Capitolo 16 Il regno di Davide: profezia storica, umana, gloriosa e fragile dell’ultimo Regno del Figlio dell’uomo (2Sam 2-9; 1Cr 11-18) Per la propria stessa natura ogni monarchia, ogni impero umano è destinato a tramontare (1Cor 3,4-20). Solo quel Figlio di uomo, che è sì figlio di Davide secondo la carne, ma insieme è il Figlio unico del Padre (Rm 1,1-4) - il quale in lui si rende definitivamente visibile (cf. Gv 12,45;14,7-10) - riceverà un potere eterno, che non tramonta mai, e un regno che non sarà mai distrutto (Dn 7,13-14; cf. 2Sam 7,16; 23,5). Anche la storia benedetta e «fortunata» del seguente regno di Davide, dunque, ha bisogno di quella infelice del regno di Saul, per essere compresa fino in fondo nella sua relatività e nel suo dinamismo di «segno» di quella realtà definitiva che si avrà attraverso una radicale trasfigurazione nel Figlio. 1. Un re secondo il cuore del Signore Si è detto che nelle vite di Saul e di Davide si coglie una lezione di discernimento spirituale tra un re richiesto e imposto su due piedi al Signore dal popolo, e un re liberamente donato al popolo dal Signore. Tutta l’intricata storia dell’ascesa di Davide al trono, prima solo sulla tribù di Giuda, in Ebron, ove regnerà per sette anni, e poi su tutto Israele e Giuda, sui quali regnerà per trentatrè anni, mostra come attraverso i sanguinosi e ambigui giochi degli uomini Dio conduce il suo progetto, realizzando quanto già significato dall’unzione di Davide a Betlemme da parte di Samuele, avvenuta con trepidazione e in gran segreto (cf. 1Sam 16,13): dare a Israele un re secondo il cuore di Dio. Davide è un uomo abile, ma leale, sa badare a sé, ma senza machiavellismi. Se JHWH vorrà fargli prendere il posto di Saul, sarà il Signore stesso a provvedere. Egli non se lo prenderà da solo. Ricorre frequentemente agli oracoli per conoscere la volontà divina. Lo ha fatto nei momenti cruciali della sua fuga dal re persecutore; lo fa anche agli inizi del secondo libro di Samuele quando, terminata la persecuzione, chiede al Signore il da farsi, lasciando che sia Lui a determinare il suo cammino. Così l’ascesa concreta del figlio di Iesse al trono di Israele comincia con un atto di obbedienza: salire in Giuda, ad Ebron (2,1). Ed anche dopo la presa del trono, è in Dio che Davide ripone il suo cuore, sopra tutto il resto. «In ogni sua opera glorificò il Santo altissimo con parole di lode; cantò inni a lui con tutto il cuore e amò colui che l’aveva creato... Il Signore gli perdonò i suoi peccati, innalzò la sua potenza per sempre, gli concesse un’alleanza regale e un trono di gloria in Israele» (Sir 47,8.11). JHWH stesso può dire di lui: «Ho trovato Davide, figlio di Iesse, uomo secondo il mio cuore; egli adempirà tutti i miei voleri» (At 13,22; cf. 1Sam 13,14; Sal 89,21; Is 44,28). Davide è un re animato in modo permanente dallo Spirito del Signore. La Ruach JHWH si posa su Davide dal giorno della sua unzione, per mano di Samuele, in poi, per fargli conosce- re e compiere l’opera a cui il Signore lo chiama1. Lo Spirito che lo ha unto è Spirito di profezia: «Lo Spirito del Signore parla in me, la sua parola è sulla mia lingua» (2Sam 23,2). Israele ricorda Davide soprattutto come un orante e uomo di preghiera, un interprete di tutto il popolo presso il Signore2. Il fatto che il Salterio venga attribuito a Davide mostra che, nella coscienza d’Israele, questo re è ricordato specialmente come un uomo in continuo dialogo con il Signore e da lui dipendente nelle più diverse circostanze della sua esistenza. «Davide per la sua pietà ottenne il trono del regno per sempre» (1Mac 2,57)3. Alcuni antichi titoli dei salmi che portano il suo nome - chiunque ne sia l’autore storico rivelano i segreti della vita spirituale di Davide e la sua profonda, incessante intimità con il Signore, così come ne fa memoria la coscienza ebraica4. Pregare questi salmi, evocando la persona di Davide e gli eventi davidici a cui si riferiscono quei titoli, ci fa entrare nell’animo del Davide biblico, quello che era ben presente alla coscienza e alla memoria di Gesù, il Figlio di Davide per eccellenza I Salmi sono pieni di lode e di rispetto per la comunione tra JHWH e il re, per l’abbondanza di vita e di benedizione. Il re santo dovrà essere per il mondo il testimone delle grandi imprese di Dio5. Intercede e anche espia per il suo popolo. Così il Salmo 22, che il titolo induce a leggere in chiave regale-davidica (v. 1), si apre come preghiera personale (vv. 2-23), e si conclude come una liturgia nazionale (vv. 24-27), con aperture universalistiche (vv. 28-32): l’avvento del regno di Dio nel mondo è preparato e procurato dall’umiliazione e dalla passione del Servo regale. Di Davide, onestamente, la Bibbia ci racconta anche i peccati, e sono peccati gravi contro tutte le tre dimensioni della condizione umana: rapporto con Dio, con l’altro essere umano e con la terra. Quei peccati, però, si iscrivono nell’esistenza di un «uomo di Dio» (Ne 12,24.36), sono peccati gravi di un uomo che rimane, soprattutto e nonostante tutto, «un amico di Dio». 2. L’ascesa di Davide al trono di tutto Israele La storia dell’ascesa del Betlemmita al trono di tutto Israele appare contraddittoria, fatta di luce e di ombre, di debolezza e di violenza, di obbedienza al Signore e di calcoli politici. Prima che l’intero popolo lo accetti come re, Davide, coinvolto in una lotta fratricida, deve assumere il dolore e il peso – anche se non la responsabilità – del sangue versato. Tutto inizia subito dopo l’unzione di Davide su Giuda. Abner, il capo dell’esercito israelita che ha visto la morte di Saul, ora si appresta a prendere in mano le redini del regno ricostituendolo sotto la guida, almeno nominale, del naturale successore, il figlio superstite del sovrano defunto. Ish-Boshet appare fin dall’inizio come un «re fantoccio»; in realtà è Abner, uomo di carattere, che interviene e determina l’andamento delle cose. A Gabaon, ove avviene l’incontro degli opposti schieramenti, Abner lancia una sfida a Ioab, il giovane generale delle truppe di Davide, e qui inizia lo scontro. Ioab ha la meglio su Abner, ma nell’inseguimento delle sue truppe muore Asael, fratello di Ioab, colpito dalla lancia di Abner in fuga (cf. 2Sam 2,12-24). In seguito, poi, ad una accusa, odiosa e forse ingiusta, di Ish-Boseth nei confronti di Ab1 Cf. 1Sam 16,13; 2Sam 2,4; 5,3. Si vedano le sue preghiere in 2Sam 7,18-29; 15,31; 22,1-51; 1Cr 16,7-36; 17,16-27; 29,10-20. 3 Si consideri il modo con cui egli rifiuta di asportare l’arca di Dio fuggendo da Gerusalemme di fronte ad Assalonne (2Sam 15,24-29); la sua reazione alla notizia del tradimento di Achitofel (2Sam 15,31); la sua accoglienza della maledizione di Semei, nello stesso frangente (2Sam 16,10-12); la sua scelta di cadere nelle mani del Signore, piuttosto che nelle mani degli uomini (2Sam 24,14), e l’intercessione per il popolo colpito dalla punizione del peccato del re (2Sam 24,17.24-25); ecc. 4 Cf. Sal 3,1; 7,1; 16; 18,1-2a; 26; 27; 30; 34,1; 40; 51,1-2; 52,1-2; 54,1-2; 56,1; 57,1; 59,1; 60,1-2; 61; 63,1; 103; 131; 141; 142,1; ecc. 5 Cf. Sal 22,23; 35,18; 40,10; Sir 36,1-7; At 2,11; ecc. 2 2 ner, quella di essersi unito ad una concubina di Saul6, quest’ultimo, fortemente adirato, con un giuramento che non lascia dubbi sull’irrevocabilità della sua decisione, rompe definitivamente con il suo re e decide di cambiare strategia rivolgendosi a Davide (cf. 2Sam 3,6-11), che tra l’altro appare favorito dalla sorte o, più precisamente, benedetto dal Signore. Ed è quello che Abner fa: da abile mediatore manda una ambasceria a Davide, che accetta la proposta di diventare re su tutto Israele, alla condizione di riavere indietro Mikal7; inoltre riesce a convincere il popolo. Ma un nuovo omicidio, quello dello stesso Abner da parte di Ioab, che così si vendica del fratello, uccidendolo a tradimento (cf. 2Sam 3,22-27), creerà l’occasione per l’uccisione, da parte di Recab e Baanà, figli di Rimmon il Beorita, di Ish-Boshet, che dopo l’assassinio di Abner era rimasto indifeso (cf. 2Sam 4,5-7). Questi due, convinti di aver compiuto nei confronti di Davide un atto di straordinario favore, vanno da Davide a portargli il macabro trofeo e si aspettano una adeguata ricompensa. Ma Davide condanna il loro gesto e li condanna a morte: «diede ordine ai suoi giovani; questi li uccisero, tagliarono loro le mani e i piedi e li appesero presso la piscina che è in Ebron» (2Sam 4,12). Davide, in tal modo, rifiuta ogni connivenza e, proclamando innocente la vittima e iniqui gli uccisori, sottolinea la sua assoluta estraneità a quell’ennesimo fatto di sangue. Ma tutto avviene nella contraddizione dolorosa: per condannare la morte, Davide uccide. E’ inevitabile, sembra impensabile trovare strade diverse. Per accedere ad una nuova realtà, per sapere cosa davvero è regalità, cosa è innocenza e giustizia, per conoscere una diversa risposta al problema della violenza e della morte, bisognerà aspettare che, molto più tardi, il «Figlio dell’uomo» diventi re per tutt’altri cammini, intronizzato su una croce. Per ora con il sovrano di Giuda siamo ancora nell’attesa; ma la sua storia è giunta a un momento decisivo: le tribù di Israele lo raggiungono a Ebron e lì lo proclamano loro re (cf. 2Sam 5,1-5). Il popolo, intorno a lui, ha ritrovato l’unità originaria e gli antichi vincoli di fratellanza. 3. Il re Davide e la sua terra «Così l’esaltarono per i suoi diecimila, lo lodarono nei canti del Signore e gli offrirono un diadema di gloria. Egli infatti sterminò i nemici all’intorno e annientò i filistei, suoi avversari; distrusse la loro potenza fino a oggi» (Sir 47,6-7). Davide, diventato re di tutto Israele, si propone di risolvere una faccenda rimasta incompiuta dal tempo della conquista di Giosuè: la presa della imprendibile rocca di Sion, occupata dai gebusei8. La conquista della cittadella, capitanata da Ioab, figlio di Zeruià, fu l’impresa più felice del regno di Davide. Gli assicurò una sua personale città - «la Città di Davide» - una città di montagna, in un territorio neutro rispetto alle città delle dodici tribù, che divenne l’unica capitale dei due regni, che egli riuniva sotto di sé. Là egli fece costruire il suo palazzo reale. Anche come re d’Israele, però, Davide rimane ancora nominalmente un vassallo dei fili- 6 L’accusa di aver avuto rapporti sessuali con Rizpa, la concubina di Saul, è grave. Di solito, alla morte del re, l’harem passava al successore; entrarvi e prendere le donne poteva perciò essere interpretato come un atto di usurpazione e di pretesa al trono. Sarà questa l’intenzione di Assalonne che pubblicamente prenderà possesso delle concubine di Davide durante la sua rivolta contro il padre (cf. 2Sam 16,20-22). 7 Cf. 2Sam 3,14-16. La richiesta di Mikal è ben pensata e intelligente. Ridiventare il marito di Mikal, rientrando così nella famiglia di Saul, avrebbe significato una sorta di legittimazione del suo trono, e gli avrebbe guadagnato altri sostenitori del precedente sovrano. Inoltre, porre la condizione del ritorno della donna era anche un modo per mettere alla prova Abner e la sua autorità su Ish-Boshet e gli altri Israeliti, insieme chiarendo la propria posizione: non è Davide che sta chiedendo alleanza, ma Abner. 8 Cf. 2Sam 5,6-12; 1Cr 11,4-9. Per la presa della città è Davide stesso a suggerire la strategia: «raggiungere il canale»: si tratta con probabilità di impadronirsi della fonte della città e tagliare l’acqua alla popolazione costringendola alla resa; oppure, come via di accesso, risalire il canale verticale (identificabile con il cosiddetto «pozzo di Warren») che dall’interno della città scendeva fino alla sorgente di Ghicon. 3 stei9. Questi, preoccupati del risorgimento israelita, gli muovono guerra salendo dalla valle di Refaim. Siamo ormai allo scontro. E Davide, ancora una volta, si prepara alla guerra rivolgendosi al Signore per consultarlo e gli obbedisce attaccando. I filistei vengono sonoramente sconfitti a Baal-Perazim (= «la madre delle brecce») e presso i Balsami; si ritirano da Gheba (o da Gabaon) fino a Ghezer, nel loro territorio10. Ma il figlio di Iesse non si appropria del successo e rimane umile e riconoscente. Davide resta il pastore dei tempi di Golia, che affronta il mostro «nel nome del Signore degli eserciti» (cf. 1Sam 17,45) con una fionda, cinque ciottoli levigati dall’acqua, e tanta fede. Essere ora in posizione di forza, ormai libero dalla persecuzione e detentore di potere, non gli fa dimenticare da dove viene e soprattutto da Chi viene, ben consapevole di aver tutto gratuitamente ricevuto. Davide sa di esistere solo in rapporto a Dio. Ma i filistei non demordono e attaccano ancora, dando inizio a una nuova battaglia. Davide ricorre ancora al Signore, il quale indica al suo protetto una diversa strategia: non lo scontro frontale, ma l’aggiramento. Quando sentirà il segnale di attacco (il rumore sugli alberi, un suono misterioso) Davide dovrà muovere contro i filistei; deve solo obbedire, e questo sarà garanzia di successo (cf. 2Sam 5,22-25). L’obbedienza dell’uomo consente la cooperazione e permette a Dio di intervenire attivamente e di trasformare l’umano operare. In seguito Davide sottomette definitivamente i filistei, i nemici più pericolosi di Israele11; vince e assoggetta i moabiti12, Hadad-Ezer, re di Zoba (nell’Antilibano) e gli aramei di Damasco13, gli ammoniti, gli amaleciti e gli idumei14. Davide rimane padrone delle due più importanti strade commerciali della Palestina: la Via Maris e la Via Regia. Alla liberazione del paese Davide fa seguire una prima organizzazione dell’amministrazione civile e militare, che verrà poi sviluppata e portata a compimento dal figlio Salomone (1Cr 26,29-27,34). In questo modo, il re salva la sua terra, ne è una benedizione, donandole pace e prosperità (1Cr 22,17-18). 4. La traslazione dell’Arca. Centralità di Gerusalemme «Perché invidiate, o monti dalle alte cime il monte che Dio ha scelto a sua dimora? Il Signore lo abiterà per sempre. I carri di Dio sono migliaia e migliaia: il Signore viene dal Sinai nel santuario» (Sal 68,17-18). Il Salmo 68 celebra la solenne processione, liturgica e trionfale, con cui JHWH, il Dio di Israele, dal Sinai si trasferisce nel santuario del Monte Sion, un monte ben più modesto degli alti Monti di Bashan (= le attuali alture del Golan), che ne sono gelosi (cf. Nm 10,11-36). Gerusalemme, altura piccola e modesta, diventa così il cuore e la patria del popolo partner del Signore (cf. Sal 137,5-6), l’ombelico del mondo, dove la terra comunica con il cielo e con gli inferi. Il racconto biblico (cf. 2Sam 6) di narra di un primo tentativo di trasferimento dell’arca dell’alleanza dalla casa di Abinadab nella nuova capitale. C’è però un evento inaspettato e tragico: la morte di Uzza, che aveva steso la mano per evitare la caduta dell’arca, serve a ricordare che essa non è un oggetto di cui si può disporre a piacimento, ma è il mistero stesso 9 Ricordiamo che nel tempo della persecuzione di Saul, Davide era entrato in un rapporto di dipendenza dal re di Gat, Achis, dal quale aveva ricevuto Ziklag come luogo di residenza e al quale era legato da un vincolo di sudditanza (cf. in particolare 1Sam 27). 10 Cf. 2Sam 5,17-25; 1Cr 14,8-16. 11 Cf. 2Sam 8,1; 21,15-22; 1Cr 18,1; 20,4-8. 12 Cf. 2Sam 8,2.12; 1Cr 18,2. 13 Cf. 2Sam 8,3-12; 1Cr 18,3-10. 14 Cf. 2Sam 8,12-14; 10,1-11,1; 12,26-31; 1Cr 18,11-13; 19,1-20,3. 4 «su cui è invocato il nome del Signore degli eserciti» (2Sam 6,2)15. Sembra che Davide questa volta si sia dimenticato di interpellare il Signore. Nel racconto, infatti, l’arca sembra a disposizione degli uomini che ne decidono il dislocamento, lo spostamento, la collocazione. Il testo mostra una certa insistenza sui verbi di movimento che hanno per oggetto l’arca: si decide di trasportarla (v. 2), la si pone sul carro (v. 3), si porta via da dove era (v. 4); e poi ancora, nel prosieguo della narrazione: Davide non vuole più trasferirla e la fa portare alla casa di Obed-Edom (v. 10), poi decide di trasportarla (v. 12), la portano (v. 13), la trasportano (v. 15), la introducono nella tenda. Di fronte al tragico incidente accaduto al figlio di Abinadab Davide, spaventato, decide di rinunciare all’impresa; rinuncia che appare senza possibilità di ripensamenti e la sua nuova capitale sembra dover restare priva della presenza dell’arca santa al suo interno. Ma è poi Dio stesso a prendere l’iniziativa, benedicendo la casa di Obed-Edom di Gat in cui era stata posta (cf. 2Sam 6,11-15). La prossimità dell’arca non fa più paura, la sua vicinanza è causa di bene, di abbondanza, di felicità. Ospitare Dio è privilegio gioioso ed è giunto il momento di ritentare di fare di Gerusalemme la città della benedizione e della gioia. Ed il trasporto sarà molto diverso dal primo tentativo: dopo ogni sei passi (quindi al settimo) Davide interviene con il gesto cultuale del sacrificio, in segno di ringraziamento e di supplica per il buon andamento dell’impresa. E ai sacrifici si accompagna la danza, insieme a clamore e grida di giubilo, e al suono del corno. Specialmente con i grandi profeti, Gerusalemme diverrà la figura simbolica e personalizzata della Sposa di JHWH, non semplicemente della sua «donna», ma della sposa, nella quale l’amore del Signore si sia stabilizzato e strutturato per sempre in un’alleanza di pace16. Bisognerà salire e risalire sempre a Gerusalemme, solamente in lei si può essere graditi a Dio. Bisogna essere, infatti, nella Sposa per andare incontro allo Sposo. La simbologia nuziale sarà un capitolo ulteriore dell’evoluzione della teologia del regno. Tutta la mistica regale davidica, celebrata specialmente dai Salmi regali e messianici17 è indissolubilmente unita alla mistica di Gerusalemme, cantata dai Canti di Sion, dai salmi delle «ascensioni»18. Con Gesù, figlio regale di Davide, poi, essa sarà destinata a entrare nella gloria celeste19. 5. Davide e il suo proposito di «fare una casa al Signore» (2Sam 7) Con Davide la fede del Sinai va diventando sempre più istituzionalizzata. Dopo la conquista di Gerusalemme egli vuole costruire una casa (bayith) per JHWH. Tutto ha inizio con la presa di coscienza, da parte di Davide, della propria condizione di privilegio, resa ancor più evidente dal confronto con la sistemazione ancora provvisoria dell’arca a Gerusalemme. Davide ha fatto costruire la reggia, con legno pregiato offertogli dal re di Tiro, adeguata alla propria dignità di sovrano; ha combattuto le sue battaglie e il suo regno gode di una situazione di pace. Il narratore sottolinea che essa viene dal Signore ed è sua opera (cf. v.1). L’arca, invece, è posta sotto la precaria fragilità di una tenda (il termine yerî‘â indica piuttosto il «telo» di essa). 15 Uzza, pur stendendo la mano istintivamente, «in realtà rivela in quell’azione un atteggiamento mentale che va oltre l’azione compiuta. Perché se si pensa che l’arca vada trattenuta con la mano per il timore che possa cadere, vuol dire che, implicitamente e inconsciamente, la si considera solo una cassetta di legno, un oggetto prezioso ma frangibile, e non il luogo imperscrutabile della presenza potentissima di Dio. Il gesto di Uzza sembra così sottolineare una certa percezione cosificante e fortemente immanente di ciò che invece è segno e inesplicabile concretizzazione di una assoluta trascendenza»: B. COSTACURTA, Lo scettro e la spada, EDB, Bologna 2006, 118. 16 Cf. Is 62,4-6; Ez 16,60; ecc. 17 Cf. Sal 2; 20; 21; 28; 45; 61; 63; 72; 89; 101; 110; 132. 18 Cf. Sal 46; 48; 76; 84; 87; 120-134. 19 Cf. Gal 4,24-27, Eb 12,22-24; Ap 3,12; 21,1-22,15.16. 5 Il progetto di Davide è ardito. Gli altri popoli hanno re con le loro regge e dèi con i loro templi; ma il Dio di Israele non è come gli altri. Cosa può voler dire costruirgli una casa? Davide ne parla con Natan, il profeta, il quale istintivamente approva l’iniziativa. La sua ratifica è totale, incondizionata: «Tutto ciò che hai nel cuore, và, fallo» (v. 3). Ma il profeta è colui che sta in ascolto della parola di YHWH e si lascia da Lui continuamente istruire. Egli non è qualcuno che sa sempre tutto e subito, ma colui che si fa intermediario della volontà di YHWH, in un atteggiamento di dipendenza e obbedienza che va ogni volta rinnovato. E YHWH fa cambiare posizione a Natan (cf. vv. 4-7). Nel parlare di JHWH «casa» è ciò che egli farà per Davide per sempre (= una discendenza), e ciò di cui, invece, egli, Dio, non ha alcun bisogno e che non ha mai desiderata per sé (cf. 1Re 8,27).YHWH rievoca il passato del popolo, il tempo delle sue origini: l’epopea dell’Esodo, con il suo lungo peregrinare nel deserto, e l’epoca dell’insediamento nella terra, con i giudici, chiamati a pascolare un popolo che si va sedentarizzando. Erano stati i tempi della presenza di YHWH sensibilmente sperimentata nel quotidiano, in un cammino che chiedeva una fede sempre rinnovata, giorno dopo giorno, in totale dipendenza dai doni del Signore. Ma ora la situazione è cambiata. Il popolo si è consolidato nella terra, e adesso ha un re, una guida stabile, un punto di riferimento costante e affidabile. Ora c’è Davide, con la sua capitale e in essa la sua «casa di cedro», segno tangibile di solidità e sicurezza. In questa nuova realtà sembrerebbe naturale costruire anche un tempio, che rappresenterebbe l’apice e il coronamento del processo di stabilizzazione del regno. Un modo per rendere a YHWH il giusto onore, ma forse anche per essere ancor più come gli altri popoli, che accanto alla reggia hanno il santuario per le loro divinità. L’aspirazione di Davide, quindi, non è priva di qualche ambiguità. È un comportamento tipico di uomini religiosi, una volta che abbiano acquistato potere e denaro, immaginare di «fare opere grandi per il Signore». Ma non è mai così sicuro che, nei donatori, l’intento di erigere monumenti al Signore, non nasconda quello di erigere monumenti a se stessi. Sono ben conosciute le esigenze con cui certi «benefattori» pretendono di continuare a tenere saldamente in mano i loro beneficati (cf. Lc 22,25-26). Anche qui, come nel caso dell’istituzione monarchica, non si potrà parlare propriamente di una tradizione biblica contraria al tempio. E’ vero però che l’idea della sua costruzione non parte dal Signore. Anche nel suo grande discorso al popolo, in occasione del trasferimento dell’arca nel tempio, Salomone tenterà di giustificare la sua impresa, dicendo che il Signore si è compiaciuto con Davide per aver concepito il progetto di costruirgli un tempio (1Re 8,18; 2Cr 6,8). Il progetto di Davide viene rigettato, ma non definitivamente; ci sarà un tempio, ma sarà YHWH a decidere quando e perché, e non sarà Davide a costruirlo. Verranno anche momenti cruciali della storia del popolo, in cui JHWH non mancherà di sottolineare la sua estraneità al progetto «basilicale» del santuario, e in ogni caso la radicale «relatività puramente sacramentale» di questo (Ez 11,14-21). Si pensi alle profezie «anti-religiose» concernenti «il Monte della Casa» pronunciate da Michea (3,9-12), da Uria, figlio di Semaià da Kiriat-Iearim (Ger 26,20-23), e specialmente da Geremia20. Si pensi alla gloria del Signore che abbandona il tempio e Gerusalemme per raggiungere il popolo esiliato in Caldea (cf. Ez 10,18-22; 11,22-25), alla distruzione del tempio di Salomone nel 587 a.C., e al distacco e alle riserve riguardanti la sua ricostruzione, che JHWH mostra secondo il Terzo Isaia (66,1-4)21. 20 Cf. Ger 7,1-15.30;11,15-17; 26,1-19.24 Anche la costruzione del tempio di Gerusalemme è dunque qualcosa che – come già per il fatto della regalità il Signore non solo tollera, ma anche temporaneamente accetta, e persino sembra «gradire», con una «riserva» della propria lungimirante sapienza divina. 21 6 6. L’alleanza di JHWH con Abramo e con Israele diventa alleanza regale con Davide Natan annuncia al re la promozione dell’alleanza di Abramo e del Sinai quale alleanza di JHWH con il re d’Israele capo del suo popolo. La memoria della liberazione dall’Egitto, che apre il formulario dell’alleanza sinaitica22, diventa la memoria dell’elezione regale da parte di JHWH, che migliora il regime dell’alleanza vigente al tempo dei giudici. L’alleanza del Signore con tutto il popolo passa ora attraverso una relazione personalissima di JHWH con il re di questo popolo: «Ma quella stessa notte questa parola del Signore fu rivolta a Natan: ... “Ora dunque riferirai al mio servo Davide: Così dice il Signore degli eserciti: Io ti presi dai pascoli, mentre seguivi il gregge, perché tu fossi il capo d’Israele mio popolo; sono stato con te dovunque sei andato; anche per il futuro distruggerò davanti a te tutti i tuoi nemici e renderò il tuo nome grande come quello dei grandi che sono sulla terra. Fisserò un luogo a Israele mio popolo e ve lo pianterò perché abiti in casa sua e non sia più agitato e gli iniqui non lo opprimano come in passato, al tempo in cui avevo stabilito i giudici sul mio popolo Israele e gli darò riposo liberandolo da tutti i suoi nemici”» (2Sam 7,4.8-11)23. JHWH ha detto: «Ho stretto un’alleanza con il mio eletto, ho giurato a Davide mio servo: stabilirò per sempre la tua discendenza, ti darò un trono che duri nei secoli» (Sal 89,4-5). Il vocabolario paterno-filiale, proprio del tempo dell’Esodo24, viene ora a designare un rapporto di specialissima intimità tra JHWH e Davide e la sua discendenza: «Te poi il Signore farà grande, poiché una casa farà a te il Signore. Quando i tuoi giorni saranno compiuti e tu giacerai con i tuoi padri, io assicurerò dopo di te la discendenza uscita dalle tue viscere, e renderò stabile il suo regno. Egli edificherà una casa al mio nome e io renderò stabile per sempre il trono del suo regno. Io gli sarò padre ed egli mi sarà figlio. Se farà il male, lo castigherò con verga d’uomo e con i colpi che danno i figli d’uomo, ma non ritirerò da lui il mio favore, come l’ho ritirato da Saul, che ho rimosso dal trono dinanzi a te. La tua casa e il tuo regno saranno saldi per sempre davanti a me e il tuo trono sarà reso stabile per sempre» (2Sam 7,11b-16)25 La condizione filiale comporta, da parte del re, intimità e obbedienza affettuosa verso il Signore. E nella preghiera piena di rendimento di grazie e di lode26, con cui risponde alla profezia di Natan, Davide non si stanca di riconoscersi il titolo onorifico di «Servo di JHWH». Non lui farà un regalo al Signore, ma il Signore gli farà un dono (2Sam 7,18-29). Davide, il padre nella carne, potrà contare, per suo figlio, su una paternità che viene dall’alto, capace di andare al di là della carne, e dunque anche al di là di ogni debolezza. Il figlio di Davide potrà anche venire meno alla relazione, potrà anche tradire, ma Dio resterà fedele per sempre e non lo abbandonerà mai. Come un padre, il Signore saprà correggere il figlio di Davide e recuperarne errori e infedeltà. La fedeltà del Signore alla discendenza regale di Davide sarà celebrata, in prospettiva e22 Es 19,4-6; 20,2-3; Dt 5,6-7; ecc. Cf. 2Sam 7,7; 12,7-9; 1Cr 17,7-10; Sal 78,70-72; 89,20-39; 144,9-10, ecc. 24 Cf. Es 4,22-23; Dt 1,31;14,1-2; 32,6; ecc. 25 Cf. 1Cr 17,11-14; 2Cr 21,6-7; 33,7-8; Sal 2,7; 89,31-38.50-53; 132,1.8-18; Is 7,10-17; 9,5-6; Ger 17,24-25; 22,4; Os 3,5; Am 9,11-12; ecc. 26 Consapevole della sua piccolezza e indegnità, Davide celebra l’immensità di Dio e le meraviglie da lui compiute nella storia della salvezza: la redenzione dall’Egitto, i segni e i prodigi, l’alleanza. Il Dio che è entrato nella storia degli uomini scegliendo Israele come suo popolo e dando ad esso quel nome (v. 24) che lo stabilisce come sua stirpe per sempre, è riconosciuto come ineguagliabile: nessuno è come Lui, egli è il solo Signore. Lodare il Dio grande (v. 22) che farà grande il nome di Davide (v. 9) e ha fatto cose grandi per lui e per il suo popolo (vv. 21.23) è un modo non solo per dichiarare grande il nome divino, ma anche per permettergli di manifestarsi come tale. 23 7 scatologica, anche molto dopo il tramonto politico del regno di Giuda, e questo fatto sarà uno dei cardini del messianismo di Gesù e della cristologia del Nuovo Testamento27. Anche l’evoluzione della nozione di una alleanza divina, dallo stadio di promessa e patto con il capo patriarcale di un clan (Abramo) a quello di dono della Torah divina e di patto con un intero popolo, per la mediazione di Mosè (Sinai), ora divenuta promessa e patto con un re e con la sua casa, preannuncia e prepara evoluzioni ulteriori dell’unica alleanza: quella sponsale, che sarà la buona notizia dei grandi profeti (Osea, Isaia, Geremia, Ezechiele, ecc.) e quella di un rinnovamento definitivo ed eterno della stessa alleanza («una nuova alleanza, di pace, eterna», fondata sull’inesauribile perdono divino)28. Anche questa «nuova e ultima alleanza» si evolverà, poi, attraverso i secoli, dal ritorno dall’esilio babilonese alla prima venuta del Messia, fino alla sua parusia gloriosa. 7. Davide re-scriba della Torah L’alleanza di JHWH con Israele diventa, con Davide, l’alleanza personale tra il Signore e il re «secondo il suo cuore» (At 13,22; ecc.), e con la sua «casa» (2Sam 7,11-12; ecc.). I salmi celebrano la continuità tra l’alleanza mosaica e quella davidica29. Il re diventa, di conseguenza, il custode e l’interprete per tutto il popolo del modo di vivere l’alleanza. E’ un re-scriba, un copista della Torah: «Quando si insedierà sul trono regale, scriverà per suo uso in un libro una copia di questa Torah secondo l’esemplare dei sacerdoti leviti. La terrà presso di se e la leggerà tutti i giorni della sua vita, per imparare a temere il Signore suo Dio, a osservare tutte le parole di questa Torah e tutti questi statuti, perché il suo cuore non si insuperbisca verso i suoi fratelli ed egli non si allontani da questi comandi, né a destra, né a sinistra, e prolunghi così i giorni del suo regno; lui e i suoi figli, in mezzo a Israele» (Dt 17,18-20). Prerogativa regale è soprattutto la sapienza nel governare il popolo in obbedienza alla Torah del Signore30. La sapienza del re assicura al paese leggi giuste e il retto procedimento dei tribunali che amministrano la giustizia. Dovremo tener presente questa qualità regale della funzione di custode ed esegeta della Torah per dare tutto il peso che merita all’autorità, con cui Gesù, nel Nuovo Testamento, osserva, reinterpreta e insegna la Torah con tutti i suoi precetti31, spesso in mezzo ad aspre controversie. Non è in questione solo l’autorità di un maestro illuminato, di una figura carismatica. Gesù agisce specialmente con l’autorità regale-messianica del Figlio di Davide, il quale interpreta autoritativamente l’alleanza di JHWH con Israele, spesso insegnando nei cortili del tempio di Gerusalemme32. 8. Il re maestro di preghiera e organizzatore del culto del suo popolo nel tempio Il re Davide è la guida e il custode del culto che il popolo rende al suo Signore. La sua pie27 Tra i molti testi che continuano a menzionare Davide e la sua casa reale, si veda specialmente 1Mac 2,57; 4,30; Sal 18,51; 78,70-72; 89,2-5.20-53; 132,1.10.11.17; Sir 47,22; Is 55,3-5; Ger 23,5-6; 30,9; 33,14-26; Ez 29,21; 34,23-25; 37,24-28; Os 3,5; Am 9,11; Mi 4,6-5,3; Zc 3,8; 6,12-13; 12,7-13,1; Mt 1,1-17.20-25; 2,1-8; 9,27; 12,23; 15,22; 20,30-31; 21,9.15; 22,41-46; Mc 10,47-48; 11,10; 12,35-37; Lc 1,27.32-33.69; 2,4.11; 3,2338; 18,38-39; 20,41-44; Gv 7,42; At 2,25-36; 13,22-23.34-37; 15,13-18; Rm 1,3; 2Tm 2,8; Ap 3,7; 5,5; 22,16; ecc. 28 Cf. Is 42,6; 49,8; 54,10; 55,3; 59,21; 61,8; Ger 31,31.33; 32,40; 33,21; 50,5; Bar 2,35; Ez 16,60.62; 34,25; 37,26; Os 2,20; Ml 3,1; ecc. 29 Cf . Sal 78; 89; 132; ecc. 30 Cf. 1Re 3,4-14; 2Cr 1,7-12; ecc. 31 Cf. Mt 21,23-27; Mc 11,27-33; Lc 20,1-8. 32 Cf. Mt 22,41-46; Mc 12,35-37; Lc 20,41-44. 8 tà personale lo conduce a divenire il liturgo di tutto il popolo. «Introdusse musicanti davanti all’altare; raddolcendo i canti con i loro suoni; conferì splendore alle feste, abbellì le solennità fino alla perfezione, facendo lodare il nome santo di Dio ed echeggiare fin dal mattino il santuario» (Sir 47,9-10). In occasione del trasferimento dell’arca nella sua città, Davide affida ad Asaf, capo dei leviti, e ai suoi fratelli un inno di lode al Signore (1Cr 16,8-36)33. Il libro delle Cronache, composto verso l’inizio del periodo ellenistico (ultime decadi del secolo IV), ritracciando la storia di Davide (1Cr 10-29), mentre ne tralascia i drammi familiari, ne celebra ancora il ruolo di organizzatore del culto sacerdotale nel tempio di Gerusalemme, da lui ideato e preparato con la divisione dei compiti: i sacerdoti, divisi in ventiquattro classi, attendevano a turno al servizio nel Santo dei Santi, ai sacrifici e alla benedizione del popolo; i leviti svolgevano un servizio al tempio che comprendeva anche mansioni di pulizia34. C’erano poi i cantori (cf. 1Cr 25), anch’essi divisi in ventiquattro classi, che assicuravano a turno il servizio. L’autore del libro delle Cronache non considera il canto al tempio un semplice abbellimento, né l’arte musicale una mera abilità tecnica, ma come una vera missione religiosa: a suo giudizio i cantori sono persone ispirate da YHWH, quasi come i profeti35, che danno al culto contenuti e valori autenticamente donati loro da Dio. Nella storia dei re egli riferirà i numerosi casi in cui il canto ha prodotto da solo la fiducia nei combattenti e la vittoria sui nemici. Infine, sempre connesso con la vita del tempio, c’è anche il servizio dei portieri (di cui in 1Cr 26 se ne dà un elenco)36, che avevano il compito di impedire che l’impurità, il profano entrasse e dissacrasse l’orizzonte sacro, luminoso e intangibile dell’area del tempio. In 1Cr 22 Davide affida al Salomone la costruzione del tempio. Il dialogo con il figlio continua poi nel cap. 28. All’interno di questi due capitoli si incunea la mappa del tempio. Davide disegna quasi, davanti agli occhi del suo successore, il progetto templare, come egli dovrà organizzare il culto e come dovrà essere l’architettura del tempio di Sion. Questa descrizione è molto simile a quella che era stata offerta sul monte Sinai (cf. Es 25-31) quando YHWH aveva descritto minuziosamente tutto il piano del Santuario: la tenda, la planimetria dell’arca, l’arredo, il culto37. il piano del santuario: tutta la planimetria dell’arca, l’arredo, il culto. Come si vede c’è un parallelo: ciò che è accaduto al Sinai, ora riaccade. Ora l’artefice direttamente ispirato da YHWH non è più Mosè, ma Davide, e chi esegue tale progetto non sono Bezaleel, Ooliab e tutti gli altri artisti (cf. Es 36,1.2) ma Salomone. Perché tutte queste precisazioni? Appunto perché è YHWH a volere il perché, il come e il quando del tempio. Tutto sarà più chiaro quando ci viene rivelato il tempio definitivo che è la 33 Al ritorno dall’esilio di Babilonia sotto la guida del davidico Zorobabele e del sommo sacerdote Giosuè, nel Secondo Tempio ricostruito (nel 515 a.C.: Esd 6,13-18), si riprenderà l’uso del canto liturgico secondo l’ordine di Davide e con i suoi strumenti musicali (Ne 12,24.36.45-46). 34 1Cr 23,28-31 descrive così il loro incarico: «presiedevano ai cortili, alle stanze, alla purificazione di ogni cosa sacra e all'attività per il servizio del tempio, al pane dell'offerta, alla farina, all’offerta, alle focacce non lievitate, alle cose da cuocere sulle graticole e da friggere e a tutte le misure di capacità e di lunghezza. Dovevano presentarsi ogni mattina per celebrare e lodare il Signore, così pure alla sera. Presiedevano a tutti gli olocausti da offrire al Signore nei sabati, nei noviluni, nelle feste fisse, secondo un numero preciso e secondo le loro regole, sempre davanti al Signore». Al tempo di Mosé, secondo Nm 8,5, ai leviti toccava curare il trasporto del santuario mobile del deserto e, per questo, anche Davide si era servito di loro per il trasporto dell’arca. Ora c’è un santuario fisso e i compiti dei leviti sono cambiati: essi sono sì subordinati ai sacerdoti, ma mai esclusi; la loro presenza è costante in ogni attività cultuale. 35 Si noti, infatti, che il verbo usato per i cantori ha la stessa radice del nome e della funzione dei profeti. La radice è nb’. Anche i musicisti, quindi, sono mossi dallo spirito di YHWH. 36 E’ da notare che il Cronista ha in mente il secondo tempio, quello postesilico, perché in quello salomonico non ci dovevano essere porte da sorvegliare nel lato sud (cf. 1Cr 26,15) che era contiguo con la reggia. Invece ora il lato sud tocca ai discendenti di una persona importante, quell’Obed-Edom nella cui casa era stata depositata provvisoriamente l’arca prima del trasporto definitivo in Gerusalemme. 37 Questi capitoli sono poi ripresi anche in Es 35-40 che descrivono la costruzione ed erezione del Santuario. 9 carne di Gesù. E se anche noi credenti siamo chiamati ad essere “edificati” nel tempio spirituale sul fondamento di Cristo, “pietra angolare”, allora capiamo il “modello” da ricalcare non è una costruzione è appunto la persona di Gesù (cf. 1Pt 2,21); è nel “come” e nella “novità” del suo amore (Gv 13,34), identico a quello del Padre, che il tempio santo e vivo dei credenti trova precisate la sua ampiezza, lunghezza, altezza e profondità (cf. Ef 3,18). In questa incessante edificazione spirituale, Dio resta l’artefice e l’ispiratore assoluto, anche se affida il suo progetto a vari artigiani e interpreti nel corso del tempo; la sa bene Paolo, in una rilettura cristiana di Es 25-31, quando si propone ai Corinzi come sapiente architetto e li invita a “farsi suoi imitatori” (1Cor 11). Nella bellissima benedizione offertoriale delle ricchezze raccolte da Davide per la costruzione del tempio (1Cr 29,10-20) c’è poi tutto il senso della regalità israelitica, umilmente sottomessa al Signore - originalissima nel Medio Oriente antico -, e c’è pure tutto il senso della «conquista» della terra-dono del Signore: la raccolta di ciò che offriamo al Signore non è altro se non la raccolta dei doni che il Signore per primo ci ha donato (cf. v. 16). La vita del popolo di Dio si è armoniosamente strutturata secondo i tre livelli di creazione e di alleanza: il rapporto con Dio, con la terra, e con gli altri. In questa benedizione Davide prega perché il Dio dei padri conceda un cuore sincero al figlio Salomone, così che questi sappia portare a compimento l’edificazione della Casa, per cui il padre ha fatto tutti i preparativi necessari38. Davide lascia il suo commovente testamento al figlio e ai capi di Israele: «Ora... dedicatevi con tutto il cuore e con tutta l’anima a ricercare JHWH vostro Dio. Levatevi e costruite il santuario del Signore vostro Dio, per introdurvi l’arca dell’alleanza del Signore e gli oggetti consacrati a Dio nella Casa che sarà eretta al nome del Signore» (1Cr 22,19). Come Abramo, Isacco e Giacobbe, ai quali era stato promesso il possesso della terra promessa, muoiono senza averla posseduta (cf. Eb 11,9.13); come Mosè era morto sul confine della stessa terra, senza potervi entrare, così Davide morirà senza vedere realizzato il sogno della sua vita. L’espropriazione di sé, come pure l’economia della povertà e della speranza, continuano a segnare la vita e la morte degli amici di JHWH. 9. Davide, re-sposo e pastore di Giuda e di Israele Quando gli anziani delle tribù d’Israele si presentano in Ebron a Davide, già re di Giuda, per eleggerlo anche loro re, gli dicono: «Eccoci, noi tue ossa e tua carne» (2Sam 5,1;1Cr 11,1; cf. 2Sam 19,13-14). Il traditore Achitofel, a sua volta, prometterà ad Assalonne di condurgli tutto il popolo «come ritorna la sposa al marito» (2Sam 17,3 LXX). È questo il vocabolario del rapporto tra la donna e l’uomo (Gen 2,23). Il re è considerato come lo sposo del suo popolo39. Quando tutti gli evangelisti del Nuovo Testamento presentano Gesù come lo Sposo di Israele40, una tale designazione intende sottolineare non solo la divinità del Figlio (in continuità con quella di JHWH-sposo celebrata nell’Antico Testamento)41 ma pure la sua qualità regale-messianico-davidica42. Davide è pure il re-pastore (2Sam 5,2; 1Cr 11,2)43, il quale impersona per i propri sudditi 38 Cf. 1Cr 29,10-20; Sal 39,13-14; 119,19.54. Il legame nuziale tra il re e il suo popolo sembra conferire una legittimazione particolare al costume dello harem regio, come segno di un diritto al trono (cf. 2Sam 3,2-5.6-8; 5,13-16; 12,8; 15,16; 16,20-22; 30,2; 1Cr 3,19; 14,3-7; Sal 45). 40 Cf. Mt 9,14-15; Mc 2,18-20; Lc 5,33-35; Gv 3,29. Anche le parabole del regno usano la similitudine della festa di nozze: Mt 22,1-14; 25,1-13. 41 Cf. Is 50,1; 54,1-10; 61,10-62,12; Ger 2,1-4,4; 31,21-22.31; Ez 16; Os 1-3; ecc. 42 Cf. Mt 21,1-11; Mc 11,1-11; Lc 1,31-33; 19,29-40; Gv 1,49; 12,12-15.31-32; 18,33-19,22; Ap 17,14; 19,16; ecc. 43 Cf. 1Sam 16,11-13; 17,15.20.28; 34-36; 2Sam 7,8; Sal 78,70-72; ecc. 39 10 la cura che JHWH-pastore ha del suo popolo44. Di lui bandito e fuggiasco abbiamo ammirato la magnanimità nei confronti di Saul e nel dolore provato alla notizia della sua morte e di quella di Gionata. Da re Davide sa indignarsi e lamentarsi per l’assassinio dei suoi rivali, del grande Abner, figlio di Ner, perpetrato da Ioab (2Sam 3,26-38) e per quello di Ishba’al, figlio di Saul, compiuto da beerotiti traditori (2Sam 4,5-12). Commovente è la bontà che egli mostra verso Merib Ba’al, il figlio storpio di Gionata (2Sam 9), come pure l’umile generosità con cui risparmiò Simei, figlio di Ghera, che lo malediceva (cf. 2Sam 16,5-14; 19,16-24). L’antica immagine del re-pastore si trova ripresa ancora, e insistentemente, dai profeti dell’esilio e del post-esilio, i quali la riferiranno sia direttamente a JHWH, che verrà a sostituirsi ai cattivi pastori d’Israele45, sia a un principe messianico davidico, che inaugurerà per il popolo di Dio e per tutta l’umanità un definitivo regno di giustizia e di pace46. La finale rivelazione evangelica di Gesù quale «Porta delle pecore» e «Pastore vero» di Israele, prima di tutto delle sue pecore perdute (Mt 10,5-7;15,24-26) e poi di quelle di tutti gli altri ovili della terra, andrà letta nello sfondo di queste regali profezie messianiche e neodavidiche. La stessa cosa vale per i testi concernenti la diaconia pastorale nella Chiesa di Gesù47. 44 Cf. Gen 48,15-16; 49,24; Nm 27,15-17; Sal 23; 28,6-9; 74,1; 77,20-21; 78,52-53.65-72; 80,2-3; 95,7; ecc. Cf. 1Re 22,16-17; Ger 2,8; 10,21; 23,1-2; Ez 34,1-6; ecc. 46 Cf. Is 40,11; 63,11-14; Ger 3,14-15; 23,3-8; 31,10-11; Ez 34,7-31; 37,24-28; Mi 2,12-13; Zc 11,4-17; 13,7; ecc. 47 Gv 21,15-17; At 20,28-31; Ef 4,11-14; 1Pt 5,1-4; Ap 2,26-28; 7,15-17. 45 11