Il mito_05_IMP cat.sez. IV 3-02-2011 17:12 Pagina 270 MATTEO PICCIONI LA FORTUNA DEI PRERAFFAELLITI IN ITALIA DA COSTA A PREVIATI La ricezione italiana del preraffaellismo rappresenta un momento chiave per la maturazione della cultura simbolista e idealista dell’ultimo quarto del XIX secolo, nel momento in cui gli artisti più sensibili cercano degli stimoli per poter superare il verismo e la decadenza dell’arte contemporanea. Nell’Italia del secondo Ottocento, tuttavia, vige un’idea del movimento preraffaellita limitata alla sola conoscenza degli esiti dell’ultimo Rossetti e di Burne-Jones e delle molteplici sfaccettature della cultura vittoriana. La sua diffusione in ambito italiano rimane peraltro circoscritta a particolari centri di interesse, legati in modo diretto o indiretto al mondo anglosassone, come Firenze e Roma, o, come nel caso di Previati, ad artisti isolati che, a contatto con le teorie estetiche elaborate in Inghilterra, sviluppano una propria poetica. Firenze ospita un gruppo di intellettuali anglo-americani che ha avuto contatti con i preraffaelliti: tra essi si annoverano le scrittrici Vernon Lee e Mary Robinson1 e gli artisti Charles Fairfax Murray (cat. 33) e John Roddam Spencer Stanhope (cat. 93). A quest’ultimo sono collegate altre figure del mondo artistico anglosassone, come sua nipote Evelin Pickering e suo marito William de Morgan, esponente dell’Arts and Crafts2. È, dunque, negli anni ottanta dell’Ottocento che si diffonde il primo interesse nei confronti del movimento inglese, in principio esclusivamente legato alla letteratura e alla figura di Enrico Nencioni. Questi, scrivendo articoli su Carlyle, Tennyson, Swinburne, Rossetti e Pater sulla Nuova Antologia e sul romano Fanfulla della Domenica, è il primo ad offrire una panoramica lucidamente critica sul mondo culturale inglese. A Roma dal 1879 al 1883, Nencioni entra in contatto con un milieu intellettuale in cui l’interesse per l’arte inglese ha già avuto una propria diffusione ad opera di Nino Costa. L’attività artistica e propagandistica di Costa è volta alla definizione di un’arte nazionale moderna e vitale, legata al contatto con la natura, ma che vada oltre lo scadimento nel genere e nell’aneddotico, per raggiungere, attraverso lo studio dei maestri del Quattrocento, una visione idealizzata e spirituale del reale3. Nello sviluppo della poetica del pittore romano è centrale il contatto diretto con gli esponenti dell’arte inglese. Questo avviene in un primo momento a Roma con George Mason e Frederic Leighton negli anni cinquanta del secolo, poi in Inghilterra nel decennio successivo, dove personalità a lui vicine introducono il pittore al pensiero ruskiniano e all’arte preraffaellita, permettendogli di maturare un nuovo modo di interpretare la natura. Rispetto alle teorie di Ruskin, Costa coglie e sviluppa in maniera personale alcuni aspetti consoni al contesto culturale italiano contemporaneo. Il recupero etico della pratica artistica in contrasto con la moderna società industrializzata e con il moderno sistema dell’arte, ad esempio, è letto in un’accezione nazionalistica che trascura le preoccupazioni religiose e sociali dell’autentico pensiero ruskiniano. Attraverso il teorico inglese sia Costa sia Angelo Conti – che parallelamente sviluppa un’idea di critica estetizzante basata anche sulla filosofia di Schopenhauer e sugli scritti di Walter Pater – arrivano a riscoprire l’arte del Quattrocento italiano, cui si lega anche il recupero, in senso ideologico piuttosto che morale, della professionalità dell’artista e dell’antico mestiere tramandato nelle botteghe. Riconoscendo alla contemporanea cultura anglosassone il vero moto innovatore a cui ispirarsi, i giovani artisti vedono in Costa il maestro spirituale da seguire. Alcuni aderiscono all’esperienza della Scuola Etrusca, strettamente legata al mondo inglese, mentre altri creano un nuovo sodalizio, In Arte Libertas, eleggendo il pittore romano a proprio patrocinatore. Nei tardi anni ottanta del secolo, ad ogni modo, il modello inglese e la rivalutazione del primo rinascimento si impongono come gusto dominante nel gruppo di artisti e letterati legati alla seconda Cronaca Bizantina (1885-1886), diretta da Gabriele D’Annunzio, e successivamente al Convito (18951896). Lo scrittore è tra i principali divulgatori delle esperienze estetiche inglesi e vi si avvicina in un primo momento attratto da Lawrence Alma-Tadema – scoperto all’Esposizione Internazionale di Roma del 1883 – e dalla sua pittura gemmea e tecnicamente impeccabile. L’anno successivo resta affascinato, invece, da Dante Gabriel Rossetti conosciuto grazie all’articolo di Nencioni del 18844, il primo in Italia che tenti di fare luce sulla poetica letteraria e pittorica dell’artista inglese. Alla visione letteraria ed estetizzante del preraffaellismo proposta da D’Annunzio si collegano, inoltre, il rinnovato culto di Dante e dei poeti quattrocenteschi, la rivelazione dei poeti romantici inglesi e la riscoperta di Botticelli. È il contesto in cui nasce, nel 1886, anno della prima esposizione di In Arte Libertas, l’editio picta della raccolta di poesie dannunziane Isaotta Guttadauro, ispirata al libro illustrato preraffaellita a cui collaborano, tra gli altri, alcuni dei più raffinati artisti della Roma Bizantina, Alfredo Ricci, Giuseppe Cellini e Giulio Aristide Sartorio. L’accostarsi degli artisti romani all’arte inglese contemporanea, tuttavia, incontra un duro attacco della critica italiana. L’accusa a Costa di “preraffaellismo”, ad esempio, implicando una connotazione negativa del termine, vuole sottolineare l’aspetto elitario e pretenzioso della sua pittura matura271 Dall’Inghilterra all’Italia: suggestioni e rimandi Il mito_05_IMP cat.sez. IV 3-02-2011 17:12 Pagina 272 ta a contatto col mondo anglosassone, nonostante nell’arte del pittore italiano non vi siano tracce di ispirazione autenticamente preraffaellita. Questo elemento permette di capire come la critica italiana di quegli anni avesse una visione piuttosto generalizzante e imprecisa del movimento inglese, utilizzando il termine come sinonimo di ricercatezza e preziosismo, per indicare una pittura elegante e accessibile a pochi, di generica derivazione anglosassone. Oltre a ciò, è ignorata quasi del tutto la prima fase del preraffaellismo, legata alla confraternita e al naturalismo analitico ruskiniano, e differente dalla seconda fase che confluirà nell’estetismo5. In questo panorama emergono gli scritti di Sartorio dedicati al movimento inglese tra 1893 e il 1895. Essi hanno il merito di essere il primo studio critico filologico italiano che cerchi di risolvere le ambiguità e i fraintendimenti con il quale il Preraffaellismo viene recepito in Italia. Allo stesso tempo gli articoli del pittore romano danno un decisivo impulso critico verso l’arte inglese, ravvisabile soprattutto nei primi numeri di Emporium, rivista ispirata all’inglese The Studio. L’approccio di Sartorio all’arte preraffaellita è strettamente legato al suo rapporto di stima, amicizia e collaborazione con D’Annunzio. Anche lui, come il poeta abruzzese, è affascinato in un primo momento da Alma-Tadema e realizza, tra il 1883 e il 1889, opere di gusto neopompeiano direttamente ispirate al pittore inglese; sempre attraverso D’Annunzio – come asserito da lui stesso in una lettera inviata nel 1930 a Tommaso Sillani6 – conosce l’opera di Rossetti nel 1888. L’anno successivo, a Parigi, dove vince una medaglia all’Esposizione Universale con I Figli di Caino, il pittore vede per la prima volta alcune opere di Burne-Jones e ammira il King Cophetua and the Beggar Maid (1884, Londra, Tate Britain)7. Sartorio, tuttavia, riceve stimoli verso la cultura inglese anche dalle frequentazioni con i principali salotti culturali della Roma fin de siècle 8, il più importante dei quali è quello del conte Giuseppe Gegè Primoli. Questi, infatti, commissionando all’artista il trittico delle Vergine Savie e Vergini Stolte (cat. 95) lo spinge ad approfondire la cultura preraffaellita. Primoli, inoltre, è legato alla famiglia Stillman, a Roma dal 1886, che a Londra ha avuto intensi contatti con i protagonisti del gruppo inglese. William Stillman, corrispondente del “Times”, conosce direttamente Ruskin, Rossetti e Burne-Jones, di cui è stato anche modello. Sua moglie, Marie Spartali Stillman, ha studiato con Ford Madox Brown e Burne-Jones ed è una pittrice di spicco dell’ambito preraffaellita. Ritratta da Rossetti per il Dante’s Dream (1871, Walker Art Gallery), è anche in contatto con Costa e la Scuola Etrusca, di cui la sua figliastra Lisa è esponente. Sartorio conosce bene la collezione di opere d’arte contemporanea degli Stillman, che annovera dipinti e disegni di Burne-Jones, Rossetti, Richmond e Murray. Inoltre, alcune delle opere di questa collezione – tra cui la Venere Epitalamia e l’acquarello Amore e Psiche di Burne-Jones – sono esposte nel 1890 alla mostra di In Arte Libertas. Proprio le esposizioni del sodalizio simbolista romano sono le prime ad aprire la strada alla conoscenza diretta dell’arte internazionale a Roma, preannunciando un approccio che sarà proprio delle rassegne biennali veneziane dal 1895. Alla prima esposizione internazionale di Venezia, il padiglione inglese ospita opere di Hughes, Millais, Burne-Jones, Leighton, Watts e pittori minori9. La limitazione ad autori viventi, che propongono opere posteriori alla confraternita, e la conseguente mancanza di lavori di Rossetti, tuttavia, non offrono un quadro poi così illuminante del preraffaellismo. Le mostre dell’In Arte Libertas, dunque, esponendo opere di Burne-Jones, Alma-Tadema, Leighton, Watts, Sargent, Klinger, Corot, Daubigny, Hébert, Puvis de Chavannes, Moreau dai primi anni novanta dell’ottocento, rappresentano, non solo un precoce terreno di diffusione delle correnti artistiche internazionali, ma anche le sedi dove poter osservare dal vivo opere di Rossetti. Nel 1890 sono esposte alcune opere, anche se non di primo piano, del pittore inglese, tra cui uno studio per Dantis Amor e uno per Sir Lancelot before the Shrine. Nel 1892, invece, compaiono due cartoni per i mosaici di Burne-Jones per la chiesa di St. Paul’s within the Walls in via Nazionale. L’anno successivo Sartorio parte per Londra, incaricato di scrivere alcuni articoli sull’arte europea per “La Nuova Rassegna”. È l’occasione per approfondire la conoscenza dell’arte preraffaellita e, allo stesso tempo, scrivendo articoli su Turner e Constable nei quali elabora la sua personale visione del paesaggio, per tracciare una disamina storico artistica sullo sviluppo della moderna pittura inglese. Probabilmente per intercessione degli Stillman o di Murray, Sartorio riesce a recarsi a casa di Burne-Jones, dalla cui visita elabora l’articolo pubblicato nel settembre del 1893, sulla “Nuova Rassegna”. Nel suo contributo, il primo in Italia dedicato al pittore inglese, Sartorio analizza la poetica di Burne-Jones sottolineandone il senso di soprannaturale bellezza, pacata plasticità, armonia e spiritualità dei personaggi; parla di alcune tempere del ciclo di Perseo (cat. 65-66), della tela Love and the Pilgrim, di alcuni disegni per il ciclo del Romaunt of the Briar Rose (cat. 79) e di altri lavori, ri272 levando, altresì, le fonti stilistiche e letterarie della sua opera, dominata dall’essenzialità, dal linearismo derivato dai greci e dai primitivi italiani e da armonie interne di forme e colori10. Sartorio conclude il suo intervento sottolineando come il migliore insegnamento che gli inglesi contemporanei possano dare ai colleghi italiani è quello di ispirarsi al passato. È un assunto in sintonia con la poetica del pittore romano che, infatti, nelle sue opere contemporanee si rivolge al Quattrocento italiano, come dimostra il trittico delle Vergini Savie e delle Vergini Stolte. Contemporaneamente, ad ogni modo, Sartorio assorbe alcuni stilemi della pittura burne-jonesiana, come alcune fisionomie, i moduli allungati, le tonalità auree e i fondi grigi. Come si deduce dagli scritti successivi, l’artista appare, tuttavia, più interessato a Rossetti. Anticipato da un articolo apparso sempre sulla “Nuova Rassegna” nell’aprile 189411, in cui ha un primo dettagliato approccio nei confronti dell’arte preraffaellita, nel 1895 sul “Convito” Sartorio pubblica la serie di articoli Nota su D.G. Rossetti pittore. L’artista delinea un quadro sulle origini e sullo sviluppo del Preraffaellismo, focalizzando la propria attenzione sulle due fasi del movimento: l’originaria Confraternita Preraffaellita, basata sui principi ruskiniani di aderenza alla realtà, e la fase più tarda, nata sotto la diretta influenza di Rossetti. È uno studio estremamente intuitivo e chiaramente delineato sulle conoscenze di prima mano di opere di Rossetti e altri preraffaelliti, dedotte soprattutto nel viaggio in Inghilterra del 1894, dalle delucidazioni avute da Fairfax Murray e dalle più recenti pubblicazioni inglesi e francesi sull’argomento. Dopo aver esaminato alcune delle più importanti opere di Rossetti, analizzandone le fonti letterarie e stilistiche, nel VII paragrafo del suo articolo Sartorio, come già nell’articolo dedicato a Burne-Jones due anni prima, torna sulla necessità per l’arte italiana di meditare sull’esempio inglese – con il quale peraltro condivide le fonti pittoriche – ideale per esprimere le tematiche simboliche e idealiste contemporanee, invece di seguire altri modelli offerti, ad esempio, dall’arte francese. Per Sartorio la questione è essenzialmente formale: secondo l’artista il problema nell’arte moderna è l’inadeguatezza delle forme vaghe ed evanescenti per esprimere soggetti spirituali: “[…] quanto più l’arte divien sottile ed ideale, tanto più la chiarezza dell’idea e la sincerità dell’immagine debbono essere rigorosamente perspique [sic] e perfettamente nitide”12. L’errore per la “vaquità delle forme” è legata anche a certa arte italiana quando parla della “stretta al cuore […] nell’ultima esposizione di Milano alla vista dell’introduzione tentata in Italia del verminoso processo pittorico del pointillisme […]”13. Eppure è proprio nella cultura inglese, cui si rivolge nella ricerca di una pittura ideale e metafisica, che Previati trova le fonti per maturare lo stile divisionista (cat. 106). Nella sua indagine formale Sartorio indica come esempi da seguire tutti quegli “ingegni intellettualmente raffinati” – gli inglesi, ma non solo – che seguono le “idealità del nostro rinascimento nella cui orbita stanno racchiuse le leggi e il senso dell’arte pittorica”, sottolineando che le loro opere “brillano di una luce così spiritualmente nostra che noi italiani dobbiamo veramente rammaricarci che tal tesoro di luce non sia venuto da noi”14. Seguendo gli assunti teorici delineati nel suo articolo, il pittore romano compone forse l’unico dipinto che racchiude in sé la spiritualità italiana del passato letta in una chiave tutta moderna. Il Magnificat (cat. 96), che idealmente cita Botticelli, testimonia nello stile la preferenza per l’ultimo Rossetti, per le sue fisionomie, per le sue tinte cremose, per la sensualità e la matericità tutta veneziana emanate dalla sua opera. Il culto della grande tradizione italiana, con particolare predilezione per il Quattrocento umbro-toscano, continua negli stessi anni ad essere perseguito da Costa, il quale, in compagnia di Leighton15, ha la consuetudine di compiere viaggi di studio a Firenze, Siena, Mantova, Orvieto, Venezia. L’esempio del pittore romano è ripreso dai giovani allievi Napoleone Parisani e Adolfo De Carolis, i quali programmano viaggi alla scoperta del Quattrocento in Umbria e in Toscana 16. Sempre su stimolo e indicazione di Costa, De Carolis formerà la sua poetica sullo studio approfondito delle tecniche artistiche e decorative quattrocentesche17, apprese anche a diretto contatto con le opere del Pintoricchio dell’Appartamento Borgia in Vaticano tra il 1895 e il 189718, dalle quali trae alcuni spunti iconografici e stilistici per le sue opere (cat. 100-102). De Carolis, tuttavia, matura la predilezione per la decorazione avvicinandosi ai precetti dell’Arts and Crafts, introdotti dal Museo Artistico Industriale su modello del South Kensington Museum londinese, nell’ultimo decennio del secolo. In questo quadro è centrale l’attività di Giacomo Boni, il cui rapporto di mediatore culturale tra Inghilterra e Italia è fondamentale per la diffusione del preraffaellismo19. Boni, veneziano e a Roma dal 1888, è legato da stretta amicizia a Philip Webb – architetto londinese di Palace Green, residenza degli Howard – grazie al quale conosce Morris e Murray. È stato da giovane copista per Ruskin, che conosce personalmente e di cui ha approfondito il pensiero. Il suo ruolo di diffusore dei concetti dell’Arts and Crafts si concretizzano, facendo propri e rielaborando gli insegnamenti di Ruskin e Morris, nella costruzione e decorazione della Villa Blanc, residenza del 273 Il mito_05_IMP cat.sez. IV 3-02-2011 17:12 Pagina 274 barone Alberto de Blanc, ministro degli Affari Esteri nel terzo governo Crispi, direttamente ispirata a modelli architettonici e decorativi inglesi20. Nella costruzione l’elemento distintivo è la fusione di diversi materiali – travertino, cotto, ceramica, ferro battuto, ghisa, vetro – in un insieme dal carattere spiccatamente decorativo, unico nel suo genere. L’importanza del cantiere risiede, altresì, nell’essere la fucina di elaborazione e approfondimento di aspetti della cultura inglese alla base delle poetiche di alcuni dei principali artisti italiani a cavallo del secolo, tra i quali spicca il giovane De Carolis21, che, anche attraverso le relazioni con Boni, sviluppa la sua personale visione neoquattrocentesca. 1 G. Pieri, The influence of Pre-Raphaelitism on Fin de siècle Italy. Art, Beauty and Culture, London 2007, pp. 32-40. 2 G. Gobbi Sica, Cultura e mondanità internazionale nella seconda metà del secolo XIX in I giardini delle regine. Il mito di Firenze nell’ambiente preraffaellita e nella cultura americana fra Ottocento e Novecento, catalogo della mostra a cura di M. Ciacci e G. Gobbi Sica (Firenze, Galleria degli Uffizi), Livorno 2004, pp. 76-79; E. Colle, Artigianato artistico e industrie a Firenze tra Ottocento e Novecento, Ibidem, p. 112-139; G. Pieri, Le arti in Inghilterra e le relazioni artistiche anglo-italiane di fine secolo, in Jessie Boswell, catalogo della mostra a cura di I. Mulatero (Torino, Sala Bolaffi), Torino 2009, pp.117-125. 3 S. Frezzotti, L’ultimo Nino Costa. Le battaglie per l’arte, in Da Corot ai Macchiaioli al Simbolismo. Nino Costa e il paesaggio dell’anima, catalogo della mostra a cura di F. Dini e S. Frezzotti (Castiglioncello, Castello Pasquini), Milano 2009, pp. 47-61. 4 E. Nencioni, Le poesie e le pitture di D.G. Rossetti, in “Fanfulla della Domenica”, 17 febbraio 1884. Cfr. anche S. Scotoni, D’Annunzio e “La Peinture Anglaise”, un aspetto 274 della giovanile critica d’arte del poeta, in “Artibus et Historiae”, A. 1, n. 2, 1980, pp. 79-91. 5 Per una disamina generale della critica preraffaellita in Italia a fine secolo, cfr. B. Saletti, I preraffaelliti nella critica d’arte in Italia tra Ottocento e Novecento, in G. Oliva (a cura di), I Rossetti tra Italia e Inghilterra, atti del convegno internazionale di studi (Vasto 23-24-25 settembre 1982), Roma 1984, pp. 427-436. 6 G. Aristide Sartorio all’autore del libro, in T. Sillani, Francesco Paolo Michetti, Milano-Roma 1932, p. 117. 7 G.A. Sartorio, Edward BurneJones, in “La Nuova Rassegna”, 3 settembre 1893, p. 306. 8 Per questo aspetto cfr. S. Berresford, P. Nicholls, Sartorio e il mondo artistico inglese, in Giulio Aristide Sartorio (1860-1932), catalogo della mostra a cura di R. Miracco (Roma, Chiostro del Bramante), Firenze 2006, pp. 105-107. 9 Il comitato organizzatore per l’Inghilterra all’esposizione veneziana è guidato da AlmaTadema, Burne-Jones, Leighton, Millais e W.M. Rossetti, fratello di D.G. Rossetti. I principali artisti presenti e le opere esposte sono: L. Alma-Tadema, Ritratto; E. Burne-Jones, Sponsa de Libano; A. Hughes, Viola d’Amore; W. Holman Hunt, Mattina di maggio sulla torre Maddalena, F. Leighton, Perseo e Andromeda; J.E. Millais, L’Ornitologo, L’ultima rosa d’estate; W. Blake Richmond, Bagno di Psiche; G.F. Watts, Psiche, Endimione (cfr. cat. 88) Fuggito; J.A. Whistler, Fanciulla Bianca. Cfr. Prima Esposizione Internazionale d’Arte della città di Venezia. Catalogo illustrato, Venezia 1895. 10 G.A. Sartorio, Edward BurneJones, cit., pp. 304-306. 11 G.A. Sartorio, Ancora sui Preraffaelliti, in “La Nuova Rassegna”, 29 aprile 1894, pp. 526-528. 12 G.A. Sartorio, Nota su D.G. Rossetti pittore, in “Il Convito”, 2-4, 1895, p. 285. 13 G.A. Sartorio, ibidem. 14 G.A. Sartorio, ibidem, pp. 284-285. 15 N. Costa, Note su Lord Leighton, in “Cornhill Magazine”, vol. II, Londra, marzo 1897, pubblicato in Da Corot ai Macchiaioli al Simbolismo cit., p. 314. 16 Cfr. Lettera di De Carolis a Parisani del 29 agosto 1897, Fondo Adolfo De Carolis, Archivio della Galleria Nazionale d’Arte Moderna, Roma, pubblicato in, A. Lenzi, Adolfo De Carolis e il suo mondo (1892-1928). L’arte e la cultura attraverso i carteggi De Carolis, D’Annunzio, Maraini, Ojetti, Anghiari 1999. pp. 64-65. Cfr. anche G. Piantoni, “Modernità” della pittura di paesaggio a Roma fra Ottocento e Novecento, in La poesia del vero. La pittura di paesaggio a Roma fra Ottocento e Novecento, da Costa a Parisani, catalogo della mostra a cura di G. Piantoni (Macerata, Palazzo Ricci e Camerino, Convento di S. Domenico), Roma 2001, p. 18. & Crafts e la formazione a Villa Blanc, cfr. i saggi di T. Maffei e A.A. Amadio in Vivere con l’arte, vivere per l’arte. Adolfo De Carolis e la democrazia del bello, catalogo della mostra a cura di T. Maffei (Montefiore dell’Aso, Polo Museale San Francesco), Ascoli Piceno 2009. 17 Cfr. M. Piccioni, Adolfo De Carolis e il ’400 italiano, in “Caffè Michelangiolo”, A. 14, n. 3, settembre-dicembre 2009 (2010), pp. 50-52. 18 De Carolis collabora con Alessandro Morani ai lavori nella Sala del Credo in occasione del restauro dell’Appartamento Borgia voluto da Leone XIII. Cfr. A. Lenzi, Adolfo De Carolis e il suo mondo (1892-1928), cit. pp. 13-14. 19 G. Pieri, The Influence… cit., pp. 21-32. 20 Per Villa Blanc cfr. G. Piantoni, La decorazione dell’eclettismo: gusto borghese e aristocratico nell’abitazione a Roma tra Ottocento e Novecento, in A. Campitelli (a cura di), Ville e Giardini fra Ottocento e Novecento, Roma 1996, p. 109; A. Lenzi, Adolfo De Carolis e il suo mondo (1892-1928), cit., pp. 20-29; A. Campitelli, Villa Blanc, in S. Frezzotti, P. Rosazza Ferraris (a cura di), Scritti in onore di Gianna Piantoni. Testimonianze e contributi, Roma 2007, pp. 263-272. 21 De Carolis lavora sotto la guida di Morani che si occupa del progetto dell’apparato decorativo della villa. Per l’arte decorativa di De Carolis, il rapporto con l’Arts 275 Il mito_05_IMP cat.sez. IV 3-02-2011 Nino Costa Roma 1826 - Marina di Pisa 1903 94. To be or not to be. Who loves not is not (Essere o non essere) 1890 c. olio su tela cm 51 x 52 nel verso, scritta non autografa: “Giorgia Guerrazzi Costa/ Proprietà Guerrazzi / giovane inglese dipinta da Nino Costa romano” sulla cornice, in basso al centro: “To be o[...] to be/ Who love [...] is not” Galleria Nazionale d’Arte Moderna, Roma Provenienza: Helietta Guerrazzi Caracciolo, 1984 Esposizioni: Roma 1904, p. 89 n. 446 (Essere o non essere); Roma 1921, n. 44 (Essere o non essere); Pisa 1956 n. 33 (To be or not to be, dat. 1889); Castiglioncello 2009, n. 87 Bibliografia: Maltese 1960, p. 248 (La lettrice); S. Berresford, Giovanni Costa ed i suoi rapporti artistici con l’Inghilterra, in Milano 1982, pp. 17-18; Marabottini 1990, p. 34; G. Piantoni, “Modernità” della pittura di paesaggio a Roma fra Ottocento e Novecento da Costa a Parisani, in Macerata-Camerino 2001, p. 10; S. Frezzotti, in GNAM 2006, p. 333; S. Frezzotti, Castiglioncello 2009, p. 276 Nino Costa è stato senza dubbio l’artista italiano che, già nei primi anni sessanta dell’Ottocento, aveva avuto una conoscenza diretta dell’arte contemporanea inglese, anticipandone in Italia le tendenze e le idee. Attraverso la sua fraterna e duratura amicizia con Frederic Leighton, Costa aveva potuto essere al corrente, sia pure in maniera generica, delle idee di Ruskin, in particolare relativamente al concetto di fedeltà al ‘Vero’ di natura. Altrettanto feconda e duratura era stata l’amicizia con George Howard, IX Lord Carlisle. Presso le residenze dell’amico inglese, di cui era spesso ospite, Costa aveva potuto ammirare la splendida collezione di opere di Watts, Leighton, Rossetti, William Morris, nonché di Burne-Jones, al quale George Howard aveva affidato la decorazione di Palace Green con la celebre serie di Amore e Psiche (cfr. A. Brisby, George Howard e Nino Costa: una nobile amicizia, in Castiglioncello 2009, pp. 75-81). Nonostante le relazioni con i protagonisti dell’arte inglese (Howard e Burne-Jones erano stati, tra l’altro, promotori nel 1894 di una mostra di Costa a Londra presso Agnew per sostenere finanziariamente l’amico, né si deve dimenticare che Olivia Rossetti Agresti, prima biografa di Costa, era nipote di Dante Gabriel Rossetti e di Ford Madox Brown), tuttavia il pittore romano non aveva mai totalmente aderito alle poetiche preraffaellite perché il suo interesse era quasi esclusivamente indirizzato verso la pittura di paesaggio come principale e quasi esclusivo veicolo di 17:12 Pagina 276 interpretazione di uno stato d’animo. La sua consonanza con la cultura inglese contribuì però ad orientare, negli ultimi decenni del secolo, la riscoperta dei maestri italiani del Tre e Quattrocento come fonte di ispirazione per l’arte presente e fondamento dell’identità culturale italiana (S. Frezzotti, L’ultimo Nino Costa. Le battaglie per l’arte, in Castiglioncello 2009, pp. 55-60). A questa fase tarda dell’attività di Nino Costa, riconducibile al periodo di massima apertura a Roma verso un estetismo di origine ‘preraffaellita’ attraverso le mostre di “In Arte Libertas”, è attribuibile questo dipinto, esposto per prima volta alla retrospettiva del 1904 con il titolo Essere o non essere. Nella figura classicamente ammantata che, nella ristretta ambientazione da hortus conclusus, guarda fuori dallo spazio del quadro, assorta nella contemplazione, confluiscono molteplici esperienze: uno spiritualismo di ascendenza francescana che aveva suggestionato Costa nel decennio 1880-90 circa, quando in compagnia di Leighton e Richmond soggiornava ripetutamente in Umbria e in Toscana; riferimenti visivi ai ‘primitivi italiani’, in particolare alla solida volumetria e semplicità espressiva di Giotto e del Masaccio del Carmine. Seguendo la moda preraffaellita di fine secolo nel gusto per il preziosismo colto, la cornice originale reca la frammentaria iscrizione da cui il dipinto trae uno dei titoli con il quale è comparso in bibliografia: To be or not to be. Who love (s not) is not, gioco di parole volutamente oscuro ed evocativo che intende alludere allo stesso tempo a Shakespeare e al Platone del dialogo “Liside”, per suggerire che solo l’amore (chi non ama non è) dà fondamento all’esistenza (all’amicizia, all’amore per il vero ecc.). La cornice intagliata è stata attribuita ad Alessandro Morani (cfr. Lenzi 1999, p. 17, ripr. n. 13) per l’affinità stilistica con i motivi decorativi ispirati agli affreschi di Pintoricchio negli Appartamenti Borgia in Vaticano che lo stesso Morani aveva avuto l’incarico di restaurare insieme ad Adolfo De Carolis fra il 1895 e il 1897. [SF] Giulio Aristide Sartorio Roma 1860-1932 95. Le Vergini Savie e le Vergini Stolte 1890-93 trittico, olio su tavola cm 188 x 205 Galleria Comunale d’Arte Moderna, Roma Provenienza: Acquistato nel 1939 presso Augusto Jandolo Esposizioni: Venezia 1899; Roma-Parigi 2000-2001, n. 16; Roma 2006 Bibliografia: Cipriani 1978, fig. n. 8; Roma 1980 p. 30; A.M. Damigella, Sartorio e la pittura decorativa simbolica, in Roma 1989, pp. ; M. Rinaldi in Galleria Comunale 276 d’Arte Moderna 1994, pp. 416-419, fig. 107; G. Piantoni in Roma-Parigi 2000-2001, pp. 112-113; E. De Luca in Galleria Comunale d’Arte Moderna 2004, pp. 470-471; S. Panei in Roma 2006, pp. 176-177; Pieri 2007, pp. 64, 106, 153, 155-156 Il trittico è commissionato a Sartorio nel 1890 dal conte Giuseppe Primoli – conosciuto l’anno prima attraverso D’Annunzio, Michetti e Matilde Serao – come dono di nozze per il suo matrimonio, poi non più celebrato. Secondo la volontà di Primoli, l’opera dovrebbe essere una trasposizione in chiave moderna dell’omonima parabola evangelica (Mt. 25,1-13), che proponga un’immagine idealizzata della donna custode dei valori familiari, tematica già affrontata da Giuseppe Cellini nella Galleria Sciarra a Roma. Il tema permette a Sartorio di rivolgersi verso modelli preraffaelliti – superando l’interesse per i quadroni da Salon che lo avevano portato a vincere una medaglia d’oro l’anno precedente – dei quali, a quel tempo, egli ha ancora solo una vaga conoscenza fondata su fonti indirette e sull’osservazione di alcune opere minori, esposte all’ “In Arte Libertas” o della collezione Stillman. Al contrario, conosce molto bene la pittura del Quattrocento italiano che, assieme allo studio dal vero delle modelle e della vegetazione, costituisce l’elemento fondante del dipinto. Allo scopo di far approfondire a Sartorio i modelli a cui ispirarsi per il dipinto, Primoli finanzia al giovane pittore un viaggio di studio a Venezia nell’agosto del 1890, che lo porta a visitare anche Firenze, Bologna, Padova e Verona. Gli esiti di questa missione sono evidenti soprattutto nella parte centrale del trittico dove gli angeli, con aureole realizzate in stucco dorato, sono direttamente ispirate a Pisanello, mentre e la Janua Coeli richiama le Porte del Paradiso del Ghiberti del Battistero fiorentino, simbolicamente allusive alla sfera celeste, alla quale si contrappone, negli scomparti laterali, il mondo volubile e terreno. Per le figure delle vergini, abbigliate secondo un gusto vagamente quattrocentesco, posano le illustri dame dell’aristocrazia del tempo: la principessa Odescalchi, la marchesa Theodoli, la principessa di Venosa, Lisa Stillman, di cui Sartorio è invaghito, e Maria D’Hardouin di Gallese, moglie di D’Annunzio. Di quest’ultima alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma è conservato un ritratto, servito da studio per l’opera, la cui figura ritorna in altri celebri dipinti di Sartorio. Per lo studio delle pose, inoltre, l’artista si è servito anche di fotografie ispirate ai tableaux vivants realizzati da Primoli e dalla sua cerchia. La scelta di ritrarre fanciulle appartenenti al proprio circolo, figlie di amici o di noti esponenti dell’alta società, trova un precedente nella Scala d’Oro di BurneJones (1876-1880, Londra, Tate), opera a 94 cui è connessa anche la tematica delle nozze, poiché uno dei titoli previsti dal pittore inglese era Il matrimonio del re. Questo aspetto testimonia un precoce interesse di Sartorio nei confronti di BurneJones , forse per influenze di Primoli e del suo milieu culturale. Il trittico è un’opera di transizione nella carriera di Sartorio. Essa documenta il primo concreto interesse nei confronti del preraffaellismo e, allo stesso tempo, il compromesso tra vero naturale e idealità che interpretava bene le teorie estetiche degli amici letterati. Tuttavia, nell’opera si ritrovano elementi ancora legati al periodo “bizantino”, come il decorativismo ispirato ai marmi cosmateschi, il misticismo e l’uso del colore in chiave simbolica. Parallelamente è evidente la nuova attenzione alla pittura di paesaggio – che in quegli anni l’artista andava scoprendo sotto l’influenza dell’amico Michetti – nella realizzazione degli alberi che fanno da sfondo ai pannelli laterali, scelti anche per il loro significato simbolico: gli ulivi, piante utili all’uomo, e i pini, alberi che non hanno frutti, quindi semplicemente decorativi. [MP] Giulio Aristide Sartorio Roma 1860-1932 96. Madonna degli Angeli (Magnificat) 1895 olio su tela diametro cm 123 sotto la lastra dell’altare: “G. A. Sartorio Roma” Collezione privata Esibizioni: Venezia 1895; Gardone Riviera 1988, n. 21; Roma 2001; Roma 2006 Bibliografia: Mimita Lamberti 1982, pp. 104-105; S. Fugazza in Gardone Riviera 1988 p. 105; S. Panei in Roma 2006 p. 174 Esposta a Venezia nel 1895, riscuotendo un forte consenso e notevole successo, l’opera richiama su di sé l’attenzione della critica che nota in prima battuta il debito nei confronti dei maestri quattrocenteschi. È innegabile il rapporto del dipinto con prototipi botticelliani, peraltro sottolineati da Sartorio stesso chiamando il tondo Magnificat, esplicita allusione all’omonimo dipinto di Botticelli degli Uffizi, come documentato da una lettera scritta dall’antiquario Augusto Jandolo all’acquirente dell’opera nel 1936 (Roma, Archivio privato). La lettera, inoltre, è una fonte utile perché indica come nei personaggi sia possibile identificare Maria 277 Il mito_05_IMP cat.sez. IV 3-02-2011 17:12 Pagina 278 95 96 97 d’Hardouin, moglie di Gabriele D’Annunzio e modella prediletta da Sartorio nel ruolo della Vergine, e il loro figlio Gabriellino in quello di Gesù Bambino. Il dipinto è stato elaborato in seguito al viaggio in Inghilterra del 1894, in cui l’artista ha studiato approfonditamente opere dei preraffaelliti, in particolare di Rossetti, ricavandone materiale per i suoi articoli pubblicati nel “Convito” nello stesso anno della realizzazione dell’opera. Sartorio rielabora un soggetto dipinto nel 1888 (Roma 2006, p. 175), ancora nell’orbita del preziosismo “bizantino”, secondo la diretta influenza rossettiana evidente non solo nelle fisionomie della Vergine, ma anche nella stesura pittorica affine all’ultima fase del pittore inglese. L’attenzione alle decorazioni cosmatesche legano il dipinto alle opere precedenti, indicando che il medioevo romano è ancora una importante e vitale fonte d’ispirazione. [MP] Giulio Aristide Sartorio Roma 1860-1932 97. Dante e Beatrice 1896 olio su tela su cartone cm 50 x 73 in basso a sinistra: “G. A. Sartorio - F 1896” Archivio Sartorio Esposizioni: Gardone Riviera 1988, n. 22; Roma 2001; Roma 2006 Bibliografia: S. Fugazza in Gardone Riviera 1988, p. 106; S. Panei in Roma 2006 Sartorio torna sul tema derivato dalla Vita Nova dantesca dieci anni dopo averlo affrontato nelle illustrazioni dell’Isaotta Guttadauro e nel ventaglio commissionato da Villegas, descritto da D’Annunzio in un 278 articolo dedicato al pittore romano sulla Tribuna dell’11 novembre 1886. In quell’occasione Sartorio raffigura Beatrice che appare, avvolta da una luce celestiale, a Dante intento a scrivere. L’opera è realizzata con uno stile assimilabile al preziosismo “bizantino” degli anni 1880, senza alcun riferimento formale a modelli inglesi che sono ancora, a quel tempo, filtrati dalla lettura dannunziana. Nel presente dipinto, che raffigura l’incontro di Dante e Beatrice, sono riconoscibili le figure ricorrenti nelle opere contemporanee o successive al trittico delle Vergini Savie e delle Vergini Stolte (cat. 95), nonostante siano nulla più che delle immagini evanescenti, mentre per Beatrice è riutilizzata una figura già rappresentata ne L’Addio o Mentre suonava il violino (cfr. A.M. Damigella in Roma 1989, p. 54). L’opera è uno degli ultimi soggetti ispirati al preraffaellismo prima della partenza del pittore per la Germania, dove è chiamato – su invito del Granduca Carlo Alessandro di 279 Il mito_05_IMP cat.sez. IV 3-02-2011 Sassonia-Weimar, conosciuto a Roma presso lo scrittore Voss – come professore di pittura all’Accademia di Weimar, in cui hanno insegnato, tra gli altri, anche Böcklin e Lenbach. In Germania si lascia sedurre dall’arte delle Secessioni e dalla lettura di Nietzsche, che lo portano alla maturazione del neomichelangiolismo idealizzante con cui conduce a termine il dittico della Diana d’Efeso e La Gorgone e gli eroi (Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna) esposta alla Biennale di Venezia nel 1899. [MP] Giulio Aristide Sartorio Roma 1860-1932 98. Studio per la Testa della Gorgone 1895 pastello mm 475x650 (foglio) 570x740 (cartone) Galleria Nazionale d’Arte Moderna, Roma Provenienza: dono dell’artista,1899 Esposizioni: Venezia 1895, n. 302; Roma 1933, n. 56; Roma 1980, n. 7; Gardone Riviera 1988, n. 25; Roma 1989, n. 17; Roma-Parigi 2000-2001; Roma 2006; Roma 2007, n. 38 Bibliografia: Paoletti 1899, p. 707; Munoz 1909, p. 25 ill.; Trompeo 1932, p. 821; Roma 1933, p. 50, tav. XXV; Bellonzi 1961, p. 126 ill.; Bellonzi 1961a, tav. XCVIII; Bellonzi 1963, p. 34, ill. n. 29, tav. XX; Cipriani 1978, n. 14 ill.; Roma 1980, ill. in copertina, tav. p. 29, p. 56, n. 7; S. Fugazza in Gardone Riviera 1988, p. 109; Roma 1989, p. 84 ill. p. 90; G. Piantoni in RomaParigi 2000-2001, p. 122 ill.; R. Camerlingo in Roma 2006, pp. 190-191 ill.; Roma 2007, p. 50, tav. 38 Il pastello raffigurante la testa della Gorgone fu donato alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna da Sartori, assieme ad altri studi, subito dopo l’acquisto da parte dello Stato del monumentale dittico La Gorgone e gli eroi e Diana d’Efeso e gli schiavi, esposto alla terza Biennale di Venezia del 1899, dove riscosse un notevole successo, e grande ammirazione suscitò proprio la figura della Gorgone. Lo studio della testa alata era forse già stato eseguito nel 1895 (identificabile con lo Studio di testa esposto alla prima Biennale di Venezia), e successivamente incollato su un foglio più largo, probabilmente per apportare alcune modifiche. In un primo momento infatti “Sartorio deve aver disegnato la testa senza i serpenti come essa appare, palese citazione della Notte michelangiolesca, nella figura femminile esposta a Venezia nel 1899 come studio intero della Gorgone […] Al momento di dover precisare l’identità della Gorgone come Medusa anguicrinita, Sartorio ricorre all’aggiunta dei serpenti alla testa femminile già ideata e, per poter trovare spazio sufficiente allo snodarsi lento del 17:12 Pagina 280 rettile al sommo del capo, ingrandisce il suo campo pittorico, incollando il foglio del pastello a un più largo supporto di cartone” (B. Mantura, in Roma 1989, p. 84). Del clima artistico e culturale degli anni delle prime Biennali di Venezia il pastello, nel quale Sartorio appare abile e delicato disegnatore, è una evidente testimonianza, laddove “suggestioni di Moreau […] si fondono con il michelangiolismo e l’estetismo del tardo preraffaelismo” (A.M. Damigella, in Roma 1989, p. 7) e “il nudo della Gorgone […] deriva nella posa […] dalla ninfa casalinga del Costa nel faticoso dipinto Alla Fonte del 1863. L’atteggiamento è il medesimo, e anche l’immensa chioma è la stessa di origine rossettiana. Ma il risultato è diversissimo: quello di Costa rimane una modella innocente [...] Del primitivismo, della piacevole ingenuità costiana, non c’è traccia nella Gorgone, che è l’immagine di una femminilità incantatrice, carica di una potenza arcana e pericolosa. Il suo volto (se ne veda specialmente lo studio a pastello, di un ductus agile, d’un fremito autentico, di una diafana spiritualità) assomiglia a quello della Notte di Michelangelo; il suo corpo è un Botticelli rifatto su natura; la sua chioma appartiene alle più fascinose bellezze muliebri di Dante G. Rossetti; la sua estrema finezza di esecuzione non trova esempi contemporanei all’infuori del Burne-Jones o del Moreau, del Boecklin e del Klinger” (Bellonzi 1961a, pp. 647-657). Come accade sovente nella produzione degli artisti del XIX secolo, sembra che i disegni e gli studi superino per immediatezza le opere alle quali sono destinati; così anche i pastelli preparatori della Gorgone rivelano “maggiore leggerezza rispetto l’esito finale” nella testa in particolare, dove “i capelli attorti di serpi della diafana creatura non si allargano ancora, come un quadro, a formare un’aida rossettiana” (Fugazza 1988, p. 109). [RC] Giulio Aristide Sartorio Roma 1860-1932 99. Circe 1893-1903 olio su tela cm 100 x 108 In basso a sinistra: “G. A. Sartorio” Collezione privata, Spoleto Esposizioni: Roma 1980 n. 5; Roma 1996 n. 60; Alessandria 2005 n. 7; Roma 2006 Bibliografia: T. Sacchi Lodispoto in Roma 1996, pp. 163-164. S. Panei in Roma 2006, p. 197 La maga Circe in atto di offrire al guerriero, verosimilmente Odisseo, una coppa con il filtro che lo tramuterà in animale è uno degli esempi di femme fatale più riprodotti, 280 tema ricorrente nella cultura decadente di fine secolo; completano la scena, sulla sinistra, un’ampolla che contiene il filtro, un leone simbolo di potenza e un serpente simbolo di tentazione. La datazione al 1893 proposta da Sapori nel 1919, ipoteticamente accettabile sia per il soggetto della donna fatale ricorrente in opere coeve (La Sirena, L’Impassibile o Una Gorgone, Stige, La Diana d’Efeso), sia per l’assimilazione di modelli inglesi (il volto del giovane in armatura ha delle forti affinità con alcune teste di Burne-Jones), è stata posta in discussione suggerendo un’esecuzione prossima al 1903 (T. Sacchi Lodispoto in Roma 1996). Burne-Jones, del resto, ha eseguito un dipinto di analogo soggetto – il Vino di Circe (collezione privata) – ma risolto in maniera del tutto diversa poiché presenta la maga mentre scioglie una soluzione in un’anfora. Le relazioni, dunque, consistono semplicemente nel fatto di rientrare nello stesso clima culturale. Il motivo dello spostamento in avanti della datazione è strettamente stilistico: la struttura compositiva con lo sfondo circolare, quasi monocroma, la pittura spessa e materica trovano affinità con i grandi cicli decorativi eseguiti a partire dal 1903. Non è escluso che in quel periodo Sartorio utilizzasse ancora modelli figurativi degli anni novanta, in quanto la figura femminile è vicina a quelle diafane e filiformi dipinte nel corso del decennio precedente, come evidente in Dante e Beatrice (cat. 97). [MP] 98 99 Adolfo De Carolis Montefiore dell’Aso 1874 - Roma 1928 100. Danielle, cartone per il piatto del camino dello studio della villa Costantini Brancadoro di San Benedetto del Tronto 1898 tecnica mista su cartone diam. cm 45 Collezione privata Provenienza: Roma, Galleria San Bernardo Bibliografia: Di Pino Giambi 1992, pp. 43-44, 60; Lenzi 1999, pp. 38, 87, tav. XXI.1-2 Durante i lavori di decorazione di Villa Blanc, De Carolis ha modo di approfondire da vicino le tecniche decorative artigianali già studiate negli anni della frequentazione del Museo Artistico Industriale, a partire dal 1892. Nella residenza del ministro è chiamato a realizzare alcune decorazioni in ceramica, che sono state riconosciute in alcuni capitelli, nelle metope del giardino d’inverno, nelle imposte degli archi e nelle lesene della loggetta delle cariatidi. Fondamentale per lo sviluppo della carriera dell’artista marchigiano come decoratore ispirato ai prototipi rinascimentali è il 281 Il mito_05_IMP cat.sez. IV 3-02-2011 viaggio a Firenze, voluto da Giacomo Boni nel 1895-96, per acquisire i segreti e le tecniche della ceramica invetriata, riportata in auge da alcuni artigiani inglesi legati all’Arts and Crafts, capitanati da William De Morgan. Durante il soggiorno il pittore riceve fortissima impressione dalle opere robbiane, che lo portano alla stesura, nel 1896, del saggio, rimasto inedito, Luca della Robbia e le terrecotte invetriate (pubblicato in Dania-Valentini 1975). In seguito al licenziamento dal cantiere della Villa Blanc, De Carolis ottiene, nel settembre del 1897, la commissione per la decorazione della Villa Costantini Brancadoro a San Benedetto del Tronto (cfr. Amadio 2003). Si tratta del suo primo incarico autonomo, in cui ha modo di sintetizzare e di rielaborare quanto appreso durante gli anni della formazione, ovvero le suggestioni di Pintoricchio nelle Sale Borgia in Vaticano e l’esperienza decorativa di Villa Blanc sotto la guida di Boni: da una parte il vocabolario figurativo basato sull’interpretazione di stilemi preraffaelliti e quattrocenteschi per le decorazioni pittoriche, dall’altro l’arte decorativa e industriale derivata dall’Arts and Crafts. Nella villa marchigiana, infatti, nel 1898 ripropone la maiolica come arredo architettonico, inserendo ottantasei piccole mattonelle ad ornamento del camino del conte Brancadoro e disegnando il piatto, murato sulla cappa (lettera del conte Ignazio Costantini Brancadoro del 9 luglio 1898, Fondo Adolfo De Carolis, Archivio Galleria Nazionale d’Arte Moderna, Roma, pubblicata in Lenzi 1999, p. 38), raffigurante una figura femminile di ascendenza rinascimentale, di cui il presente cartone è il disegno preparatorio. Esiste un bozzetto identico per un secondo piatto, forse un pendant, dal titolo Eleonora, ispirato a modelli tizianeschi e botticelliani. [MP] Adolfo De Carolis Montefiore dell’Aso 1874 - Roma 1928 101. Studio per La donna alla fontana 1898 ca. matita e inchiostro su carta cm 110 x 80 Collezione privata Esposizioni: Roma 2001 Bibliografia: F. Benzi, Introduzione in Roma 2001, rip. p. 21 De Carolis elabora la prima versione delle Castalidi e La donna alla fontana (già Collezione Massarenti, Bologna) negli anni in cui è impegnato nella decorazione della Villa Brancadoro. Nella realizzazione di certi suoi dipinti, il pittore trasporta su tela alcuni soggetti realizzati nelle lunette della sala da pranzo della villa. In una di esse, infatti, compare una figura femminile che assume la stessa 17:12 Pagina 282 posa, col braccio piegato alla vita, della Donna alla fontana, mentre in un’altra lunetta è rappresentata la stessa fontana che compare nel dipinto (Amadio 2003, p. 2). Come nelle lunette della villa Brancadoro, inoltre, nella tela la tematica è quella dell’acqua – letta simbolicamente come fonte rigeneratrice e purificante – derivata dal testo attribuito a Dino Compagni, L’intelligenza, forse conosciuto attraverso Giacomo Boni. L’importanza del soggetto è sottolineata dall’iscrizione sulla cornice: “FONS HORTORUM PUTEU AQUARUM VIVENTIUM”. Il disegno qui esposto rappresenta uno studio, dove il motivo decorativo della gonna è messo in risalto attraverso l’uso dell’inchiostro blu. Il dipinto, terminato nel 1898, è esposto alla Biennale di Venezia nel 1899 ed è gradito alla critica soprattutto per la sue qualità decorative e ornamentali, che ne rappresentano l’elemento più affascinante, evidenti nella superficie dell’abito che sembra punzonata, per l’uso della foglia d’oro e per i lavori in pastiglia nella coppa e nei sandali. Questi dettagli evidenziano l’attenzione di De Carolis nel ricreare gli effetti decorativi dell’arte del Quattrocento, riproposta dal pittore anche nel ricco drappo tenuto dagli angeli in Laudata sii per la bella luce che desti in terra del 1899 (Piccioni 2009 [2010]). La critica del tempo, inoltre, punta l’accento sulla derivazione preraffaellita del dipinto. La figura femminile assorta nei propri pensieri, fuori dal tempo e di una bellezza androgina è, infatti, un ritratto idealizzato della fidanzata del pittore, Lina, musa ispiratrice di quasi tutte le sue opere giovanili, che viene sublimata riprendendo certamente modelli inglesi, da Burne-Jones a Crane, pur filtrati attraverso lo studio di Botticelli. Nella genesi dell’opera, tuttavia, altri sono gli elementi che concorrono alla formazione dello stile dell’artista marchigiano nel suo periodo romano, recentemente messi in luce da alcuni studi (Lenzi 1999, pp. 15-16). Per l’iconografia generale dell’opera, come delle lunette della Villa Brancadoro, è Pintoricchio la fonte principale. Tra il 1895 e il 1897, quando De Carolis collabora con Morani al restauro della V sala dell’appartamento Borgia decorata dal pittore umbro, ha l’opportunità unica di poter entrare in contatto con un repertorio stimolante di immagini, simboli e decorazioni. Tra essi, la lunetta con Susanna e i Vecchioni sembra essere lo spunto ideale per il soggetto del dipinto, poi elaborato dal vero anche nei giardini di Villa d’Este a Tivoli. In una lettera a Parisani, De Carolis, inoltre, sottolinea l’impressione ricevuta dall’incarico in Vaticano e la volontà di muoversi verso la riscoperta del Quattrocento (“Faremo lavorare molto le sale Borgia”, lettera del 30 luglio 1899, Fondo Adolfo De Carolis, Archivio Galleria Nazionale d’Arte Moderna, Roma, pubblicata in Lenzi 1999, p. 68), che lo guida, altresì, verso il viaggio in Umbria e nelle Marche con l’amico camerte nel 1897. [MP] 282 Adolfo De Carolis 100 102 Montefiore dell’Aso 1874 - Roma 1928 102. Allegoria 1900-1903 tempera su carta intelata cm 100x170 Collezione privata Esposizioni: Roma 2001 Bibliografia: F. Benzi, L’Italia Liberty tra la pittura e le altre arti, in Roma 2001, pp. 46, 48 Allegoria offre un’ulteriore testimonianza della tendenza neoquattrocesca che caratterizza le opere decarolisiane a cavallo tra Ottocento e Novecento. Nelle donne che suonano l’arpa e il violino possono trovarsi, di nuovo, stringenti contatti con il Pintoricchio delle Stanze Borgia, in particolare con le figure musicanti della lunetta raffigurante l’Allegoria della Musica nella sala delle Arti Liberali. Allo stesso tempo l’iconografia lascia individuare possibili modelli burnejonesiani, come le fanciulle in The Golden Stairs (Londra, Tate Britain) o le figure musicanti del The Last Sleep of Arthur in Avalon (Ponce, Museo de Arte de Ponce). Ad ogni modo, l’influenza diretta di iconografie preraffaellite nell’opera si rintracciano principalmente nella scelta di porre le donne sedute su un albero, ricollegabile al Day Dream di Rossetti (1880, Victoria & Albert Museum, Londra), peraltro riprodotto da Sartorio nelle Note su D.G. Rossetti nel 1895. L’immagine è stata altresì posta a confronto con l’Albero della Vita di Segantini (1894) della Galleria d’Arte Moderna di Milano (Benzi 2001, p. 46), probabilmente rintracciandovi una matrice comune. Successivamente, il soggetto torna nell’incipit per la tragedia Francesca da Rimini di Gabriele D’Annunzio del 1902, in cui il rapporto con il prototipo rossettiano si fa più stringente poiché la donna siede esattamente nella stessa posa e con un abito simile. Proprio l’affinità stilistica con le incisioni per la Francesca da Rimini – nella linea sinuosa che crea le pieghe della veste della protagonista della tragedia, che nella fisionomia del volto è del tutto assimilabile alla donna che suona il violino – fa pensare ad una datazione prossima ai primi anni del XX secolo, quando De Carolis continua ad affrontare studi in giardini e ville storiche del Lazio, verosimilmente alla ricerca di giuste ambientazioni per i suoi soggetti, come già fatto a Tivoli per La donna alla fontana (cat. 101). Alcune incisioni tratte da queste vedute sono state pubblicate da Romualdo Pantini nel 1901 in un articolo sugli artisti italiani in “The Studio” (R. Pantini, Some Italian Artist, in “The Studio”, 97, 1901, pp. 163-164). Inoltre, il tema musicale, caro all’Aesthetic Movement inglese e alle teorie di Pater, è protagonista del dipinto presentato alla Biennale di Venezia del 1901, Il Concerto – il primo eseguito a Firenze dopo il suo trasferimento, riadattato nel 1905-1906 nella decorazione del Villino Regis De Oliveira a Roma, ora distrutto (Piccioni 2009 [2010], p. 52, nota 11) – ancora ispirato a modelli quattrocenteschi e inglesi (Albert Moore, A Quartet, 1868, collezione privata; il già citato The Last Sleep of Arthur in Avalon di Burne-Jones). È ipotizzabile, infine, che Allegoria possa rappresentare un cartone per un pannello, forse non realizzato, nell’ambito della commissione ricevuta da De Carolis nel 1903 per la decorazione della camera da letto di Alice Ravà, “sul genere della sua bella donna alla fontana […] qualche figura vagante uso Burne Jones molto stilizzata e allegorica” (lettera senza data di Alice Ravà, Fondo Adolfo De Carolis, Archivio Galleria Nazionale d’Arte Moderna, Roma, pubblicata in Lenzi 1999, p. 73, n. 2). Le lettere che la signora Ravà invia a De Carolis permettono di ricostruire i soggetti, tutti molto affini all’opera in esame, che compaiono nella camera, tra le quali una “serena figura che suona in piedi”, una “donna dei narcisi” e “due donne dai veli, quella della lira e quella della lucciola”. [MP] Adolfo De Carolis Montefiore dell’Aso 1874 - Roma 1928 103. Le Castalidi 1905 tempera e decorazioni a rilievo in gesso dorato su tela cm 200 x 148 in basso a destra sul basamento della fontana: “A. De Karolis: Firenze MCMV” sulla cornice originale: “Vanno cantando vecchi canti con nova letizia” Galleria Nazionale d’Arte Moderna, Roma Provenienza: Acquistato da Donella De Carolis nel 1974 Esposizioni: Venezia 1905; Roma 1978, n. 104; Gardone Riviera 1988, n. 10 Bibliografia: Dania, Valentini 1975, p. 57, tav. 9; G. Piantoni in Roma 1978, p. 83; P. Nottiani in ibidem; S. Fugazza in Gardone Riviera 1988, p. 99; G. Piantoni, Verso l’Ellade, in Roma 1996, p. 50; S. Frezzotti in GNAM 2006, p. 334; Pieri 2007, pp. 142-144 L’opera è la seconda versione di un dipinto presentato nel 1898 all’esposizione annuale di “In Arte Libertas” (riprodotta in Rassegna Settimanale Universale, 10 aprile 1898), realizzata a Firenze nel 1905. Il presente dipinto differisce dal primo solo per l’aggiunta di una figura femminile nel gruppo in secondo piano. È un opera esemplificativa della cultura idealista che ruota intorno al Convito, ad Angelo Conti e a Nino Costa, in cui si fondono motivi classicheggianti, del preraffaellismo e del Quattrocento italiano, uniti ad una riscoperta del mito come fonte per l’immaginazione. Il tema della fonte Castalia dedicata ad Apollo rientra nel ciclo di dipinti dedicato alle acque (cat. 101) ed esprime la visione rigenerante e di eterno rinnovamento proprio dell’arte. Le fonti stilistiche del dipinto spaziano dall’arte italiana quattrocentesca a quella francese (Denis e Puvis de Chavannes sono punti di riferimento essenziali nello stile di De Carolis nel corso del Novecento), a quella inglese, in cui spiccano Burne-Jones, Leighton e Walter Crane, soprattutto per il modo di trattare il paesaggio. De Carolis, trasferitosi a Firenze nel 1901 per insegnare decorazione all’Accademia di Belle Arti, entra in contatto con l’ambiente del “Marzocco”, di “Leonardo” e di “Hermes”, e approfondisce i rapporti con D’Annunzio e Conti che influiranno anche sul suo pensiero teorico. In quel contesto approda al michelangiolismo, cifra stilistica 283 Il mito_05_IMP cat.sez. IV 3-02-2011 17:12 101 Pagina 284 103 104 284 285 Il mito_05_IMP cat.sez. IV 3-02-2011 del primo ventennio del Novecento – alla base della decorazione del Palazzo del Podestà di Bologna – e alla convinzione della superiorità del mito pagano sul Cristianesimo, motivo ispiratore, tra il 1907 e il 1908, delle decorazioni del Palazzo della Provincia di Ascoli Piceno e dei Cavalli del Sole (cat. 104), esauritosi con la Prima Guerra Mondiale. [MP] Adolfo De Carolis Montefiore dell’Aso 1874 - Roma 1928 104. I cavalli del Sole 1907 trittico, tempera e olio su tela pannello centrale cm 114 x 173 pannelli laterali cm 129 x 53 in basso a destra nel pannello centrale: A. DE KAROLIS MCMVII Pinacoteca Civica, Ascoli Piceno Provenienza: Ministero degli Esteri, concesso in deposito nel 1919 Esposizioni: Venezia 1907, n. 60; Montefiore dell’Aso 1974; Roma 1996, n. 58; Macerata 1999, n. 28 Bibliografia: Frandini 1969, p. 441; Zampetti 1991, pp. 436-437; Prete 1991, p. 250; Dania, Valentini 1975, p. 57, tavv. 16-17; Ferriani 1994, pp. 16, 149, tav. XXV. Di Pino Giambi 1992, pp. 110-111; G. Piantoni, Verso l’Ellade, in Roma 1996, p. 51 e pp. 160-161; G. Piantoni, La dimensione onirica della classicità, in Roma-Parigi 2000-2001, p. 116; Ferri 2003 Il dipinto è eseguito contemporaneamente alla decorazione del Salone delle Feste del Palazzo della Provincia di Ascoli Piceno (1907-1908), che rappresenta un’allegoria del popolo piceno in cui i personaggi della mitologia antica si fondono con gli usi e i costumi locali. Il volgersi al mito greco alla ricerca di una perduta età dell’oro è alla base anche della presente opera, nella quale vengono ripetuti alcuni soggetti eseguiti nella decorazione murale: nei pannelli laterali sono raffigurati i Dioscuri, mentre nel pannello centrale i cavalli del Sole e l’Aurora incedono, accolti da Apollo e da alcune figure femminili. È verosimile, dunque, che De Carolis abbia eseguito il dipinto contestualmente all’elaborazione dei bozzetti e dei cartoni per il palazzo ascolano. Sia il trittico sia la decorazione del salone rappresentano il primo atto del progressivo volgere dell’artista da poetiche di estrazione neoquattrocentesca e preraffaellita, elaborate durante gli anni romani, al neomichelangiolismo eroico, che raggiungerà l’esito più radicale nel Palazzo del Podestà di Bologna (1908-1928). La svolta avviene in seguito al trasferimento a Firenze nel 1901, dove De Carolis approfondisce, tra gli altri, i 17:12 Pagina 286 rapporti con Giovanni Papini e Giuseppe Prezzolini. Con essi collabora alla fondazione del “Leonardo” (1903), i cui programmatici individualismo, idealismo e culto della bellezza, si trovano espressi nell’articolo Cattolicesimo e Paganesimo, che De Carolis pubblica sulla rivista nello stesso anno della fondazione. Il vagheggiato recupero dei culti pagani e dionisiaci e il ritorno alla mitologia greca echeggiano anche le tematiche che negli stessi anni inseguono D’Annunzio con le Laudi (1903) e Giovanni Pascoli con i Poemi Conviviali (1904). In questa prospettiva De Carolis volge l’attenzione alle ricerche pittoriche contemporanee europee, prima di tutto francesi – Puvis de Chavannes e Denis – e inglesi: se prima gli esempi erano BurneJones, Crane, Rossetti, ora l’artista sembra interessato a Watts e ai suoi dipinti mitici, come Genius of the Greek Poetry, Preston, Harris Museum and Art Gallery, o anche The Three Godness, Faringdon, Collection Trust; tuttavia, anche il classicismo di Leighton attrae l’artista piceno – come dimostra la posa del giovane dioscuro che alza il braccio mentre volge la testa a sinistra, che ricorda la posa dello Sluggard (cat. 69) – così come il michelangiolismo di Burne-Jones. Anche nello stile il pittore, nei primi anni del nuovo secolo, abbandona le finitezze e i decorativismi lineari delle opere romane per approdare ad un fluire di linee sciolte unite a pennellate corpose e sfatte che, piuttosto che ad una generica tendenza Liberty, riconducono l’artista al più ampio panorama post-impressionista europeo. Lo stesso culto del sole appartiene alla poetica simbolista europea e italiana fin de siècle, come dimostrano i contemporanei dipinti di Previati (cat. 107). I legami con quest’ultimo restano, però, solo nell’ambito delle scelte tematiche risolte con intenti e risultati totalmente diversi: I cavalli del Sole e Il giorno di Previati (Milano, Camera di Commercio), esposti nella stessa biennale veneziana del 1907 che sancisce l’atto finale del simbolismo italiano, si accomunano solo per la scelta del trittico e della tematica del carro del sole; ma al classicismo mitologico e neorinascimentale di De Carolis, il pittore ferrarese contrappone un simbolismo cosmologico, legato alla forza spirituale e smaterializzante della luce. [MP] Gaetano Previati Ferrara 1852 - Lavagna 1920 105. Studio per il Trittico dell’Assunzione 1901-1903 tempera su tela, cm 75 x 35, cornice cm 143 x 57 In basso a destra: “Previati” Collezione privata 286 Uno degli aspetti peculiari del simbolismo e dell’idealismo di Previati è l’attenzione alla pittura sacra, a cui egli si dedica con notevole intensità emotiva e partecipazione spirituale, frutto della sua profonda religiosità che gli permette di trasporre l’evento sacro in una nuova dimensione ideale e soprannaturale (cfr. M.G. Schinetti, La pittura sacra, in Milano 1999). Le scelte iconografiche di Previati sono sempre rivolte al Cristo e alla Vergine e quest’ultima, in particolare, oltre che nella celeberrima Maternità (1890-91, Banca Popolare di Novara) esposta alla Triennale del 1891, compare in molte occasioni fino al trittico dell’Assunzione (1903) della Cattedrale di Genova, di cui la presente opera rappresenta uno studio inedito relativo al pannello centrale. Esso raffigura il particolare della Vergine portata in cielo da un gruppo di angeli e va a collegarsi ad altri studi relativi alla scena centrale del trittico – esposti alla mostra dedicata agli anni liguri di Previati a Lavagna nel 2005 – che testimoniano l’evoluzione della composizione. Il presente studio, tuttavia, è forse il più prossimo alla versione definitiva con la Madonna posta di tre quarti e sorretta dagli angeli. Previati elabora il soggetto già nel 1893, come documenta una lettera del fratello (F. Ragazzi, Luci suggestioni visioni, Gaetano Previati in Liguria, in Lavagna 2005), forse in continuità con la Maternità, mentre un’opera dallo stesso titolo compare nel 1901 alla Biennale di Venezia. Alla successiva Biennale del 1903 espone infine il trittico, acquistato dal comune di Genova nel 1927 e collocato nella cattedrale (cfr. C. Olcese Spingardi, L’Assunzione della Vergine: un trittico di Previati per la Cattedrale di San Lorenzo, in Lavagna 2005). Dal punto di vista stilistico e iconografico gli esempi che si presentano alla mente di Previati durante l’elaborazione del trittico vanno da Rossetti a Watts a Puvis de Chavannes e, chiaramente, al maggior teorico del tema sacro in pittura di fine secolo, Maurice Denis, che Previati conosce attraverso Grubicy. Nell’Assunzione, come negli altri dipinti di Previati eseguiti durante il periodo di elaborazione del Divisionismo, diventa urgente il problema del linguaggio artistico: alla scelta del soggetto deve legarsi una precisa concezione formale, tema e forma devono, dunque, legarsi indissolubilmente. Di nuovo tornano Ruskin e le sue speculazioni sul rapporto linea/colore, ma anche le idee di Walter Crane che aveva teorizzato nei suoi scritti il valore sostanziale della linea. In entrambi si sottolinea la capacità di sollecitare emozioni e rispondenze psicologiche attraverso associazioni mentali, che sono alla base del concetto linea-colore di Previati. Dinamizzando la superficie pittorica, la linea giunge fino alla deformazione delle immagini trasponendole in una dimensione soprannaturale, aprendo le porte anche alla poetica e alle ricerche di Boccioni. Degna di nota è la preziosa cornice originale del dipinto in esame, opera dell’ebanista cesenate Ettore Zaccari, noto artigiano attivo a Milano nei primi decenni del Novecento, che aveva frequentemente collaborato con Previati. La cornice, caratterizzata da motivi a girali lungo le candelabre laterali come nei pannelli superiori e inferiori, presenta, nella cimasa, una decorazione a cielo stellato con elementi simbolici astrologici che rimandano all’Empireo a cui la Vergine ascende. [MP] Gaetano Previati Ferrara 1852 - Lavagna 1920 106. La Danza delle Ore 1899 c. tempera su tela cm 133 x 199 in basso a sinistra: “Previati” Fondazione Cariplo, Milano Provenienza: Raccolta Carlo Sacchi Esposizioni: Venezia 1899; Montreal 1995, n. 328; Roma 1996, n. 54; Milano 1999, n. 27; Roma 2008, n. 122 Bibliografia: De Chirico 1985 [1920], pp. 180-181; Previati 1993 [1927], p. 77; Raccolta Carlo Sacchi 1927, n. 68; Fiori 1968, p. 65; G. Piantoni, Nota su Gaetano Previati e la cultura simbolista europea, in Trento 1990, p. 235, 237; Rebora 1995, p. 329; G. Piantoni in Roma 1996, pp. 155-156; G. Piantoni in Milano 1999, p. 142; F. Ragazzi, Luci suggestioni visioni, Gaetano Previati in Liguria, in Lavagna 2005, p. 16; A. Villari, in Roma 2008, p. 336 Il dipinto, ideato nel 1894 e realizzato intorno al 1899, tratta il tema mitologico classico delle Ore, figlie del Sole e della Luna, per affrontare il tema cosmico dell’eterna alternanza del giorno e della notte riproposto anche in altre composizioni (Il giorno sveglia la notte, cat. 107, Il trittico del giorno, 1907, Milano, Camera di Commercio). Le Ore sono personificate da fanciulle, abbigliate con leggeri e fluttuanti pepli di classica memoria, che danzano nell’universo fra il Sole e la Terra, seguendo un percorso ellissoidale simbolo dell’infinito e dello scorrere del tempo. Il senso di dinamismo è suggerito dalle pennellate filamentose, mentre la luminosità è accentuata dalla tecnica divisionista. Questa permette di creare il gioco di contrapposizione simbolica tra luce e ombre come notato dalla critica (D. Tumiati, Artisti contemporanei: Gaetano Previati, “Emporium”, 13, 1901, pp. 3-25), che diverrà costante nella produzione dell’artista. Stilisticamente il dipinto appare collegato alle opere della svolta idealistica registrata intorno ai primi anni novanta del secolo, in cui non sono estranei contributi delle contemporanee sperimentazioni inglesi, del resto mai smentite da Previati. Con Maternità (1890-91, Banca Popolare di Novara), infatti, Previati abbandona le tematiche e gli stilemi scapigliati che fino a quel momento caratterizzano la sua opera, per cercare un punto di contatto con le tendenze simboliste europee. La pittura del primo rinascimento, di Botticelli, dei preraffaelliti e di altri esponenti della cultura inglese, danno una spinta al pittore per il superamento del realismo in direzione idealistica. Anche tematicamente Maternità si pone in contatto con gli sviluppi dei temi sacri in ambito simbolista, portati avanti, tra gli altri, da Denis, che connettono il dipinto alle teorie teosofiche, mistiche e idealizzanti del gruppo della Rose-Croix di Péladan al cui Salon è esposto. In quest’ambito probabilmente nell’artista matura l’interesse nei confronti di tematiche cosmiche e legate all’infinito. L’allusione alla danza e alla musica, inoltre, sembra riportare alle tendenze simboliste e tardoromantiche volte al sincretismo delle arti. La critica sottolinea infatti le vibrazioni musicali emanate dall’opera (D. Tumiati, op. cit.) e questo aspetto può trovare le sue fonti nei saggi di Walter Pater e nell’Aesthetic Movement inglese o, in generale, alla temperie wagneriana del simbolismo internazionale. Previati dichiarerà superato il realismo richiamandosi alle concezioni idealistiche diffuse da Nino Costa e da “In Arte Libertas” e al collegato gusto dei primitivi. Per la maturazione del suo stile personale, Previati trae probabilmente suggestioni dallo scritto di Ruskin The Elements of Drawing del 1857, ritenuto una delle fonti essenziali del divisionismo. Le argomentazioni di Ruskin sui mezzi espressivi della pittura, sul valore emotivo della linea e del colore, a cui si unisce una esaltazione mistica del colore stesso, sembrano alla base della pennellata a tratto e della soluzione della linea-colore tipica del suo stile (G. Piantoni, Nota su Gaetano Previati e la cultura simbolista europea, in Trento 1990, pp. 235, 237). L’attenzione alla simbologia delle forme è, in Previati, spesso congiunta ad un valore allegorico in cui il cerchio è il motore della composizione, come in questo caso in cui tre sono le forme circolari messe in moto. La forma del cerchio era stata esaltata da George Frederic Watts: di Watts, che Previati dichiara esplicitamente di ammirare, lo colpiscono non tanto i motivi iconografici, se non in alcuni casi, quanto l’intima essenza della sua poetica, l’esaltazione esclusiva dell’immaginazione, l’idea di infinito a cui si lega la preferenza del cerchio come forma perfetta (cfr. cat. 87-88). Un disegno preparatorio del dipinto è conservato alla Civica Raccolta d’Arte Moderna di Ferrara. [MP] Gaetano Previati Ferrara 1852 - Lavagna 1920 107. Il giorno sveglia la notte 1905 c. olio su tela cm 180 x 211 in basso a sinistra: “Previati” Museo Revoltella-Galleria d’Arte Moderna, Trieste Provenienza: Galleria Trieste Esposizioni: Venezia 1905; Ferrara 1969; Milano 1970; Rotterdam-Bruxelles-BadenBaden-Parigi 1975-76; Trento 1990, n. 76; Trieste 1995, n. 34; Montreal 1995; RomaParigi 2000-2001, n. 73 Bibliografia: Locatelli-Milesi 1906, p. 2; Fiori 1968, II, p. 70. G. Piantoni, Nota su Gaetano Previati e la cultura simbolista europea, in Trento 1990, pp. 235, 237; F. Castellani, in Trieste 1995, pp. 190-193; P. Zatti in Milano 1999, pp. 144-145; G. Piantoni in Roma 2001, pp. 209-210; Museo Revoltella 2004, p. 162 La prima idea del dipinto può essere riferita al 1898, quando Previati annota un’opera col medesimo titolo in un taccuino (Castellani in Trieste 1995, p. 190). L’iconografia e la composizione del quadro, con la personificazione della notte avvolta in un manto stellato portata in volo da un pipistrello, mentre dallo sfondo emerge il globo terrestre, compare per la prima volta 287 Il mito_05_IMP cat.sez. IV 3-02-2011 17:12 Pagina 288 106 107 in un disegno pubblicato da Tumiati su “Emporium” nel 1901, che lo scrittore considera erroneamente appartenente alla serie di illustrazioni che Previati dedica ai Racconti Straordinari di Edgar Allan Poe tra il 1887 e il 1890 (G. Piantoni in RomaParigi 2000-2001. Nel decennio successivo, verosimilmente, Previati lavora al trasferimento della scena su dipinto, che viene esposto alla Biennale veneziana del 1905, e nel quale, alla forza delle forme circolari del sole e della terra, si unisce il potere del colore e della luce. La genesi del dipinto ha portato alla realizzazione di numerosi studi e disegni come quello di piccole dimensioni, in collezione privata, esposto a Milano nel 1999 (P. Zatti, in Milano 1999, p. 144) o gli studi preparatori conservati a Milano nella Civica Raccolta Bertarelli. Come nella Danza delle Ore (cat. 106), il tema affrontato è legato alla cosmologia e allo scorrere del tempo, al ciclo del giorno e della notte. Di nuovo è nella cultura inglese che Previati cerca punti di riferimento e le immagini oniriche di Watts – Sun, Earth, Dead Daughter Moon, 1899-1902, The Watts Gallery, Compton o The Sower of the Systems, 1902, The Watts Gallery, Compton – si confermano spunti di riflessione privilegiati. Il tema del sole negli anni novanta dell’Ottocento, inoltre, trova anche nel classicismo vittoriano, nella cultura simbolista francese e nella stessa corrente divisionista numerose applicazioni, ad esempio nella Clitia di Leighton, in alcune opere di Odilon Redon o ne Il sole di Pellizza da Volpedo. Il ciclo dello svolgersi delle ore e l’alternarsi del giorno e della notte sono affidati alla 288 capacità comunicativa della figura geometrica del cerchio, espressione dell’infinito e forma privilegiata da Watts. Allo stesso tempo, alle forme circolari si legano i valori espressivi del colore, che, nel contrasto tra il buio e la luce, tra i toni violacei e i toni giallo-aranciati, sottolinea il tempo che scorre. Le pennellate filamentose e dal ritmo rotatorio generano una sorta di movimento concentrico e infinito: tale spunto è confermato nelle opere successive a Il giorno sveglia la notte, come Il Trittico del Giorno, L’eroica, La caduta degli angeli, tutti dipinti che, oltre ad avere come soggetto una mitologia eroica legata alla cosmologia e alle forze primordiali, sono realizzate sotto forma di trittico, quasi a voler sottolineare la ricerca del sacro che si nasconde sotto le tematiche affrontate. [MP] 289