ARSIA • Agenzia Regionale per lo Sviluppo
e l’Innovazione nel settore Agricolo-forestale
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A cura di Rita Turchi - ARSIA
Si ringraziano per il prezioso contributo offerto, tutti i
relatori intevenuti e gli autori dei poster presentati al convegno “Il germoplasma della Toscana: tutela e valorizzazione” tenutosi il 19 novembre 1999 presso la Fortezza da
Basso in Firenze.
Cura redazionale, grafica e impaginazione:
LCD srl, Firenze
Stampa: EFFEEMME LITO srl, Firenze
Fuori commercio, vietata la vendita
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Il germoplasma della Toscana:
tutela e valorizzazione
Atti del convegno
Firenze, 19 novembre 1999
ARSIA • Agenzia Regionale per lo Sviluppo e l’Innovazione
nel Settore Agricolo-forestale, Firenze
5
Sommario
Presentazione
Maria Grazia Mammuccini
Parte I. Sezione Lavori
L’azione della Regione Toscana per la tutela del germoplasma autoctono
Giovanni Vignozzi, Regione Toscana - Dipartimento Sviluppo economico
7
9
13
Legge Regionale 50/97 “Tutela delle risorse genetiche autoctone”:
come si avvia il processo di tutela
Rita Turchi, ARSIA
21
Le attività delle Commissioni tecnico-scientifiche
25
Interventi
71
Parte II. Sezione Poster
111
I.
119
Legge Regionale 50/97 “Tutela delle risorse genetiche autoctone”
II. Specie di interesse forestale
127
III. Specie ornamentali e da fiore
129
IV. Conservazione di germoplasma di specie erbacee
137
V. Il germoplasma toscano delle specie legnose da frutto
149
VI. Germoplasma toscano di interesse zootecnico
237
VII.Ricerca, conservazione e valorizzazione del germoplasma locale:
altre esperienze
283
7
Presentazione
L’impostazione produttivistica dell’agricoltura
degli ultimi decenni ha portato alla progressiva
scomparsa di antiche varietà e razze locali e la variabilità genetica che le caratterizzava è andata via via
assottigliandosi fino, in alcuni casi, alla completa
scomparsa. Oggi, tale tendenza va contrastata, sia
incentivando l’attività delle Istituzioni scientifiche
che hanno conservato questo prezioso germoplasma
nelle loro collezioni, sia recuperando varietà, razze e
tradizioni locali rimaste appannaggio di pochi anziani agricoltori ancora nelle campagne.
La conservazione e la valorizzazione del germoplasma autoctono regionale è il presupposto fondamentale per una strategia di sviluppo endogeno
sostenibile ed un’opportunità per recuperare i valori
di una civiltà rurale legata ad antiche tradizioni.
Queste ultime sono l’espressione di un’agricoltura
che nel corso dei secoli ha affondato le proprie radici nel territorio, preservando prodotti che, nella loro
diversità, hanno come comune peculiarità, la qualità
e la genuinità.
Le azioni intraprese dalla Regione Toscana per la
salvaguardia del patrimonio genetico animale e
vegetale, presente sul proprio territorio, hanno portato all’emanazione della Legge Regionale n. 50 del
16 luglio 1997, dal titolo “Tutela delle risorse genetiche autoctone”, che affida all’Agenzia Regionale
per lo Sviluppo e l’Innovazione nel settore Agricoloforestale (ARSIA) la conservazione e la gestione dei
Repertori Regionali delle risorse genetiche toscane.
L’ARSIA svolge il proprio ruolo sulla base di un
programma annuale di attività che prevede il coordinamento delle Commissioni tecnico-scientifiche,
la pubblicazione della banca dati in linea su Internet
dei Repertori Regionali, la gestione della Banca del
germoplasma, la promozione sul territorio dei Coltivatori Custodi, la caratterizzazione morfologica e
genetica e, infine, la divulgazione.
Nell’ambito delle azioni per la divulgazione, il 19
novembre 1999 l’Agenzia ha organizzato un apposito convengo dal titolo “Il germoplasma della Toscana: tutela e valorizzazione”, tenutosi presso la Sala
della Scherma della Fortezza da Basso, in Firenze.
Nel corso di tale convegno, sono state presentate
le attività svolte dall’Agenzia e da numerosi altri
soggetti pubblici e privati in materia di conservazione del germoplasma locale.
Erano inoltre presenti uno spazio poster e una
mostra pomologica.
Il successo di partecipanti alle attività seminariali ed espositive ha convinto l’ARSIA a predisporre
questa pubblicazione, ritenendo opportuno mettere
a disposizione di tutti coloro che si occupano di tutela e valorizzazione del germoplasma, le relazioni ed
i poster presentati.
Maria Grazia Mammuccini
Amministratore ARSIA
Parte I. Sezione Lavori
11
Sommario Parte I.
L’azione della Regione Toscana per la tutela del germoplasma autoctono
13
Giovanni Vignozzi - Regione Toscana, Dipartimento Sviluppo economico
ALLEGATO - Legge Regionale 16 luglio 1997, n. 50 “Tutela delle risorse genetiche autoctone”
19
Legge Regionale 50/97 “Tutela delle risorse genetiche autoctone”:
come si avvia il processo di tutela
21
Rita Turchi - ARSIA
Le attività delle Commissioni tecnico-scientifiche
25
Commissione “Specie erbacee”
Il germoplasma delle piante coltivate
27
Concetta Vazzana - Dipartimento di Scienze Agronomiche e gestione
del Territorio agro-forestale (DISAT), Università degli Studi di Firenze
Commissione “Specie legnose da frutto”
Il germoplasma della Toscana: tutela e valorizzazione
delle specie legnose da frutto
33
Elvio Bellini - Dipartimento di Ortoflorofrutticoltura, Università degli Studi di Firenze
Commissione “Specie di interesse forestale”
Il germoplasma forestale della Toscana
47
Pier Virgilio Arrigoni - Orto Botanico, Università degli Studi di Firenze
Commissione “Specie ornamentali e da fiore”
Tutela delle risorse genetiche autoctone per le specie ornamentali da fiore
51
Romano Tesi - Dipartimento di Agronomia, Università degli Studi di Firenze
Commissione “Risorse genetiche autoctone animali”
Risorse genetiche autoctone animali
Mario Lucifero - Dipartimento di Scienze Zootecniche, Università degli Studi di Firenze
55
Il germoplasma della Toscana
12
Valorizzazione del germoplasma toscano. Registro nazionale delle varietà
59
Domenico Strazzulla - Mi.P.A.F., Direzione Generale delle Politiche Agricole
e Agro-industriali Nazionali
Piano di coordinamento Mi.P.A.F. nazionale per le attività di conservazione
delle risorse genetiche vegetali per l’alimentazione e l’agricoltura
63
Mario Marino - Mi.P.A.F., Direzione Generale delle Politiche Agricole e Agro-industriali
Nazionali, Ufficio Biodiversità, Tecnologie Innovative e aiuto ai Paesi in via di sviluppo
Carlo Fideghelli, Fabrizio Grassi, Alisea Sartori, Francesca Vitellozzi
Centro di Coordinamento Risorse Genetiche Vegetali, Istituto Sperimentale per la Frutticoltura, Mi.P.A.F.
Interventi
71
Varietà locali e risorse fitogenetiche: la posizione dell’industria sementiera
73
Anselmo Stella - AIS Associazione Italiana Sementi, Presidente
La Provincia di Grosseto ed il Sistema Territoriale di Qualità
77
Valter Nunziatini - Amministrazione Provinciale di Grosseto
Collezione, conservazione e studio del germoplasma di specie
di interesse agrario nella regione Abruzzo
79
Donato Silveri - ARSSA, Regione Abruzzo
Associazione Agricoltori Custodi: la storia, le motivazioni, l’attività
81
Rossella Michelotti - Associazione Agricoltori Custodi
La salvaguardia delle risorse genetiche: dalla teoria alla pratica
85
Piero Belletti - DIVAPRA, Università degli Studi di Torino
Tutela del germoplasma: problematiche
87
Pietro Perrino - Istituto del Germoplasma, CNR Bari
Territorio e qualità: dalla memoria al mercato
99
Francesco Scarafia - Confederazione Italiana Agricoltori, Toscana
La biodiversità e l’agricoltura: la tutela delle risorse genetiche nel Lazio
101
Antonio Onorati - Responsabile Segreteria Assessore Regionale all’Agricoltura della Regione Lazio
La biodiversità: un patrimonio da salvare
107
Riccardo Fortina - WWF Piemonte e Valle d’Aosta, Presidente
La Società Italiana dell’Iris ed il suo giardino
Sergio Orsi - Società Italiana dell’Iris, Presidente
109
13
L’azione della Regione Toscana per la tutela
del germoplasma autoctono
Giovanni Vignozzi
Regione Toscana, Dipartimento Sviluppo Economico
Introduzione
Uno dei capisaldi della politica agricola regionale degli ultimi anni, come definito fin dalla Conferenza regionale “Agricola ’96”, è quello della valorizzazione della qualità e della tipicità delle produzioni, considerato che una delle risorse di maggiore
importanza per l’agricoltura toscana è costituito proprio dall’equilibrio esistente fra l’attività agricola, il
paesaggio e l’ambiente.
Molti possono essere i concetti di qualità, ma
quelli che interessano prevalentemente in riferimento alla situazione della Toscana sono: a) le qualità organolettiche del prodotto, b) la sostenibilità del
processo produttivo, c) il rispetto per la salute del
consumatore e dell’ambiente, nonché la situazione
socio-economica (in un’unica parola la “ruralità”)
esistente dietro un determinato prodotto, in sostanza la cultura, la storia, la tradizione che ha determinato uno specifico processo produttivo.
Nell’ambito delle politiche della qualità nei suoi
diversi aspetti, numerose sono state le azioni intraprese dalla Regione nell’attuale legislatura e fra queste possiamo citare:
a) l’applicazione delle norme europee e nazionali
sulla sanità e l’igiene dei prodotti agroalimentari;
mediante l’attuazione di azioni tese a facilitare la loro
applicazione nel settore agricolo ed in particolare:
•direttive a Comuni ed ASL per il rilascio dell’autorizzazione sanitaria alle aziende agricole,
•redazione di linee guida per la predisposizione
di manuali di autocontrollo aziendale,
•progetti di formazione;
b) sostegno e sviluppo dell’agricoltura biologica
che, negli ultimi 4 anni è raddoppiata come consistenza passando da 550 aziende nel 1995 alle oltre
1.100 attuali;
c) predisposizione di un marchio sull’agricoltura
integrata che valorizzi tutta la produzione ecocompatibile anche in attuazione del Regolamento CE n.
2078/92 che ha interessato, nella Misura 1 “Riduzione concimi e fitofarmaci”, ben 16.000 aziende per
quasi 300.000 ettari; il marchio è stato istituito con
la recente Legge Regionale n. 25/99.
d) sostegno e sviluppo delle produzioni tipiche,
in particolare attraverso l’ottenimento di Denominazioni o Indicazioni Geografiche Protette (DOP o
IGP).
Un’altra area di fondamentale importanza nell’ambito delle politiche di valorizzazione delle qualità e delle tipicità, è appunto data dalla conservazione e tutela del germoplasma autoctono regionale.
La tutela della biodiversità è del resto un impegno per diversi Stati sancito nella Conferenza di Rio
de Janeiro nel 1992 tramite una Convenzione specifica sulle biodiversità ratificata dall’Italia con la
Legge n. 124 del 14 febbraio 1994.
Nella Convenzione si evidenzia la necessità per
ogni paese contraente di elaborare strategie, piani e
programmi nazionali nei riguardi della conservazione e dell’utilizzazione della diversità biologica in
tutti i suoi aspetti fra i quali ha primaria importanza
quello collegato con l’attività agricola e zootecnica.
In Toscana, la materia assume rilevante importanza perché ogni territorio ha espresso nel tempo
particolari varietà vegetali o razze animali, frutto di
interazione fra lavoro dell’uomo, ambiente e territorio. Alcune espressioni di questo germoplasma autoctono hanno assunto rilevanza a livello nazionale
(basti pensare alla razza Chianina originaria della
Val di Chiana), altre, altrettanto valide, sono rimaste
confinate in ambiti territoriali limitati ed hanno
subito forti contrazioni fino addirittura al rischio di
estinzione per il mutare delle condizioni socio-economiche e del mercato che ha richiesto sempre più
produzioni omogenee e standardizzate.
Il germoplasma della Toscana
14
La perdita del germoplasma autoctono è particolarmente grave per la nostra Regione, in quanto non
si traduce soltanto nella perdita di una varietà vegetale o di una razza animale, ma anche nella perdita
di un’identità storica, di una cultura, di un’agricoltura che ha sempre tenuto in alta considerazione il
rapporto con l’ambiente naturale.
Vorrei infine ricordare che, coerentemente con
l’obiettivo prioritario di valorizzazione del germoplasma, va considerata la presa di posizione della
Regione Toscana sugli Organismi Geneticamente
Modificati, che non si è concretizzata solamente nel
far presente una posizione di dissenso ai Ministeri
competenti, ma anche nell’attuare azioni concrete,
nell’ambito delle competenze regionali, per evitare
l’introduzione di coltivazioni transgeniche nella nostra regione ed in particolare:
a) non sono state attivate le prove per l’iscrizione al Registro varietale di Organismi Geneticamente
Modificati presso le Aziende regionali per il mais e
la barbabietola da zucchero transgenici;
b) nell’ambito degli adempimenti relativi all’applicazione della Legge Regionale n. 25/99, che istituisce un marchio di riconoscimento per l’agricoltura integrata, attuata nel rispetto di tecniche colturali compatibili con l’ambiente e, in particolare, nella
stesura dei Disciplinari di produzione, di competenza dell’Agenzia Regionale per lo Sviluppo e l’Innovazione nel settore Agricolo-forestale (ARSIA), è stata
tassativamente esclusa la possibilità di utilizzo di
varietà provenienti da modificazione genetica; infatti i prodotti caratterizzati dal marchio regionale sull’agricoltura ecocompatibile dovranno fornire garanzie al consumatore oltre che sulla compatibilità ambientale delle tecniche produttive adottate, anche
sul non utilizzo di Organismi Geneticamente Modificati;
c) sono in corso di attuazione tutte le procedure
possibili per prevedere l’esclusione per le aziende
ed imprese agricole che utilizzano Organismi
Geneticamente Modificati dall’accesso ai contributi
finanziari, ivi compresi quelli derivanti dall’applicazione di Regolamenti Comunitari.
Legge Regionale 16 luglio 1997 n. 50
“Tutela delle risorse genetiche
autoctone”
Con la pubblicazione sul Bollettino Ufficiale n.
30 del 26 luglio 1997 della Legge Regionale 16
luglio 1997, n. 50 “Tutela delle risorse genetiche
autoctone”, è stato dato avvio ad un’azione di conservazione coordinata in Toscana per la tutela della
biodiversità in agricoltura.
Tale legge ha, come principio generale, la tutela
delle risorse genetiche animali e vegetali, originarie
del territorio toscano, per le quali, nell’ambito delle
politiche per lo sviluppo rurale, esista un interesse
economico, scientifico e culturale per la loro conservazione. Pertanto la finalità prevalente della legge
risulta essere quella della tutela e della valorizzazione del germoplasma autoctono regionale a rischio di
erosione genetica, nonché la sua valorizzazione e diffusione nell’ambito delle attività agricole regionali.
L’oggetto della tutela sono tutte le specie, razze
varietà, popolazioni, ecotipi, cultivar e cloni che:
a) hanno avuto, hanno o possono avere interesse
per la coltivazione in campo agrario e forestale o per
l’allevamento a fini zootecnici;
b) siano autoctone in senso lato e, in particolare,
soddisfino una delle seguenti condizioni:
• siano originarie del territorio regionale ed ivi coltivate o allevate
• siano introdotte da lungo tempo nel territorio
della Regione ed integrate tradizionalmente nella
sua agricoltura e/o nel suo allevamento
• derivino dalle precedenti per selezione massale
sulla base di scelte fenotipiche
• siano originarie del territorio regionale ma attualmente scomparse o conservate in orti botanici, allevamenti o centri di ricerca di altre regioni
o paesi.
c) vengano iscritte ad appositi Repertori Regionali a seguito del riconoscimento di un interesse
generale alla tutela.
I Repertori Regionali sono tenuti e aggiornati dall’Agenzia Regionale per lo Sviluppo e l’Innovazione
nel settore Agricolo-forestale (ARSIA) e contengono
tutte le informazioni necessarie per individuare,
anche scientificamente, le specie vegetali e le razze
animali ivi iscritte.
Novità rilevante della legge è rappresentata dal
fatto che sia i singoli cittadini, sia organizzazioni
pubbliche o private possono richiedere l’iscrizione
di materiale genetico a rischio di estinzione, presentando la documentazione necessaria all’individuazione della cultivar o della razza da tutelare.
I Repertori sono organizzati in 5 sezioni, (risorse
genetiche autoctone animali, risorse genetiche
autoctone vegetali articolate in: specie legnose da
frutto, specie erbacee, specie ornamentali e da fiore,
specie di interesse forestale) e contengono notizie in
merito a caratteristiche botaniche ed agronomiche
per i vegetali, cenni storici e diffusione, luoghi ed
aree di conservazione, riproduzione, tecniche di coltivazione o allevamento, viene, inoltre, sempre allegata la documentazione fotografica. Le specie, culti-
15
var, varietà vegetali e le razze animali che sono
effettivamente a rischio di erosione genetica vengono individuate all’intero dei Repertori Regionali con
un asterisco. Le Commissioni tecnico-scientifiche
sono i soggetti preposti alla valutazione delle domande di iscrizione ai Repertori Regionali del germoplasma. La Giunta Regionale nel corso degli anni
1998 e 1999 ha istituito 5 commissioni, una per ogni
sezione del Repertorio:
a) Razze autoctone animali
b) Specie legnose da frutto (vite, olivo, fruttiferi)
c) Specie erbacee (foraggere, cerealicole,
oleaginose industriali ed ortive)
d) Specie ornamentali e da fiore
e) Specie di interesse forestale.
Per la composizione di ognuna delle suddette
Commissioni è stato seguito il criterio della rappresentatività di membri esperti e sono in genere costituite da: un rappresentante dell’ARSIA, un rappresentante della Regione, un rappresentante unitario
delle organizzazioni professionali agricole, un rappresentante delle associazioni dei produttori interessate, tre o più esperti nella materia in rappresentanza delle Università e degli Istituti di ricerca e sperimentazione operanti in Toscana.
Quanto sopra al fine di coinvolgere tutto il
mondo produttivo e della ricerca nell’individuazione
delle risorse genetiche da tutelare.
La novità della legge sta proprio in questa stretta sinergia tra pubblico e privato, la volontà di salvaguardia espressa dalla Giunta Regionale si manifesta proprio coinvolgendo le associazioni e le organizzazioni professionali del mondo agricolo toscano.
Le competenze attribuite alle Commissioni sono
relative all’espressione del parere in caso di iscrizione ai Repertori e l’indicazione del rischio di estinzione, ma le Commissioni possono anche avanzare
proposte per la definizione dei criteri per l’iscrizione
ai Repertori e l’attivazione di azioni per il monitoraggio e la salvaguardia del germoplasma.
I Programmi regionali per la tutela
delle risorse vegetali
a) Prime azioni di tutela
La Regione Toscana, fin dagli inizi degli anni ’90,
ha effettuato azioni per la tutela del germoplasma,
che hanno riguardato in particolare:
• Ricerca del germoplasma autoctono di specie
erbacee (in particolare ortive) svolta dal Dipartimento di Scienze Agronomiche dell’Università di
Firenze, prima per conto della Giunta Regionale e
successivamente per conto dell’ARSIA. I risultati
della ricerca effettuata sono stati divulgati mediante
la pubblicazione di due monografie dal titolo Un
seme, un ambiente, delle quali la prima riguarda i
metodi di ricerca e la seconda è un vero e proprio
manuale di autoproduzione delle sementi;
• Istituzione della Banca regionale del germoplasma presso l’Orto Botanico di Lucca per la catalogazione, conservazione e rinnovo delle sementi derivanti dalla ricerca di cui al punto precedente;
• Erogazione di contributi per studi e ricerche
per l’individuazione del germoplasma autoctono e
creazione di collezioni varietali (soprattutto nel settore Arboree) da parte dell’ETSAF prima e poi dell’ARSIA;
• Prime azioni di sostegno finanziario: il Reg. CE
n. 2078/92. L’entrata in vigore del Reg. CE n.
2078/92 del 30 giugno 1992 “Metodi di produzione
agricola compatibili con le esigenze dell’ambiente e
con la cura dello spazio naturale”, ha permesso un
primo intervento finanziario in favore degli imprenditori agricoli che erano intenzionati a coltivare le
specie vegetali minacciate di erosione genetica
oppure ad allevare le razze animali locali a rischio di
estinzione.
Per poter accedere al finanziamento era necessario, per le specie vegetali, stipulare un contratto con
la Banca del germoplasma regionale.
Con tale contratto l’imprenditore agricolo si
impegnava, a fronte di un contributo finanziario, a
coltivare varietà o popolazioni locali, iscritte nella
Banca medesima, rispettando le prescrizioni di coltivazione che venivano impartite e che facevano parte
integrante del contratto stesso. A tale misura hanno
aderito 103 aziende per un totale di 419 ettari ed un
importo complessivo di 244 milioni di lire.
Questa azione mirata però, è stata semplicemente un primo passaggio che ha fatto comprendere la
necessità della collaborazione del mondo agricolo
nell’opera di salvaguardia delle risorse genetiche a
rischio di erosione.
b) I Programmi regionali
in applicazione della L.R. 50/97
La tutela del germoplasma è attualmente effettuata sulla base di programmi regionali approvati
dal Consiglio Regionale ed attuati dall’ARSIA, i punti
principali delle azioni previste sono:
• istituzione e tenuta dei Repertori Regionali delle risorse genetiche autoctone vegetali e funzionamento delle Commissioni tecnico-scientifiche per il
settore vegetale;
• pubblicizzazione del Repertorio Regionale
delle risorse genetiche autoctone tramite la stampa
e la diffusione di pubblicazioni monografiche, incon-
Il germoplasma della Toscana
16
tri tecnici e altre iniziative divulgative;
• organizzazione e gestione delle attività relative
alla Banca del germoplasma regionale per la conservazione delle sementi che dovrà essere finalizzata
alla conservazione, catalogazione, caratterizzazione,
riproduzione e diffusione delle specie erbacee più
suscettibili di erosione genetica per la brevità del
ciclo, la facilità di ibridazione e l’impossibilità di
creazione di campi catalogo come le specie a ciclo
pluriennale. Nell’ambito delle attività inerenti la
Banca del germoplasma viene effettuata:
— una conservazione ex situ delle sementi autoctone di specie erbacee a rischio di estinzione individuate da studi e ricerche svolte da istituzioni pubbliche e privati con particolare riferimento alle cultivar inserite nel Repertorio Regionale delle risorse
genetiche autoctone vegetali;
— effettuazione in situ di interventi per la selezione, la verifica della germinabilità, il rinnovo e la
riproduzione dei campioni conservati, che viene
effettuata da “agricoltori custodi”;
— catalogazione e caratterizzazione dei campioni
conservati;
— distribuzione dei semi conservati ai soggetti
che ne fanno richiesta per la reintroduzione di una
determinata cultivar, previa presentazione da parte
del soggetto richiedente di un adeguato progetto di
reintroduzione che presenti: obiettivi, tecniche di
riproduzione, area di reintroduzione e criteri per la
successiva diffusione. La richiesta comunque è
subordinata alla disponibilità di una quantità sufficiente di sementi;
— sostegno alle iniziative di conservazione del
germoplasma iscritto nei Repertori con finalità
scientifico-conservative.
Programmi regionali per la tutela del
patrimonio genetico animale autoctono
L’azione di tutela del patrimonio genetico animale autoctono è iniziata nel 1979, in seguito ad un
progetto finalizzato realizzato dal CNR che aveva
come obiettivo la promozione ed il coordinamento
degli studi per la conoscenza e la valorizzazione
delle popolazioni animali nelle cosiddette “aree marginali”, al fine di poter offrire agli allevatori una
conoscenza di base per l’avvio di programmi di sviluppo delle razze autoctone. Da questa indagine
risulta che la Toscana possiede un rilevante patrimonio di razze autoctone.
Le razze a particolare rischio di estinzione furono individuate e da quel momento è iniziata l’azione
per la conservazione del loro patrimonio genetico
attraverso programmi organici di tutela e di sviluppo, finalizzati a ricostituire, per le diverse razze, una
base di allevamento sufficientemente ampia, tale da
costituire un patrimonio genetico abbastanza diversificato. Tutta questa operazione è avvenuta mediante l’attuazione di specifici piani di accoppiamento
finalizzati a scongiurare i più gravi pericoli derivanti dall’eccessivo imparentamento.
A fronte degli impegni richiesti agli allevatori,
l’unico mezzo realisticamente ipotizzabile per soddisfare questa esigenza era l’istituzione di un regime
di aiuti mirati. Lo scopo di tale regime di aiuti era
quello di consentire all’allevamento di queste razze
risultati economici sufficientemente allineati rispetto a quelli ottenibili dall’allevamento di altre specie
o razze concorrenti.
Questo è stato fatto, fino al 1997, prima autonomamente dalla Regione, poi integrando gli aiuti previsti dalla Misura D.3 del Programma Attuativo
regionale del Reg. CE n. 2078/92 del 30 giugno 1992
“Allevamento di specie e razze animali locali minacciate di estinzione”.
Per le razze animali hanno aderito alla misura
293 allevatori per un totale di 2.982 U.B.A. ed un
importo complessivo di L. 705.000.000 (anno 1998).
Dopo il 1997, a seguito dell’entrata in vigore della
L.R. n. 50/97, il Consiglio Regionale, con Deliberazione n. 348 del 28 ottobre 1997, ha approvato il
programma di interventi per la tutela delle razze
“reliquie” in pericolo di estinzione, per il triennio
1997-1999. Gli interventi previsti dal programma
sono integrativi di quelli erogati ai sensi del Reg. CE
n. 2078/92, in quanto si è ritenuto che i premi di
mantenimento previsti dal suddetto regolamento
fossero di entità insufficiente a garantire, per queste
razze di consistenza estremamente limitata, il mantenimento in vita e la riproduzione con i necessari
specifici criteri scientifici.
Per il futuro la Giunta regionale ha già predisposto ed approvato il progetto sulla base del quale
verrà elaborato il programma per il triennio 20002002 e che, attualmente, è in corso di esame alla
Commissione Europea.
A suo tempo il Consiglio regionale aveva inoltre
approvato, con deliberazione n. 371 del 25 novembre 1997, un programma di intervento a favore della
razza Chianina, tendente a scongiurare l’erosione
della base genetica di questa razza. Purtroppo la
Commissione Europea ha ritenuto che la misura fondamentale di questo intervento non possa essere
approvata in quanto valutata incompatibile col mercato comune.
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Le risorse genetiche autoctone
ed il programma di sviluppo rurale
della Regione Toscana
Nel futuro il sostegno agli operatori agricoli che
conservano il germoplasma avverrà nell’ambito del
Piano di Sviluppo Rurale predisposto ed approvato
ai sensi del Regolamento CE n. 1257/99 del 17 maggio 1999 “Sostegno allo sviluppo rurale da parte del
Fondo europeo agricolo di orientamento e di garanzia (FEAOG)” che modifica ed abroga taluni regolamenti. La Regione Toscana ha già presentato la
Proposta di Piano di Sviluppo Rurale regionale nella
Conferenza “Agricola ’99” tenutasi il 1° luglio 1999
ad Alberese (GR), proposta approvata dal Consiglio
regionale ed attualmente inviata alla Commissione
dell’Unione Europea. Le azioni di sostegno alla salvaguardia della biodiversità in agricoltura sono con-
tenute nelle Misure Agro-ambientali, Azione 6.4
“Coltivazione di varietà vegetali locali a rischio di
estinzione” per le specie vegetali e nell’Azione 6.3:
“Allevamento di razze locali a rischio di estinzione”
per le razze animali. La prima misura prevede: l’erogazione di un premio alle aziende che coltivano specie o varietà o cultivar che:
• siano inserite nei Repertori della L.R. 50/97;
• siano a rischio di estinzione.
Il premio è riconosciuto da una superficie minima di 1.000 mq (per le ortive e florovivaistiche) fino
ad un massimo di 5 ettari.
La seconda misura prevede l’individuazione di
razze soggette a contributo suddividendole fra:
• Razze reliquia:
con meno di 1.000 fattrici
• Razze semireliquia: con più di 1.000 fattrici.
Le erogazioni di premi sono differenziate nei due
casi.
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ALLEGATO
Legge Regionale 16 luglio 1997, n. 50
“Tutela delle risorse genetiche autoctone”
(Bollettino ufficiale della Regione Toscana 26 luglio 1997, n. 30)
Art. 1
1. La Regione Toscana, nell’ambito delle politiche di sviluppo
rurale, tutela le risorse genetiche, animali e vegetali, originarie del proprio territorio, limitatamente alle specie, razze,
varietà, popolazioni, cultivar ecotipi e cloni per i quali abbia
riconosciuto l’esistenza di un interesse generale alla tutela
stessa, dal punto di vista economico, scientifico o culturale.
2. Le specie, razze, varietà, popolazioni, ecotipi, cultivar e
cloni che fanno parte delle risorse genetiche tutelate sono
iscritte in appositi Repertori Regionali, tenuti dall’Agenzia
Regionale per lo Sviluppo e l’Innovazione nel settore
Agricolo-forestale (ARSIA).
3. Possono essere considerate autoctone, iscrivibili negli
appositi Repertori Regionali, anche specie, razze, varietà e
cultivar di origine esterna, introdotte da lungo tempo nel
territorio della regione ed integrate tradizionalmente nella
sua agricoltura e/o nel suo allevamento, nonché tutte le
specie, razze, varietà, cultivar, popolazioni ed ecotipi derivanti dalle precedenti per selezione massale sulla base di
scelte fenotipiche oltre quelle già autoctone ma attualmente scomparse in Toscana e conservate in orti botanici,
allevamenti o centri di ricerca in altre regioni o paesi.
Art. 2
1. La Giunta regionale, entro sei mesi dalla data di entrata in
vigore della legge, determina le modalità ed i criteri per l’istituzione e la tenuta dei Repertori Regionali, tenendo
conto dei seguenti principi generali:
a) ogni Repertorio regionale è organizzato con criteri che
tengano conto delle caratteristiche tecniche di analoghi
strumenti eventualmente esistenti a livello nazionale ed
internazionale, in modo da renderlo quanto possibile omogeneo e confrontabile con gli stessi;
b) l’iscrizione ai Repertori è a cura dell’ARSIA, sulla base del
parere favorevole espresso da apposite Commissioni tecnico-scientifiche, costituite dalla Giunta regionale, che
provvede anche a determinarne la composizione; l’ARSIA
fornisce il supporto operativo dei propri uffici per il funzionamento di dette Commissioni;
c) l’iscrizione al Repertorio avviene a seguito di iniziativa
d’ufficio dell’ARSIA, ovvero su proposta della Giunta regio-
nale, di Enti scientifici, Enti pubblici, Organizzazioni private
e singoli cittadini;
d) il proponente l’iscrizione si assume l’onere di fornire la
documentazione storico-tecnico-scientifica prevista dalle
modalità di iscrizione e quella ritenuta necessaria dalla
competente Commissione, salvo i casi in cui l’ARSIA, ritenute sussistenti motivazioni di interesse pubblico, valuti l’opportunità di acquisirla direttamente.
Art. 3
1. La Regione esercita la propria attività di tutela delle risorse genetiche autoctone:
a) favorendo le iniziative, pubbliche o private, tendenti a preservare le biodiversità autoctone esistenti, a ricostituire e a
diffonderne la conoscenza ed il rispetto, e, nel caso di razze,
cultivar, popolazioni, ecotipi e cloni utilizzati economicamente, a diffonderne l’uso ed a valorizzarne i prodotti;
b) assumendo direttamente iniziative volte alla tutela, al
miglioramento ed alla valorizzazione di tali risorse.
2. La Regione, mediante appositi programmi d’intervento,
stabilisce le attività e le iniziative che ritiene necessario
attivare ed incentivare, determina i criteri di accesso ai
benefici, la misura degli incentivi e le relative modalità di
attuazione.
3. La Regione, nell’ambito dei programmi di intervento di cui
al precedente comma 2, può sostenere le spese di impianto, di conservazione e di funzionamento di raccolte di
materiale genetico autoctono istituite nel territorio regionale, a condizione che il beneficiario dei finanziamenti
regionali si impegni, tramite convenzione, a trasferire la
proprietà del materiale raccolto e conservato alla Regione
medesima.
Art. 4
1. Agli oneri di spesa derivanti dalla attuazione della presente legge si provvede:
… omissis …
- per gli anni successivi mediante le leggi che approvano
annualmente il bilancio regionale.
21
Legge Regionale 50/97 “Tutela delle risorse genetiche
autoctone”: come si avvia il processo di tutela
Rita Turchi, ARSIA
1. I Repertori Regionali
In Toscana, da diversi anni, è stata avviata l’attività di recupero delle vecchie cultivar e razze locali
di specie erbacee in collaborazione con il Dipartimento di Scienze Agronomiche e gestione del
Territorio agro-forestale della Facoltà di Agraria di
Firenze e l’Orto Botanico del Comune di Lucca. Essi
hanno lavorato, insieme alla Regione Toscana prima
e all’ARSIA poi, per sottrarre un importante patrimonio vegetale all’erosione genetica. Frutto di tale lavoro di ricerca è stata la creazione di una Banca del
germoplasma regionale, presso l’Orto Botanico del
Comune di Lucca, che attualmente conserva 452
campioni di seme per lo più di specie ortive.
In seguito all’avvento della L.R. n. 50 del 16
luglio 1997 sulla “Tutela delle risorse genetiche
autoctone”, il processo di conservazione e di successiva valorizzazione delle risorse animali o vegetali
della Toscana, passa attraverso l’iscrizione ai cosiddetti Repertori Regionali.
Questi sono stati istituiti al fine di catalogare,
conservare e rendere pubbliche le informazioni relative alle “…risorse genetiche, animali e vegetali, originarie del proprio territorio, limitatamente alle specie, razze, varietà, popolazioni, cultivar ecotipi e
cloni per i quali sia stata riconosciuta l’esistenza di
un interesse generale alla tutela stessa, dal punto di
vista economico, scientifico o culturale” (Art. 1, L.R.
50/97).
L’iscrizione ai Repertori Regionali, pertanto, avviene solo in caso di germoplasma autoctono toscano — sulla base della definizione che dà la legge — ed
in particolare per quelle specie a rischio di erosione
genetica o addirittura di estinzione.
In quest’ultimo caso la L.R. 50/97 prevede la
possibilità di avviare azioni di recupero e di valorizzazione. Tali azioni prevedono la localizzazione del
germoplasma in questione, la sua conservazione ex
situ ed in situ, la caratterizzazione morfologica e
genotipica, la reintroduzione della coltura sul territorio di origine, la divulgazione delle conoscenze in
merito e, dove possibile, anche la valorizzazione dei
prodotti e della loro utilizzazione.
La legge e il relativo programma annuale di attuazione prevedono, inoltre, degli incentivi economici per sostenere parte delle spese di conservazione del germoplasma vegetale, presente in collezioni
già esistenti e inserito nei Repertori Regionali.
1.1 Le Commissioni tecnico-scientifiche
L’inserimento nei Repertori Regionali avviene attraverso presentazione di una richiesta di iscrizione
e solo dopo parere favorevole di apposite Commissioni tecnico-scientifiche (Art. 2, L.R. 50/97) nominate con deliberazione dalla Giunta Regionale.
Le Commissioni tecnico-scientifiche vigenti,
sono state nominate con le deliberazioni della
Giunta Regionale n. 259 del 15 marzo 1999 e n.
1078 del 29 settembre 1998 e hanno durata triennale.
Attualmente sono le seguenti:
• Commissione Risorse genetiche autoctone animali;
• Commissione Specie legnose da frutto;
• Commissione Specie erbacee;
• Commissione Specie ornamentali e da fiore;
• Commissione Specie di interesse forestale.
All’ARSIA è affidato il compito di supportare tecnicamente l’attività delle Commissioni.
Possono presentare domanda di iscrizione enti o
istituzioni scientifiche, singoli cittadini e organizzazioni pubbliche o private in genere.
Anche l’ARSIA può presentare direttamente le domande di iscrizione, oppure fornire il necessario
supporto tecnico per facilitare il compito a chiunque
ne faccia richiesta.
Il germoplasma della Toscana
22
Fig. 1 - Richiesta di iscrizione al Repertorio Regionale delle
risorse genetiche autoctone vegetali dal sito
http://www.arsia.toscana.it
1.2 Le domande di iscrizione
Le domande devono essere presentate all’Agenzia, corredate da una documentazione specifica
la cui istruttoria, volta a verificare la completezza
dei dati e della documentazione richiesta, sarà a
cura dell’ARSIA stessa.
Allo scopo di facilitare la predisposizione delle
domande di iscrizione per il Repertorio Regionale
del settore vegetale, è stata messa a punto una specifica modulistica reperibile su Internet:
http://www.arsia.toscana.it
(sotto la voce Germoplasma) oppure direttamente presso la sede dell’ARSIA in via Pietrapiana, 30 Firenze.
Per il Repertorio delle “Risorse genetiche animali” non è stata definita nessuna modulistica perché è
sufficiente far riferimento alla Deliberazione della
Giunta Regionale n. 11.092 del 29 settembre 1997,
consultabile da Internet, all’indirizzo:
http://germoplasma.arsia.toscana.it
sotto la voce Normativa.
Per il settore vegetale, le domande devono contenere le seguenti informazioni: famiglia, genere, specie, nome comune e sinonimi; nome, cognome e indirizzo del soggetto proponente; i soggetti presenti sul
territorio interessati al mantenimento o alla valorizzazione; relazione tecnica contenente la descrizione
morfologica e il comportamento agronomico; luogo
dove si sono effettuate le rilevazioni; informazioni di
carattere storico-scientifico sulle zone di diffusione,
sul luogo di conservazione, sulle aziende coltivatrici,
etc.; grado di diffusione attuale; caratteristiche tecnologico-organolettiche del prodotto.
La domanda, inoltre, deve essere corredata da
una significativa documentazione fotografica (almeno due foto). L’iter procedurale prevede che l’ARSIA,
entro 45 giorni dal ricevimento della stessa, provveda ad istruire la domanda pervenuta, richiedendo
eventuale documentazione mancante o risultata
carente. Dopodiché la domanda di iscrizione viene
posta all’esame della Commissione tecnico-scientifica competente, la quale ha facoltà di richiedere, tramite l’ARSIA, ulteriori informazioni o di consultarsi
con esperti di particolari discipline, prima di assumere una decisione definitiva. Può anche richiedere
ad esperti esterni o laboratori specializzati, studi o
analisi per approfondimenti particolari, al fine di
procedere ad una valutazione quanto più serena ed
obiettiva, del germoplasma in esame.
Il parere espresso dalla Commissione non è appellabile ed è vincolante per l’ARSIA che, in base a
tale parere, provvede all’iscrizione al Repertorio o a
respingere la richiesta motivandone le ragioni.
1.3 I Repertori Regionali
I Repertori Regionali pertanto, si concretizzano
in una banca dati, all’interno della quale è distinto il
settore delle risorse genetiche autoctone animali da
quello dei vegetali, e nell’ambito di quest’ultimo, i
settori di competenza delle relative Commissioni.
Il Repertorio delle risorse genetiche animali attualmente comprende:
• bovini: Chianina, Maremmana, Garfagnina, Pontremolese, Mucca Pisana, Calvana
• equini: Maremmano, Cavallino di Monterufoli
• ovini: Massese, Appenninica, Garfagnina bianca,
Pomarancina, Zerasca
• caprini: Montecristo e Garfagnana
• suini: Cinta Senese
• asinini: Asino dell’Amiata
• api: Apis Mellifera Ligustica toscana.
Il Repertorio delle risorse genetiche vegetali ad
oggi, contiene 78 olivi, 13 ciliegi, 23 ortive. Inoltre,
attualmente la Commissione delle specie legnose da
frutto sta esaminando 34 collezioni di germoplasma
frutticolo presenti sul territorio regionale; mentre la
Commissione delle specie di interesse forestale sta
procedendo all’esame delle 162 “segnalazioni” pervenute da parte di soggetti terzi; infine la Commissione delle specie ornamentali e da fiore, sta valutando il materiale contenuto nelle varie collezioni
pubbliche e private presenti in Toscana (per esempio, le Camelie).
1.4 Pubblicizzazione
I Repertori Regionali sono pubblici, pertanto
l’ARSIA provvede alla pubblicazione del loro contenuto sia attraverso il mezzo cartaceo (pubblicazioni,
report, etc.), sia tramite le pagine web del proprio
sito Internet.
23
Tra le proprie pubblicazioni l’ARSIA ha messo a
punto una specifica collana editoriale dal titolo “Il
germoplasma toscano” che presenta e approfondisce
le caratteristiche delle accessioni del Repertorio
Regionale; attualmente la collana consta delle pubblicazioni: Il germoplasma del ciliegio e Germoplasma di specie erbacee di interesse agricolo.
Il germoplasma del ciliegio, è la prima parte di un
lavoro di ricerca promosso dall’Istituto sulla Propagazione delle Specie Legnose di Firenze, condotto da
Giancarlo Roselli e da Pierluigi Mariotti. Si tratta di
un primo lavoro attuato nella zona della provincia di
Pisa, mentre è prevista una seconda parte che interesserà il germoplasma di ciliegio da recuperare,
nelle altre zone della Toscana.
La seconda pubblicazione, Germoplasma di specie erbacee di interesse agricolo, è frutto di una ricerca condotta dal Dipartimento di Scienze Agronomiche e gestione del Territorio agro-forestale della
Facoltà di Agraria dell’Università di Firenze per
conto della Regione Toscana e dell’ARSIA. Tale ricerca aveva lo scopo di recuperare vecchie cultivar e
razze locali di specie erbacee, per lo più ortive.
Presenta 33 accessioni della Banca del germoplasma
regionale suddivise in 8 famiglie: Leguminose, Solanacee, Cucurbitacee, Crucifere, Liliacee, Composite, Labiate e Graminacee.
È di prossima pubblicazione un lavoro sul
Repertorio delle risorse genetiche animali.
semplice richiesta, mentre la banca dati telematica è
consultabile direttamente da Internet all’indirizzo:
http://germoplasma.arsia.toscana.it/germo/home.htm.
La segnalazione del grado di rischio di erosione
genetica o di estinzione, è effettuata da un triangolino rosso, segnale di pericolo.
La banca dati dei Repertori Regionali è consultabile a partire da oggi.
2. La Banca del germoplasma regionale
1.5 Come si accede ai Repertori Regionali
I Repertori Regionali sono conservati sia in
forma cartacea che telematica.
L’archivio cartaceo si trova presso la sede ARSIA,
in via Pietrapiana, 30 - Firenze.
La consultazione del cartaceo è possibile previa
Nei compiti affidati all’ARSIA dalla L.R. 50/97
rientra la gestione della Banca del germoplasma
regionale.
La Banca è nata, come già detto, dalla ricerca
svolta dal Dipartimento di Scienze Agronomiche e
gestione del Territorio agro-forestale della Facoltà di
Agraria di Firenze, in collaborazione con l’Orto Botanico del Comune di Lucca, per conto della Regione
Toscana. Attualmente la Banca del germoplasma
regionale è costituita da due celle frigorifere a 4°C:
una presso la sede ARSIA di Capannori (LU) e l’altra
presso l’Orto Botanico di Lucca. Vi si conservano
452 campioni di seme di varietà, ecotipi, popolazioni autoctone di specie cerealicole, foraggere in prevalenza ortive, tradizionalmente coltivate dagli agricoltori toscani.
Grazie alla collaborazione dell’Orto Botanico di
Lucca, la Banca può ricevere seme da chiunque
voglia segnalare germoplasma toscano da conservare, ed effettua operazioni di pulitura, essiccazione,
confezionamento sottovuoto, pesatura, etichettatura.
Inoltre, periodicamente effettua prove di germinazione per controllare la vitalità del seme e per provvedere alla programmazione della sua riproduzione.
Fig. 2 - Consultazione Banca dati on-line del Repertorio
Regionale: sezione arboree
Fig. 3 - Consultazione Banca dati on-line del Repertorio
Regionale: sezione risorse genetiche animali
Il germoplasma della Toscana
24
3. I Coltivatori Custodi
Per la riproduzione in campo del materiale conservato presso la Banca del germoplasma regionale,
l’ARSIA ha istituito il cosiddetto Elenco dei Coltivatori
Custodi. Si tratta di un elenco di agricoltori che si
sono resi disponibili a coltivare, nei propri terreni, i
semi conservati nella Banca del germoplasma regionale.
L’Elenco dei Coltivatori Custodi è istituito a partire dal 7 dicembre 1999 presso l’ARSIA ed è attualmente costituito da 32 componenti presenti su tutto
il territorio regionale. Ad essi l’ARSIA corrisponderà
un contributo spese forfettario, che varia da specie a
specie in misura diversa.
L’Elenco è stato costituito tramite un bando di
selezione pubblica e l’ammissione è avvenuta in
base al possesso di particolari requisiti quali la capacità ed esperienza in autoriproduzione delle sementi, possesso dei terreni, etc.
L’aggiornamento e quindi i nuovi inserimenti
nell’Elenco dei Coltivatori Custodi avviene solo nei
termini di presentazione delle domande di ammissione, previsti dal bando di selezione pubblica che
periodicamente pubblicherà l’ARSIA.
Ai Coltivatori Custodi viene consegnato seme
conservato presso la Banca, sulla base della zona di
origine del seme stesso. Infatti la riproduzione dei
campioni, deve rispettare il criterio fissato dall’Elenco, secondo cui la moltiplicazione dei semi deve
avvenire presso “agricoltori della zona originaria di
prelievo delle sementi stesse” (decreto del Dirigente
n. 309 del 29 giugno 1999 - Bollettino Ufficiale della
Regione Toscana n. 38 del 22 settembre 1999).
Il tentativo da parte dell’ARSIA, è quello di avviare una vera e propria conservazione in situ per rendere vitale e reale la conservazione del germoplasma toscano, soprattutto quello a rischio di erosione
genetica.
Inoltre, presso i Coltivatori Custodi, avrà inizio
una descrizione morfologica del materiale genetico
riprodotto, allo scopo di sottoporre tale materiale,
all’esame della Commissione delle Specie Erbacee
per l’inserimento nel Repertorio Regionale. Appare
dunque evidente il legame tra il momento della conservazione — ex situ (Banca del germoplasma regionale) e in situ (Coltivatori Custodi) — e le azioni di
reintroduzione e diffusione sul territorio regionale
(Repertori Regionali) di germoplasma a rischio.
Le attività delle Commissioni tecnico-scientifiche
27
Commissione “Specie erbacee”
Il germoplasma delle piante coltivate
Concetta Vazzana
Dipartimento di Scienze Agronomiche e gestione del Territorio agro-forestale (DISAT)
Università degli Studi di Firenze
Il problema generale
La conservazione delle risorse genetiche vegetali ha suscitato negli anni recenti sia l’interesse della
ricerca scientifica che il supporto dei politici poiché
sempre più netta è divenuta la consapevolezza della
rilevanza della biodiversità e della sua conservazione per la salute della biosfera. Il termine biodiversità, introdotto per la prima volta da Rosen nel 1980
si riferisce alla diversità a tutti i livelli della organizzazione biologica: a distanza di venti anni dalla
prima introduzione del termine la conservazione
della biodiversità è divenuto tema di grandissima
importanza data la attuale drammatica crescita del
tasso di estinzione di specie vegetali e animali.
Riferendoci per il momento alle sole piante, la
biodiversità dei sistemi biologici dovrebbe essere
conservata tenendo in debita considerazione diversi fattori:
a) l’ampiezza del germoplasma delle specie selvatiche associate alle specie coltivate: è importante
valutarne, infatti, la potenzialità nel miglioramento
genetico delle colture;
b) i processi di domesticazione, la diversità dei
geni che mantengono e promuovono la produttività
e la base genetica della costituzione di cultivar, in
funzione del tempo e delle variabili ambientali;
c) la complessità espressa nelle comunità naturali, derivante dall’interazione tra le diverse specie
sotto il controllo della selezione naturale.
Il mantenimento della biodiversità è un requisito
essenziale per la continua produzione di nuove cultivar delle colture affermate, per lo sviluppo di
nuove colture e per il benessere generale del pianeta. Il modo migliore per conservare la biodiversità
sarebbe quello di prendere come unità di riferimento la comunità: essa infatti contiene la biodiversità a
livello di specie, a livello di individuo e, quindi,
anche a livello di gene. Se si opera a livello di specie
per una conservazione razionale del germoplasma
vegetale dobbiamo prendere in considerazione due
gruppi:
• le specie coltivate con le selvatiche ad esse
associate;
• le specie che sono già a rischio di estinzione
nel loro habitat o quelle che possono divenire a
rischio.
Entrambi i gruppi di piante, quelle usate dall’uomo e quelle messe in pericolo dall’uomo, hanno una
caratteristica in comune: dipendono dall’uomo per
continuare ad esistere.
Ci sono due strategie di base per la conservazione della biodiversità, ciascuna composta di varie tecniche che possono essere adottate una volta localizzato un sito interessante (per la definizione si fa riferimento all’art. 2 della Convenzione sulla diversità
Biologica [UNCED, 1992]):
1) la conservazione ex situ, ossia la conservazione dei componenti della diversità biologica fuori del
loro habitat naturale.
Le tecniche specifiche cui questa strategia fa riferimento sono: la banca dei semi, la conservazione in
vitro, la conservazione del DNA, la conservazione del
polline, la banca del gene in campo, i giardini botanici. Campioni di una specie, subspecie o varietà
sono prelevati e conservati sia in collezioni di piante vive (banca del gene in campo, nei giardini botanici e negli arboreti) o come campione di semi, tuberi, espianti di tessuto, polline o DNA, in particolari
condizioni ambientali artificiali. Queste tecniche
sono generalmente appropriate per la conservazione
di specie coltivate, di loro parentali e di specie selvatiche.
2) la conservazione in situ ossia la conservazione dell’ecosistema e degli habitat naturali e il man-
Il germoplasma della Toscana
28
tenimento delle popolazioni vitali delle specie nelle
loro condizioni naturali e, nel caso delle specie coltivate, nelle condizioni in cui abbiano sviluppato le
loro proprietà distintive.
Le tecniche utilizzate in questo caso sono la
riserva genetica, la conservazione in azienda (on
farm), la conservazione negli orti di casa.
Ci sono alcune serie limitazioni associate alla
conservazione ex situ: ad esempio la difficoltà di
conservare colture che si propagano per cloni (banane, alcune colture tropicali da tubero ecc.) e alcuni
alberi e arbusti tropicali i cui semi non possono
essere conservati mediante essiccamento e raffreddamento (ossia le specie con semi recalcitranti o
intermedi). Inoltre, le specie i cui semi sono mantenuti per lungo tempo in una banca del seme non
sono sottoposte alla pressione evolutiva di un
ambiente che cambia in continuazione, anche in termini di presenza di nuove o più aggressive malattie.
Al contrario, le specie mantenute in situ non
richiedono l’essiccamento o la presenza di basse
temperature e sono soggette a pressione di selezione
continua. Per questi motivi negli anni più recenti
l’interesse si è spostato dalle banche del seme verso
la conservazione delle risorse genetiche e della biodiversità in situ.
È interessante, quindi, approfondire la conoscenza delle tecniche che sono impiegate in questo tipo
di approccio alla conservazione del germoplasma
che implica il mantenimento della variabilità genetica nello stesso posto in cui è stata trovata.
Dobbiamo tener presente, comunque che la maggior
parte della ricerca scientifica fin qui condotta ha
focalizzato il suo interesse sulla conservazione ex
situ e ben poco è stato fatto per sviluppare principi
scientifici appropriati per la conservazione in situ.
La conservazione in riserve genetiche e la conservazione in aziende agrarie costituiscono la base
tecnica per operare in situ. La prima richiede la
localizzazione, la gestione e il monitoraggio della
diversità genetica in una particolare situazione
naturale. Questa tecnica è appropriata per la conservazione di specie selvatiche, sia geneticamente vicine che lontane da specie coltivate, perché in genere
richiede minimi interventi e quindi trascurabili
costi; consente inoltre anche la conservazione di
specie con semi non ortodox e permette la continua
evoluzione delle specie. Lo svantaggio di questa tecnica risiede nel fatto che il materiale non è immediatamente disponibile per la sperimentazione e
che, se la gestione è veramente minima, minime
sono anche le informazioni disponibili dal punto di
vista della caratterizzazione e della valutazione del
germoplasma presente.
La conservazione in azienda (on farm) implica il
mantenimento di varietà di colture o di sistemi colturali da parte di agricoltori che adottano sistemi tradizionali di agricoltura. Nelle aziende tradizionali,
quel germoplasma che è conosciuto come “razze
locali” viene seminato e raccolto ogni stagione dagli
agricoltori che conservano una porzione dei semi
raccolti per la semina successiva. Quindi la razza
locale è fortemente adattata all’ambiente in cui si
sviluppa e contiene informazioni genetiche legate
all’ambiente che possono facilmente essere impiegate in programmi di miglioramento. Questa tecnica,
di cui solo recentemente è stata riconosciuta la validità a livello scientifico, è stata praticata per millenni dagli agricoltori. Il materiale genetico così coltivato ha un potenziale produttivo molto inferiore a
quello delle moderne colture. Per questo motivo gli
agricoltori che agiscono da conservatori avrebbero
bisogno di un supporto economico per poter continuare la loro attività.
La conservazione negli orti è strettamente correlata a quella in azienda e implica una conservazione
su scala più piccola, ma spesso di un maggior numero di specie diverse, generalmente destinate ad un
consumo familiare: si tratta di specie officinali o di
ortive o di aromatiche. Ci possono essere orti più
grandi che costituiscono una preziosa fonte di informazione genetica per alberi da frutta, arbusti, colture da tubero ecc. Anche in questo caso è affidato agli
agricoltori custodi il compito di mantenere nel
tempo la biodiversità: essi sono strumenti essenziali nella conservazione del germoplasma in quanto
controllano le risorse genetiche di un intero paese.
La conservazione del germoplasma
in Toscana
Il programma di ricerca per la raccolta, conservazione e caratterizzazione di germoplasma vegetale di interesse agricolo regionale è iniziato nel 1986,
con la stesura di una convenzione tra la Regione
Toscana e il Dipartimento di Agronomia e Coltivazioni Erbacee (attuale DISAT) dell’Università di Firenze. La Toscana, per la sua collocazione geografica per la topografia del suo territorio presenta numerosi ambienti nei quali nel corso dei secoli si è
sviluppata una fiorente attività agricola che ha portato alla selezione di importanti ecotipi. L’erosione
genetica, favorita dall’abbandono delle campagne e
dalla progressiva scomparsa dei coltivatori più
anziani, forse gli unici a conoscenza delle tecniche
di produzione delle sementi, è stata significativa, ma
non ha causato la completa scomparsa di razze loca-
29
li. Le motivazioni iniziali della ricerca, i primi risultati ottenuti e le problematiche affrontate nel corso
della pluriennale attività per la conservazione della
biodiversità regionale sono riportati in un gruppo di
pubblicazioni edite a cura della Regione Toscana e
dell’ARSIA (Nota et al., 1991; Cerretelli e Vazzana,
1995, Castioni et al., 1999).
Per il recupero e la conservazione del germoplasma locale in una prima fase è risultato irrinunciabile il ricorso ad una classica banca del seme. La
nascita e la rapida crescita di un movimento di agricoltori che promuove una agricoltura sostenibile che
si basa su conoscenze ecologiche, tende a favorire a
livello regionale la reintroduzione nella coltivazione
di razze ed ecotipi locali in una azione tipica di conservazione ex situ dinamica o in situ.
Inizialmente, non essendo possibile effettuare
una ricerca a tappeto su tutto il territorio, sulla base
di una analisi degli aspetti pedoclimatici e socio-economici delle diverse aree regionali, sono state scelte
due zone di ricerca:
• la Maremma e l’entroterra maremmano fino al
monte Amiata, come esempio di area a forte influsso
mediterraneo;
• la Garfagnana, zona montuosa, morfologicamente complessa, sotto l’influsso di un clima prettamente appenninico.
Nel periodo 1986-1996 la ricerca si è progressivamente estesa a tutte le aree agricole della Toscana.
La raccolta di campioni in aree di particolare interesse nell’ambito del territorio regionale sta comunque continuando anche ai giorni nostri. Le accessioni raccolte durante tale lavoro sono state catalogate
utilizzando i dati raccolti sul luogo dai ricercatori
con la compilazione di una scheda (passaporto della
accessione).
Data l’iniziale carenza di esperienza diretta, l’organizzazione della conservazione statica ex situ dei
campioni in una banca del seme ha dato qualche problema: in un primo tempo i semi sono stati conservati
in camera fredda presso il DISAT e successivamente
nella cella climatizzata della Banca del germoplasma
regionale costituita presso l’Orto Botanico di Lucca.
Più recentemente una seconda cella climatizzata è
stata attivata presso il Centro di Capannori (LU) e consente la conservazione di parte delle accessioni acquisite. La conservazione avviene a bassa temperatura e il materiale conservato deve essere periodicamente monitorizzato per la germinabilità: quando la
germinabilità scende al di sotto di una soglia di riferimento si deve provvedere alla moltiplicazione del
seme, in pieno campo, in parcelle definite e isolate
per non dare luogo ad inquinamenti.
Questa pratica, detta “ringiovanimento del mate-
riale genetico”, è stata impiegata tenendo conto di
alcuni accorgimenti: non si è mai usato tutto il seme
disponibile, si è cercato di scegliere ambienti abbastanza vicini a quelli di origine del seme, si è evitata tecnicamente la possibilità di impollinazione
incrociata. Per la conservazione dinamica ex situ si
sono fatte esperienze di riproduzione in campo affidando i semi per la moltiplicazione ad aziende specializzate.
Recentemente la responsabilità del settore
Conservazione del Germoplasma è passata dalla
Regione all’ARSIA. Sulla base della esperienza direttamente acquisita e della tendenza della ricerca
scientifica del settore, si è ripensata la politica di
conservazione del germoplasma e si è cercato di
dare una soluzione concreta all’idea che già si stava
portando avanti da anni di adottare tecniche di conservazione in situ ricorrendo ad agricoltori custodi.
Si tratta sia di valorizzare il lavoro fatto da tanti agricoltori che hanno conservato la variabilità genetica
negli anni per lo più coltivando negli orti i semi
autoriprodotti (conservazione on farm o garden) che
di formare agricoltori che con buona tecnica di base
e capacità manageriale possano nelle diverse aree di
origine del materiale di interesse svolgere il compito di moltiplicazione e mantenimento del seme.
Parallelamente a queste attività si sta attuando
la caratterizzazione morfofisiologica e genetica di
una parte limitata del materiale conservato, attraverso prove di campo appositamente predisposte e
prove di laboratorio sia per la parte ecofisiologica
che molecolare.
L’attività che si sta portando avanti attualmente,
quindi, fa riferimento a due punti di forza:
• la possibilità di disporre di una Banca del seme
completamente informatizzata, che provvede al
mantenimento ex situ delle accessioni raccolte nell’ambito della ricerca o conferite alla Banca da agricoltori custodi;
• l’opportunità concreta di conservare in situ
(vedi esempio del farro in Garfagnana o del fagiolo
zolfino nel Pratomagno) utilizzando agricoltori
custodi già esistenti e anche attraverso la formazione di nuovi agricoltori custodi.
Sulla base delle esperienze maturate a partire
dal 1986, possiamo dire che il lavoro fatto a vari
livelli per la conservazione del germoplasma pone la
Regione Toscana in buona posizione relativamente
alla situazione nazionale. Per questo dobbiamo dire
grazie anche alla iniziale dedizione di un piccolo
gruppo di persone che hanno creduto nella necessità
di porre rimedio al problema della erosione genetica
del patrimonio vegetale regionale con la conservazione di ciò che era rimasto.
Il germoplasma della Toscana
30
Una spinta a continuare e a migliorare l’attività
in questo settore deriva sì dai risultati soddisfacenti
relativamente al numero di accessioni recuperate,
ma anche dalla consapevolezza del molto lavoro ancora da fare per ripristinare la ricchezza specifica e
varietale preesistente.
Il germoplasma della Toscana.
Repertorio Regionale per le specie
erbacee
Ormai da diversi anni si sta portando avanti in
Toscana un progetto per recuperare vecchie cultivar
e razze locali di specie erbacee. Scopo del progetto è
fornire un contributo alla diffusione del concetto di
conservazione e recupero delle specie a rischio di
erosione genetica e stimolare il chiarimento di alcuni aspetti delle normative vigenti che rendono difficile la “rimessa in coltura” di alcuni materiali di
indubbio interesse regionale.
L’intervento della Regione Toscana per la salvaguardia del germoplasma locale si è concretizzato
nella L.R. n. 50 del 16 luglio 1997 (“Tutela delle
risorse genetiche autoctone”) che istituisce appositi
“Repertori Regionali”: ogni specie vegetale e animale che, a parere di chi la conserva, corra il rischio di
ridurre troppo il suo areale di diffusione può essere
iscritta ad uno specifico repertorio dopo che la
richiesta di iscrizione sia stata esaminata e accettata da una apposita Commissione.
La Commissione Specie erbacee di cui si tratta in
questa breve relazione, è composta dal Prof. Stefano
Benedettelli, dal Prof. Enrico Bonari, dal Dr. Varo
Bucciantini, dal P.A. Andrea Cavini, dal Dr. Domenico D’Alessio, dal Prof. Mario Macchia, dalla
Dr.ssa Manuela Menichetti, dal P.A. Paolo Pancanti,
dal Dr. Vincenzo Tugnoli, dalla Prof.ssa Concetta
Vazzana, dal Dr. Giovanni Vignozzi.
L’attività svolta dalla Commissione in questo
primo periodo (tre riunioni), ha riguardato la definizione dei criteri per l’iscrizione e l’esame di una
serie di proposte per l’inserimento nel Repertorio
Regionale. All’unanimità si è deciso che premessa
per l’iscrizione al Repertorio è che:
1. si deve trattare di specie che siano coltivate
nella zona di provenienza, in Toscana, da almeno
trenta anni;
2. si tratti di materiale genetico a diffusione
abbastanza limitata e, talvolta, addirittura a rischio
di estinzione.
Nelle tre riunioni della Commissione Specie
Erbacee che si sono svolte nel 1999, sono state portate all’esame dei membri un numero consistente
di varietà per l’iscrizione al Repertorio. Si tratta in
gran parte di specie che non sono realmente a
rischio di estinzione in quanto sono attualmente coltivate e commercializzate seppure in aree limitate e
definite della Regione. Come si può vedere dall’elenco si tratta di ortive si uso assai ampio nella cucina
regionale e le cui peculiarità organolettiche sono da
rapportarsi spesso alle particolari condizioni in cui
viene effettuata la coltivazione (tipo di suolo, clima,
condizioni di coltivazione).
In alcune sedute la Commissione si è avvalsa
anche del contributo di conoscenza del Dr. Giovanni
Cerretelli, agronomo esperto della problematica del
germoplasma e consulente ARSIA per questo settore.
La maggior parte delle richieste di iscrizione al
Repertorio sono state presentate dall’ARSIA per materiale che è attualmente conservato ex situ nella
Banca del germoplasma di Lucca e che è possibile
ritrovare in situ presso alcuni agricoltori custodi.
Elenco gerarchico Repertorio erbaceo
Compositae
Lactuca
Lactuca sativa
Lattuga rossina di Pescia
Cucurbitaceae
Cucurbita
Cucurbita pepo
Zucchina alberello di Sarzana
Zucchina fiorentina
Zucchina mora Pisana
Leguminose
Phaseolus
Phaseolus vulgaris
Fagiola fiorentina
Fagiolo Coco bianco del Valdarno
Fagiolo di Sorana
Liliacee
Allium
Allium cepa
Cipolla rossa fiorentina
Cipolla rossa fiorentina Vernina
Cipolla rossa massese
Cipolla rossa di Lucca
Allium sativum
Aglio rosso Maremmano
Solanacee
Lycopersicon
Lycopersicum esculentum
Pomodoro canestrino di Lucca
Pomodoro costoluto Fiorentino
Pomodoro pisanello
Pomodoro tondino liscio da serbo toscano.
31
L’elenco precedente riporta le proposte di iscrizione al Repertorio approvate dalla Commissione
Specie Erbacee. Per alcune delle specie è stato stabilito, sulla base della documentazione presentata e
del parere dei Membri della Commissione, di sottolineare il rischio di estinzione: in questo caso sulla
scheda prima del nome della specie compare il contrassegno di pericolo (triangolo rosso).
Le informazioni contenute nella documentazione
presentata dai proponenti, insieme alla domanda di
iscrizione al Repertorio per ognuna delle specie nella lista, sono state trasferite a cura dell’ARSIA in
schede reperibili sul sito Internet:
www.arsia.toscana.it/Germo/Repertori/Erbaceo.htm
Esse riguardano l’area di diffusione del germoplasma, la sua reperibilità nella Banca del germoplasma regionale, la descrizione morfologica, il
luogo di conservazione in situ, le caratteristiche
agronomiche, la possibile utilizzazione e l’uso
gastronomico tradizionale.
Nell’esaminare le proposte, se la documentazione è apparsa insufficiente per alcuni di questi aspetti, la Commissione si è riservata di rimandare l’approvazione all’iscrizione al Repertorio, in attesa di
ulteriori informazioni.
Bibliografia
D. NOTA, S. PADERI, M. RIGHINI, G. TARTONI, C. VAZZANA,
F. CASTIONI, G. CERRETELLI, A. DE MEO (1991) - Un
seme, un ambiente. Ricerca di germoplasma di
specie erbacee di interesse agricolo in Toscana,
Giunta Regione Toscana, Firenze.
G. CERRETELLI, C. VAZZANA (1995) - Un seme, un
ambiente. Manuale di autoproduzione delle
sementi. Regione Toscana, Firenze.
F. CASTIONI, G. CERRETELLI, A. DE MEO, C. VAZZANA,
(1999) - Germoplasma di specie erbacee di interesse agricolo. ARSIA Regione Toscana, Firenze.
33
Commissione “Specie legnose da frutto”
Il germoplasma della Toscana: tutela e valorizzazione
delle specie legnose da frutto
Elvio Bellini
Dipartimento di Ortoflorofrutticoltura, Università degli Studi di Firenze
1. La pomologia nella Toscana
medicea
2. Gli Orti agrari in Toscana
Il primo segno di interesse per l’arricchimento
dell’assortimento varietale delle specie legnose da
frutto in Toscana si manifestò essenzialmente nel
corso del Rinascimento, quando i Medici fecero introdurre nei “pomari” delle loro ville numerose “sorte” di frutta da tutta Europa.
Queste vaste raccolte pomologiche sono state descritte e raffigurate, a cavallo del XVII e XVIII secolo per conto dei Medici, soprattutto dal botanico
Pietro Antonio Micheli nei suoi manoscritti e dal pittore Bartolomeo del Bimbo detto Bimbi. Quest’ultimo
seppe riprodurre fedelmente, con le denominazioni
dell’epoca, le varietà di circa 900 esemplari tra mele,
pere, pesche, albicocche, susine, ciliegie, fichi, uve
ed agrumi, allora presenti nei “pomari” delle Ville
medicee fiorentine (Autori Vari, 1982).
Di questo prezioso “germoplasma frutticolo” è
sopravvissuta una vasta raccolta di agrumi in vaso
che sono conservati al Giardino di Boboli ed alle
Ville di Castello, di Poggio a Caiano e della Petraia
(Figg. 1 e 2).
Nel 1544 nacque a Pisa il “Giardino dei Semplici” (divenuto in seguito Orto Botanico), voluto da
Cosimo I, dopo la riapertura dello Studio Pisano per
consentire agli studiosi di “vedere le vere e viventi
piante, per bene imprimere nella memoria le fattezze”, senza recarsi a cercarle in Paesi lontani
(Garbari, et al., 1991).
Molti orti agrari (pubblici e privati) sorsero in
Toscana su tale scia, tra questi hanno avuto grande
rilievo a Firenze (Pisani e Nanni, 1996):
• Orto agrario sperimentale dell’Accademia dei Georgofili, costituito nel Giardino dei Semplici nel 1783;
• Orto agrario sperimentale della Società Toscana di
Orticoltura, fondato tra il 1852 ed il 1858;
• Orto agrario delle Cascine, annesso alla Scuola
Agraria nel 1868.
Fig. 1 – Agrumi: variabilità di forme di limoni ancora presenti a Firenze
Fig. 2 – Agrumi: variabilità di forme di arance ancora presenti a Firenze
2.1 Orto agrario sperimentale
dell’Accademia dei Georgofili
L’Accademia dei Georgofili, fondata nel 1753, è
stata da sempre la guida per studi e ricerche pomo-
Il germoplasma della Toscana
34
logiche; da essa sono scaturite per volontà degli
accademici:
• l’Istituto Agrario a Pisa (1840), quale prima Facoltà di Agraria al mondo;
• la Società Toscana di Orticoltura (1852), la cui attività ha spaziato nel vasto settore della Ortoflorofrutticoltura;
• la Scuola Agraria delle Cascine (1860), trasformata in Regia Scuola di Pomologia, Orticoltura e
Giardinaggio nel 1882;
• la Facoltà di Agraria dell’Università degli Studi di
Firenze (1932);
• la Società Orticola Italiana, articolata nelle tre
sezioni di Orticoltura, Floricoltura e Frutticoltura
(1953).
Nell’Orto agrario dell’Accademia dei Georgofili
erano presenti numerosissime specie a diversa attitudine tra cui: cerealicole, tessili, medicinali, officinali, tanniche, tintorie, da siepi. Tra le arboree da
frutto figuravano:
• piante oleifere (tra cui l’olivo);
• piante boschive (tra cui il castagno);
• piante vinifere (diverse varietà di viti);
• piante pomifere o frutti (meli, peri, peschi, susini,
ecc.);
• piante da giardino (tra cui limoni e aranci).
Essa possiede, nei propri archivi e raccolte di
documenti e testi, le opere più significative della
pomologia antica e moderna.
2.2 Orto agrario sperimentale
della Società Toscana di Orticoltura
Tra il 1852 ed il 1860 in 7 esposizioni nazionali
ed internazionali, alla Società vennero riconosciuti
altrettanti premi per un totale di 81 collezioni di specie. Tra i fruttiferi erano presenti nell’Orto agrario
varietà di agrumi, albicocche, ciliegie, fichi, fragole,
mandorle, mele, noci, pere, pesche, susine, uve e
“frutte in genere”.
Dai cataloghi vivaistici dell’epoca si evince la
grande importanza assunta dalla frutticoltura in
Toscana. In uno di questi cataloghi erano riportate
250 cultivar di pere, 78 di mele, 50 di pesche, 50 di
susine, 21 di albicocche, 24 di ciliegie, 48 di fichi e
43 di viti.
2.3 Orto agrario delle Cascine
I primi cinque ettari dedicati alle collezioni della
Scuola agraria delle Cascine, ospitavano, tra gli altri,
i seguenti impianti di specie da frutto:
• vigna per uva da tavola;
• vigna di viti americane;
• costiera con meli nani;
• meli a vaso;
•
•
•
•
peri a colonna;
peri a piramide;
spalliera di viti e di peschi;
controspalliera di peschi alternati a cordoni
di peri;
• oltre a meli a vaso alternati a peri a cordone.
La scuola, oggi Istituto Tecnico Agrario Statale,
peraltro, conserva ancora una vasta raccolta di campioni in ceroplastica di frutti ed ortaggi di pregiata
fattura.
3. Il Novecento: istituzioni a tutela del
germoplasma frutticolo in Toscana
La Toscana, e Firenze in particolare, vanta antiche ed illustri tradizioni nel campo della pomologia;
intendendo con questo termine i settori della frutticoltura, olivicoltura e viticoltura.
L’opera meritoria dei Medici e delle istituzioni
didattico-scientifiche dei secoli passati (alcune oggi
ancora molto attive), ha trasmesso agli studiosi toscani (Morettini e la sua scuola) la grande passione per
la pomologia. Così dopo le devastazioni belliche dei
due conflitti mondiali sono sorte “nuove istituzioni”
con il preciso intento di ripristinare le raccolte del
germoplasma olivo-frutti-viticolo in Toscana.
Le collezioni e gli studi pomologici delle istituzioni toscane hanno consentito soprattutto di meglio
approfondire le conoscenze sulla biologia e fisiologia
delle specie arboree da frutto, di intraprendere un
organico lavoro di miglioramento genetico e di mantenere, con scambi di informazioni e materiale,
stretti rapporti con il mondo scientifico ed agricolo
nazionale ed internazionale.
Le istituzioni che hanno contribuito in modo
determinante a questo arricchimento sono (Autori
Vari, 1993):
• Istituto di Coltivazioni Arboree dell’Università di
Firenze (costituito nel 1936);
• Centro Miglioramento Piante da Frutto e da Orto
del CNR di Firenze (costituito nel 1950);
• Istituto di Coltivazioni Arboree dell’Università di
Pisa (costituito nel 1959);
• Istituto Sperimentale per la Viticoltura SOP di
Arezzo (costituito nel 1967).
35
3.1 Germoplasma in conservazione
presso le istituzioni pubbliche toscane
Di seguito si riporta l’entità delle “accessioni”
(cultivar, varietà, cloni, sinonimi, omonimi) ancora
conservate presso le istituzioni pubbliche toscane
(Università, CNR, MiPAF), dalle quali emergono le
accessioni di origine toscana, o presunta tale (Tabb.
1, 2, 3, 4 e 5). È oltremodo significativo il fatto che
siano presenti in Toscana ben 4.286 accessioni, di
cui 1.438 ritenute autoctone toscane.
Tab. 1 - Germoplasma conservato dal Dipartimento di Ortoflorofrutticoltura
(già Istituto di Coltivazioni Arboree), Università di Firenze (DO-UFI)
Specie
Località
Castagno
Kaki
Noce
Olivo
Pero
Pesco
Susino
Vite
Caprese (AR)
Marradi (FI)
Scandicci (FI)
Albinia (GR)
Follonica (GR)
Montepaldi (FI)
Antella (FI)
Montepaldi (FI)
Castellina (SI)
Figline (AR)
Marradi (FI)
Londa (FI)
Montepaldi (FI)
Albinia (GR)
Montepaldi (FI)
Albinia (GR)
Castelnuovo Berardenga
Montalcino (SI)
Totale
Accessioni (numero)
Proprietà
totale
toscane
8
8
DO-UFI
53
12
20
50
27
11
10
34
5
0
1
24
10
8
4
11
IPSL-CNR
Tenuta La Parrina
IPSL-CNR
DO-UFI
C.C.I.A.A. FI
DO-UFI
Az. Rocca Macie
Az. Luccioli
9
9
DO-UFI
203
57
38
260
11
726
9
226
11
383
DO-UFI
ARSIA-Reg. Toscana
DO-UFI
ARSIA-Reg. Toscana
Az. San Felice
Az. Col d’Orcia
Tab. 2 – Germoplasma conservato dal Dipartimento di Coltivazione e Difesa delle Specie Legnose
(già Istituto di Coltivazioni Arboree), Università di Pisa (DCDSL-UPI)
Specie
Albicocco
Ciliegio
Cotogno
Mandorlo
Melo
Olivo
Pero
Pesco
Susino
Vite
Totale
Località
Venturina (LI)
San Piero a Grado (PI)
San Piero a Grado (PI)
Venturina (LI)
San Piero a Grado (PI)
San Piero a Grado (PI)
Venturina (LI)
Pisa
San Piero a Grado (PI)
San Piero a Grado (PI)
San Piero a Grado (PI)
Peccioli (PI)
Morrona, Terricciola (PI)
Colignola (PI)
Teglia, Pontremoli (MS)
Accessioni (numero)
totale
toscane
280
9
50
27
163
22
5
1
97
139
103
216
7
11
186
1.316
38
0
37
0
40
21
1
1
36
16
20
216
7
11
186
630
Proprietà
DCDSL-UPI
DCDSL-UPI
DCDSL-UPI
DCDSL-UPI
DCDSL-UPI
DCDSL-UPI
DCDSL-UPI
DCDSL-UPI
DCDSL-UPI
DCDSL-UPI
DCDSL-UPI
Fondaz. Gaslini
Bibbiani
DCDSL-UPI
Luschi, Noceti
Il germoplasma della Toscana
36
Tab. 3 - Germoplasma conservato dall’Istituto sulla Propagazione delle Specie Legnose (già Centro di Studio
per il Miglioramento delle Piante da Frutto e da Orto), del CNR di Scandicci-FI (IPSL-CNR FI)
Specie
Località
Albicocco
Ciliegio
Cotogno
Feijoa
Fico
Kaki
Kiwi
Melo
Nespolo comune
Nocciolo
Olivo
Pero
Pesco
Susino
Totale
Accessioni (numero)
Scandicci (FI)
Scandicci (FI)
Scandicci (FI)
Scandicci (FI)
Follonica (GR)
Follonica (GR)
Scandicci (FI)
Scandicci (FI)
Scandicci (FI)
Follonica (GR)
Scandicci (FI)
Follonica (GR)
Scandicci (FI)
Follonica (GR)
Scandicci (FI)
Proprietà
totale
toscane
6
40
50
0
20
20
IPSL-CNR
IPSL-CNR
IPSL-CNR
3
0
IPSL-CNR
10
68
3
21
2
8
116
275
1.210
260
2072
3
5
0
6
0
0
78
30
100
15
277
IPSL-CNR
IPSL-CNR
IPSL-CNR
IPSL-CNR
IPSL-CNR
IPSL-CNR
IPSL-CNR
IPSL-CNR
IPSL-CNR
IPSL-CNR
Tab. 4 - Germoplasma conservato dall’Istituto Sperimentale per la Viticoltura SOP di Arezzo (ISV-SOP AR)
Specie
Località
Vite
Accessioni (numero)
Arezzo
Massa
Montecarlo (LU)
Pitigliano (GR)
Montevarchi (AR)
Totale
Tab. 5 - Totale accessioni conservate
dalle istituzioni pubbliche toscane
Istituzioni
Accessioni (numero)
totale
DO - UFI
DCDSL - UPI
IPSL - CNR FI
ISV - SOP AR
Totale
726
1.316
2.072
172
4.286
toscane
383
630
277
148
1.438
totale
toscane
85
18
21
24
28
172
60
18
18
24
28
148
Proprietà
ISV-SOP AR
Az. Lorieri
Az. Tori
Az. Spicci
Az. Mannucci Droandi
3.2 Germoplasma in conservazione
raccolto per specie
Sulla base di quanto sopra esposto, si ritiene
utile riportare gli elenchi delle accessioni raccolte
per specie, che afferiscono alle diverse istituzioni
toscane. Per le specie di maggior interesse (albicocco, ciliegio, melo, olivo, pero, pesco, susino e vite), si
riportano anche i nomi di alcune cultivar autoctone
toscane tra le più note ed importanti, che devono
essere salvaguardate (Tabb. 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13,
14, 15 e 16)
37
Fig. 3 – Albicocco: frutti della cultivar Sant’Ambrogio
Fig. 4 – Ciliegio: fruttificazione della cultivar Siso
(foto IPSL-CNR FI)
Fig. 5 – Albicocco: frutti della cultivar Grossa del Giardino
(foto DCDSL-UPI)
Fig. 6 – Ciliegio: fruttificazione della cultivar Morellona
(foto IPSL-CNR FI)
Tab. 6 - Germoplasma di albicocco (Figg. 3 e 5)
Istituzioni
Accessioni (numero)
totale
DCDSL - UPI
IPSL - CNR FI
Totale
280
6
286
Tab. 7 - Germoplasma di ciliegio (Figg. 4 e 6)
Istituzioni
toscane
38
0
38
Alcune cultivar di albicocco toscane
Giugno - Luglio
Cultivar costituite a
Pisa (DCDSL-UPI) e
Amabile Vecchioni - FI
a Firenze (DO-UFI)
Sant’Ambrogio - TOS.
• Cultivar Guerriero
Precoce di Firenze - FI
Del Pittore - FI
Primula - PI
Braglia - GR
Venturina - PI
Monteleone - PI
Antonio Errani - PI
Giardino Botanico - LU
Pisana - PI
Particolare - TOS.
Dulcinea - PI
Di Germania - TOS.
Bolgheri Nana - LI
• Cultivar Bellini
Grossa del Giardino - PT
Bandiera Rossa - TOS.
Perla - FI
Certosa A8 - PI
Giada - FI
Accessioni (numero)
totale
DCDSL- UPI
IPSL- CNR FI
Totale
toscane
9
40
49
Alcune cultivar di ciliegio toscane
Maggio
Giugno
Palermina
Di Guglielmo
Precoce di Cevoli
Usigliano
Terranova
Bella di Pistoia
Viciani
Cuore
Gambolungo
Marchiana
Papalina
Biagiotto
Boneca
Morella
Siso
Morellona
Di Nello
Crognolo
Di Misciano
Di Giardino
Cultivar Roselli (IPSL-CNR FI)
Benedetta
Carlotta
0
20
20
Il germoplasma della Toscana
38
Fig. 7 – Melo: frutti della cultivar San Giovanni
Fig. 8 – Olivo: fruttificazione della cultivar Moraiolo
(foto IPSL-CNR FI)
Fig. 9 – Melo: frutti della cultivar Panaia
Fig. 10 – Olivo: fruttificazione della cultivar Leccino
Tab. 8 - Germoplasma di melo (Figg. 7 e 9)
Istituzioni
Accessioni (numero)
totale
DCDSL- UPI
IPSL- CNR FI
Totale
163
21
184
Tab. 9 - Germoplasma di olivo (Figg. 8, 10 e 11)
Istituzioni
toscane
40
6
46
Alcune cultivar di melo toscane
Caravella
Limoncella
Carla
Mela Bianca
Casciana
Mela Borda
Commercio
Mela Rosa
Decio
Mela Rossa
Durella
Mela Ruggine
Francesca
Panaia
Gelata
Rose della Certosa
Grossa Bianca
Rosmarina
Grossa Rossa
Sempre Bona
Lazzeruola
San Giovanni
DO - UFI
DCDSL- UPI
IPSL- CNR FI
Totale
Accessioni (numero)
totale
toscane
82
28
116
226
33
23
78
134
Alcune cultivar di olivo toscane
Allora - LU
Maurino - PT
Arancino - PT
Mignolo - FI
Correggiolo - FI
Moraiolo - FI
Da Cuccare - LU
Morchiaio - FI
Frantoio - FI
Pendolino - FI
Gremignolo - LI
Puntino - PI
Grossolana - LI
Razzo - PI
Lazzero - PI
Rossellino - FI
Leccino - FI
San Francesco - FI
Leccio del Corno - FI
Santa Caterina - LU
Madremignola - FI
Scarlinese - GR
Maremmano - FI
Tondello - LI
39
Fig. 11 – Olivo: fruttificazione della cultivar Maurino
(foto IPSL-CNR FI)
Fig. 12 – Pero: fruttificazione della cultivar Coscia Tardiva,
ottenuta da Ragionieri all’inizio del Novecento
Tab. 10 - Germoplasma di pero (Figg. 12, 13,14 e 15)
Istituzioni
Accessioni (numero)
totale
toscane
9
9
97
36
275
30
DO-UFI
DCDSL- UPI
IPSL- CNR FI
Totale
381
75
Alcune cultivar di pero toscane
Giugno – Luglio
Autunno-invernali
Moscatellina
Coscia di Donna
Giugnolina
Bugiarda
San Giovanni
Spadona d’Inverno
Gentile Bianca di Firenze
Pera Mora
Gentilona
Scipiona
Lardaia
Pera dell’Orto
Spadoncina di Firenze
Allora
Pera Campana
Cento Doppie
Coscia
Pera Volpina
Coccitoia
Spina Vera
• Cultivar Morettini
• Cultivar Ragionieri
Morettini 113
Coscia Precoce
Morettini 64
Coscia Tardiva
•Cultivar Breviglieri
Butirra Precoce
William Precoce
Fiorenza
• Cultivar Bellini
Butirra Rosata
Santa Maria
Etrusca
Leopardo
Sabina
Eletta
Fig. 14 – Pero: frutti della cultivar Butirra Rosata
Morettini, caratterizzati da bell’aspetto e ottimo sapore
Fig. 13 – Pero: frutti a confronto di diverse cultivar precocissime
Fig. 15 – Pero: frutti della cultivar Volpina, invernale da
cuocere
Il germoplasma della Toscana
40
Fig. 16 – Pesco: frutti della cultivar Prodigiosa Morettini,
tardivi e di squisito sapore
Fig. 17 – Pesco: frutti della cultivar Regina di Londa,
molto nota anche fuori regione
Tab. 11 - Germoplasma di pesco
(Figg. 16, 17, 18 e 19)
Istituzioni
Accessioni (numero)
totale
DO - UFI
DCDSL- UPI
IPSL- CNR FI
Totale
Fig. 18 – Pesco: frutti a confronto delle principali cultivar
di Cotogne fiorentine. Da sinistra a destra: Cotogna di
Rosano, Cotogna del Berti, Cotogna del Poggio Precoce,
Cotogna di Villamagna, Ciani 1, Cotogna del Poggio,
Cotogna Pandolfini, Cotogna Cicalini
Fig. 19 – Pesco: frutti a confronto delle principali cultivar
di Burrone fiorentine. Da sinistra a destra: Tos-ChinaSettembre, Moroni 1, Regina di Londa, Tardiva di
Villamagna, Regina d’Autunno, Tos-China-Ottobre,
Tardiva di Firenze, Lucchese Tardina
toscane
203
139
1.210
1.552
57
16
100
173
Le più classiche cultivar di pesco fiorentine
Cotogne Fiorentine
Burrone Fiorentine
Cotogna Ceccarelli
Burrona di Terzano
Cotogna di Rosano
Burrona di Rosano
Guglielmina
Spicca Bianca
Cotogna della Remola
Vittorio Emanuele III
Cotogna di Villamagna
Tos-China-Settembre
Ciani 1
Poppa di Venere-Settembrina
Cotogna del Berti
Regina di Londa
Cotogna del Poggio
Tondona Presidente
Cotogna Cicalini
Burrona di Mezzano
Cotogna Pandolfini
Regina di Ottobre
Gialla di San Polo
Tardiva di Firenze
Regina di Montalcino
Tos-China-Ottobre
Cultivar costituite a Firenze dal 1937
• Cultivar Morettini
• Cultivar Bellini
Precocissima
Maria Luisa
Favorita I
Maria Serena
Favorita II
Maria Emilia
Morettini 1
Maria Cristina
Favorita III
Maria Grazia
Morettini 5/14
Maria Laura
Gialla Precoce
Maria Bianca
Fertilia
Maria Elisa
Fertilia II
Maria Carla
Morettini 2
Maria Rosa
Morettini 9/14
Maria Aurelia
Morettini 5/22
Maria Angela
Prodigiosa
Maria Dolce
41
Tab. 12 - Germoplasma di susino (Fig. 20)
Istituzioni
Accessioni (numero)
totale
DO - UFI
DCDSL- UPI
IPSL- CNR FI
Totale
Tab. 13 - Germoplasma di vite (Figg. 21, 22 e 23)
Istituzioni
toscane
38
103
260
401
9
20
15
44
Alcune cultivar di susino toscane
Europeo
Cino-Giapponese
Claudia Diafana
Florentia
Claudia Mostruosa
Morettini 243
Claudia Nera
Morettini 355
Claudia Verde
Shiro
Coscia di Monaca
Firenze ’90
Mirabelle de Metz
Porcina
Presidente
Regina Vittoria
San Piero
Vecchietti
Zuccherina di Somma
Fig. 20 – Susino: frutti a confronto di cultivar toscane
(Florentia e Morettini 355) e di altra origine
DO - UFI
DCDSL- UPI
ISV - SOP AR
Totale
Accessioni (numero)
totale
toscane
271
420
172
863
237
420
148
805
Alcune cultivar di vite toscane
Da uva nera
Da uva bianca
Abrostine - SI
Albarola - MS
Abrusco - FI
Bianconcello - GR
Aleatico - LI
Durella - MS
Barsaglina - MS
Grechetto - SI
Brunelletto - GR
San Colombano - PI
Buonamico - FI
Santa Maria - FI
Colorino del Valdarno - AR
Uva Grassa - FI
Foglia Tonda - SI
Uva Salamanna - FI
Mammolo - SI
Verdacchio - FI
Mazzese - GR
Verdello - GR
Monferrato - MS
Volpola - FI
Palle di Gatto - FI
Pisciancio - FI
Fig. 21 – Vite: grappolo della cultivar nera Palle di Gatto
Il germoplasma della Toscana
42
Fig. 22 – Vite: grappolo della cultivar nera Pisciancio
Fig. 23 – Vite: grappolo della cultivar bianca Salamanna
Fig. 24 – Cotogno: frutti a confronto di selezioni locali
italiane
Fig. 25 – Fico: fedele riproduzione della cultivar toscana
Dottato (da Pomona italiana di Gallesio, 1817-1839)
43
Fig. 26 – Kaki: fruttificazione della cultivar toscana
Mercatelli
Fig. 27 – Castagno: Marrone Precoce di Misileo
(Palazzuolo sul Senio), da valorizzare per la precocità
Tab. 14 - Germoplasma di cotogno
(cultivar e portinnesti-p) (Fig. 24)
Istituzioni
Accessioni (numero)
DCDSL - UPI
IPSL - CNR FI
Totale
totale
toscane
50
50
100
37 p
20 p
57 p
Tab. 15 - Germoplasma di kaki
(Fig. 26)
Istituzioni
Accessioni (numero)
totale
DO-UFI
IPSL-CNR FI
Totale
toscane
85
68
153
Fig. 28 – Castagno: Marrone di Caprese, afferente al
Marrone Fiorentino
6
5
11
Tab. 16 - Germoplasma di altri fruttiferi presenti in Toscana (Figg. 25, 27 e 28)
Istituzione
Specie
Accessioni (numero)
totale
DO-UFI
IPSL-CNR FI
IPSL -CNR FI
IPSL-CNR FI
DCDSL-UPI
IPSL-CNR FI
IPSL-CNR FI
DO-UFI
Castagno europeo
Feijoa
Fico
Kiwi
Mandorlo
Nespolo comune
Nocciolo
Noce
8
3
10
3
27
2
8
50
toscane
8
0
3
0
0
0
0
24
Il germoplasma della Toscana
44
4. Il germoplasma toscano delle
specie legnose da frutto e la L.R. 50/97
Il patrimonio varietale di ciascuna specie rappresenta un’entità dinamica in continua evoluzione,
assoggettata nel tempo a severe modificazioni.
Le attuali esigenze agronomiche e produttive,
nonché quelle della trasformazione e della conservazione, tendono a preferire le nuove cultivar che
rispondono meglio all’intera filiera della grande
distribuzione. Ciò porta inesorabilmente all’impoverimento dell’assortimento varietale, con la drastica
riduzione della biodiversità, spesso molto ricca di pregevoli caratteri, tra cui la resistenza agli stress biotici
ed abiotici, e gli elevati contenuti organolettici.
La conservazione di questa biodiversità, pur
richiedendo costi elevati, garantisce la salvaguardia
di caratteri pregevoli, utilizzabili sia direttamente
nella valorizzazione del germoplasma toscano interessante per i mercati locali, sia indirettamente nei
programmi di miglioramento genetico per la costituzione di nuove cultivar adatte alla produzione biologica, compatibili con l’ambiente e la salute dell’uomo.
La Legge Regionale n. 50/97 sulla “Tutela delle
risorse genetiche autoctone”, attraverso le Commissioni tecnico-scientifiche all’uopo costituite, può
contribuire in modo significativo al recupero, alla
salvaguardia ed alla valorizzazione di quelle risorse
genetiche tipiche delle zone di produzione della
nostra Regione.
Nei riguardi delle “Specie legnose da frutto” l’apposita commissione regionale (Tab. 17) ha iniziato la
sua attività dal giugno ’99, dandosi precisi compiti
che porta avanti anche attraverso la costituzione di
sottocommissioni per singole specie (Tab. 18).
Tab. 17 - Commissione tecnico-scientifica sulle “Specie legnose da frutto”
Natale Bazzanti
Elvio Bellini
Roberto Bruchi
Gabriele Chiellini
Simone Fratini
Rolando Guerriero
Ettore Pacini
Paolo Pancanti
Giancarlo Roselli
Paolo Storchi
Claudio Vitagliano
Luciano Zoppi
Rappresentante ARSIA
Università di Firenze - Facoltà di Agraria
Associazione Produttori Vitivinicoli Toscani
Olivicoltori Toscani Associati
Confagricoltura
Università di Pisa - Facoltà di Agraria
Università di Siena - Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali
As.P.O.R.T.
C.N.R. Istituto Propagazione Specie Legnose
Istituto Sperimentale Viticoltura SOP AR
Scuola Superiore di Sant’Anna - Pisa
Regione Toscana - Dipartimento Sviluppo Economico
Tab. 18 - Sottocommissioni per singole specie
Specie
Responsabile
Albicocco
Castagno
Ciliegio
Cotogno
Melo
Noce
Olivo
Pero
Pesco
Susino
Vite
R. Guerriero
E. Bellini
G. Roselli
G. Roselli
C. Vitagliano
E. Bellini
G. Roselli
E. Bellini
E. Bellini
E. Bellini
P. Storchi
Componenti
S. Bartolini, V. Nencetti
E. Giordani, F.P. Nicese
P. Mariotti, C. Vitagliano
E. Giordani, R. Viti, G. Iannì, P. Mariotti
R. Massai, V. Nencetti
E. Giordani, F.P. Nicese
G. Bartolini, A. Cimato, G. Chiellini, R. Gucci, L. Zoppi
G. Giannelli, P. Mariotti, V. Nencetti, G. Roselli
G. Giannelli, P. Mariotti, V. Nencetti, G. Roselli
G. Giannelli, P. Mariotti, V. Nencetti, G. Roselli
R. Bandinelli, R. Bruchi, S. Fratini, G. Scalabrelli
Sono in via di definizione le sottocommissioni relative ai fruttiferi minori (es. Fico, Kaki, Mandorlo e Nocciolo)
ed ai piccoli frutti (es. Lampone, Mirtillo e Ribes).
45
Fig. 29 – Valorizzazione del prodotto: campioni di frutti
esposti al concorso per la “Pesca d’argento”. Premio che
viene assegnato ogni anno in settembre a Londa (FI), al
peschicoltore che presenta il migliore campione di frutti
della cultivar Regina di Londa
Fig. 30 – Valorizzazione del prodotto: grafica realizzata
dalla Comunità Montana mugellana per rappresentare il
“Marrone del Mugello”, al quale è stato riconosciuto dalla
Comunità Europea il marchio di qualità IGP (Indicazione
Geografica Protetta)
5. Obiettivi perseguiti
dalla Commissione
Nel rispetto delle finalità istituzionali che la L. R.
50/97 intende perseguire, la Commissione tecnicoscientifica sulle “Specie legnose da frutto”, avvalendosi dei “Gruppi di lavoro per singole specie” (sottocommissioni) già costituiti, di concerto con l’ARSIA,
si prefigge il raggiungimento dei seguenti obiettivi.
5.1 Obiettivi raggiungibili in tempi brevi
• Inventario del germoplasma pomologico esistente
in Toscana, già in avanzata fase di compilazione.
• Repertorio del germoplasma autoctono toscano,
attualmente in fase di avvio con l’iscrizione di cultivar toscane di olivo, di ciliegio e di pesco.
• Predisposizione di “schede descrittive semplificate”, per favorire il recupero di germoplasma. A questo fine sono già state elaborate e rese disponibili le
schede descrittive delle seguenti specie: albicocco,
castagno, ciliegio acido e dolce, cotogno da frutto,
mandorlo, melo, noce, olivo, pero, pesco, susino e
vite. Sono in fase di elaborazione le schede per le specie: fico, fragola, kaki, lampone, melograno, mirtillo e
nocciolo. Per le altre specie quali: agrumi, fruttiferi
minori non censiti (es. azzeruolo, corbezzolo, corniolo, giuggiolo, nespolo e sorbo) e piccoli frutti (es.
ribes, rovo e uva spina) si stanno raccogliendo le
informazioni descrittive dalla letteratura pomologica.
5.2 Obiettivi raggiungibili in tempi medio-lunghi
• Recupero e descrizione del germoplasma autoctono non ancora inventariato, presente presso istituzioni pubbliche e private diverse, aziende vivaistiche, aziende agrarie, parchi e giardini, amatori, ecc.
• Selezione e valutazione del germoplasma autoctono, al fine di individuare quello meritevole di diffusione sia a livello locale che regionale.
• Costituzione di “campi di piante madri”, per le
migliori varietà locali esenti da malattie (virus in
particolare). Questo importante obiettivo chiaramente è raggiungibile con il coinvolgimento di istituzioni di diversa estrazione scientifica e tecnica.
5.3 Obiettivi tesi a valorizzare il prodotto
• Promuovere la produzione integrata e quella biologica, con la diffusione di appropriati disciplinari di
produzione, da predisporre per le singole specie di
maggior interesse locale e regionale.
• Promuovere manifestazioni sulla tipicità delle
produzioni locali, anche con l’adozione di concorsi a
premi (Fig. 29).
• Valorizzare le produzioni locali con marchi di qualità, da richiedere a livello regionale, nazionale e
comunitario (es. IGP e DOP) (Fig. 30).
• Istituire corsi di aggiornamento, sulle moderne
tecniche colturali, sul condizionamento del prodotto
(raccolta, confezionamento e presentazione), sulle
utilizzazioni del prodotto.
Il germoplasma della Toscana
46
Bibliografia
AA.VV., 1982. Agrumi, frutta e uve nella Firenze di
Bartolomeo Bimbi pittore mediceo - CNR, Firenze.
AA.VV., 1993. Relazione dell’attività svolta presso il
Centro Sperimentale per la Ortoflorofrutticoltura della
Maremma Toscana. Follonica (GR).
GARBARI F., TONGIORGI TOMASI L., TOSI A., 1991. Giardino dei
Semplici - L’Orto Botanico di Pisa dal XVI al XX secolo. - Pacini Editore, Pisa.
PISANI P.L., NANNI P., 1996. Gli Orti agrari di Firenze.
Rivista di storia dell’agricoltura, 1.
47
Commissione “Specie di interesse forestale”
Il germoplasma forestale della Toscana
Legge regionale n. 50 del 16 luglio 1997 “Tutela delle risorse genetiche autoctone”
Pier Virgilio Arrigoni
Orto Botanico, Università degli Studi di Firenze
Nelle sue prime riunioni la Commissione per le
“Specie di interesse forestale”si è posta il problema
di definire i criteri per l’individuazione delle risorse
genetiche forestali per le quali si possa riconoscere
opportuna l’iscrizione al Repertorio regionale di cui
all’art. 1 della Legge Regionale n. 50 del 16 luglio
1997. Per il fine sono state necessarie alcuni riflessioni sul contesto normativo.
La legge individua come soggetti tanto categorie
tassonomiche o taxa (specie, varietà, cultivar) quanto unità sistematiche (razze, popolazioni, ecotipi,
cloni). Si può rilevare in proposito che non tutte le
unità tassonomiche o sistematiche di possibile interesse sono esplicitamente richiamate (per esempio,
sottospecie, ibridi, ecc.). Per comodità espositiva definiremo globalmente le diverse entità come biotipi.
La legge pone come condizione per l’iscrizione il
riconoscimento dell’esistenza di un interesse generale alla tutela di un biotipo e quindi, implicitamente, presuppone per la risorsa genetica una condizione di minaccia o di pericolo avverso il quale si prevedono (art. 3) interventi attivi. Il pericolo può essere rappresentato, secondo i casi, dal rischio di estinzione, dall’esistenza di processi di erosione genetica,
dalla possibilità di inquinamento genetico. Il provvedimento di tutela ha efficacia però solo per quei
biotipi per i quali sia riscontrata una rilevanza
secondo uno o più dei seguenti aspetti: economico,
scientifico o culturale. La normativa si applica in
primo luogo ai biotipi originari del territorio toscano,
ma può essere estesa anche ad archeofite.
Per quanto attiene il settore forestale si può rilevare che le risorse genetiche sono prevalentemente
costituite da un numero non rilevante di specie legnose, per lo più componenti importanti di ecosistemi seminaturali, cioè sistemi di origine naturale, ma
sottoposti a forme di gestione antropica per l’utilizzazione delle risorse di cui sono portatori.
Ai fini operativi la Commissione ha la disponibilità di un elenco di 162 specie legnose (77 alberi o
alberelli e 85 fra arbusti, frutici e liane) spontanee in
Toscana. Su queste specie i processi di selezione
antropica hanno operato in modesta misura. Conseguentemente sono relativamente poche e limitate
ad alcune specie quelle unità di diversità vegetale
(popolazioni, ecotipi, cloni, ecc.) che la legge individua fra i soggetti di attenzione. Ai fini dell’applicazione della legge la Commissione ritiene opportuno
predisporre una lista ufficiale di riferimento sulla
consistenza del germoplasma regionale. Essa consentirebbe di tenere aggiornata la conoscenza delle
risorse esistenti soprattutto se fossero note le distribuzioni attuali delle diverse specie o biotipi che formano il germoplasma autoctono.
Per molte specie legnose, edificatrici di formazioni forestali, è facile riconoscere un interesse
scientifico o economico alla loro conservazione,
spesso anche un interesse culturale. Diventa quindi
determinante nel giudizio l’esistenza di un pericolo
reale per la conservazione della risorsa.
In relazione a questi elementi di valutazione si è
ritenuto di portare l’attenzione sulle seguenti unità:
1 - specie, sottospecie, varietà o popolazioni di riconosciuto interesse scientifico, ma di remota potenzialità colturale.
Rientrano in questa categoria le poche specie
legnose autoctone (endemiche) della Toscana (per
esempio, Salix crataegifolia, Rhamnus glaucophylla), alcune popolazioni locali più o meno isolate a
rischio di inquinamento genetico (per esempio,Picea
abies di Foce di Campolino, Abies alba del Monte
Contrario o del Monte Amiata) appartenenti a specie
ad ampia distribuzione, le popolazioni di specie
arboree per le quali si è verificata una forte contrazione della distribuzione con evidente erosione genetica (per esempio, Quercus robur, Quercus
Il germoplasma della Toscana
48
Fig. 1 - Distribuzione di Quercus frainetto Ten. in Toscana
Fig. 3 - Distribuzione di Juniperus phoenicea L. in Toscana
Fig. 2 - Distribuzione di Cotynus coggyria Scop. in
Toscana
petraea), le popolazioni che nella regione sono
discontinue e marginali all’areale della specie (per
esempio, Alnus incana, Quercus frainetto, Fig. 1).
La conservazione di queste specie dipende
soprattutto dalla possibilità di mantenere un’adeguata diversità genetica che garantisca una sufficiente capacità adattativa al mutare delle condizioni
ambientali. In particolare devono essere sottoposti a
tutela quei complessi popolazionali quantitativamente rilevanti che si sono potuti conservare nelle
aree ottimali per la specie.
2 - popolazioni di specie legnose spontanee potenzialmente utilizzabili in coltura per rinaturalizzazioni, ecc.
La definizione di questa categoria richiede l’individuazione di specie localmente rare e quindi a
rischio di erosione che per i loro caratteri potrebbero essere utili in impianti di sistemazione o di rinaturalizzazione. Possono rientrare in questa categoria
le popolazioni di Betula pendula L., di Salix sp.,
Cotynus coggyria, Fig. 2) ecc.
In particolare devono essere considerate quelle
specie che in Toscana hanno subito, per effetto dell’incremento delle destinazioni agricole e urbanistiche del territorio, notevoli ridimensionamenti delle
loro aree di distribuzione naturale.
49
3 - ecotipi, cultivar, cloni, coltivati o coltivabili a
rischio di estinzione.
Questa categoria comprende la differenziazione
somatica o genetica intraspecifica di specie forestali
spontanee nella regione che, in assenza di un censimento della diversità esistente e dell’esistenza di
un’adeguata rinnovazione, rischia di scomparire.
Rientrano in questa categoria i cloni riconosciuti di
castagno (per esempio, var. politora), alcune provenienze di pioppo, ecc., utilizzati per scopi economici
o impiegabili per i pregi biologici o tecnologici che
presentano. Per essi si pone “d’urgenza” il problema
della loro descrizione e coltivazione in quanto soggetti a gravi rischi di scomparsa.
4 - biotipi di interesse culturale per legami storici, valore paesaggistico, ecc.
Le specie legnose di interesse culturale sono, in
Toscana, relativamente numerose. Accanto ai biotipi
di cipresso si possono annoverare le popolazioni litoranee di Pino domestico e di Pino d’Aleppo, quelle di
palma nana e di alcuni ginepri (per esempio,
Juniperus phoenicea in Fig. 3, e J. macrocarpa), ecc.
Naturalmente dovranno essere considerati quei biotipi che sono in evidente pericolo di erosione genetica.
5 - collezioni di specie, cultivar, ecc., raccolte e
conservate in impianti sperimentali per scopi di
ricerca, la fornitura di materiale da riproduzione, la
conservazione ex situ.
In alcuni arboreti (per esempio, Vallombrosa,
Montepaldi), vivai sperimentali (per esempio,
Istituto Sperimentale di Selvicoltura), parchi o Orti
botanici della regione esistono collezioni di specie
forestali o biotipi intraspecifici, impiantati per scopi
sperimentali e per la produzione di cloni. Alcuni di
questi biotipi possono costituire materiale geneticamente e selvicolturalmente pregiato meritevole di
attenzione ai fini della conservazione del germoplasma. Si pone in questo caso il problema della provenienza del materiale che, per il repertorio, dovrebbe
essere autoctono.
Conclusioni
In relazione a queste tipologie di biotipi viene
rilevato che il censimento e l’iscrizione al Repertorio
richiedono verifiche approfondite sullo stato attuale
delle risorse e, in genere, rilievi in campo, attività
queste che esulano dalle competenze della Commissione.
Ai fini dell’istituzione del Repertorio regionale
delle risorse genetiche forestali, la Commissione si è
inoltre posto il problema di come promuovere il censimento e la conoscenza delle risorse esistenti. Si è
ritenuto che in una prima fase, prima di procedere
alla raccolta della documentazione necessaria per
l’iscrizione al Repertorio, fosse opportuno avviare
un censimento speditivo delle risorse potenzialmente esistenti. Allo scopo è stata predisposta una semplice scheda di segnalazione dei biotipi meritevoli di
attenzione e di valutazione, da compilare a cura di
Enti pubblici o di altri soggetti interessati.
Per ogni biotipo la Commissione provvederà
quindi all’esame dell’esistenza dei requisiti normativi e scientifici previsti dalla legge n. 50, selezionando quelli per i quali si ritiene opportuno promuovere la raccolta della documentazione necessaria. Ad
istruttoria avvenuta la Commissione si esprimerà in
via definitiva sulla proposta di ammissione nel Repertorio regionale delle risorse genetiche per quei
biotipi che saranno ritenuti interessanti e meritevoli di tutela.
Resta aperto il problema della valutazione di
quel germoplasma che non risulta allo stato attuale
segnalato all’attenzione della Commissione. Risulta
quindi evidente la necessità di promuovere un’indagine conoscitiva sullo stato di conservazione delle
diverse specie e della eventuale diversità intraspecifica esistente. In prima ipotesi dovrebbe essere
accertata la distribuzione regionale delle diverse
specie e biotipi forestali.
51
Commissione “Specie ornamentali e da fiore”
Tutela delle risorse genetiche autoctone
per le specie ornamentali da fiore
Romano Tesi
Dipartimento di Scienze Agronomiche e gestione del Territorio agro-forestale - DISAT
Università degli Studi di Firenze
Premessa
Il settore delle piante ornamentali e da fiore è
molto sviluppato in Toscana. Basti pensare al centro
di produzione di Pistoia per le piante ornamentali da
esterno, al Mercato dei fiori di Pescia (primo in Italia
per fatturato), alle produzioni floricole della Versilia
e della Valdinievole.
Ciononostante nella nostra Regione, pur essendo
presenti alcune istituzioni coinvolte nella conservazione di specie vegetali (Orti botanici di Lucca, Pisa
e Firenze), sono risultate carenti le iniziative per la
valorizzazione dei genotipi presenti sul territorio e
spesso dispersi per scarso interesse economico. È
quindi mancata una strategia lungimirante orientata alla raccolta e conservazione del germoplasma in
grado di alimentare la costituzione di nuove varietà
e di contribuire alla valorizzazione del materiale esistente, presente sia nella nostra flora spontanea, sia
nei giardini storici.
A questa carenza risponde oggi la Regione To-
Fig. 1 - Una piccola parte della
collezione varietale di rose della
Fondazione Carla Fineschi a
Cavriglia (AR)
scana con un'iniziativa (L.R. n. 50 del 16 luglio
1997) che prevede anche la tutela delle risorse genetiche relative alle specie ornamentali e da fiore.
In esecuzione di tale legge è stata nominata una
commissione di settore con l'incarico di individuare
quelle cultivar o varietà ornamentali di rilevante
interesse per le nostre coltivazioni e di provvedere
all'iscrizione in appositi “repertori”, ove ogni singola accessione presenti gli elementi necessari alla sua
individuazione (caratterizzazione) e quelli utili per
rintracciarla.
Stato di avanzamento dei lavori
La Commissione per le specie ornamentali e da
fiore, composta da: Dr. Alfio Marchini, Dr. Claudio
Carrai, Dr. Claudio Ciardi, Prof. Franco Tognoni,
Prof. Giovanni Serra, Prof. Romano Tesi, Prof. Mauro
Raffaelli, Dr. Michele Bellandi, Dr.ssa Nella Oggiano,
si è riunita per tre volte nei mesi di settembre, ottobre e novembre 1999 per valutare le richieste ed i
Il germoplasma della Toscana
52
Fig. 2 - Una parte della collezione di Calla, nell’Azienda Brea
di Miglarino Pisano (Pisa), comprendente calle nane da vaso
Fig. 3 - Parte della collezione di
Iris, della Società dell’Iris che
ha sede a piazzale
Michelangelo (Firenze)
Fig. 4 - Panoramica della collezione di Oleandri in vaso, del
DISAT di Firenze
53
Fig. 5 - Ranuncolo, mix di
varietà, Azienda Brea
criteri di iscrizione. È stato stabilito che per ottenere l’iscrizione nello specifico Repertorio è necessario
che possa essere documentata, per il materiale in
questione, la presenza in Toscana da almeno 20
anni. Soddisfatta questa condizione, potrà essere
definito “autoctono”, su giudizio che la Commissione
esprimerà caso per caso, il materiale genetico che:
1) sia presente nella flora spontanea o naturalizzata della Toscana;
2) sia presente nei parchi storici delle ville toscane;
3) faccia parte di collezioni di germoplasma già
costituite da soggetti pubblici o privati.
Fino ad oggi alla Commissione sono pervenute le
seguenti segnalazioni riguardanti materiale ornamentale di interesse per la costituzione del Repertorio:
1) Fondazione Carla Fineschi - Cavriglia (AR):
collezione di rose antiche e moderne (Fig. 1) comprendente oltre 8.000 esemplari, su una superficie
di oltre 2 ettari;
2) Essebi Talee (Duca Forese Salviati) - Migliarino Pisano (PI): varietà di garofano da fiore reciso con cultivar di varia taglia e tipologia del fiore;
3) Azienda Brea - Migliarino Pisano (PI): varietà
di anemone, ranuncolo, minirose e calla, con cultivar da fiore reciso e da vaso (Fig. 2).
4) Società dell’Iris (Prof. Sergio Orsi) - Firenze:
Collezione varietale di Iris spp. (Fig. 3). Si tratta
principalmente di cultivar di iris barbate differenziate per la taglia (alta, intermedia e nana) e cultivar
di iris giapponesi adatte ad ambienti acquatici.
5) Azienda Rose Barni - Pistoia: Collezione varietale di rose antiche e moderne da giardino e da fiore
reciso;
6) Dipartimento di Scienze Agronomiche e
gestione del Territorio agro-forestale (Università di
Firenze) - Firenze: collezione varietale di oleandri
(Fig. 4), la cui documentazione è già stata acquisita
dalla commissione. Le caratteristiche della collezione sono state illustrate in un poster presentato nell’ambito di questo convegno ed inserito negli Atti;
7) Dipartimento di Biologia delle Piante Agrarie
(Università di Pisa) - Pisa: collezione di peperoncini
ornamentali, con varia taglia e tipologia di frutto;
8) Vivaio Borrini (Dr. Guido Cattolica) - Sant’Andrea di Compito (LU): collezione di specie antiche di
camelie presenti sin dall’Ottocento nei giardini delle
ville della Lucchesia e attualmente riunite presso la
Villa Borrini;
9) Azienda Meristema (Dr. Pasqualetto) - Cascine
di Buti (PI): collezione di Limonium spp., con cultivar per fiore reciso ed essiccazione.
La documentazione delle diverse istituzioni interessate al Repertorio è ancora in gran parte in fase
di acquisizione, e pertanto siamo in grado di documentare solo alcune realtà di cui possediamo materiale illustrativo: collezione di rose antiche e moderne a Cavriglia; collezione di camelie antiche a
Sant’Andrea di Compito; collezione di oleandri a
Firenze; esemplari di iris barbate a Firenze della
Società dell'Iris; esemplari di anemoni, ranuncoli e
calle presenti a Migliarino ed infine esemplari di
peperoncini ornamentali.
55
Commissione “Risorse genetiche autoctone animali”
Risorse genetiche autoctone animali
Mario Lucifero
Dipartimento di Scienze Zootecniche
Università degli Studi di Firenze
La Toscana è stata culla di un rilevante numero
di razze e popolazioni animali, frutto della diversità
dell’ambiente, del clima, dell’agricoltura che caratterizza la Regione. Un documento che lo testimonia è
la presenza zootecnica all’Esposizione Agraria
Toscana del 1857. La prima in assoluto nel Granducato che seguiva la Grande Esposizione Agraria di
Londra.
Il trinomio “area geografica - tipo genetico - prodotto” è un vero e proprio sistema culturale: una
“nicchia culturale” che comprende componenti proprie della storia, delle tradizioni, degli usi, dei costumi di un territorio. L’utilizzazione di queste risorse
genetiche come fattori di produzione è già una variabile importante della competizione territoriale,
ma lo sarà ancor più in futuro.
Con l’emanazione della L.R. 50/97 sono stati istituiti i Repertori nei quali vengono iscritti, previo
parere favorevole di apposite Commissioni tecnicoscientifiche, specie, razze, varietà, popolazioni, ecotipi e cloni che fanno parte delle risorse genetiche da
tutelare. Una sorta di inventario di materiale genetico animale e vegetale che va conservato e, per quanto possibile, valorizzato nel solco del principio della
salvaguardia della biodiversità ormai universalmente riconosciuto e sancito dalla Convenzione di Rio de
Janeiro del 1992.
Nelle modalità e nei criteri per l’istituzione e la
tenuta del Repertorio Regionale delle risorse genetiche animali è previsto, all’art. 5, che le razze e le
popolazioni autoctone delle specie bovina, equina,
ovina, caprina, suina ed asinina per le quali è stato
istituito, dal competente Ministero, il Libro genealogico di razza o il Registro anagrafico, sono iscritte
d’ufficio al Repertorio Regionale delle risorse genetiche animali autoctone. A queste se ne possono aggiungere altre su richiesta della Giunta regionale,
dell’ARSIA, di istituzioni scientifiche ed anche di sin-
goli cittadini, purché abbiano il parere favorevole
della Commissione tecnico-scientifica regionale.
Dunque sono state iscritte d’ufficio tutte le razze
e popolazioni autoctone delle quali esistono i Libri
genealogici ed i Registri anagrafici e i gruppi etnici
che, pur non rispondendo a questi requisiti, la
Regione ha ritenuto di inserire; non essendo stata
avanzata alcuna ulteriore richiesta di iscrizione, la
Commissione, istituita con delibera della Giunta
regionale del luglio 1997, ha lavorato fornendo per
ogni gruppo etnico le indicazioni e gli elementi per
predisporre il Repertorio Regionale, programmando
la pubblicazione di uno studio sulle risorse genetiche autoctone animali, invitando alla ricerca di altri
patrimoni genetici da iscrivere, soprattutto nel
campo delle specie avicole di cui nel passato la Toscana era ricca, ed ha esaminato la situazione dei
diversi gruppi etnici sui quali vengono fatte alcune
considerazioni.
1) Entrano nel Repertorio per la specie bovina:
le razze Chianina e Maremmana iscritte al Libro
genealogico tenuto dall’ANABIC che sta svolgendo un
apprezzabile lavoro di selezione per la razza Chianina nel Centro Genetico di Boneggio a Perugia e per
la razza Maremmana al Centro Torelli di Alberese a
Grosseto.
I risultati ottenuti col miglioramento e le conoscenze acquisite sulle caratteristiche qualitative e dietetiche di carne della razza Chianina, risultata perfettamente idonea ad una sana alimentazione umana, e
la garanzia offerta dall’IGP hanno determinato una
crescente richiesta di questa carne e conseguentemente una ripresa dell’allevamento della razza.
La Maremmana, sostenuta dal Regolamento
Comunitario n. 2078 per la modesta consistenza
numerica, trarrà certamente vantaggio dal Progetto
di ricerca ARSIA “Valorizzazione del materiale gene-
Il germoplasma della Toscana
56
Fig. 1 - Torello chianino
Fig. 2 - Vacca maremmana
tico bovino toscano e della produzione della carne”,
che sta fornendo interessanti informazioni per una
proficua azione di miglioramento genetico e per la
realizzazione di un disciplinare di produzione della
carne per la richiesta di una DOP.
a) La Mucca Pisana, la Calvana, la Garfagnina e
la Pontremolese, iscritte al Registro anagrafico delle
Popolazioni bovine autoctone e Gruppi etnici a limitata diffusione tenuto dall’Associazione Allevatori, si
presentano con situazioni diverse. Le prime due
costituiscono realtà zootecniche di utilizzazione del
territorio a livello di microeconomia locali nelle
quali sembra stiano dimostrando le proprie capacità
di produttrice di carni di qualità per cui un recupero
produttivo appare possibile. La Garfagnina e la Pontremolese manifestano maggiori difficoltà e uno studio sulle vie da seguire per raggiungere tale scopo è
auspicabile.
Nel Repertorio è stata inserita d’ufficio anche la
razza bovina Romagnola, che pur essendo presente
nelle propaggini settentrionali della Regione, è
estranea al germoplasma autoctono toscano, essendo, come è noto, originaria della Romagna.
2) La specie equina è rappresentata nel Repertorio con:
a) il cavallo maremmano iscritto al Libro Genealogico tenuto dall’Associazione Nazionale Allevatori
Maremmani, che sta svolgendo una lodevole attività
in favore del miglioramento e della valorizzazione
della razza con l’obiettivo di produrre soggetti da
impiegare nel campo sportivo, per il lavoro ed il turismo equestre.
b) Il cavallo Monterufolino, iscritto al Registro
anagrafico delle popolazioni equine, è un pony docile e ubbidiente che sottoposto a miglioramento può
trovare una ragione d’essere in attività turisticoricreativa nell’ambito di programmi di valorizzazio-
57
Fig. 3 - Pecore zerasche
Fig. 4 - Suini “cinta senese”
ne dello spazio rurale.
c) L’Asino dell’Amiata anch’esso iscritto al
Registro anagrafico delle popolazioni equine tenuto
dall’AIA, deve la sua sopravvivenza al tempestivo
intervento dell’Amministrazione regionale: il suo
recupero è legato all’interesse che può destare nell’ambito di attività turistico-ricreative e di valorizzazione dello spazio rurale.
3) La specie ovina è rappresentata nel Repertorio
con:
a) le razze Appenninica e Massese iscritte al
Libro Genealogico tenuto dall’Associazione nazionale della Pastorizia. L’indirizzo della selezione verso
la produzione della carne della prima e la preferenza accordata in Toscana alle razze da latte ha fatto
spostare l’allevamento della razza verso l’Umbria e
le Marche con la conseguente diminuzione della presenza nella regione. Per quanto riguardo la Massese
questa potrebbe trarre vantaggio da una più incisiva
azione di miglioramento mirata a più chiari obiettivi
di selezione.
b) Diversa è la situazione della Pomarancina e
della Zerasca inserite nel Repertorio, ma non iscritte al Registro anagrafico, che hanno consistenza
assai inferiore e sono circoscritte a specifiche realtà
locali. Il loro recupero produttivo è legato a mercati
di nicchia ed a sistemi di allevamento tradizionali.
c) La Garfagnina bianca è inserita nel Repertorio,
ma non è iscritta al Registro anagrafico nazionale:
richiede una oculata azione di tutela poiché è costituita da due soli allevamenti. Uno per di più trasferito in Abruzzo di cui è auspicabile il rientro in
Toscana.
4) La specie caprina è rappresentata nel Repertorio con:
a) la capra di Montecristo che non ha interesse
Il germoplasma della Toscana
58
zootecnico, né può essere considerato una emergenza di tipo zoologico o conservazionistico, essendo il
prodotto di introduzione effettuate in tempo protostorici a cui si sono sovrapposte successive immissioni di capre domestiche anche in tempi recenti.
Purtuttavia rappresenta una curiosità di tipo storico
che giustamente si intende salvaguardare.
b) La Garfagnana la cui conservazione è legata
alla valorizzazione delle produzioni tipiche come
elementi di identità del territorio.
5) La specie suina è presente nel Repertorio con
la sola Cinta senese per la quale con D.M. del luglio
1997 è stata riaperta una sezione del Libro Genealogico della specie Suina tenuto dall’Associazione Nazionale Allevatori suini. Sezione chiusa nel
1966 per la quasi scomparsa della razza. La sua
sopravvivenza infatti si deve agli interventi regionali della fine degli anni Settanta. Si ebbe in quell’epoca anche l’istituzione del Registro anagrafico.
Oggi la razza ha promettenti prospettive di recupero grazie ad un attivo mercato dei suoi prodotti sia
freschi che trasformati, anche al di fuori della
Regione e ad un altrettanto attivo mercato dei riproduttori che è il migliore indice dell’attuale interesse
per la razza.
Il progetto di ricerca ARSIA “Per la salvaguardia e
la valorizzazione della razza Cinta Senese” iniziato
da qualche mese porterà certamente un contributo
alla valorizzazione della razza i cui prodotti sono alimenti tipici della gastronomia toscana.
La Commissione fin dalla sua prima riunione si è
posto il problema se fra le risorse autoctone da tutelare dovessero essere considerate solo quelle di interesse zootecnico, oppure anche popolazioni autoctone di ungulati selvatici. Essendo collegialmente pervenuti ad una risposta affermativa la Commissione
ritiene che sia opportuno tutelare:
a) il Cinghiale di San Rossore che sembra rappresenti uno dei pochi nuclei relitti del cinghiale maremmano. Si tratta di un ceppo genetico che merita di
essere tutelato e diffuso dopo che le immissioni di
ceppi alloctoni e dopo che la ibridazione con soggetti
domestici hanno determinato una deleteria erosione
genetica della popolazione autoctona originaria.
b) Il capriolo del Casentino costituisce una popolazione autoctona, che ha subito minime immissioni
di soggetti provenienti dalle Alpi, e può essere considerato una delle più pure della Regione.
La situazione del germoplasma autoctono animale della Regione presenta, come si è visto, situazioni
assai diverse:
• gruppi etnici che richiedono solo una ulteriore
valorizzazione
• gruppi etnici il cui recupero produttivo è promettente
• gruppi etnici il cui ruolo va studiato
• gruppi etnici di cui al momento è possibile solo la
conservazione.
È ovvio che la migliore tutela è il recupero produttivo che però non sempre è possibile. In alcuni casi
anche unire alla conservazione in situ una conservazione ex situ attraverso lo stoccaggio di materiale
genetico potrebbe essere una via da seguire. A tal proposito il Laboratorio per la conservazione e la valorizzazione del germoplasma animale toscano “Renzo
Giuliani” costituito recentemente, presso l’Azienda
Montepaldi dell’Università di Firenze, potrebbe fornire un contributo allo scopo e svolgere una efficace
azione di supporto alla politica regionale di tutela e
valorizzazione del germoplasma animale.
Appare pertanto opportuna una strategia che sviluppi azioni diverse a seconda delle situazioni.
Un grosso contributo alla definizione di tale strategia può venire dalla ricerca come dimostrano
anche i primi risultati di ricerca dei Progetti ARSIA.
L’acquisizione di conoscenze potrà infatti dare maggiore razionalità alle applicazioni della Legge 50/97.
È perciò auspicabile un potenziamento delle attività
di ricerca in modo da poter stabilire, per ogni patrimonio genetico, il ruolo che esso può svolgere e calibrare, di conseguenza, le azioni da sviluppare. La
Legge Regionale 50/97 rappresenta uno strumento
efficace per coordinare e finalizzare le azioni tendenti alla salvaguardia e alla valorizzazione del germoplasma autoctono della Regione la cui ricchezza,
è opportuno ripeterlo, rappresenta e rappresenterà
ancor più in futuro una carta vincente nella competitività territoriale.
59
Valorizzazione del germoplasma toscano
Registro nazionale delle varietà
Domenico Strazzulla
Mi.P.A.F. - Direzione Generale delle Politiche Agricole ed Agro-industriali Nazionali
L’attività sementiera in Italia è disciplinata dalla
Legge n. 1096 del 25 novembre 1971; in particolare,
per ciò che riguarda il settore delle piante ortive
bisogna fare riferimento alla Legge n. 195 del 20
maggio 1976. Entrambi i provvedimenti derivano da
direttive comunitarie emanate per la regolamentazione della commercializzazione delle sementi.
Sulla base dei provvedimenti citati la commercializzazione delle varietà, è possibile solo se queste
risultano iscritte al Registro nazionale. Il Registro
nazionale delle piante ortive si differenzia in due
tipologie:
a) varietà le cui sementi possono essere certificate
in quanto sementi di base o sementi certificate o
controllate in quanto sementi standard;
b) varietà le cui sementi possono essere controllate
soltanto quali sementi standard.
La differenza tra le due tipologie consiste, sostanzialmente, nel fatto che nel primo caso le sementi
destinate al commercio sono sottoposte a controllo
ufficiale da parte dell’Ente certificatore, che nel
nostro caso è l’Ente Nazionale Sementi Elette, mentre, nell’altro caso è il produttore che si fa garante
del prodotto — sulla base dei requisiti previsti dalla
legge — anche se può essere soggetto a controllo a
posteriori da parte del medesimo Organismo.
L’attuale Registro nazionale delle varietà ortive è
caratterizzato da una notevole presenza di vecchie
varietà, le cosiddette “varietà ante-70”. Si tratta di
varietà iscritte d’ufficio all’atto dell’istituzione dei registri varietali per le quali il costitutore non era noto.
La normale procedura per l’iscrizione di una
varietà al Registro nazionale prevede che sia presentata, a cura del costitutore, una domanda di iscrizione al Ministero delle Politiche Agricole e Forestali
(MiPAF) il quale procederà all’esame della documentazione e successivamente all’accertamento dei
requisiti richiesti.
Tali requisiti si riferiscono agli aspetti relativi
alla differenziabilità, omogeneità e alla stabilità. In
altri termini una varietà, per poter essere iscritta al
Registro nazionale, deve essere composta da individui che si differenziano nettamente da quelli appartenenti alle altre varietà; che manifestano le proprie
caratteristiche in maniera uniforme all’interno della
medesima varietà e che mantengono, alla fine di
ogni ciclo di riproduzione o di moltiplicazione la
medesima espressione per quei caratteri che servono ad individuarla.
Per quanto riguarda le varietà appartenenti alle
specie agrarie altro aspetto fondamentale è il valore
agronomico e di utilizzazione della varietà. Ovvero
una varietà non potrà essere iscritta al Registro
Nazionale se, rispetto alle altre varietà iscritte, non
costituisce un miglioramento per ciò che concerne la
coltivazione, la gestione dei raccolti o l’utilizzazione
dei prodotti ottenuti. Recentemente questo concetto
di valore agronomico è stato esteso, per quanto
riguarda le colture ortive, alla cicoria di tipo industriale.
Altro elemento caratterizzante la varietà è la
denominazione proposta per la sua identificazione.
Anche tale elemento è soggetto a regolamentazione
infatti ogni Denominazione deve consentire l’individuazione della varietà senza che questa si confonda
con le altre denominazioni già utilizzate per designare altre varietà appartenenti alla stessa specie o
specie affini; non deve risultare contraria all’ordine,
pubblico e al buon costume; non può essere composta unicamente di cifre a meno che non si faccia riferimento a specie per le quali ciò rappresenta una
pratica corrente (come nel caso del mais).
Sia le caratteristiche varietali che la denominazione sono soggette a controllo da parte del competente Ufficio del Ministero delle Politiche Agricole e
Forestali. Omogeneità, stabilità, differenziabilità e
Il germoplasma della Toscana
60
valore agronomico e di utilizzazione, sono accertati
mediante prove in campo condotte per almeno due
cicli produttivi. La gestione delle prove di iscrizione
è esercitata sia a livello centrale, attraverso il
Ministero che elabora i protocolli tecnici delle prove
e predispone i piani di semina, sia a livello periferico attraverso le Regioni alle quali, con la legge finanziaria 1994, è stata attribuita la competenza finanziaria sullo svolgimento delle prove medesime.
Per quanto concerne la denominazione il Ministero provvede a confrontare le denominazioni proposte con quelle già presenti nei propri archivi; inoltre provvede, attraverso un apposito bollettino alla
diffusione delle stesse denominazioni (nell’ambito
dei Paesi dell’Unione Europea e nell’ambito dei
Paesi aderenti all’UPOV) di modo che chiunque abbia
interesse possa presentare delle obiezioni circa una
denominazione varietale proposta.
I risultati delle prove di campo e gli accertamenti
relativi alla denominazione alla fine sono sottoposti
ad una commissione che esprime il proprio parere in
merito alla iscrizione della varietà. In seguito a tale
pare il Ministero provvede alla iscrizione della varietà
nel Registro nazionale e da questo momento la varietà
potrà essere liberamente commercializzata.
Una volta iscritta è fatto obbligo che la varietà sia
mantenuta in purezza dal responsabile ufficiale
della “conservazione in purezza”.
Come risulta evidente l’iter descritto riguarda
specificatamente le varietà di recente costituzione e
non le vecchie varietà. Sotto questo aspetto, e particolarmente per il settore della piante ortive, si evidenzia il fatto che ogni qual volta si istituisca un
nuovo registro è possibile procedere alla iscrizione
d’ufficio delle cosiddette “varietà notoriamente conosciute”. Per tali varietà è possibile prendere in considerazione — ai fini dell’iscrizione — i risultati di
esami non ufficiali e le cognizioni pratiche attinte
durante la coltivazione; inoltre, sempre per le stesse
varietà (ma ciò è stato vero fino al recepimento della
direttiva 88/380/CEE del 13 giugno 1988) non era
richiesto il mantenimento mediante selezione conservatrice. Con questa procedura sono state iscritte
molte varietà di specie ortive per cui il relativo
Registro nazionale è ricco di “vecchie” varietà, le
cosiddette “varietà ante-70”. Con la direttiva
88/380/CE anche questo settore delle varietà ante70 è stato soggetto a modifiche, in quanto la direttiva prevede che per ogni varietà iscritta sia individuato almeno un responsabile ufficiale della conservazione in purezza. Tale previsione ha dato il via ad
un programma di caratterizzazione varietale che sta
per essere portato a completamento.
Praticamente tutte le varietà ante-70 avevano,
quale scadenza alla loro iscrizione, il 31 dicembre
1998. Entro tale data si dovevano quindi acquisire
elementi utili in ordine alla ridescrizione della
varietà secondo il sistema attualmente adottato ed ai
relativi responsabili ufficiali della conservazione in
purezza. Per ottenere tale risultato era necessario
avere in un primo momento le domande di reiscrizione delle varietà e successivamente i campioni da
mettere in prova per la caratterizzazione varietale. Il
programma di caratterizzazione ha avuto avvio nel
1996 ed ha riguardato circa 400 varietà per le quali
sono stati presentati circa 700 campioni di sementi.
Tali varietà sono state sottoposte a prove a Battipaglia, Tavazzano (NA), Bologna e Verona e gli ultimi risultati sono stati analizzati di recente.
La mancata presentazione delle domande di reiscrizione ha già portato alla cancellazione di un
certo numero di varietà (sono quelle riportate nel
Decreto Ministeriale del 4 febbraio 1999 pubblicato
sulla G.U. n. 49 del 1° marzo 1999); la mancata presentazione dei campioni di sementi per le prove
varietali porterà alla cancellazione di un altro gruppo di varietà. Inoltre si procederà all’analisi dei
risultati delle prove di caratterizzazione i cui esiti
porteranno a cinque soluzioni definitive:
• reiscrizione della varietà in quanto corrispondente al tipo ante-70;
• reiscrizione della varietà ridescritta in base al
risultato della prova in quanto non si discosta
significativamente dal tipo ante-70;
• reiscrizione della varietà per un periodo di tempo
limitato, ma sufficiente affinché sia messa a
punto per ciò che concerne l’omogeneità;
• cancellazione delle varietà non rispondenti al
tipo ante-70 e non in possesso dei requisiti prescritti dalla legge sementiera;
• possibilità di iscrivere delle varietà non rispondenti al tipo ante-70, ma in possesso dei requisiti previsti dalla legge sementiera.
In base a tale schema un certo numero di varietà
tradizionali scompariranno dal Registro nazionale
ed i relativi materiali di riproduzione non potranno
essere più commercializzati determinando, in tal
modo, condizioni tali da compromettere la stessa esistenza di un determinato genotipo.
Su questo punto si inserisce efficacemente la
direttiva 98/95/CE del Consiglio che modifica le precedenti direttive del settore per ciò che riguarda il
consolidamento del mercato interno, le varietà geneticamente modificate e le risorse genetiche delle
piante.
L’aspetto che ci interessa maggiormente nel contesto relativo a questo convegno è quello relativo
alla salvaguardia delle risorse genetiche.
61
In proposito la direttiva prevede che nell’interesse della conservazione delle risorse fitogenetiche gli
Stati membri possono non rispettare i criteri di
ammissione purché siano stabilite condizioni specifiche da fissarsi in ambito comunitario; inoltre, sulla
base delle medesime condizioni si dovrà tenere
conto dei nuovi sviluppi per ciò .che riguarda la conservazione in situ e l’utilizzazione sostenibile delle
risorse fitogenetiche mediante la conservazione e la
commercializzazione di sementi di specie e varietà
adatte alle condizioni naturali, locali e regionali,
minacciate dall’erosione genetica.
Di seguito la direttiva specifica che tali “specie e
varietà sono accettate conformemente alle disposizioni della presente direttiva”. La procedura di accettazione ufficiale tiene conto di specifiche caratteristiche ed esigenze qualitative. In particolare si tiene
conto dei risultati di valutazioni non ufficiali e delle
conoscenze acquisite con l’esperienza pratica durante la coltivazione, la riproduzione e l’impiego nonché
delle descrizioni dettagliate delle varietà e delle loro
rispettive denominazioni, così come sono notificate
agli Stati membri interessati, elementi che, se sufficienti, danno luogo all’esenzione dell’obbligo dell’esame ufficiale. Tali specie o varietà, in seguito alla
loro accettazione sono indicate come varietà da conservazione nel catalogo “comune”. Dette varietà potranno essere soggette ad adeguate restrizioni quantitative.
Gli elementi che la disposizione prende in considerazione sono sostanzialmente i seguenti:
1) criteri di assunzione più blandi rispetto ai casi
normali;
2) mancanza di esami ufficiali;
3) diffusione in ambito locale o regionale;
4) restrizioni quantitative.
In altri termini, varietà tradizionali che allo stato
attuale non potrebbero essere iscritte ai Registri ufficiali, potranno essere iscritte sulla base delle conoscenze acquisite nel corso della loro coltivazione, ma
potranno essere soggette — per ciò che riguarda la
commercializzazione delle sementi — a restrizioni
quantitative e alla diffusione in ambito locale.
Attraverso questa disposizione si potranno recuperare quelle varietà ante-70 che dovrebbero essere
cancellate in base ai risultati del programma di
caratterizzazione precedentemente descritto.
La direttiva dovrà essere recepita nell’ordinamento interno entro il mese di febbraio del 2000.
63
Piano di coordinamento Mi.P.A.F. per le attività
di conservazione delle risorse genetiche vegetali
per l’alimentazione e l’agricoltura
Mario Marino
Mi.P.A.F. - Direzione Generale delle Politiche Agricole e Agro-industriali Nazionali
- Ufficio Biodiversità, Tecnologie Innovative e aiuto ai Paesi in via di sviluppo
Carlo Fideghelli, Fabrizio Grassi, Alisea Sartori, Francesca Vitellozzi
Centro di Coordinamento Risorse Genetiche Vegetali
Istituto Sperimentale per la Frutticoltura, Roma
La Convenzione sulla Diversità Biologica di Rio
de Janeiro del 5 giugno 1992, esplicita che “ciascuna parte contraente, secondo le proprie particolari
condizioni e capacità, elaborerà strategie, piani e
programmi nazionali per la conservazione e l’uso
sostenibile della diversità biologica ed integrerà nel
modo più opportuno tale conservazione nelle proprie attività interne”.
Successivamente altri accordi internazionali
hanno avuto per oggetto la biodiversità e le risorse
genetiche.
Il Ministero per le Politiche Agricole, Decreto
Legislativo 4 giugno 1997 n. 143, è stato chiamato a
svolgere compiti di disciplina generale e di coordinamento della salvaguardia e tutela delle biodiversità animali e vegetali, dei rispettivi patrimoni genetici. Presso la Direzione Generale delle Politiche
Agricole e Agro-industriali Nazionali è operante l’Ufficio Biodiversità, Tecnologie Innovative ed aiuto ai
Paesi in Via di Sviluppo, che coordina con il supporto degli IRSA, le attività di individuazione, catalogazione e diffusione delle informazioni per quanti operano nel settore.
L’Ufficio è attivo sia a livello internazionale che
nazionale:
Livello internazionale
Convenzione sulla biodiversità (CBD): nell’ambito
della CBD il Ministero delle Politiche Agricole e
Forestali (Mi.P.A.F.) è il referente istituzionale per
l’agrobiodiversità. L’Amministrazione, ha istituito
un apposito Gruppo Interdirezionale, coordinato
dall’Ufficio Biodiversità, che ha fornito, tra l’altro, un
considerevole contribuito alla redazione del Piano
nazionale Biodiversità del Ministero dell’Ambiente
(non ancora completato).
Nazioni Unite (FAO): Commissione per le risorse
Genetiche per l’Alimentazione e l’Agricoltura Sessioni Ordinarie e Straordinarie: Revisione del-
l’Accordo Internazionale secondo quanto stabilito
dalla Convenzione sulla Biodiversità di Rio de
Janeiro 1992;
UNIONE EUROPEA - Commissione U.E.:
• Comitato Legislazione Sementi e Piante - Sottogruppo Risorse Fitogenetiche il quale si occupa principalmente di coordinare i lavori comunitari in sede
FAO per la Revisione dell’Accordo Internazionale per
le risorse fitogenetiche;
• Comitato per le Risorse Genetiche: Regolamento
1467/94 — riguarda la valutazione di progetti per la
conservazione, caratterizzazione e ricerca nell’ambito delle risorse genetiche. Tale programma ha terminato il primo quinquennio 1994-1999 e compatibilmente con le risorse finanziarie a disposizione
dell’Unione Europea potrà essere avviato a partire
dal 2000. Nella Tab. 1 sono riportati i partecipanti
italiani ai progetti approvati nei tre bandi promossi
dal Regolamento EU 1467/94.
Livello nazionale
Il Ministero ha già avviato, attraverso i propri
Istituti di ricerca e sperimentazione agraria, alcuni
programmi volti alla conservazione/catalogazione del
materiale genetico di interesse agrario. Di seguito si
elencano le tematiche generali di tali programmi:
1. Progetto finalizzato “Azione di coordinamento
per la salvaguardia e la conservazione
del germoplasma ortofrutticolo”
Tale progetto è promosso ed attuato dall’Istituto
Sperimentale per la Frutticoltura di Roma ed è illustrato nella Tab. 1.
2. Progetto finalizzato “Collezioni di microrganismi
di interesse agrario e agro-industriale”
Tale progetto riguarda lo studio e la salvaguardia
di microrganismi di interesse agrario e agro-industriale attraverso il coordinamento e lo sviluppo e
Il germoplasma della Toscana
64
Tab. 1 - Titoli e partecipanti italiani ai progetti approvati nei tre bandi promossi dal Reg. EU 1467/94
Titolo e codice del progetto
Res Gen 12
European gene banking project for pig genetic resources
Res Gen 37
Constitution, description et gestion dynamique des ressources
genetique du riz (Oryza sativa) a vocation europeenne
Gen Res 42
Evaluation and enhancement of Beta collection
for extensification of agricultural production
Gen Res 60
Inventory, characterization, evaluation conservation and utilization
of european rabbit genetic resources
Gen Res 61
International network on Prunus Genetic Resources
Partecipanti italiani
al progetto
Istituzione scientifica
PRIMO BANDO
G. Gandini
C. Bignami
I. Chessa
E. Bellini
T. Caruso
G. Grassi
C. Xiloyannis
G. Cacco
E. Barone
Università di Milano
Università della Tuscia - Viterbo
Università di Sassari
Università di Firenze
Università Federico II - Napoli
Ist. Sper. per la Frutticoltura - Caserta
Università della Basilicata - Potenza
Università di Reggio Calabria
Università di Palermo
S. Russo
Ist. Sperim. per la Cerealicoltura - Vercelli
E. Deambrogio
E. Biancardi
Società Produttori Sementi spa - Bologna
Ist. Sperim. per le Colture Industriali
Rovigo
G. Masoero
Ist. Sperim. per la Zootecnia - Torino
F. Grassi
G. Me
A. Roversi
F. Cossio
D. Bassi
G. Rosselli
E. Bellini
G. Pugliano
Ist. Sperim. per la Frutticoltura - Roma
Università di Torino
Università del Sacro Cuore - Piacenza
Ist. Sperim. di Frutticoltura - Verona
Università di Bologna
CNR - Firenze
Università di Firenze
Università Federico II - Napoli
SECONDO BANDO
Res Gen 78
Coordination for conservation, characterization, collection
and utilization of genetic resources of European Elms
Gen Res 81
European network on grapevine genetic resources conservation
and characterization
Gen Res 83
A permanent inventory of European farm animal genetic resources and
of activities on characterization, conservation and utilization of those resources
Res Gen 88
Implementation of the European network for evaluation, conservation
and utilization of European maize landraces genetic resources
Gen Res 97
Conservation, characterization, collection and utilization
of genetic resources in Olive (Olea europea)
Gen Res 104
Evaluation and conservation of barley genetic resources to improve
their accessibility to breeders in Europe
Gen Res 105
The future of European carrot: A programme to conserve, characterize,
evaluate and collect carrot and wild relatives
Gen Res 107
Establishment of a permanent DNA archive and database
for horse populations of the EU
Gen Res 109
Brassica collection for broadening agricultural use
Gen Res 113
Management, conservation and valorization
of genetic resources of eggplants (Solanum species)
Gen Res 118
Towards a strategy for the conservation of the genetic diversity
of European cattle
L. Mittempergher
CNR - Firenze
A.Schneider
A. Costacurta
L.R. De Micheli
D. Matassino
Università di Torino
Ist. Sper. per la Viticoltura - Susegana (TV)
Istituto Agrario di San Michele
all’Adige (TN)
Università di Udine
European Association for Animal
Production - Roma
CONSDABI - Circello (BN)
M. Motto
Ist. Sper. per la Cerealicoltura - Bergamo
P. Deidda
A. Cimato
F. Scaramuzzi
N. Lombardo
F.G. Crescimanno
Università di Sassari
CNR Firenze
Università di Firenze
Ist. Sper. per l’Olivicoltura - Rende (CS)
Università di Palermo
E. Peterlunger
A. Nardone
TERZO BANDO
A. M. Stanca
N. Di Fonzo
Ist. Sper. per la Cerealicoltura
Fiorenzuola d’Arda (PC)
Ist. Sper. per la Cerealicoltura - Foggia
L.F. D’Antuono
Università di Bologna
D. Matassino
CONSDABI - Circello (BN)
F. Branca
Università di Catania
G. Polignano
CNR - Bari
P. Ajmone-Marsan
Università del Sacro Cuore - Piacenza
65
del potenziamento delle collezioni già presenti presso alcuni Istituti di ricerca e di sperimentazione
agraria.
Altre istituzioni potranno contribuire alla realizzazione del progetto con proprie risorse.
L’Istituto per la patologia vegetale, in relazione
alla specifica competenza istituzionale, coordina l’iniziativa che si articola in tre parti:
• ricerca: curata dalle singole istituzioni, è mirata
alla ottimizzazione delle tecniche di riconoscimento
e alla conservazione dei microbi;
• banca dati: sarà interattiva entro le istituzioni e
verso l’esterno;
• servizio: l’attività finale di servizio verrà curata
dalle istituzioni di riferimento per ciascun aspetto.
3. Programma di conservazione
di razze e popolazioni animali
La necessità di salvaguardare le razze e popolazioni zootecniche a limitata diffusione è avvertita
non soltanto per il loro intrinseco valore genetico,
ma soprattutto per la conservazione e/o il ripristino
di un rapporto uomo/animale/territorio in grado di
soddisfare le ormai ineludibili esigenze ambientali.
In tale ottica è stato avviato con il Consorzio per
la sperimentazione, divulgazione e applicazione di
biotecniche innovative (CONSABD), un programma di
salvaguardia biogenetica delle razze a limitata diffusione, oramai conosciuto a livello internazionale.
Infine, va ricordato che in attuazione del D.Lgs.
n. 173 del 30 aprile 1998, la delibera CIPE 19 febbraio 1999 ha disposto lo stanziamento di lire 5
miliardi per la realizzazione di un programma nazionale, articolato in programmi operativi gestiti dalle
Regioni, per il superamento della situazione di grave
e persistente declino delle risorse genetiche animali
e vegetali. Una quota parte di tali finanziamenti sarà
destinata ad azioni orizzontali direttamente coordinate dal Ministero delle Politiche Agricole e
Forestali.
Progetto finalizzato “Centro di Coordinamento
Risorse Genetiche Vegetali”
Le attività del progetto finalizzato Centro di
Coordinamento promosso dall’Istituto Sperimentale
per la Frutticoltura (ISF) e finanziato dal Mi.P.A.F.,
constano di due azioni: una rivolta agli Istituti di
Ricerca e Sperimentazione Agraria (IRSA) interessati
al settore vegetale (azione 1); l’altra ai principali
Istituti di ricerca italiani che si occupano di germoplasma frutticolo (azione 2).
La prima azione ha come obiettivi generali la
promozione della catalogazione del materiale (localizzazione della raccolta, la forma di catalogazione -
seme, pianta, coltura in vitro, ecc.), la raccolta e
l’informatizzazione dei dati riguardanti le collezioni
e le singole accessioni; inoltre intende rappresentare un centro di collegamento e diffusione di informazioni provenienti da organismi internazionali, da
segretariati di convenzioni internazionali e dall’Unione Europea (CBD, SBSTTA, FAO, UE, CGIAR, ecc.) e
riguardanti iniziative sulle risorse genetiche vegetali (congressi, simposi, workshop, ecc.).
Al fine di raggiungere i suddetti obiettivi, il
Centro ha individuato i seguenti punti come prioritari nel primo anno di attività:
• censire le accessioni collezionate presso gli IRSA
del settore vegetale;
• raccogliere i dati già acquisiti dai singoli istituti
interessati in un database gestito dal Centro ed allestire una pagina Web;
• uniformare le metodologie di caratterizzazione di
tipo generale adottate dai singoli istituti;
• rendere compatibili gli scambi di informazione tra
le diverse istituzioni utilizzando un software comune;
• pubblicare periodicamente una newsletter per
informare sia gli Istituti di Ricerca e Sperimentazione Agricola (IRSA) interessati alle risorse genetiche vegetali che le altre amministrazioni ed enti di
ricerca (MA, MURST, ENEA, CNR);
• fornire un collegamento con altri centri analoghi
nell’ambito dell’Unione Europea.
L’inventario delle collezioni del materiale genetico vegetale presente nei 13 IRSA interessati alle
risorse genetiche vegetali è stato effettuato sottoponendo a tali istituti un questionario approntato ad
hoc dal Centro di Coordinamento RGV e atto a raccogliere informazioni sulla catalogazione, caratterizzazione, valutazione e modalità di conservazione delle
accessioni.
Nei 13 istituti (Tab. 2) sono complessivamente
mantenute, principalmente ex situ, 129 specie tra
foraggere e cerealicole, colture ortive ed industriali,
generalmente conservate sotto forma di seme, e colture arboree da frutto, piante officinali, aromatiche
ed ornamentali, mantenute principalmente in vivo.
Sono presenti 27.166 accessioni totali, di cui circa il
33,5% di origine italiana, tra cui le più numerose
appartengono a specie cerealicole (33,5% sul totale
delle accessioni italiane) ed a specie arboree da frutto (24,8%), mentre il numero delle accessioni autoctone di piante ortive ed industriali risulta esiguo.
La maggior parte del materiale conservato (Fig.
1) è composto da cultivar (33%) e da varietà non più
coltivate (32%). La voce “altro” (19%) raccoglie le
popolazioni di specie foraggere, le provenienze originali e cloni di specie forestali e, in generale, le
selezioni.
Il germoplasma della Toscana
66
Tab. 2 - Numero di accessioni (totali e italiane) e di specie conservate presso gli IRSA
IRSA
Accessioni
Totale
Ist. Sper. Agronomico
Ist. Sper. per l’Agrumicoltura
Ist. Sper. per l’Assestamento Forestale e Alpicoltura
Ist. Sper. per la Cerealicoltura
Ist. Sper. per le Colture Foraggere
Ist. Sper. per le Colture Industriali
Ist. Sper. per la Floricoltura
Ist. Sper. per la Frutticoltura
Ist. Sper. per l’Olivicoltura
Ist. Sper. per l’Orticoltura
Ist. Sper. per la Selvicoltura
Ist. Sper. per il Tabacco
Ist. Sper. per la Viticoltura
Totali
207
550
54
9776
1991
938
392
5573
240
671
1309
1307
4158
27.166
Numero Specie
Italia
164
260
26
3042
1822
226
165
2256
140
110
826
50
—
9.087
1
1
32
11
7
5
11
31
1
4
23
1
1
129
Fig. 1 - Tipo di materiale
Fig. 2 - Utilizzazione
del materiale
La Fig. 2 illustra come viene impiegato il materiale vegetale conservato: mentre il 23% delle accessioni non ha alcun impiego, trattandosi di materiale
che viene semplicemente mantenuto in collezione; il
rimanente 77% viene utilizzato presso gli IRSA prin-
cipalmente a scopo di ricerca (55%) e per il miglioramento genetico (30,5%).
Lo scambio con altre istituzioni scientifiche e la
fornitura a privati risultano limitati (rispettivamente
il 12,5% ed il 2% dei casi di utilizzazione).
67
Dal questionario si sono ottenute inoltre informazioni circa:
• il grado di valutazione del materiale collezionato,
sia tramite metodi tradizionali di osservazioni in
campo e rilevamenti di dati bioagronomici, che risultano essere i più utilizzati, sia tramite isoenzimi,
RAPD, RFLP, AFLP e microsatelliti, ancora scarsamente impiegati;
• i controlli sanitari periodici che, tranne qualche
eccezione, risultano poco eseguiti.
I diversi responsabili delle collezioni RGV degli
IRSA del settore vegetale, grazie ad alcuni incontri
organizzati dal Centro presso il Mi.P.A.F., hanno
messo in luce la volontà di collaborare al fine di
razionalizzare e promuovere sinergie tra le diverse
attività relative alle RGV, così come di approfondire
la caratterizzazione e la valutazione del materiale
collezionato. Il raggiungimento di tali obiettivi si è
concretizzato nella definizione di una descriptor list,
in base alla quale si stanno raccogliendo, in forma di
database, informazioni di base sul germoplasma
vegetale conservato presso gli IRSA e sulle tipologie e
tecniche conservative adottate. Inoltre è intenzione
del Centro arrivare alla pubblicazione di un volume
contenente un elenco e un insieme di informazioni
sulle RGV di origine italiana conservate e mantenute presso gli IRSA aderenti al progetto.
La seconda azione di cui il Centro
di Coordinamento RGV si fa promotore consta delle seguenti attività:
• Aggiornamento del censimento del
germoplasma frutticolo condotto
dall’ISF nel 1993;
• standardizzazione delle schede utilizzate per la raccolta dei dati sulle
accessioni presenti nelle collezioni
conservative;
• integrazione dei dati del censimento con dati di caratterizzazione, valutazione e di conservazione e relativa
pubblicazione su supporto cartaceo;
• inserimento dei dati raccolti in un
database e rendere disponibile l’accesso per una rapida ed efficace consultazione;
• pubblicazione periodica di una newsletter riguardante le risorse genetiche
frutticole;
• coordinamento e razionalizzazione
Fig. 3 - Collaborazioni con Istituzioni di
ricerca a livello italiano
dell’attività di conservazione.
Il Centro si avvale di una serie di collaborazioni
sul territorio nazionale (Fig. 3) sia a livello universitario: la maggior parte delle facoltà di scienze agrarie, i dipartimenti e istituti di coltivazione arboree;
sia a livello di istituti di ricerca quali CNR che di
aziende di sperimentazione agraria.
Collaborazioni con Istituzioni di ricerca
a livello italiano
• Dipartimento di Colture Arboree, Univ. Torino
• Istituto di Coltivazioni Arboree, Univ. di Padova
•Dipartimento di Colture Arboree, Univ. di Bologna
• Azienda Agraria Sperimentale del CRPV, Regione
Emilia-Romagna
• Dip. di Coltivazione e Difesa delle Specie Legnose,
Sez. di Coltivazioni Arboree, Univ. di Pisa
• Istituto sulla Propagazione delle Specie Legnose,
CNR - Firenze
• Dipartimento di Ortoflorofrutticoltura, Univ. di
Firenze
• Dip. di Produzione Vegetale, Sez. di Ortofloroarboricoltura, Univ. della Tuscia - Viterbo
• Dip. di Biotecnologie Agrarie ed Ambientali, Univ.
di Ancona
Il germoplasma della Toscana
68
Tab. 3 - Aggiornamento del censimento delle risorse genetiche frutticole
Specie
Actinidia
Albicocco
Avocado
Azzeruolo
Castagno
Ciliegio
Cotogno
Feijoa
Fico
Fico d’India
Fragola
Kaki
Mandorlo
Melo
Nashi
Nespolo
Nocciolo
Noce
Pecan
Pero
Pesco
Piccoli frutti
Pistacchio
Susino
Uva da tavola
Totale 25
Censimento 1999
n. totale
n. italiane
65
548
12
7
70
892
57
55
59
5
267
107
191
1901
48
57
104
77
14
931
1835
316
2
554
50
8224
0
264
0
7
35
438
20
21
57
3
46
14
68
455
0
37
48
34
0
383
702
3
2
179
29
2845
• Istituto di Coltivazioni Arboree, Univ. di Napoli
• Istituto di Coltivazioni Arboree, Univ. di Bari
• Istituto per la Fisiologia della Maturazione e della
Conservazione del Frutto delle Specie Arboree Mediterranee, CNR - Sassari
• Istituto di Coltivazioni Arboree, Univ. di Palermo
• Azienda Agraria Sperimentale “Pantanello”,
Metaponto, Regione Basilicata
• Istituto Coltivazioni Arboree, Reggio Calabria
• Centro Sperimentale Agrario – Laimburg (BZ).
Ad un anno dall’inizio dell’attività del Centro, i
risultati finora ottenuti per quanto riguarda l’aggiornamento del censimento delle risorse genetiche frutticole possono essere riassunti nella Tab. 3.
Mettendo a confronto il censimento 1993 con
quello 1999, si nota come il numero totale delle
accessioni non risulta essere variato che di poco, a
fronte di un aumento del numero delle specie conservate (avocado, azzeruolo, fico d’India, pistacchio e
uva da tavola). Si osserva un incremento nel numero
totale delle accessioni appartenenti ad alcune specie
Censimento 1993
n. istituti
n. totale
n. italiane
n. istituti
2
8
2
1
2
7
4
2
2
1
3
4
5
13
2
2
4
3
1
11
9
3
1
9
2
20
525
12
236
1
6
109
976
80
27
137
70
593
15
10
25
2
7
3
1
2
97
88
205
1823
39
22
100
54
13
1007
2067
246
26
5
121
275
0
19
41
7
0
184
721
1
1
4
3
13
2
1
4
3
1
11
9
2
596
120
8
8231
2481
quali la fragola (+2,1%), il melo (+0,9%) ed i piccoli
frutti (+0,8%), mentre si rileva un decremento nel
numero di accessioni di altre specie quali il pesco
(-2,8), il ciliegio (-1,0%), il pero ed il fico (-0,9%).
Le accessioni di origine italiana, in totale, risultano invece aumentate (+14,7%); in particolare si
registra + 8,0% per il pero, + 7,2% per il melo e +2,4%
per il susino, mentre il ciliegio ed il mandorlo presentano un decremento nel numero delle accessioni
rispettivo di - 4,4 % e di - 2,1%.
Nell’ambito del censimento 1999, particolarmente preoccupante è il dato riportato in Tab. 4 dove il
76% delle accessioni collezionate sono mantenute in
un unico istituto, quindi con un alto rischio di perdita del materiale conservato, e solo il restante 24%
risulta essere presente in duplicato in più istituti.
È stato affrontato un grosso lavoro di formulazione di descriptor list generali e specifiche volte alla
facilitazione della raccolta di dati informativi sia
sulla caratterizzazione delle singole accessioni che
sulla collezione.
L’aggiornamento e l’integrazione delle informa-
69
Tab. 4 - Percentuale di duplicazione delle accessioni censite
Specie
Actinidia
Albicocco
Avocado
Azzeruolo
Castagno
Ciliegio
Cotogno
Feijoa
Fico
Fico d’India
Fragola
Kaki
Mandorlo
Melo
Nashi
Nespolo
Nocciolo
Noce
Pecan
Pero
Pesco
Piccoli frutti
Pistacchio
Susino
Uva da tavola
Totale
Censimento 1999
n. totale
accessioni
% accessioni presenti
in 1 istituto
65
548
12
7
70
892
57
55
59
5
267
107
191
1901
48
57
104
77
14
931
1835
316
2
554
50
8224
98
75
50
100
94
83
72
49
100
100
78
38
79
70
54
77
43
71
100
69
84
62
100
82
100
76%
zioni anche in forma elettronica è tuttora in atto e si
presume che entro la primavera il Centro potrà rendere disponibile l’accesso al database, così allestito,
per una rapida ed efficace consultazione sia su supporto cartaceo che on line.
L’intera attività del Centro, insieme a vari altri
articoli e contributi riguardanti tematiche nazionali,
europee ed internazionali sulla salvaguardia e valo-
% accessioni presenti
in 2 istituti
2
5
50
—
6
6
17
51
—
—
13
43
15
22
46
33
55
27
—
25
6
35
—
9
—
16%
% accessioni presenti
in più di 3 istituti
—
20
—
—
—
11
10
—
—
—
9
19
6
8
—
—
2
2
—
6
10
3
—
9
—
8%
rizzazione delle risorse genetiche vegetali e, più in
generale sull’agrobiodiversità, vengono pubblicati a
cura del Centro stesso su un notiziario, ormai al
terzo numero, che gratuitamente viene spedito agli
interessati in materia ed è consultabile sui siti
Internet: http://www.inea.it/isf/progrgv.html e
http://www.inea.it/isf/rg.html.
Interventi
73
Varietà locali e risorse fitogenetiche: la posizione
dell’industria sementiera
Anselmo Stella
Presidente A.I.S - Associazione Italiana Sementi, Bologna
I costitutori di nuove varietà e le ditte sementiere
sono favorevoli e sostengono la Convenzione di Rio
de Janeiro sulla biodiversità, in particolare per quanto attiene la conservazione, l’accesso e l’utilizzazione
sostenibile di tutte le più svariate risorse genetiche
vegetali. Il lavoro del ricercatore e costitutore di
nuove varietà vegetali trae origine dalla presenza di
una diversità genetica ed è tanto più facilitato quanto maggiori sono le differenze e la distanza genetica
all’interno del materiale o della popolazione in corso
di studio e selezione. La conservazione della biodiversità, cioè delle risorse genetiche, non deve pertanto essere vista come una mera operazione conservativa dell’esistente, quanto un’azione indispensabile per salvaguardare ed assicurare il futuro lavoro di
miglioramento delle varietà coltivate.
Il quadro normativo sementiero
attuale
L’innovazione varietale e la produzione sementiera hanno un ruolo rilevante per assicurare la
quantità e qualità delle produzioni agricole e la sicurezza alimentare. Queste due preoccupazioni sono
alla base della disciplina sementiera comunitaria e
nazionale, adottata negli anni Sessanta-Settanta, e
che è caratterizzata per le specie agricole ed orticole
più coltivate dai seguenti due aspetti:
a) le varietà commercializzabili debbono essere
iscritte nel Registro nazionale e comunitario.
L’iscrizione delle nuove varietà viene disposta
solo dopo una verifica delle loro caratteristiche di
novità, stabilità ed omogeneità, nonché delle
qualità agronomiche e di utilizzazione;
b) le sementi possono essere poste in commercio
solo se sono state ufficialmente certificate. Nel
caso delle sementi ortive è ammessa l’autocerti-
ficazione, con controllo ufficiale a posteriori,
nella categoria “standard”.
In questo modo è realizzata una attenta vigilanza
ufficiale affinché venga fornito all’agricoltore un
mezzo tecnico molto importante, quale il seme, che
deve appartenere dapprima ad una varietà le cui
caratteristiche sono state valutate e che poi deve
essere stato prodotto sottoponendolo a controlli per
quanto concerne la purezza, la germinabilità e lo
stato sanitario.
Il sistema del registro obbligatorio delle varietà e
della certificazione delle sementi consente inoltre
all’industria sementiera di portare avanti il lavoro di
selezione varietale e miglioramento genetico, senza il
quale — è bene tenerlo presente — il progresso varietale sarebbe estremamente limitato o nullo ed in
breve la competitività o l’economicità di una coltura
si ridurrebbe drasticamente. Attraverso il seme venduto affluiscono quindi alla ricerca risorse per progredire nella selezione e messa a punto di nuove
varietà, migliorate rispetto alle precedenti, talvolta in
termini di produttività, sempre più spesso in termini
qualitativi, di resistenza ai patogeni o a certe situazioni ambientali sfavorevoli e di resa industriale.
La nuova Direttiva 98/95/CEE
La Direttiva del Consiglio n. 98/95/CEE del 14
dicembre 1998, adottata per aggiornare la disciplina
sementiera e per cercare di meglio armonizzare tra i
diversi paesi membri dell’Unione Europea le norme
per la certificazione e la commercializzazione delle
sementi, riconoscendo il principio della necessità di
conservare le risorse genetiche ha ammesso la possibilità della conservazione di specie minacciate dall’erosione genetica mediante l’utilizzazione in situ.
La direttiva ha pertanto attribuito al Comitato
Il germoplasma della Toscana
74
permanente sementi il compito di stabilire specifiche condizioni operative per l’applicazione del principio sopra enunciato. Queste norme applicative non
sono tuttavia ancora state emanate.
Al fine di una più approfondita riflessione e in
attesa di conoscere tali criteri applicativi, è comunque opportuno ricordare che la direttiva 98/95/CEE
dispone in sintesi che:
a) le norme specifiche debbono riguardare “la conservazione in situ e l’utilizzazione sostenibile di
risorse fitogenetiche mediante la coltivazione e
la commercializzazione di sementi di specie e
varietà adatte alle condizioni naturali locali e
regionali e minacciate dall’erosione genetica”;
b) le specie e le varietà oggetto di questa particolare disciplina debbono venire accettate ufficialmente, conformemente alle disposizioni delle
direttive sementiere. Possono tuttavia venire
esentate dall’obbligo di un esame ufficiale se
sono ritenuti sufficienti gli elementi descrittivi
ed i risultati di valutazioni non ufficiali acquisiti
con l’esperienza pratica e l’impiego;
c) dopo l’accettazione, questi materiali sono indicati nel Catalogo comune come “varietà da conservazione”;
d) debbono essere previste adeguate restrizioni
quantitative per la commercializzazione;
e) le sementi debbono essere di provenienza nota,
approvata dall’Autorità competente di ciascuno
Stato membro ai fini della commercializzazione
negli specifici settori.
La posizione dell’industria sementiera
L’industria sementiera avrebbe certamente preferito che l’applicazione dei principi in materia di
salvaguardia delle risorse genetiche, contenuti nella
Convenzione sulla biodiversità, avesse trovato spazio con norme specifiche, e non nell’ambito di una
disciplina sementiera che si preoccupa fondamentalmente di dettare regole rigide e onerose per la
produzione e la commercializzazione del seme. Il
timore della categoria è che consentendo ai materiali di conservazione di essere posti in commercio
senza opportune restrizioni possa svilupparsi un
mercato parallelo di prodotti sementieri, soggetti a
norme molto meno rigide e tali quindi da prestarsi
per operazioni non del tutto corrette.
Le aziende sementiere ed i costitutori ritengono
opportuno evidenziare ai legislatori che dovranno
predisporre le norme in ambito comunitario e nazionale per completare quanto previsto dalla direttiva
98/95/CEE, le seguenti considerazioni:
1) è innanzitutto necessario definire con precisione
che cosa si intende per “materiale o varietà da
conservazione”, ovvero quali sono le risorse
genetiche vegetali che saranno soggette alla
nuove norme individuate nell’ambito della disciplina sementiera e quelle che rientrano invece
semplicemente nel campo di applicazione del
Reg. CEE 1467/94 sulla conservazione, caratterizzazione, raccolta ed utilizzazione delle risorse
genetiche in agricoltura.
Pensiamo che un interesse pur se molto limitato
di tipo commerciale debba imporre di collocare i
materiali di cui si tratta all’interno della direttiva
sementi. Nel caso delle specie da orto potrebbe
essere questo il caso delle vecchie varietà che
oggi possiamo definire “amatoriali”, per le quali
esiste ancora un certo interesse commerciale, ma
non tale da giustificare l’oneroso lavoro di continua selezione e conservazione necessario per il
mantenimento dell’iscrizione nel Registro secondo i canoni attuali;
2) le varietà di cui esiste un costitutore o avente
causa che è stato riconosciuto non possono essere incluse tra le risorse genetiche minacciate di
erosione genetica se non con il consenso ed il
coinvolgimento del costitutore stesso. Inoltre,
finché una varietà risulta regolarmente iscritta
in un Registro nazionale o nel catalogo comune
non può venire inclusa tra i materiali da conservazione;
3) l’accettazione di un materiale quale risorsa fitogenetica deve essere stabilita da un organismo
ufficiale, con riconosciuta competenza, il quale
dovrà descrivere accuratamente le sue caratteristiche e gli aspetti qualitativi ai fini della identificazione nelle fasi successive ed individuarne
altresì il responsabile della conservazione.
Un campione di seme deve essere messo a disposizione dell’organo cui è demandato il riconoscimento e per quanto concerne il requisito varietale dell’omogeneità potranno ovviamente venire
tollerati livelli di purezza inferiori a quelli richiesti per le varietà normali;
4) un miscuglio di sementi di specie diverse non
può essere in sé riconosciuto quale materiale da
conservazione. Può venire tuttavia ammessa la
distribuzione di miscugli composti da più varietà
riconosciute da conservazione, così come da
varietà certificate e da varietà da conservazione;
5) la denominazione del materiale da conservazione non deve essere confondibile con le denominazioni di varietà iscritte nella Comunità o elencate nelle liste varietali OCSE;
6) l’etichettatura deve assicurare l’identificazione
75
certa del materiale di cui si tratta e non prestarsi a confondersi con le differenti etichette ufficiali prescritte dalla vigente disciplina sementiera a seconda delle categorie di certificazione;
7) la produzione del seme che poi in seguito potrà
venire commercializzato dovrà comunque essere
oggetto di controllo ufficiale. Per quanto riguarda
la purezza meccanica e la germinabilità potranno
essere ammessi valori leggermente inferiori ai
minimi stabiliti dalla legge sementiera, tuttavia
nessuna deroga può venire tollerata per quanto
concerne i requisitì fitosanitari;
8) le autorità comunitarie e/o nazionali debbono infine stabilire i quantitativi massimi — da intendersi
sia per singola confezione unitaria di vendita, che
come quantitativo complessivamente commercializzato nel corso di una campagna — che potranno
essere prodotti e posti in commercio ovviamente
da figure in possesso della licenza di produzione
sementiera;
9) l’area di diffusione, cioè di commercializzazione
dei materiali in questione dovrà essere anch’essa stabilita e controllata dall’autorità ufficiale.
Se una varietà che è stata regolarmente iscritta
può venire commercializzata in tutta l’Unione
Europea senza alcun limite, per quanto concerne
i limiti quantitativi e di area di diffusione che
dovranno essere individuati per questi nuovi
materiali possiamo ipotizzare:
• per le vecchie varietà che sono state in precedenza iscritte nel Registro, semplicemente un
limite quantitativo alle quantità commercializzabili, senza però alcuna restrizione nell’area di
diffusione. Trattandosi infatti di prodotti che
hanno avuto una larga diffusione, riteniamo che
questa prerogativa non possa venire soppressa;
• per i materiali individuati ex novo effettivamente quali “varietà da conservazione”, accanto
al limite quantitativo dovrà esserci invece anche
una restrizione locale o regionale nella zona di
distribuzione. La direttiva 98/95/CEE parla infatti di “conservazione in situ” e quindi questi materiali dovranno venire espressamente distribuiti nelle aree di destinazione elettiva.
L’industria sementiera vive il rapporto con le
risorse vegetali autoctone in modo molto differenziato, a seconda delle specie in esame. Nel settore
delle orticole, che presenta una grandissima varietà
di specie e di varietà e dove il prodotto ottenuto
viene consumato direttamente tal quale, l’interesse
verso le vecchie varietà o le varietà locali è immediato e più vivo. Diversa è l’attenzione da parte di chi
si occupa di foraggere o di cereali ad esempio, specie per le quali è obbligatoria la commercializzazio-
ne di seme certificato ufficialmente.
Il compito delle autorità che sono chiamate a stabilire di qui a breve le norme applicative per le
“varietà di conservazione” è molto delicato. Dovranno infatti trovare un giusto equilibrio affinché nel
perseguire il nobile intento di meglio assicurare la
conservazione del materiale genetico autoctono, non
venga destabilizzato l’intero quadro della disciplina
sementiera, ma soprattutto non venga leso il ciclo
del miglioramento genetico che — fino a prova contraria — è tuttora indispensabile per essere più competitivi sul mercato e migliorare i diversi aspetti
quali-quantitivi delle produzioni.
L’iniziativa della Regione Toscana
La Legge n. 50 della Regione Toscana del 16
luglio 1997 costituisce un concreto e lodevole esempio per la salvaguardia e la valorizzazione delle
risorse genetiche locali. Il programma di intervento
in fase di realizzazione e che si basa sulla individuazione di un elenco di “coltivatori custodi” ai
quali affidare il compito di moltiplicare in situ e
restituire il campione di seme riprodotto, ci porta a
giudicare questa iniziativa regionale a pieno titolo
tra le attività previste dal Regolamento 1467/94,
cioè tra le operazioni di conservazione.
Non è infatti prevista in alcun modo per ora la
commercializzazione dei materiali riprodotti, anzi
con molta correttezza nel programma di intervento
regionale è espressamente indicato che l’eventuale
reintroduzione di alcune cultivar nelle proprie aree
di vocazione avverrà solo se fattibile nel rispetto
delle norme in materia di registro varietale, quindi
delle norme della disciplina sementiera comunitaria
e nazionale.
Come aziende sementiere non possiamo non trovarci d’accordo e confidiamo che le osservazioni da
noi espresse possano contribuire a meglio individuare a livello comunitario e nazionale criteri applicativi razionali e rispettosi delle esigenze di tutte le
parti coinvolte.
Se ci è consentita qualche puntualizzazione sul
lavoro portato avanti dalla Regione Toscana e
dall’ARSIA, vorremmo sottolineare che:
• affinché il lavoro avviato possa trovare la migliore valorizzazione, occorre che esso venga pubblicizzato adeguatamente per consentire anche a
coloro che fanno ricerca varietale e costituiscono
nuove varietà di potersene avvalere nel rispetto
di precisi accordi secondo il principio della condivisione dei benefici che ne risulteranno.
L’iniziativa non deve proporsi come strumento
Il germoplasma della Toscana
76
per restringere l’accesso alle risorse genetiche,
bensì per conservarle e proporle per una eventuale valorizzazione ed utilizzazione successiva;
• le specie e le varietà inseribili nel programma
debbono essere scelte con attenzione, soprattutto se poi vengono presentate come germoplasma
della Toscana. È infatti noto a questo proposito il
dibattito che spesso si ripresenta nella conferenze internazionali sulla questione dei centri di origine e dei centri di successiva diversificazione
delle risorse genetiche.
Alcune varietà da orto riportate nella pubblicazione che è stata di recente pubblicata sulle specie erbacee (ad esempio, la cipolla rossa di
Firenze, la cipolla rossa savonese, la lattuga
quattro stagioni, il pomodoro costoluto fiorentino, la melanzana violetta di Firenze), sono peraltro regolarmente iscritte nel Registro varietale
nazionale ed a questo riguardo non si può non
accennare al lavoro di caratterizzazione delle
varietà di specie ortive commercializzate in Italia
prima del luglio 1970, ai fini della loro reiscrizione nel Registro, che l’ENSE su incarico del
Ministero delle Politiche Agricole e Forestali sta
portando avanti con la collaborazione dell’AIS;
• i materiali debbono venire descritti ed individuati con maggiore precisione. Il semplice riferimento alla specie è a nostro giudizio insufficiente. Sarebbe poi molto utile riportare elementi di
confronto o paragone con varietà diffusamente
coltivate.
Come rappresentanti dell’industria sementiera
vogliamo comunque esprimere il nostro interesse ad
essere concretamente coinvolti nelle iniziative attinenti questa importante materia.
77
La Provincia di Grosseto ed il Sistema Territoriale di Qualità
Valter Nunziatini
Amministrazione Provinciale di Grosseto
Vi porto il saluto della Provincia di Grosseto,
doveva farlo personalmente l’Assessore allo Sviluppo Rurale, prof. Pacciani, che non può essere presente per imprevisti motivi personali.
Un ringraziamento non formale agli organizzatori del convegno, non solo per l’ottima riuscita dello
stesso, ma anche perché su una tematica così rilevante come quella che viene dibattuta oggi, ci è consentito di esprimere il punto di vista di un Ente
come la Provincia di Grosseto, che da tempo riteniamo ha dimostrato una particolare sensibilità rispetto a tali problematiche.
Il nostro ragionamento non può che partire da
una premessa: come è noto la nostra Amministrazione, in linea con le indicazioni programmatiche della Regione Toscana, è impegnata a realizzare
per la Provicnia di Grosseto un “sistema territoriale
di qualità” che assuma i connotati di “Distretto
Rurale”.
I documenti programmatici della Provincia fin
dal 1996 citano testualmente:
“L’obiettivo del Distretto è quello di concorrere
alla crescita dell’occupazione della provincia ed al
suo sviluppo economico, assumendo la sostenibilità
e l’innovazione come principi fondamentali, con un
percorso ed una metodologia di programmazione
che assuma i criteri della concertazione, concentrazione delle risorse, concretezza, credibilità e convergenza come elementi distintivi.
La realizzazione del progetto non può che partire
dalla ricognizione delle risorse territoriali e dalla
loro “messa a sistema”, per la definizione di un
modello di “sviluppo sostenibile” fondato sul recupero dei legami nell’ambito del mondo rurale, tra l’agricoltura e le altre attività economiche, il territorio
e l’ambiente, basandosi sulle produzioni tipiche e
sulla biodiversità, sui servizi di qualità, sul rispetto
del paesaggio e delle risorse naturali e faccia leva
sulla cultura, la storia, le tradizioni locali e quindi
sull’immagine complessiva del territorio”.
Questa premessa per evidenziare come, la salvaguardia e valorizzazione delle risorse genetiche
autoctone e delle produzioni tipiche di qualità rappresentino i cardini su cui fondare la realizzazione
del “Sistema Qualità Maremma”.
Per dare seguito a questi principi, l’Amministrazione Provinciale, di concerto con gli altri soggetti pubblici e privati interessati ha avviato alcune
progettualità che voglio sinteticamente ricordare.
È in fase di predisposizione il progetto provinciale denominato “ciclo delle stagioni” che ben si inserisce anche nelle azioni previste dal decreto legislativo 173/98. Il progetto ha l’ambizione di valorizzare la tipicità dei prodotti della Maremma, unitamente alla presenza dell’uomo ed al lavoro che lo ha
determinato, evidenziando quindi l’ecosistema di
provenienza, ma anche le attività popolari, storiche
e culturali legate a quel determinato prodotto ed a
quella specifica area, in una visione di insieme che
sappia coniugare appunto il territorio con le tradizioni di un popolo ed un prodotto di alto livello qualitativo. Solo in questa logica crediamo che il prodotto stesso possa fregiarsi del titolo di “tipico”.
Riteniamo, inoltre, che promuovere la tutela delle biodiversità animali e vegetali, sia intesa non solo
come mantenimento di un equilibrio biologico ma
anche come presupposto per la costituzione di una
banca genetica di altissimo valore, in grado di garantire il progresso biologico, ambientale, agricolo e
scientifico in genere, in particolare per la provincia
di Grosseto, dove gli esempi rappresentano molto di
più di un semplice patrimonio genetico, ma fanno
parte della storia della cultura e delle tradizioni della
Maremma.
Il poster che abbiamo preparato vuol dare questo
Il germoplasma della Toscana
78
significato. La “vacca ed il cavallo maremmano”, il
“cinghiale ed il segugio”, il “miccio amiatino”, così
come il vitigno “Ansonica”, le cultivar di olivo
“Seggianese” e “Scarlinese”, il “riso”, le essenze officinali o della macchia mediterranea per fare alcuni
esempi, sono parte integrante della cultura di questo
territorio ed al tempo stesso rappresentano un potenziale per la valorizzazione futura del territorio stesso
integrandosi perfettamente con le risorse ambientali
della Maremma (parchi, oasi naturali, ecc.).
L’Amministrazione Provinciale ha attivato una
convenzione con il CNR per la valorizzazione del germoplasma dell’olivo, ed in perfetta sintonia con le
indicazioni regionali è stato approvato ai sensi della
L.R. 32/90 un progetto di tutela e valorizzazione
delle tipicità e biodiversità della Maremma.
Il progetto verrà realizzato di concerto con
l’ARSIA e la collaborazione delle organizzazioni professionali agricole; al momento si sta procedendo
alla mappatura sia dei prodotti tipici, sia delle biodiversità.
L’applicazione della L.R. 50/97 favorirà ulteriormente la buona riuscita del progetto che intende sviluppare anche una metodologia di intervento che
preveda oltre alla mappatura, una ipotesi di tutela,
valorizzazione e promozione delle risorse genetiche
autoctone.
Per favorire la realizzazione di tale progettualità
si ritiene indispensabile convogliare risorse ed energie, sia in termini finanziari che programmatici (es.
applicazione iniziativa comunitaria LEADER PLUS).
L’Amministrazione Provinciale intende svolgere altresì una azione di coordinamento nei confronti di
altri soggetti pubblici (in particolare Comuni e
Comunità Montane) oltre ai soggetti privati interessati, per garantire in particolare il coinvolgimento
delle comunità locali al fine anche di un recupero
delle identità territoriali.
Crediamo opportuno pertanto, anche in funzione
dell’applicazione della L.R. 50/97 rafforzare il rapporto di collaborazione tra l’Amministrazione Provinciale, la Regione Toscana e l’ARSIA affinché sia
sviluppato congiuntamente (contenuti e metodo) il
progetto della Provincia di Grosseto, la cui metodologia appunto, potrà essere trasferita o utilizzata in
altre realtà Toscane.
-
79
Collezione, conservazione e studio del germoplasma
di specie di interesse agrario della regione Abruzzo
Donato Silveri
ARSSA - Regione Abruzzo
Desidero iniziare questo intervento ringraziando
la Regione Toscana e l’ARSIA per l’occasione di confronto e di riflessione che oggi ci sta offrendo.
Aggiungo un particolare riconoscimento per il lavoro
che in forma pionieristica è stato da essi avviato in
passato e che, in un certo senso ha segnato una traccia per chi, come noi si è mosso successivamente.
Il nostro progetto è nato dalla percezione molto
forte di assistere all’abbandono o alla scomparsa, di
una enorme quantità di valori che fino ad ora avevano caratterizzato la vita nelle nostre zone rurali,
valori legati a piatti, a ricorrenze, a cerimonie, a
conoscenze tecniche, o più semplicemente a sapori,
patrimonio della civiltà contadina e della cultura
popolare.
Questa perdita, strisciante, per le colture erbacee, in particolare, per le ortive, è clamorosa per le
colture arboree in quanto verificabile visivamente
con il mutare del paesaggio. Durante le fasi acute di
abbandono dell’agricoltura, verificatesi nel corso
degli anni Sessanta e Settanta e con il progressivo e
conseguente diffondersi della meccanizzazione, l’albero da frutto diventava un noioso ostacolo al lavoro
delle macchine, ed è stato in questo periodo che si è
avuta la decimazione di tanta parte del patrimonio
arboricolo regionale.
Partendo da queste considerazioni l’ARSSA e
quindi la Regione Abruzzo, utilizzando fondi U.E.
(P.O.M. Programma Operativo Monofondo), ultima
tranche di finanziamenti per la regione prima dell’uscita dall’Obiettivo 1, ha avviato il progetto denominato “Collezione, conservazione e studio del germoplasma di specie di interesse agrario della regione Abruzzo”.
Per la messa a punto del progetto ci si è avvalsi
della collaborazione tecnico scientifica dell’Istituto
di Miglioramento Genetico Vegetale dell’Università
degli Studi di Perugia, nella persona del Prof. Fabio
Veronesi, sotto la cui responsabilità scientifica
hanno lavorato alcuni specialisti della materia.
Il progetto ha preso in considerazione 12 diverse
specie, scelte fra le molte che erano interessanti. La
scelta è stata fatta tenendo in considerazione essenzialmente due aspetti: la “fragilità”, o meglio, il supposto grado di erosione genetica di quella determinata specie, e l’importanza della stessa nel panorama regionale delle specie tradizionali. Raccolte in
quattro gruppi, le specie su cui verte il progetto sono
le seguenti:
• settore cerealicolo: grano tenero, grano duro,
farro;
• settore orticolo: pomodoro, peperone;
• leguminose da granella: cece, lenticchia, fagiolo,
fagiolo dall’occhio;
• piante arboree: melo, pero, mandorlo.
È necessario aggiungere che in regione non esiste un censimento delle specie e delle varietà in
pericolo di erosione genetica ed in alcune sedi ci è
stato obiettato che forse sarebbe stato più opportuno
mettere in cantiere un progetto con quella finalità.
Secondo la nostra percezione, invece, si sarebbe
corso il rischio di perdere tantissimo materiale interessante nel tempo occorrente a censire ed a trovare
una successiva occasione di finanziamento per iniziare l’attività di raccolta e conservazione.
Come effettuare la conservazione?
La via di conservazione scelta è di tipo tradizionale: conservazione ex situ mediante la costituzione
di una banca refrigerata di semi per le piante erbacee e l’impianto di 3 campi catalogo, uno per ciascuna delle specie arboree. Nello stesso tempo non
abbiamo escluso l’individuazione, presso aziende
particolari, della figura di agricoltore custode, consapevoli dell’importanza della conservazione in situ
(uno dei meriti dell’attività svolta dalla Regione
Toscana è quello di aver coniato e diffuso la termi-
Il germoplasma della Toscana
80
nologia ora correntemente usata da chi lavora in
questo campo).
Sui singoli comparti ci siamo avvalsi della collaborazione di alcuni esperti:
• per la cerealicoltura il CERMIS di Abbadia di
Fiastra (MC), nella persona della dott.ssa Oriana
Porfiri;
• per le colture ortive dei dott.ri Giovanni Cerretelli e Antonia De Meo, collaboratori della
Regione Toscana;
• per le leguminose abbiamo avuto come riferimento l’esperienza dell’Istituto stesso, in particolare sul fagiolo dall’occhio e lenticchia, nella
persona del dott. Renzo Torricelli;
• per le colture arboree la dott.ssa Isabella Dalla
Ragione.
Il lavoro si è svolto nell’arco di circa due anni e
si è rivelato molto proficuo ed interessante, in un
certo senso siamo stati rassicurati dalla relativa
abbondanza dei materiali trovati in quasi tutti i comparti. Ancora relativamente diffusa è la cultura della
riproduzione in proprio delle sementi, soprattutto
per alcune ortive (vedi pomodoro e fagiolo). In totale
sono state raccolte circa 100 accessioni:
• cereali: molto interessante la “solina” grano tenero di cui si trovano tracce in pubblicazioni del
Settecento; tra i frumenti duri si sono trovati tra
gli altri dei senatori Cappelli ecotipizzati ed un
ecotipo derivato dalla varietà siciliana “Rossia”
la cui storia è piuttosto singolare, portata in
Abruzzo da un confinato siciliano negli anni
Trenta, è restata ed adattata alla coltivazione a
1000 metri di quota.
• leguminose: interessante la lenticchia di Santo
Stefano di Sessanio coltivata a 1400-1600 metri
s.l.m., ed alcune popolazioni di fagiolo dall’occhio;
• ortive: si rinvengono ancora alcune popolazioni
di pomodoro, soprattutto nella zona litoranea,
mentre nelle zone interne si rinvengono numerosi ecotipi di fagiolo, sia vulgaris che coccineus;
• arboree: numerose le mele, in particolare la
“limoncella”, la mela “gelata”, la mela “zitella”;
tra le pere la pera San Francesco, la pera “mazzuta” destinata ad essere conservata sott’aceto.
Di particolare interesse, anche dal punto di vista
storico risulta poi il germoplasma di mandorlo,
una specie che assume fra l’altro una notevole
valenza paesaggistica soprattutto per le zone
interne.
Accanto a quello esposto voglio ricordare un
secondo progetto, precedentemente attivato in regione, concernente la collezione e la caratterizzazione
di popolazioni locali di erba medica e di leguminose
annue autoriseminanti, condotto anche al fine di
selezionare materiali autoctoni direttamente utilizzabili per la foraggicoltura e per la conservazione
del territorio nelle regioni del centro Italia.
81
Associazione Agricoltori Custodi: la storia,
le motivazioni, l’attività
Rossella Michelotti
Associazione Agricoltori Custodi
L’Associazione Agricoltori Custodi si è
costituita ufficialmente il 17 giugno 1999
con l’obbiettivo di dare un contributo concreto alla salvaguardia delle razze animali e
delle varietà vegetali autoctone del Valdarno e dell’intera regione, allevate e coltivate dall’uomo che rischiano la scomparsa;
con l’industrializzazione dell’agricoltura la
forte specializzazione delle aziende ed il
mondo della ricerca in grado di fornire
varietà sempre più produttive (prima con
gli ibridi ed oggi con la manipolazione genetica),
rischia di soccombere il “germoplasma locale”.
Inoltre, sono assai cambiati i modelli di consumo, la globalizzazione dei mercati compresi quelli
agro-alimentari porta ad un processo di uniformità
di gusti, non si tratta solo di omogeneizzazione, ma
di un vero trionfo del commercio, del consumismo,
dell’omologazione; il consumo quantitativo è visto
come unica attività umana. Gli effetti della globalizzazione sono molto più vicini di quanto pensiamo
alla nostra vita quotidiana, le giovani generazioni
spesso si nutrono solo di hambuger, patate fritte,
coca cola e pastine confezionate, tutti prodotti slegati dalla terra che li ha prodotti.
Il germoplasma locale invece è frutto del lavoro e
della selezione effettuata dagli agricoltori in ogni
habitat, alla ricerca di cultivar adatte alle differenti
condizioni climatiche e pedologiche; e che, con il
passare del tempo, hanno dato luogo ad un processo
di coevoluzione degli uomini con i suoi semi, basti
ricordare il senso di appartenenza che alcuni piatti
generano in tutti noi (la cultura gastronomica in
ogni zona si è evoluta sulle cultivar locali e razze
autoctone) ed il senso di gelosia che troviamo negli
agricoltori verso i propri semi.
Una strada possibile per l’effettivo sviluppo dell’agricoltura è quindi quella che si rivolge ai consu-
matori, che combattono contro un impoverimento del gusto e che chiedono il diritto di
mangiare quello che vogliono, forse di consumare di meno ma con contenuti qualitativi superiori. L’Associazione si è strutturata
come commerciale poiché si ritiene che la
promozione ed il mantenimento dei prodotti
tipici passa anche attraverso una loro valorizzazione commerciale indirizzata a consumatori consapevoli.
Le motivazioni che hanno indotto gli associati ad impegnarsi in questa impresa non hanno
solo valenza locale, ma sicuramente planetaria poiché in questo fine secolo la biodiversità delle specie
coltivate si sta riducendo velocemente in tutto il
mondo, infatti l’organizzazione sociale, l’omogeneizzazione dei mercati, gli effetti della globalizzazione
portano alla selezione di un numero limitato di specie e varietà, basti pensare che in 25 forniscono il
90% degli alimenti destinati all’uomo, e solo tre
(mais, grano e riso) circa il 75% e sono controllati per
un 50% da una singola multinazionale; quindi è per
una pluralità di motivi che occorre coltivare specie
autoctone.
Per questo riteniamo importante l’impegno
dell’ARSIA sulla valorizzazione del germoplasma della nostra regione e quello della Regione Toscana con
le leggi n. 15 del 1997 per la salvaguardia e valorizzazione delle attività rurali in via di cessazione e n.
50 del 1997 sulla tutela delle risorse genetiche
autoctone vegetali.
Le motivazioni per cui è importante la salvaguardia di queste risorse riguardano innanzi tutto
questioni di compatibilità ambientale e rendere l’agricoltura sempre più sostenibile sia a livello locale
che mondiale, infatti la variabilità genetica costituisce una risposta allo stress, agli attacchi parassitari
e alle modificazioni dell’ambiente; anche la nostra
Il germoplasma della Toscana
82
regione presenta in alcune zone un aumento della
virulenza dei patogeni, l’inquinamento della falda
acquifera, una diminuita fertilità del suolo e contribuisce alla sovrapproduzione di alcuni specie, inoltre alcune varietà vegetali possono avere caratteristiche produttive interessanti e non ancora conosciute.
La situazione attuale, considerando anche la questione della privatizzazione delle risorse genetiche e
dei brevetti sulle varietà e specie di interesse alimentare, non può che essere valutata con preoccupazione; inoltre solo gli agricoltori più grandi traggono beneficio dai programmi di miglioramento
genetico, la nostra regione e l’Italia è caratterizzata
da aziende di piccole dimensioni.
Vi è anche una valenza economica legata all’apprezzamento del paesaggio toscano da parte degli
stranieri, l’ambiente è molto vario proprio in relazione alla diffusione di un patrimonio vegetale diverso in ogni zona.
Infine la competizione a livello mondiale sulle
poche specie che coprono la quota più elevata del
commercio mondiale si gioca tra i colossi che controllano i mercati, l’Italia per le sue condizioni agronomiche, pedologiche e climatiche (vi è una prevalenza di territorio collinare e montano) né è esclusa;
ma vi è un 10% della domanda (ed è in crescita) che
chiede prodotti di qualità, occorre quindi puntare
sulla diversificazione, e legare la nostra immagine
alle tradizioni culinarie locali e del nostro paese,
basti ricordare che i migliori ristoranti nel mondo
spesso utilizzano prodotti italiani.
Le ripercussioni dell’erosione genetica in
Toscana sono difficilmente quantificabili, ma sicuramente in grado di modificare l’equilibrio ecologico,
basti pensare alla minore variabilità di risposte al
mutare delle condizioni ambientali, il germoplasma
è un’eredità a disposizione di tutti e deve esserlo
anche per le future generazioni.
L’attività è iniziata da qualche anno con una
dichiarazione di impegno di alcuni agricoltori di
costituirsi in associazione, in questo periodo abbiamo assistito all’individuazione di un numero crescente di varietà sia ortive, sia di fruttiferi tipici ed è
iniziata la collaborazione con l’ARSIA per la “prima
ricognizione sintetica per una mappatura dei prodotti tipici toscani”. Il recupero di molte cultivar è
avvenuto soprattutto in aziende composte da anziani che le avevano conservate prevalentemente per il
consumo familiare e di parenti e amici; è stato quindi necessario portare questo germoplasma in aziende con agricoltori più giovani e interessate a questo
progetto, creando una rete sul territorio di agricoltori custodi.
Le varietà più antiche che hanno notevoli pregi
gastronomici non rischiano così di essere abbandonate a favore di quelle che hanno una resa produttiva maggiore; la reintroduzione di queste cultivar in
un certo numero di aziende che possono conservarle e nuovamente diffonderle è già un primo passo.
L’Associazione ha già partecipato a diverse iniziative promozionali, la prima svoltasi ad Arezzo il
28 giugno e promossa dalla Provincia di Arezzo e da
Slow Food Arcigola che ha avuto quale tema la salvaguardia delle piccole produzioni alimentari di
qualità e la deroga alle normative comunitarie per
tali produzioni.
La successiva è stata “Ruralia” organizzata dalla
Provincia di Firenze e svoltasi il 2-3-4 luglio 1999 ha
visto un’azione comune con Lega Ambiente e Slow
Food Arcigola, abbiamo partecipato con uno stand
sui prodotti tipici dove l’Associazione ha presentato
i propri ed ha organizzato una degustazione.
Siamo poi stati a Poppi il 27-29 agosto 1999 alla
rassegna “La tavola dei Conti Guidi” patrocinata dalle
Comunità Montane del Pratomagno e del Casentino,
all’iniziativa sulle produzioni alimentari locali durante le Feste del Perdono (terza domenica di settembre)
a San Giovanni Valdarno, alla “Castagnata” a Loro
Ciuffenna dal 25 ottobre al 1° novembre.
Abbiamo inoltre partecipato a San Miniato 1314, 20-21, 27-28 novembre alla “Mostra nazionale
del tartufo e dei prodotti tipici” organizzata dal
comune e dalla provincia di Pisa col patrocinio della
Regione Toscana; alla “Mostra dell’olio delle colline
del Pratomagno e dei prodotti tipici locali a Reggello
dal 5 all’8 dicembre promossa dal comune e dalla
provincia di Firenze.
Infine la Provincia di Arezzo ha portato i prodotti
dell’Associazione dal 3 al 6 dicembre al “Salone dei
sapori” a Parigi, e dal 14 al 19 dicembre siamo stati
presenti alla Fortezza da Basso ad “Ecolavoro ’99”
rassegna nazionale di Legambiente “2a Esposizione
del lavoro, delle tecnologie ambientali e dell’Italia di
qualità” con un nostro stand ed abbiamo organizzato
diverse degustazioni di prodotti, alcune in collaborazione con la Lega delle Cooperative.
L’Associazione ha già iniziato un’attività di valorizzazione commerciale dei prodotti tipici dando
avvio a dei contratti di fornitura con la grande distribuzione di alcuni prodotti tipici della zona quali: il
fagiolo zolfino del Pratomagno e la farina di castagne
del Pratomagno, naturalmente cercando di garantire
dei prezzi remunerativi per gli agricoltori.
Infine è inserita anche nel progetto “Carta della
qualità dell’alimentazione e della piacevolezza del
cibo negli ospedali” che ha come partner Slow food
Arcigola, USL 8 di Arezzo e Pellegrini centro sud
83
S.p.A (fornitrice dei pasti nell’USL 8); questo progetto prevede che nelle strutture ospedaliere, al fine di
migliorare la qualità dei pasti, avvicinandoli come
contenuti alla quotidianità, periodicamente siano
approntati dei piatti legati alla cultura del territorio;
i tali piatti saranno preparati con materia prima di
origine locale facente parte delle colture e delle specie autoctone del territorio.
La fornitura delle varietà oggetto dell’accordo
avverrà tramite l’Associazione, l’unica in grado di
“dare gambe” a questo progetto e concernerà sia le
ortive che la carne chianina.
Concludendo vogliamo ricordare che la campagna coltivata ed i boschi rappresentano circa l’85%
della superficie regionale ed hanno una importanza
fondamentale per l’assetto idrogeologico e per la qualità della vita dei cittadini che ci vivono e per il possibile afflusso turistico; da ciò deriva l’importanza
fondamentale del settore agricolo non solo come fornitore di beni alimentari, ma anche come produttore
di ambiente, basti pensare che il paesaggio toscano è
per la maggior parte costruito dall’uomo, e la biodiversità ne costituisce un elemento essenziale.
Già diverse aree della Toscana hanno compreso
che la possibilità di sviluppo loro riservata è legata
alle professionalità già esistenti sul territorio, ad uno
sviluppo intersettoriale che tenga conto della salvaguardia dell’ambiente e del paesaggio e legato ai prodotti tipici e di qualità che vi vengono prodotti.
L’Associazione Agricoltori Custodi si propone un
modello di sviluppo che coniughi l’incremento dei
redditi sul territorio allo sviluppo ecocompatibile e
per quanto riguarda il consumo invece di puntare
sul quantitativo è preferibile un consumo consapevole legato anche al valore organolettico e ludico
delle produzioni agricole.
La reintroduzione di queste cultivar vegetali e
specie animali locali non costituisce un arretramento dell’agricoltura, ma una presa di coscienza dei fattori ecologici e ambientali e dell’aspetto qualitativo
della produzione.
85
La salvaguardia delle risorse genetiche:
dalla teoria alla pratica
Piero Belletti
DIVAPRA Genetica Agraria - Università degli Studi di Torino
Da molti anni la Comunità scientifica italiana è
cosciente del problema collegato alla riduzione della
variabilità genetica delle specie di interesse agrario.
L’attività scientifica in tale ambito è infatti considerevole, così come numerosi sono gli studi finalizzati
a salvaguardare quel che è rimasto della biodiversità
delle specie coltivate o allevate nel nostro Paese.
Anche gli Enti preposti alla gestione e al sostegno
della ricerca hanno dimostrato una crescente sensibilità al problema: basti ricordare in questa sede i
finanziamenti previsti da numerosi regolamenti
comunitari e le iniziative coordinate dal Ministero
per le Politiche Agricole.
Dove invece le carenze sono ancora notevoli e la
necessità di interventi urgente è il trasferimento alla
realtà di ciò che la ricerca ha evidenziato. Le iniziative concrete di salvaguardia delle risorse naturali
sono infatti ancora poche e, quel che è peggio, spesso gestite in modo approssimativo. Gli stessi Enti
Pubblici, che istituzionalmente dovrebbero occuparsi del problema, spesso latitano e a fronte di iniziative di grande valore quale quella adottata dalla
Regione Toscana, sono ancora troppi i casi di disinteresse e di abbandono in cui versa il settore della
conservazione delle risorse genetiche agrarie italiane. Certamente l’attività di individuazione, raccolta,
caratterizzazione e conservazione delle risorse genetiche è costosa ed impegnativa. Si tratta però di un
investimento, le cui positive ricadute potrebbero
essere di enorme rilievo e giustificare ampiamente
gli sforzi iniziali. Ritengo quindi prioritario l’impegno, da parte della comunità scientifica, volto a sensibilizzare gli amministratori pubblici sulla necessità di intervenire, concretamente e in misura non
sporadica, in questo settore.
Un altro aspetto su cui occorre lavorare ancora
molto riguarda il censimento e il coordinamento
delle iniziative presenti sul territorio. Infatti, a pre-
scindere dalle collezioni di materiale conservate
presso strutture universitarie o altri centri pubblici
di ricerca, sono molto numerosi i privati che ancora
detengono vecchie cultivar vegetali o razze animali,
ormai introvabili altrove. Si tratta di materiale estremamente prezioso, ma altrettanto vulnerabile, la cui
sopravvivenza è spesso legata all’attività di un singolo agricoltore o allevatore, solitamente di età
molto avanzata. Appare quindi prioritario acquisire
tutte le possibili informazioni su tali iniziative, fino
a costituire una sorta di catalogo delle risorse genetiche agrarie ancora presenti sul nostro territorio. A
questo punto sarebbe anche possibile proporre un
coordinamento tra tutte le iniziative in atto, in grado
di fornire indicazioni omogenee sulle modalità di
gestione delle risorse genetiche. Qualcosa di analogo
è stato realizzato, ad esempio, in Francia ed i risultati appaiono di indubbia validità e utilità pratica.
La salvaguardia delle risorse genetiche, per essere ancor più efficace, dovrebbe poi essere abbinata,
ove possibile, a progetti di valorizzazione del materiale oggetto di attenzione. Uno dei pregi principali
di cultivar o razze locali oggi in stato di abbandono
è spesso l’aspetto qualitativo, tuttora ben apprezzato
da chi ha avuto modo di avvicinarsi a tali prodotti. Si
tratta pertanto di valorizzare questa caratteristica,
occupando quelle nicchie di mercato (più numerose
di quanto si pensi ed in crescente espansione) disposte ad accettare prezzi superiori alla media in cambio di un prodotto garantito e dalle prerogative introvabili nei prodotti disponibili nei supermercati.
Occorre, cioè, puntare sulla qualità ed abbandonare
irrealizzabili progetti di produzione massale e grande distribuzione. Un disegno di tali caratteristiche
potrà essere facilitato dall’integrazione di numerose
realtà simili: si potrebbe addirittura ipotizzare la
creazione di un marchio, ad esempio garantito dalle
Regioni e dalle Università, che certifichi l’apparte-
Il germoplasma della Toscana
86
nenza di determinate produzioni a varietà tradizionali.
A conclusione di queste brevi considerazioni,
ritengo opportuno fare un cenno anche al settore
forestale, nel quale, sebbene le problematiche siano
diverse rispetto a quello agrario, i motivi di preoccupazione non mancano.
Come è noto, in Italia il settore della vivaistica
forestale è disciplinato da una legge del 1973 (la n.
269, che recita “Disciplina della produzione e del
commercio di sementi e piante da rimboschimento”), la quale rappresenta, a sua volta, il recepimento di indicazioni comunitarie. La normativa, per
quanto ormai superata, risulta essere piuttosto
disattesa; d’altra parte le Regioni, cui sono state
demandate le principali competenze nel settore forestale, non hanno fino ad ora fatto molto per ovviare
alle lacune del settore. Di conseguenza, non sempre
il materiale utilizzato nei rimboschimenti risulta
essere certificato e spesso presenta addirittura una
origine ignota. Le conseguenze che ne derivano non
sono di poco conto: in primo luogo esiste un problema di adattabilità a specifiche condizioni pedo-climatiche, che, se non rispettato, può determinare l’in-
successo dell’operazione. C’è poi il rischio legato
all’introduzione di patogeni ancora assenti in una
determinata area e, quindi, in grado di indurre danni
molto estesi. Infine, non va trascurato quello che
potremmo definire come “inquinamento genetico”, e
cioè la modificazione delle caratteristiche genotipiche di una determinata popolazione. In tutti i casi è
comunque ipotizzabile una più o meno estesa erosione genetica, in grado di ridurre la biodiversità
delle nostre popolazioni forestali.
Il problema può essere risolto soltanto mediante
una accurata scelta del materiale di propagazione:
occorrerà cioè individuare, localmente, boschi da
seme caratterizzati non solo da fenotipi superiori, ma
anche dotati di elevati livelli di variabilità genetica.
Anche in questo caso, quindi, si tratta di aspetti
scientifici che, per poter incidere sulla realtà, devono
tradursi in provvedimenti legislativi e amministrativi. Ancora una volta, quindi, la comunità scientifica è
chiamata ad una difficile ma necessaria opera di sensibilizzazione nei confronti degli amministratori pubblici affinché vengano adottati provvedimenti mirati
ad una miglior gestione dell’ambiente.
87
Tutela del germoplasma: problematiche*
Pietro Perrino
Istituto del Germoplasma, Consiglio Nazionale delle Ricerche - Bari
1. Introduzione
Il termine “germoplasma”, sinonimo di “risorse
genetiche” si riferisce a quella parte della “biodiversità” o “diversità biologica” più direttamente utilizzata dall’uomo. Pertanto, la tutela del germoplasma
non può prescindere da quella della biodiversità e
viceversa.
Nel 1970, quando in Italia, nasceva a Bari
l’Istituto del Germoplasma del Consiglio Nazionale
delle Ricerche, unico “genebank” (banca di germoplasma) italiano, si parlava solo di germoplasma o
risorse genetiche (Scarascia Mugnozza e Porceddu,
1972; Porceddu e Scarascia Mugnozza, 1972). Da
allora, il crescente interesse per l’ambiente e quindi
per una diversità biologica più ampia ha introdotto il
termine biodiversità. Questo termine, oggi, si è talmente diffuso che spesso è usato per indicare anche
il germoplasma o risorse genetiche.
Spesso si afferma che la maggior parte del nutrimento umano è ottenuta da una manciata di piante,
come mais, grano, riso, patata, cassava, platano,
pisello, fagiolo e lenticchia, completando con un piccolo numero d’animali domestici. La dipendenza da
un piccolo numero di specie è apparente e fuorviante: infatti, decine di migliaia di specie di piante e
d’animali sono usate nelle economie tradizionali
locali. Le sole piante medicinali tradizionali ammontano a 25.000-30.000 specie.
I metodi tradizionali di miglioramento delle piante e degli animali hanno giuocato un ruolo importante nel dare una forma alla biodiversità, durante
gli ultimi millenni. I metodi moderni, le biotecnologie ed il trasferimento di geni in piante, animali e
microorganismi, sono dei mezzi con un grande
potenziale d’impatto. Queste tecniche possono
aggiungere valore ad alcuni elementi della biodiversità e quindi possono contribuire a cambiare le priorità di conservazione. La focalizzazione sull’uso delle risorse genetiche e la giusta ed equa distribuzione
dei benefici che derivano dal loro uso sono argomenti centrali della Convenzione sulla Diversità
Biologica (Convention on Biological Diversity: CBD).
Oggi, su scala mondiale, assistiamo ad un grande
interesse nel valutare la quantità di biodiversità
persa e allo stesso tempo ad un crescente apprezzamento dell’importanza di questa biodiversità, in termini economici, sociali, estetici e morali.
I valori posti nella biodiversità sono fortemente
collegati alle influenze dell’uomo su di essa. Detti
valori dipendono anche dal grado di conoscenze sul
ruolo scientifico di particolari elementi o processi
della biodiversità nel funzionamento degli ecosistemi e delle società. È opinione largamente condivisa
tra gli ambientalisti che i valori dell’ambiente trascendono dai costi (Turner e Pearce, 1993). Tuttavia,
mentre è indubbiamente vero che i valori della biodiversità non sono adeguatamente contenuti nel
valore commerciale, se vogliamo commissionare e
dare delle priorità alle risorse per la loro conservazione ed uso sostenibile, non possiamo non applicare misure economiche (Cannata, 1989). È necessario
esplorare le complesse relazioni tra valori etici,
ambientali ed economici. Le questioni spesso sollevate sono: quanto è importante la biodiversità per
l’umanità? Quanto i valori noti e potenziali della biodiversità possono essere categorizzati, accertati e
misurati? Possono le distinzioni tra valori locali e
globali della biodiversità essere utili? Quanto gli
attuali valori della biodiversità riflettono quelli di
* Lavoro svolto nell’ambito del Progetto Strategico Biodiversità del CNR “Caratterizzazione e valorizzazione delle risorse genetiche vegetali, animali e microbiche”, coordinato da Pietro Perrino.
Il germoplasma della Toscana
88
mercato? Cosa si può fare per stimare in modo più
adeguato i valori della biodiversità in analisi economiche?
Un elemento chiave dello sviluppo economico
dell’ambiente è l’incentivazione. Come i benefici
individuali derivati dalle risorse biologiche possono
essere bilanciati dai costi sociali? Se gli individui
devono conservare la biodiversità per benefici sociali o globali, quali meccanismi devono essere attivati
per realizzare un ritorno e distribuzione di detti benefici a quegli individui? Quali tipi di possedimenti
terrieri e regimi di proprietà procurano i maggiori
incentivi per la conservazione ed uso sostenibile
della biodiversità? A queste domande bisogna dare
delle risposte.
Lo scopo di questa nota è di accennare alle problematiche relative alla conservazione del germoplasma.
2. Strategie di conservazione ed uso
sostenibile del germoplasma
2.1 Principi basilari
Così come sottolineato ed enfatizzato dalla CBD,
qualunque strategia volta a ridurre la perdita di biodiversità e ad aumentare i suoi contributi allo sviluppo deve integrare tre elementi essenziali: conservazione della biodiversità, uso sostenibile delle sue
componenti ed equa distribuzione dei benefici. La
nozione di biodiversità è strettamente associata a
quella della sua conservazione, preservazione ed
uso sostenibile (IUCN/UNEP/WWF, 1980; WCED, 1987;
UCN/UNEP/WWF, 1991; WRI/UCN/UNEP, 1992). La
nozione di sostenibilità è considerata come fattore
principale dello sviluppo (di qui sviluppo sostenibile) e lo sviluppo è sostenibile solo se è in armonia
con l’ecologia.
La CBD ha definito il termine uso sostenibile:
“Uso sostenibile significa uso delle componenti della
diversità biologica in modo tale, e ad una velocità
tale, che in tempi lunghi non deve condurre ad un
declino della diversità biologica, mantenendo perciò
la sua potenzialità per far fronte alle necessità e
aspirazioni delle attuali e future generazioni. Ciò
non implica che la biodiversità o risorse possono
essere passate alle future generazioni completamente inalterate. Virtualmente tutte le forme d’uso comportano qualche cambiamento o perdita, anche se
piccola, di biodiversità”.
Nello sviluppo di strategie nazionali e piani d’azione, così come designati dalla CBD, abbiamo bisogno di chiederci: come possiamo intervenire sulle
forze trainanti sociali ed economiche? Che tipo di
misure legislative sono necessarie per la conservazione e l’uso sostenibile? Come possiamo usare e
coordinare efficacemente i dati già disponibili sulla
biodiversità, ed impiegare le risorse umane disponibili e tutto l’apparato delle tecniche di conservazione disponibile? Come possiamo integrare conservazione e programmi di sviluppo? Le incertezze scientifiche nel corso dei dibattiti sono i temi più ricorrenti. La gestione delle incertezze è una delle più
grandi sfide affrontate dagli scienziati e dalle autorità che devono decidere nel settore dell’ambiente e
sviluppo, per esempio con riguardo a fattori sociali
ed economici, stime sulle fluttuazioni ecologiche,
effetti degli impatti umani a breve e lungo termine
ed efficacia delle misure.
2.2 Approcci alla conservazione
Tradizionalmente la conservazione ha utilizzato
due approcci separati: ex situ ed in situ, con agronomi e biologi a favore del primo ed ecologisti e conservazionisti a favore del secondo.
La conservazione della biodiversità è più efficace
in ecosistemi “naturali”. Questa è però una grande
semplicazione. Nel caso di diversità di specie domesticate, grandi sforzi sono stati compiuti negli ultimi
decenni per la conservazione ex situ della variabilità
genetica rappresentata da centinaia di migliaia di
varietà locali o vecchie varietà che si sono formate in
un numero relativamente basso di specie vegetali
che l’uomo ha coltivato su larga scala nel corso degli
ultimi millenni, così come per il piccolo numero d’animali addomesticati (Scarascia Mugnozza, 1984;
Scarascia Mugnozza, 1995; Scarascia Mugnozza et
al., 1988). Questa variabilità, riferita principalmente
come risorse genetiche, è mantenuta in varie forme
nei genebanks per essere usata in programmi attuali e futuri di miglioramento genetico. Quanto sforzo
è necessario per campionare la variabilità genetica
di queste colture ed animali addomesticati? Quanto
efficaci ed efficienti sono i diversi metodi di conservazione? Quanto è ampia e seria la perdita di diversità genetica (erosione genetica) nelle colture?
Dovremmo investire più risorse nello sviluppare
risorse genetiche di colture minori e specie usate in
economie locali ed indigene, includendo, per esempio, piante medicinali? (Perrino, 1984; Perrino e
Desiderio, 1998, 1999; Desiderio, 1999). Le collezioni conservate ex situ non solo sono vitali per il mantenimento di microorganismi, ma esse rappresentano il solo ed effettivo modo attraverso il quale si può
accedere a queste risorse o assicurare veramente la
loro esistenza (Scarascia Mugnozza and Porceddu,
1972, 1978; Soulè, 1991; Scarascia Mugnozza, 1995;
Scarascia Mugnozza et al., 1988).
89
Gli approcci attuali alla conservazione sono,
infatti, molto diversi da quelli usati sino a poco
tempo fa. Negli ultimi anni, c’è stato un cambiamento di vedute dei conservazionisti, i quali sono passati da una posizione di conservazione in situ ad un
approccio più integrato. L’approccio precedente era
quello di mettere da parte e recintare aree rappresentative d’ecosistemi (aree protette), con un minimo d’interventi e gestione. L’obiettivo era di mantenere la massima quantità di diversità (ecosistemi o
specie) e permettere alle specie recintate di continuare la loro evoluzione — il cosiddetto “hands off”
approccio. In circostanze speciali, le aree protette
utilizzavano come supplemento il mantenimento ex
situ di campioni di specie. Recentemente gli approcci prevedono l’applicazione di diversi mezzi e tecniche secondo le situazioni (conservazione integrata o
complementare) (Hammer et al., 1992; Perrino and
Hammer, 1983; Perrino, 1984, 1988, 1990, 1992,
1995; Perrino et al., 1993, 1996; Laghetti et al.,
1996; Hammer et al., 1999).
I nuovi approcci sottolineano che la conservazione è un processo dinamico e di solito richiede alcune forme d’intervento e gestione.
In aggiunta alla variabile dinamica, dobbiamo
prendere in considerazione il campo delle diverse
scale delle azioni di conservazione. Stati singoli. Una
specie può essere rara in un paese e molto comune in
un altro paese vicino. Inoltre, la vera esistenza di un
fenomeno può essere percettibile solo ad una certa
scala e quindi la scala alla quale stiamo studiando la
biodiversità può influenzare la nostra abilità a percepire particolari modelli o processi. Le strategie di
conservazione sono molto più efficaci quando si
prendono in considerazione scale spaziali e livelli
d’organizzazione multipli (Noss e Harris, 1986).
Il nuovo modello di conservazione riconosce
anche l’importanza del ruolo dell’uomo nella dinamica della biodiversità. Uno dei problemi principali
dell’approccio “hands-off” fu quello di non considerare i ruoli ed esigenze della gente locale, la quale
era spesso esclusa dalle aree protette nonostante la
biodiversità delle riserve era spesso, almeno parzialmente, conservata e mantenuta da essa. Ora, i programmi moderni di conservazione sono caratterizzati da obiettivi multipli, e riserve multi-uso, con aree
“set aside” per diversi scopi, come la preservazione
a diversi livelli. In qualche modo questo approccio
rispecchia pratiche tradizionali. La CBD pone continuamente l’accento sulla necessità d’integrare sviluppo e conservazione.
La questione del cambiamento globale del clima
aggiunge un’altra dimensione alla pianificazione
della conservazione. Gli effetti dei cambiamenti glo-
bali sui sistemi ecologici, migrazione e sopravvivenza di specie e sulla biodiversità in generale, sono difficili da prevedere a causa della nostra incapacità di
comprendere l’effetto serra, l’azione diretta dell’uomo, e molti altri fattori che interagiscono con i modi
in cui i sistemi funzionano ed i modi in cui le specie
si adattano. Nonostante ci siano ancora considerevoli incertezze, è largamente riconosciuto il fatto che
gli effetti del cambiamento climatico sugli ecosistemi e le specie componenti potrebbero essere molto
significativi e condurre a riallineamenti e riagruppamenti di specie, com’è successo più volte nella
storia della Terra. Sono stati presi in considerazione
i possibili impatti di un cambiamento globale sulla
biodiversità e altri scenari per il futuro.
2.3 Miglioramento delle conoscenze di base
Molta attenzione è posta sulle grandi lacune
delle nostre conoscenze in tutte le aree ed a tutti i
livelli della biodiversità. Buona parte dell’inventario
di base sulla biodiversità non è stato ancora avviato,
persino a livello di specie. Ma in che modo stabiliamo le priorità per programmi d’inventario? Dovremmo, per esempio, concentrarci su certi gruppi
poveramente conosciuti, come i microorganismi del
suolo, o dovremmo focalizzare di più i nostri sforzi
nell’esaminare aree che stanno per essere messe a
coltura o inondate per costruire dighe? Come tali traguardi a breve e lungo termine possono essere inseriti in una strategia comune?
Strettamente legato all’inventario c’è il monitoraggio della diversità biologica, che è essenziale nel
fornire una ricaduta nell’adattamento di programmi
di gestione. Il monitoraggio — la ripetizione di rilevamenti delle entità biologiche o di processi in una
serie di periodi — richiede un adeguato invetario di
partenza. Il monitoraggio può essere svolto con scale
diverse, partendo da quello con i satelliti su tutto il
pianeta per seguire i cambiamenti demografici delle
singole popolazioni di piante, animali e microorganismi. Il monitoraggio, perciò, deve essere chiaramente orientato verso un preciso traguardo ma allo stesso tempo dovrebbe seguire le procedure standard ed
analisi statistiche onde permettere confronti con altri
studi, passati e presenti. Un’attenta pianificazione,
dal punto di vista logistico e finanziario, è vitale. Per
questo dobbiamo chiederci: quali sono le tecniche
disponibili? Quali sono i costi effettivi? Quanto vasta
può essere la loro applicazione? Che risultati abbiamo ottenuto in queste aree sino ad ora?
La rapida generazione di dati sulla biodiversità,
insieme alla vasta quantità d’informazioni già accumulata, rischia di seppellirci se non s’intraprende
un’azione effettiva per gestire e coordinare detta
Il germoplasma della Toscana
90
massa di dati ed informazioni. Perciò, lo studio della
biodiversità dipende molto dal rapido sviluppo della
tecnologia dell’informazione.
2.4 Capacità umana ed istituzionale
Non sono solo i dati e le fonti d’informazione che
sono distribuiti in modo eterogeneo, ma anche le
risorse umane (per esempio, gli scienziati) e le risorse istituzionali (per esempio, raccolte sistematiche
di referenze, giardini botanici, collezioni di risorse
genetiche) per capire e gestire la biodiversità si trovano, spesso, fuori delle aree caratterizzate dalla più
alta diversità. Ci dobbiamo chiedere e dare delle
risposte su che cosa si può fare per migliorare la
situazione.
2.5 Coordinamento globale, nazionale,
regionale e locale
La distribuzione disomogenea di risorse ed informazioni, la difficoltà di accedere all’informazione, la
divisione e/o distanza tra i collezionisti e gli utenti
ed il vasto campo di discipline e prospettive coinvolte, rendono il coordinamento regionale e locale una
priorità per la gestione della biodiversità. Una maggiore ed effettiva organizzazione nazionale ed internazionale, che certamente possediamo, dovrebbe
aumentare notevolmente l’efficacia del modo in cui
gestiamo le nostre risorse planetarie. Un punto iniziale essenziale è di guardare alla biodiversità da
una prospettiva globale e stabilire che cosa sappiamo, un processo al quale si spera la CBD darà un contributo significativo.
3. Uso sostenibile della biodiversità
e del germoplasma
Gli interventi devono essere basati su informazioni accurate. Una maggiore consapevolezza delle
informazioni può aumentare la probabilità che individui ed istituzioni approvino le definizioni dei problemi e le soluzioni. In ogni caso, l’attuale stato delle
conoscenze è ancora largamente inadeguato per
valutare con esattezza quali saranno gli impatti
delle attività umane nei diversi ecosistemi e per
comprendere quali sono le relazioni tra attività economiche, sviluppo e conservazione della biodiversità. Le lacune di queste conoscenze possono avere
almeno tre origini.
La prima è la mancanza d’informazione risultante da una ricerca insufficiente, specialmente per la
costituzione di un inventario di specie ed ecosistemi, necessario per comprendere come le componenti degli ecosistemi si adattano insieme e interagisco-
no tra loro, per avere informazioni e conoscenze sull’uso tradizionale della biodiversità e per cambiamenti nell’uso degli ecosistemi. Un incremento
significativo di finanziamenti e manodopera potrebbero colmare queste lacune. Comunque, alcuni
scienziati arguiscono che sino a quando non comprenderemo l’ambiente naturale, sarà difficile comprendere come la società umana interagisce con
questi sistemi e non è realistico attendere molto
tempo prima di avviare interventi di conservazione.
Che cosa fare in una situazione d’incertezza?
La seconda maggiore fonte di lacune deriva dalla
complessità dell’ambiente naturale e dalla complessità delle interazioni tra le società umane, le loro
attività ed il mondo naturale. Scienze naturali e
scienze sociali si sono evolute indipendentemente,
ma una migliore interazione tra loro è necessaria
per comprendere la natura e la forza delle loro relazioni. La preservazione a lungo termine della biodiversità dipende dalle strategie di gestione e dai modi
in cui si sviluppano, ma è molto difficile prevedere i
cambiamenti del comportamento umano. Questa
incertezza rende difficile prevedere i cambiamenti
dell’ambiente e le attese conseguenze sulla biodiversità, ciò rinforza la necessità di monitorare attentamente la biodiversità allo scopo d’intervenire con
azioni correttive.
La terza serie riguarda l’accesso alle informazioni e come usare quello che già conosciamo. Come le
soluzioni tecnologiche possono essere applicate su
larga scala? Mentre concetti utili come “sviluppo
sostenibile” e “gestione integrata” sono chiari e disponibili, abbiamo bisogno di linee guida per agire,
sostenute da osservazioni ed esperienze attendibili.
L’effettiva attuazione dei piani d’azione sulla biodiversità dipende dal miglioramento delle metodologie
e dei mezzi.
In generale, la ricerca deve essere estesa e rinforzata per migliorare e comprendere la biodiversità ed
il suo potenziale ruolo nel creare società umane
sostenibili. Abbiamo bisogno di comprendere molto
meglio come, perché e dove le attività umane influenzano la biodiversità, allo scopo di fornire informazioni accurate ai politici e decisionisti. La ricerca
deve servire ad informare, completare e migliorare
gli sforzi per la conservazione, ma essa non dovrebbe sostituire le azioni immediate. Comunque, anche
con un inventario completo dello stato globale della
biodiversità ed una perfetta comprensione delle relazioni tra attività umane e biodiversità, avremo ancora a che fare con il problema di come controllare il
comportamento distruttivo dell’uomo (Heywood e
Baste, 1995).
91
3.1 Il commercio e la conservazione
della biodiversità e germoplasma
Mai la società umana ha ingaggiato nel commercio una tale diversità di prodotti, su una tale scala
geografica e su tale volume, come accade ora.
Inoltre, come risultato della liberalizzazione di misure contenute nelle recenti conclusioni delle negoziazioni GATT (General Agreement on Trade and
Tariffs), è probabile un’espansione del commercio. È
difficile prevedere l’impatto complessivo di un incremento di produzione, consumo, scambio e trasporto
di beni e servizi sulle risorse biologiche.
La questione principale è quanto incremento di
consumo e produzione possiamo permetterci senza
compromettere la sostenibilità della biosfera. Qual è
l’ottimo della ricchezza biologica necessario per
mantenere lo stato attuale della produzione globale
senza compromettere le future scelte? Per queste
domande non ci sono ancora delle risposte definite.
Un’altra rilevante questione è come la comunità
globale può dirigere il commercio internazionale per
promuovere il progresso economico senza compromettere la sostenibilità economica (Goodland et al.,
1991). Il commercio guida il mercato ed il mercato
funziona meglio quando le misure sostengono lo sviluppo libero di regole commerciali, pratiche e relative infrastrutture. Comunque, il commercio di per se
stesso è cieco verso l’ambiente. La mano invisibile
del mercato non ha nessun adeguato meccanismo
auto-correttivo per considerare le perdite e riduzione di diversità biologica. Ciò implica che qualche
grado di “comando e controllo” è necessario. Terre
umide ecologicamente fragili potrebbero essere trasformate in aziende per la pesca, in poco tempo, ma
senza una gestione illuminata, cura e regolare
supervisione, queste aree possono essere distrutte.
Singoli stati o nazioni possiedono considerevoli
esperienze nell’uso di strumenti di mercato per promuovere obiettivi ambientali. Intanto, non c’è precedente esperienza nel fondere il commercio globale
ed i traguardi ambientali.
3.2 La necessità di nuove scelte gestionali
Le società moderne sembrano incapaci di arrestare l’esaurimento in corso di risorse e il degrado
dell’ambiente. La gestione delle risorse non è sempre stata pensata per l’uso sostenibile delle risorse,
ma per la loro efficiente utilizzazione come se fossero senza limiti. La sola gestione d’ecosistemi secondo i principi d’ecologia, non è sufficiente. L’incremento di pressione sull’uso delle risorse naturali
per diversi motivi ha fatto sì che i valori sociali
diventassero un’importante componente nella
gestione dei processi. C’è la necessità urgente di
migliorare i collegamenti tra scienze ecologiche, percezione e valori pubblici. Dobbiamo sviluppare una
nuova risorsa e scienza della gestione degli ecosistemi che si adatta meglio a servire le necessità di
una sostenibilità ecologica. I concetti di sostenibilità
diventano sempre più importanti per i politici, ma
non è facile escogitare modelli di sviluppo migliori
perché la povertà nei paesi in via di sviluppo è la
causa della perdita di habitat e biodiversità. Azioni
per alleviare la perdita di biodiversità devono considerare le cause socio-economiche della povertà
(Schweitzer, 1992).
3.3 Sviluppo e trasferimento di tecnologie
rilevanti per l’uso sostenibile delle risorse
Uno dei temi più rilevanti dell’Agenda 21 ed allo
stesso tempo uno degli argomenti più intrattabili,
riguarda l’accesso alle tecnologie (Rath e HerbertCopley, 1993). Tra le proposte da prendere in considerazione ricordaimo: incrementare il flusso d’informazioni sulle tecnologie amiche dell’ambiente;
incrementare l’autoregolazione industriale; incrementare l’importanza dei mercati nell’assegnazione
dei valori e promuovere miglioramenti nell’andamento ambientale dell’industria nel Sud.
Quest’argomento fu ampiamente discusso durante una riunione internazionale d’esperti, tenuta in
Messico nel 1994 (UNEP, 1994). L’argomento va da
tecniche di stima dell’impatto ambientale a tecniche
di gestione d’ecosistemi, uso integrato della terra,
biotecnologie, tecniche nuove e fonti rinnovabili d’energia, stili di vita meno rovinosi, modelli di consumo e produzione, tecniche di pianificazione familiari e strumenti economici e finanziari.
L’argomento d’accesso alle tecnologie è su come
sviluppare capacità indigene per stimare, adottare,
gestire e applicare tecnologie migliorate per l’ambiente. Comunque, ci sono difficoltà nell’identificare
tipi appropriati di tecnologie “pulite” e rispettose
dell’ambiente, da promuovere nei paesi in via di sviluppo. La sostenibilità ambientale non è stata considerata adeguatamente dalle politiche innovative e
dalle ricerche di gestione (Winn e Roome, 1993) e la
letteratura sull’innovazione “verde” è relativamente
povera e dispersa in quella sulla gestione ambientale, economia ambientale, stima dei rischi ed economia dell’innovazione.
4. Gestione della biodiversità
in agricoltura
L’agricoltura — che in senso lato comprende la
coltivazione di piante annuali e perenni, zootecnia,
Il germoplasma della Toscana
92
pascolamento — dipende dalla biodiversità per produzione ed innovazione. Il miglioramento genetico
delle piante e degli animali, basandosi sulla diversità genetica di una manciata di specie e una varietà
d’ecosistemi, ha permesso all’uomo di sviluppare
migliaia di varietà domestiche adattate ad un vasto
campo di condizioni ambientali ed usi (Spagnoletti
Zeuli et al., 1988). I miglioramenti in agricoltura,
molti basati sull’uso e manipolazione della biodiversità, sono stati la forza trainante dell’aumento della
popolazione umana e dei cambiamenti demografici.
E mentre l’agricoltura ha beneficiato enormemente
della biodiversità, il suo successo ha contribuito in
modo crescente alla perdita di biodiversità. L’uso
della terra per la produzione di cibo, ora occupa più
di un terzo della superficie delle terre emerse — nel
1991 le terre coltivate coprivano l’11% delle terre
emerse ed i pascoli permanenti, il 26% — ed è la
causa primaria della conversione dell’habitat su
base globale (WRI, 1994). Soddisfare la domanda
d’aumento di popolazione mondiale e contemporaneamente mantenere la biodiversità è un’enorme
sfida. Ciò richiede le seguenti misure:
1. conservare la diversità genetica trovata nelle
varietà di piante coltivate e animali domestici e
parenti selvatici;
2. identificare ed usare specie selvatiche e diversità
genetica per migliorare la produzione agricola e
l’adattabilità per far fronte al cambiamento
ambientale;
3. minimizzare gli impatti negativi delle pratiche
agricole sugli agro-ecosistemi ed ecosistemi
naturali.
L’agricoltura tradizionale, su piccola scala, specialmente nei paesi in via di sviluppo, è il miglior
deposito delle risorse genetiche agricole, e piccoli
agricoltori hanno avuto un ruolo importante nell’amministrazione di quest’eredità. Benché questi agricoltori abbiano gradatamente aumentato l’uso di varietà
moderne altamente produttive, misure per usare e
mantenere la diversità genetica sono ancora dominanti in molti sistemi agricoli. Comunque, le misure
per usare e conservare la biodiversità in modo sostenibile in un contesto d’agricoltura su larga scala/
moderna diventeranno sempre più importanti. Si
stanno studiando misure per minimizzare i conflitti
tra l’espansione dell’agricoltura e l’intensificazione
della conservazione degli habitat naturali.
4.1. Gestione della biodiversità
nell’agricoltura tradizionale
La maggior parte degli agricoltori del mondo e la
maggior parte della diversità genetica agricola del
mondo si trova nei paesi in via di sviluppo, dove in
molte aree sono ancora comuni i sistemi agricoli tradizionali. Perfino in alcune aree dei paesi industrializzati, sopravvivono pratiche agricole tradizionali.
Una delle caratteristiche distintive di questi sistemi
è il loro grado di diversità vegetale nella forma di
poli-colture e/o modelli d’attività agro-forestali. I
sussidi agli agricoltori hanno tradizionalmente minimizzato il rischio, attraverso la coltivazione di diverse specie e varietà di piante, allo scopo anche di stabilizzare le produzioni a lungo termine.
Tali pratiche sono anche servite a promuovere la
diversità della dieta e massimizzare ritorni sotto
bassi livelli d’input esterni e risorse limitate (Barlett,
1980; Altieri, 1987). Generalmente, agro-ecosistemi
tropicali costituiti da coltivazioni e maggesi, giardini
famigliari complessi e appezzamenti destinati ad attività agro-forestali, contengono sicuramente più di
100 specie di piante per campo, che sono usati per la
produzione/costruzione di materiali, legna da ardere,
attrezzi, medicine, foraggio per animali e cibo per
l’uomo (Altieri e Hecht, 1990).
La diversità d’animali domestici è anche una
caratteristica comune dei sistemi agricoli tradizionali (Chacon e Gleissman, 1982; Chang, 1977).
Molti agro-ecosistemi tradizionali sono situati
nei maggiori centri della diversità delle colture,
come quelli identificati da Vavilov nel 1930 e quelli
più recenti documentati da Zeven e Zhukovsky
(1975) e Harlan (1971). Questi centri contengono la
maggior parte della diversità genetica delle specie di
piante alimentari (Prescott-Allen e Prescott-Allen,
1990) e i sistemi agricoli tradizionali in queste aree
mantengono popolazioni variabili ed adattate di
“land races” (varietà primitive) insieme alle specie
selvatiche affini ed infestanti (Perrino e Monti,
1991; Perrino et al., 1993, 1998).
Per esempio, nelle Ande, gli agricoltori coltivano
qualcosa come 50 varietà di patate nei loro campi
(Brush et al., 1981). In Thailandia e Indonesia, gli
agricoltori mantengono la diversità di varietà di riso
nelle loro risaie, adatte a diverse condizioni ambientali e regolarmente si scambiano i semi con i loro
vicini (Altieri e Merrick, 1987). La diversità genetica
che ne risulta innalza la resistenza alle malattie che
attaccano particolari linee della coltura e dà agli agricoltori la possibilità di utilizzare i diversi microclimi
e diverse condizioni del suolo ottenendo dalla variazione genetica entro specie una nutrizione multipla
ed altri usi (Altieri, 1987; Plucknett et al., 1987).
Molte piante all’interno ed intorno a sistemi di
coltivazioni tradizionali sono selvatiche e parenti di
quelle coltivate. Cicli naturali d’ibridazione e introgressione si sono spesso verificati tra colture e selvatiche affini, aumentando la variabilità e la diver-
93
sità genetica disponibile per gli agricoltori.
Attraverso la pratica della coltivazione “non pulita”,
sia intenzionale sia non intenzionale, gli agricoltori
possono aumentare il flusso tra colture e affini
(introgressione). Per esempio, gli agricoltori del
Messico permettono al teosinte di crescere entro o
nelle vicinanze dei campi di mais, perciò quando il
vento impollina il mais, avvengono degli incroci
naturali e si producono piante ibride (Wilkes 1977;
Brush et al., 1986).
Un crescente numero di scienziati ha sottolineato la necessità della conservazione in situ delle risorse genetiche e per la protezione degli agro-ecosistemi nei quali esse si trovano. Ciò permette l’adattamento continuo e dinamico delle piante all’ambiente
e la gestione tradizionale, specialmente in aree agricole diversificate, dove le colture sono spesso arricchite da scambi di geni con i loro parenti selvatici o
infestanti che crescono nel campo o in ecosistemi
naturali adiacenti. Il mantenimento d’agro-ecosistemi tradizionali ed ecosistemi naturali vicini è una
delle strategie che possono essere usate per preservare in situ germoplasma di piante coltivate (Altieri,
1987; Altieri e Merrick, 1987; Perrino et al., 1994;
Laghetti et al., 1997). Gli accordi sui Diritti degli
Agricoltori della FAO riconoscono l’importanza dei
contributi dati dagli agricoltori tradizionali allo sviluppo e mantenimento della diversità delle colture
come parte dell’International Undertaking on Plant
Genetic Resources Conservation.
Una strategia di sviluppo rurale basata su sistemi agricoli tradizionali, conoscenze etno-botaniche e
tecniche agro-ecologiche, non solo assicura l’uso
continuo e mantenimento di risorse genetiche di
valore, ma favorisce anche la diversificazione di
strategie di sussistenza dei contadini, un argomento
cruciale in aree afflitte da incertezza economica.
Inserendo colture locali e altre piante native in un
disegno d’agro-ecosistemi e d’autosostentamento la
diversità genetica locale è quindi disponibile per gli
agricoltori (Chang, 1977). Recentemente si è assistito ad un crescente interesse nella creazione di
“comunità di gene banks” intese come una strategia
per conservare e usare la diversità delle colture.
Diversi studiosi (Trenbath, 1992; Ramakrishnan,
1992), suggeriscono che le varie misure possono
essere più efficaci nel mantenere la diversità genetica se associate a sistemi agricoli tradizionali, alcuni
dei quali opportunamente modificati sono qui presentati:
• dove si ritiene sia necessario mantenere la diversità genetica, stabilire incentivi politici (per
esempio, esenzione di tasse, sussidi) affinché gli
agricoltori mantengano alcune aree con varietà
•
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•
•
tradizionali (spesso miste), coltivate con tecniche
tradizionali;
diminuire la promozione di varietà omogenee e
tipi di stock esotici quando la rapida espansione
di tali varietà e tipi di stock è collegata ad una
significativa erosione genetica e quando piccoli
agricoltori non beneficiano in modo apprezzabile
da tali provvedimenti;
fare ricerca sui costi-benefici nell’uso di diverse
varietà e stock genetici nelle aziende agricole a
diversi livelli di coltivazione e più alta priorità
presso i centri nazionali di ricerca agricola;
creare capacità nell’ambito di programmi di
estensione agricola statali e non statali per raccogliere informazioni sulla diversità di materiali
genetici domesticati e per conoscere la distribuzione geografica e tassi di cambiamento associati alla diversità genetica agricola;
stabilire sistemi di registrazione di cultivar e
sistemi di monitoraggio per avvertire perdite
imminenti di risorse genetiche agricole, basati
forse su una combinazione di sistemi di estensione agricola e reti di sviluppo agricolo e rurale
non statali;
addestrare agenti di estensione agricola nei valori della diversità di specie vegetali e animali
domestici, includendo il loro ruolo nell’incoraggiare gli agricoltori locali a continuare ad usare
cultivar e razze locali, procurando cultura sul
valore delle risorse genetiche ed il riconoscimento dei loro diritti internazionali come proprietari
di risorse genetiche;
incoraggiare gli agricoltori a mantenere strisce
di terra incolte come habitat per infestanti affini
alle colture — specialmente in aree situate nei
centri di origine o di diversità delle colture;
stabilire comunità di banche di semi e programmi decentralizzati di miglioramento genetico;
procurare agli agricoltori una diversità genetica
ampia, varietà e specie per esperimenti e selezione;
ridisegnare i sistemi agro-forestali per inserire
idee ecologiche tali da rendere più compatibile la
presenza di piante legnose e piante erbacee;
migliorare le valli umide coltivate a riso ed altri
sistemi come i giardini di casa usando specie
appropriate, trasferendo tecnologie indigene da
un’area ad un’altra e riprogettando o aggiornando sistemi sviluppati sulle basi di conoscenze
tradizionali;
rinforzando pratiche zootecniche tradizionali al
fine di rendere più efficace il riciclaggio dei rifiuti tra questo sub-sistema e quello delle colture e
quindi aumentare la produttività e diversità del-
Il germoplasma della Toscana
94
l’agro-ecosistema;
• incoraggiare l’abilità artigianale e la produzione
basata su risorse naturali accessibili alle comunità rurali.
La conservazione e valorizzazione del germoplasma è nelle mani degli agricoltori (conservazione on
farm). Tuttavia, la conservazione ex situ è di fondamentale importanza e principalmente per tre motivi:
1) permette la conservazione di materiali genetici
che per diverse ragioni possono non essere momentaneamente d’interesse agricolo; 2) permette di fornire materiali genetici agli studiosi per esigenze di
ricerca e miglioramento genetico; 3) permette, attraverso la distribuzione, la diffusione di materiali genetici rari e quindi minacciati da erosione genetica.
Mentre si assiste ad una crescente considerazione che gli approcci della più tradizionale conservazione ex situ presentano seri limiti, negli ultimi 20
anni, la conservazione in situ o on farm di diverse
risorse custodite dagli agricoltori è diventato un
argomento sempre più importante (Altieri e
Merrick, 1987; Plucknett et al., 1987; Hoyt, 1988;
Lleras, 1992; Smith et al., 1992; Perrino et al. 1994;
Laghetti et al. 1997; Swaminathan, 1997; Hammer
et al. 1999).
Comunque, anche se considerato il miglior metodo di conservazione di risorse genetiche vegetali
(Brown, 1982; Myers, 1979, 1983) ci sono serie limitazioni nel fare affidamento solo su pratiche tradizionali. Le critiche indicano che i proponenti spesso
non dimostrano come fanno a gestire migliaia di cultivar e razze locali di bestiame (Hawkes, 1977;
Plucknett et al., 1987), e citano i problemi morali di
fare pressione su alcuni agricoltori affinché coltivino
vecchie varietà con bassa produzione, mentre altri
agricoltori coltivano varietà commerciali. Alcuni
propongono di usare sussidi del governo, mentre
altri suggeriscono che finanziamenti privati e sostegni tecnici pubblici e privati dovrebbero essere
applicati per incoraggiare il mantenimento di cultivar e razze tradizionali in aziende agricole attive
(Lleras, 1992).
4.2. Gestione della biodiversità
nell’agricoltura moderna
Nel mondo industriale, sistemi e pratiche d’agricoltura tradizionale sono stati quasi completamente
sostituiti da sistemi commerciali (NAS, 1972).
Questi sistemi applicati su vasta scala sono caratterizzati dall’uso di cultivar e razze d’animali altamente produttive e geneticamente relativamente
omogenee, da alte somministrazioni di fertilizzanti
chimici e pesticidi, e relativamente da pochi miscu-
gli di cultivar e razze d’animali (NAS, 1993). In molte
parti del mondo in via di sviluppo, questi sistemi di
vasta scala stanno diventando prevalenti.
Anche su quest’argomento, la letteratura internazionale è già abbastanza ricca da trovare idee ed
approcci per un’adeguata gestione delle risorse
naturali, biodiversità e germoplasma (Perrino e
Desiderio, 1999).
5. Ruolo delle biotecnologie
nella gestione della biodiversità
Le relazioni tra biotecnologie e biodiversità sono
multidirezionali. Primo, le biotecnologie forniscono
strumenti per valutare la biodiversità. Perciò, esse
giuocano un ruolo sempre crescente nell’identificazione di nuove risorse biologiche. Secondo, forniscono nuovi metodi e linee guida per la conservazione
della biodiversità. Terzo, aumentano la capacità per
una più saggia ed efficiente utilizzazione della biodiversità, sia come risorse genetiche per la produzione, sia nel ripristino d’ecosistemi degradati.
È importante sottolineare che parlando d’organismi ottenuti con moderne biotecnologie non s’intende che essi sono necessariamente dannosi. Così
come parlando d’organismi ottenuti con biotecnologie tradizionali non s’intende che essi sono necessariamente sicuri. Molti studiosi sono d’accordo nell’affermare che la valutazione dei rischi d’organismi
modificati dovrebbe basarsi sulle caratteristiche dell’organismo piuttosto che sui mezzi attraverso i
quali è stato ottenuto.
Le biotecnologie forniscono mezzi per la conservazione della biodiversità in diverso modo.
• In situ. Le biotecnologie possono fornire dati critici per una migliore gestione delle specie.
Permettono di valutare meglio le dimensioni ottimali o minime di popolazioni per il mantenimento della loro diversità e di migliorare le pratiche
volte ad incrementare le popolazioni di specie
selvatiche attraverso oculati trasferimenti.
• Ex situ. Le biotecnologie possono contribuire a
migliorare l’efficienza della conservazione ex
situ della biodiversità attraverso una migliore
conoscenza della diversità e quindi ridurre o evitare la ridondanza nelle collezioni di germoplasma.
• Librerie di DNA. Dette anche collezioni non
viventi. Permettono di conservare in uno spazio
molto piccolo un numero elevato d’informazioni
genetiche che possono essere recuperate per
obiettivi di conservazione ed utilizzazione.
95
Le biotecnologie forniscono mezzi importanti per
utilizzare la biodiversità a beneficio dell’umanità.
• Biofattorie. Gli organismi viventi possono essere
usati come fattorie per la produzione di beni specifici, di prodotti che possono essere usati per
riparare guasti ambientali o in processi industriali e possono servire a rinforzare attività
rurali, manufatturiere ed estrattive.
• Assistenza ai breeders. L’uso dei marcatori genetici può aumentare ed accelerare l’attività di
miglioramento genetico.
• Ingegneria genetica. Anche se non è una soluzione universale, è la tecnica più elegante per
migliorare una varietà e/o razza domestica.
Alcuni protocolli stanno diventando di routine.
• Geni nuovi e prodotti di geni. Le biotecnologie,
attraverso attività di screening, possono aumentare la capacità di localizzare geni e loro prodotti, utili all’umanità, presenti nella biodiversità
che ci circonda.
• Rimedi ambientali. La biodiversità è la risorsa
principale per riabilitare ecosistemi degradati.
Le biotecnologie possono aumentare la specificità e l’efficienza delle azioni riparatorie.
Su come le biotecnologie possono interagire con
la biodiversità ed il germoplasma esiste già una
discreta letteratura (Porceddu, 1984; Perrino e
Desiderio, 1999).
6. Conclusioni
La nostra abilità di mantenere e di utilizzare la
biodiversità ed il germoplasma nel miglior modo
possibile dipende dalle modalità d’uso e di gestione
sostenibile in agricoltura e molte altre attività (selvicoltura, pesca, turismo) svolte per la produzione di
cibi e servizi per il consumo umano (Porceddu,
1992).
Molti sistemi agricoli tradizionali costituiscono
degli esempi di conservazione ed uso sostenibile
della biodiversità.
L’agricoltura moderna è stata la maggiore beneficiaria della biodiversità, particolarmente della
diversità varietale generata dall’agricoltura tradizionale. Essa ha offerto giganteschi incrementi di pro-
duttività attraverso l’innovazione tecnologica e la
diffusione ed utilizzazione di varietà altamente produttive ed uniformi. Incrementi futuri di produttività dipenderanno dal miglioramento della gestione
delle risorse genetiche nel tempo (per esempio,
genebanks) e spazio (per esempio, mosaici di varietà
di piante). Mentre abbiamo ancora una conoscenza
incompleta sulle dimensioni potenziali delle future
perdite di produttività dovute al restringimento delle
basi genetiche, la vulnerabilità genetica delle più
importanti colture ed animali mondiali sembra continui a crescere.
Per soddisfare la domanda di una popolazione
umana mondiale crescente ed allo stesso tempo
mantenere la biodiversità richiede l’adozione di
misure che 1) conservano la diversità genetica delle
esistenti varietà domesticate di piante e d’animali,
2) identificano e conservano specie selvatiche che
possono migliorare la produttività agricola e l’adattabilità per far fronte ai cambiamenti ambientali e 3)
minimizzare gli impatti dell’agricoltura sugli altri
ecosistemi.
Le misure sociali ed economiche, in ogni caso,
nell’assicurare l’uso sostenibile ed ecocompatibile,
possono spesso essere molto più efficaci delle misure tecniche.
Accanto a tutte le misure in situ esiste tutta una
serie d’accorgimenti e/o meccanismi ex situ per
mantenere collezioni di germoplasma, propagare e
diffondere specie minacciate, conservare varietà di
piante o razze d’animali in via d’estinzione ed offrire metodi di ripristino e reintroduzione di specie.
Il fattore limitante per lo sviluppo e la realizzazione delle procedure volte alla tutela della biodiversità e del germoplasma sembra essere la capacità
che ciascuna nazione ha di gestire la sua ricchezza
biotica. In particolare, il successo nella gestione dei
programmi dipende molto da quanto ciascuna
nazione riesce ad incoraggiare la sua capacità
umana a programmare e realizzare compiti che
vanno dall’inventario all’uso delle biotecnologie.
La gestione del germoplasma, in ogni caso, deve
essere affrontata in modo sperimentale, tenendosi
sempre pronti a adattarsi ai nuovi cambiamenti e
flusso d’informazioni. La ricerca deve continuamente fornire ai politici la certezza dei risultati.
Il germoplasma della Toscana
96
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99
Territorio e qualità: dalla memoria al mercato
Francesco Scarafia
Confederazione Italiana Agricoltori - CIA - Toscana
Desidero portare al Convegno il saluto della
Confederazione Italiana Agricoltori della Toscana e
l’apprezzamento per il complesso dei lavori che forniscono utili strumenti per la conoscenza della
materia. Una materia che, come abbiamo già avuto
modo di dire in altre occasioni, caratterizza e rende
peculiare la Toscana. Non mi soffermerò, pertanto,
sulla condivisione degli obiettivi di tutela e valorizzazione delle risorse genetiche autoctone individuati dalla Legge Regionale 50/97. Del resto, negli interventi precedenti sono stati affrontati numerosi
aspetti che evidenziano correttamente il potenziale
di un argomento, sintetizzato efficacemente già nel
titolo di questo Convegno.
Vorrei, piuttosto, richiamare l’attenzione su alcune fasi di un processo di conoscenza e approfondimento che vede, a mio avviso, nel trasferimento dei
risultati conseguiti un momento di grande importanza. E questo, prima di tutto, per quegli agricoltori custodi che, come è stato sottolineato nel precedente intervento della rappresentante dell’Associazione “Agricoltori custodi”, costituiscono un riferimento obbligato e prezioso, sia per arrivare a
Repertori completi e rappresentativi, sia per gestire
il momento successivo della tutela, conservazione e
valorizzazione.
Rispetto a questi soggetti è necessaria una informazione attenta e precisa per consentire, attraverso
la puntuale comprensione degli obbiettivi adottati,
una piena disponibilità e partecipazione. In questo
senso rinnovo la convinta collaborazione della CIA
Toscana, prima di tutto verso i propri associati, con la
consapevolezza che l’interesse culturale, scientifico e
ambientale dell’iniziativa si affianca a ragionevoli
motivazioni di ordine socio-economico. Richiamo soltanto, brevemente, l’impegno della CIA verso una
politica di valorizzazione delle produzioni tipiche e di
qualità che abbiamo sintetizzato nel concetto che soltanto un territorio di qualità può ottenere prodotti di
qualità. È su questa base che si sono costruite posizioni, ritengo note, sulle biotecnologie o sull’assicurazione di qualità dei prodotti agricoli e alimentari.
In questo quadro due elementi sembrano importanti per disegnare lo scenario del prossimo futuro: i
servizi alle imprese e agli imprenditori e politiche di
informazione verso i consumatori e i mercati.
Per quanto riguarda i servizi alle imprese, dobbiamo rinnovare quella che, a nostro avviso, è una
precisa esigenza, vale a dire avere un vero e proprio
sistema di servizi allo sviluppo agricolo che consenta, da una parte adeguati livelli di informazione e di
trasferimento verso gli agricoltori e, dall’altra parte,
ottimali livelli di assistenza e supporto alle scelte
imprenditoriali. Non deve sembrare fuori luogo questo richiamo tecnico. Infatti, siamo convinti che, con
le distinzioni che si renderanno necessarie, per alcuni settori quali la frutticoltura o l’orticoltura, le azioni di tutela e recupero del germoplasma potranno
consentire vere e proprie forme di reintroduzione di
ciò che è ben presentato — nei limiti delle attuali
disponibilità che ci auguriamo potranno crescere —
nell’esposizione che accompagna questo Convegno.
Relativamente alle politiche verso i consumatori
e i mercati richiamiamo soltanto la sensibilità verso
la garanzia e la richiesta di genuinità degli alimenti
cresciuta recentemente. E, parallelamente, l’interesse verso la scoperta o la riscoperta di prodotti alimentari tipici e di qualità. Uno scenario, quindi, di
grande interesse le cui potenzialità possono, e devono, trovare adeguate risposte a iniziare dalle produzioni agricole. Sembra di tutta evidenza come questa
attenzione alimentare trovi un naturale punto di
incontro nel recupero, anche con finalità produttive,
di prodotti altrimenti non disponibili. Un’analisi
anche sintetica dei flussi, per esempio quelli turistici, che interessano la Toscana è indicativa di come
l’attenzione verso il paesaggio, verso le grandi tradizioni gastronomiche presenti sia da valutare atten-
Il germoplasma della Toscana
100
tamente in prospettiva. Nella costante ricerca di
qualità che deve caratterizzare un territorio di pregio come quello toscano, tale attenzione dovrà trovare adeguati momenti di crescita per consentire che
le azioni di recupero con valore economico possano
poi essere il motore di una ulteriore qualificazione,
per esempio, della ristorazione.
Per concludere vorrei porre l’accento, comunque,
sul valore nel suo complesso del recupero del ger-
moplasma in Toscana. Ho richiamato alcuni aspetti
soprattutto economici e produttivi più direttamente
legati ai produttori ma, come CIA Toscana, abbiamo
la consapevolezza che le finalità della Legge Regionale 50/97 — economiche, scientifiche e culturali —
abbiano un valore nella loro interezza e questo sia
un ulteriore elemento di valorizzazione dell’agricoltura toscana in un corretto approccio di sviluppo
rurale.
101
La biodiversità e l’agricoltura: la tutela delle risorse
genetiche nel Lazio
Antonio Onorati
Responsabile Segreteria Assessore regionale all’Agricoltura della Regione Lazio
Fin dal Neolitico, la diffusione delle prime specie
vegetali e animali “domesticate” dalla Mezzaluna
Fertile, in Medio Oriente, verso l’Europa Occidentale
e le coste del Nord dell’Africa e l’adattamento dei
sistemi di coltura e d’allevamento alla diversità delle
condizioni ambientali accompagnarono la nascita
delle grandi civiltà lungo le coste del bacino del
Mediterraneo.
Per tutta l’antichità l’agricoltura mediterranea
continuò ad arricchirsi di nuove piante e animali
provenienti soprattutto dal Medio Oriente e dall’Asia
Centrale. Il Mediterraneo è in ogni caso considerato
centro d’origine di almeno 84 specie vegetali d’interesse agrario (cfr. IPGRI, 1994).
L’abilità degli agricoltori — così come riconosciuto dalle normative internazionali — ha in seguito
contribuito all’aumento della diversità: razze, specie
e varietà meglio adattate alle diverse condizioni del
territorio sono state identificate, sperimentate,
migliorate e coltivate per secoli, specie e varietà
capaci di dare frutti durante tutto l’arco dell’anno,
spesso resistenti alle fitopatie e facili da conservare.
Queste piante e animali sono stati, fino a tempi
recenti, parte costitutiva non solo dell’economia e
del paesaggio, ma anche della vita sociale, del quotidiano e dell’immaginario culturale delle popolazioni
rurali del nostro paese e anche della nostra regione.
Lo sviluppo negli ultimi decenni di un’agricoltura impegnata a produrre materie sempre più omogenee unitamente a metodi di trasformazione a carattere industriale, hanno indotto gli agricoltori ad
abbandonare molte varietà, cultivar, razze tradizionali a favore di varietà ad alto rendimento. Sono
quindi iniziati processi di erosione genetica che rendono via via più fragile l’intero sistema agricolo.
Contemporaneamente un’agricoltura sempre più
specializzata ha prodotto un progressivo impoverimento dei suoli ed ha reso le produzioni più esposte
a parassiti e predatori, rendendo necessario il ricorso a quantità crescenti di fertilizzanti e pesticidi di
sintesi. L’uso massiccio della chimica in agricoltura
è, come è noto, una delle cause dell’inquinamento
ambientale.
Oggi è irrinunciabile mettere in atto iniziative in
grado di contrastare tali processi, in particolare in
quei territori — come il Lazio — in cui lo sviluppo agricolo e rurale può trarre enorme vantaggio da una
rigorosa politica di qualità e sicurezza alimentare.
Nonostante i processi di degrado, nel nostro
Paese si è conservata una variabilità importante ed
una presenza notevole di specie di interesse agricolo.
Le piante da frutto coltivate per essere utilizzate
per scopi plurimi raramente trovavano spazio in organizzati frutteti, più spesso erano piante molto vigorose, isolate o vicine alle case, servivano da tutori della
vite, delimitavano confini e curve di livello, erano
individualmente riconosciute e apprezzate per le specifiche caratteristiche dei frutti che producevano.
Questo fa dell’Italia un’area rimarchevole per
qualsiasi strategia di conservazione della biodiversità: di qui la necessità e l’urgenza di mettere in atto
iniziative utili alla difesa e valorizzazione del nostro
patrimonio genetico di interesse agrario e di sostegno a chi questo patrimonio ha contribuito a creare
e mantenere, in primo luogo gli agricoltori.
La difesa della biodiversità ormai è diventato un
valore non più discusso. Resta da garantire ai soggetti sociali che nel corso dei millenni l’hanno salvaguardata, mantenuta, potenziata, la possibilità di
averne un’effettiva autonoma capacità di gestione e
di poterla utilizzare come fonte di reddito.
In assenza ancora oggi di una legge nazionale, la
Regione Lazio sulla scorta delle indicazioni fornite
dalla Convenzione di Rio sulla Biodiversità (1992),
in particolare agli artt. 2 e 8, delle iniziative della
Commissione Agricoltura del Parlamento nazionale,
Il germoplasma della Toscana
102
dei risultati acquisti attraverso alcuni Regolamenti
comunitari, tra cui il Reg. 2078/92, il Reg. 1467/94
e dell’esperienza di altre regioni (es. Toscana) e di
importanti istituzioni internazionali, ha deciso di
dotarsi di un proprio quadro di riferimento giuridico.
L’interesse della Regione per una sua specifica
normativa è diventato più evidente dopo l’approvazione della riforma della Politica Agricola
Comunitaria, delle modifiche europee alla disciplina
sementiera e della direttiva comunitaria sulla brevettazione del vivente (Dir. 44/98 UE), nonché dell’insieme delle disposizioni relative ai riconoscimenti delle protezioni DOP e IGP.
Va ricordato, inoltre, che una parte rilevante delle normative sementiere in vigore o in via di modifica attribuisce compiti importanti ed aggiuntivi alle
stesse Regioni e che pertanto questa regione deve
attrezzarsi a adempiere i compiti che le sono trasferiti dal Governo nazionale.
Abbiamo inteso sviluppare un quadro normativo
regionale che sostenga gli sforzi per conservare in
situ ed in azienda la biodiversità di interesse agricolo e sia capace di:
1 - identificare metodologie appropriate e linee
guida per appoggiare e monitorare la conservazione in situ fatta dagli agricoltori;
2 - coordinare la raccolta e l’analisi dei dati relativi
alla biologia delle specie ed agli aspetti socio-economici e culturali propri della biodiversità di
interesse agricolo nella nostra Regione;
3 - sviluppare le reti di supporto necessarie a rafforzare le capacità di conservazione e creazione
varietale a livello di Comunità locali;
4 - provvedere all’elaborazione di un quadro unico
di riferimento per valutare in modo omogeneo la
qualità e la fattibilità di progetti di conservazione in situ e in azienda di specie e varietà di interesse agricolo, che, al di là della redditività economica, si propongano di promuovere l’uso di
germoplasma di origine locale, di difendere e
valorizzare i prodotti locali (DOC, DOP e IGP), di
mettere in atto interventi di difesa, recupero e
ripristino di territori in via di marginalizzazione;
5 - sostenere le capacità di ricerca-azione specificamente finalizzata alla conservazione in situ da
parte di istituzioni quali il CNR, le Università, gli
Istituti del MIPA che hanno sede nella nostra
regione e delle organizzazioni non governative, e
il supporto a tutti quei programmi che prevedono una collaborazione diretta tra le istituzioni
della ricerca formale, gli agricoltori e le associazioni impegnate nelle attività di conservazione in azienda;
6 - identificare le linee per la predisposizione di par-
ticolari accordi contrattuali con gli agricoltori ed
i Comuni che partecipano ad attività di conservazione, che garantiscano i diritti collettivi sul
germoplasma collezionato, conservato o in ogni
modo mantenuto a livello locale;
7 - identificare incentivi e forme di compensazione
per sostenere la conservazione in azienda della
diversità biologica.
Esistono problematiche che, pur di carattere
generale, non possono non essere affrontate da questa legge.
È evidente che una legge regionale di difesa della
biodiversità d’interesse agricolo, può prevedere
misure specifiche di protezione (registro volontario)
e di supporto (incentivi), mentre deve rimandare le
problematiche relative ai diritti sulle risorse genetiche ad altro dispositivo.
Particolarmente delicata, inoltre, è la demarcazione tra interesse privato e interesse collettivo relativamente a questo tipo particolare di risorse.
Da un punto di vista strettamente formale vi
sono alcune certezze su cui ormai non si discute più.
Intanto è evidente che ogni Nazione ha diritti sovrani sul suo territorio, incluse le risorse naturali (cfr.,
Risoluzione 1803 della UN General Assembly, 1962;
confermato nel punto 21 dei Principi approvati dalla
Conferenza delle Nazioni Unite “The Human
Environment”, 1972 e ripreso all’art. 3 della Convenzione sulla Biodiversità, Rio UNCED, 1992). Evidentemente ogni Stato ha il potere e la giurisdizione per
disporre, tra l’altro, come queste devono essere
usate e ridistribuite.
Lo Stato, vista la natura specifica delle risorse
genetiche e della biodiversità, ha facoltà di determinare quale tipo e con quali modalità sono riconosciuti, imposti, protetti diritti sulle risorse genetiche. Questi diritti possono includere diritti di proprietà, ma non necessariamente, così come previsto
dall’accordo conosciuto come “UPOV ’78” e l’accordo
TRIP (cfr. art. 27.3/b).
In ogni caso questi diritti sovrani sono soggetti
agli obblighi che derivano da accordi internazionali
e dal rispetto di diritti sovrani di altri Stati.
Questo punto è fondamentale per regolamentare
il “diritto d’accesso” alle risorse genetiche e alla biodiversità. Non ci sono dubbi: questo è possibile solo
sulla base di termini e condizioni mutuamente
accettate (cfr. Convenzione sulla Biodiversità – Rio
UNCED, 1992).
Sappiamo che da una parte ci sono diritti sulla
pianta o l’animale come tale, essere vivente “fisico”
che evidentemente “appartiene” a chi in un dato
momento vi ha stabilito un diritto relativo a questa
103
fisicità. Ma ben più importante è che le piante e gli
animali come risorsa genetica sono portatori di
“informazioni” e quindi devono rientrare nella sfera
dei diritti su “risorse intangibili”.
Nel primo tipo di godimento i diritti stabiliti possono essere di natura privata (proprietà privata) o di
natura pubblica (proprietà pubblica, collettiva, ancestrale, etc.). Se una terra appartiene a qualcuno, è
evidente che le piante che ci crescono sopra gli
appartengono.
Altro è per il contenuto intangibile delle risorse
genetiche (informazioni contenute nel DNA, geni e
genotipo) che, se non stabilito altrimenti da leggi specifiche, sono considerate una merce che ha un valore
ma non un mercato, fintanto che questo non è creato
attraverso legislazioni appropriate e specifiche (brevetti, negoziati tra le parti, diritti d’ottenzione, diritti
sui generis, consuetudini, diritti collettivi, etc.).
Evidentemente più complesso appare il caso di
piante coltivate quando si parla di razze e varietà
autoctone (“landraces o folkseeds”) che sono etero-
genee e variabili nelle loro caratteristiche da contrapporre alle cosiddette “varietà moderne” che sono
omogenee e stabili, e quindi già protette con diritti
d’ottenzione. Tutte quelle forme che in concreto possono prendere la parte non fisica del valore delle
risorse genetiche devono essere “protette” in qualche modo da chi esercita un diritto sovrano, lo Stato,
l’insieme degli Stati e le entità subnazionali dotate
di potere legislativo.
Vorremmo anche ricordare che il nostro ordinamento nazionale prevede espressamente limiti di
natura sociale alla proprietà privata. Si veda a questo proposito: artt. 846 e 847 del Codice Civile e lo
stesso art. 42 della Costituzione.
Tutte queste precisazioni sono necessarie per
capire la natura, il fondamento e le modalità della
compensazione che deve essere riconosciuta a chi è
— in qualche modo — all’origine del mantenimento
della diversità biologica o che comunque in un preciso momento ne ha la disponibilità perché detentore della parte fisica di questa (la pianta o l’animale).
ALLEGATO
Legge Regionale n. 15 del 1° marzo 2000
Tutela delle risorse genetiche autoctone di interesse agrario
(Bollettino ufficiale della Regione Lazio, 30 marzo 2000, n. 9)
Art. 1
(Oggetto)
1. La Regione Lazio favorisce e promuove, nell'ambito delle
politiche di sviluppo, promozione e salvaguardia degli
agroecosistemi e delle produzioni di qualità, la tutela delle
risorse genetiche autoctone di interesse agrario, incluse le
piante spontanee imparentate con le specie coltivate, relativamente alle specie, razze, varietà, popolazioni, cultivar,
ecotipi e cloni per i quali esistono interessi dal punto di
vista economico, scientifico, ambientale, culturale e che
siano minacciati di erosione genetica.
2. Possono considerarsi autoctone, ai fini di cui al comma 1,
anche specie, razze, varietà e cultivar di origine esterna,
introdotte nel territorio regionale da almeno cinquanta anni
e che, integratesi nell'agroecosistema laziale, abbiano
assunto caratteristiche specifiche tali da suscitare interesse ai fini della loro tutela.
3. Possono altresì essere oggetto di tutela a norma della presente legge anche le specie, razze, varietà, attualmente
scomparse dalla Regione e conservate in orti botanici, allevamenti, istituti sperimentali, banche genetiche pubbliche
o private, centri di ricerca di altre regioni o paesi, per le
quali esiste un interesse a favorire la reintroduzione.
1.
2.
3.
a)
b)
Art. 2
(Registro volontario regionale)
Al fine di consentire la tutela del patrimonio genetico, è
istituito il registro volontario regionale, suddiviso in sezione animale e sezione vegetale, al quale sono iscritte specie, razze, varietà, popolazioni, cultivar, ecotipi e cloni di
interesse regionale di cui all'articolo 1.
Il registro di cui al comma 1 è tenuto dall'Agenzia regionale per lo sviluppo e l'innovazione in agricoltura del Lazio
(ARSIAL).
La Giunta regionale, entro sei mesi dalla data di entrata in
vigore della presente legge, determina le modalità per la
tenuta del registro volontario regionale e per l'iscrizione in
esso delle specie e varietà di cui all'articolo 1, tenendo
conto dei seguenti criteri:
il registro volontario regionale, costituito dalle sezioni animale e vegetale, è organizzato secondo modalità che tengano conto delle caratteristiche tecniche di analoghi strumenti eventualmente esistenti a livello nazionale ed internazionale, in modo da renderlo quanto possibile omogeneo
e confrontabile con gli stessi;
le accessioni di cui all’art. 1, comma 1, per essere iscritte
al registro volontario regionale devono essere identificabili
Il germoplasma della Toscana
104
per un numero minimo di caratteri definiti per ogni singola
entità;
c) l'iscrizione nel registro volontario regionale è gratuita ed
eseguita a cura dell'ARSIAL, previa acquisizione del parere
favorevole della competente commissione tecnico-scientifica di cui all'articolo 3;
d) l'iscrizione avviene ad iniziativa d'ufficio dell'ARSIAL, ovvero
su proposta della Giunta regionale, di enti scientifici, enti
pubblici, organizzazioni ed associazioni private e singoli cittadini;
e) alla domanda di iscrizione è allegata una specifica documentazione storico-tecnico-scientifica;
f) il materiale iscritto nel registro volontario regionale può
essere cancellato dall'ARSIAL, previo parere favorevole della
competente commissione tecnico-scientifica di cui all'articolo 3, quando non sussistano più i requisiti di cui all'articolo 1, comma 1.
1.
2.
3.
4.
5.
Art. 3
(Commissioni tecnico-scientifiche)
Per lo svolgimento dei compiti di cui alla presente legge
sono istituite la commissione tecnico-scientifica per il settore animale e la commissione tecnico-scientifica per il
settore vegetale.
La commissione tecnico-scientifica per il settore animale è
composta da:
a) un funzionario del dipartimento regionale competente in
materia di risorse genetiche animali in agricoltura;
b) un funzionario dell'ARSIAL competente in materia di risorse genetiche animali in agricoltura;
c) un agricoltore che detiene materiale animale la cui tutela è prevista dalla presente legge, in rappresentanza del
mondo agricolo;
d) cinque esperti del mondo scientifico ed accademico competenti in materia di risorse genetiche animali in agricoltura.
La commissione tecnico-scientifica per il settore vegetale
è composta da:
a) due funzionari del dipartimento regionale competenti in
materia di risorse genetiche di piante erbacee, arboree e
forestali di interesse agrario;
b) un rappresentante dell'ARSIAL competente in materia di
risorse genetiche di piante erbacee, arboree e forestali di
interesse agrario;
c) un agricoltore che detiene materiale di piante erbacee,
arboree o forestale di interesse agrario la cui tutela è prevista dalla presente legge, in rappresentanza del mondo
agricolo;
d) dieci esperti del mondo scientifico ed accademico competenti in materia di risorse genetiche di piante erbacee,
arboree e forestali di interesse agrario.
Le commissioni di cui ai commi 2 e 3 restano in carica per
cinque anni ed eleggono nel proprio seno il presidente.
Per la designazione e la nomina dei componenti le commissioni di cui ai commi 2 e 3, nonché per la corresponsione agli stessi di un gettone di presenza per ogni seduta
e per il rimborso delle spese di viaggio e delle eventuali
indennità di missione, si applica la vigente normativa regionale in materia.
6. L'ARSIAL fornisce, attraverso i propri uffici, il necessario supporto tecnico-operativo per il funzionamento delle commissioni di cui ai commi 2 e 3.
1.
2.
3.
4.
5.
Art. 4
(Rete di conservazione e sicurezza)
La protezione e la conservazione delle risorse genetiche
autoctone di interesse agrario, iscritte nel registro volontario regionale di cui all'articolo 2, si attua mediante la costituzione di una rete di conservazione e sicurezza, di seguito
denominata rete, gestita e coordinata dall'ARSIAL, cui possono aderire comuni, comunità montane, istituti sperimentali, centri di ricerca, università agrarie, associazioni d'interesse e agricoltori singoli od associati.
La rete si occupa della conservazione in situ o in azienda
del materiale genetico di interesse regionale di cui all'articolo 1 e della moltiplicazione di tale materiale al fine di renderlo disponibile agli operatori agricoli che ne facciano
richiesta, sia per la coltivazione sia per la selezione ed il
miglioramento.
L'ARSIAL predispone elenchi, su base provinciale, dei siti in
cui avviene la conservazione ai sensi del comma 2 e li trasmette annualmente ai comuni interessati che provvedono
all'informazione relativamente all'esistenza dei siti stessi.
Gli agricoltori inseriti nella rete possono vendere una modica quantità delle sementi da loro prodotte, stabilita per
ogni singola entità al momento dell'iscrizione al registro
volontario regionale. Gli agricoltori inseriti nella rete possono, altresì, effettuare la risemina in azienda.
Gli agricoltori, gli enti, i centri di ricerca, le università agrarie e le associazioni proprietari di materiale vegetale o animale tutelato con la presente legge, che non aderiscono
alla rete, sono tenuti a fornire all'ARSIAL una parte del materiale vivente ai fini della moltiplicazione, per garantire la
conservazione delle informazioni genetiche presso altro
sito.
Art. 5
(Patrimonio delle risorse genetiche)
1. 1.
Fermo restando il diritto di proprietà su ogni pianta
od animale iscritti nel registro di cui all'articolo 2, il patrimonio delle risorse genetiche di tali piante od animali
appartiene alle comunità indigene e locali, all'interno delle
quali debbono essere equamente distribuiti i benefici, così
come previsto all'articolo 8j della Convenzione di Rio sulle
Biodiversità (1992), ratificata con legge 14 febbraio 1994,
n. 124.
Art. 6
(Piano settoriale di interventi)
1. La Regione approva, ogni triennio, entro il 30 giugno, un
piano settoriale di intervento, nel quale sono stabilite le
linee guida per le attività inerenti la tutela delle risorse
genetiche autoctone di interesse agrario.
2. Nel piano settoriale di cui al comma 1, la Regione:
a) favorisce le iniziative, sia a carattere pubblico sia priva-
105
to, che tendono a conservare la biodiversità autoctona di
interesse agrario, a diffondere le conoscenze e le innovazioni per l'uso e la valorizzazione di materiali e prodotti
autoctoni, la cui tutela è garantita dalla presente legge;
b) assume direttamente iniziative specifiche atte alla tutela, miglioramento, moltiplicazione e valorizzazione delle risorse genetiche autoctone;
c) prevede specifiche iniziative per incentivare gli agricoltori inseriti nella rete di conservazione e sicurezza.
3. Nell'ambito ed in applicazione del piano settoriale di cui al
comma 1, la Regione predispone, per ognuna delle annualità comprese nel triennio, un programma operativo annuale per la realizzazione delle attività ed iniziative previste,
specificando tra l'altro le risorse economiche a disposizione, l'entità dei singoli interventi contributivi ed i relativi
soggetti beneficiari, le modalità di accesso e di erogazione
dei benefici, le zone prioritarie d'intervento e le forme di
controllo delle iniziative svolte.
4. Sono beneficiari dei contributi previsti dai programmi operativi tutti gli operatori che aderiscono alla rete nonché gli
agricoltori che producono per il mercato il materiale autoctono d'interesse agrario individuato nel registro volontario
regionale.
5. I programmi operativi annuali sono attuati dall'ARSIAL e sottoposti a controllo e monitoraggio da parte del dipartimento regionale competente in materia di agricoltura.
Art. 7
(Divieti e sanzioni)
1. All'interno delle aree naturali protette regionali, delle aree
d'interesse comunitario, nazionale e regionale individuate
dalla deliberazione della Giunta regionale 19 marzo 1996,
n. 2146 e nei siti inseriti negli elenchi di cui all'articolo 4,
comma 3, nonché nelle zone limitrofe alle predette aree,
per una distanza di almeno 2 km, è fatto divieto di usare
organismi geneticamente modificati.
2. Per le violazioni alle disposizioni di cui alla presente legge
si applicano le seguenti sanzioni:
a) sanzione amministrativa pecuniaria da lire 1 milione a lire
6 milioni per chi contravviene al divieto di cui al comma 1b)
sanzione amministrativa pecuniaria da lire 500 mila a lire 3
milioni per chi contravviene all'obbligo di cui all'articolo 4,
comma 5;
c) sanzione amministrativa pecuniaria fino a lire 1 milione
per le violazioni non espressamente previste.
3. Le violazioni sono accertate ai sensi della legge 24 novembre 1981, n. 689 e successive modificazioni ed integrazioni, regolamentate dalla legge regionale 5 luglio 1994, n.
30.
4. Alla vigilanza ed all'irrogazione delle sanzioni di cui al
comma 2 provvedono i comuni territorialmente competenti. Per la ripartizione tra la Regione ed i comuni degli importi delle sanzioni comminate si applica quanto disposto dall'articolo 182, comma 2, della legge regionale 6 agosto
1999, n. 14.
Art. 8
(Clausola sospensiva dell’efficacia e divieto di cumulo)
1. Agli aiuti previsti dalla presente legge è data attuazione a
decorrere dalla data di pubblicazione nel Bollettino ufficiale della Regione (BUR) dell'avviso relativo all'esito positivo
dell'esame di compatibilità da parte della Commissione
delle Comunità europee ai sensi degli articoli 87 e 88 del
Trattato istitutivo della Comunità europea.
2. I finanziamenti concessi ai sensi della presente legge non
sono cumulabili con quelli previsti per le medesime iniziative da altre leggi statali e regionali.
Art. 9
(Norma finanziaria)
1. Gli oneri di cui alla presente legge rientrano negli stanziamenti annualmente previsti nel bilancio regionale a favore
dell'ARSIAL.
La presente legge regionale sarà pubblicata sul Bollettino
Ufficiale della Regione. È fatto obbligo a chiunque spetti di
osservarla e di farla osservare come legge della Regione
Lazio.
107
La biodiversità: un patrimonio da salvare
Riccardo Fortina
WWF Piemonte e Valle d’Aosta, Presidente
Ho accettato con piacere l’invito dei colleghi del
WWF Toscana a parlare di agricoltura e biodiversità
a nome del WWF perché è proprio in questa Regione
che si stanno facendo gli sforzi maggiori per salvaguardare il patrimonio animale e vegetale autoctono
e perché è proprio in Toscana che il WWF gestisce le
più importanti e belle Oasi naturalistiche dell’Associazione. Le Oasi del WWF costituiscono il più grande sistema di aree protette gestito da una associazione privata (sono quasi 40.000 ettari sparsi in tutto il
territorio nazionale), e in molte di esse si praticano
attività agricole spesso mirate alla conservazione del
germoplasma autoctono animale e vegetale.
Poiché mi occupo di zootecnia al Dipartimento di
Scienze Zootecniche dell’Università di Torino, questo mio breve intervento riguarderà principalmente
il settore della produzione animale.
Per il WWF la salvaguardia delle razze autoctone
italiane non è solo un obiettivo fondamentale per la
conservazione della biodiversità in agricoltura ma,
più in generale, per la tutela di quel patrimonio di
cultura, tradizioni e attività contadine che tanta
importanza hanno avuto nel nostro Paese. Basti
ricordare, a tale proposito, il ruolo avuto dalla zootecnia nella creazione del paesaggio agrario italiano
e quello dei prodotti di origine animale nel raggiungimento dei primati gastronomici che hanno reso
celebre l’Italia nel mondo.
Per questo motivo, il WWF ritiene che il recupero
o il miglioramento di tecniche di allevamento quali
la linea vacca-vitello con le razze italiane, il pascolo
turnato e altre forme di sfruttamento razionale delle
risorse foraggere costituiscano fattori essenziali per
il rilancio di un comparto oggi in forte crisi.
Numerose ricerche hanno ormai ampiamente dimostrato la sostenibilità economica di questi tipi di allevamento, gli unici capaci fornire prodotti in grado di
soddisfare un mercato sempre più esigente in fatto
di qualità.
La zootecnia italiana, come da più parti ricordato,
sta vivendo in un mercato del tutto anomalo che non
è più sostenibile sia in termini economici, sia in termini di qualità ambientale e dei prodotti. Il continuo
calo dei prezzi ha favorito ristallatori e ingrassatori
di razze straniere a discapito dei tradizionali allevamenti estensivi; soprattutto nel settore della produzione della carne (bovini, ma anche suini e polli) è
quindi necessario recuperare un più solido legame
tra azienda e territorio che sia economicamente competitivo.
Questo riequilibrio, da sempre auspicato dal
WWF e ben prima dell’attuale “modello agricolo europeo”, può finalmente iniziare attraverso l’attuazione
di tutte le politiche di sviluppo rurale previste dalla
riforma della Politica Agricola Comunitaria. Ben
vengano quindi gli incentivi all’allevamento estensivo, le compensazioni al progressivo calo dei prezzi e
i premi per sostenere gli allevamenti in aree marginali. Senza queste manovre e di fronte alla prossima
riduzione dei prezzi verranno nuovamente favoriti i
grandi allevamenti intensivi; è urgente uscire da
questo circolo vizioso, frutto di politiche agricole
sbagliate che hanno provocato la chiusura di
migliaia di piccole aziende che avevano legami strettissimi con il proprio territorio, che hanno favorito
gli ammassi delle eccedenze e che sono state la
causa di problemi ambientali gravissimi.
Il rilancio della zootecnia italiana passa quindi
attraverso il riequilibrio del legame tra azienda e territorio: solo in questo modo sarà possibile vincere la
sfida con le economie degli altri Paesi europei.
Per il WWF non basta produrre bene e igienicamente o, come ormai si dice da più parti, recuperare
antiche lavorazioni e prodotti tipici. Bisogna anche e
soprattutto recuperare la qualità dell’ambiente di
allevamento, le tecniche tradizionali di gestione e di
Il germoplasma della Toscana
108
alimentazione degli animali (mettendo in pratica i
risultati della moderna ricerca scientifica), mantenere in vita le razze autoctone e redistribuire su tutto
il territorio la produzione e i redditi.
Ed è proprio in questa ottica che in Toscana, e in
particolare nei nuovi terreni acquisiti a Orbetello
(oltre 100 ettari prevalentemente a uso agricolo), il
WWF intende avviare una attività agricola che avrà
tra gli obiettivi anche la conservazione di razze e
cultivar autoctone.
Oltre alla produzione di carne e latte e ad attività
didattico-educative, nella nuova azienda agraria del
WWF a Orbetello sarà possibile, a quanti saranno
interessati a iniziative di conservazione della biodiversità, svolgere le proprie attività di ricerca e sperimentazione; è previsto infatti che alcuni dei terreni vengano a tale scopo messi a disposizione di coloro che ne faranno richiesta.
Quello che rivolgo in questa sede è quindi un
invito a istituzioni pubbliche e private toscane a proporre progetti e collaborazioni con il WWF. Ricordo
che è gia stato firmato un protocollo d’intesa tra
ARSIA e WWF Toscana e che pertanto è auspicabile
l’avvio di una fattiva collaborazione anche sulle
tematiche di cui oggi si è ampiamente discusso.
Ricollegandomi ad alcuni interessantissimi
spunti di dibattito offerti dai relatori precedenti,
concludo augurando ai colleghi del WWF Toscana la
rapida realizzazione, all’interno di una delle Oasi
storiche dell’Associazione, di un intervento dove
venga coniugata in maniera efficace la conservazione della natura con l’esigenza di mantenere quelle
attività agro-zootecniche che hanno reso il paesaggio
toscano, e della Maremma in particolare, così famoso e unico.
109
La Società Italiana dell’Iris ed il suo giardino
Sergio Orsi
Presidente della Società Italiana dell’Iris - Firenze
L’interesse per la divulgazione e l’ibridazione di
questa magnifica iridacea, così adatta a studi di
genetica, è ormai diffusissimo non solo nei paesi di
lingua inglese (USA, Gran Bretagna, Australia, Nuova Zelanda), ma anche in Europa (Francia, Germania, Romania, Repubblica Ceca, Svizzera, Spagna,
Israele, Olanda, Italia), in Asia (Giappone) e Sud
Africa.
A Firenze, al Piazzale Michelangelo, nel Giardino
della Società dell’Iris (SIDI), società creata nel 1959,
esiste una collezione di Iris unica in Italia ed una
delle più note nel mondo. I circa 2.000 incroci che vi
sono raccolti provengono da ibridatori di tutto il
mondo che, dal 1957, inviano annualmente le loro
migliori creazioni per concorrere al Concorso internazionale dell’Iris che, ininterrottamente, si svolge a
partire dal 1957. Il valore di questi ibridi viene valutato da una Giuria internazionale di cinque esperti,
che cambiano ogni anno, la quale basandosi su prestabiliti parametri stabilisce una graduatoria di
merito con relativi premi.
La collezione, unica in Europa, comprende sia
molte specie spontanee da cui è partito il lavoro di
miglioramento genetico (Iris florentina, I. germanica, I. pallida, I. variegata, I. odoratissima, ecc.), sia
una successione di forme che risultano dal lavoro di
selezione, dai primi tentativi a quelli più recenti. Si
tratta di una collezione che all’interesse scientifico
(conservazione di prezioso germoplasma) unisce un
valore storico e culturale di grande rilievo; la ricca e
rara documentazione del campo di variabilità delle
forme di Iris presenti nel Giardino, sia di quelle
spontanee ma anche e, soprattutto, di quelle ibride,
oggi numerosissime, costituisce una fonte di dati per
studi di genetica sia pura che applicata e per studi di
processi evolutivi. Il giardino, ben conosciuto come
centro di raccolta di Iris barbate alte e nane, riveste
quindi anche un ruolo di giardino botanico che può
offrire a studiosi di fare osservazioni e ricerche di
biologia, di sistematica e di genetica.
Ogni anno, a maggio, in concomitanza del Concorso i snternazionale la Società organizza un corso
teorico-pratico di ibridazione dell’Iris corso che è
molto apprezzato e frequentato da tutti coloro che
desiderano scoprire i misteri e le meraviglie del
mondo vegetale ed in particolare di questo fiore.
La SIDI, che conta oggi intorno ai quattrocento
soci, si prefigge di: incoraggiare, migliorare ed
estendere la coltivazione dell’Iris; collaborare con
altri enti, società affini italiane ed estere (è allo studio la creazione di una Associazione europea delle
Società dell’Iris); promuovere studi scientifici ed iniziative di vario tipo per migliorare la conoscenza del
genere Iris e piante affini; regolare la nomenclatura,
la classificazione e registrazione delle cultivar di
Iris.
209
V. Il germoplasma toscano delle specie legnose da frutto
Il germoplasma toscano delle specie legnose da frutto:
il noce
E. Bellini, F.P. Nicese, C. Bertagnini
Dipartimento di Ortoflorofrutticoltura, Università degli Studi di Firenze
1. Introduzione
2. Materiali e metodi
In Italia il noce da frutto è largamente coltivato,
adattandosi alla variabilità ambientale e pedologica
che caratterizza il nostro paese. Tuttavia la coltura è,
nel suo complesso, in costante e progressivo declino
da molti anni: da 80.000 tonnellate circa nel triennio
1968-70 è passata a 10.000 t/anno secondo gli ultimi dati ISTAT (Lugli e Fanigliulo, 1998). L’evoluzione
e l’attuale situazione della coltura del noce in
Toscana seguono, nel complesso, l’andamento nazionale. Differenze sostanziali riguardano la distribuzione altimetrica della coltura, più diffusa in collina
ed in montagna, la sua ridotta presenza come coltura specializzata (Fig. 1) e l’assoluta prevalenza della
produzione da piante sparse. È quindi apparsa evidente l’esigenza di reperire e caratterizzare genotipi
locali di pregio (soprattutto per ciò che riguarda il
frutto) in aree della Toscana tradizionalmente interessate dalla presenza del noce, quali le province di
Firenze ed Arezzo, per evitare la loro scomparsa.
La ricerca, avviata già da alcuni anni (Bertagnini,
1997; Nicese et al., 1998), si è inizialmente basata
sulla raccolta di informazioni (istituzioni pubbliche
e privati cittadini) circa la presenza di piante di particolare interesse (es.: età e fruttificazione); sono
state quindi individuate alcune piante sulle quali è
stata effettuata una serie di rilievi, basati sui descrittori IPGRI (1994) e sulle schede UPOV (1995), come
segue:
Fig. 1 - Noce: esempio di coltivazione consociata al nocciolo nel comune di Rignano sull’Arno
Fig. 2 - Noce: esempi di forme diverse di frutti reperiti nel
corso della sperimentazione
• rilievi fenologici: epoche di germogliamento e di
fioritura, tipo di fruttificazione, numero di fiori
femminili/gemma e di fiori maschili/amento,
epoca di maturazione;
• rilievi carpometrici: forma, altezza, larghezza,
spessore della noce, colore e tessitura delle valve,
tipo di sutura, peso totale e del solo gheriglio;
• rilievi merceologici: tipo di apertura delle valve,
resistenza allo schiacciamento, resa in sgusciato.
Il germoplasma della Toscana
210
Fig. 3 - Noce: epoca di
germogliamento suddivisa
in classi di frequenza
20-30 aprile
7
8-15 aprile
6
16-22 aprile
5
1-8 maggio
4
1-7 aprile
3
2
1
0
Molto precoce
Precoce
Media
Tardiva
Molto tardiva
Fig. 4 - Noce: peso medio (g)
del gheriglio dei genotipi
individuati
60
50
Sorrento
40
30
20
10
3. Risultati
Le ricerche hanno portato, sinora, alla individuazione di 33 ecotipi con caratteristiche morfologiche
e biologiche alquanto diversificate (Fig. 2). L’epoca
di germogliamento, che negli ambienti dell’Italia
centrale è bene sia alquanto ritardata per sfuggire a
pericolose gelate tardive, è risultata compresa tra la
prima settimana di aprile e la prima di maggio; ben
11 ecotipi hanno evidenziato un germogliamento
dopo il 22 aprile, quindi tardivo o molto tardivo (Fig.
3). Relativamente ai dati carpometrici, la maggior
parte degli ecotipi si è collocata tra i 9 ed i 14 g di
peso medio del frutto, con punte sino ai 17 g, anche
se accompagnate da rese in sgusciato più modeste
(30-35%).
Anche i rilievi sul gheriglio hanno evidenziato
un livello del materiale individuato sostanzialmente
buono, con 18 ecotipi nell’ambito o al di sopra del
42
8
36
27
22
43
40
7
6
38
1
44
14
39
19
4
17
37
28
2
45
6
12
31
21
16
18
10
26
15
11
23
33
0
livello della “Sorrento” (4,6-5,1 g) dei quali 12 in una
fascia di assoluta eccellenza (5 g o più) (Fig. 4).
4. Conclusioni
In definitiva, dalle ricerche sinora condotte, è
emerso un panorama genetico del noce in Toscana di
notevole interesse (Fig. 5); questo materiale è attualmente in osservazione in un campo di raccolta-comparazione presso l’Azienda Montepaldi (San Casciano Val di Pesa - FI) dell’Università di Firenze allo
scopo di individuare i genotipi di maggior interesse
nella prospettiva di un loro possibile impiego commerciale. In questo campo, oltre agli ecotipi locali,
sono state introdotte alcune delle più importanti
varietà, italiane ed estere (americane e francesi), da
utilizzare come “riferimento” nell’opera di catalogazione del germoplasma locale.
211
Fig. 5 - Noce: ecotipo individuato nell’Alto Mugello (Pian
della Querce - Marradi)
5. Scheda descrittiva semplificata
del noce
Allo scopo di facilitare il lavoro di reperimento
delle “accessioni” di noce ancora presenti in
Toscana, la commissione delle specie legnose da
frutto (L.R. 50/97) ha redatto una “scheda descrittiva semplificata”, riportata nelle pagine seguenti (in
fac-simile, richiedere l’originale all’ARSIA).
Fig. 6 - Noce: ecotipo individuato nel Valdarno
(Mandri III - Reggello)
Bibliografia
BERTAGNINI C. (1997) - Ricerche per la caratterizzazione di biotipi di noce da frutto reperiti nelle province di Firenze e
di Arezzo. Tesi di laurea.
IPGRI (1994) - Descriptors for walnut (Juglans spp.). International Plant Genetic Resources Institute, Roma.
NICESE F.P., FERRINI F., BERTAGNINI C. (1998) - Ricerche per la
caratterizzazione di ecotipi di noce da frutto reperiti nelle
province di Firenze e Arezzo. Atti VI Giornate Scientifiche
S.O.I., Sanremo, 1-3 aprile.
LUGLI S., FANIGLIULO G. (1998) - Il noce in Italia: coltura in
ripresa. Frutticoltura (1): 7-14.
UPOV (1995) - Test guidelines for walnut. International Union
for the protection of new varieties of plants, Geneva.
Il germoplasma della Toscana
212
Commissione tecnico-scientifica delle Specie Legnose da Frutto
- L.R. 50/97 Scheda descrittiva semplificata
NOCE
(Scheda fac-simile, richiedere l’originale all’ARSIA)
Nome e cognome del rilevatore:
Periodo della rilevazione: dal
al
Luogo della rilevazione (nome, cognome, indirizzo):
NOME CULTIVAR
ETÀ DELLE PIANTE
N. PIANTE INDIVIDUATE
SINONIMI
CARATTERI OBBLIGATORI
1) VIGORIA
❏ scarsa
❏ media
❏ elevata
2) PORTAMENTO
❏ assurgente
❏ semiassurgente
❏ espanso
3) FIORITURA MASCHILE (data)
inizio (10% fiori aperti)
piena (60% fiori aperti)
fine (100% fiori aperti)
4) FIORITURA FEMMINILE (data)
inizio (10% fiori aperti)
piena (60% fiori aperti)
fine (100% fiori aperti)
5) NUMERO AMENTI
❏ scarso
❏ medio
❏ elevato
6) FIORI FEMMINILI
PER GEMMA
❏ uno
❏ tre
❏ due
❏ oltre tre
7) FRUTTIFICAZIONE
❏ costante
❏ incostante
❏ alternante
8) PRODUTTIVITÀ
❏ scarsa
❏ media
❏ elevata
9) RACCOLTA (data)
inizio
fine
10) DIMENSIONE FRUTTI
ALLA RACCOLTA (noce)
❏ piccola: fino a 4 g
❏ media: da 5 a 7 g
❏ grossa: da 7a13 g
❏ molto grossa: oltre 13 g
11) FORMA FRUTTI
(sez. ventrale, lungo la sutura)
❏ arrotondata
❏ ovale
❏ trapezoidale
❏ ellittica
❏ cordiforme
12) FORMA FRUTTI
(sez. trasversale)
❏ circolare
❏ ellittico-allargata
❏ ellittico-stretta
13) SIMMETRIA FRUTTI
❏ simmetrica
❏ asimmetrica
14) SUPERFICIE GUSCIO
❏ liscia
❏ rugosa
❏ molto rugosa
15) SPESSORE GUSCIO
❏ sottile
❏ medio
❏ spesso
213
CARATTERI OBBLIGATORI
16) COLORE GUSCIO
❏ marrone chiaro
❏ marrone
❏ marrone scuro
17) DIMENSIONE GHERIGLIO
❏ piccolo
❏ medio
❏ grosso
18) COLORE GHERIGLIO
❏ molto chiaro
❏ chiaro
❏ ambrato
19) SAPORE GHERIGLIO
❏ mediocre
❏ buono
❏ ottimo
20) RIMOZIONE GHERIGLIO
❏ facile
❏ media
❏ difficoltosa
21) GIUDIZIO QUALITATIVO
GENERALE
❏ senza interesse
❏ mediocre
❏ buono
❏ ottimo
22) GIUDIZIO QUALITATIVO
OSSERVAZIONI
22) GIUDIZIO AGRONOMICO
COMPLESSIVO
24) SUSCETTIBILITÀ A
MALATTIE
CARATTERI FACOLTATIVI
1) ENTITÀFIORITURA (F)
❏ scarsa
❏ media
❏ elevata
2) POSIZIONE GEMME A FRUTTO
❏ apicale
❏ mediana
❏ laterale
3) ALLEGAGIONE
❏ scarsa
❏ media
❏ elevata
4) NUMERO FRUTTI/NODO
❏ uno
❏ più di uno
5) SUTURA
❏ poco evidente
❏ evidente
❏ marcata
6) APERTURA GUSCIO
❏ facile
❏ intermedia
❏ difficile
7) SPESSORE MEMBRANE
❏ sottile
❏ medio
❏ spesso
8) PRODUZIONE
(kg/albero)
9) PESO MEDIO FRUTTI
(g)
10) RESA IN SGUSCIATO
%
11) OLI
(%)
12) FORMA DELLA FOGLIOLINA
❏ ellittico-stretta
❏ ellittica
❏ ellittico-allargata
13) SENSIBILITÀ A MACULATURA
❏ nulla
❏ media
❏ scarsa
❏ elevata
14) SENSIBILITTÀ A OIDIO
❏ nulla
❏ media
❏ scarsa
❏ elevata
15) SENSIBILITÀ A TICCHIOLATURA
❏ nulla
❏ media
❏ scarsa
❏ elevata
16) SENSIBILITÀ A CARPOCAPSA
❏ nulla
❏ media
❏ scarsa
❏ elevata
arrotondata
ovale
trapezoidale
ellittica
Frutto: forma in sezione ventrale, lungo la sutura
cordiforme
215
V. Il germoplasma toscano delle specie legnose da frutto
Il germoplasma toscano delle specie legnose da frutto:
le pesche “Burrone fiorentine”
E. Bellini, V. Nencetti, E. Picardi
Dipartimento di Ortoflorofrutticoltura, Università degli Studi di Firenze
G. Giannelli - Istituto sulla Propagazione delle Specie Legnose - CNR, Firenze
1. Origine delle “Burrone fiorentine”
Il termine “burrona” è scarsamente presente
nella letteratura pomologica; non esiste nei cartigli
dei quadri del Bimbi, anche se sono rappresentate
pesche simili come Lucchese, Reale, Biancona
(Bellini e Pisani, 1982). È invece presente nella
Pomona italiana del Gallesio (1817-1839) secondo il
quale la Reale del Bimbi corrisponderebbe alla
Spiccacciola bianca Settembrina, volgarmente chiamata Burrona massima o Pesca di Parigi (Fig. 1).
È nostra opinione che il termine “burrona” si sia
generato nelle campagne di Rosano (FI). Tale vocabolo, nel linguaggio popolare fiorentino, sta a significare qualcosa di corposo e delizioso allo stesso
tempo. Il contado dell’epoca, non essendo uso a chiamare le pesche con nomi definiti, chiamava "burrone" quelle popolazioni di cultivar diffuse nella zona,
a polpa bianca, fine, aromatica e profumata, spicca,
a maturazione tardiva, talora riproducibile per seme.
2. Caratterizzazione
delle “Burrone fiorentine”
Le “burrone” possono essere definite un sottogruppo delle “pesche a polpa bianca”. Le differenze
sostanziali riguardano: il tipo della polpa (meno
liquescente nelle burrone); la pezzatura e la forma
(più omogenee nelle burrone); il colore della buccia
(più chiaro nelle burrone); le epoche di fioritura e di
maturazione (più tardive nelle burrone). Di seguito
si riportano le caratteristiche dell’albero e del frutto
tipiche delle burrone fiorentine.
Albero
Vigoria: da media a molto elevata.
Portamento: regolare.
Ramo misto: piuttosto lungo, gemme a fiore distri-
buite in prevalenza nei tratti mediano e basale.
Fiore: campanulaceo o rosaceo, fioritura generalmente tardiva.
Entrata in fruttificazione: normale (2°- 3° anno).
Produttività: medio-elevata e costante.
Epoca di maturazione: da medio-tardiva a molto tardiva.
Suscettibilità ad alcune malattie: molte cultivar sono
sensibili alla Cidia e alla Monilia.
Frutto
Pezzatura: da media a grossa.
Forma: rotonda o tendenzialmente schiacciata ai
poli in sezione longitudinale e rotonda in sezione
trasversale.
Linea di sutura: mediamente profonda, talora con
presenza di umbone.
Buccia: colore di fondo bianco-verdastro chiaro,
marezzata o sfumata di rosso vivo nella parte
esposta al sole, semiaderente alla polpa, di medio
spessore e medio tomento.
Polpa: di colore bianco-crema, estesamente venata di
rosso vivo al nocciolo, soda, molto dolce, gradevole, aromatica e assai profumata, spicca.
Nocciolo: medio grosso, di colore marrone scuro,
slargato, asimmetrico, con piccolo mucrone.
3. Le principali cultivar
di “Burrone fiorentine”
Da una indagine svolta negli anni Settanta
(Bellini e Bini, 1976), è emersa la presenza nelle
zone peschicole fiorentine di numerose cultivar (o
presunte tali) di burrone. Il perpetuarsi della propagazione per seme di poche cultivar ancestrali, ha
generato popolazioni alquanto omogenee, dalle quali
sono state selezionate e propagate, più recentemente per innesto, le migliori giunte fino ai giorni nostri.
Il germoplasma della Toscana
216
Fig. 1 - Rappresentazione schematica del gruppo pomologico delle “Burrone”
all’interno delle tipologie di pesco conosciute da Gallesio (1817-1839)
Tab. 1 - Cultivar di “Burrone fiorentine” di maggior interesse
Cultivar
Burrona di Terzano
Burrona di Rosano (Fig. 2)
Daniela (Fig. 3)
Spicca Bianca
Vittorio Emanuele III (Fig. 4)
Tos-China Settembre
Poppa di Venere Settembrina (Fig. 5)
Regina di Londa
Tondona Presidente
Lucchese Tardina
Burrona di Mezzano
Regina di Ottobre (Fig. 6)
Tardiva di Firenze
Tos-China-Ottobre
Luogo di origine
Rosano
Rosano
Londa
Rosano
Firenze
Firenze
Firenze
Londa
Firenze
Rosano
Greve in Chianti
Londa
Firenze
Firenze
Tra queste ne abbiamo individuate 14 che maturano nell’arco di 3 mesi: 3 si raccolgono in agosto, 7
in settembre e 4 in ottobre (tab. 1).
Tutte le cultivar individuate sono state valutate
comparativamente per più anni, e per ciascuna è
stata redatta una dettagliata scheda agro-bio-pomologica, sul tipo di quella della Burrona di Rosano,
che di seguito si riporta.
Epoca di maturazione
agosto-I decade
agosto-II decade
agosto-III decade
settembre-I decade
settembre-I decade
settembre-II decade
settembre-I decade
settembre-II decade
settembre- II decade
settembre-III decade
ottobre-I decade
ottobre-I decade
ottobre-I decade
ottobre-I decade
3.1. Descrizione della “Burrona di Rosano”
Origine: ottenuta casualmente a Rosano (Firenze),
da genealogia sconosciuta. Diffusa da tempo
nella zona di origine.
Rami misti: lunghi, con internodi di media lunghezza; la corteccia è di colore rosso e verde intermedio; le gemme a fiore sono distribuite uniformemente lungo il ramo, l’indice di fertilità è medio.
217
Fig. 2 - Burrone fiorentine: Burrona di Rosano, da tempo
diffusa nella zona di origine
Fig. 3 - Burrone fiorentine: Daniela, ottenuta nella zona di
Londa, simile alla nota Michelini, ma più adatta ai nostri
ambienti
Fig. 4 - Burrone fiorentine: Vittorio Emanuele III, rilasciata
dalla Scuola delle Cascine ai primi del Novecento
Fig. 5 - Burrone fiorentine: Poppa di Venere Settembrina,
ricorda la pesca Lucchese
Fig. 6 - Burrone fiorentine: Regina di Ottobre, diffusa di
recente, prolunga la stagione di Regina di Londa
Fig. 7 - Burrone fiorentine: Londa nel Mugello è il centro
della coltivazione delle Burrone; in settembre si tiene la
sagra delle pesche, dove viene conferito il premio "Pesca
d’argento" ai migliori campioni esposti della cultivar
Regina di Londa
Il germoplasma della Toscana
218
Foglie: lunghe mm 142 e larghe mm 45, con rapporto diametrico di 3,15; la larghezza massima è
prevalentemente centrale; il lembo è increspato
lungo la nervatura principale; l’angolo apicale e
quello basale sono medi; il margine è crenato; le
glandole sono reni-formi.
Fiori: rosacei, piccoli; i petali sono rotondi, di colore
rosa intenso, attenuato al margine che è corrugato; il pistillo è alto come gli stami; si riscontrano
talvolta fiori con pistilli doppi; l’epoca di fioritura è intermedia, tendente al tardivo.
Frutti: medi (alti mm 59, larghi mm 64, spessi mm
65, con peso di g 160), di forma rotonda sia in
sezione longitudinale che in sezione trasversale;
la cavità peduncolare è mediamente profonda e
mediamente larga; la linea di sutura è mediamente profonda; l’apice è incavato, con umbone
piccolo o assente; la buccia è verdastra, soffusa
di rosso, aderente alla polpa, mediamente spessa, con medio tomento; la polpa è bianco-verdastra, mediamente soda, leggermente acidula,
spicca. I noccioli sono medi (alti mm 31, larghi
mm 25, spessi mm 21, con peso di g 8), di colore
scuro, allungati, con profilo simmetrico; l’angolo
apicale è ampio; la superficie è molto corrugata,
con parte dei rilievi lisci e con cresta di media
larghezza.
Caratteri bio-agronomici: la pianta è di vigoria elevata, con portamento regolare; la cascola delle
gemme è medio-scarsa; la fioritura è abbondante;
l’allegagione è elevata (grado di autocompatibi-
lità medio, grado di fertilità elevato); la cascola
dei frutti è medio-scarsa; il grado di produttività
è medio-elevato. Buona la resistenza alle malattie. I frutti sono molto ricercati e ben quotati sui
mercati locali.
Maturazione: seconda decade di agosto.
Bibliografia
BELLINI E. (1973) - Mostra pomologica 1972 a Firenze.
Considerazioni su: Pesche e Nettarine, Prugne e Susine,
Diospiri o Kaki. Vol. Ed. L’Informatore Agrario, Verona.
BELLINI E. (1987) - Il pesco: favorevole alternativa per la frutticoltura tardiva del Mugello. Atti Convegno “Il territorio del
Comune di Borgo San Lorenzo. Prospettive di sviluppo
della frutticoltura nel Mugello”, Ronta (FI), 7 novembre.
BELLINI E., BINI G. (1976) - Contributo allo studio delle cultivar
di pesco toscane a maturazione tardiva. CNR, Firenze.
BELLINI E., PISANI P.L. (1982) - Pesche in: Agrumi, frutta e uve
nella Firenze di Bartolomeo Bimbi pittore mediceo. CNR,
Firenze.
BELLINI E., SCARAMUZZI F. (1976) - Monografia delle principali
cultivar di pesco. Vol. II, CNR, Firenze.
GALLESIO G. (1817-1839) - Pomona italiana, ossia trattato degli
alberi fruttiferi. N. Capurro, Pisa.
MORETTINI A., BALDINI E., SCARAMUZZI F., BARGIONI G., PISANI P.L.
(1962) - Monografia delle principali cultivar di pesco. CNR,
Firenze.
219
V. Il germoplasma toscano delle specie legnose da frutto
Il germoplasma toscano delle specie legnose da frutto:
le pesche “Cotogne fiorentine”
E. Bellini, V. Nencetti, E. Picardi
Dipartimento di Ortoflorofrutticoltura, Università degli Studi di Firenze
G. Giannelli - Istituto sulla Propagazione delle Specie Legnose, CNR - Firenze
1. Origine delle “Cotogne fiorentine”
Le pesche cotogne sono state introdotte in Italia
probabilmente dagli spagnoli durante la dominazione del Meridione, e giunte successivamente a Firenze grazie all’interesse mostrato dai Medici verso
la frutticoltura. Tale ipotesi è avvalorata dal fatto che
tra le cultivar-popolazioni spagnole, se ne riscontrano tuttora alcune simili alle cotogne fiorentine. Nel
napoletano certe cultivar locali ancora diffuse ricordano molto le cotogne fiorentine, per caratteri sia
pomologici che agronomici.
Lo stesso Gallesio (1817-1839) nella Pomona italiana fa riferimento alle “cotogne”, quando scrive
sulle pesche “duracine serotine” (pesche non spicche tardive) (Fig. 1).
2. Caratterizzazione
delle “Cotogne fiorentine”
Le “cotogne” si distinguono nettamente dalle
“percoche”, come è chiaramente esposto nella Tab. 1.
Le prime si coltivano per produrre frutti da destinare esclusivamente al mercato fresco, mentre le
seconde trovano destinazione prevalente nella trasformazione industriale. Di seguito si riportano le
caratteristiche dell’albero e del frutto tipiche delle
cotogne fiorentine.
Albero
Vigoria: in genere elevata.
Portamento: per lo più assurgente.
Ramo misto: piuttosto lungo, gemme a fiore distribuite in prevalenza nei tratti mediano e distale.
Fiore: campanulaceo, a fioritura tardiva.
Entrata in fruttificazione: in genere lenta (3°- 5°
anno).
Produttività: medio-elevata, talora alternante.
Epoca di maturazione: da tardiva a molto tardiva.
Suscettibilità ad alcune malattie: molte cultivar sono
sensibili a Monilia e Oidio.
Frutto
Pezzatura: da media a grossa.
Forma: rotondo-oblunga od oblata in sezione longitudinale e triangolare-solcata in quella trasversale, asimmetrica.
Linea di sutura: da poco a molto profonda, talora con
valve alquanto divise e presenza di umbone.
Buccia: aderente alla polpa, molto tomentosa, fondo
di colore giallo-verdastro, con sovraccolore rosso
più o meno esteso.
Polpa: di colore giallo-arancio, rossa al nocciolo, tessitura molto compatta e ricca di fibre, soda, sapore ottimo, aromatica, duracina (non spicca).
Nocciolo: grosso, allungato, asimmetrico, con mucrone pronunciato.
3. Le principali cultivar
di “Cotogne fiorentine”
Assai numerose sono le cultivar (se così possiamo definirle) di cotogne fiorentine tutt’ora presenti
nelle aree peschicole della provincia. La propagazione per seme che veniva praticata nel passato, ha
generato nel tempo diverse cultivar-popolazioni, ma
anche genotipi ben distinti.
Tra questa biodiversità sono state individuate tre
tipologie di frutto: a) tipo arrotondato, simmetrico,
con sutura poco pronunciata e colore della polpa
poco arrossato al nocciolo, a cui afferisce la Cotogna
di Rosano; b) tipo arrotondato, asimmetrico, con
sutura molto pronunciata e colore della polpa molto
arrossato al nocciolo, a cui afferisce la Cotogna del
Il germoplasma della Toscana
220
Fig. 1 - Rappresentazione schematica del gruppo pomologico delle "cotogne"
all’interno delle tipologie di pesco conosciute da Gallesio (1817-1839)
Tab. 1 - Principali caratteri distintivi tra “cotogne” e “percoche”
Caratteri
Cotogna
Percoca
Forma del frutto
Linea di sutura
Sovraccolore buccia
Polpa
Rosso al nocciolo
Aderenza al nocciolo
Consumo
asimmetrica, oblunga
profonda
rosso da 40 a 70%
compatta e fibrosa
intenso
duracina, con la torsione delle valve si divide
solo fresco
simmetrica, sferica
superficiale
rosso da 0 a 20%
più liquescente
assente
assoluta
adatta alla trasformazione
Poggio; c) tipo allungato, asimmetrico, sutura spesso
molto incavata e polpa di colore alquanto arrossato al
nocciolo, a cui afferisce la Cotogna del Berti (Fig. 2).
Nella Tab. 2 si riportano le cultivar da noi individuate, ritenute le più importanti tra quelle maggiormente diffuse nella zona. Le indagini comparative
condotte hanno consentito la stesura di dettagliate
schede agro-bio-pomologiche per tutte le cultivar
prescelte.
A titolo di esempio si riporta la descrizione della
cultivar Cotogna di Rosano.
Fig. 2 - Cotogne fiorentine: frutti a confronto delle diverse
tipologie: in alto tipo "Rosano"; al centro tipo "Berti";
in basso tipo "Poggio"
221
Fig. 3 - Cotogne fiorentine: Cotogna Ceccarelli,
è la più precoce
Fig. 4 - Cotogne fiorentine: Cotogna della Remola, diffusa
nella zona di San Casciano
Fig. 5 - Cotogne fiorentine: Cotogna Pandolfini, deve il suo
nome ad una delle più importanti fattorie di Rosano
Fig. 6 - Cotogne fiorentine: Regina di Montalcino, differisce
dalle altre cotogne per la pianta di vigore contenuto
Tab. 2 - Cultivar di “Cotogne fiorentine” di maggiore interesse
Cultivar
Luogo di origine
Epoca di maturazione
Cotogna Ceccarelli (Fig. 3)
Cotogna di Rosano
Guglielmina
Cotogna della Remola (Fig. 4)
Cotogna di Villamagna
Ciani 1
Cotogna del Berti
Cotogna del Poggio Precoce
Cotogna del Poggio
Cotogna Cicalini
Cotogna Pandolfini (Fig. 5)
Gialla di San Polo
Regina di Montalcino (Fig. 6)
Rosano
Rosano
Londa
San Casciano
Villamagna
Scandicci
Rosano
San Casciano
San Casciano
Rosano
Rosano
San Polo
Bagno a Ripoli
agosto III decade
agosto III decade - settembre I decade
agosto III decade - settembre II decade
agosto III decade - settembre II decade
settembre II decade
settembre II decade
settembre II decade
settembre II decade
settembre III decade
settembre III decade - ottobre I decade
settembre III decade - ottobre I decade
ottobre I-II decade
ottobre I-II decade
Il germoplasma della Toscana
222
3.1. Descrizione della “Cotogna di Rosano”
Origine: ottenuta casualmente a Rosano (FI), da
genealogia sconosciuta. Talvolta è stata erroneamente identificata con la Cotogna del Berti.
Rami misti: medi, con internodi corti; le gemme a
fiore sono distribuite uniformemente od in prevalenza nel tratto mediano.
Foglie: lunghe mm 150 e larghe mm 41, con rapporto diametrico di 3,67; la larghezza massima è
centrale; il lembo è ondulato e talora increspato
lungo la nervatura principale; l’angolo apicale e
quello basale sono medi; il margine è crenato; le
glandole sono reniformi.
Fiori: campanulacei, di grandezza media; i petali
sono ellittico-allungati, di colore rosa più intenso
ai margini; il pistillo è alto meno o come gli
stami, che sono ripiegati varso l’interno del ricettacolo; l’epoca di fioritura è medio-precoce.
Frutti: grossi (alti mm 64, larghi mm 71, spessi mm
75, con peso di g 200), di forma oblata in sezione
trasversale e oblata a sutura depressa in sezione
trasversale, le valve talvolta sono ineguali; la
cavità peduncolare è mediamente profonda e
mediamente larga; la linea di sutura è poco pronunciata; l’apice è incavato, senza umbone; la
buccia ha una colorazione di fondo giallo macchiata estesamente di rosso nella parte esposta al
sole, è aderente alla polpa, di spessore medio,
con medio tomento; la polpa è di colore gialloaranciato, poco arrossata intorno al nocciolo,
molto soda, buona, aromatica e profumata, duracina (non spicca).
I noccioli sono medi (alti mm 31, larghi mm 27,
spessi mm 23, con peso di g 6), di colore scuro,
globosi, con profilo simmetrico; l’angolo apicale è
molto ampio; la superficie è molto corrugata, con
rilievi lisci e con cresta stretta.
Caratteri bio-agronomici: la pianta è di vigoria elevata, la resistenza delle gemme alle basse temperature è buona; la fioritura è abbondante; l’allegagione è elevata; la produzione è elevata e
costante. La cultivar, un tempo assai diffusa sia
in agro di Rosano che nei comuni limitrofi, dopo
un periodo di stasi è ora in fase di ripresa. I frutti sono molto richiesti e ben quotati sui mercati
locali.
Maturazione: tra la terza decade di agosto e la prima
di settembre.
Bibliografia
BELLINI E. (1973) - Mostra pomologica 1972 a Firenze.
Considerazioni su: Pesche e Nettarine, Prugne e Susine,
Diospiri o Kaki. Vol. Ed. L’Informatore Agrario, Verona.
BELLINI E. (1987) - Il Pesco: favorevole alternativa per la frutticoltura tardiva del Mugello. Atti Convegno “Il territorio del
Comune di Borgo San Lorenzo. Prosopettive di sviluppo
della frutticoltura del Mugello”, Ronta (FI), 7 novembre.
BELLINI E., BINI G. (1976) - Contributo allo studio delle cultivar
di pesco toscane a maturazione tardiva. CNR, Firenze.
BELLINI E., GIANNELLI G., GIORDANI E., NENCETTI V., PICARDI E.
(1992) - Individuazione, descrizione e conservazione
delle “pesche cotogne fiorentine”. Atti del Congresso
“Germoplasma frutticolo, salvaguardia e valorizzazione
delle risorse genetiche”, Alghero (SS), 21-25 settembre.
BELLINI E., PISANI P.L. (1982) - Pesche. In: Agrumi, frutta e uve
nelle Firenze di Bartolomeo Bimbi pittore mediceo. CNR,
Firenze.
BELLINI E., SCARAMUZZI F. (1976) - Monografia delle principali
cultivar di pesco. Vol. II, CNR, Firenze.
GALLESIO G. (1817-1839) - Pomona italiana, ossia trattato degli
alberi fruttiferi. N. Capurro, Pisa.
MORETTINI A., BALDINI E., SCARAMUZZI F., BARGIONI G., PISANI P.L.
(1962) - Monografia delle principali cultivar di pesco.
CNR, Firenze.
223
V. Il germoplasma toscano delle specie legnose da frutto
Il germoplasma toscano delle specie legnose da frutto:
il pero
E. Bellini, S. Nin - Dipartimento di Ortoflorofrutticoltura, Università degli Studi di Firenze
G. Giannelli - Istituto sulla Propagazione delle Specie Legnose - CNR, Firenze
1. Introduzione
La rapida evoluzione della nostra frutticoltura, le
sempre crescenti esigenze agronomiche e commerciali, legate al problema del contenimento dei costi,
portano progressivamente alla riduzione delle cultivar di pero ed alla sostituzione delle preesistenti con
nuove cultivar più rispondenti alle immediate esigenze. Questa tendenza però provoca inesorabilmente una grave erosione genetica che porta all’abbandono di numerose cultivar di pero che in passato costituivano gran parte delle popolazioni locali.
È ragionevole pensare che probabilmente le vecchie cultivar di pero sono portatrici dei caratteri di
spiccata resistenza e rusticità, in quanto selezionate
prima della massiccia espansione dei prodotti chimici (fertilizzanti, antiparassitari, ecc.), i quali
hanno contribuito a mascherare e a limitare nelle
nuove cultivar la presenza di questi importanti caratteri. Avvalorano questa ipotesi le numerose cultivar e biotipi che ancora oggi possono essere trovati
nelle campagne della nostra regione, benché le piante spesso siano prive di adeguate cure colturali.
Considerata l’importanza che riveste la precocità
per la nostra produzione di pero si può altresì comprendere l’interesse che può avere la conservazione
di alcuni individui a maturazione estiva anche per il
lavoro di miglioramento genetico.
È chiara pertanto la necessità di una azione
immediata e coordinata intesa a garantire la salvaguardia e la conservazione del germoplasma pericolo nel nostro Paese.
2. Il pero nella Toscana medicea
Il grande interesse rivolto al pero nella Toscana
è testimoniato già dall’epoca dei Medici. Nel Sette-
cento il patrimonio varietale toscano aveva raggiunto una notevole ampiezza, come dimostrano le opere
del Micheli, celebre botanico fiorentino vissuto a
cavallo del XVII e del XVIII secolo, nelle quali sono
descritte, spesso con abbondanza e molteplicità di
indicazioni pomologiche, oltre 230 varietà, e soprattutto del Bimbi, nei cui dipinti sono illustrati 115
soggetti di pere differenziati per epoca di maturazione e di tipologie del frutto. È accertato che i Medici
ricercavano le novità vegetali anche da Paesi esteri,
soprattutto Francia e Germania. Le raccolte varietali
della Toscana erano famose ed apprezzate anche
all’estero e coprivano un periodo di maturazione
pressoché uguale all’attuale calendario; notevolmente ampie erano le varietà di forme, pezzature e colori dei frutti.
Ma come per altre specie da frutto, anche nel
pero è andata perduta la maggior parte dell’ampio
patrimonio varietale esistente all’epoca del Bimbi,
tanto che ad oggi si ritiene che solo 17 delle 115
varietà raffigurate nei dipinti sono sicuramente pervenute fino a noi con il loro nomi originali o con
sinonimi (Bellini et al., 1982).
3. Il germoplasma di pero
ancora presente in Toscana
Il germoplasma del pero toscano annovera 381
accessioni raccolte e conservate da 3 istituzioni di
ricerca, di cui 75 sono autoctone della Toscana (Tab. 1).
Tra queste meritano di essere ricordate le 20
riportate nella Tab. 2, che costituiscono il germoplasma di pero di origine toscana più antico e diffuso
fino agli inizi del Novecento. Quasi tutte sono ancora conservate nelle collezioni fiorentine e soltanto
una parte riveste interesse colturale.
Il germoplasma della Toscana
224
Fig. 1 - Pero: San Giovanni, cultivar-popolazione, poco serbevole, interessante per l’estrema precocità
Fig. 2 - Pero: Gentile, cultivar precocissima ma poco serbevole, conosciuta già al tempo dei Medici
3.1. Notizie storiche di tre cultivar di pero
precoci di antica origine toscana
Nella nostra letteratura pomologica assai rare
sono in genere le notizie sull’origine delle varietà di
pere italiane. Le descrizioni sono spesso di carattere
morfologico e sul comportamento agronomico delle
singole piante. Tuttavia per la Coscia, la Gentile
Bianca di Firenze e la Coscia di Donna, considerate
le principali varietà antiche precoci diffuse in
Toscana, si hanno notizie più specifiche.
Gentile (Fig. 2): il buon nome e l’apprezzamento
di questa varietà sono stati in parte compromessi dai
contingenti di pere precoci provenienti dall’Italia
meridionale denominate spesso pere Gentili. Per
questo motivo, ed anche a seguito delle continue
lagnanze degli esportatori fiorentini, tale varietà è
stata denominata Gentile Bianca di Firenze. La pera
Gentile deve la sua rinomanza alle note colture dei
pomari granducali, attuate per iniziativa di Cosimo
III, agli albori del XVIII secolo. Il suo frutto è stato
pressoché regolarmente esportato all’estero a partire dalla seconda metà del XVIII e per merito, soprattutto dell’esportatore Becherucci, si è affermato sui
mercati dell’Austria e della Germania e più tardi
anche in altri Paesi.
Coscia (Fig. 4): non esistono elementi sufficientemente attendibili per identificarne in modo preciso l’origine. Il Racah (1927) desume, da notizie tramandate nel contado fiorentino, che la Coscia deriverebbe da una pianta da seme cresciuta a Bagno a
Ripoli (Firenze), lungo le rive dell’Arno ai primi
dell’Ottocento. Tuttavia la descrizione della Coscia,
Tab. 1 - Pero: accessioni conservate in Toscana
Istituzioni
Accessioni (numero)
totale
Dipartimento di Ortoflorofrutticoltura, Univ. di Firenze (DO-UFI)
Dipartimento di Coltivazione e Difesa delle Specie Legnose, Univ. di Pisa (DCDSL-PI)
Istituto sulla Propagazione delle Specie Legnose, CNR di Scandicci - FI (IPSL-CNR-FI)
Totale
9
97
275
381
autoctone
9
36
30
75
225
Tab. 2 - Pero: caratteristiche essenziali delle principali cultivar di origine toscana
o di antica coltivazione nella regione (Bellini, 1978)
Cultivar
Origine genetica e sinonimi
Giugnolina
nota fin dal 1554
metà giugno
San Giovanni
taluni hanno ritenuto
di identificarla con il pero
Hordaceus dei Romani
citata e raffigurata fin dall’epoca
medicea. Sin.: Gentile d’estate,
Pera zucchina, Zuccherina
diffusa in provincia di Pisa
metà giugno
costituita da Ragionieri nel 1910
dall’incrocio di Precoce
di Cassano x Coscia
diffusa in Toscana
inizio luglio
Gentile Bianca
di Firenze
(Fig. 2)
Gentilona
Coscia Precoce
Lardaia
Spadoncina di Firenze nome che indica cultivar talora
differenti, ma che maturano
(Fig. 3)
precocemente
Coscia
è accertato che il primo centro
(Fig. 4)
di diffusione sia stata la pianura
dell’Arno, presso Bagno a Ripoli
Coccitoia
diffusa nel Livornese
Coscia di Donna
(Fig. 5)
Coscia Tardiva
Bugiarda
Pera Mora
(Fig. 6)
Curato
(Fig. 7)
Scipiona
Pera dell’Orto
Allora
Cento Doppie
Pera Volpina
Spina Vera
Epoca di consumo
frutto piccolo, verde-giallastro, con polpa
liquescente, zuccherina, poco serbevole
fine giugno
simile alla Gentile, rispetto alla quale produce
frutti più grossi, ma meno serbevoli
frutto piccolo, piriforme, verde-giallastro,
con polpa granulosa e zuccherina
inizio luglio
metà luglio
frutto medio, doliforme, verde-chiaro, con polpa
biancastra, translucida, non serbevole
frutto piriforme, medio, verde-giallastro, con polpa
fondente, zuccherina, aromatica, ma poco serbevole
fine luglio
frutto medio, verde-chiaro, con polpa bianca,
fondente, ottima
metà luglio
frutto medio-piccolo, piriforme, verde-giallastro,
di medie caratteristiche organolettiche
frutto medio-grosso, turbinato, verde-giallastro,
con polpa bianca, tenera e dolce
inizio agosto
di genealogia sconosciuta, diffusa
da secoli nell’Appennino
Tosco-Romagnolo
individuata nel 1760 in Francia.
Sin.: Spada, Spadona d’inverno
nov./dic.
Sin.: Pira Spina, Pero Spina,
Pero Spino, Spinoso
fra le cultivar extraprecoci tipo “Moscatelle”
è la più conosciuta in Toscana
cultivar-popolazione con frutti piriformi,
molto piccoli
fine giugno
diffusa nel Mugello intorno alla
metà dell’Ottocento.
Sin.: Maganza, Gamba di donna
costituita dal Ragionieri
ai primi del Novecento
Sin.: Brutt’e buona, Mal vestita
introdotta dall’Inghilterra alla fine
dell’Ottocento.
Sin.: Fiasca, Spadona di Cesena
individuata a Firenze nel 1958
da Morettini
in Toscana era la più diffusa
tra le pere invernali
molto antica.
Sin.: Pera del Duca, Gelsomino
di genealogia sconosciuta, indigena
dell’Appennino Tosco-Romagnolo
Caratteristiche generali
metà agosto
metà agosto
nov./genn.
nov. /febb.
nov./genn.
dic. /febb.
genn. /febb.
genn. /febb.
genn. /marzo
frutto medio-piccolo, piriforme, giallastro, con
polpa fondente, zuccherina e profumata
la denominazione “Bugiarda” è dovuta alla non
corrispondenza fra il brutto aspetto esteriore
e la bontà del frutto
frutto medio-grosso, maliforme, verde-bronzeo,
con polpa leggermente acidula, di buon sapore,
sensibile alla ticchiolatura
frutto medio, piriforme, verde-giallastro, percorso
da una striscia rugginosa, con polpa croccante,
zuccherina e granulosa al centro, resistente
alla ticchiolatura
frutto medio, calebassiforme, verde-giallastro,
con polpa succosa, tenera e dolce
frutto medio, turbinato breve, verdastro
e rugginoso, di buon sapore
frutto piccolo, oblungo, verdastro, succoso,
ottimo soprattutto da cuocere in forno
frutto medio-piccolo, rotondo, verdastro, con polpa
consistente e di buon sapore, ottimo da cuocere
frutto piccolo, sferico schiacciato, verde-bronzato,
con polpa di consistenza elevata e sapore discreto,
ottimo da cuocere
frutto medio, turbinato-appiattito, verdastro,
con polpa aromatica e profumata
Il germoplasma della Toscana
226
Fig. 3 - Pero: Spadoncina, nome che indica una cultivarpopolazione frequentemente riscontrabile nelle campagne
toscane
Fig. 4 - Pero: Coscia, la più importante cultivar toscana,
diffusa a livello industriale e nota anche all’estero
Fig. 5 - Pero: Coscia di Donna, cultivar di buona qualità,
diffusa nel Mugello
Fig. 6 - Pero: Pera Mora, cultivar invernale, abbastanza
diffusa nel Pre-Appennino toscano
Fig. 7 - Pero: Curato, cultivar invernale per cuocere, molto
comune in Toscana
fornita dal Micheli non sembra corrispondere con l’omonima cultivar attuale. Non è certo facile stabilire
se la cultivar oggi diffusa provenga dalla pianta
madre ritrovata nelle condizioni citate, ma non è da
escludere che essa sia derivata dalla Coscia del
Micheli attraverso miglioramenti successivi ed in
seguito ad incroci ed a semine naturali. Rimane il
fatto che la rapida diffusione di questa cultivar, assai
conosciuta ed apprezzata anche all’estero (es. in
Spagna sotto il nome Ercolini), va ricercata nella
piana di Bagno a Ripoli (periodo Leopoldino), soprattutto per merito della famiglia colonica Goggioli. Una
delle prime spedizioni di frutti fu fatta dal
Becherucci di Firenze, che nell’estate del 1882 spedì
dalla stazione ferroviaria di Firenze a Vienna una
quantità modesta di pere Coscia.
Coscia di Donna (Fig. 5): (nome attribuito dall’esportatore fiorentino Becherucci per distinguerla
dalla tipica Coscia) o Maganza, altra varietà di una
certa importanza nella tradizione colturale toscana,
227
Tab. 3 - Pero: cultivar ottenute a Firenze tra il 1951 e il 1999
Cultivar
Costitutore
Origine genetica
Anno di
diffusione
Epoca*
di raccolta
Santa Maria
Morettini
William x Coscia
1951
=
Butirra Precoce
Butirra Rosata
William Precoce
Morettini
Morettini
Morettini
Coscia x William
Coscia x Butirra Clairgeau
William x Citron des Carmes
1956
1960
1960
- 22
- 11
- 19
Morettini 64
Morettini
William x Citron des Carmes
1961
- 33
Morettini 113
Morettini
William x Citron des Carmes
1961
- 42
Eletta
Morettini
Butirra Hardy x Passa Crassana
1963
+ 45
Leopardo
Morettini
Coscia x Decana d’Inverno
1967
+ 35
Fiorenza
Breviglieri
Dr. J. Guyot x William
1974
-5
Etrusca
Bellini
Coscia x Gentile
1991
- 37
Sabina
Bellini
Santa Maria M.
x Decana del Comizio
1999
-2
Osservazioni
molto rustica, con eccellenti
caratteristiche agronomiche
e commerciali
frutti di bell’aspetto e di squisito sapore
frutti attraenti, di ottimo sapore
frutti belli, di ottima pezzatura, ma spesso
soggetti all’ammezzimento
frutti di ottimo sapore, ma non si
conservano bene, ammezziscono
facilmente
frutti di ottimo sapore, ma non si
conservano bene, di facile ammezzimento
frutti di aspetto attraente e di buona
serbevolezza in frigo
la produzione non è sempre elevata,
ma i frutti sono di eccellente qualità
abbastanza rustica, con frutti di
buona serbevolezza
molto produttiva, entra subito in
fruttificazione; frutti medio-grossi, non
soggetti ad ammezzimento
frutti simili per forma e pezzatura
a Decana del Comizio, ma con buccia
più colorata di rosso
Legenda: * in ± giorni da William.
non è facilmente precisabile, ma dalle notizie raccolte, risulta che le prime colture risalgono ad un
secolo fa (fine Ottocento) nel pre-Appennino
Toscano, nella zona centrale del Mugello e nel comune di Borgo San Lorenzo, da cui poi si diffusero nei
colli di tutta la Toscana.
3.2. Le cultivar di pero ottenute
a Firenze dal 1950
Il germoplasma del pero toscano non è costituito
solo da antiche varietà di origine spesso ignota, ma
anche da cultivar ottenute nell’ambito di programmi
di miglioramento genetico finalizzati. Tra questi è
doveroso ricordare i risultati conseguiti da Morettini
che tra il 1951 ed il 1967 rendeva note ben 8 nuove
cultivar (Morettini, 1961; Morettini et al., 1967), due
delle quali (Santa Maria e Butirra Precoce) oggi
molto diffuse a livello nazionale. Al lavoro del
Morettini si è affiancato quello di Breviglieri con la
cultivar Fiorenza del 1974, e quello di Bellini con la
costituzione delle due cultivar precoci Etrusca e
Sabina (Bellini, 1993), rese note rispettivamente nel
1991 e 1999 (Tab. 3).
3.3. La scheda descrittiva semplificata del pero
Allo scopo di rendere più agevole il lavoro di
reperimento delle “accessioni” di pero ancora presenti in Toscana, la Commissione delle Specie
Legnose da Frutto (L.R. 50/97) ha elaborato una
“scheda descrittiva semplificata”, riportata nelle
pagine seguenti.
Bibliografia
BELLINI E. (1978) - La coltura del pero in Italia. Edizioni
L’Informatore Agrario, Verona.
BELLINI E. (1993) - La coltivazione del pero. Edizioni
L’Informatore Agrario, Verona.
BELLINI E., MARIOTTI P.L., PISANI P.L. (1982) - Pere. In: Agrumi,
frutta e uve nella Firenze di Bartolomeo Bimbi pittore
mediceo. CNR, Firenze.
MORETTINI A. (1961) - Le nuove cultivar Morettini. CNR,
Firenze.
MORETTINI A., BALDINI E., SCARAMUZZI F., MITTEMPERGHER L.
(1967) - Monografia delle principali cultivar di pero. CNR,
Firenze.
RACAH V. (1927) - L’origine del pero Coscio e cenni sulla sua
coltivazione. L’Italia Agricola, Piacenza.
Il germoplasma della Toscana
228
Commissione tecnico-scientifica delle Specie Legnose da Frutto
- L.R. 50/97 Scheda descrittiva semplificata
PERO
(Scheda fac-simile, richiedere l’originale all’ARSIA)
Nome e cognome del rilevatore:
Periodo della rilevazione: dal
al
Luogo della rilevazione (nome, cognome, indirizzo):
NOME CULTIVAR
ETÀ DELLE PIANTE
N. PIANTE INDIVIDUATE
SINONIMI
CARATTERI OBBLIGATORI
1) VIGORIA
❏ scarsa
❏ media
❏ elevata
2) PORTAMENTO
❏ colonnare
❏ intermedio
❏ pendulo
4) CASCOLA PRE-RACCOLTA
❏ scarsa
❏ media
❏ elevata
5) PRODUTTIVITÀ
❏ scarsa
❏ media
❏ elevata
6) FRUTTIFICAZIONE
❏ costante
❏ incostante
❏ alternante
7) RACCOLTA (data)
inizio
fine
8) N. RACCOLTE
9) DIMENSIONE FRUTTI
❏ piccola: fino a100 g
❏ media: da 101 a 150 g
❏ grossa: da 151 a 300 g
❏ molto grossa: oltre 300 g
10) FORMA FRUTTI (secondo Chasset)
[vedi figura a destra]
❏A
❏E
❏I
❏M
❏B
❏F
❏J
❏N
❏C
❏G
❏K
❏O
❏D
❏H
❏L
❏P
11) SIMMETRIA FRUTTI
❏ simmetrica
❏ asimmetrica
12) PEDUNCOLO
❏ corto: fino a20 mm
❏ medio: da 21 a 35 mm
❏ lungo: oltre 35 mm
13) EPIDERMIDE
❏ liscia
❏ rugosa
14) RUGGINOSITÀ
❏ assente
❏ presente
(%)
15) COLORE DI FONDO
❏ verde
❏ verde chiaro
❏ giallo
16) SOVRACCOLORE EPIDERMIDE
❏ assente
❏ rosso soffuso (%)
❏ rosso striato (%)
17) TESSITURA POLPA
❏ fine
❏ grossolana
18) SCLEREIDI
❏ assenti
❏ presenti, al torsolo
❏ presenti, nella polpa
❏ eretto
❏ aperto (espanso)
3) FIORITURA (data)
inizio (10% fiori aperti)
piena (60% fiori aperti)
fine (100% fiori aperti)
229
CARATTERI OBBLIGATORI
19) CONSISTENZA POLPA
❏ croccante
❏ fondente
20) SUCCOSITÀ POLPA
❏ croccante
❏ fondente
21) COLORE POLPA
❏ bianco
❏ bianco-giallo
❏ crema
22) SAPORE POLPA
❏ scarso
❏ mediocre
❏ buono
❏ ottimo
23) PROFUMO (aroma)
❏ assente
❏ scarso
❏ medio
❏ elevato
24) SOVRAMMATURAZIONE
(ammezzimento)
❏ assente
❏ presente
25) SOVRAMMATURAZIONE
❏ scarsa
❏ media
❏ elevata
26) RESISTENZA
ALLE MANIPOLAZIONI
❏ scarsa
❏ media
❏ elevata
27) CONSERVABILITÀ
(in fruttaio)
❏ scarsa
❏ media
❏ elevata
28) GIUDIZIO QUALITATIVO
GENERALE
❏ senza interesse
❏ mediocre
❏ buono
❏ ottimo
29) GIUDIZIO QUALITATIVO
OSSERVAZIONI
30) GIUDIZIO AGRONOMICO
COMPLESSIVO
31) SUSCETTIBILITÀ A
MALATTIE
Classificazione della forma dei frutti
secondo lo schema proposto da Chasset:
A) sferoidali; B) turbinati brevi;
C) doliformi brevi; D) cidoniformi brevi;
E) maliformi; F) turbinati appiattiti;
G) doliformi; H) ovoidali;
I) turbinati; J) turbinati troncati;
K) piriformi; L) piriformi troncati;
M) cidoniformi; N) piriformi allungati;
O) calebassiformi; P) oblunghi.
A
B
C
D
E
F
G
H
I
J
K
L
M
N
O
P
Il germoplasma della Toscana
230
CARATTERI FACOLTATIVI
1) FORMA DELLA FOGLIA
❏ lanceolata
❏ ovale
❏ obovata
❏ ovale allungata
❏ ellittica
❏ subrotonda
❏ ellittico-allargata ❏ cordiforme
2) CAVITÀ PEDUNCOLARE
❏ superficiale
❏ profonda
❏ stretta
❏ ampia
3) CAVITÀ CALICINA
❏ assente
❏ mediamente pronunciata
❏ molto pronunciata
4) ENTITÀ FIORITURA
❏ scarsa
❏ media
❏ elevata
5) ALLEGAGIONE
❏ scarsa
❏ media
❏ elevata
6) PRODUZIONE
(kg/albero)
7) PESO MEDIO FRUTTI
(g)
8) GRADO RIFRATTOMETRICO
(%)
9) SENSIBILITÀ A MACULATURA
❏ nulla
❏ media
❏ scarsa
❏ elevata
10) SENSIBILITÀ A OIDIO
❏ nulla
❏ media
❏ scarsa
❏ elevata
11) SENSIBILITÀ A TICCHIOLATURA
❏ nulla
❏ media
❏ scarsa
❏ elevata
12) SENSIBILITÀ A BRUSONE
❏ nulla
❏ media
❏ scarsa
❏ elevata
13) SENSIBILITÀ A PSILLA
❏ nulla
❏ media
❏ scarsa
❏ elevata
14) FISIOPATIE ALLA RACCOLTA
❏ assenti
❏ butteratura
❏ vitrescenza
❏ spaccature
231
V. Il germoplasma toscano delle specie legnose da frutto
Il germoplasma toscano delle specie legnose da frutto:
il susino
E. Bellini, V. Nencetti, S. Nin
Dipartimento di Ortoflorofrutticoltura, Università degli Studi di Firenze
1. Il susino nella pomologia toscana
del passato
La presenza in Toscana di una variegata quantità
di tipologie di frutta è dimostrata fino dal XVII secolo dall’opera del pittore naturalista Bartolomeo
Bimbi, vissuto alla corte di Cosimo III de’ Medici.
In due tele dell’autore vengono infatti raffigurate
rispettivamente 39 e 36 tipi di susine di varie forme
e colori che testimoniano l’interesse dimostrato
all’epoca anche per questo tipo di frutta (Bellini e
Pisani, 1982).
Numerose sono inoltre le descrizioni del Gallesio
nella Pomona Italiana (1817-39) ove tra le altre specie vengono raffigurate 10 tipologie di susine, che
furono da lui raccolte e collezionate.
Tra queste ne ricorda alcune di origine toscana
come: “Susino Catelano giallo” o “Buon Boccone”,
“Susina Catelana”, “Susino Catelano violaceo” o
“Susino Vecchietti”, “Susino Verdacchio”.
2. Il germoplasma di susino
ancora presente in Toscana
In epoca più moderna i primi tentativi di valorizzare il germoplasma nazionale dei fruttiferi furono
intrapresi nel 1940 per iniziativa dell’Ente Economico per l’Ortoflorofrutticoltura con il coordinamento del Guzzini. Anche per il susino fu avviata
un’indagine pomologica a carattere nazionale che
rimase però incompiuta a causa degli eventi bellici.
Tale inventario fu poi ripreso nell’immediato
dopoguerra ad opera del Centro Miglioramento
Piante da Frutto e da Orto del CNR, sotto la direzione
del Prof. Alessandro Morettini. Egli raccolse
nell’Azienda Sperimentale di Firenze numerose cultivar italiane ed estere delle principali specie da frutto con lo scopo di valutarle e di utilizzarle nei programmi di miglioramento genetico. Le cultivar di
susino presenti nella collezione vennero descritte da
Baldini (1960); tra quelle di probabile origine toscana si ricordano: “Florentia”, “Porcina”, “San Piero”,
“Vecchietti”, “Morettini 355” e “Morettini 243”.
Il germoplasma del susino, oggi ancora presente
in Toscana, annovera 401 accessioni raccolte e conservate da 3 istituzioni di ricerca, di cui 44 sono ritenute autoctone della nostra regione (Tab. 1). Per 21 di
queste si ritiene utile riportare le essenziali caratteristiche (Tab. 2), che evidenziano alcune peculiarità.
Tab. 1 - Susino: accessioni conservate in Toscana
Istituzioni
Accessioni (numero)
totale
Dipartimento di Ortoflorofrutticoltura, Univ. di Firenze (DO-UFI)
Dipartimento di Coltivazioni e Difesa delle Specie Legnose, Univ. di Pisa (DCDSL-PI)
Istituto sulla Propagazione delle Specie Legnose, CNR di Scandicci - FI (IPSL-CNR-FI)
Totale
38
103
260
401
autoctone
9
20
15
44
Il germoplasma della Toscana
232
Tab. 2 - Susino: caratteristiche essenziali delle principali cultivar di origine toscana
o di antica coltivazione nella regione
Cultivar
Gruppo Pomologico
Florentia
(Fig. 1)
Morettini 355
(Fig. 5)
Shiro
cino-giapponese
probabile l.i. di “Burbank”
1 luglio
cino-giapponese
7 luglio
Morettini 243
cino-giapponese
Mirabelle
de Metz
Burbank
cino-giapponese
ottenuta da Morettini
da Florentia x Beauty
probabile incrocio
[P. munsoniana x (P. triflora
x P. simoni)] x P. cerasifera
ottenuta da Morettini da
Shiro x Santa Rosa
di origine sconosciuta,
molto antica
semenzale di P. triflora,
di origine giapponese
cino-giapponese
cino-giapponese
Porcina
europea
Vecchietti
(Fig. 2)
europea
San Piero
(Fig. 3)
Origine genetica
Epoca Maturaz.
10 luglio
12 luglio
14 luglio
15 luglio
antica cultivar toscana,
di origine sconosciuta
antica cultivar toscana,
di origine sconosciuta
18 luglio
europea
probabilmente toscana,
di origine sconosciuta
24 luglio
Presidente
europea
di origine sconosciuta,
probabilmente toscana
25 luglio
Claudia Nera
europea
28 luglio
Claudia
Mostruosa
europea
di origine incerta,
probabilmente belga
probabile l.i.
di Regina Claudia
Firenze ’90
europea
Claudia Verde
(Fig. 4)
europea
Regina Vittoria
20 luglio
28 luglio
ottenuta da E. Bellini
a Firenze da Ruth
Gerstetter x President
di origine sconosciuta,
molto antica
30 luglio
europea
di origine sconosciuta,
introdotta dall’Inghilterra
13 agosto
Santa Caterina
europea
13 agosto
Claudia Diafana
europea
Prugna d’Italia
europea
Coscia
di Monaca
europea
di origine sconosciuta,
introdotta dalla Francia
ottenuta da l.i.
di Regina Claudia
antica cultivar italiana
di origine sconosciuta
di origine sconosciuta,
forse locale italiana
Anna Spath
europea
Zuccherina
di Somma
europea
di origine sconosciuta,
ottenuta in Germania
nel 1870 da Spath
di origine sconosciuta,
forse locale italiana
4 agosto
16 agosto
22 agosto
22 agosto
27 agosto
15 settembre
Caratteristiche generali
albero vigoroso e produttivo; frutto medio, buccia
rossa, polpa poco consistente e buon sapore
albo vigoroso e produttivo; frutto grosso,
rosso-violaceo, media consistenza e sapore
albero vigoroso e costantemente produttivo; frutto
medio-grosso, con polpa tenera, dolce
e di buon sapore
albero vigoroso e produttivo; frutto medio, violaceo,
polpa consistente e sapore aromatico
albero vigoroso e scarsamente produttivo; frutto
piccolo, giallo, dolce e consistente
albero vigoroso e costantemente produttivo; frutto
medio-grosso, a buccia rossa su fondo giallo,
di buona consistenza e sapore
albero vigoroso e di scarsa produttività; frutto
medio, violaceo, di scarsa consistenza e sapore
albero di medio vigore e poco produttivo; frutto
grosso, rosso-violaceo, di scarsa consistenza
e di ottimo sapore
albero vigoroso e con produttività incostante; frutto
medio, violaceo scuro, di scarsa consistenza
e buon sapore
albero vigoroso e di scarsa produttività; frutto
medio, violaceo-verdastro, di media consistenza
e buon sapore
albero di medio vigore e produttività; frutto medio,
violaceo, di scarsa consistenza e medio sapore
albero vigoroso, assurgente e produttivo; frutto
grosso, giallo a maturazione, di scarsa consistenza
e buon sapore
albero vigoroso, assurgente e produttivo; frutto
grosso, blu a maturazione, di buona consistenza
e sapore
albero di medio vigore e di elevata produttività;
frutto piccolo, verde, polpa compatta, di ottimo
sapore
albero di media vigoria e produttività elevata;
frutto grosso, rosso-violaceo, polpa compatta
e di medio sapore
albero vigoroso e produttivo; frutto piccolo, verde,
con polpa dolce e succosa
albero vigoroso e produttivo; frutto medio, giallo
chiaro, polpa compatta, dolce e aromatica
albero vigoroso e produttivo; frutto medio, violaceo,
polpa consistente, acidula e zuccherina
albero mediamente vigoroso e produttivo; frutto
medio, giallo chiaro, con polpa tenera,
succosa e dolce
albero mediamente vigoroso e produttivo; frutto
medio, rosso scuro, con polpa compatta
e di buon sapore
albero mediamente vigoroso e di elevata
produttività; frutto medio, giallo, con polpa
compatta e di buon sapore
Altre cultivar: AA Spinosa-Terrosi, BB Spinosa-Terrosi, Franceschini 1, Prugna d’Oro, Sant’Anna, Mascina di Montepulciano.
233
Fig. 1 - Susino: Florentia, cultivar fiorentina molto produttiva, propagata intorno al 1920
Fig. 2 - Susino: Vecchietti, cultivar molto antica individuata
nella provincia di Firenze
Fig. 3 - Susino: San Piero, ancestralmente presente nella
regione, la sua origine toscana è discutibile
Fig. 4 - Susino: Regina Claudia Verde, sebbene di origine
incerta, è presente in Toscana fin dall’antichità
2.1. Notizie storiche di tre antiche cultivar
di susino toscane
La letteratura pomologica del passato raramente
riferisce sull’origine delle varietà di susino, mentre
è generosa di caratteri morfologici ed agronomici.
Tuttavia per Florentia, Vecchietti e Porcina, si
dispongono notizie di una certa attendibilità.
Florentia (Fig. 1): secondo Racah questa cultivar
deriverebbe dalla propagazione di un albero nato,
intorno al 1920, in prossimità di un susino Burbank
coltivato nei pressi di Bagno a Ripoli (FI). Alla sua
diffusione contribuì iniziamente l’occasionale scopritore a nome Picciolo.
Porcina: antica cultivar italiana di probabile origine toscana ricordata da P.A. Micheli in un manoscritto dei primi del XVIII secolo.
Vecchietti (Fig. 2): la cultivar avrebbe avuto origine, secondo Racah da un albero allevato nel pomario della Parrocchia di Quintole, nei pressi di Compiobbi (FI). Essa è infatti localmente nota anche con
Fig. 5 - Susino: Morettini 355, cultivar fiorentina che si è
diffusa un po’ ovunque anche all’estero
Il germoplasma della Toscana
234
il sinonimo Susina del Prete di Quintole. P.A.
Micheli, peraltro, in un suo manoscritto dei primi
del XVIII secolo, illustrante le frutta allora coltivate
in Toscana, ricorda una Susina del Vecchietto,
descrivendola tuttavia come caratterizzata da frutto
bianco maturante in agosto. In ogni caso sembra
trattarsi di un’antica cultivar toscana.
2.2. La scheda descrittiva semplificata
del susino
Al fine di facilitare il compito di rilevamento dei
dati per le accessioni di susino presenti in Toscana,
non ancora consevate nelle collezioni di cui alla Tab.
1, la Commissione delle Specie Legnose da frutto
(L.R. 50/97) ha predisposto la “scheda descrittiva
semplificata”, che si riporta nelle pagine seguenti.
Bibliografia
AUTORI VARI (1994) - Elenco delle cultivar autoctone italiane.
Agabbio M. (Ed.) CNR, Carlo Delfino Editore, Sassari.
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coltura del susino”, Riv. di Ortoflorofrutticoltura Italiana,
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obtained by cross-breeding. Firenze, XXIII Internationale
Horticultural Congress, ISHS-SOI, 27 agosto-1° settembre.
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nella Firenze di Bartolomeo Bimbi pittore mediceo. CNR,
Firenze.
GALLESIO G. (1817-1839) - Pomona Italiana, ossia Trattato degli
Alberi da Frutto. N. Capurro, Pisa.
MORETTINI A. (1961) - Le nuove cultivar Morettini. CNR,
Firenze.
RACAH V. (1933) - La susina Florentia nel suo terzo anno di
prova. Firenze Agricola.
235
Commissione tecnico-scientifica delle Specie Legnose da Frutto
- L.R. 50/97 Scheda descrittiva semplificata
SUSINO
(Scheda fac-simile, richiedere l’originale all’ARSIA)
Nome e cognome del rilevatore:
Periodo della rilevazione: dal
al
Luogo della rilevazione (nome, cognome, indirizzo):
NOME CULTIVAR
ETÀ DELLE PIANTE
N. PIANTE INDIVIDUATE
SINONIMI
CARATTERI OBBLIGATORI
1) PORTAMENTO
❏ assurgente
❏ espanso
❏ pendulo
2) VIGORIA
❏ scarsa
❏ media
❏ elevata
3) FIORITURA (data)
inizio (10% fiori aperti)
piena (60% fiori aperti)
fine (100% fiori aperti)
4) CASCOLA PRE-RACCOLTA
❏ scarsa
❏ media
❏ elevata
5) FRUTTIFICAZIONE
❏ costante
❏ incostante
❏ alternante
6) PRODUTTIVITÀ
❏ scarsa
❏ media
❏ elevata
7) RACCOLTA (data)
inizio
fine
8) N. RACCOLTE
9) DIMENSIONE FRUTTI
❏ piccola: fino a 35 g
❏ media: da 36 a 60 g
❏ grossa: da 61 a 80 g
❏ molto grossa: oltre 81 g
10) FORMA FRUTTI
(vista ventrale lato sutura)
❏ oblata
❏ ellissoide
❏ sferoidale
❏ ovale
11) SIMMETRIA FRUTTI
❏ simmetrica
❏ asimmetrica
12) SPACCATURA BUCCIA
❏ assente
❏ presente
13) FRUTTI SPACCATI
(%)
14) COLORE EPIDERMIDE
❏ rosso
❏ viola chiaro
❏ rosso-violaceo
❏ viola scuro
❏ rosso-giallastro ❏ verde
❏ giallo
❏ verde-giallastro
❏ giallo-dorato
❏ blu
❏ giallo-verdastro ❏ blu scuro
❏ giallo-rossastro ❏ nero
❏ viola
15) COLORE POLPA
❏ giallo
❏ giallo-verdastro
❏ giallo-aranciato
❏ giallo-rossastro
❏ verde
❏ verde-giallastro
❏ ambrato
❏ rosso
Il germoplasma della Toscana
236
CARATTERI OBBLIGATORI
16) SAPORE POLPA
❏ croccante
❏ fondente
17) CONSISTENZA POLPA
❏ scarsa
❏ media
❏ elevata
18) SUCCOSITÀ POLPA
❏ bianco
❏ bianco-giallo
❏ crema
19) ADERENZA POLPA AL NOCCIOLO
❏ scarsa
❏ media
❏ elevata
20) PEDUNCOLO
❏ corto: fino a 15 mm
❏ medio: da 15 a 20 mm
❏ lungo: oltre 20 mm
21) DIMENSIONE NOCCIOLO
❏ piccola
❏ media
❏ grande
22) RESISTENZA
ALLE MANIPOLAZIONI
❏ scarsa
❏ media
❏ elevata
23) GIUDIZIO QUALITATIVO
GENERALE
❏ negativo
❏ mediocre
❏ buono
❏ ottimo
24) GIUDIZIO QUALITATIVO
OSSERVAZIONI
25) GIUDIZIO AGRONOMICO
COMPLESSIVO
26) SUSCETTIBILITÀ
A MALATTIE
CARATTERI FACOLTATIVI
1) ENTITÀ FIORITURA
❏ scarsa
❏ media
❏ elevata
2) ALLEGAGIONE
❏ scarsa
❏ media
❏ elevata
3) CASCOLA DI GIUGNO
❏ scarsa
❏ media
❏ elevata
4) FORMA NOCCIOLO
❏ ellittico-stretta
❏ ellittica
❏ ellittico-allargata
5) FORMA FOGLIA
❏ circolare
❏ ovale-allargata
❏ ellittica
6) DIMENSIONE FOGLIA
❏ piccola
❏ media
❏ grande
7) PRODUZIONE
(kg/albero)
8) GRADO RIFRATTOMETRICO
(%)
9) PESO MEDIO FRUTTI
(g)
10) PESO MEDIO NOCCIOLI
(g)
11) RESA IN POLPA
(%)
12) SENSIBILITÀ A RUGGINE
❏ nulla
❏ media
❏ scarsa
❏ elevata
13) SENSIBILITÀ A BATTERIOSI
❏ nulla
❏ media
❏ scarsa
❏ elevata
14) SENSIBILITÀ A CORINEO
❏ nulla
❏ media
❏ scarsa
❏ elevata
15) SENSIBILITÀ A SCLEROTINA
❏ nulla
❏ media
❏ scarsa
❏ elevata
16) SENSIBILITÀ A PSILLA
❏ nulla
❏ media
❏ scarsa
❏ elevata
Frutti: forma vista ventralmente, lato sutura
237
VI. Germoplasma toscano di interesse zootecnico
La Pecora Massese: conoscenze attuali
Mina Martini, Paolo Verità
Dipartimento di Produzioni Animali, Università degli studi di Pisa
Introduzione
La razza ovina Massese originaria della località
di Forno (MS), si è diffusa in buona parte della
Toscana, ed in particolare nelle province di Lucca,
Pisa, Pistoia, Grosseto e Livorno. La sua area di
espansione si è a tutt’oggi allargata all’Emilia Romagna e ad alcune zone della Liguria inoltre, un piccolissimo numero di greggi è stato portato anche in
Abruzzo e Puglia. La consistenza attuale ammonta a
185.000 capi, di cui però, solo 8.000 femmine circa
sono sottoposte ai controlli funzionali in un’ottantina di allevamenti (dati 1997).
Nello standard di razza viene indicata come
razza tipicamente da latte e presenta una produzione media di circa 150 litri in 5 mesi di lattazione.
Oltre a questa attitudine, ha anche una buona produzione di carne, una notevole fecondità ed una prolificità di circa il 130%, con un numero elevato di
agnelli che alla nascita pesano sui 5,0 - 5,5 Kg, ed a
30 giorni di età sui 12 - 14 Kg. Attualmente è in forte
crescita il numero di femmine che presentano i calo-
ri in buona parte dell’anno, permettendo così alla
razza di avvicinarsi ai tre parti ogni due anni.
Gli indirizzi selettivi attualmente perseguiti sono
rappresentati dalla ricerca di una migliore conformazione somatica e della mammella, soprattutto in
vista dell’impiego della mungitura meccanica.
Su questi aspetti sono stati effettuati studi dal
Dipartimento di Produzioni Animali dell’Università
di Pisa i cui risultati sono riportati di seguito.
Caratteri morfologici
Recenti ricerche condotte sui caratteri zoometrici della pecora Massese (Tab. 1) hanno evidenziato
che i valori riferiti agli animali adulti riportati dallo
standard di razza (ASSO.NA.PA.) si presentano superiori eccetto l’altezza e la circonferenza del torace.
Ciò potrebbe indicare un’evoluzione morfologica
dell’attuale popolazione verso soggetti a torace più
ampio.
Lo studio dell’evoluzione morfologica della peco-
Tab.1 - Rilievi zoometrici nelle femmine e nei maschi adulti (medie ± d.s.)
Soggetti
Altezza al garrese
Altezza al torace
Lunghezza tronco
Larghezza groppa
Circonferenza torace
Profondità torace
Circonferenza stinco
Padiglione auricolare
Arco profilo fronto-nasale
Coda profilo fronto-nasale
A, B: < 0.01
cm
cm
cm
cm
cm
cm
cm
cm
cm
cm
Femmine
n. 174
76.8 A
± 76,8
34.5A
± 1,93
81A
± 4,16
21,3
± 1,54
94.4A
± 6,41
46.1A
± 5,84
8.8A
± 0,46
11,6
± 1,04
20.7A
±
1,3
19.2A
±
1,2
Maschi
n. 41
81.8B ±
38.1B ±
87.5B ±
21,1 ±
99.7B ±
49.5B ±
10.1B ±
11,4 ±
22.7B ±
20.8B ±
4,8
3,85
4,81
2,17
7,13
4,82
1,11
1,08
1,74
1,5
Il germoplasma della Toscana
238
Fig. 1 - Massese: Tipi di mammelle
Foto 1 - Tendenza all’orizzontalità dei capezzoli
Foto 2 - Massese: forma dei capezzoli
ra ha rilevato che le misure di altezza e lunghezza
sono definitive entro i due anni, mentre quelle di larghezza si completano successivamente. Ciò porta a
ritenere che la pecora Massese raggiunge delle
dimensioni da adulta dopo la seconda lattazione.
Studi relativi alla localizzazione altimetrica degli
animali evidenziano che i soggetti allevati in pianura presentano dimensioni maggiori di quelli allevati
in collina e questi ultimi sono caratterizzati da una
maggiore capacità respiratoria ed un maggiore
mesomorfismo.
Le diverse province di appartenenza presentano
tipi morfologici differenti dovuti ad indirizzi produttivi diversi. In particolare, le femmine allevate in
provincia di Lucca presentano le dimensioni maggiori ed un dolicomorfismo più spiccato (caratteristico degli animali maggiormente orientati alla produzione del latte), seguite dai soggetti allevati nella
provincia di Pisa e contrariamente a quelli allevati a
Livorno e Massa Carrara.
Il maggior numero di animali più produttivi sono
presenti nelle provincie di Lucca e Massa Carrara
mentre la maggior parte delle pecore di Pisa e Livorno appartengono alla classe di minore produttività. Sempre in relazione alle capacità produttive é
stato riscontrato che i soggetti che presentano quantità di latte più elevate in seconda lattazione lo sono
anche in terza ed in quarta.
Dalle indagini effettuate sulla mammella della
pecora Massese si rilevano 6 tipologie: due sono di
forma “globosa” tipica della razza Sarda, mentre le
altre 4 presentano una forma parallelepipeda tipica
di questa razza; le differenze tra i due gruppi riguardano essenzialmente gli inserimenti e l’inclinazione
dei capezzoli (Fig. 1). Sostanzialmente si può dire
che la mammella della pecora Massese si presenta
di forma parallelepipeda, sufficientemente compatta
e con attacco mediamente rettangolare.
Le dimensioni di lunghezza e diametro dei capezzoli rientrano nello standard per la utilizzazione della
mungitrice meccanica, mentre l’inserzione dei capezzoli, benché si inseriscano nel terzo inferiore della
mammella, si presenta piuttosto elevata rispetto ad
altri tipi genetici in cui l’inserzione più bassa favorisce
l’emissione del latte ed una sua minore ritenzione.
L’angolo di inserzione dei capezzoli risulta
mediamente di 62° indicando una tendenza all’orizzontalità, mentre la forma dei capezzoli, rilevandosi
tendenzialmente conica, potrebbe creare difficoltà
all’utilizzo della mungitrice meccanica (Foto 1 e 2).
239
Conclusioni
Per quanto riguarda le caratteristiche morfologiche, la pecora Massese, presenta una notevole variabilità biometrica dovuta essenzialmente alle diversità ambientali in cui viene allevata (localizzazione
degli allevamenti nelle diverse province e zone altimetriche, anche se in collina si riscontra una conformazione più compatta con maggiore equilibrio
dell’attitudine latte-carne); le tecniche di conduzione
adottate nelle diverse aziende, inoltre, e gli orientamenti selettivi non ancora omogeneamente seguiti
dagli allevatori favoriscono questa situazione di
diversificazione.
L’andamento dell’accrescimento può far ritenere
la Massese una razza precoce con caratteristiche
morfologiche da latte.
È da rilevare la limitatezza della selezione genetica fino ad oggi effettuata sulla razza, basata su
rimonte interne con conseguente lentezza del
miglioramento dei caratteri.
Analogamente a quanto evidenziato per la conformazione morfologica, anche la mammella presenta già in seconda lattazione caratteristiche pressoché definitive, ma non sono state riscontrate correlazioni significative tra forma della mammella e produzione di latte.
In provincia di Massa Carrara si riscontra una
attività selettiva più mirata, che privilegia una mammella più contenuta nelle dimensioni.
Risulta indispensabile una selezione mirata al
miglioramento dei capezzoli per l’impiego della
mungitrice meccanica soprattutto per quanto riguarda la forma che dovrebbe tendere a quella cilindrica
e l’inserzione più bassa con tendenza alla verticalità.
Bibliografia
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Il germoplasma della Toscana
240
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241
VI. Germoplasma toscano di interesse zootecnico
La razza ovina Massese: aspetti quanti-qualitativi
della produzione di latte
A. Acciaioli, G. Parisi, O. Franci, C. Pugliese, S. Rapaccini, M. Lucifero
Dipartimento di Scienze zootecniche, Università degli Studi di Firenze
Nell’ovinicoltura da latte toscana l’unica razza
autoctona è la Massese, caratterizzata da un particolare ritmo riproduttivo che le consente di avere tre
parti ogni due anni, alternando una lattazione lunga
a due più brevi. Nell’ambito di più progetti di ricerca sono stati studiati alcuni aspetti della produzione
del latte di questa razza.
Studio della curva di lattazione
Sono state individuate e caratterizzate tre tipologie di lattazione in base all’epoca di parto ed alla
durata. La produzione di latte è stata controllata con
frequenza settimanale e per il calcolo dei parametri
della curva e della produzione totale è stato utilizzato il seguente modello matematico (Wood, 1967):
Pecore Massesi al pascolo
2500
g/d
2000
y = a • x b • e -c • x
1500
y = quantità di latte prodotta al giorno x dal parto
a, b, c = parametri che caratterizzano la forma della curva
1000
500
Per ogni singola lattazione sono stati stimati:
momento in cui si verifica il picco, valore della produzione massima, persistenza e produzione totale
(vedi Tab. 1).
d
0
0
20
40
60
80
100
120
140
160
180
200
220
240
260
280
Graf. 1 - Produzione di latte della lattazione autunnale
breve: tipologia 1 (136 giorni)
g/d
g/d
2500
2500
2000
2000
1500
1500
1000
1000
500
500
0
0
0
20
40
60
80
100
120
140
160
180
200
220
240
260
d
Graf. 2 - Produzione di latte della lattazione primaverile
breve: tipologia 2 (94 giorni)
280
0
20
40
60
80
100
120
140
160
180
200
220
240
260
d
Graf. 3 - Produzione di latte della lattazione autunnale
lunga: tipologia 3 (240 giorni)
280
Il germoplasma della Toscana
242
Tab. 1 - Studio della curva di lattazione
Tipo di lattazione
Tempo al picco (d)
Produzione al picco (g)
Persistenza
Prod. totale di latte (kg)
15.4
2.9
9.6
2060
2166
1763
5.32
4.93
5.35
166.2
145.0
219.9
- 1 (Graf. 1)
- 2 (Graf. 2)
- 3 (Graf. 3)
%
%
9
8
8,5
8
proteina totale
7
7,5
6
7
caseina
6,5
5
6
5,5
4
Grasso
5
3
4,5
4
2
8
28
48
68
88
108
128
148
168
188
208
228
d
8
28
48
68
88
108
128
148
168
188
208
228
d
148
168
188
208
228
d
Graf. 5 - Proteina totale e caseina
Graf. 4 - Grasso
log
5,8
min
30
5,6
25
5,4
20
5,2
15
5
10
5
4,8
0
4,6
8
28
48
68
88
108
128
148
168
188
208
228
d
8
28
48
68
88
108
128
Graf. 7 - Tempo di coagulazione (R)
Graf. 6 - Cellule somatiche
Tab. 2 - Valutazione del periodo di macellazione
Totale latte prodotto (kg)
Peso agnello (kg)
Incremento p.v. agnello (kg)
Indice conversione (kg/kg)
0 - 20 giorni
0 - 30 giorni
20 - 30 giorni
37.1
10.9
5.5
6.8
55.6
13.5
8.0
6.9
18.5
—
2.6
7.0
Studio della qualità del latte
Durante le lattazioni, con cadenza settimanale,
sono stati prelevati 984 campioni di latte rappresentativi della mungitura mattutina e serale, le analisi
hanno riguardato:
• parametri composizionali: proteina e caseina
(Graf. 5), grasso (Graf. 4), lattosio e cellule somatiche (Graf. 6)
• pH
• parametri tecnologici: tempo di coagulazione (R)
(Graf. 7), velocità di formazione del coagulo
(k20), consistenza del coagulo a 30 minuti (a30).
È stata calcolata la conversione del latte in agnello per valutare la convenienza ad anticipare o ritardare la macellazione.
243
Lavorazione del latte di pecore Massesi
Prodotti del latte di pecore Massesi
Conclusioni
La lattazione primaverile breve si è differenziata
per picco produttivo più elevato ed anticipato e
minore persistenza della fase discendente; ha fornito, inoltre, latte con le migliori caratteristiche sia
composizionali che tecnologiche.
Con il procedere della lattazione si è verificato
per tutte le tipologie un aumento delle percentuali di
grasso, proteina e caseina, un leggero peggioramento delle caratteristiche tecnologiche.
Considerato che il raggiungimento di 20 giorni di
età è comunque necessario per ottenere un agnello
di pregio e per recuperare il valore alla nascita, la
convenienza a protrarre l’allattamento dipende dal
prezzo della carne e del latte. In questa fase per ottenere 1 kg di accrescimento occorrono 7 kg di latte.
245
VI. Germoplasma toscano di interesse zootecnico
La Capra Garfagnina
Mina Martini, Paolo Verità
Dipartimento di Produzioni Animali, Università degli studi di Pisa
te; labbra grosse da buona pascolatrice; possibiAttualmente la capra Garfagnina, allevata in prolità di corna sia nel maschio che nella femmina,
vincia di Lucca, è rappresentata da circa 2.500 capi
in quest’ultime sono rivolte all’indietro, diritte o
suddivisi in 49 allevamenti nell’area della Garfagnana
ricurve, a sezione rotonda; nei maschi, oblique e
(Fig. 1) e nella Media Valle del Serchio (Fig. 2).
più lunghe, dirette lateralmente; la barbozza è
Le aziende, a conduzione diretta, sono di piccole
sempre presente;
dimensioni e spesso gli animali vengono allevati
• collo lungo ma robusto; le tettole non si risconinsieme a razze ovine. L’allevamento è di tipo estentrano in tutti gli animali;
sivo con ricoveri modesti e scarse attenzioni igieni• tronco con diametri longitudinali sviluppati;
che. L’alimentazione si basa soprattutto sull’utilizzo
linea dorso lombale di solito rettilinea; groppa
di vegetazione spontanea del sottobosco e dei pascoli.
inclinata posteriormente;
La popolazione caprina, non avendo mai usufrui• arti robusti con unghielli solidi;
to di interventi di miglioramento programmati, presenta una certa variabilità dei
caratteri e soprattutto di quelli
Camporgiano
fanerotici; spiccano comunque
11 capi, 1 allevamento
Villa Collemandina
le caratteristiche di robustezza
26 capi, 3 allevamenti
ed adattabilità a zone poco
impervie, disagiate e poco proPievefosciana
192 capi,
duttive.
3 allevamenti
Caratteri esteriori
della popolazione
Le caratteristiche morfologiche delle capre Garfagnine
possono essere così riassunte:
• taglia: media;
• testa: proporzionata, profilo
rettilineo o leggermente
montonino; orecchie abbastanza grandi, dritte, protese in avanti orizzontalmen-
Fosciandora
37 capi,
2 allevamenti
Vergemoli
95 capi,
2 allevamenti
Minucciano
204 capi,
5 allevamenti
Fig. 1 - Consistenze e numero di
allevamenti caprini in Garfagnana.
Totale capi: 600
Totale allevamenti: 18
Careggine
20 capi,
1 allevamento
Castelnuovo Garfagnana
15 capi, 1 allevamento
Il germoplasma della Toscana
246
Coreglia Alteminelli
80 capi, 5 allevamenti
Barga
162 capi, 6 allevamenti
Fig. 2 - Consistenze e numero di
allevamenti caprini nella media
Valle del Serchio.
Totale capi: 1839
Totale allevamenti: 31
Caratteri generali
Nella Tab. 1 sono riportate le
misure biometriche dei maschi
e delle femmine adulte.
Spesso gli animali vengono
messi in riproduzione a partire
dai 6 mesi di età e i maschi
rimangono con le femmine per
tutto l’anno. Le monte iniziano
in agosto e si protraggono fino
Fabbriche di
Vallico
ad ottobre inoltrato. I parti
82 capi,
avvengono normalmente in
2 allevamenti
Bagni di Lucca
gennaio-marzo ed in questo
1445 capi, 17 allevamenti
periodo, le capre, ricevono una
limitata integrazione alimentaBorgo a Mozzano
re costituita prevalentemente
70 capi,
da fieno di prato polifita natu1 allevamento
rale, rare integrazioni di concentrati e sottoprodotti come
barbabietole.
• mantello molto variabile per i colori che lo comI caratteri riproduttivi riportati nella Tab. 2 rilepongono, per la distribuzione e per l’intensità di
vano una fertilità ed una prolificità non elevate
questi nelle varie parti del corpo; tra i colori più
dovute alle precarie condizioni di allevamento ed
frequenti troviamo il bruno rossastro, il grigio
alla scarsa selezione fino ad oggi effettuata.
dato dall’unione di peli bianchi e neri, il fulvo ed
Gli animali rimangono in azienda a lungo deteril marrone, sono frequenti anche mantelli pezzaminando un basso tasso di rimonta (15%).
ti bianchi con macchie grigie, fulve e rossastre. Il
I pesi dei nati da parto singolo sono mediamente
pelo si presenta lungo e folto ed è quasi sempre
di 4,8 e 4,5 Kg rispettivamente per i maschi e per le
più abbondante nei maschi.
femmine, nei gemelli si registrano valori medi per i
due sessi di 4,4 Kg e 3,8 Kg.
Tab. 1 - Misure biometriche dei maschi e delle femmine adulte
Altezza al garrese
Altezza del torace
Lunghezza del tronco
Lunghezza del torace
Lunghezza della groppa
Larghezza del torace
Larghezza anteriore groppa
Larghezza posteriore groppa
Circonferenza torace
Circonferenza stinco
Parte libera degli arti
Maschi
d.s.
Femmine
d.s.
82.71
38.71
93.50
48.00
29.57
20.00
17.78
14.85
100.00
11.28
40.90
7.52
3.43
6.53
2.17
1.96
1.75
1.72
2.89
6.60
0.95
9.54
76.16
34.69
82.04
41.56
25.29
19.81
17.05
13.72
92.24
9.36
40.83
4.62
1.84
5.15
2.75
1.73
2.25
1.28
1.97
5.56
0.78
3.88
247
I capretti, alimentati esclusivamente con latte
materno, vengono venduti al macello ad un’età di
circa 40 giorni con un peso medio di 11 Kg.
La lattazione dura in media 180 giorni con una
produzione di latte di circa 200 Kg (Tab. 3).
Il latte, di solito misto a quello ovino o bovino
viene utilizzato per la produzione di formaggio tipo
pecorino e ricotta con rese medie del 9,6 e 5,3%.
Conclusioni
La popolazione caprina Garfagnina, anche se la
variabilità dei caratteri biometrici risulta modesta,
non presenta una conformazione perfettamente
armonica per un notevole sviluppo degli arti indicandone il carattere di buona pascolatrice che le
permette di inserirsi perfettamente nell’ambiente di
origine, caratterizzato da limitate risorse alimentari.
La sua notevole disomogeneità fanerotica deriva
dalla ricerca degli allevatori, non supportati da organizzazioni tecniche, di combinazioni genetiche più
favorevoli, talvolta dettate da semplici motivazioni
estetiche e non da veri e propri obiettivi di selezione.
In sintesi, il miglioramento produttivo di questa
popolazione necessita di un avanzamento delle tecniche di allevamento con particolare attenzione agli
aspetti alimentari, riproduttivi ed igienico sanitari.
Tutto ciò, dovrà essere affiancato ad un’opera di miglioramento genetico conservando le caratteristiche
di adattabilità alle difficili aree della collina e della
montagna Toscana.
Sono quindi auspicabili ulteriori studi per
approfondire le conoscenze sulle attitudini funzionali della capra, al fine di portare vantaggi tecnici ed
economici agli allevatori e favorire così un rilancio
di questo settore zootecnico in relazione soprattutto
alla tipizzazione dei prodotti.
Tab. 2 - Parametri riproduttivi
Media
Rapporto maschi/femmine
Incremento demografico
Fecondità
Fertilità
Prolificità
Rimonta
Età 1° salto maschi
Età 1° accopp. femmine
Carriera riprod. maschi
Carriera riprod. femmine
Mortalità
%
%
%
%
%
gg
gg
anni
anni
%
1:25
63,50
93,00
71,50
130,00
15,00
268,00
299,00
4,80
8,20
14,50
Tab. 3 - Produzione caratteristiche del latte
Media
Latte capo
Giorni
Proteine
Lipidi
Lattosio
litri
%
%
%
215
195
3,07
3,58
4,29
d.s.
66
28
0,47
0,69
0,25
Il germoplasma della Toscana
248
Bibliografia
COLOMBANI B., ORLANDI M., VERITÀ P., MARTINI M., BERNI P., PITTI
A. (1987) - Influenza del livello energetico della razione
sulla produzione di latte nella specie caprina. Ann. Fac.
Med. Vet. Pisa, vol. XL, 305-324.
MARTINI M., COLOMBANI B., GREPPI G.F. (1989) - Caratteristiche
quanti-qualitative del latte prodotto dalle capre della
Media Valle del Serchio. Milano XXIV Simp. Inter. di
Zoot., 263-267.
MARTINI M., PAGANELLI C. (1988) - La capra della Media Valle
del Serchio. Agricoltura Toscana, 9-10, 37-39.
PASQUINI M., CICERI A., MARTINI M., COLOMBANI B., GREPPI G.F.
(1991) - Capacità produttive della capra della Media Valle
del Serchio: analisi del profilo metabolico. Atti IX Cong.
Naz. A.S.P.A. Roma 1991, 935-949.
MARTINI M. (1988) - Prove di alimentazione su una popolazione caprina poco conosciuta: la capra della Media Valle del
Serchio. Inf. Zoot., 24, 25-27.
249
VI. Germoplasma toscano di interesse zootecnico
La Pecora Zerasca
Mina Martini, Paolo Verità
Dipartimento di Produzioni Animali, Università degli studi di Pisa
Tra le popolazioni ovine presenti in Toscana ne è
stata individuata una le cui origini non sono ben
note. La prima citazione in documenti tecnici risale
alla metà del secolo scorso, ma l’ipotesi più accreditata è quella della derivazione da incroci fra una
popolazione autoctona e razze del Nord Italia, in particolare la Bergamasca, la Biellese ed altri ceppi
appenninici. Il solo indirizzo selettivo evidente, condotto in maniera molto empirica dagli allevatori, è
degli anni Sessanta e Settanta facendo ampio ricorso ad arieti di razza Massese per aumentare la produzione lattea, ma questa pratica ha portato ad una
riduzione della rusticità e della capacità di adattamento ad un ambiente non facile sia dal punto di
vista climatico che di reperimento delle fonti alimentari. Attualmente, tale tipo di incrocio non viene
più attuato e sono quasi completamente scomparse
le caratteristiche morfologiche che ricordano la
razza incrociante, anche se qualche particolarità del
mantello sussiste in alcuni soggetti sotto forma di
piccole macchie colorate sul muso e sugli arti.
Già da qualche anno gli ovini Zeraschi sono stati
inseriti nell’elenco delle razze-popolazioni meritevoli di difesa approvato dalla Comunità Europea, e dal
1992 sono iscritte nel Registro Anagrafico ai fini del
miglioramento genetico.
Le caratteristiche produttive della popolazione
Zerasca hanno suscitato l’interesse del Dipartimento
di Produzioni Animali dell’Università di Pisa, che ha
condotto studi sia sulle caratteristiche morfologiche,
produttive e riproduttive degli ovini, sia sull’ambiente di allevamento, considerando anche la tipologia delle aziende zootecniche.
Caratteristiche generali
Attualmente, i soggetti Zeraschi sono rappresentati da poco meno di 3.000 capi, di cui circa il 60%
con caratteristiche morfologiche e produttive ben
fissate.
Allevati nel Comune di Zeri (MS), gli ovini sfruttano i terreni marginali, ad alta e media declività,
compresi fra 700 e 1200 metri di altezza s.l.m., con
una tecnica di allevamento esclusivamente estensiva. La presenza sui pascoli dura tutto l’anno, anche
nei periodi di maggiore inclemenza climatica, quando si effettua l’unico momento d’integrazione alimentare con fieno prodotto nelle stesse aziende o
con foglie essiccate raccolte durante la stagione
vegetativa arborea (castagno, carpino, faggio, etc.). Il
programma alimentare è evidenziato nella Fig. 1, da
cui risulta anche evidente come il pascolamento sia
raramente effettuato su terreni arborati.
Fig. 1 - Programma alimentare
Pascolo naturale (1.2)
Sottobosco
Stalla (3), Fieno (4)
Sfalcio
G
F
M
A
M
•
•
•
•
•
•
•
(1.2) Pascolo nudo di crinale; pascolo arborato sottostante
G
L
•
•
Pascolamento raro
A
S
O
N
D
•
•
•
•
•
•
•
•
(2.3) Nel centro aziendale da dicembre a febbraio
(4) Sfalcio unico
Il germoplasma della Toscana
250
Tab. 1 - Dati aziendali (su 30 aziende)
Totale aziende del Comune
Aziende con n. capi > 40
Aziende con n. capi < 40
Superficie media
Superficie per animali
199
30
169
ha 17,87
ha 15,33
Giacitura terreno
Altezza centro aziendale
Pascolo utilizzato
Numero medio di Capi/azienda
acclive (>30%)
600-800 s.l.m.
900-1200 s.l.m.
50
Tab. 2 - Dati rilevati alla macellazione (medie stimate; ANOVA)
Peso vivo alla nascita
Età alla macellazione
Peso vivo alla macellazione
Peso vivo netto
Carcassa a caldo
kg
d.
kg
kg
kg
Allev. 1
Allev. 2
Allev. 3
Maschi
Femmine
Parto Sing.
Parto Gem.
5.26 b
74 B
18,86
16,4
8,87
4.32 a
59 A
20,32
17,94
9,09
4.51 a
62 A
19,81
17,82
9,31
4,89
64
19,64
17,32
9,16
4,46
65
19,68
17,45
9,02
5.12 b
66 b
19,12
16,37
9,06
3.98 a
63 a
20,21
18,05
9,11
Medie stimate ed aggiustate al peso medio del P.V. nascita di 4.65 kg ed età media di macellazione di 65 giorni
Tab. 3 - Parametri riproduttivi e produttivi
(su 30 aziende)
PARAMETRI RIPRODUTTIVI
Capi totali
primipare
pluripare
agnelle
arieti
Attiv. riprod. femmine
Attiv. riprod. maschi
Rimonta
Rimonta annua
1° salto maschi
1° accopp. femmine
Maschio/Femmine monta
Femmine partorite anno
Concentrazione parti mese
PRODUZIONE CARNE
Peso medio nascita:
maschi
femmine
gemelli
Peso medio vendita
Età media vendita
Dati Stimati
50
12
29
7
2
anni 9,4
anni 4,7
tipo interna
16-18%
mesi 10-13
mesi 10-13
1/1
8/4
tutto l’anno
Dati rilevati
kg 5,43
kg 4,67
kg 3,8
kg 19,67
gg 62
PRODUZIONE LATTE
Durata lattazione
Latte/capo/lattazione
Latte/capo/giorno
Utilizzazione latte
gg —
kg —
kg —
agnello
PRODUZIONE LANA
non utilizzata
A,B: P≤0,01
a,b: p≤0,05
Le caratteristiche medie delle aziende zootecniche sono presentate nella Tab. 1: il terreno molto
acclive supera anche il 30% di pendenza, ma non
crea problemi di spostamento agli ovini che, del
resto, utilizzano la maggior parte della superficie
aziendale. Tuttavia, non solo questa è a disposizione
degli animali, ma anche buona parte del territorio
comunale.
L’indirizzo produttivo è tipicamente da carne; il
latte prodotto è devoluto nella quasi totalità agli
agnelli, e solo una minima parte viene utilizzata per
la caseificazione per l’autoconsumo. Le caratteristiche produttive carnee degli agnelli sono riportate
sinteticamente nella Tab. 2, in cui appare anche il
confronto con soggetti allevati con il sistema intensivo (Allev. 1) e semiestensivo (Allev. 2): i pesi di
carcassa migliori sono riscontrabili nei soggetti allevati tradizionalmente (Allev. 3). L’età di macellazione, che non supera i 2 mesi, ed il peso vivo che gli
agnelli raggiungono (mediamente intorno i 20 kg
p.v.) indicano la buona attitudine alla produzione di
carne, qualitativamente molto apprezzata dal mercato locale (Tab. 3).
Le caratteristiche morfologiche degli ovini
Zeraschi possono essere così sintetizzate:
• taglia medio-grande;
• testa leggera e proporzionata, profilo rettilineo o
leggermente convesso, orecchie di medie dimensioni leggermente pendenti;
• collo di media lunghezza;
• tronco relativamente lungo;
• groppa ben sviluppata in lunghezza e larghezza;
251
Gregge di Pecore zerasche
• arti solidi e diritti;
• mammella piccola e ben attaccata al corpo;
• mantello bianco, talvolta con pigmentazioni grigie o rossastre sul muso e sugli arti.
Nella Tab. 4 sono riportate le misurazioni biometriche di alcune categorie di soggetti.
I parametri riproduttivi (Tab. 3) appaiono estremamente interessanti in relazione sia all’età del
primo accoppiamento, precoce per soggetti rustici
ed allevati estensivamente, sia per il fatto che la
maggior parte delle pecore presenta i calori in tutto
l’arco dell’anno: non esistono quindi momenti di
particolare concentrazione dei parti, se non quelli
voluti dall’allevatore nei periodi pre-pasquale e prenatalizio.
Gli indirizzi selettivi attualmente perseguiti sono
rappresentati dalla ricerca di una migliore conformazione somatica per la produzione della carne, e
l’istituzione del Registro Anagrafico sta facilitando
tale attività.
Conclusioni
I diversi studi condotti dal Dipartimento di
Produzioni Animali dell’Università di Pisa, e qui
riassunti sinteticamente, indicano come questa
Tab. 4 - Misurazioni biometriche
Ordine parto
I°
Soggetti (numero)
171
II°
83
III° e oltre
166
Peso vivo
kg
39,73
56,6
62,93
Larghezza testa
cm
13,29
13,72
13,97
Altezza al garrese
cm
71,67
73,74
75,08
Lunghezza tronco
cm
74,86
77,21
78,17
Profondità toracica
cm
38,48
39,98
40,42
Altezza toracica
cm
32,33
33,87
34,36
Circonferenza toracica
cm
88,32
92,19
94,36
Lunghezza groppa
cm
22,75
23,79
24,06
Distanza tuberosità ischiatiche
cm
9,84
10,76
10,86
Distanza trocanteri
cm
20,36
21,27
21,44
Distanza bisiliaca
cm
19,68
18,45
18,9
Circonferenza stinco
cm
8,43
8,78
8,82
Lunghezza natica
cm
31,66
31,84
32,26
Il germoplasma della Toscana
252
razza-popolazione risulti estremamente interessante
per la produzione di un agnello meritevole di tipizzazione non solo per le caratteristiche quantitative,
ma anche per quelle qualitative alle quali apporta un
contributo l’ambiente di allevamento lontano da
qualsiasi fonte industriale di inquinamento.
Da parte di questo Dipartimento sono attualmente in corso studi volti a definire la capacità di adattamento di piccoli nuclei di maschi e femmine al di
fuori del loro tradizionale ambiente, nella prospettiva della creazione e dell’ampliamento della zona di
espansione.
Bibliografia
DEL PERCIO M. – Studio di pascoli della Lunigiana. Tesi di laurea, Fac. Med. Veterinaria, Pisa, A.A. 1994-95.
DODI L. – Tecniche di allevamento degli agnelli della popolazione Zerasca. Tesi di laurea, Fac. Med. Veterinaria, Pisa,
A.A. 1991-92.
MARTINI M., VERIT P., CECCHI F., RICCI G., GIULIOTTI L., COLOMBANI
B. - Prove di accrescimento e rese alla macellazione della
popolazione ovina Zerasca. Atti XXVIII Simp. Internaz.
Zootecnia, Milano, 1993, 365 - 380.
MEINI A.F. – Valutazione morfometrica della popolazione
ovina Zerasca. Tesi di laurea, Fac. Med. Veterinaria, Pisa,
A.A. 1990-91.
VERITÀ P., MARTINI M., LEOTTA R., CECCHI F., COLOMBANI B. Studio biometrico della popolazione ovina Zerasca. Atti
XXVIII Simp. Internaz. Zootecnia, Milano, 1993, 479 494.
253
VI. Germoplasma toscano di interesse zootecnico
Caratteristiche morfo-funzionali
della razza bovina Garfagnina
P. Secchiari, G. Ferruzzi, M. Mele, A. Pistoia
C.I.R.A.A. “E. Avanzi”, D.A.G.A., Settore Scienze zootecniche
A. Serra - D.A.G.A., Settore Scienze zootecniche
Cenni storici e diffusione originaria
La razza, la cui origine è ascrivibile alla Podolica
primitiva, è allevata dai tempi più lontani nell’alta
valle del Serchio. Negli anni Trenta, come riportato
da Bianchi (1939), la Garfagnina era diffusa, oltre
che in provincia di Lucca, nel territorio delle provincie di Massa Carrara (un tempo Apuania), Reggio
Emilia e Modena.
Questo bestiame, che era indicato con denominazioni diverse quali Nostrano, Grigio dell’Appennino
Reggiano, Modenese di Monte, presentava, tuttavia,
caratteristiche tali da farlo considerare un tipo unico
presente nelle zone collinari e montane fra la Toscana nord-occidentale e l’Emilia.
In provincia di Massa Carrara, della quale la Garfagnana era parte fino al 1923, la razza Garfagnina
ha conservato il suo nome originario, derivatole dal
territorio di maggiore diffusione.
In particolare, l’allora Ispettorato dell’Agricoltura
di Apuania riconosceva, nel 1939, per l’attuazione
dei programmi zootecnici relativi alla razza, un’area
di diffusione di circa 46.000 ha, compresa nei territori comunali di Casola, Fivizzano, Comano, Licciana
Il germoplasma della Toscana
254
Mozzano, Pescaglia, Bagni di Lucca, Coreglia
Antelminelli e Barga, si può dire che questo bestiame, sia pure con un altro nome e un po’ deviato dal
tipo allevato in Garfagnana, popolava tutta la dorsale Appenninica delle quattro provincie di Lucca,
Modena, Massa Carrara e Reggio.
Diffusione attuale e consistenza
La zona di diffusione della razza Garfagnina,
attualmente, comprende le aree della Garfagnana,
della Lunigiana e della Lucchesia. La consistenza, al
31 dicembre 1998, ammontava a 410 capi, di cui
151 vacche, 172 manze, 81 vitelli e 6 tori distribuiti
su 70 allevamenti. In realtà sarebbe più corretto parlare di nuclei di allevamento di soggetti meticci derivanti da incrocio delle poche femmine conservate
negli anni ’70 con tori di razza Bruno Alpina (in
qualche caso anche Frisona) e successivo meticciamento. Nella razza Garfagnina attuale, infatti, è possibile notare caratteristiche influenzate dalle razze
Bruno Alpina e Frisona.
Diffusione della razza bovina Garfagnina
Caratteristiche morfologiche
e Tresana ed in parte di quelli di Aulla, Podenzana e
Fosdinovo. In questa zona i bovini appartenenti al
tipo “prevalentemente” garfagnino, ammontavano a
8.000 capi di cui 5.800 vacche e manze e 2.800 buoi,
vitelli e tori; questi ultimi nel 1939 erano 29 e, in
poco tempo, sempre secondo Bianchi, sarebbero
dovuti diventare una cinquantina.
Nell’alto e medio Appennino Reggiano il bestiame
bovino allora esistente, come sopra ricordato, era
chiamato col nome di “Razza Grigia dell’Appennino
Reggiano”. Si trattava di bestiame indigeno che non
aveva subìto incroci né con la razza Bruna Alpina né
con quella Reggiana e che veniva riprodotto in purezza. A questo proposito l’Ispettorato di Modena forniva in merito le seguenti indicazioni: “il bestiame
bovino allevato nell’alto Appennino modenese a
mantello brinato e con pigmentazioni apicali ardesia
scuro, ascrivibile al tipo appenninico, e che in questa
provincia è classificato come Modenese di monte, è
effettivamente lo stesso allevato in Garfagnana ove
ha subito le influenze dell’ambiente migliorando
segnatamente nelle attitudini produttive”.
Pertanto, sebbene il decreto ministeriale 21
marzo 1935 avesse stabilito che l’area di allevamento della razza Garfagnina comprendeva i comuni
della provincia di Lucca che costituivano il circondario di Castelnuovo Garfagnana e quelli di Borgo a
Mantello: di colore grigio (detto brinato) con variazioni dal grigio chiaro al grigio scuro;
Testa: nelle femmine è di media lunghezza, leggera,
con fronte ampia e leggermente depressa; nei
maschi si presenta corta e larga, ma non tozza;
Lombi: piuttosto larghi, ben attaccati e robusti;
Groppa: larga anteriormente, stretta e spiovente
posteriormente, nel complesso scarna;
Coscia: non piatta, nei maschi è abbastanza muscolosa;
Peso: nei maschi 560-650 kg, nella femmine 400455 kg;
Altezza al garrese: nei maschi 130-145 cm, nelle
femmine 129,2-130 cm.
La parte superiore delle corna, le palpebre, il musello, la faccia dorsale della parte libera della lingua, il palato, gli unghielli, gli orifizi, il fondo
dello scroto ed il fiocco della coda, nei soggetti
definiti tipici, dovrebbero essere sempre neri.
Allevamento ed attitudine produttiva: la razza si
distingue per le buone capacità di utilizzo di
foraggi scadenti come ricacci del sottobosco e dei
castagneti da frutto ed è ben adattata alle condizioni climatiche della zona d’allevamento, talora
severe (Bianchi, 1939; Bonadonna, 1951).
Originariamente veniva definita come razza a triplice attitudine, anche se ha sempre prevalso
255
Esemplare di bovina Garfagnina
l’attitudine lattifera. Le vacche Garfagnine, tuttavia, dimostravano una tale resistenza ed energia
da vedersi affidare totalmente il lavoro dei
campi, in sostituzione anche degli stessi buoi.
In ordine alla produzione di latte, bisogna sottolineare che, nel quadro dell’agricoltura mezzadrile del
tempo, era tenuta in grande conto la trasformazione
casearia che si attuava mettendo in comune, ogni settimana, il latte prodotto da più stalle. Ciascuno dei
partecipanti a questa forma “associativa” di trasformazione, a turno, produceva un formaggio dalle qualità molto apprezzate, la cui commercializzazione
avveniva tradizionalmente in occasione della fiera
che si teneva e si tiene a Castelnuovo Garfagnana
nelle prima settimana di settembre.
In forza di queste caratteristiche attitudinali,
attualmente la razza Garfagnina viene allevata principalmente allo stato semibrado (solo nei mesi invernali viene ricoverata in stalla) e vede considerata,
come produzione principale, quella del latte (medie
delle pluripare di circa 3.300 litri al 4,5% di grasso,
per lattazione) e, come produzione secondaria, quel-
Bovini Garfagnini al pascolo
la della carne, apprezzabile soprattutto se il vitello
viene macellato precocemente. A questo proposito,
infatti, fonti risalenti agli anni Trenta (Bianchi,
1939), riportano che la carne dei vitelli da latte di
questa razza era particolarmente apprezzata in tutta
la zona della Toscana nord occidentale e della Liguria
orientale, fino anche a Genova, per il colore chiaro e
l’eccellente sapore e che i vitelli, grazie all’elevato
valore nutritivo del latte materno, facevano registrare incrementi medi giornalieri fino a kg 1,3.
Bibliografia
BIANCHI A. (1939) - I bovini di razza Garfagnina e il miglioramento conseguito con la selezione. Scuola tipografica
Artigianelli, Lucca.
BONADONNA T. (1951) - Zootecnia speciale, Vol. III, Seconda
ed., Istituto editoriale Cisalpino, Varese.
257
VI. Germoplasma toscano di interesse zootecnico
Caratteristiche morfo-funzionali
della razza bovina Mucca Pisana
P. Secchiari, A. Pistoia, G. Ferruzzi, M. Mele
C.I.R.A.A. “E. Avanzi”, D.A.G.A., Settore Scienze zootecniche
A. Serra - D.A.G.A., Settore Scienze zootecniche
Cenni storici
Sull’origine della razza Mucca Pisana (detta
anche razza Nera della Toscana o Mucca Nera
Pisana) gli autori non sono completamente concordi.
Le prime notizie sulla razza si hanno tra la fine del
XVIII e gli inizi del XIX secolo e, secondo Fogliata,
deriverebbe dall’introduzione dalla Svizzera nell’Agro Pisano della razza Schwyz che, secondo lo
stesso autore, “avrebbe trovato in questa zona condizioni migliori di prosperità rispetto ad altre razze
con la medesima attitudine”.
Nell’archivio di San Rossore si trova invece una
documentazione che attribuirebbe la sua origine alla
razza svizzera Luganese a mantello nero; tale ipotesi è avallata anche da C.M. Mazzini (Lucifero, 1989).
Malgrado queste discordanze di parere tra gli
studiosi, si ritiene comunque che la Mucca Pisana
possa derivare da un incrocio tra una razza autoctona detta “Podolica Locale” (che denotava caratteristiche intermedie tra la Maremmana e la Pontremolese) e bovini svizzeri Schwyz e/o di Lugano (più
probabilmente questi ultimi, dato il colore nero del
loro mantello), importati in provincia di Pisa verso la
metà del Settecento ad opera dei Lorena.
Per molti anni è stato inoltre praticato l’incrocio
con la razza Bruna Alpina; dal 1850, tuttavia, si iniziano ad avere notizie di insanguamenti effettuati
con riproduttori Olandesi, Shortorns e Charolais.
L’incrocio che, per durata ed “ampiezza”, ha maggiormente influito sulle caratteristiche della razza
Mucca Pisana, è stato, tuttavia, quello con soggetti di
razza Chianina, praticato per una decina d’anni a
partire dal 1880, al fine di irrobustirla, aumentarne
la mole e la resistenza al lavoro. Tali effetti sono tuttora ben manifesti nella popolazione esistente.
(Lucifero 1989; Ciampolini e Cianci 1990; Secchiari
et al., 1996)
Diffusione e consistenza
La culla della razza Mucca Pisana è rappresentata
dalla bassa Valle del Serchio con aree di allevamento
che, originariamente, comprendevano la pianura di
Pisa (da Cascina fino a Viareggio) ed una parte della
Lucchesia. Gli allevamenti della provincia di Pisa si
trovavano soprattutto nei Comuni di Pisa, Vecchiano,
San Giuliano Terme, Calci, Cascina, Vicopisano e
Calcinaia. Attualmente i 22 allevamenti sono ubicati
in un’area abbastanza limitata, tra le Provincie di
Pisa, Livorno e Lucca (Secchiari et al., 1996).
Diffusione e consistenza della razza Mucca Pisana
Il germoplasma della Toscana
258
Le prime notizie relative alla consistenza numerica della razza risalgono ai primi del Novecento e si
riferiscono ad un censimento e a dati riportati sui
registri di monta. Nel 1906 il Fogliata calcolava che
esistessero circa 2.000 capi, ma, dal primo vero censimento, risalente al 1908, risultarono effettivamente circa 7.000 capi, distribuiti nei comuni di Pisa,
San Giuliano, Vecchiano e Cascina (Ciampolini e
Cianci,1990).
Nel 1928 i soggetti di razza Mucca Pisana erano
circa 20.000, ma già immediatamente prima della
seconda guerra mondiale, i capi allevati erano scesi
fino a 15.000. Con la guerra, che nei sopraindicati
Comuni fu combattuta in maniera particolarmente
intensa, si registrò una brusca caduta della consistenza numerica che passò a 5.000-6.000 soggetti.
Il diffondersi della meccanizzazione agricola ha
fatto sì che gli allevatori abbandonassero la Mucca
Pisana a favore di razze decisamente più specializzate come la Bruna Alpina e la Frisona, per quanto
riguarda la produzione di latte e la Chianina per
quella della carne. Tutto ciò ha determinato un ulteriore decremento della numerosità della razza che,
con soli 60 capi, nel 1978 ha finito per sfiorare l’estinzione.
Da quell’anno, con la nascita del primo programma regionale di salvaguardia nell’ambito del progetto di ricerca e valorizzazione delle razze bovine
autoctone, in collaborazione con il CNR, si è avuta
una certa inversione di tendenza e si è verificato un
seppur limitato recupero della consistenza numerica
della razza (Graf. 1).
Attualmente è in atto un lavoro di recupero
patrocinato dagli Enti locali (Provincia di Pisa e
ARSIA - Regione Toscana), volto alla salvaguardia
della razza ed al suo inserimento in un sistema produttivo che ne valorizzi le caratteristiche peculiari.
Un’iniziativa importante nell’ambito di questo lavoro di valorizzazione è stata l’istituzione, nel corso
del 1997, da parte dell’Ente Parco Regionale di Migliarino, San Rossore e Massaciuccoli, di un marchio
di identificazione geografica della carne dei bovini
di razza Mucca Pisana, la gestione del quale è stata
affidata all’APA di Pisa.
Caratteristiche morfologiche
Mantello: Il colore fromentino dei vitelli alla nascita
(caratteristica delle razze podolico derivate) evolve gradualmente verso il marrone (detto focato),
più scuro nei maschi, con riga dorsale (spigatura) rossiccia dei soggetti adulti.
Testa: Nelle femmine si presenta corta, pesante con
fronte ampia e riccioluta; nei maschi con profilo
diritto o leggermente convesso e sincipite molto
convesso. Le corna, corte e tozze di colore giallognolo alla base e nero in punta, dirette all’infuori in avanti e leggermente in basso, sono a sezione ellittica. Le corna in direzione opposta a quella indicata sono tollerate, purché il colore e la
sezione siano quelli tipici.
Lombi: Lunghi, larghi, in armonia con la groppa
Groppa: Rettangolare con prevalenza del diametro
antero-posteriore, piana
Coscia e natica: Lunghe, muscolose, ma con profili
rettilinei.
Pesi vivi: Lo standard di razza prevede per le femmine un peso di 700-800 kg e per i maschi un
peso di 1050-1150 kg.
Graf. 1 - Evoluzione della consistenza
numerica della razza negli ultimi venti
anni
259
Foto 1 - Torello di razza Mucca Pisana
Foto 2 - Vacca di razza Mucca Pisana a stabulazione libera
Altezza al garrese: Lo standard di razza prevede per le
femmine 145-150 cm e per i maschi 155-160 cm.
mente con l’avanzare dell’età: a 8 mesi, infatti, l’ICA
risulta poco superiore alle 4 UFC/kg di incremento
di PV, ad un anno si attesta intorno alle 6,5-7
UFC/kg di incremento di PV per arrivare e talora
superare le 9 UFC/kg di incremento di PV dopo i 18
mesi (Secchiari et al., 1996).
Proprio per questo motivo, nel caso dei vitelloni
di razza Mucca Pisana, l’alimentazione “spinta” per
tutto il periodo di allevamento è da sconsigliare non
solo dal punto di vista della convenienza economica,
ma anche da quello delle caratteristiche delle carcasse che, nei soggetti allevati in tale regime alimentare, appaiono sensibilmente “grasse”; pare pertanto più opportuno adottare una dieta ad elevata
concentrazione energetica solo nella prima fase dell’ingrasso (fino a circa un anno di età) e poi diminuire gli apporti energetici e proteici (Secchiari et
al., 1996).
Le rese alla macellazione sono molto variabili,
infatti la resa lorda oscilla dal 55 al 60% e la resa
netta dal 62 al 65%, in funzione del tipo di alimentazione e dell’età di macellazione.
Per quanto riguarda i rilievi alla macellazione,
l’elevata incidenza sul peso vivo netto del peso della
testa (dal 3,5 al 4,2 %) e degli stinchi (dal 2,3 al 2,9%)
indicano un notevole sviluppo scheletrico di questi
soggetti; tale rapporto, tuttavia, tende a ridursi con
l’avanzare dell’età.
Lo studio di questi aspetti, unitamente alla definizione dei valori ottimali dell’età di macellazione e
della lunghezza del periodo di frollatura delle carni,
è oggetto di ulteriori prove sperimentali con il finanziamento ARSIA nell’ambito del progetto “Valorizzazione del materiale genetico bovino toscano e
della produzione di carne”, i cui risultati saranno
presto pubblicati.
Allevamento ed attitudine produttiva
In passato la razza Mucca Pisana è stata sempre
allevata a stabulazione fissa, ma negli ultimi anni si
stanno diffondendo allevamenti che adottano la stabulazione libera e, in taluni casi, lo stato semibrado,
con risultati non sempre incoraggianti (Foto 2).
Per quanto riguarda le attitudini produttive, i
soggetti “pisani” sopperiscono con le caratteristiche
di prolificità, vitalità, longevità e resistenza alle
malattie, alle carenze di resa in latte e dell’indice di
accrescimento, ma il pregio forse maggiore della
razza è rappresentato dallo spiccato istinto materno,
tanto che si è saputa meritare l’appellativo di “balia
per eccellenza”: infatti, accetta di allattare con facilità qualsiasi vitello e riesce a nutrirne, oltre al suo,
altri due.
Originariamente la Mucca Pisana era a triplice
attitudine e tale definizione le è stata attribuita fino
agli anni ’50 (Bonadonna, 1951; Trimarchi, 1956).
Attualmente, caduta la necessità dell’attitudine al
lavoro per le mutate condizioni dell’agricoltura, ci si
propone di utilizzarla soprattutto per la produzione
della carne che, come sopra ricordato, può ora giovarsi di un marchio di qualità.
Per quello che concerne le performance di allevamento, i vitelloni di razza Mucca Pisana, fanno
registrare Incrementi Medi Giornalieri (IMG) prossimi a kg 1, se alimentati con razione di tipo “tradizionale”, ma che possono raggiungere kg 1,2 se sottoposti a regime alimentare di più elevato valore
nutritivo (0,83 UFC/kg SS). Gli Indici di Conversione degli Alimenti (ICA) peggiorano notevol-
Il germoplasma della Toscana
260
Bibliografia
BONADONNA T., (1951) - Zootecnica speciale, Vol. III,Seconda
ed.; Istituto editoriale Cisalpino, Varese.
CIAMPOLINI R., CIANCI D., (1990) - Mucca Pisana una razza da
salvaguardare. Inf. Zoot. 23, 56.
LUCIFERO M., (1989) - La zootecnia all’esposizione Agraria
Toscana del 1857 e le razze dell’album Semplicini. Terra
e allevamento, 29-65; Alinari, Firenze.
SECCHIARI P., PISTOIA A., FERRUZZI G., SERRA A., (1996) - Aspetti
della produzione della carne con vitelloni di razza Mucca
Pisana – Provincia di Pisa.
TRIMARCHI G., (1956) - Panorama agricolo-zootecnico regionale. La regione 3 (8-9); 38-40.
261
VI. Germoplasma toscano di interesse zootecnico
L’allevamento di vitelloni di razza Mucca Pisana
per la produzione della carne: accrescimento
e caratteristiche alla macellazione
P. Secchiari, A. Pistoia, M. Mele, G. Ferruzzi
C.I.R.A.A. “E. Avanzi”, D.A.G.A., Settore Scienze zootecniche
A. Serra - D.A.G.A., Settore Scienze zootecniche
Scopo della prova
La ricerca è stata condotta allo scopo di approfondire le conoscenze sull’accrescimento dei vitelloni
maschi di razza Mucca Pisana e di studiare la loro
evoluzione corporea; si è inoltre voluto verificare l’effetto dell’età sulle caratteristiche alla macellazione.
Materiali e metodi
Per la prova sono stati utilizzati 16 vitelli maschi
svezzati (6 mesi di età) di razza Mucca Pisana, suddivisi in 4 gruppi omogenei corrispondenti a 4
diverse età di macellazione: 14, 16, 18 e 20 mesi e
alimentati con la medesima razione di tipo unifeed
costituita da insilato di mais, fieno polifita, paglia e
MCI in ragione di kg 1,5/q Peso Vivo (PV) e caratterizzata dal Valore Nutritivo (VN) di 7,9 UFC/kg SS.
• Rilievi in vita. Mensilmente sono stati rilevati
i PV individuali ed i consumi alimentari di gruppo;
sulla base di questi controlli sono stati calcolati gli
Incrementi Medi Giornalieri (IMG) e gli Indici di
Conversione degli Alimenti (ICA).
Con la stessa periodicità, su tutti i soggetti, sono
state inoltre effettuate le seguenti misurazioni somatiche: altezza al garrese, circonferenza toracica,
altezza del torace, lunghezza del tronco, circonferenza stinco anteriore destro.
I dati relativi ai pesi vivi hanno permesso di definire la curva di accrescimento dei vitelli maschi di
razza Mucca Pisana da 6 a 20 mesi di età utilizzando una regressione semilogaritmica (Bettini, 1988),
del tipo:
y = a + b x + c lnx
dove
y = PV al tempo x;
x = età in giorni.
Vitellone di razza Mucca Pisana
Si sono inoltre messi in relazione i PV e l’altezza
al garrese con i sopra citati rilievi morfometrici,
mediante la funzione allometrica y = axb, dove y =
misura allometrica, x = variabile di riferimento
(peso vivo o altezza al garrese), b = coefficiente allometrico, previa trasformazione logaritmica dei dati
originali.
• Rilievi alla macellazione. Immediatamente
dopo la macellazione sono stati pesati i componenti
del “quinto quarto”: la testa (separata a livello dell’articolazione occipito-atlantoidea e spellata); le
estremità distali degli arti (stinchi anteriori e posteriori destri, recisi rispettivamente a livello delle articolazioni carpo-metacarpica e tarso-metatarsica); la
pelle (compresa quella della testa) dopo sommaria
sgocciolatura dell’acqua di lavaggio; la “corata”,
comprendente il fegato, la milza, il cuore, la trachea
ed i polmoni; l’apparato digerente, limitatamente a
stomaci ed intestini pesati pieni e vuoti e, per differenza, il contenuto gastrointestinale. Quindi, sono
state calcolate la resa lorda e la resa netta di ciascun
soggetto macellato.
Il germoplasma della Toscana
262
Graf. 1 - Andamento del peso vivo
rispetto all’età
Tab. 1 - Coefficienti allometrici rispetto al peso vivo e all’aaltezza al garrese
Peso vivo
Altezza al garrese
Lunghezza del tronco
Altezza del torace
Circonferenza del torace
Circonferenza stinco ant.
Altezza al garrese
Medie stimate
ES
Medie stimate
ES
0,209
0,288
0,335
0,362
0,296
0,011
0,014
0,025
0,012
0,018
—
1,151
1,378
1,430
1,239
—
0,081
0,116
0,089
0,086
Tab. 2 - Rese alla macellazione ed incidenza percentuale dei componenti
il “quinto quarto” sul peso vivo netto
Resa netta (%)
Testa spellata
Pelle
Estremità distali degli arti
“Corata”
Apparato gastrointestinale
14 mesi
16 mesi
18 mesi
20 mesi
62,14
4,25
9,45
2,91a
3,00
9,78
62,31
4,19
8,75
2,90a
3,15
8,88
64,82
3,74
9,41
2,37b
3,36
7,35
62,13
3,85
8,78
2,30b
3,03
7,88
Lettere diverse sulla stessa riga p < 0.05
Risultati
I vitelloni hanno fatto registrare, nel periodo
svezzamento-macellazione, un IMG prossimo a kg 1,
in linea con i risultati ottenuti in una precedente
prova (Secchiari et al., 1996) in soggetti alimentati
con razioni di VN prossimo a quello adottato in questa prova. Inoltre, anche questa volta, tale parametro
è risultato più elevato nelle fasi iniziali dell’allevamento (kg/d 1,1) durante le quali si sono ottenuti i
migliori Indici di Conversione degli Alimenti (fino
ad un anno di età dei soggetti si sono mantenuti al
di sotto delle 5,5 UFC/kg di incremento di PV). Nelle
fasi successive dell’allevamento si è registrato un
progressivo peggioramento degli ICA come dimostrano i valori ottenuti alle diverse età di riferimento (14, 16, 18 e 20 mesi) pari rispettivamente a 6,44;
7,29; 8,14; 8,99 UFC/kg di incremento PV.
I coefficienti allometrici relativi alle varie misure
corporee rispetto al peso vivo sono risultati inferiori
263
all’unità, come del resto è lecito attendersi quando si
confrontano misure lineari con misure tridimensionali (Tab. 1). In tal caso l’isoauxesi, ovverosia la proporzionalità diretta tra il ritmo con il quale le diverse regioni del corpo si sviluppano e l’aumento del
peso vivo, è pari a 0,333.
Pertanto, rispetto ai coefficienti stimati, soltanto
l’altezza al torace è risultata in isoauxesi, mentre
altezza al garrese, lunghezza del tronco e circonferenza dello stinco anteriore sono apparse in bradiauxesi e la circonferenza del torace in tachiauxesi
(cioè, nel primo caso, lo sviluppo è stato meno che
proporzionale rispetto all’aumento del peso vivo e,
nel secondo, più che proporzionale) (Tab. 1).
L’età di macellazione non ha influito sulla resa
netta di macellazione che è risultata in ogni caso
inferiore al 65%, cioè sui livelli tipici delle razze da
carne italiane (Tab. 2).
L’incidenza percentuale dell’apparato scheletrico
sul peso vivo netto sembra diminuire con l’avanzare
dell’età di macellazione, come si rileva dai valori
significativamente più elevati relativi alle estremità
distali degli arti nei vitelli macellati più precocemen-
te (p < 0,05). Il fenomeno si nota anche per i dati relativi all’incidenza percentuale della testa, anche se a
livelli di significatività più bassi (p<0,39) (Tab. 2).
In conclusione, questi dati confermano sostanzialmente le osservazioni precedenti; la parte più
corposa dei risultati della prova, in corso di elaborazione, riguarda però gli aspetti qualitativi della
carne e ci permetterà di aggiungere nuove acquisizioni sulle caratteristiche della razza Mucca Pisana.
Bibliografia
BETTINI T.M. (1988) - Elementi di scienza delle produzioni animali – 285; Edagricole Bologna
SECCHIARI P., PISTOIA A., FERRUZZI G., SERRA A. (1996) - Aspetti
della produzione della carne con vitelloni di razza Mucca
Pisana. Provincia di Pisa.
Ricerca condotta nell’ambito del “Progetto valorizzazione del materiale genetico bovino toscano della produzione di carne”.
Finanziamento ARSIA.
265
VI. Germoplasma toscano di interesse zootecnico
Caratteristiche morfo-funzionali
della razza bovina Pontremolese
P. Secchiari, M. Mele, G. Ferruzzi, A. Pistoia
C.I.R.A.A. “E. Avanzi”, D.A.G.A., Settore Scienze zootecniche
A. Serra - D.A.G.A., Settore Scienze zootecniche
Cenni storici e diffusione originaria
La razza è originaria della montagna appenninica e preappenninica e delle valli della Magra e del
Vara, situate nelle provincie di Massa Carrara e La
Spezia dove, nel 1940, raggiungeva una consistenza
di 15.000 capi. La sua area di allevamento, tuttavia,
si estendeva anche alle zone montagnose del
Piacentino e nell’Oltrepò pavese (Varzi). Infatti, i
bovini chiamati nell’Oltrepò bettolesi o pontremolesi erano in realtà della stessa razza, non solo per i
caratteri morfologici comuni, ma anche perché la
differenza di denominazione era soprattutto locale,
essendovi l’uso di intendere per bettolesi i buoi e per
pontremolesi i giovani animali (Bonadonna, 1951).
Questa razza, in passato, veniva principalmente
utilizzata proprio per la produzione di buoi che
erano richiesti sul mercato da aziende agricole liguri e lombarde, ma soprattutto da quelle locali per il
trasporto dei marmi dalle Apuane al mare
(Ciampolini, 1993).
In seguito, l’evolversi della meccanizzazione, che
portò ad una diminuzione della richiesta di buoi da
lavoro e la scarsa attitudine della razza Pontremolese alla produzione di latte e di carne, hanno
influito negativamente sul suo sviluppo, inducendo
gli allevatori ad operare incroci di sostituzione con
la razza Bruna Alpina (Bonadonna, 1951).
Pontremolese
Diffusione attuale e consistenza
Attualmente nessun soggetto di razza
Pontremolese è allevato nelle provincie di origine,
infatti i 50 capi (22 vacche, 11 manze, 15 vitelli e 2
tori) che compongono la popolazione sono concentrati in sole tre aziende nel comprensorio della
Garfagnana (fonte: APA Pisa, Lucca e Livorno).
Diffusione e consistenza della razza Pontremolese
Il germoplasma della Toscana
266
Pontremolese
Caratteristiche morfologiche
Mantello: di colore rosso (fromentino carico) con
striscia chiara lungo la linea dorso lombare,
occhiaie nere.
Testa: nei maschi relativamente leggera, profilo rettilineo frontale breve, quadrata, leggermente
depressa fra le arcate orbitali, nelle femmine si
presenta più leggera e un po’ più corta.
Lombi: brevi, larghi, robusti e ben attaccati alla groppa
Groppa: spiovente, stretta posteriormente e con
spina sopraelevata costituisce uno dei difetti
salienti della razza.
Coscia: poco muscolosa
Peso: nei maschi 550-600 kg, nelle femmine 400450 kg
Altezza al garrese: nei maschi 128-135 cm, nelle
femmine 120-128 cm.
Allevamento ed attitudine produttiva
Razza molto rustica in grado di utilizzare pascoli
degradati, aree boschive e cespugliose, caratteristica
che le consente di superare, senza particolari problemi, i periodi siccitosi estivi.
Pontremolesi a stabulazione fissa
La Pontremolese si caratterizza anche per una
buona efficienza riproduttiva; essa, infatti, partorisce un vitello all’anno, prevalentemente nel periodo
primaverile, che viene solitamente macellato all’età
di 18 mesi (Ciampolini, 1993). Malgrado in passato
venisse utilizzata sia per la produzione di carne che
per quella di latte (media pluripare stimata in 2100
kg per lattazione), attualmente potrebbe essere perseguibile solo l’allevamento per la produzione di
carne, soprattutto nelle forme brado o semibrado per
l’utilizzo delle risorse foraggere delle zone montane
più impervie (Bonadonna, 1951).
Bibliografia
BONADONNA T. (1951) - Zootecnia speciale, Vol. III, Seconda
ed., Istituto editoriale Cisalpino, Varese.
CIAMPOLINI R. (1993) - Le popolazioni animali autoctone delle
Toscana. APA, Pisa.
267
VI. Germoplasma toscano di interesse zootecnico
Stima della variabilità genetica nella razza Mucca Pisana
M. Carmen Pérez Torrecillas
Dottorato in Agrobiotecnologie per le Produzioni Tropicali
Dipartimento di Scienze zootecniche, Università degli Studi di Firenze
Obiettivo
L’obiettivo del presente studio è ottenere una
stima della variabilità genetica presente nella razza
Mucca Pisana, analizzando campioni rappresentativi della popolazione iscritta al Registro Anagrafico
delle popolazioni autoctone e gruppi etnici a limitata diffusione mediante l’uso di marcatori molecolari
(AFLP).
La stima di questa variabilità risulta di interesse
nei programmi di miglioramento della razza, perché
permette di:
• adottare schemi di accoppiamento avendo ben
presente la situazione genetica del patrimonio
animale nel suo complesso,
• l’acquisire un quadro genetico specifico di ogni
capo oggetto della prova, utile ai fini della scelta
dei singoli soggetti da utilizzare per la riproduzione.
La consistenza numerica della razza Mucca
Pisana, al 12 dicembre del 1998, era di 244 animali
(107 vacche, 90 manze, 42 vitelli e 10 tori in FA),
distribuiti in 19 allevamenti.
• Identificazione delle aziende e raccolta dei campioni.
Su un gruppo di 40 soggetti, prescelti in base al
calcolo delle relazioni di parentela tra tutti gli individui, si effettueranno prelievi di materiale ematico,
come materiale di partenza per l’estrazione del DNA.
Inoltre è previsto l’impiego di materiale seminale
disponibile presso il CIZ-San Miniato per l’estrazio-
Evoluzione della consistenza numerica della razza Mucca
Pisana nel periodo 1978-1998
Evoluzione del Ne della popolazione di Mucca Pisana nel
periodo 1984-1998
Programma di lavoro
Il germoplasma della Toscana
268
ne del DNA dei 10 maschi che vengono utilizzati nel
programma di FA. L’obiettivo è quello di arrivare a
un gruppo di 50 animali, che rappresenta un 20,5%
della popolazione totale.
• Ottenimento di una stima della variabilità attua-
le mediante l’uso di marcatori molecolari AFLP.
• Si procederà, se possibile, alla determinazione
della distanza genetica tra la popolazione di
Mucca Pisana e popolazione delle razze Chianina
e Bruno Alpina dalle quali deriva.
269
VI. Germoplasma toscano di interesse zootecnico
Caratterizzazione genetica e produttiva della razza bovina
Calvana e distanza genetica con la razza bovina Chianina
M. Moretti - Dottorato in Agrobiotecnologie per le Produzioni Tropicali
Dipartimento di Scienze zootecniche, Università degli Studi di Firenze
Obiettivo
Fornire un contributo alla conoscenza della razza
bovina Calvana, apprezzata razza autoctona toscana
a duplice attitudine (carne e lavoro), originaria dei
Monti della Calvana (Province di Prato e Firenze).
La caratterizzazione genetica sarà effettuata analizzando campioni rappresentativi della popolazione
iscritta al Registro Anagrafico delle popolazioni
autoctone e gruppi etnici a limitata diffusione
mediante l’uso di marcatori molecolari (AFLP).
I risultati ottenibili da questa ricerca sono interessanti perché:
• possono permettere, da un lato, la stesura di un
piano di accoppiamenti razionale che miri
innanzitutto alla conservazione del germoplasma di questa razza, che è attualmente minacciata di estinzione riducendo i rischi di consanguineità;
• possono contribuire ad una riscoperta e ad una
valorizzazione produttiva della razza;
• con lo studio della distanza genetica della
Calvana dalla razza Chianina, da cui indubbiamente discende, possono servire inoltre a chiarire se la Calvana può essere definita razza, come
la maggioranza degli autori sostiene, oppure se
debba essere ancora considerata una sottorazza,
ecotipo o varietà della Chianina.
Programma di lavoro
• Identificazione delle aziende, degli animali
appartenenti a questa razza, raccolta dei campioni ematici e misurazioni somatiche.
— La raccolta di materiale ematico si farà su un
numero ampio di soggetti, che probabilmente
comprenderà gran parte della popolazione, considerato che la numerosità attuale stimata è di
soltanto 180 animali totali e i dati sulle relazioni
di parentela sono frammentari.
— Gli animali verranno misurati in vivo e pesati
alle età tipiche.
• Analisi dei campioni.
Dai campioni ematici, si estrarrà il DNA.
• Ottenimento di una stima della variabilità attuale e della distanza genetica con la razza Chianina
mediante l’uso di marcatori molecolari AFLP.
• Caratterizzazione fenotipica della razza.
Motivi della ricerca
La Calvana dispone di interessanti doti di rusticità, frugalità, resistenza alle avversità, risultato dell’adattamento alle condizioni abbastanza difficili del
suo habitat e al modo di allevamento, e sembra fornire produzioni di carne pregevoli.
Pertanto potrebbe essere considerata interessante sia per l’allevamento in purezza destinato a produzioni tipiche di nicchia nella zona di origine in
zone dove è ampiamente usato il pascolamento brado, sia come razza incrociante soprattutto in paesi in
via di sviluppo, su razze autoctone scarsamente produttive. Inoltre non deve essere dimenticata la sua
potenziale utilità come ’motore animale’, data la sua
grande forza e resistenza, per situazioni di agricoltura mista (sistemi agrozootecnici) in paesi emergenti.
271
VI. Germoplasma toscano di interesse zootecnico
Caratteristiche produttive di vitelli di razza Maremmana
C. Sargentini, A. Giorgetti, A. Martini, R. Bozzi, D. Rondina
Dipartimento di Scienze zootecniche, Università degli Studi di Firenze
La razza bovina Maremmana è tradizionalmente
usata per la produzione di vitelli da ristallo facendo
largo ricorso all’incrocio con razze da carne.
Annoverata tra le razze a limitata diffusione
(Reg. CE 2078/92), a causa principalmente dei meticciamenti non controllati, si è ritenuto opportuno
indagare sulle potenzialità produttive della razza in
purezza.
Materiali e metodi
Per caratterizzare e valorizzare le produzioni di
vitelli maremmani puri sono state condotte, presso
l’allevamento biologico (L.R.T. n. 54 del 12 aprile
1995) Il Filetto (GR), due prove sperimentali:
Prova A: riguardante le performance di 24 soggetti macellati a 12 e 18 mesi di età;
Prova B: riguardante le modalità di accrescimento e le caratteristiche produttive di 19 vitelli, nell’intervallo compreso tra i 12 ed i 20 mesi.
Fig. 1 – Andamento del peso vivo
Risultati
In ambedue le prove l’accrescimento ponderale
degli animali, si è dimostrato continuo e crescente,
in accordo con la dinamica di sviluppo tipica della
specie bovina. Gli incrementi medi giornalieri sono
risultati molto variabili, ma, nel complesso più che
soddisfacenti (Figg. 1-2).
La resa netta alla macellazione, che, nella prova
A, ha presentato valori mediamente superiori al
58%, ha evidenziato nella prova B, una netta tendenza ad aumentare in funzione dell’età; crescono
anche i punteggi di conformazione e di adiposità, ad
indicare carcasse più mature. Diminuisce tuttavia
l’incidenza del coscio, regione dalla quale provengono i tagli più pregiati (Fig. 3).
Le caratteristiche fisiche indicano (prova A)
carni tenere, e con buona capacità di ritenzione idrica. Questo andamento è stato riscontrato sostanzialmente anche nella prova B: solo il M. semimembranosus tende a ridurre significativamente le perdite
di cottura al crescere dell’età.
Il germoplasma della Toscana
272
Fig. 2 – Andamento dell’incremento medio
giornaliero
Fig. 3 – Rese e valutazione commerciale
delle carcasse
Tab. 1 – Composizione acidica delle carni a 12 e 18 mesi
Acidi grassi (%)
Saturi
Monoinsaturi
ω-6 Polinsaturi
ω-3 Polinsaturi
C14+C16
MUFA/SFA
PUFA/SFA
Età 12 mesi
Età 18 mesi
DSR
39,76
28,77 b
26,57
4,89 a
20,97
72,42 b
81,68
40,41
33,14 a
22,98
3,46 b
22,55
82,23 a
66,87
2,42
2,81
3,90
0,90
1,75
5,72
17,47
a, b: medie entro la riga con lettere differenti differiscono per (P<0,05).
La composizione acidica delle carni risulta invece differente tra i 2 gruppi della prova A: le carni dei
soggetti macellati a 12 mesi sono risultate più ricche
di acidi grassi polinsaturi, in modo particolare della
serie ω-3, a cui viene riconosciuto un effetto ipocolesterolemizzante.
Conclusioni
I vitelli Maremmani puri offrono, dal punto di vista quantitativo, produzioni in linea con quelle delle
razze rustiche.
Dal punto di vista qualitativo, le carni risultano
ottime sia per le caratteristiche fisiche che per quelle dietetiche, sotto il cui aspetto è da considerare
assai favorevolmente l’elevata incidenza di polinsaturi della serie ω-3 ed ω-6.
273
VI. Germoplasma toscano di interesse zootecnico
Studio della razza bovina Maremmana
mediante marcatori molecolari AFLP™
R. Bozzi - Dipartimento di Scienze zootecniche, Università degli Studi di Firenze
P. Ajmone-Marsan, R. Negrini - Istituto di Zootecnia, Università Cattolica del Sacro Cuore, Piacenza
La razza Maremmana ha una consistenza di circa
5.000 soggetti al Libro Genealogico, distribuiti nella
Maremma toscana e laziale.
La razza ha subito dal dopoguerra ad oggi una
forte contrazione numerica ed è pertanto sostenuta
dal Reg. CE 2078/92. Il progetto ARSIA prevede uno
studio approfondito volto alla conservazione, caratterizzazione e valorizzazione della razza.
Le strategie di conservazione sono strettamente
connesse ad una stima della variabilità genetica presente nella razza. A tal fine viene utilizzata la tecnologia AFLP (Amplified Fragment Length Polimorphism): valido strumento per lo studio del genoma
animale.
Materiali e metodi
È stato analizzato il DNA di 159 Maremmani puri
campionati in due allevamenti toscani (Alberese e
Massa Marittima) ed uno laziale (Castelporziano).
L’analisi con AFLP ha utilizzato 4 combinazioni di
primers EcoRI/TaqI.
Variabili analizzate: eterozigosi attesa (Het), indici Ai e Gst, similarità genetica (GS) tra tutte le possibili coppie di individui. Analisi PCOOA utilizzata per
verificare la presenza di sottogruppi genetici.
Alberese
55
Massa Marittima
Castelporziano
Fig. 1 - Similarità genetiche
tra allevamenti
Il germoplasma della Toscana
274
Tab. 1 - Valori di eterozigosi media
Allevamenti
Castelporziano
Alberese
Massa Marittima
Totale
Eterozigosi media
Errore Standard
0,237
0,284
0,242
0,262
0,0187
0,0183
0,0183
0,0183
Fig. 2 - Analisi PCOOA basata sui valori GS
Risultati
Identificati 111 marcatori polimorfici e 316
bande totali, con una media di 27075 marcatori per
combinazione di primer ed un indice di efficienza
(Ai) di 39,38.
Eterozigosi attesa di 0,262 in accordo con valori
ritrovati in razze più diffuse come Frisona e Bruna.
Valori di similarità genetica compresi tra 0,58 e 0,96
(media 0,76). Differenze tra allevamenti non significative. Indice Gst di 0,05 (il 95% della variabilità AFLP
è entro allevamento) (Fig. 1).
L’analisi PCOOA, basata sui dati di GS, non ha evidenziato la presenza di sottogruppi genetici (Fig. 2).
Conclusioni
Esiste un livello sufficiente di variabilità genetica
ed è ancora possibile intervenire efficacemente per
conservare e migliorare la razza.
Non si sono evidenziate differenze a livello genetico tra le popolazioni del Lazio e quelle della
Toscana.
275
VI. Germoplasma toscano di interesse zootecnico
La Cinta Senese, razza suina da salvare
1. Parametri genetici
O. Franci, G. Campodoni, R. Bozzi, A. Acciaioli, C. Pugliese
Dipartimento di Scienze zootecniche, Università degli Studi di Firenze
G. Gandini - Istituto di Zootecnica, Facoltà di Medicina Veterinaria, Università di Milano
L’introduzione di genotipi migliorati ha contribuito alla notevole contrazione numerica della Cinta
Senese con conseguente perdita di variabilità genetica ed aumento della consanguineità, già elevata
nella popolazione di partenza.
Analisi storica e attuale
della razza Cinta Senese
Sono stati presi in esame dal libro genealogico
storico della razza le genealogie e i caratteri riproduttivi degli animali iscritti dal 1936 al 1966 e quelle dei soggetti registrati dopo la ripresa dei controlli
a partire dal 1976 fino al 1995.
Come fattori influenti sono stati considerati: 1)
l’allevamento; 2) l’anno; 3) la stagione di parto; 4)
l’ordine di parto.
Effetto significativo dell’allevamento su tutti i
parametri considerati;
• interparto più breve per le scrofe partorite in
autunno-inverno;
• le scrofe di primo parto hanno prodotto un numero inferiore (7,8) di suinetti rispetto a quello dei
6 parti successivi (8,5);
• il peso dei suinetti a 30 e 60 giorni di età è cre-
sciuto dal 1936 al 1966;
• la consanguineità ha influito negativamente sul
peso della nidiata e su quello medio individuale
alla nascita, con valori rispettivamente di -17,3 g
e -1,8 g per punto percentuale di incremento di
inbreeding;
• l’incremento medio di consanguineità annuo in
entrambi i periodi analizzati è stato di 0,012.
Strategia di gestione dei riproduttori
Attualmente la consanguineità media di popolazione presenta un valore molto elevato di 0,172, soprattutto se si considera che è stato raggiunto nell’arco di 4-5 generazioni. L’elevata consanguineità è
il risultato dell’utilizzo di un bassissimo numero di
riproduttori negli anni Ottanta e di un impiego fortemente disomogeneo delle linee genetiche nella
fase di espansione dell’ultimo quinquennio. Risulta
quindi estremamente urgente avviare un adeguato
piano di gestione
Programma di gestione genetica
È stato sviluppato un piano di gestione genetica
della razza imperniato sui tre seguenti criteri:
1. Individuazione del numero minimo di allevamenti e riproduttori che partecipano attivamente
al programma di gestione per contenere la consanguineità;
2. Scelta dei verri e delle scrofe in base al criterio di
minimizzare la parentela tra riproduttori;
3. Assegnazione dei verri agli allevamenti e pianificazione degli accoppiamenti.
Simulazione del programma di gestione
Sulla base di simulazione, l’applicazione dei tre
principi di gestione condurrebbe ai seguenti risultati
Il germoplasma della Toscana
276
1. Tra gli allevamenti attivi al marzo 1999, diciannove hanno 2 o più scrofe. Ipotizzando 25 verri
per queste aziende, che in totale allevano 134
scrofe, otteniamo un numero effettivo di popolazione di 84 corrispondente ad un incremento di
consanguineità attesa per generazione sufficientemente basso (0,6%).
2. In tabella sono riportati i valori di parentela tra
verri, tra scrofe e tra verri e scrofe prima e dopo
la scelta dei riproduttori. La consanguineità
media della progenie, grazie alla scelta dei riproduttori in base ai principi sopra esposti, si dimezza scendendo da 11,5% a 6%. Tutto ciò assumendo accoppiamento casuale.
3. Con la pianificazione degli accoppiamenti in
alternativa all’accoppiamento casuale, con appropriata assegnazione dei verri agli allevamen-
prima della scelta
dopo la scelta
ti, la parentela di accoppiamento scende dal valore precedente del 12% a circa il 7% e conseguentemente la consanguineità della nuova progenie
si ridurrebbe al 3,5%.
Parentela
tra maschi
Parentela
tra femmine
Parentela tra maschi
e femmine
Coeff. di consanguineità
dei figli
25%
22%
19%
19%
23%
12%
11,5%
6%
277
VI. Germoplasma toscano di interesse zootecnico
La Cinta Senese, razza suina da salvare
2. Caratteristiche chimico-fisiche della carne
C. Pugliese, R. Bozzi, A. Acciaioli, G. Campodoni, O. Franci
Dipartimento di Scienze zootecniche, Università degli Studi di Firenze
Il recupero e la valorizzazione della razza Cinta
Senese trovano giustificazione nell’ambito della salvaguardia della biodiversità, ma importanza fondamentale, al fine di garantire nel futuro il mantenimento della razza, assume la tipizzazione dei prodotti che la razza stessa può fornire. A tale scopo, in
seno ad una più ampia sperimentazione condotta
per testare le capacità produttive della Cinta senese,
sono state confrontate le caratteristiche chimiche e
fisiche della carne da consumo fresco di suini Cinta
Senese e Large White.
Quarantuno soggetti di razza Cinta Senese (CS) e
Large White (LW) sono stati allevati con sistema
intensivo impiegando usuali miscele commerciali.
Maschi e femmine sono stati castrati. I soggetti sono
stati macellati al raggiungimento del peso idoneo
per il maiale medio-pesante, 136 kg per CS e 154
per LW.
Su campioni di muscolo della lombata (Longissimus Lomborum) sono state effettuate le seguenti
determinazioni:
• colore (determinato anche sul grasso dorsale);
• pH;
• composizione chimica;
• perdite idriche;
• sforzo al taglio.
Rispetto ai Large White i suini Cinta Senese
hanno fornito:
• grasso meno traslucido, più opaco e meno giallo
carne
- più rossa
- a pH 24 ore più elevato
- più ricca di grasso
- meno umida
- con minori perdite idriche
- più tenera dopo cottura
Cinta Senese
pH a 24 ore
Sul tal quale
• Acqua %
• Proteina %
• Grasso %
• Ceneri %
Large White
5,78
5,51
73,23
22,80
3,19
1,08
74,27
23,91
0,88
1,13
Il germoplasma della Toscana
278
Cinta Senese
Large White
Colore grasso
• L* (luminosità)
• a* (indice del rosso)
• b* (indice del giallo)
60,32
6,17
5,03
65,43
5,44
5,58
Colore magro
• L* (luminosità)
• a* (indice del rosso)
• b* (indice del giallo)
49,67
11,40
4,62
51,28
9,1
4,44
Perdite idriche
• bagnomaria %
• forno %
• acqua libera cm2
26,05
31,07
99,7
33,25
33,65
117,5
9,8
9,63
8,06
12,23
Sforzo al taglio kg
• carne cruda
• carne cotta
279
VI. Germoplasma toscano di interesse zootecnico
Laboratorio “Renzo Giuliani” per lo studio
e la valorizzazione del germoplasma animale autoctono
D. Rondina, A. Mafucci, A. Giorgetti, M. Lucifero
Laboratorio “Renzo Giuliani”*, Dipartimento di Scienze zootecniche, Università degli Studi di Firenze
Scopo del Laboratorio
La conservazione genetica
• Istituzione di un archivio di materiale genetico
crioconservato (seme, embrioni, oociti, follicoli a
diverso stadio maturativo o porzioni di tessuto
ovarico), provenienti da germoplasma animale
autoctono.
• Conservazione di materiale genetico proveniente
da razze o specie a rischio o in via di estinzione.
La valorizzazione delle razze autoctone
• Studio dei fattori che controllano le performance
riproduttive.
• Caratterizzazione delle razze autoctone e ottimizzazione quantitativa e qualitativa delle loro
produzioni.
• Promozioni di marchi di qualità per i prodotti.
• Studio delle capacità di adattamento in diverse
condizioni climatico-ambientali.
Aree di lavoro del Laboratorio
• Studi di cinetica follicolare mediante microscopia ottica e elettronica, coadiuvati dall’analisi
d’immagine.
• Studi sull’isolamento, crioconservazione e maturazione “in vitro” di follicoli a stadio di preantro
allo scopo di costituirne parte dell’archivio.
• Maturazione (MIV) e fecondazione (FIV) “in vitro”, al fine di produrre embrioni crioconservabili utilizzabili nella costituzione di serbatoi genetici.
• Impiego di materiale crioconservato nei piani di
miglioramento genetico delle razze autoctone italiane sia in Italia che all’estero.
• Studi per l’ottimizzazione qualitativa delle produzioni delle razze autoctone in Italia e all’estero.
Obiettivo a medio termine del Laboratorio è la
creazione di una banca del germoplasma di razze
domestiche e selvatiche autoctone toscane di interesse zootecnico. A tal fine si è avviato uno specifico e
parallelo programma di ricerca con lo scopo di ottenere su queste razze il maggior numero di informazioni. Il programma è stato suddiviso in più fasi, una
prima fase prevede una serie di studi di follicologenesi ovarica “in situ” e la costruzione di modelli specifici di cinetica follicolare del germoplasma toscano.
Le informazioni che si avranno inoltre, consentiranno la messa a punto di biotecniche di isolamento,
conservazione e di coltura follicolare “in vitro”,
corpo centrale delle successive fasi del programma
di ricerca.
Follicologenesi “in situ”
Le attività di ricerca si svolgono in collaborazione con il Dipartimento di Biologia Animale e Genetica dell’Università di Firenze e hanno interessato
inizialmente la razza bovina Chianina e la razza
ovina Massese, sulle quali sono già disponibili i
primi dati.
Parallelamente il recupero del materiale ovarico
sta interessando popolazioni caprine, bovini di razza
Maremmana, Calvana e specie ad interesse faunistico (caprioli, daini e cervi), sempre di origine autoctona.
* Il Laboratorio “Renzo Giuliani” è nato grazie ad una donazione dell’Ente Cassa di Risparmio di Firenze ed ha sede presso l’Azienda
Agraria Montepaldi di proprietà dell’Università di Firenze, Via di Montepaldi, 16 - 50026 San Casciano in Val di Pesa - Firenze (Italy)
Tel. e Fax + 39 055 820066 E-mail: [email protected]
Il germoplasma della Toscana
280
Stima della popolazione follicolare
in soggetti prepuberi di razza ovina
Massese
Crescita follicolare: sviluppo della
granulosa e dell’antro nella razza
ovina Massese
Cluster di follicoli primordiali in manze di razza Chianina
Espansione del cumulo in follicolo preovulatorio di vacca
di razza Chianina
281
Follicolo primario poliovulare in capra adulta SRD brasiliana
Isolamento meccanico di follicoli preantrali mediante
Tissue chopper: Figueiredo et al., (1995)
Il termine di questa fase di ricerca è previsto
nella primavera dell’anno 2000, quando saranno
presumibilmente disponibili i primi dati completi
sulle principali razze autoctone toscane.
Nutrizione e follicologenesi
Sono inoltre in progresso, su ovini e caprini,
studi specifici sugli effetti della nutrizione nelle fasi
precoci della follicologenesi e sull’influenza nutrizionale della madre sullo sviluppo qualitativo e
quantitativo della popolazione follicolare ovarica del
feto.
Isolamento e crioconservazione
Il laboratorio si è inoltre gemellato con il corrispondente dell’Università Statale del Cearà - Brasile,
diretto dal prof. J.R. de Figueiredo, allo scopo di condurre studi specifici di isolamento, crioconservazione e maturazione “in vitro”, di follicoli allo stadio di
preantro provenienti da razze autoctone brasiliane e
toscane.
Isolamento meccanico di follicoli preantrali mediante
Tissue chopper: Figueiredo et al., (1995)
283
VII. Ricerca, conservazione e valorizzazione
del germoplasma locale: altre esperienze
I genotipi autoctoni
Amministrazione Provinciale di Grosseto
La Provincia di Grosseto ha inserito dal 1998 nei
suoi progetti la salvaguardia del Germoplasma delle
specie animali e vegetali più tipiche del territorio.
Un primo intervento è sato realizzato in convenzione con l'Istituto sulla Propagazione delle Specie
Legnose del CNR.
Si tratta di un programma di attività che prevede
la conservazione e la caratterizzazione del germoplasma autoctono dell'olivo.
Una mappatura realizzata su tutto il territorio
permetterà la definizione di un percorso di tutela e
recupero di quanto è rimasto del germoplasma
autoctono del territorio grossetano.
Il materiale vegetale sarà collocato in campi per
la consevazione e utilizzato per avviare una serie di
osservazioni per la valorizzazione.
I Genotipi autoctoni
della provincia di Grosseto
Olivo
Vite ansonica
Vacca e cavallo maremmano
Asino “Miccio” amiatino
Riso
Carciofo
Melone
Fagiolo
Grano
Erba medica
Piante officinali
Macchia mediterranea.
285
VII. Ricerca, conservazione e valorizzazione
del germoplasma locale: altre esperienze
Ricerca e conservazione di germoplasma fruttifero
di melo, pero e mandorlo in Abruzzo
I. Dalla Ragione - Agronomo, Associazione Archeologia Arborea, Città di Castello (PG)
D. Silveri - ARSSA, Agenzia Regionale Servizi di Sviluppo Agricolo d’Abruzzo, Avezzano (AQ)
1. Introduzione
L’Agenzia Regionale Servizi di Sviluppo agricolo
d’Abruzzo (ARSSA), con il Programma Attuativo
Misura 3.2 POM (Programma operativo monofondo)
sottoprogramma 3, ha dato inizio nel 1998, in collaborazione con l’Istituto di Miglioramento Vegetale
Università di Perugia, il CERMIS e Agronomi liberi
professionisti, al programma di ricerca, conservazione e valutazione delle risorse agrarie della regione.
Nell’ambito frutticolo sono state scelte tre specie
(pero, melo e mandorlo) che sono risultate ad una
prima osservazione le più significative dal punto di
vista economico, paesaggistico e storico.
La regione presenta vaste aree di alta collina e
montagna coltivate con una agricoltura di sussistenza o in abbandono da diversi decenni. La presenza di
fruttiferi di diverse specie però segna ancora decisamente il territorio anche se dal punto di vista economico, solo il melo tra le specie scelte, ha ancora una
certa importanza (Fig. 1).
Fig. 1 - Varietà locali di mele
2. Materiali e metodi
La ricerca è iniziata incontrando tecnici delle
organizzazioni agricole, provenienti da diverse zone,
alcuni dei quali erano interessati a collaborare concretamente alla realizzazione del progetto, mentre
altri hanno dato la loro disponibilità a fornire informazioni e dati dei territori di loro conoscenza. Si
sono quindi potute individuare alcune aree prioritarie di ricerca, per le tre specie scelte da questo progetto: l’area di Capestrano e Navelli in provincia
dell’Aquila per il mandorlo, l’area di Ortona dei
Marsi e della Marsica sempre in provincia dell’Aquila per il melo, l’area a Nord di Teramo e l’area
di Lanciano (CH) per il melo e il pero. La mappa di
rilievo che possiamo disegnare, ci sarà utile in futuro per impostare una mappa delle varietà ritrovate
che costituirà uno strumento prezioso dal quale
potremo verificare, leggendo i dati in essa contenuti, gli spostamenti, gli arrivi, i cambiamenti, la storia
delle varietà e in definitiva la storia del territorio e
delle attività umane.
Abbiamo nel frattempo raccolto ulteriori dati
sulla bibliografia storica e su quella scientifica e tecnica attuale.
Altre fonti di preziose informazioni per la nostra
ricerca sono state al di fuori del settore strettamente
agricolo, proloco, anziane cuoche, negozi alimentari,
mercati locali, conventi e santuari.
Sono stati però soprattutto gli anziani agricoltori,
depositari del sapere popolare, che ci hanno fornito
informazioni sulla storia delle varietà e le trasformazioni del materiale coltivato.
Il materiale ritrovato è stato fotografato e descritto in schede opportunamente create per l’intero progetto dell’ARSSA, costituite utilizzando i descriptor
list e altri dati, che verranno utilizzati in futuro dagli
stessi tecnici regionali che dovranno proseguire il
Il germoplasma della Toscana
286
Fig. 2 - Mela Zitella
Fig. 3 - Mela Limoncella
Fig. 4 - Mela Gelata
Fig. 5 - Mela Rosa
Per il mandorlo il campo è a Capestrano (AQ) con
due tipi di portinnesti: Franco e GF677.
Saranno fatte quattro repliche per varietà, due su
Franco e due sul clonale.
3. Risultati e discussione
Fig. 6 - Mela Mula
programma.
Sono state individuate delle aree che per la loro
posizione e disponibilità potranno essere utilizzate
come campi collezione del materiale trovato.
Per il melo il campo è nella zona di Ortona dei
Marsi (AQ), e sono stati utilizzati due tipi di portainnesto: Franco e il clonale M25 che ha dimostrato di
avere un buon risultato in queste zone.
Per il pero il campo è a Vasto (CH), dove stati
impiantati due tipi di portinnesti: Franco e clonale
OHF DELBARD.
In tutte le zone che abbiamo visitato abbiamo trovato grandi potenzialità e molte risorse, anche se
spesso i testimoni diretti non ci sono più e diventa
sempre più difficile ricostruire la storia e l’utilizzo di
determinate piante.
Spesso abbiamo infatti trovato esemplari notevoli delle specie coltivate di cui ci occupiamo, ma nessuna traccia della loro coltivazione e quindi del sapere popolare intorno a queste piante.
Per quanto riguarda il melo, in molte zone è
ancora una specie presente e sono ancora discretamente coltivate le varietà locali quali Renetta, San
Giovanni, Bianca o Zitella (Fig. 2), mela Alice o
Limoncella (Fig. 3), Gelata (Fig. 4), Pianuccia,
Annurca, Rosa (Fig. 5).
Altre varietà sono presenti molto più sporadicamente e in zone assai ristrette quali: Cocciona, Della
cava, Dolce, Cipolla, Rozza, Mula (Fig. 6), Piana.
287
Fig. 7 - Vecchio esemplare di pero
Fig. 8 - Pera Spina
Fig. 9 - Pera Francesca
Fig. 10 - Vecchio esemplare di mandorlo a Capestrano (AQ)
Il pero è ormai rappresentato quasi solo da grandi esemplari sparsi (Fig. 7) e la specie è in netto calo
come coltivazione e come consumo.
Tra le varietà ancora coltivate: Spina (Fig. 8),
Spadoncina, Mazzuta, Della mietitura, Moscarella.
Altre varietà sono presenti in pochi esemplari:
San Francesco (ecotipo spontaneo) (Fig. 9), Bottiglia,
Ficarola, Celana, Brutta e buona, Putierre, Cannella
di giugno, Cannella d’agosto, Prosciutto, Ficora o
D’inverno, Lattara.
Il mandorlo era quasi l’unica specie da frutto coltivata nell’area di Navelli e Capestrano (Fig. 10),
nella quale rappresentava spesso la più importante
entrata economica per molte famiglie (con il raccolto delle mandorle venivano pagati i debiti di tutto
l’anno e venivano preparate le doti per le figlie). La
coltura è in totale decadenza ma sono ancora presenti centinaia di piante di notevoli dimensioni che
costituiscono un grande patrimonio anche paesaggistico da salvaguardare.
Molte delle piante presenti sono riprodotte da
seme e quindi la variabilità è notevole. Circa 40 anni
fa sono state introdotte tramite innesto molte varietà
dalla Puglia perché molto più produttive.
Tra le varietà locali più stabili ancora presenti:
Mandorlone (da consumo verde) (Fig. 11),
Fig. 11 - “Mandorlone”
Mandorla pesca, Romparola o Acciaccarola, Piccola
rotonda, Mandorla di Capestrano, Morosina, Tenerella, Pugliese, Piatta cornuta, Amara.
4. Conclusioni
Allo stato attuale della ricerca possiamo senz’altro affermare che il materiale ritrovato presenta
molte caratteristiche interessanti oltre che essere
un’importante testimonianza culturale e genetica.
Il germoplasma della Toscana
288
In futuro caratterizzando meglio e verificando a
fondo le possibilità di queste varietà, queste potrebbero ritrovare un loro ruolo nell’agricoltura locale,
tenendo conto della vocazione turistica della regione
e della presenza di una notevole parte di territorio
protetto dal punto di vista naturalistico. Molte delle
varietà sono legate ad una grande tradizione gastronomica locale e potrebbero ritrovare un ruolo proprio nel settore del prodotto tipico.
5. Bibliografia
Atti del convegno “Germoplasma frutticolo, salvaguardia e
valorizzazione delle risorse genetiche”, Carlo Delfino ed.,
Sassari 1992.
MONASTRA F., Monografia di cultivar di mandorlo, Ist. Sper.
Frutticoltura, Roma 1992.
PASTORE R., Coltivazione del mandorlo (4), Vallecchi ed.,
Firenze 1954.
PETINO A., Il mandorlo, “Italia Historia Oeconomica” vol. X,
A.P.E. ed., Catania 1944.
TAMARO D., Frutta di grande reddito, (II ed.) U. Hoepli ed.,
Milano 1935.
TAMARO D., Trattato di frutticoltura, U. Hoepli ed., Milano
1900.
TRENTIN L., Frutticoltura, Fratelli Ottavi ed., Casale Monferrato
1949.
289
VII. Ricerca, conservazione e valorizzazione
del germoplasma locale: altre esperienze
Collezione e studio del germoplasma di specie di interesse
agrario della Regione Abruzzo: i cereali a paglia*
O. Porfiri - CERMIS, Centro Ricerche e Sperimentazione per il Miglioramento Vegetale "N. Strampelli", Tolentino (MC)
D. Silveri - ARSSA, Agenzia Regionale Servizi di Sviluppo Agricolo d’Abruzzo, Settore Agroalimentare, Sulmona (AQ)
La collaborazione fra ARSSA e CERMIS è iniziata
nel 1994 quando l’allora ERSA affidò al Centro la
classificazione e la caratterizzazione di 8 popolazioni di farro coltivate in Abruzzo. Il presente progetto
ha consentito di continuare il lavoro avviato, di
ampliarlo ad altre specie di cereali a paglia e di integrarlo nell’ambito di un progetto più ampio, con il
coordinamento scientifico dell’Istituto di Miglioramento Genetico Vegetale dell’Università di Perugia (responsabile Prof. Fabio Veronesi).
Le specie oggetto di valutazione sono:
• farri o frumenti vestiti
• T. dicoccum Schubler, farro medio o dicocco o
comunemente farro: è la specie più diffusa/coltivata in Abruzzo;
• T. spelta L., farro grande o spelta: specie limitatamente coltivata in regione, con materiali genetici sicuramente non locali. Notizie storiche riferiscono di antiche coltivazioni di “speuta”, di
colore rosso, che fanno pensare alla probabile
coltivazione in passato di questo farro.
• frumento tenero (T. aestivum L.);
• frumento duro (T. turgidum ssp. durum Desf.);
• orzo (Hordeum vulgare L.);
• segale (Secale cereale L.).
Materiali e metodi
Il progetto ha previsto le fasi operative di seguito sintetizzate.
1. Incontri organizzativi con i responsabili locali e
gli altri gruppi di lavoro.
2. Collezione dei materiali genetici e prima identifi-
cazione sulla scorta delle caratteristiche della
granella e/o delle spighe.
La gran parte delle accessioni è stata raccolta tramite i tecnici locali, solo alcune sono pervenute
al CERMIS in modi diversi negli anni precedenti.
Nella Fig. 1 sono evidenziati i siti di raccolta,
nella Tab. 1 è riportato l’elenco delle accessioni
collezionate, suddivise per specie, e contraddistinte da anno di arrivo al CERMIS, località di provenienza, fonte di reperimento della semente.
Delle 33 accessioni fino ad oggi collezionate, 13
sono di farro medio (39%), 12 di frumento tenero
(36%) delle quali oltre il 50% rappresentate dalla
popolazione “Solina”, 3 di frumento duro, 3 di
segale e 2 di orzo.
3. Impostazione delle attività di valutazione in
campo.
• Tutti i materiali raccolti sono stati introdotti in
allevamenti di ridotte dimensioni, strutturati in
file lunghe due metri, con interfila di 25 cm,
seminate e raccolte a mano. Delle entrate di cui
si disponeva di campioni delle spighe, si è provveduto all’allevamento in spiga-fila (20 spighefila). Sono state valutate le caratteristiche morfologiche e fisiologiche di maggiore rilievo.
• Le entrate che presentavano quantitativi idonei
di granella sono state incluse in prove parcellari
comparative sia a Tolentino che in altri ambienti
afferenti alla Rete Nazionale Farro coordinata dal
CERMIS, fra i quali è stata inclusa nel 1998-99 una
località abruzzese, Ofena (AQ), allo scopo di osservare le caratteristiche agronomiche in due
ambienti, compreso quello di origine dei materiali stessi. Il prodotto di queste parcelle sarà destinato a valutazioni di tipo tecnologico.
* Progetto commissionato e finanziato da ARSSA (Convenzione del 15 settembre 1998).
Il germoplasma della Toscana
290
Fig. 1 - Localizzazione dei
siti di raccolta delle accessioni collezionate
* farro
* frumento tenero
* frumento duro
* segale
* orzo
Fig. 2 - Alveogramma della
accessione n. 15 di frumento
tenero della popolazione
“Solina”
P = 46 mm H2O
L = 101 mm
G = 22,4
W = 108
10 E-4 J
P/L = 0,45
Ie = 35,8 %
Glutine umido = 31,3%
Glutine secco = 9,2%
Risultati
Nella Tab. 2 sono riportate le caratteristiche
morfo-fisiologiche rilevate a Tolentino MC nel 199697 sulle prime 8 accessioni di farro collezionate fin
dal 1994, provenienti dalle più importanti aziende
coltivatrici della regione. Nella Tab. 3 sono presentati i dati qualitativi.
La Tab. 4 riporta le prime osservazioni condotte
sugli allevamenti in fila singola o plurima realizzati
nel 1997-98 presso i campi sperimentali di Tolentino relativamente alle accessioni collezionate nel
T. dicoccum
T. dicoccum
T. dicoccum
T. dicoccum
T. dicoccum
T. dicoccum
T. dicoccum
T. dicoccum
T. dicoccum
T. dicoccum
T. dicoccum
T. dicoccum
T. aestivum
T. aestivum
T. aestivum
T. aestivum
T. aestivum
T. aestivum
T. aestivum
T. aestivum
T. aestivum
T. aestivum
T. aestivum
T. aestivum
T. durum
T. durum
T. durum
Secale cereale
Secale cereale
Secale cereale
Hordeum vulgare
Hordeum vulgare
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
13
14
15
16
17
18
19
20
21
22
23
24
25
26
27
28
29
30
31
32
33
-
1A
1B
2
3A
3B
4
5A
6
7A
7B
7BIS
8
105
107
114
50/98
51/98
49/98
166/98
-
N. access.
(catalogo CERMIS)
LA RUSCIA
LA CAPPELLA
CAPPELLA
SELINA (segale 1)
SEGALE 2
SPEVITELLA
ORZO GRANDE
ORZO MARZUOLO
FARRO DE MATTEIS
SOLINA 1 (spiga chiara)
SOLINA 1 (spiga rossa)
SOLINA 2
SOLINA 3
SOLINA 4
SOLINA 5
SOLINA 6
SOLINA 7
BIANCHETTA o CASIRELLA
FRASINESE
FRASSINESE
MARZUOLO (americano)
BELVEDERE
ERSA 1
ERSA 1
ERSA 2
ERSA 3
ERSA 3
ERSA 4
ERSA 5
ERSA 6
ERSA7
ERSA7
originale Filosini
ERSA 8
LIVESA*
DICOCCO AMATRICE
Nome attribuito
nel catalogo CERMIS
e/o nomenclatura locale
1999
1999
1999
1999
1999
1999
1999
1999
1996
1995
1997
1997
1998
1999
1998
1998
1998
1998
1999
1999
1999
1999
1999
1999
1999
1999
1999
1995
1995
1995
1995
1995
1995
1995
Anno provenienza
(1° anno di raccolta
presso i campi CERMIS)
* Questa accessione è stata fornita dall’Azienda Fiore al Sig. Morganti, che l’ha fatta pervenire al CERMIS.
T. dicoccum
Specie
1
N. ordine
(scheda)
Castelvecchio S. AQ
Chieti
Torrebruna CH
Collarmele AQ
Castel Del Monte AQ
Lanciano?
Collarmele AQ
Capestrano AQ
Castelvecchio S. AQ
Caramanico PE
Casali di Aschi AQ
Aschi Alto AQ
Capestrano AQ
Casali di Aschi AQ
Liscia CH
Roccaspinalveti CH
Carunchio CH
Montenerodomo CH
Torrebruna CH
Montereale AQ
Caporciano AQ
Torano Nuovo TE ?
Amatrice RI
Castelvecchio S. AQ
Villa S. Angelo AQ
Penne PE
Penne PE
Civitaluparella CH
Montereale AQ
Guardiagrele CH
Guardiagrele CH
Torano Nuovo TE
Località di provenienza
Ranalli
Pellegrini Nemo
Pelliccia Rita
Ranalli Giuseppe
Salutari
Roselli Cesare
Di Salvarore Giovanna
Pellegrini Nemo
Di Salvatore Gabriele
D’Ottavio N. e G.
Masciota Michele ?
Conti Nicola
Carozza Serafino
Pelliccia Rita
Silveri
Silveri
De Matteis Antonio
Filosini
D’Innocenzo
Fiore?
Coop. Cogecstre
Coop. Cogecstre
Pasquarelli
Filosini
Santoleri
Santoleri
Fiore Amadio Giulio
Azienda di provenienza
Tab. 1 - Elenco delle accessioni di cereali collezionate in Abruzzo fino al 1998
Silveri/ARSSA
Silveri/ARSSA
Bolognese/ARSSA
Granese/ARSSA
Silveri/ARSSA
Travaglini/ARSSA
Granese/ARSSA
Silveri/ARSSA
Codoni/ARSSA
Codoni/ARSSA
Morganti
ARSIAL dr. Ghini
Silveri/ARSSA
Crisi - ARSSA
Aurelio Manzi
Aurelio Manzi
Silveri/ARSSA
Codoni/ARSSA
Silveri/ARSSA
Silveri/ARSSA
Silveri/ARSSA
Silveri/ARSSA
Silveri/ARSSA
Silveri/ARSSA
Bolognese/ARSSA
Bolognese/ARSSA
Bolognese/ARSSA
Codoni/ARSSA
Codoni/ARSSA
Codoni/ARSSA
Codoni/ARSSA
Codoni/ARSSA
Codoni/ARSSA
Codoni/ARSSA
Reperimento/invio semente
291
ERSA 7-rosso
originale Filosini
7B
7bis
DICOCCO
107
23
FARVENTO
TRIVENTINA
MOLISE SELEZ.
63
64
65
LUCANICA
67
check dicocco
check spelta
check dicocco
check spelta
check dicocco
check spelta
check spelta
check dicocco
dicocco
dicocco
ERSA 7
NON GLAUCO
MERIDIONALE
MERIDIONALE
ITALIA CENTRALE
MERIDIONALE
GARFAGNANA
ITALIA CENTRALE
ITALIA CENTRALE
MERIDIONALE
ITALIA CENTRALE
MERIDIONALE
1
1
2
1
2
1
1
2
—
—
2
3
3
3
2
3
2
2
2
3
3
3
Pigmentaz. basale
(1= assente/debole
2=media; 3=forte)
2
2
3
5
3
2
3
3
—
—
2
4
4
4
2
4
2
2
2
5
4
4
Danni freddo
tardivo (0-9)
*--Accessioni giunte in ritardo e seminate a fine inverno: non sono spigate, il che indica che sono ad habitus invernale.
FORENZA
66
COLLI
ROUQUIN
59
ROTKORN
GARFAGNANA
ALTGOLD
13
AMATRICE*
FARRO LIVESA*
105
ERSA 8
ERSA 7-bianco
7A
8
ERSA 5-bianco
ERSA 6
6
4
5A
ERSA 3
ERSA 4
3B
ERSA 3
MERIDIONALE
ITALIA CENTRALE
ERSA 2
2
3A
GLAUCO
ERSA 1-rosso
ITALIA CENTRALE
ITALIA CENTRALE
ERSA 1-bianco
Classif. farro medio
(Porfiri et alii, 1995)
1B
Nome
accessione
1A
N. access.
CERMIS
24
25
19
24
25
25
25
19
—
—
21
23
23
23
23
23
23
23
23
24
24
24
Spigatura
(maggio)
0
0
0
0
0
0
0
0
—
—
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
Oidio
(0-9)
3
0
2
0,5
2
0
0
2
—
—
0,5
0
0
0
0,5
0
0,5
0
0
0
0
0
Ruggine
bruna
(0-9)
4
3
3
3
2
2
2
5
—
—
2
0
0
3
4
0
2
3
3
0
0
0
Septoria
tritici
(0-9)
0
0
0
0
0
0
0
0
—
—
0
0
0
0
1
0
1
1
1
0
0
0
(0-9)
Carbone
Tab. 2 - Caratteristiche morfo-fisiologiche di accessioni abruzzesi di farro valutate a Tolentino MC nel 1996-97
a confronto con accessioni di altra provenienza
0
0
0
0
0
0
0
0
—
—
0
0,5
0,5
0,5
0
0,5
0
0
0
0
0
0
120
112
105
115
106
104
97
104
—
—
94
92
90
82
98
85
105
105
95
80
93
93
0
0
8
0
2
0
0
—
—
0
7
8
9
7
9
3
2
2
2
4
3
Septoria
Altezza
Allett. a
nodorum pianta cm maturaz.
(0-9)
(alla spiga)
(0-9)
292
Il germoplasma della Toscana
293
Tab. 3 - Caratteristiche qualitative di accessioni abruzzesi di farro valutate a Tolentino MC
nel 1996-97 a confronto con farri e frumenti di altra provenienza
N. access.
CERMIS
1
1A
1B
2
3A
3B
4
5A
6
7A
7B
7bis
8
13
59
63
64
65
66
67
test
test
test
test
test
Nome
accessione
ERSA 1-bianco
ERSA 1-rosso
ERSA 2
ERSA 3
ERSA 3
ERSA 4
ERSA 5-bianco
ERSA 6
ERSA 7-bianco
ERSA 7-rosso
originale FILOSINI
Proteina % su s.s.
(met. NIR)
Hardness1
(met. NIR)
Volume
sedimentazione
SDS (ml)
GARFAGNANA
ROUQUIN
FARVENTO
TRIVENTINA
MOLISE SELEZ. COLLI
FORENZA
LUCANICA
ERSA 7
ERSA 8
check dicocco
check spelta
check dicocco
check spelta
check dicocco
check spelta
check dicocco
11,7
12,1
12,1
12,5
12,7
13,7
14,2
11,7
14,3
14,3
11,7
11,3
12,2
15,7
14,2
15,2
13,4
14,9
14,3
H
H
H
H
H
H
H
H
H
H
H
M
H
M
H
M
H
M
H
17
16
17
19
22
21
18
21
19
16
15
21
22
49
12
55
19
53
18
GRAZIA
SIMETO
ERIDANO
EUREKA
MIETI
frumento duro
frumento duro
frumento tenero
frumento tenero
frumento tenero
12,2
15,7
11,2
11,3
11,6
H
H
M
M
M
32
33
45
44
47
GLAUCO
NON GLAUCO
Hardness (indice di durezza della cariosside): H = hard, M = medium, S = soft.
1997. La farina della accessione n. 15 di Solina
(Solina 2) proveniente dal raccolto 1998 a Castelvecchio Subequo (AQ) è stata analizzata alveograficamente e i risultati (Fig. 2) consentono di classificare (pur con i limiti di un unico campione e di
un’unica analisi) questo frumento nella categoria
“da biscotti”, infatti il W è pari a 108 e il P/L 0.45.
Tuttavia, i parametri sono al limite superiore per
questa classe, verso la panificabilità diretta, tali da
consentire una buona lavorabilità dell’impasto,
anche a mano. Si ottiene un pane di discrete caratteristiche, anche mescolando la farina con altri prodotti, esempio la patata lessa (tradizione diffusa in
alcune zone dell’Abruzzo che favorisce una conservazione più a lungo del pane), con una alveolatura
della mollica non ottimale, ma comunque soddisfacente.
Considerazioni conclusive
Sulla base dei primi risultati ottenuti emergono
alcune considerazioni e possono essere delineati
alcuni possibili sviluppi del presente progetto.
• La maggior parte delle accessioni pervenute al
CERMIS era stata attribuita in maniera corretta
alla specie di appartenenza, ad eccezione di un
farro giunto come spelta, in realtà si trattava di
un dicocco e di una segale (“Spevitella”), inizialmente identificata come monococco. Frequentemente le stesse popolazioni sono chiamate con
nomi diversi attribuiti dai diversi agricoltori che
le coltivano.
• Riguardo il farro non sono emersi elementi sufficienti per affermare che fra quelle analizzate
siano presenti popolazioni autoctone abruzzesi.
4 file
ERSA 7-bianco
ERSA 7-rosso
ERSA 8
GARFAGNANA
ROUQUIN
FARVENTO
TRIVENTINA
7A
7B
8
13
59
63
64
Pigmentazione guaina basale: * assente o debole, ** media, *** forte.
2
1
1
1
0
2
2
0
S
-S
WW
-W
-W
-S
-S
-W
-W
-S
-S
-S
-W
-W
-S
Portam.
piante a fine
accestim.1
Portamento piante fine accestimento: WW = molto prostrato, W = prostrato, -W = semi-prostrato, -S =s emi-eretto, S = eretto
MERIDIONALE
GARFAGNANA
ITALIA CENTRALE
ITALIA CENTRALE
MERIDIONALE
2
0
0
0
2
1
1
Danni da
freddo (0-9)
2
4 file
4 file
4 file
4 file
2 file
4 file
ITALIA CENTRALE
MERIDIONALE
MERIDIONALE
MERIDIONALE
ITALIA CENTRALE
ITALIA CENTRALE
ITALIA CENTRALE
Classificaz. farro medio
(Porfiri et al., 1995)
1
check spelta
check dicocco
check spelta
check dicocco
2 file
ERSA 6
6
4 file
4 file
2 file
2 file
ERSA 5-bianco
NON GLAUCO
GLAUCO
5A
ERSA 3
3A
4 file
ERSA 3
ERSA 2
2
4 file
4 file
ERSA 4
ERSA 1-rosso
1B
4
ERSA 1-bianco
1A
Allevamento
realizzato 95/96
3B
Popolazione,
linea o varietà
N. access
CERMIS
**
**
*
*
**
***
***
*
***
*
*
*
**
**
***
Pigment. guaina
pianta cm
basale2
Semina: 24 novembre1995 - Raccolta: 23 luglio 1996
22
23
22
19
18
19
19
18
18
21
20
20
15
19
17
Spigatura
(maggio)
160
165
140
155
160
120
120
135
135
130
140
128
135
130
130
Altezza
(alla spiga)
0
0
0
0
0
5
9
5
2
4
5
5
9
3
2
Allett. a
maturaz.
Tab. 4 - Caratterizzazione delle 8 accesioni di farro provenienti dall’A
Abruzzo e di altre accessioni di controllo nel 1995-96
glume nere
molto glaucesc.,
(al 28 febbraio)
uguale al 7A
(al 28 febbraio)
uguale al 7B
Note
di campo
(0-9)
294
Il germoplasma della Toscana
295
Frumento tenero “Bianchetta” o
“Casiretta”
Frumento tenero “Solina”
Alcune sono tipiche dell’Appennino Centrale
(definite “Italia Centrale), quindi comuni all’Umbria e al Lazio, e potrebbero essere sopravvissute in regione da lungo tempo oppure essere state
reintrodotte in tempi più recenti dalle regioni
limitrofe. Dalle informazioni raccolte dai tecnici
locali soltanto l’accessione n. 11 (denominata
“originale Filosini”) potrebbe avere origini antichissime, pur non presentando caratteristiche
dissimili dal tipo “Italia Centrale” (habitus primaverile, culmo sottile, mescolanza di individui
con livelli diversi di glaucescenza). Per certo i
farri di tipo “meridionale” e gli spelta coltivati
attualmente sono di esclusiva provenienza extraregionale.
• Fra tutti i materiali genetici collezionati appare
evidente che il frumento tenero “Solina” rappresenta la popolazione coltivata più importante, sia
per numero di accessioni reperite, sia per l’entità
delle superfici coltivate, sia per il notevole interesse da parte degli agricoltori a continuare a coltivarla. Certamente questo interesse è da attribuire sia ad aspetti agronomici (la popolazione
viene coltivata in zone molto marginali, resiste al
freddo e garantisce costantemente una produzione minima) sia, e soprattutto, ad aspetti di utilizzazione, per quanto poco sopra accennato, nella
preparazione tradizionale del pane.
• Il lavoro svolto nel 1998 non può certamente raggiungere risultati definitivi entro i tempi programmati dal presente progetto. Infatti, tutte le
valutazioni da effettuare — morfologiche, fisiolo-
Il germoplasma della Toscana
296
Panoramica dei campi sperimentali
del Cermis a Tolentino (Macerata)
Coltivazione di farro dicocco tipo
“Italia Centrale” in Comune di
Castelvecchio di Subequo (L’Aquila),
a circa 1.000 metri di altitudine
giche, agronomiche e qualitative — debbono essere necessariamente ripetute nel tempo e nello
spazio. Inoltre, tempi maggiori servono per ulteriori indagini sul territorio e per il completamento della collezione dei materiali genetici.
Bibliografia
BORASIO E., 1997. Classificazione merceologica del frumento
con indici di qualità. Atti GranoItalia, Bologna, settembre
1997:59-61.
CASTAGNA R., PORFIRI O., D’ANTUONO L.F., ERRANI M.,
MAZZOCCHETTI A., CODIANNI P. (1995) - Genotipi di farro a
confronto. L’Informatore Agrario, 38: 55-59.
PORFIRI O. (coord.) (1996) - Farro: scelta varietale. L’Informatore Agrario, 36: 58-62.
PORFIRI O., PAPA R., VERONESI F. (1997) - Il farro nel rilancio
delle aree marginali umbro-marchigiane. In Quaderni del
CEDRAV "Conservazione delle varietà locali di farro in
Italia: aspetti genetici e culturali", Atti convegno,
Monteleone di Spoleto, 17 agosto 1995: 64-72.
PORFIRI O., D’ANTUONO L.F., CODIANNI P., MAZZA L., CASTAGNA R.
(1998) - Genetic variability of a hulled wheats collection
evaluated in different agronomic environments in Italy.
In JARADAT A.A: (Editor) - Proceedings of 3° International
Triticeae Symposium, Aleppo, Syria, 4-8 maggio 1997,
Science Publishers, Inc. USA:387-392.
297
VII. Ricerca, conservazione e valorizzazione
del germoplasma locale: altre esperienze
Le risorse genetiche abruzzesi: risultati di un lavoro
di collezione e prima valutazione
R. Torricelli, N. Tosti, F. Veronesi
Istituto di Miglioramento Genetico Vegetale, Università degli Studi di Perugia
D. Silveri - ARSSA, Agenzia Regionale Servizi di Sviluppo Agricolo d’Abruzzo, Avezzano (AQ)
Introduzione
L’Agenzia Regionale per i Servizi di Sviluppo
Agricolo d’Abruzzo (ARSSA) sta sviluppando, con la
collaborazione scientifica dell’Istituto di Miglioramento Genetico Vegetale dell’Università degli
Studi di Perugia (IMGV-PG), un programma volto a
collezionare, conservare e valutare le risorse genetiche agrarie presenti nella regione.
L’attività ha avuto inizio nel 1997 con la collezione di popolazioni locali di erba medica (Medicago
sativa L.) e con l’acquisizione delle varietà locali di
frumento duro (Triticum durum Desf.), frumento
tenero (Triticum aestivum L.) e farro (Triticum
dicoccum Schubler). Nel corso del 1998 il programma è proseguito con la collezione di popolazioni
naturali di leguminose foraggere e di varietà locali
di fagiolo (Phaseolus vulgaris L., Phaseolus coccinesus L.), pomodoro (Lycopersicon esculentum L.),
peperone (Capsicum annuum L.), lenticchia (Lens
culinaris Medikus), frumento tenero, frumento duro,
melo (Malus domestica Borkh), pero (Pyrus communis L.) e mandorlo (Amygdalus communis L.). Nel
complesso sono state collezionate 144 accessioni.
Per le specie erbacee, i semi raccolti sono attualmente conservati presso la banca del germoplasma
dell’ IMGV-PG, in attesa che l’ARSSA si doti di un proprio sistema di conservazione, mentre per le specie
arboree sono in fase di avanzata costituzione in
Abruzzo tre campi di conservazione clonale. Per i
più interessanti materiali erbacei è in corso la caratterizzazione molecolare mediante utilizzazione di
marcatori RAPD e AFLP. Tale caratterizzazione è già
stata realizzata per l’erba medica e per il fagiolo e
sta procedendo per la lenticchia e per i frumenti.
In questo lavoro vengono riassunti i risultati
relativi alle leguminose da granella, alle ortive e alle
foraggere (esclusa l’erba medica).
Leguminose da granella
• Fagiolo (Phaseolus vulgaris L. e Phaseolus coccineus L.)
• Lenticchia (Lens culinaris Medikus).
Per questo gruppo di specie sono state collezionate 13 accessioni di fagiolo (Tab. 1, Fig. 1) e 7
accessioni di lenticchia (Tab. 2, Fig. 2).
Fig. 1 - Alcune collezioni di fagiolo collezionate in Abruzzo
Fig. 2 - Le 7 popolazioni di lenticchia collezionate a confronto con la popolazione di Castelluccio e la varietà canadese Laird
Il germoplasma della Toscana
298
Tab. 1 - Elenco delle popolazioni di fagiolo collezionate nel 1998,
quantità di seme disponibile e caratteristiche commerciali
N.
Specie
Caratteristiche commerciali del seme
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
13
P. vulgaris
P. vulgaris
P. vulgaris
P. vulgaris
P. vulgaris
P. coccineus
P. vulgaris
P. vulgaris
P. vulgaris
P. vulgaris
P. vulgaris
P. vulgaris
P. vulgaris
Albenghino o verdolino
Verdolino aquilano o roviotto (simile a albenghino)
Tipo messicano
Mangiatutto
Pisello di Paganica
Fagiolone (spagnone o corona)
Tondino bianco
Fagiolo pane (tipo albenghino)
Borlotto tipo Lamon
Fagiolo tabacchino (tipo olandese)
Fagiolo tabacchino (tipo olandese)
Fagiolo pane (tipo albenghino)
Cannellino
g di seme disponibile
425,00
1462,00
1415,00
30,00
465,00
430,00
1975,00
705,00
1825,00
1635,00
700,00
432,00
1480,00
Tab. 2 - Elenco delle popolazioni di lenticchia collezionate nel 1998, località e quantità di seme disponibile
N.
Specie
Località di provenienza
1
2
3
4
5
6
7
L. culinaris
L. culinaris
L. culinaris
L. culinaris
L. culinaris
L. culinaris
L. culinaris
Santo Stefano di Sessanio (AQ)
Santo Stefano di Sessanio (AQ)
Santo Stefano di Sessanio (AQ)
Santo Stefano di Sessanio (AQ)
Santo Stefano di Sessanio (AQ)
Santo Stefano di Sessanio (AQ)
Castelvecchio Calvisio (AQ)
Per le varietà locali di fagiolo è iniziata la fase di
valutazione condotta mediante un’analisi della
forma e del colore del seme grazie all’aiuto di un
esperto commerciale del settore (Tab. 1). Sugli stessi materiali, ad esclusione della varietà contrassegnata con il numero 4, è stata condotta un’analisi
molecolare mediante AFLP. Ai fini dell’analisi ai
g di seme disponibile
22,62
21,33
24,48
30,16
16,08
13,46
9,34
materiali collezionati è stata aggiunta una varietà
commerciale di P. coccineus (n. 14). Il livello di
diversità genetica presente tra le accessioni abruzzesi di fagiolo, come definito dall’analisi AFLP, è
riportato nel dendrogramma di Fig. 3. Il dendrogramma evidenzia che tutte le varietà risultano
distinguibili; in particolare per il P. coccineus si nota
come l’analisi AFLP riesca a distingure la varietà
commerciale da quella locale. La capacità di questi
marcatori molecolari di distinguere specie differenti
e individuare variabilità tra popolazioni di una stessa specie ne fa un valido strumento ai fini della
caratterizzazione e protezione dei prodotti tipici.
Specie ortive
Fig. 3 - Livello di diversità genetica presente tra le accessioni di fagiolo
• Pomodoro (Lycopersicon esculentum L.)
• Peperone (Capsicum annum L.)
Per queste specie dopo una fase di analisi preliminare che ha permesso la messa a punto delle linee
di ricerca su cui muoversi, sono state condotte indagini mirate in alcune zone di saggio nei dintorni di
Sulmona (AQ), Pescara, Aquila e Teramo. Il lavoro
299
Tab. 3 - Elenco delle specie ortive collezionate
con i nomi locali
N.
1
2
3
4
5
Specie
Nome locale
L. esculentum
L. esculentum
C. annum
C. annum
C. annum
Pomodoro nostrano
Pomodoro grande
Peperone
Peperone piccante
Peperone sfuso
Fig. 4 - Alcune specie di Leguminose foraggere
collezionate in Abruzzo
Tab. 4 - Leguminose foraggere collezionate nel 1997-98, siti di collezione e seme disponibile (g)
N.
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
13
14
15
16
17
18
19
20
21
22
23
24
25
26
27
28
29
30
31
32
33
34
35
36
37
38
39
Specie
Medicago polymorpha L.
Medicago polymorpha L.
Medicago rigidula Desr.
Medicago rigidula Desr.
Medicago rigidula Desr.
Medicago rigidula Desr.
Medicago rigidula Desr.
Medicago orbicularis All.
Medicago orbicularis All.
Medicago orbicularis All.
Medicago orbicularis All.
Medicago orbicularis All.
Medicago orbicularis All.
Medicago minima Grufb.
Medicago minima Grufb.
Medicago minima Grufb.
Medicago arabica Huds.
Medicago disciformis DC.
Trifolium campestre Schreb.
Trifolium campestre Schreb.
Trifolium pratense L.
Trifolium stellatum L.
Trifoluim scabrum L.
Trifolium fragiferum
Trifolium subterraneum L.
Trifolim montanum L.
Coronilla scorpioides L.
Coronilla minima L.
Coronilla varia L.
Anthyllis vulneraria L.
Anthyllis vulneraria L.
Onobrychis viciifolia Scop.
Onobrychis viciifolia Scop.
Onobrychis caput-galli Lam.
Onobrychis caput-galli Lam.
Lotus corniculatus L.
Lotus tenuis L.
Vicia sativa L.
Vicia villosa Roth.
Suto di collezione
Capestrano (AQ)
Castel di Ieri (AQ)
Capestrano (AQ)
Civitaretenga (AQ)
Cast. Sub. Crapella (AQ)
Ofena (AQ)
Cast. Sub. Vignara (AQ)
Capestrano (AQ)
Ofena (AQ)
Civitaretenga (AQ)
Cast. Sub. Crapella (AQ)
Castel di Ieri (AQ)
Cast. Sub. Casette C. (AQ)
Capestrano (AQ)
Ofena (AQ)
Cast. Sub. Crapella (AQ)
Castel di Ieri (AQ)
Civitaretenga (AQ)
Ofena (AQ)
Cast. Sub. Casette C. (AQ)
Cast. Sub. Vignara (AQ)
Ofena (AQ)
Civitaretenga (AQ)
Castel di Ieri (AQ)
Castel di Ieri (AQ)
Santo Stefano di S. (AQ)
Cast. Sub. Casette C. (AQ)
San Benedetto Per. (AQ)
Cast. Sub. Casette C. (AQ)
San Benedetto Per. (AQ)
Santo Stefano di S. (AQ)
Santo Stefano di S. (AQ)
Santo Benedetto Per. (AQ)
Ofena (AQ)
Santo Stefano di S. (AQ)
Santo Stefano di S. (AQ)
Castel di Ieri (AQ)
Santo Stefano di S. (AQ)
Castelv. Subequo (AQ)
g di seme disponibile
0.230
0.470
0.900
0.540
2.220
3.070
1.080
3.030
3.640
3.060
2.570
3.190
2.470
0.580
1.140
2.380
0.190
0.820
1.270
0.510
0.960
1.130
1.730
0.590
0.280
1.250
0.600
1.030
2.030
0.220
0.490
23.330
3.570
2.890
3.170
0.860
0.620
4.450
45.950
Il germoplasma della Toscana
300
svolto ha permesso di individuare come varietà sicuramente locali 2 accessioni di pomodoro e 3 di peperone (Tab. 3); inoltre, questa attività ha reso possibile l’individuazione di interessanti materiali di fagiolo e mais nell’aquilano e di fagiolo e zucca nella zona
di Paganica (AQ).
Leguminose foraggere
Per quanto concerne le popolazioni naturali di leguminose foraggere raccolte nei pascoli abruzzesi nel
corso del 1997-98, esse sono riportate nella Tab. 4.
Nella Tab. 4 a vengono riportate le specie collezionate, le località di raccolta e il seme disponibile.
Nella Fig. 4 vengono riportate alcune specie particolarmente interessanti.
Nell’autunno 1999 le accessioni di M. rigidula
[Capestrano (AQ), Castelvecchio Subequo (AQ),
Civitaretenga (AQ), Ofena (AQ)], M. orbicularis
[Castelvecchio Subequo (AQ), Civitaretenga (AQ),
Ofena (AQ)], T. fragiferum [Castel di Ieri (AQ)] e T.
subterraneum [Castel di Ieri (AQ)] sono state seminate a piante spaziate (60 piante per accessione)
presso il campo sperimentale dell’IMGV-PG, con lo
scopo di effettuare una prima caratterizzazione
morfologica e nello stesso tempo moltiplicarne il
seme.
301
VII. Ricerca, conservazione e valorizzazione
del germoplasma locale: altre esperienze
Collezione e caratterizzazione di popolazioni locali
abruzzesi di Medicago sativa L. ai fini della conservazione
e della costituzione varietale
R. Torricelli, F. Travaglini, E. Albertini, G. Zarroli, F. Veronesi
Istituto di Miglioramento Genetico Vegetale, Università degli Studi di Perugia
D. Silveri - ARSSA, Agenzia Regionale Servizi di Sviluppo agricolo d’Abruzzo, Avezzano (AQ)
S. Velletri - Consorzio per la Divulgazione e Sperimentazione delle Tecniche Irrigue s.r.l., COTIR - Vasto (CH)
Introduzione
L’erba medica (Medicago sativa L. subsp. sativa
L., 2n=4x=32) rappresenta la più importante leguminosa foraggera; attualmente è coltivata in Italia su
quasi un milione di ettari. Questa specie riveste un
notevole interesse economico per ristabilire la fertilità e la struttura dei terreni e costituisce un elemento essenziale nell’alimentazione zootecnica. Nel
nostro paese gli ecotipi coprono ancora circa il 70%
della superficie ad erba medica.
Il Decreto Ministeriale del 3 marzo 1995 ha
disposto che a decorrere dal 2002 non verrà più concessa la certificazione alla semente degli ecotipi e la
loro commercializzazione sarà vietata in tutta
l’Unione Europea. Questa decisione è certamente
utile a mettere ordine nel mercato sementiero nazionale, ma aumenta il rischio di erosione di materiali
adatti alle condizioni pedoclimatiche del nostro
Fig. 1 - Mappa dei siti di collezione delle popolazione locali di
erba medica, con i rispettivi codici e l’altitudine (m s.l.m.). Sono
inoltre riportate le varietà e gli
ecotipi commerciali con i relativi
codici.
Paese.
Alla luce di quanto detto l’Agenzia Regionale per
i Servizi di Sviluppo Agricolo d’Abruzzo (ARSSA) ha
attivato, con la consulenza dell’Istituto di Miglioramento Genetico Vegetale dell’Università degli
Studi di Perugia (IMGV-PG), un progetto di ricerca
volto alla collezione, caratterizzazione e utilizzazione del germoplasma abruzzese di erba medica sia ai
fini della conservazione che della costituzione varietale. La caratterizzazione molecolare dei materiali
raccolti è stata condotta attraverso l’uso dei marcatori molecolari AFLP.
Collezione e valutazione agronomica
delle popolazioni locali
All’inizio del 1997 sull’intero territorio regionale
(Fig. 1) sono state collezionate, 24 popolazioni di
Il germoplasma della Toscana
302
Tab. 1 - Produzioni di sostanza secca (g m-2) di 24 ecotipi di erba medica abruzzesi e 6 materiali di controllo
(da Travaglini et al., 1999)
Ecotipi e varietà
1 Roseto degli Abruzzi (TE)
2 Magliano dei Marsi 1 (AQ)
3 Magliano dei Marsi 2 (AQ)
4 Magliano dei Marsi 3 (AQ)
5 Forcella (TE)
6 Valle Rosea (TE)
7 Mezzanotte (TE)
8 Castelvecchio Subequo (AQ)
9 Rosciano Villa Badessa (PE)
10 Pietranico (PE)
11 C. da Pagliaporci (PE)
12 Raiano (AQ)
13 San Giacomo di Atri (TE)
14 Colle San Donato (CH)
15 Casere Casoli (CH)
16 Paludi (CH)
17 Roccaspinalveti (CH)
18 Atessa (CH)
19 Casale Montenerodomo (CH)
20 Piano Carlino (CH)
21 C. le Serre Casoli (CH)
22 San Domenico (CH)
23 San Marco (AQ)
24 San Venanzio (CH)
25 Var. Sabina 1
26 Var. Sabina 2
27 Var. Sabina 3
28 Ec. Italia Centrale
29 Ec. Romagnolo
30 Var. Equipe
DMS 0,05
Vasto 1997
384
365
375
304
431
401
339
340
324
349
362
334
359
378
372
320
415
430
403
397
390
423
364
378
311
340
306
385
344
255
92
BCDEFG
BCDEFG
BCDEFG
AB
G
DEFG
ABCDEFG
ABCDEFG
ABCDE
BCDEFG
BCDEFG
ABCDEF
BCDEFG
BCDEFG
BCDEFG
ABCD
EFG
G
DEFG
CDEFG
BCDEFG
FG
BCDEFG
BCDEFG
ABCD
ABCDEFG
ABC
BCDEFG
ABCDEFG
A
Capestrano 1998
417
403
374
363
436
407
380
441
443
344
482
368
470
392
465
300
405
448
309
369
410
414
404
425
321
222
248
187
387
323
127
DEFGH
DEFGH
CDEFGH
CDEFGH
EFGH
DEFGH
DEFGH
FGH
FGH
BCDEFG
H
CDEFGH
GH
DEFGH
GH
ABCD
DEFGH
FGH
ABCDE
CDEFGH
DEFGH
DEFGH
DEFGH
DEFGH
BCDEF
AB
ABC
A
DEFGH
BCDEF
Perugia 1998
383
312
323
326
364
346
357
384
377
352
325
305
400
332
333
329
354
343
333
309
340
326
314
348
354
360
351
349
348
363
57
DEF
AB
ABC
ABCD
BCDEF
ABCDEF
ABCDEF
EF
CDEF
ABCDEF
ABC
A
F
ABCDE
ABCDE
ABCDE
ABCDEF
ABCDEF
ABCDE
AB
ABCDE
ABCD
AB
ABCDEF
ABCDEF
ABCDEF
ABCDEF
ABCDEF
ABCDEF
BCDEF
Le medie seguite dalle stesse lettere non differiscono per P ≤ 0,05.
erba medica, presso quelle aziende che garantivano
la riproduzione del seme da almeno 10 anni. Il seme
delle popolazioni collezionate è stato archiviato
presso la banca del germoplasma dell’IMGV-PG, in
attesa che l’ARSSA si doti di una banca del seme.
Con parte del seme delle popolazioni collezionate e con il seme di 2 ecotipi e 4 varietà commerciali,
nell’aprile 1997 sono stati impiantati tre campi sperimentali in altrettante località: Capestrano (AQ)
(Fig. 2), Vasto (CH) (Fig. 3), Perugia. I campi sono
stati impiantati secondo un disegno sperimentale a
blocchi randomizzati con tre ripetizioni e parcelle di
4.5 m2.
La Tab. 1 riguarda la produzione di sostanza
secca (g m-2) delle 24 popolazioni locali di erba medi-
ca a confronto con 6 materiali di controllo.
Come è possibile notare, per questo carattere è
stata messa in luce una notevole variabilità tra i
materiali e in ogni località di valutazione alcune
popolazioni abruzzesi sono risultate statisticamente
superiori ai controlli. In particolare, due popolazioni
locali (M5, Forcella e M18, Atessa, provenienti da
siti di collezione a 240 e 475 m s.l.m., rispettivamente) sono state caratterizzate da una notevole
capacità di adattamento a condizioni pedoclimatiche
diverse mentre la popolazione M22 (San Domenico,
300 m s.l.m.) è particolarmente adatta ad ambienti
litoranei e la popolazione M8 (Castelvecchio Subequo, 1.000 m s.l.m.) sembra molto interessante per
sviluppare varietà adattate ad elevate altitudini.
303
Fig. 2 - Campo sperimentale a Capestrano (AQ)
Fig. 3 - Campo sperimentale a Vasto (CH)
Fig. 4 - Campo sperimentale con trapianti a Vasto (CH)
Fig. 5 - Campo con trapianti ad Avezzano (AQ)
Costituzione varietale
Le prove di valutazione agronomica effettuate nel
corso del 1997-98 in particolare a Capestrano e Vasto,
ambienti contrastanti per le condizioni climatiche,
hanno evidenziato la presenza di materiali interessanti per il prosieguo del programma di costituzione
varietale. In base ai dati produttivi la popolazione
selezionata per l’ambiente pedemontano è stata quella proveniente da Castelvecchio Subequo (AQ). Per le
zone di bassa e media collina il materiale selezionato
è stato quello collezionato a Forcella (TE).
Il 12 marzo 1999 circa duemila semi per ciascuna delle due popolazioni locali scelte sono stati seminati in jiffy pots nella serra dell’IMGV.
Il 19 maggio e il 2 giugno 1999, circa 1000 piante spaziate (100 cm x 60 cm) della popolazione M5 e
della popolazione M8 sono state trapiantate a Vasto
(Fig. 4) e ad Avezzano (Fig. 5) rispettivamente, al fine di procedere alla costituzione di due varietà a
larga base genetica.
Caratterizzazione molecolare
Per l’analisi molecolare sono state escluse le
popolazioni M18 e M20. I marcatori AFLP, di cui un
esempio di profilo è riportato in Fig. 6, hanno fornito polimorfismi genomici riproducibili ed informativi delle accessioni di erba medica analizzate.
L’analisi dei centroidi (Fig. 7), definiti sulla base
Fig. 6 - Esempio di profilo AFLP generato dalla combinazione di primer Eco+CCA/Mse+ACA in erba medica. Le frecce
indicano i polimorfismi che permettono di discriminare i
bulk di DNA
Il germoplasma della Toscana
304
della matrice di similarità calcolata utilizzando il
coefficiente di Dice, ha evidenziato che undici accessioni abruzzesi hanno costituito un nucleo geneticamente omogeneo caratterizzato da un notevole
grado di similarità. Per le rimanenti 13 accessioni, i
marcatori molecolari associati alla funzione 2 hanno
permesso di discriminare le popolazioni M1, M5, M7
e M10 mentre i marcatori associati alla funzione 1
hanno permesso di separare le popolazioni M1, M2
e M6 dalle popolazioni M11, M13, M15, M16 e M23.
Questi risultati indicano che marcatori molecolari tipo AFLP possono essere efficientemente impiegati per caratterizzare la variabilità genetica presente
tra accessioni di germoplasma di erba medica al fine
di identificare le popolazioni più rappresentative
dell’area oggetto di studio.
Fig. 7 - Livello di diversità genetica tra le accessioni di erba
medica valutate: i centroidi sono stati definiti con il metodo UPGMA delle due funzioni principali
305
VII. Ricerca, conservazione e valorizzazione
del germoplasma locale: altre esperienze
Programma nazionale di conservazione
della biodiversità in agricoltura
WWF Italia – Sezione regionale Piemonte e Valle d’Aosta
Il WWF per l’agricoltura: obiettivi
• Divulgare il ruolo dell’agricoltura per la conservazione della biodiversità (Rio de Janeiro, 1992).
• Fornire supporto tecnico ed economico a programmi di salvaguardia di ambienti rurali, di
razze e di varietà a Università, amministrazioni
locali, organizzazioni agricole e altre associazioni.
• Promuovere e valorizzare i prodotti tipici e locali come strumento di salvaguardia di razze e
varietà autoctone.
• Sostenere l’agricoltura biologica (in collaborazione con AMAB) e le forme di agricoltura a ridotto
impatto ambientale.
Attività previste
• Recupero della razza Ottonese-Tortonese e del
formaggio Montebore (con Slow Food).
• Atlante informatizzato delle razze autoctone italiane.
• Salvaguardia delle razze ovine Carsolina e
Marrane (UD e GE) e della razza caprina Istriana
(con Di.S.P.A. - Università di Udine).
• Attività educative e divulgative in collaborazione
con Pro Specie Rara (Svizzera).
Il Progetto “Mora Romagnola”
Un programma di conservazione
della più rara razza suina italiana
Progetti e collaborazioni
• Recupero della razza suina “Mora Romagnola”
(acquisto riproduttori, con Dipartimento di
Scienze Zootecniche, Università di Torino).
• Tutela di cultivar locali di fruttiferi e campi varietali didattici nelle Oasi WWF.
• Salvaguardia di alcune razze autoctone presso
strutture del WWF e aziende private.
• Mostra “Razze autoctone italiane” (con Università di Torino).
• Mostra “Razze autoctone del Piemonte” (con
Regione Piemonte e Slow Food).
• Progetto LIFE “Grandi carnivori delle Alpi”: azioni di sostegno alla pastorizia e al mantenimento
di razze alpine autoctone; fornitura di materiale
e strutture per l’allevamento e il pascolamento.
• Mostra “Biodiversità in agricoltura” (con Dip.to
di Colture Arboree dell’Università di Torino).
• Verifica attuazione Reg. 2078/92.
• Archivio fotografico delle razze italiane (oltre
5000 immagini e materiale iconografico storico)
La Mora Romagnola è una razza suina autoctona
della provincia di Ravenna (Emilia Romagna, Italia);
non è noto se in passato venne esportata in altre
parti d’Europa. Attualmente sopravvivono solo 18
esemplari in un allevamento vicino a Faenza
(Ravenna), e non sembra esistano altri capi allevati
in Italia: nel 1949 erano più di 22.000.
Il nome “Mora” è stato codificato nel 1942 a
causa del suo colore, marrone scuro con riflessi
bronzei; il verro presenta la “linea sparta”, una serie
di setole irte e dure lungo il dorso; la pelle è grigio
scura, con le parti inferiori di colore rosa. I giovani
hanno il mantello di colore fulvo, che diventa a poco
a poco più scuro durante la crescita.
La Mora Romagnola ha un tipico corpo allungato e
alto mediamente 80 cm (le scrofe sono più alte dei
verri) e raggiunge un peso alla maturità di 250-300 kg;
la testa è allungata con profilo rettilineo e con orecchie
portate in avanti a coprire il grugno affusolato.
Le scrofe attualmente allevate non sono molto
prolifiche (5-6 maialini le primipare e 9 le pluripa-
Il germoplasma della Toscana
306
re), e hanno una scarsa produzione di latte.
Una volta esistevano diverse popolazioni di
Mora: la diffusissima “Forlivese”, la “Faentina” dal
mantello rosso chiaro, e la più scura “Riminese”.
Fino a metà degli anni Cinquanta tutte queste popolazioni erano incrociate con ceppi locali di Large
White (il “San Lazzaro” e la “Bastianella”); l’ibrido
era noto come “Fumati”.
Come molte altre vecchie razze suine, anche la
Mora è una razza tardiva eccessivamente predisposta all’ingrassamento; è però molto vigorosa e ben
adattabile a sistemi di allevamento all’aperto grazie
alla sua eccellente qualità di pascolatrice.
Il Dipartimento di Scienze Zootecniche dell’Università di Torino e il WWF Italia hanno recentemente
elaborato un programma di recupero della razza. Tre
scrofe e un verro sono già state acquistate in un allevamento vicino a Faenza, di proprietà del signor
Mario Lazzari, proprietario dell’ultimo nucleo di
Mora Romagnola.
Il nostro programma prevede inizialmente due
fasi: 1) cercare libri, fotografie, notizie e dati sulla
Mora Romagnola, e 2) cercare altri eventuali animali allevati nel mondo (in purezza o incroci).
Se avete notizie al riguardo, contattateci agli
indirizzi seguenti:
Dipartimento di Scienze Zootecniche
Università di Torino
Via Leonardo da Vinci, 44
10195 Grugliasco (TO) - Italy
Tel. +39 011 6708575 or 6708577
Fax +39 011 6708563
E-mail: [email protected]
or fortina@ agraria.unito.it
WWF Italia – Sezione Regionale
Piemonte e Valle d’Aosta
Via Peyron, 10 - 10143 Torino - Italy
Tel. 011 4731746 Fax 011 4373944
E-mail: [email protected] or [email protected]
307
VII. Ricerca, conservazione e valorizzazione
del germoplasma locale: altre esperienze
Associazione Agricoltori Custodi:
Statuto ed Elenco del germoplasma
Statuto
Art. 1 - Costituzione
Con il presente statuto è costituita un’Associazione
denominata “Agricoltori Custodi” tra i produttori
agricoli delle specie e delle varietà animali e vegetali tipiche locali, della Toscana, a rischio di erosione
genetica.
Art. 2 - Sede
L’Associazione ha la sede legale nel Comune di Loro
Ciuffenna (Arezzo), presso la Comunità Montana del
Pratomagno e può istituire proprie sedi periferiche
nel territorio in cui opera.
Art. 3 - Durata
L’Associazione ha durata fino al 31 dicembre 2020 e
sarà automaticamente prorogata di anno in anno e
così via se l’assemblea ordinaria non ne delibera lo
scioglimento almeno sei mesi prima della scadenza
di ogni termine.
Art. 4 - Scopi
L’associazione aderisce idealmente al manifesto
dell’Arca Slow food Arcigola e si impegna per la promozione, la realizzazione e la gestione dei Presidi
Slow food, quale elemento di intervento sul territorio.
Scopo dell’Associazione è la salvaguardia, la promozione, la valorizzazione e la tutela delle specie e
varietà autoctone, sia animali sia vegetali. L’elenco
di tali varietà sarà effettuato in apposito regolamento interno curato dall’Organo di Amministrazione
che provvederà ad aggiornarlo ove necessiti. Analogamente alle varietà autoctone, sono comprese
nell’oggetto sociale le produzioni derivanti dalla trasformazione merceologica delle stesse varietà autoctone.
L’Associazione potrà inoltre:
a) promuovere ed attuare iniziative tendenti allo
studio sulle caratteristiche genetiche, sulle tecniche colturali e sul miglioramento qualitativo
delle specie e delle varietà oggetto del presente
statuto;
b) promuovere le attività di assistenza tecnica e di
formazione professionale sulle tecniche di coltivazione e/o allevamento di dette specie e varietà
secondo quanto previsto dai disciplinari di produzione indicati nel Regolamento Interno;
c) sviluppare, coordinare, aggregare, l’offerta dei
prodotti delle specie e varietà suddette, presupposto essenziale per la promozione e commercializzazione degli stessi. A tal fine l’Associazione
promuove tutte le iniziative necessarie quali, a
titolo di esempio, partecipazione a mostre, fiere,
esposizioni, eventi eno-gastronomici e può aderire ad altri organismi che perseguano finalità
similari, secondo quanto fissato dal Regolamento
Interno;
d) tutelare i prodotti attraverso un marchio con le
modalità previste dal Regolamento Interno;
e) favorire eventuali riconoscimenti delle suddette
specie e varietà in relazione a DOP, IGP e IGT, AS
etc.;
f) incentivare presso altri agricoltori la coltivazione
e l’allevamento di germoplasma autoctono, purché in linea con gli scopi del presente Statuto;
g) promuovere il consumo consapevole, legato al
valore organolettico e ludico dei prodotti;
h) divulgare l’iniziativa in quanto modello di sviluppo rurale, che coniuga l’obiettivo di incrementare il reddito degli agricoltori con quello di
promuovere un’agricoltura eco-compatibile.
Il germoplasma della Toscana
308
Elenco del germoplasma
ORTIVE A RISCHIO DI EROSIONE GENETICA
Asparagio d’Argentuil
Cece piccino
Cicerchia
Fagiola schiacciona fiorentina
Fagiolo borlotto nostrano
Fagiolo romano (romanello)
Fagiolo rosso di Modesto
Fava del Valdarno (mezzafava)
Fava lunga delle Cascine
Lattuga delle quattro stagioni
Lattuga ubriacona
Patata rossa
Pisello a mezza frasca
Pisello a tutta frasca
Pisello quarantino
Pomodoro ciliegino
Pomodoro cuore di bue
Pomodoro pendolino a grappolo
Pomodoro quarantino
Rapo del Valdarno
Scalogno nostrale (Reggello)
Sedano di Montevarchi
Zucca da semi e da maiali
Zucchino dal tralcio
Valdarno Superiore
Valdarno Superiore
Valdarno Superiore
Valdichiana
Valdarno Superiore
Valdarno Superiore
Valdarno Superiore
Loro Ciuffenna
Valdarno Superiore
Valdarno Superiore
Valdarno Superiore
Valdarno Superiore
Casentino
Valdarno Superiore
Valdarno Superiore
Valdarno Superiore
Valdarno Superiore
Valdarno Superiore
Valdarno Superiore
Valdarno Superiore
Valdarno Superiore
Valdarno Superiore
Valdarno Superiore
Valdarno Superiore
Pratomagno
ORTIVE POCO DIFFUSE
Basilico gigante di Montevarchi
Bietola a coste sottili
Cavolfiore precoce toscano
Cavolo nero toscano
Cipolla rossa toscana
Cipolla savonese (sagonese)
Fagiolo coco nano
Fagiolo marconi seme nero
Fagiolo gentile
(dall’occhio o cornetto)
Fagiolo serpente
Fagiolo turco
Fagiolo zolfino
Lattuga pesciatina
Lattuga Sant’Anna
Melanzana violetta fiorentina
Pomodoro bistecca
Pomodoro costoluto fiorentino
Zucca lardaia lunga
Zucchina lunga fiorentina
Zucchina tonda fiorentina
Zucca lardaia quintale
Valdarno
Valdarno Superiore
Valdarno Superiore
FRUTTIFERI A RISCHIO DI EROSIONE GENETICA
Albicocca reale di Imola
Mela biancuccia
Mela di Frasio
Mela Francesca
Mela ghiacciata
Mela mora
Mela panaia
Mela renetta dell’Anciolina
Mela zucchina
Pera Bella di giugno
Pera del curato
Pera Luigia
Pera romana
Pera suppertina
Perina dolce della Rocca
Pesca cotogna
Pesca limone
Pesca maggese
Pesca passerina
Pesca regina di Londa
Pesca rosa di Rosano
Giuggiolo
Uva malvasia di Montegonzi
Valdarno Superiore
Pratomagno
Valdarno Superiore
Valdarno Superiore
Valdarno Superiore
Valdarno Superiore
Pratomagno
Pratomagno
Valdarno Superiore
Valdarno Superiore
Valdarno Superiore
Valdarno Superiore
Valdarno Superiore
Valdarno Superiore
Pratomagno
Valdarno Superiore
Valdarno Superiore
Valdarno Superiore
Valdarno Superiore
Valdarno Superiore
Valdarno Superiore
Valdarno Superiore
Valdarno Superiore
FRUTTIFERI POCO DIFFUSI
Valdarno Superiore
Valdarno Superiore
Valdarno Superiore
Valdarno Superiore
Valdarno Superiore
Valdarno Superiore
Valdarno Superiore
Valdarno Superiore
Valdarno Superiore
Valdarno Superiore
Valdarno Superiore
Valdarno Superiore
Valdarno Superiore
Valdarno Superiore
Valdarno Valdichiana
Valdarno Superiore
Valdarno Superiore
Valdarno Superiore
Ciliegia acquaiola
Ciliegia bella di Arezzo
Ciliegia dura nera di Gorgiti
Ciliegia Marchiana del Pratomagno
Fico dottato
Fico fratino
Fico grassello
Fico verdino
Mela cotogna
Mela nesta
Susina Claudia
Valdarno Superiore
Provincia di Arezzo
Loro Ciuffenna
Loro Ciuffenna
Valdarno Superiore
Valdarno Superiore
Valdarno Superiore
Valdarno Superiore
Valdarno Superiore
Valdarno Superiore
Valdarno Superiore
PRODOTTI DEL BOSCO A RISCHIO DI EROSIONE GENETICA
Castagna mondigiana
Castagna perella
Marrone di Loro Ciuffenna
Pratomagno
Loro Ciuffenna
Loro Ciuffenna
309
PRODOTTI DEL BOSCO POCO DIFFUSI
CEREALI A RISCHIO DI EROSIONE GENETICA
Castagna pistolese
Castagna raggiolana
Castagna tigolese
Castagna vitarina
Marrone del Casentino
Marrone di Caprese Michelangelo
Marrone di Montevarchi
More di rovello
Mais quarantino
Pratomagno Casentino
Pratomagno Casentino
Pratomagno Casentino
Arezzo Valtiberina
Casentino
Valtiberina
Montevarchi
Pratomagno
Valdarno Superiore
CEREALI POCO DIFFUSI
Mais giallone
Arezzo Valdichiana
ANIMALI A RISCHIO DI EROSIONE GENETICA
Gallina Mugellese
Pollo del Valdarno
Provincia di Arezzo
Valdarno Superiore
ALTRE COLTURE A RISCHIO DI EROSIONE GENETICA
Gelso (moro) bianco
Gelso (moro) nero
Girello
Provincia di Arezzo
Provincia di Arezzo
Pratomagno
ANIMALI NORMALMENTE DIFFUSI
Razza chianina
Provincia di Arezzo
311
Annotazioni
Finito di stampare
nel settembre 2000
da EFFEEMME LITO srl
a Firenze
per conto di
ARSIA • Regione Toscana
Le azioni intraprese fin dal 1987, dalla Regione Toscana, per la salvaguardia
del patrimonio genetico animale e vegetale del proprio territorio, hanno
portato all‘emanazione della Legge Regionale n. 50 del 16 luglio 1997, dal
titolo ”Tutela delle risorse genetiche autoctone“, che affida all‘Agenzia Regionale
per lo Sviluppo e l‘Innovazione nel settore Agricolo-forestale (ARSIA) la gestione
dei Repertori Regionali delle risorse genetiche.
Il 19 novembre 1999, presso la Sala della Scherma della Fortezza da Basso in
Firenze, l’ARSIA ha organizzato il convegno dal titolo “Il germoplasma toscano:
tutela e valorizzazione” e in questo volume si pubblicano gli atti.
Tra gli argomenti trattati, lo stato di attuazione della Legge Regionale, le
attività delle Commissioni tecnico-scientifiche istituite dalla stessa legge, la
gestione della Banca del germoplasma e la promozione dei Coltivatori Custodi;
sono stati sviluppati alcuni importanti temi, quali la registrazione delle varietà
a rischio di estinzione nel Registro Nazionale delle Varietà Vegetali, e presentate
le esperienze più significative nel campo dell‘individuazione, del recupero e
della valorizzazione del germoplasma in Italia. Inoltre, sono stati predisposti
un apposito spazio poster e un‘esposizione pomologica.
Questa pubblicazione riporta per intero i poster presentati.
Il germoplasma della Toscana:
tutela e valorizzazione
Il germoplasma della Toscana: tutela e valorizzazione
Collana editoriale ARSIA Il germoplasma toscano:
1. Il germoplasma del ciliegio
2. Germoplasma di specie erbacee di interesse agricolo
Richiedere a:
ARSIA - Centro di Documentazione Agricola
Via Pietrapiana, 30 - 50121 Firenze
tel. 055 2755237-247
e-mail: [email protected] - [email protected]
Il
germoplasma
Toscana
tutela
della
e valorizzazione
A.R.S.I.A.
Regione Toscana
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Parte 1 - Ortipisani