicatori sociali sin dalla sua nascita nella
metà degli anni Sessanta. La disamina della letteratura sui so­
cial indicator illustrerà lo sviluppo del Movimento al fine di ri­
costruire i periodi di crescita e di crisi associati ai principali fe­
nomeni storici, economici e politico–sociali. Si descriveranno le
forme di utilizzo degli indicatori, specialmente negli ambiti del
social reporting e del social accounting, da parte dei maggiori
Organismi e Istituti di ricerca internazionali, tentando di classi­
ficare tipi e definizioni dell’indicatore sociale succeduti nel cor­
so dell’intera vita del Movimento. Verranno approfondite le
principali aree di intervento desunte dalla letteratura sugli indi­
catori sociali: dal benessere al disagio, dalla qualità della vita (e
qualità della vita urbana) ai diritti umani.
Definiti gli indicatori sociali si approfondirà il binomio indi­
catori sociali e interventi di policy al fine di (ri)pensare le pro­
blematiche relative alla valutazione delle politiche, all’uso inte­
grato degli indicatori oggettivi con quelli soggettivi, alla com­
parabilità, al tempo e al territorio come elementi chiave di svi­
luppo nell’ambito partecipativo della pianificazione sociale e,
da ultimo, alla integrabilità (e comparabilità) dei dati ricavati da
a) Intervento presentato all’VIII incontro SPE Giovani Ricercatori, Certo­
sa di Pontignano (SI), 28­29 giugno 2008.
b) Assegnista di ricerca presso il Dipartimento di Scienze Sociali dell’U­
niversità degli Studi di Torino.
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Territori Sociologici
Fonti nazionali e internazionali. In riferimento a quest’ultimo
ambito di analisi, si definiranno le linee di sviluppo (e di corre­
zione) di una politica del dato viziata e poco regolamentata che
inevitabilmente condurrebbe ad un uso strumentale degli indica­
tori sociali da parte di lobby politiche.
Nella parte conclusiva si tenterà di analizzare lo stato del
Movimento degli indicatori sociali nell’ultimo decennio, un pe­
riodo caratterizzato da una letteratura — perlopiù ascrivibile al­
l’attività di social reporting — con un carattere eterogeneo che
rende problematico il rapporto tra le informazioni disponibili e
il decision making.
Infine, si avanzerà l’ipotesi di ristabilire caratteri di unifor­
mità nelle rilevazioni dei dati a partire dai contesti locali della
politica: un terreno fertile di sviluppo e di rilancio del Movi­
mento potrebbe essere costituito dall’interazione delle nuove
politiche sociali (radicate sul territorio e programmate attraver­
so il coinvolgimento attivo gli attori sociali implicati) con una
nuova struttura dell’indicatore sociale (inteso come modello–in­
dicatore) in grado di fornire ai policy maker indicazioni operati­
ve in chiave multidimensionale e sistemica.
2. La nascita e lo sviluppo di un Movimento
Prima della seconda guerra mondiale l’interesse per il cam­
biamento sociale, più precisamente per gli impatti sociali del
cambiamento economico, si limitava a specifici campi di inte­
resse (come l’educazione o il crimine). Dal punto di vista meto­
dologico, inoltre, erano quasi del tutto assenti criteri univoci che
potessero identificare e definire le relazioni tra le diverse aree di
interesse.
Uno dei pionieri dello studio degli impatti sociali delle poli­
tiche governative fu William F. Ogburn di Chicago. Nel 1933
egli pubblicò il Recent Social Trends, rapporto di una ricerca
condotta per il President Hoover’s Commitee on Social Trends,
in cui si rintracciava il tentativo di far interagire fattori diversi
della vita sociale americana per offrire un quadro complessivo
piuttosto che un insieme di parti (Horn, 1979).
F. D’Ovidio «Il Movimento degli Indicatori Sociali»
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Non è un caso che lo sviluppo degli indicatori sociali veda la
nascita alla fine degli anni Sessanta, un periodo nel quale si re­
gistrano elevati costi sociali della crescita economica, si attiva­
no le politiche sociali e si fa più impellente il bisogno di infor­
mazione per una più proficua programmazione sociale.
Fino ad allora si lavorava solo con indicatori economici, ma
negli anni Sessanta è stata invece avvertita l’esigenza di com­
prendere i fenomeni e i problemi sociali con nuovi indicatori e
con nuove metodologie in grado di esplorare e descrivere lo sta­
to, le condizioni e il mutamento sociale in modo più completo
ed esaustivo. Inoltre, risultava evidente il limite della assenza di
una sistematica raccolta storica dei dati che potesse agevolare il
compito del ricercatore sociale di intuire i cambiamenti nella
società nel tempo (Bauer, 1966b).
Il Movimento degli indicatori sociali, in questo contesto, na­
sce come conseguenza di una diffusa insoddisfazione sulla ca­
pacità degli strumenti economici di registrare il grado di svilup­
po di una società (Stolte–Heiskanen, 1974). In particolare, gli
indicatori economici vengono criticati per i seguenti motivi
(Gross, 1966): molte misure economiche, come ad esempio il
Pnl o il Pil, non possono essere poste in relazione alla soddisfa­
zione psicologica degli individui, al benessere o alla realizza­
zione della vita individuale; la sola valutazione del mercato di
beni e servizi non è sufficiente a studiare come tali fattori con­
tribuiscano al benessere sociale; le attività svolte al di fuori del
mercato (compresi gli impatti che producono) sono escluse dal
set di indicatori economici utilizzato; gli indicatori come il Pnl
presuppongono l’esistenza di un sistema sociale, con valori e
norme ad esso incorporati, ma non hanno l’obiettivo di misurar­
lo.
Dunque, come si collocano esattamente in questo contesto
gli indicatori sociali? L’indicatore sociale, inteso come dato sta­
tistico o come sotto insieme specifico di indicatori, come può
venire distinto dagli altri indicatori?
Va precisato che l’aggettivo “sociale” veniva il più delle vol­
te contrapposto ad aggettivi quali “economico” e “politico”.
Molti autori, però, già dalla fine degli anni Settanta, considera­
vano inadeguato e superato questo modo di definire il termine
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Territori Sociologici
“sociale” per differenza rispetto a tutto ciò che è economico, e
affermavano che per indicatori sociali si dovevano intendere gli
indicatori che rappresentano la società nel suo insieme e quindi
anche quelli economici, politici, morali. Dunque «non una con­
trapposizione degli aggettivi ma una integrazione di tutti gli al­
tri entro l’aggettivo sociale» (Forcellati, 1978, p. 19).
L’uso dell’aggettivo “sociale” offre una connotazione all’in­
dicatore riferibile in generale alle scienze sociali. L’interesse per
tale categoria di indicatori, tuttavia, è interdisciplinare e sconfi­
na dalla sociologia all’economia, alla psicologia, etc.
Nel dibattito di quegli anni vi è anche chi ha proposto la di­
stinzione tra «societal indicator» e «social indicator» (Horn,
1979), intendendo per i primi le variabili che si riferiscono a de­
terminate condizioni sociali (come per esempio la condizione
della sanità nazionale), per i secondi, invece, le relazioni indivi­
duali (ad esempio l’accesso all’assistenza sanitaria da parte del­
l’individuo). Di conseguenza, dunque, il termine social indica­
tor include anche quello di societal indicator.
Si cominciò ad utilizzare il termine “indicatori sociali” quan­
do la Nasa concretizzò l’intenzione di valutare gli impatti colla­
terali del programma spaziale nella società americana da diversi
punti di vista: principalmente sociale, economico e culturale. I
risultati di questo studio vennero pubblicati «in a volume that
inaugurated the contemporary period of social indicators resear­
ch» (Land, 1983, p. 2), curato nel 1966 da Raymond A. Bauer,
dal titolo Social Indicators, che offrì un cospicuo contribuito
alla crescita della letteratura sulla valutazione e sulla pianifica­
zione sociale. Il Movimento, ebbe dapprima risonanza in Fran­
cia per poi estendersi ai vari organismi internazionali (tra cui le
Nazioni Unite con il Framework of Social and Demographic
Statistics – Fsds, dapprima denominato System of Social and
Demographic Statistics – Ssds), al fine di concettualizzare alcu­
ni aspetti della qualità della vita e di creare un database per il
social policy a livello nazionale, e adatto anche per le compara­
zioni internazionali (Horn, 1983, p. 34),
Il Movimento degli indicatori sociali nasce quindi dall’esi­
genza di accademici ed operatori sociali di migliorare quantità e
qualità delle statistiche socio–economiche disponibili fino ad al­
F. D’Ovidio «Il Movimento degli Indicatori Sociali»
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lora (Bauer, 1966a), e di rendere più articolata e puntuale la pro­
grammazione degli interventi della politica pubblica grazie ad
un serbatoio di dati più affidabili da cui i policy maker possano
attingere le informazioni di cui necessitano (Sgroi, 1988).
Gli obiettivi del Movimento degli indicatori sociali mirano
all’ampliamento delle attività di social reporting, al migliora­
mento delle analisi delle condizioni sociali e del loro mutamen­
to nel tempo, alla valutazione del grado di soddisfazione delle
condizioni di vita della collettività attraverso indici di qualità
della vita e di benessere, in linea con la tutela ambientale.
I primi studi riguardano i concetti di mutamento sociale
(Sheldon e Moore, 1960) e di modernizzazione (Inkeles e Smi­
th, 1974). I temi principali sono lo sviluppo economico, l’urba­
nizzazione, l’industrializzazione, la mobilitazione sociale, la de­
mocratizzazione, la razionalizzazione.
Dati i numerosi ambiti di studio che vedono gli indicatori so­
ciali come utili strumenti di sviluppo, non è facile riassumere il
percorso di crescita del Movimento, anche se non manca la vo­
lontà da parte di alcuni autori di delinearne le fasi (Andrews,
1989).
Se gli anni Sessanta si caratterizzarono per la produzione di
rapporti sociali con funzione di basi per le future direttrici di
sviluppo del Movimento, gli anni Settanta si contraddistingue­
vano, invece, per l’uso di indagini longitudinali e trasversali
(Land 1983), oltre che per la produzione di studi sul mutamento
sociale (Sheldon e Moore, 1968), sul benessere e sulla qualità
della vita (Campbell et al, 1976; Andrews e Wihtey, 1976).
Il Movimento, già dai suoi primi anni, affina lo studio della
qualità della vita mediante l’uso di indicatori “soggettivi”,
orientati alla percezione individuale e grazie a strumenti statisti­
ci capaci di intervenire sul campo operando una raccolta di dati
sistematica e costante per la lettura del mutamento sociale.
Negli anni Settanta, si è assistito ad un periodo di crescita
del Movimento (Horn, 1979) e, in generale, della produzione di
statistiche nel campo degli indicatori sociali ai livelli istituzio­
nale, teorico e metodologico (Andrews, 1989), tanto che molti
governi e organizzazioni internazionali annoveravano gli indi­
catori sociali tra le proprie statistiche, report e pubblicazioni.
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Territori Sociologici
Nella metà degli anni Settanta, si scrive: «social indicators are a
very business today» (Brand, 1975, p. 78).
Diversi sono gli ambiti funzionali degli indicatori sociali
evidenziati in questi anni (Sheldon e Parke, 1975): sviluppo
concettuale, metodologico e statistico dei dati ricavati sistemati­
camente nel tempo che rilevano i cambiamenti della società; va­
lutazione delle politiche pubbliche con particolare attenzione ai
bisogni della collettività; test di adeguatezza di misure econo­
miche come misure di welfare a partire dal Pnl; definizione de­
gli obiettivi nazionali in ordine di priorità e analisi dei costi per
realizzarli.
Nonostante la quantità di contributi teorici e di ricerca sul
campo dei social indicator, non esiste «una schematizzazione
unitaria degli indicatori sociali capace di cogliere la dinamica
sociale» (Forcellati, 1978, pp. 3–4), né una definizione univoca
del concetto di indicatore sociale.
Alla fine degli anni Settanta, infatti, l’appello che molti ri­
cercatori rivolgevano alla comunità scientifica era quello di de­
finire in modo più completo e coerente il concetto di indicatore
sociale per poter individuare metodi più attendibili e validi, nei
campi della ricerca sociale in senso stretto o sul versante del de­
cision making (Forcellati, 1978).
Negli anni Ottanta, il Movimento veniva investito da una
profonda crisi, tanto da motivare qualche autore a definire il pe­
riodo come «caratterizzato da stagnazione e, in parte, un calo
dell’interesse per la ricerca sugli indicatori sociali» (Noll e
Zapf, 1995, p. 130). Affermazioni come «a tide of opinion
would hold that the “social indicators movement” was “dead”»
(Ferriss, 1988, p. 601), sono rintracciabili nella letteratura sugli
indicatori sociali in tutto il periodo di riferimento.
Uno dei motivi del disinteresse, oltre a quello economico, è
rintracciabile nella incapacità degli indicatori sociali di «preve­
dere le grandi trasformazioni sociali della fine degli anni Settan­
ta» (Zajczyk, 1997, p. 48).
Molti planners si vedevano costretti a ricavare dati e infor­
mazioni utili al loro lavoro altrove, al di fuori del campo dei so­
cial indicator poiché questi ultimi non venivano considerati dai
governi nel piano di budget nazionale (Ferriss, 1988), anche se,
F. D’Ovidio «Il Movimento degli Indicatori Sociali»
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comunque, molti lavori di ricerca sociale permangono ugual­
mente operativi.
I tagli ai finanziamenti, le interruzioni delle indagini sociali
dell’Oecd e dell’Unesco, la chiusura del Center for Coordina­
tion of Research on Social Indicators di Washington, rappresen­
tavano elementi importanti della crisi del Movimento degli indi­
catori sociali degli anni Ottanta, dovuta principalmente allo sta­
to delle economie nazionali dei Paesi più sviluppati, all’ammi­
nistrazione conservativa di Reagan negli Stati Uniti ed alle limi­
tazioni concernenti l’utilità effettiva (dimostrabile empirica­
mente) degli indicatori sociali. È estremamente arduo poter as­
serire, infatti, che le attività di policy possano essere state gui­
date effettivamente dal benessere percepito dalla popolazione o
dalla qualità della vita rilevata, oppure che le agenzie governati­
ve possano aver utilizzato gli indicatori sociali piuttosto che le
loro statistiche “amministrative” per il decision making (An­
drews, 1989).
La crisi del Movimento si fa più netta quando delusioni («di­
sappoinments») ed eredità («legacies») entrano a far parte, sep­
pur precocemente, della letteratura di fine anni Ottanta (Innes,
1989). A tal proposito si scrive che gli indicatori sociali, seppur
in maniera vaga, hanno contribuito ad amplificare ed articolare
le concezioni di base della società; si è dedicata maggiore atten­
zione al social reporting sistematico su diversi livelli di aggre­
gazione, permettendo la semplificazione del decision making
relativo all’allocazione territoriale delle risorse; col senno del
poi, infine, questo fallimento degli indicatori sociali avrebbe
potuto indicare la strada migliore per fornire le policy di stru­
menti più adatti ed efficaci: «this “failure” of social indicators
can be transformed into lessons for future efforts to inform pu­
blic policy» (ibi, p. 430).
«In the 1980s social indicators activities slowed» (Andrews,
1989, p. 402). L’attività del Movimento non scompare del tutto
e le scarse attività operative rimaste hanno sicuramente posto le
basi per il successivo sviluppo del Movimento degli indicatori
sociali degli anni Novanta. La rivista internazionale Social Indi­
cators research o le associazioni professionali (come ad esem­
pio la International Sociological Association), hanno continuato
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Territori Sociologici
sistematicamente a pubblicare interessanti lavori durante tutti
gli anni Ottanta. Gli esempi di ricerca più rilevanti sono rappre­
sentati dall’annuale Level of Living Survey in Svezia, lo SPES
Social Indicators System nella Germania dell’Ovest, l’Euroba­
rometro della Ue, la General Social Survey negli Usa.
Oltre a qualche sporadica, seppur rilevante, attività di social
reporting internazionale, la letteratura degli anni Ottanta si ri­
volge soprattutto all’uso strumentale degli indicatori sociali,
con particolare riferimento agli studi valutativi dei progetti di
intervento, sia pubblici sia privati (Caprì, 1988). Per molti di
questi studi la valutazione mediante la sola analisi costi–benefi­
ci non si dimostrava più soddisfacente e l’utilizzo degli indica­
tori sociali permetteva un’analisi di più ampio raggio la quale
avrebbe consentito di includere anche considerazioni sulla qua­
lità della vita percepita (Andrews, 1989).
In questo senso gli anni Ottanta vengono considerati come
un periodo di crisi ma, al contempo, di consolidamento, di ma­
turazione e dunque di preparazione alla successiva fase di ripre­
sa (Andrews, 1989).
Negli anni Novanta, infine, il dibattito sugli indicatori e, in
generale, sulle statistiche si intensifica, soprattutto nei riguardi
di una politica del dato che ancora non riesce a rendersi effica­
ce. L’informazione continua a non essere sufficientemente esau­
riente, mostrandosi distaccata dal contesto e dal clima politico
(Frey, 1995). Si genera, così, un gioco di domanda e offerta del­
le “informazioni” in base al quale la mancanza di statistiche di­
sponibili per studiare fenomeni (offerta) influenza la domanda
di statistiche che, a sua volta, adattandosi alle carenti produzioni
statistiche, non genera nuova offerta.
Alla metà degli anni Novanta, vengono riconsiderati i con­
cetti di benessere e qualità della vita; si costruiscono nuovi indi­
ci sintetici del benessere (sulla base di esempi quali l’indice
globale sulla qualità della vita, l’indice di benessere economico
sostenibile o l’indice di sviluppo umano); si privilegia l’impie­
go di analisi longitudinali, di indagini a scopo revisionale e si
promuove un’ottica di miglioramento delle condizioni di com­
parazione internazionale dei dati: «nella prospettiva odierna, le
funzioni più importanti degli indicatori sociali sono la misura­
F. D’Ovidio «Il Movimento degli Indicatori Sociali»
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zione del benessere e l’osservazione delle tendenze nel cambia­
mento sociale» (Noll e Zapf, 1995, p. 118).
3. Tipi e funzioni degli indicatori sociali
Sin dalla nascita del Movimento degli indicatori sociali si
schierano due posizioni distinte: la prima, di natura
“descrittiva”, considera l’indicatore sociale come uno strumento
per spiegare la realtà sociale e il suo mutamento; la seconda, di
stampo “prescrittivo”, assegna all’indicatore sociale un ruolo
strumentale di guida per le politiche sociali (Lo Presti, 1988, p.
92). Gli indicatori sociali, intesi come «descriptive social indi­
cator», rappresentano indici della condizione e del mutamento
sociale di diversi strati della società (Land, 1983).
social indicators are time–series that allow comparisons over an exten­
ded period and which permit one to grasp long–term trends as well as
unusually sharp fluctations in rate (Sheldon e Freeman, 1970, p. 97)
La creazione di statistiche sociali attraverso la raccolta siste­
matica di informazioni rappresenta una delle funzioni degli in­
dicatori sociali denominata social book–keeping. Ma, oltre alla
sistematica raccolta dei dati, si pone anche l’esigenza di costrui­
re l’indicatore sulla base dei susseguenti mutamenti della socie­
tà: «obviously what is salient today may not be so next year and
vice versa» (Sheldon e Freeman, 1970, p. 98). Poter, in questo
modo, ridefinire gli indicatori sulla base del mutamento sociale
costituisce uno degli obiettivi principali del Movimento, sin da­
gli inizi della sua attività.
Per lo stesso Raymond Bauer, un’altra funzione riguarda la
possibilità di indirizzare le policy. In questa prospettiva, l’indi­
catore assume un ruolo strumentale capace di orientare i deciso­
ri politici ai quali spetterebbe il compito di dirigere le politiche
sociali al fine di renderle il più possibile aderenti ai bisogni del­
la collettività (attività detta di social advising).
social indicators […] are statistics, statistical series, and all other
forms of evidences […] that enable us to assess where we stand and
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Territori Sociologici
are going with respect to our values and goals, and to evaluate specific
programs and determinate their impact (Bauer, 1966a cit. in Horn,
1979, p. 428)
I cosiddetti «normative welfare indicators» (Land, 1983), si
riferiscono quindi alle misure intraprese di welfare ed in parti­
colare all’interpretazione del suo sviluppo. Il loro uso richiede
che: a) ci sia accordo su quali bisogni occorra perfezionare; b)
sia possibile definire univocamente cosa si intenda per “getting
better”; c) l’alto livello di aggregazione dei dati possa facilitare
analisi a livello nazionale.
In questo ambito di indagine, i social indicator1 sono anche
sinonimo di «practical utility» (Johnston, 1979, p. 212) e costi­
tuiscono la guida necessaria al policy maker per tracciare ex
novo o correggere un intervento di politica sociale.
Gli indicatori sociali sono gli strumenti per trovare dei sentieri attra­
verso il labirinto delle interconnessioni sociali. Delineano gli stati, de­
finiscono i problemi e tracciano le tendenze della società, che con l’in­
gegneria sociale si può sperare di guidare verso gli obiettivi formulati
dalla pianificazione sociale (Rice, 1967, tr. it. p. 173 cit. in Longva,
1995, p. 161)
Un’altra classe di indicatori sociali fa riferimento ai «sati­
sfaction indicators» (Land, 1983), che rilevano la soddisfazione
personale, la felicità e la realizzazione nella vita attraverso stru­
menti di ricerca in grado di ricavare le dimensioni “soggettive”.
Un approccio alternativo di definizione degli indicatori sociali
trova il suo percorso in “The Human Meaning of Social Indica­
tors”, di Campbell e Converse nel 1972. L’obiettivo diventa
1) È utile, sempre per scopi definitori, distinguere i social indicator dai
policy indicator poiché mentre i primi rappresentano misurazioni delle condi­
zioni sociali utili sia per fini meramente descrittivi sia per fini politici, i secon­
di guidano le scelte politiche in vista di valori etici (efficienza, qualità della
vita, libertà, equità in relazione ai bisogni, diritti sociali, etc.). I policy indica­
tor — che Sergio Scamuzzi definisce anche «indicatori sociali orientati alla
pratica» (1996, p. 15) — rientrano nel decision making relativamente alle
scelte degli interventi politici da adottare, per la valutazione del programma
adottato e per la ridefinizione degli obiettivi e delle problematiche che emer­
gono in itinere o a consuntivo.
F. D’Ovidio «Il Movimento degli Indicatori Sociali»
17
quello di studiare e monitorare gli stati psico–sociali della popo­
lazione quali attitudini, aspettative, aspirazioni, valori, aspetti
necessari all’analisi del mutamento sociale e della qualità della
vita.
To know the quality of life experience it will be necessary to go direc­
tly to the individual himself for his description of how his life feels to
him (Campbell et al., 1976, p. 1 cit. in Land, 1983, pp. 4–5).
All’interno di questo approccio gli indicatori sociali rilevano
la soddisfazione psicologica, la felicità, il benessere direttamen­
te derivanti dalla «subjective reality» (Andrews e Wihtey, 1976)
percepita dagli individui; una realtà “soggettiva”, dunque, in
contrapposizione a quella “oggettiva”2. Nella letteratura sugli
indicatori sociali si rintracciano anche altre definizioni che si si­
tuano, peraltro, a diversi livelli classificatori:
— gli indicatori di mezzo considerati come i mezzi e gli stru­
menti impiegati per conseguire un certo obiettivo funziona­
le della società e gli indicatori di risultato, considerati in­
vece come indicatori di conseguimento degli obiettivi (For­
cellati, 1978);
— gli indicatori semplici, relativi ad uno specifico fenomeno
sociale e gli indicatori di sintesi, relativi, invece, ad un in­
sieme di fenomeni sociali accomunati da precisi fattori (ibi,
1978);
2) Per indicatori “oggettivi” si intendono quelle statistiche sociali diretta­
mente imputabili a controlli di validità e attendibilità e perciò caratterizzati da
dati hard che riflettono una realtà concreta e tangibile — come ad esempio il
rapporto tra il numero dei medici di base e la popolazione residente in un dato
ambito territoriale — (Cannavò, 1999). Gli indicatori sociali, intesi à la Land,
pioniere dei formal model, sono di natura rigorosamente “oggettiva”, mentre
gli indicatori “soggettivi” si basano su dati soft che rispecchiano una realtà in­
dividuale costituita da giudizi, opinioni, atteggiamenti, sentimenti. L’esempio,
in questo caso, può essere rappresentato dall’indice di soddisfazione dell’uso
del tempo o degli stati di felicità e di benessere individuale (Forcellati, 1978).
Quindi, se «gli indicatori sociali oggettivi sono statistiche che rappresentano i
fatti sociali in maniera indipendente dalle valutazioni personali, gli indicatori
“soggettivi” danno rilievo all’esperienza ed alla valutazione individuale delle
circostanze sociali» (Noll e Zapf, 1995, p. 120)
18
Territori Sociologici
— gli indicatori orientati ai problemi, che pongono le basi per
il decision making e gli indicatori di valutazione dei pro­
grammi, che monitorano e analizzano un intervento sociale
nelle diverse fasi di avanzamento (Vergati, 1989);
— gli indicatori di obiettivo, ai quali si ricorre per individuare
gli obiettivi all’interno dei diversi ambiti che costituiscono
le politiche sociali e gli indicatori di disponibilità di risor­
se, utilizzati per valutare il rapporto mezzi–fini, risorse–bi­
sogni sociali, oltre che l’accessibilità di beni e servizi (ibi,
1989);
— gli indicatori composti da altri indicatori, gli indicatori in­
formativi, puramente descrittivi e, da ultimo, gli indicatori
predittivi, utili per prevedere l’evoluzione della domanda
sociale e dei bisogni ad essa connessi (Lo Presti, 1988).
Quest’ultimo tipo di indicatore sociale richiama un’altra at­
tività dei social indicator denominata social forecasting,
ossia la creazione di modelli attraverso i quali poter ottene­
re anticipazioni del futuro — attività che per William Og­
burn rappresenta il naturale sviluppo del social trend —
(Duncan, 1974).
4. Le aree tematiche
4.1. Il social accounting e il social reporting
Già negli anni Settanta, sul piano della riflessione sociale e
metodologica, si erano sviluppate teorie di utilizzo degli indica­
tori sociali per rappresentare il cambiamento non solo sul piano
descrittivo, ma anche su quello prescrittivo o di orientamento al
momento decisionale: l’idea era quella di non limitarsi a capire
cosa cambiava ma anche come cambiava (Duncan, 1974).
Nell’alveo del Movimento degli indicatori sociali, si svilup­
pano anche il social accounting e il social reporting, due filoni
particolarmente interessanti ai fini della descrizione del Movi­
mento.
In tal senso, per social accounting si intende la creazione e
l’applicazione di modelli formali all’interno dei quali aggregare
F. D’Ovidio «Il Movimento degli Indicatori Sociali»
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e classificare categorie di indicatori sociali. L’idea di fondo era
quella di considerare lo sviluppo del Movimento nella costruzio­
ne di modelli correlati di set di indicatori in ciascuna area del
sociale, rifacendosi alla considerazione di indicatore di Land
come componente del sistema sociale in grado di descrivere le
sue funzioni (Anderson, 1973). Tre sono gli indirizzi presi in
esame (Duncan, 1974): la classificazione dei basic needs; la se­
lezione dei dati nei termini della loro rilevanza con un modello
astratto riguardante la struttura e le performance del sistema so­
ciale; l’elaborazione di una lista di aspetti sociali rilevanti come
quella elaborata dall’Ocse nel 1973 dal nome List of Social
Concerns Common the Most Oecd Countries.
Il social account rappresenta, dunque, una filiera del Movi­
mento degli indicatori sociali che ha meritoriamente tentato di
definire i domini sociali sistematizzandoli in griglie strutturate
così da poter, oltre che leggere e comprendere i fenomeni socia­
li, operativizzare, definire e correlare i diversi indicatori consi­
derati. A questo scopo è apparso subito evidente che il maggior
ostacolo era rappresentato dalla assenza di un sistema di social
account comparabile al national income and product account
(Land, 1980, p. 230).
Era peraltro opinione diffusa — come per molti versi ancora
oggi — che le scienze sociali non presentassero teorie e tecni­
che di rilevazione e di analisi capaci di indagare la struttura so­
ciale, come invece viene riscontrato nei metodi economici con­
siderati più efficaci per lo studio di un sistema economico di
una società.
A balance sheet not only requires a set of categories […] but some
common interval measure, such as money […] Money as meaning and
allows one to sum values across a large number of different domains.
Neither the state of conceptualization nor technique in the social
sciences other than economics as produced necessary measures (Shel­
don e Freeman, 1970, p. 103)
Altro limite che si era soliti mettere in evidenza riguardava
la possibilità di ricondurre a schemi formali di classificazione e
a variabili quantitative le dimensioni “qualitative”, cioè sogget­
tive, delle azioni individuali, come le emozioni, gli stati psico­
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Territori Sociologici
logici, le esperienze (Stolte–Heiskanen, 1974). L’ampio — sep­
pur discutibile — uso di indicatori di benessere e qualità della
vita ai giorni nostri mostra, però, che il tentativo meritava tutta
l’attenzione che ad esso era stata attribuita.
L’attività di social reporting riguarda l’elaborazione di docu­
menti ufficiali contenenti risultati di studi condotti attraverso gli
indicatori sociali ritenuti punti essenziali dell’attività (Duncan,
1974).
Come già accennato, uno dei primi e maggiori lavori di ri­
cerca per mezzo degli indicatori sociali fu commissionato dal
President Herbert Hoover’s Research Commitee on Social
Trends a William Fielding Ogburn nel 1929, per ottenere le
1.568 pagine del Recent Social Trends nel 1933. La ricerca vol­
le concentrarsi soprattutto su aspetti della società americana ri­
guardanti la disoccupazione, l’istruzione, l’anzianità, la salute e
il crimine (Blumer 1983).
Esempi di social reporting, si ritrovano in tutti i Paesi anche
se strutturati in diversi modi. È proprio questa frammentarietà
ed eterogeneità che non consente di ricondurre i diversi approc­
ci concettuali e metodologici utilizzati in un unico modello ana­
litico.
Del resto, diversi contesti sociali non possono che produrre
— come si è visto — tipi di informazioni diverse, anche per le
diversità riscontrabili nei sistemi istituzionali di raccolta e pro­
duzione delle informazioni.
È l’Ocse che nel 1971 dà ufficialmente avvio al programma
per lo sviluppo degli indicatori sociali (Oecd Social Indicators
Development Programme) attraverso una lista dei principali set­
tori sociali3 relativi al well–being, e dunque, nella prospettiva
del social reporting.
3) L’Ocse, in tal senso, nel programma di sviluppo degli indicatori sociali,
propone le seguenti dimensioni di studio (Horn 1979; p. 429): health, inlcu­
ding health care; education and learning; employment and quality of working
life; time and leisure, including free time use; income, wealth and command
over goods and services; physician environment, including housing and pollu­
tion; social attachments, including family situation; personal safety and admi­
nistration of justice; social opportunity and participation, including socio–eco­
nomic mobility.
F. D’Ovidio «Il Movimento degli Indicatori Sociali»
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Quella dell’Ocse rappresenta una esperienza significativa
per gli sviluppi del social reporting, soprattutto perché afferma
l’importanza della comparabilità a livello internazionale, nono­
stante la difficoltà di trovare una definizione comune di social
indicator in tutti i Paesi non consenta all’Organismo di «tradur­
re i concetti e le categorie individuate (social concern) in un si­
stema di rilevazione sociale (indicatori) stabile e continuativo»
(Zajczyk 1997; p. 33).
L’interesse, dunque, inizia a diffondersi a livello internazio­
nale e numerosi altri organismi avviano programmi di ricerca
attraverso l’uso degli indicatori sociali: Unesco, Oms (Organiz­
zazione Mondiale della Sanità), Fao (Food and Agricolture Or­
ganization), l’Istituto di Ricerca delle Nazioni Unite per lo Svi­
luppo Sociale (Unrisd – United Nations Research Institute for
Social Development), l’Organizzazione Internazionale del La­
voro (Ilo – International Labour Organization).
Esempi di social reporting si trovano nei vari Paesi europei
quali, ad esempio, il Social Trends della Gran Bretagna avviato
dal 1970, il Données Sociales della Francia dal 1973, il Social
and Cultural Report dell’Olanda dal 1974, il Datenreport della
Repubblica Federale tedesca dal 1983, la Sintesi della vita so­
ciale Italiana dell’Italia dal 1990, il Levevilkr i Danmark della
Danimarca dal 1992, e a livello sovranazionale il Social Indica­
tors for the European Community dell’Eurostat dal 1977, il
World Development Report della Banca mondiale dal 1978, lo
Human Development Report dell’Undp dal 1990, il Social Por­
trait of Europe dell’Ocse dal 19914.
A livello governativo, dunque, già dai primi anni Settanta, in
linea con il periodo di crescita e sviluppo del Movimento, ven­
gono potenziati ricerche e report sociali sempre più articolati. In
Italia, ad esempio, con la pubblicazione Statistiche sociali
(1975), l’Istat si prefiggeva l’obiettivo di analizzare comparati­
vamente le regioni italiane in base a una serie di indicatori di
qualità della vita5 (Di Franco, 1989, p. 82)
4) Per un elenco più dettagliato delle inchieste sociali nei Paesi europei ed
extra–europei si veda Noll e Zapf, 1995, pp. 124 e 126
5) Gli indicatori utilizzati sono: la mortalità infantile, i posti letto per abi­
tante, i morti per causa violenta, i delitti contro le persone, il possesso di lava­
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Il Movimento degli Indicatori Sociali: declino o