ARSIA • Agenzia Regionale per lo Sviluppo e l’Innovazione nel settore Agricolo-forestale via Pietrapiana, 30 - 50121 Firenze tel. 055 27551 - fax 055 2755216/2755231-4 Web: www.arsia.toscana.it E-mail: [email protected] A cura di Rita Turchi - ARSIA Si ringraziano per il prezioso contributo offerto, tutti i relatori intevenuti e gli autori dei poster presentati al convegno “Il germoplasma della Toscana: tutela e valorizzazione” tenutosi il 19 novembre 1999 presso la Fortezza da Basso in Firenze. Cura redazionale, grafica e impaginazione: LCD srl, Firenze Stampa: EFFEEMME LITO srl, Firenze Fuori commercio, vietata la vendita © Copyright 2000 ARSIA Regione Toscana Il germoplasma della Toscana: tutela e valorizzazione Atti del convegno Firenze, 19 novembre 1999 ARSIA • Agenzia Regionale per lo Sviluppo e l’Innovazione nel Settore Agricolo-forestale, Firenze 5 Sommario Presentazione Maria Grazia Mammuccini Parte I. Sezione Lavori L’azione della Regione Toscana per la tutela del germoplasma autoctono Giovanni Vignozzi, Regione Toscana - Dipartimento Sviluppo economico 7 9 13 Legge Regionale 50/97 “Tutela delle risorse genetiche autoctone”: come si avvia il processo di tutela Rita Turchi, ARSIA 21 Le attività delle Commissioni tecnico-scientifiche 25 Interventi 71 Parte II. Sezione Poster 111 I. 119 Legge Regionale 50/97 “Tutela delle risorse genetiche autoctone” II. Specie di interesse forestale 127 III. Specie ornamentali e da fiore 129 IV. Conservazione di germoplasma di specie erbacee 137 V. Il germoplasma toscano delle specie legnose da frutto 149 VI. Germoplasma toscano di interesse zootecnico 237 VII.Ricerca, conservazione e valorizzazione del germoplasma locale: altre esperienze 283 7 Presentazione L’impostazione produttivistica dell’agricoltura degli ultimi decenni ha portato alla progressiva scomparsa di antiche varietà e razze locali e la variabilità genetica che le caratterizzava è andata via via assottigliandosi fino, in alcuni casi, alla completa scomparsa. Oggi, tale tendenza va contrastata, sia incentivando l’attività delle Istituzioni scientifiche che hanno conservato questo prezioso germoplasma nelle loro collezioni, sia recuperando varietà, razze e tradizioni locali rimaste appannaggio di pochi anziani agricoltori ancora nelle campagne. La conservazione e la valorizzazione del germoplasma autoctono regionale è il presupposto fondamentale per una strategia di sviluppo endogeno sostenibile ed un’opportunità per recuperare i valori di una civiltà rurale legata ad antiche tradizioni. Queste ultime sono l’espressione di un’agricoltura che nel corso dei secoli ha affondato le proprie radici nel territorio, preservando prodotti che, nella loro diversità, hanno come comune peculiarità, la qualità e la genuinità. Le azioni intraprese dalla Regione Toscana per la salvaguardia del patrimonio genetico animale e vegetale, presente sul proprio territorio, hanno portato all’emanazione della Legge Regionale n. 50 del 16 luglio 1997, dal titolo “Tutela delle risorse genetiche autoctone”, che affida all’Agenzia Regionale per lo Sviluppo e l’Innovazione nel settore Agricoloforestale (ARSIA) la conservazione e la gestione dei Repertori Regionali delle risorse genetiche toscane. L’ARSIA svolge il proprio ruolo sulla base di un programma annuale di attività che prevede il coordinamento delle Commissioni tecnico-scientifiche, la pubblicazione della banca dati in linea su Internet dei Repertori Regionali, la gestione della Banca del germoplasma, la promozione sul territorio dei Coltivatori Custodi, la caratterizzazione morfologica e genetica e, infine, la divulgazione. Nell’ambito delle azioni per la divulgazione, il 19 novembre 1999 l’Agenzia ha organizzato un apposito convengo dal titolo “Il germoplasma della Toscana: tutela e valorizzazione”, tenutosi presso la Sala della Scherma della Fortezza da Basso, in Firenze. Nel corso di tale convegno, sono state presentate le attività svolte dall’Agenzia e da numerosi altri soggetti pubblici e privati in materia di conservazione del germoplasma locale. Erano inoltre presenti uno spazio poster e una mostra pomologica. Il successo di partecipanti alle attività seminariali ed espositive ha convinto l’ARSIA a predisporre questa pubblicazione, ritenendo opportuno mettere a disposizione di tutti coloro che si occupano di tutela e valorizzazione del germoplasma, le relazioni ed i poster presentati. Maria Grazia Mammuccini Amministratore ARSIA Parte I. Sezione Lavori 11 Sommario Parte I. L’azione della Regione Toscana per la tutela del germoplasma autoctono 13 Giovanni Vignozzi - Regione Toscana, Dipartimento Sviluppo economico ALLEGATO - Legge Regionale 16 luglio 1997, n. 50 “Tutela delle risorse genetiche autoctone” 19 Legge Regionale 50/97 “Tutela delle risorse genetiche autoctone”: come si avvia il processo di tutela 21 Rita Turchi - ARSIA Le attività delle Commissioni tecnico-scientifiche 25 Commissione “Specie erbacee” Il germoplasma delle piante coltivate 27 Concetta Vazzana - Dipartimento di Scienze Agronomiche e gestione del Territorio agro-forestale (DISAT), Università degli Studi di Firenze Commissione “Specie legnose da frutto” Il germoplasma della Toscana: tutela e valorizzazione delle specie legnose da frutto 33 Elvio Bellini - Dipartimento di Ortoflorofrutticoltura, Università degli Studi di Firenze Commissione “Specie di interesse forestale” Il germoplasma forestale della Toscana 47 Pier Virgilio Arrigoni - Orto Botanico, Università degli Studi di Firenze Commissione “Specie ornamentali e da fiore” Tutela delle risorse genetiche autoctone per le specie ornamentali da fiore 51 Romano Tesi - Dipartimento di Agronomia, Università degli Studi di Firenze Commissione “Risorse genetiche autoctone animali” Risorse genetiche autoctone animali Mario Lucifero - Dipartimento di Scienze Zootecniche, Università degli Studi di Firenze 55 Il germoplasma della Toscana 12 Valorizzazione del germoplasma toscano. Registro nazionale delle varietà 59 Domenico Strazzulla - Mi.P.A.F., Direzione Generale delle Politiche Agricole e Agro-industriali Nazionali Piano di coordinamento Mi.P.A.F. nazionale per le attività di conservazione delle risorse genetiche vegetali per l’alimentazione e l’agricoltura 63 Mario Marino - Mi.P.A.F., Direzione Generale delle Politiche Agricole e Agro-industriali Nazionali, Ufficio Biodiversità, Tecnologie Innovative e aiuto ai Paesi in via di sviluppo Carlo Fideghelli, Fabrizio Grassi, Alisea Sartori, Francesca Vitellozzi Centro di Coordinamento Risorse Genetiche Vegetali, Istituto Sperimentale per la Frutticoltura, Mi.P.A.F. Interventi 71 Varietà locali e risorse fitogenetiche: la posizione dell’industria sementiera 73 Anselmo Stella - AIS Associazione Italiana Sementi, Presidente La Provincia di Grosseto ed il Sistema Territoriale di Qualità 77 Valter Nunziatini - Amministrazione Provinciale di Grosseto Collezione, conservazione e studio del germoplasma di specie di interesse agrario nella regione Abruzzo 79 Donato Silveri - ARSSA, Regione Abruzzo Associazione Agricoltori Custodi: la storia, le motivazioni, l’attività 81 Rossella Michelotti - Associazione Agricoltori Custodi La salvaguardia delle risorse genetiche: dalla teoria alla pratica 85 Piero Belletti - DIVAPRA, Università degli Studi di Torino Tutela del germoplasma: problematiche 87 Pietro Perrino - Istituto del Germoplasma, CNR Bari Territorio e qualità: dalla memoria al mercato 99 Francesco Scarafia - Confederazione Italiana Agricoltori, Toscana La biodiversità e l’agricoltura: la tutela delle risorse genetiche nel Lazio 101 Antonio Onorati - Responsabile Segreteria Assessore Regionale all’Agricoltura della Regione Lazio La biodiversità: un patrimonio da salvare 107 Riccardo Fortina - WWF Piemonte e Valle d’Aosta, Presidente La Società Italiana dell’Iris ed il suo giardino Sergio Orsi - Società Italiana dell’Iris, Presidente 109 13 L’azione della Regione Toscana per la tutela del germoplasma autoctono Giovanni Vignozzi Regione Toscana, Dipartimento Sviluppo Economico Introduzione Uno dei capisaldi della politica agricola regionale degli ultimi anni, come definito fin dalla Conferenza regionale “Agricola ’96”, è quello della valorizzazione della qualità e della tipicità delle produzioni, considerato che una delle risorse di maggiore importanza per l’agricoltura toscana è costituito proprio dall’equilibrio esistente fra l’attività agricola, il paesaggio e l’ambiente. Molti possono essere i concetti di qualità, ma quelli che interessano prevalentemente in riferimento alla situazione della Toscana sono: a) le qualità organolettiche del prodotto, b) la sostenibilità del processo produttivo, c) il rispetto per la salute del consumatore e dell’ambiente, nonché la situazione socio-economica (in un’unica parola la “ruralità”) esistente dietro un determinato prodotto, in sostanza la cultura, la storia, la tradizione che ha determinato uno specifico processo produttivo. Nell’ambito delle politiche della qualità nei suoi diversi aspetti, numerose sono state le azioni intraprese dalla Regione nell’attuale legislatura e fra queste possiamo citare: a) l’applicazione delle norme europee e nazionali sulla sanità e l’igiene dei prodotti agroalimentari; mediante l’attuazione di azioni tese a facilitare la loro applicazione nel settore agricolo ed in particolare: •direttive a Comuni ed ASL per il rilascio dell’autorizzazione sanitaria alle aziende agricole, •redazione di linee guida per la predisposizione di manuali di autocontrollo aziendale, •progetti di formazione; b) sostegno e sviluppo dell’agricoltura biologica che, negli ultimi 4 anni è raddoppiata come consistenza passando da 550 aziende nel 1995 alle oltre 1.100 attuali; c) predisposizione di un marchio sull’agricoltura integrata che valorizzi tutta la produzione ecocompatibile anche in attuazione del Regolamento CE n. 2078/92 che ha interessato, nella Misura 1 “Riduzione concimi e fitofarmaci”, ben 16.000 aziende per quasi 300.000 ettari; il marchio è stato istituito con la recente Legge Regionale n. 25/99. d) sostegno e sviluppo delle produzioni tipiche, in particolare attraverso l’ottenimento di Denominazioni o Indicazioni Geografiche Protette (DOP o IGP). Un’altra area di fondamentale importanza nell’ambito delle politiche di valorizzazione delle qualità e delle tipicità, è appunto data dalla conservazione e tutela del germoplasma autoctono regionale. La tutela della biodiversità è del resto un impegno per diversi Stati sancito nella Conferenza di Rio de Janeiro nel 1992 tramite una Convenzione specifica sulle biodiversità ratificata dall’Italia con la Legge n. 124 del 14 febbraio 1994. Nella Convenzione si evidenzia la necessità per ogni paese contraente di elaborare strategie, piani e programmi nazionali nei riguardi della conservazione e dell’utilizzazione della diversità biologica in tutti i suoi aspetti fra i quali ha primaria importanza quello collegato con l’attività agricola e zootecnica. In Toscana, la materia assume rilevante importanza perché ogni territorio ha espresso nel tempo particolari varietà vegetali o razze animali, frutto di interazione fra lavoro dell’uomo, ambiente e territorio. Alcune espressioni di questo germoplasma autoctono hanno assunto rilevanza a livello nazionale (basti pensare alla razza Chianina originaria della Val di Chiana), altre, altrettanto valide, sono rimaste confinate in ambiti territoriali limitati ed hanno subito forti contrazioni fino addirittura al rischio di estinzione per il mutare delle condizioni socio-economiche e del mercato che ha richiesto sempre più produzioni omogenee e standardizzate. Il germoplasma della Toscana 14 La perdita del germoplasma autoctono è particolarmente grave per la nostra Regione, in quanto non si traduce soltanto nella perdita di una varietà vegetale o di una razza animale, ma anche nella perdita di un’identità storica, di una cultura, di un’agricoltura che ha sempre tenuto in alta considerazione il rapporto con l’ambiente naturale. Vorrei infine ricordare che, coerentemente con l’obiettivo prioritario di valorizzazione del germoplasma, va considerata la presa di posizione della Regione Toscana sugli Organismi Geneticamente Modificati, che non si è concretizzata solamente nel far presente una posizione di dissenso ai Ministeri competenti, ma anche nell’attuare azioni concrete, nell’ambito delle competenze regionali, per evitare l’introduzione di coltivazioni transgeniche nella nostra regione ed in particolare: a) non sono state attivate le prove per l’iscrizione al Registro varietale di Organismi Geneticamente Modificati presso le Aziende regionali per il mais e la barbabietola da zucchero transgenici; b) nell’ambito degli adempimenti relativi all’applicazione della Legge Regionale n. 25/99, che istituisce un marchio di riconoscimento per l’agricoltura integrata, attuata nel rispetto di tecniche colturali compatibili con l’ambiente e, in particolare, nella stesura dei Disciplinari di produzione, di competenza dell’Agenzia Regionale per lo Sviluppo e l’Innovazione nel settore Agricolo-forestale (ARSIA), è stata tassativamente esclusa la possibilità di utilizzo di varietà provenienti da modificazione genetica; infatti i prodotti caratterizzati dal marchio regionale sull’agricoltura ecocompatibile dovranno fornire garanzie al consumatore oltre che sulla compatibilità ambientale delle tecniche produttive adottate, anche sul non utilizzo di Organismi Geneticamente Modificati; c) sono in corso di attuazione tutte le procedure possibili per prevedere l’esclusione per le aziende ed imprese agricole che utilizzano Organismi Geneticamente Modificati dall’accesso ai contributi finanziari, ivi compresi quelli derivanti dall’applicazione di Regolamenti Comunitari. Legge Regionale 16 luglio 1997 n. 50 “Tutela delle risorse genetiche autoctone” Con la pubblicazione sul Bollettino Ufficiale n. 30 del 26 luglio 1997 della Legge Regionale 16 luglio 1997, n. 50 “Tutela delle risorse genetiche autoctone”, è stato dato avvio ad un’azione di conservazione coordinata in Toscana per la tutela della biodiversità in agricoltura. Tale legge ha, come principio generale, la tutela delle risorse genetiche animali e vegetali, originarie del territorio toscano, per le quali, nell’ambito delle politiche per lo sviluppo rurale, esista un interesse economico, scientifico e culturale per la loro conservazione. Pertanto la finalità prevalente della legge risulta essere quella della tutela e della valorizzazione del germoplasma autoctono regionale a rischio di erosione genetica, nonché la sua valorizzazione e diffusione nell’ambito delle attività agricole regionali. L’oggetto della tutela sono tutte le specie, razze varietà, popolazioni, ecotipi, cultivar e cloni che: a) hanno avuto, hanno o possono avere interesse per la coltivazione in campo agrario e forestale o per l’allevamento a fini zootecnici; b) siano autoctone in senso lato e, in particolare, soddisfino una delle seguenti condizioni: • siano originarie del territorio regionale ed ivi coltivate o allevate • siano introdotte da lungo tempo nel territorio della Regione ed integrate tradizionalmente nella sua agricoltura e/o nel suo allevamento • derivino dalle precedenti per selezione massale sulla base di scelte fenotipiche • siano originarie del territorio regionale ma attualmente scomparse o conservate in orti botanici, allevamenti o centri di ricerca di altre regioni o paesi. c) vengano iscritte ad appositi Repertori Regionali a seguito del riconoscimento di un interesse generale alla tutela. I Repertori Regionali sono tenuti e aggiornati dall’Agenzia Regionale per lo Sviluppo e l’Innovazione nel settore Agricolo-forestale (ARSIA) e contengono tutte le informazioni necessarie per individuare, anche scientificamente, le specie vegetali e le razze animali ivi iscritte. Novità rilevante della legge è rappresentata dal fatto che sia i singoli cittadini, sia organizzazioni pubbliche o private possono richiedere l’iscrizione di materiale genetico a rischio di estinzione, presentando la documentazione necessaria all’individuazione della cultivar o della razza da tutelare. I Repertori sono organizzati in 5 sezioni, (risorse genetiche autoctone animali, risorse genetiche autoctone vegetali articolate in: specie legnose da frutto, specie erbacee, specie ornamentali e da fiore, specie di interesse forestale) e contengono notizie in merito a caratteristiche botaniche ed agronomiche per i vegetali, cenni storici e diffusione, luoghi ed aree di conservazione, riproduzione, tecniche di coltivazione o allevamento, viene, inoltre, sempre allegata la documentazione fotografica. Le specie, culti- 15 var, varietà vegetali e le razze animali che sono effettivamente a rischio di erosione genetica vengono individuate all’intero dei Repertori Regionali con un asterisco. Le Commissioni tecnico-scientifiche sono i soggetti preposti alla valutazione delle domande di iscrizione ai Repertori Regionali del germoplasma. La Giunta Regionale nel corso degli anni 1998 e 1999 ha istituito 5 commissioni, una per ogni sezione del Repertorio: a) Razze autoctone animali b) Specie legnose da frutto (vite, olivo, fruttiferi) c) Specie erbacee (foraggere, cerealicole, oleaginose industriali ed ortive) d) Specie ornamentali e da fiore e) Specie di interesse forestale. Per la composizione di ognuna delle suddette Commissioni è stato seguito il criterio della rappresentatività di membri esperti e sono in genere costituite da: un rappresentante dell’ARSIA, un rappresentante della Regione, un rappresentante unitario delle organizzazioni professionali agricole, un rappresentante delle associazioni dei produttori interessate, tre o più esperti nella materia in rappresentanza delle Università e degli Istituti di ricerca e sperimentazione operanti in Toscana. Quanto sopra al fine di coinvolgere tutto il mondo produttivo e della ricerca nell’individuazione delle risorse genetiche da tutelare. La novità della legge sta proprio in questa stretta sinergia tra pubblico e privato, la volontà di salvaguardia espressa dalla Giunta Regionale si manifesta proprio coinvolgendo le associazioni e le organizzazioni professionali del mondo agricolo toscano. Le competenze attribuite alle Commissioni sono relative all’espressione del parere in caso di iscrizione ai Repertori e l’indicazione del rischio di estinzione, ma le Commissioni possono anche avanzare proposte per la definizione dei criteri per l’iscrizione ai Repertori e l’attivazione di azioni per il monitoraggio e la salvaguardia del germoplasma. I Programmi regionali per la tutela delle risorse vegetali a) Prime azioni di tutela La Regione Toscana, fin dagli inizi degli anni ’90, ha effettuato azioni per la tutela del germoplasma, che hanno riguardato in particolare: • Ricerca del germoplasma autoctono di specie erbacee (in particolare ortive) svolta dal Dipartimento di Scienze Agronomiche dell’Università di Firenze, prima per conto della Giunta Regionale e successivamente per conto dell’ARSIA. I risultati della ricerca effettuata sono stati divulgati mediante la pubblicazione di due monografie dal titolo Un seme, un ambiente, delle quali la prima riguarda i metodi di ricerca e la seconda è un vero e proprio manuale di autoproduzione delle sementi; • Istituzione della Banca regionale del germoplasma presso l’Orto Botanico di Lucca per la catalogazione, conservazione e rinnovo delle sementi derivanti dalla ricerca di cui al punto precedente; • Erogazione di contributi per studi e ricerche per l’individuazione del germoplasma autoctono e creazione di collezioni varietali (soprattutto nel settore Arboree) da parte dell’ETSAF prima e poi dell’ARSIA; • Prime azioni di sostegno finanziario: il Reg. CE n. 2078/92. L’entrata in vigore del Reg. CE n. 2078/92 del 30 giugno 1992 “Metodi di produzione agricola compatibili con le esigenze dell’ambiente e con la cura dello spazio naturale”, ha permesso un primo intervento finanziario in favore degli imprenditori agricoli che erano intenzionati a coltivare le specie vegetali minacciate di erosione genetica oppure ad allevare le razze animali locali a rischio di estinzione. Per poter accedere al finanziamento era necessario, per le specie vegetali, stipulare un contratto con la Banca del germoplasma regionale. Con tale contratto l’imprenditore agricolo si impegnava, a fronte di un contributo finanziario, a coltivare varietà o popolazioni locali, iscritte nella Banca medesima, rispettando le prescrizioni di coltivazione che venivano impartite e che facevano parte integrante del contratto stesso. A tale misura hanno aderito 103 aziende per un totale di 419 ettari ed un importo complessivo di 244 milioni di lire. Questa azione mirata però, è stata semplicemente un primo passaggio che ha fatto comprendere la necessità della collaborazione del mondo agricolo nell’opera di salvaguardia delle risorse genetiche a rischio di erosione. b) I Programmi regionali in applicazione della L.R. 50/97 La tutela del germoplasma è attualmente effettuata sulla base di programmi regionali approvati dal Consiglio Regionale ed attuati dall’ARSIA, i punti principali delle azioni previste sono: • istituzione e tenuta dei Repertori Regionali delle risorse genetiche autoctone vegetali e funzionamento delle Commissioni tecnico-scientifiche per il settore vegetale; • pubblicizzazione del Repertorio Regionale delle risorse genetiche autoctone tramite la stampa e la diffusione di pubblicazioni monografiche, incon- Il germoplasma della Toscana 16 tri tecnici e altre iniziative divulgative; • organizzazione e gestione delle attività relative alla Banca del germoplasma regionale per la conservazione delle sementi che dovrà essere finalizzata alla conservazione, catalogazione, caratterizzazione, riproduzione e diffusione delle specie erbacee più suscettibili di erosione genetica per la brevità del ciclo, la facilità di ibridazione e l’impossibilità di creazione di campi catalogo come le specie a ciclo pluriennale. Nell’ambito delle attività inerenti la Banca del germoplasma viene effettuata: — una conservazione ex situ delle sementi autoctone di specie erbacee a rischio di estinzione individuate da studi e ricerche svolte da istituzioni pubbliche e privati con particolare riferimento alle cultivar inserite nel Repertorio Regionale delle risorse genetiche autoctone vegetali; — effettuazione in situ di interventi per la selezione, la verifica della germinabilità, il rinnovo e la riproduzione dei campioni conservati, che viene effettuata da “agricoltori custodi”; — catalogazione e caratterizzazione dei campioni conservati; — distribuzione dei semi conservati ai soggetti che ne fanno richiesta per la reintroduzione di una determinata cultivar, previa presentazione da parte del soggetto richiedente di un adeguato progetto di reintroduzione che presenti: obiettivi, tecniche di riproduzione, area di reintroduzione e criteri per la successiva diffusione. La richiesta comunque è subordinata alla disponibilità di una quantità sufficiente di sementi; — sostegno alle iniziative di conservazione del germoplasma iscritto nei Repertori con finalità scientifico-conservative. Programmi regionali per la tutela del patrimonio genetico animale autoctono L’azione di tutela del patrimonio genetico animale autoctono è iniziata nel 1979, in seguito ad un progetto finalizzato realizzato dal CNR che aveva come obiettivo la promozione ed il coordinamento degli studi per la conoscenza e la valorizzazione delle popolazioni animali nelle cosiddette “aree marginali”, al fine di poter offrire agli allevatori una conoscenza di base per l’avvio di programmi di sviluppo delle razze autoctone. Da questa indagine risulta che la Toscana possiede un rilevante patrimonio di razze autoctone. Le razze a particolare rischio di estinzione furono individuate e da quel momento è iniziata l’azione per la conservazione del loro patrimonio genetico attraverso programmi organici di tutela e di sviluppo, finalizzati a ricostituire, per le diverse razze, una base di allevamento sufficientemente ampia, tale da costituire un patrimonio genetico abbastanza diversificato. Tutta questa operazione è avvenuta mediante l’attuazione di specifici piani di accoppiamento finalizzati a scongiurare i più gravi pericoli derivanti dall’eccessivo imparentamento. A fronte degli impegni richiesti agli allevatori, l’unico mezzo realisticamente ipotizzabile per soddisfare questa esigenza era l’istituzione di un regime di aiuti mirati. Lo scopo di tale regime di aiuti era quello di consentire all’allevamento di queste razze risultati economici sufficientemente allineati rispetto a quelli ottenibili dall’allevamento di altre specie o razze concorrenti. Questo è stato fatto, fino al 1997, prima autonomamente dalla Regione, poi integrando gli aiuti previsti dalla Misura D.3 del Programma Attuativo regionale del Reg. CE n. 2078/92 del 30 giugno 1992 “Allevamento di specie e razze animali locali minacciate di estinzione”. Per le razze animali hanno aderito alla misura 293 allevatori per un totale di 2.982 U.B.A. ed un importo complessivo di L. 705.000.000 (anno 1998). Dopo il 1997, a seguito dell’entrata in vigore della L.R. n. 50/97, il Consiglio Regionale, con Deliberazione n. 348 del 28 ottobre 1997, ha approvato il programma di interventi per la tutela delle razze “reliquie” in pericolo di estinzione, per il triennio 1997-1999. Gli interventi previsti dal programma sono integrativi di quelli erogati ai sensi del Reg. CE n. 2078/92, in quanto si è ritenuto che i premi di mantenimento previsti dal suddetto regolamento fossero di entità insufficiente a garantire, per queste razze di consistenza estremamente limitata, il mantenimento in vita e la riproduzione con i necessari specifici criteri scientifici. Per il futuro la Giunta regionale ha già predisposto ed approvato il progetto sulla base del quale verrà elaborato il programma per il triennio 20002002 e che, attualmente, è in corso di esame alla Commissione Europea. A suo tempo il Consiglio regionale aveva inoltre approvato, con deliberazione n. 371 del 25 novembre 1997, un programma di intervento a favore della razza Chianina, tendente a scongiurare l’erosione della base genetica di questa razza. Purtroppo la Commissione Europea ha ritenuto che la misura fondamentale di questo intervento non possa essere approvata in quanto valutata incompatibile col mercato comune. 17 Le risorse genetiche autoctone ed il programma di sviluppo rurale della Regione Toscana Nel futuro il sostegno agli operatori agricoli che conservano il germoplasma avverrà nell’ambito del Piano di Sviluppo Rurale predisposto ed approvato ai sensi del Regolamento CE n. 1257/99 del 17 maggio 1999 “Sostegno allo sviluppo rurale da parte del Fondo europeo agricolo di orientamento e di garanzia (FEAOG)” che modifica ed abroga taluni regolamenti. La Regione Toscana ha già presentato la Proposta di Piano di Sviluppo Rurale regionale nella Conferenza “Agricola ’99” tenutasi il 1° luglio 1999 ad Alberese (GR), proposta approvata dal Consiglio regionale ed attualmente inviata alla Commissione dell’Unione Europea. Le azioni di sostegno alla salvaguardia della biodiversità in agricoltura sono con- tenute nelle Misure Agro-ambientali, Azione 6.4 “Coltivazione di varietà vegetali locali a rischio di estinzione” per le specie vegetali e nell’Azione 6.3: “Allevamento di razze locali a rischio di estinzione” per le razze animali. La prima misura prevede: l’erogazione di un premio alle aziende che coltivano specie o varietà o cultivar che: • siano inserite nei Repertori della L.R. 50/97; • siano a rischio di estinzione. Il premio è riconosciuto da una superficie minima di 1.000 mq (per le ortive e florovivaistiche) fino ad un massimo di 5 ettari. La seconda misura prevede l’individuazione di razze soggette a contributo suddividendole fra: • Razze reliquia: con meno di 1.000 fattrici • Razze semireliquia: con più di 1.000 fattrici. Le erogazioni di premi sono differenziate nei due casi. 19 ALLEGATO Legge Regionale 16 luglio 1997, n. 50 “Tutela delle risorse genetiche autoctone” (Bollettino ufficiale della Regione Toscana 26 luglio 1997, n. 30) Art. 1 1. La Regione Toscana, nell’ambito delle politiche di sviluppo rurale, tutela le risorse genetiche, animali e vegetali, originarie del proprio territorio, limitatamente alle specie, razze, varietà, popolazioni, cultivar ecotipi e cloni per i quali abbia riconosciuto l’esistenza di un interesse generale alla tutela stessa, dal punto di vista economico, scientifico o culturale. 2. Le specie, razze, varietà, popolazioni, ecotipi, cultivar e cloni che fanno parte delle risorse genetiche tutelate sono iscritte in appositi Repertori Regionali, tenuti dall’Agenzia Regionale per lo Sviluppo e l’Innovazione nel settore Agricolo-forestale (ARSIA). 3. Possono essere considerate autoctone, iscrivibili negli appositi Repertori Regionali, anche specie, razze, varietà e cultivar di origine esterna, introdotte da lungo tempo nel territorio della regione ed integrate tradizionalmente nella sua agricoltura e/o nel suo allevamento, nonché tutte le specie, razze, varietà, cultivar, popolazioni ed ecotipi derivanti dalle precedenti per selezione massale sulla base di scelte fenotipiche oltre quelle già autoctone ma attualmente scomparse in Toscana e conservate in orti botanici, allevamenti o centri di ricerca in altre regioni o paesi. Art. 2 1. La Giunta regionale, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge, determina le modalità ed i criteri per l’istituzione e la tenuta dei Repertori Regionali, tenendo conto dei seguenti principi generali: a) ogni Repertorio regionale è organizzato con criteri che tengano conto delle caratteristiche tecniche di analoghi strumenti eventualmente esistenti a livello nazionale ed internazionale, in modo da renderlo quanto possibile omogeneo e confrontabile con gli stessi; b) l’iscrizione ai Repertori è a cura dell’ARSIA, sulla base del parere favorevole espresso da apposite Commissioni tecnico-scientifiche, costituite dalla Giunta regionale, che provvede anche a determinarne la composizione; l’ARSIA fornisce il supporto operativo dei propri uffici per il funzionamento di dette Commissioni; c) l’iscrizione al Repertorio avviene a seguito di iniziativa d’ufficio dell’ARSIA, ovvero su proposta della Giunta regio- nale, di Enti scientifici, Enti pubblici, Organizzazioni private e singoli cittadini; d) il proponente l’iscrizione si assume l’onere di fornire la documentazione storico-tecnico-scientifica prevista dalle modalità di iscrizione e quella ritenuta necessaria dalla competente Commissione, salvo i casi in cui l’ARSIA, ritenute sussistenti motivazioni di interesse pubblico, valuti l’opportunità di acquisirla direttamente. Art. 3 1. La Regione esercita la propria attività di tutela delle risorse genetiche autoctone: a) favorendo le iniziative, pubbliche o private, tendenti a preservare le biodiversità autoctone esistenti, a ricostituire e a diffonderne la conoscenza ed il rispetto, e, nel caso di razze, cultivar, popolazioni, ecotipi e cloni utilizzati economicamente, a diffonderne l’uso ed a valorizzarne i prodotti; b) assumendo direttamente iniziative volte alla tutela, al miglioramento ed alla valorizzazione di tali risorse. 2. La Regione, mediante appositi programmi d’intervento, stabilisce le attività e le iniziative che ritiene necessario attivare ed incentivare, determina i criteri di accesso ai benefici, la misura degli incentivi e le relative modalità di attuazione. 3. La Regione, nell’ambito dei programmi di intervento di cui al precedente comma 2, può sostenere le spese di impianto, di conservazione e di funzionamento di raccolte di materiale genetico autoctono istituite nel territorio regionale, a condizione che il beneficiario dei finanziamenti regionali si impegni, tramite convenzione, a trasferire la proprietà del materiale raccolto e conservato alla Regione medesima. Art. 4 1. Agli oneri di spesa derivanti dalla attuazione della presente legge si provvede: … omissis … - per gli anni successivi mediante le leggi che approvano annualmente il bilancio regionale. 21 Legge Regionale 50/97 “Tutela delle risorse genetiche autoctone”: come si avvia il processo di tutela Rita Turchi, ARSIA 1. I Repertori Regionali In Toscana, da diversi anni, è stata avviata l’attività di recupero delle vecchie cultivar e razze locali di specie erbacee in collaborazione con il Dipartimento di Scienze Agronomiche e gestione del Territorio agro-forestale della Facoltà di Agraria di Firenze e l’Orto Botanico del Comune di Lucca. Essi hanno lavorato, insieme alla Regione Toscana prima e all’ARSIA poi, per sottrarre un importante patrimonio vegetale all’erosione genetica. Frutto di tale lavoro di ricerca è stata la creazione di una Banca del germoplasma regionale, presso l’Orto Botanico del Comune di Lucca, che attualmente conserva 452 campioni di seme per lo più di specie ortive. In seguito all’avvento della L.R. n. 50 del 16 luglio 1997 sulla “Tutela delle risorse genetiche autoctone”, il processo di conservazione e di successiva valorizzazione delle risorse animali o vegetali della Toscana, passa attraverso l’iscrizione ai cosiddetti Repertori Regionali. Questi sono stati istituiti al fine di catalogare, conservare e rendere pubbliche le informazioni relative alle “…risorse genetiche, animali e vegetali, originarie del proprio territorio, limitatamente alle specie, razze, varietà, popolazioni, cultivar ecotipi e cloni per i quali sia stata riconosciuta l’esistenza di un interesse generale alla tutela stessa, dal punto di vista economico, scientifico o culturale” (Art. 1, L.R. 50/97). L’iscrizione ai Repertori Regionali, pertanto, avviene solo in caso di germoplasma autoctono toscano — sulla base della definizione che dà la legge — ed in particolare per quelle specie a rischio di erosione genetica o addirittura di estinzione. In quest’ultimo caso la L.R. 50/97 prevede la possibilità di avviare azioni di recupero e di valorizzazione. Tali azioni prevedono la localizzazione del germoplasma in questione, la sua conservazione ex situ ed in situ, la caratterizzazione morfologica e genotipica, la reintroduzione della coltura sul territorio di origine, la divulgazione delle conoscenze in merito e, dove possibile, anche la valorizzazione dei prodotti e della loro utilizzazione. La legge e il relativo programma annuale di attuazione prevedono, inoltre, degli incentivi economici per sostenere parte delle spese di conservazione del germoplasma vegetale, presente in collezioni già esistenti e inserito nei Repertori Regionali. 1.1 Le Commissioni tecnico-scientifiche L’inserimento nei Repertori Regionali avviene attraverso presentazione di una richiesta di iscrizione e solo dopo parere favorevole di apposite Commissioni tecnico-scientifiche (Art. 2, L.R. 50/97) nominate con deliberazione dalla Giunta Regionale. Le Commissioni tecnico-scientifiche vigenti, sono state nominate con le deliberazioni della Giunta Regionale n. 259 del 15 marzo 1999 e n. 1078 del 29 settembre 1998 e hanno durata triennale. Attualmente sono le seguenti: • Commissione Risorse genetiche autoctone animali; • Commissione Specie legnose da frutto; • Commissione Specie erbacee; • Commissione Specie ornamentali e da fiore; • Commissione Specie di interesse forestale. All’ARSIA è affidato il compito di supportare tecnicamente l’attività delle Commissioni. Possono presentare domanda di iscrizione enti o istituzioni scientifiche, singoli cittadini e organizzazioni pubbliche o private in genere. Anche l’ARSIA può presentare direttamente le domande di iscrizione, oppure fornire il necessario supporto tecnico per facilitare il compito a chiunque ne faccia richiesta. Il germoplasma della Toscana 22 Fig. 1 - Richiesta di iscrizione al Repertorio Regionale delle risorse genetiche autoctone vegetali dal sito http://www.arsia.toscana.it 1.2 Le domande di iscrizione Le domande devono essere presentate all’Agenzia, corredate da una documentazione specifica la cui istruttoria, volta a verificare la completezza dei dati e della documentazione richiesta, sarà a cura dell’ARSIA stessa. Allo scopo di facilitare la predisposizione delle domande di iscrizione per il Repertorio Regionale del settore vegetale, è stata messa a punto una specifica modulistica reperibile su Internet: http://www.arsia.toscana.it (sotto la voce Germoplasma) oppure direttamente presso la sede dell’ARSIA in via Pietrapiana, 30 Firenze. Per il Repertorio delle “Risorse genetiche animali” non è stata definita nessuna modulistica perché è sufficiente far riferimento alla Deliberazione della Giunta Regionale n. 11.092 del 29 settembre 1997, consultabile da Internet, all’indirizzo: http://germoplasma.arsia.toscana.it sotto la voce Normativa. Per il settore vegetale, le domande devono contenere le seguenti informazioni: famiglia, genere, specie, nome comune e sinonimi; nome, cognome e indirizzo del soggetto proponente; i soggetti presenti sul territorio interessati al mantenimento o alla valorizzazione; relazione tecnica contenente la descrizione morfologica e il comportamento agronomico; luogo dove si sono effettuate le rilevazioni; informazioni di carattere storico-scientifico sulle zone di diffusione, sul luogo di conservazione, sulle aziende coltivatrici, etc.; grado di diffusione attuale; caratteristiche tecnologico-organolettiche del prodotto. La domanda, inoltre, deve essere corredata da una significativa documentazione fotografica (almeno due foto). L’iter procedurale prevede che l’ARSIA, entro 45 giorni dal ricevimento della stessa, provveda ad istruire la domanda pervenuta, richiedendo eventuale documentazione mancante o risultata carente. Dopodiché la domanda di iscrizione viene posta all’esame della Commissione tecnico-scientifica competente, la quale ha facoltà di richiedere, tramite l’ARSIA, ulteriori informazioni o di consultarsi con esperti di particolari discipline, prima di assumere una decisione definitiva. Può anche richiedere ad esperti esterni o laboratori specializzati, studi o analisi per approfondimenti particolari, al fine di procedere ad una valutazione quanto più serena ed obiettiva, del germoplasma in esame. Il parere espresso dalla Commissione non è appellabile ed è vincolante per l’ARSIA che, in base a tale parere, provvede all’iscrizione al Repertorio o a respingere la richiesta motivandone le ragioni. 1.3 I Repertori Regionali I Repertori Regionali pertanto, si concretizzano in una banca dati, all’interno della quale è distinto il settore delle risorse genetiche autoctone animali da quello dei vegetali, e nell’ambito di quest’ultimo, i settori di competenza delle relative Commissioni. Il Repertorio delle risorse genetiche animali attualmente comprende: • bovini: Chianina, Maremmana, Garfagnina, Pontremolese, Mucca Pisana, Calvana • equini: Maremmano, Cavallino di Monterufoli • ovini: Massese, Appenninica, Garfagnina bianca, Pomarancina, Zerasca • caprini: Montecristo e Garfagnana • suini: Cinta Senese • asinini: Asino dell’Amiata • api: Apis Mellifera Ligustica toscana. Il Repertorio delle risorse genetiche vegetali ad oggi, contiene 78 olivi, 13 ciliegi, 23 ortive. Inoltre, attualmente la Commissione delle specie legnose da frutto sta esaminando 34 collezioni di germoplasma frutticolo presenti sul territorio regionale; mentre la Commissione delle specie di interesse forestale sta procedendo all’esame delle 162 “segnalazioni” pervenute da parte di soggetti terzi; infine la Commissione delle specie ornamentali e da fiore, sta valutando il materiale contenuto nelle varie collezioni pubbliche e private presenti in Toscana (per esempio, le Camelie). 1.4 Pubblicizzazione I Repertori Regionali sono pubblici, pertanto l’ARSIA provvede alla pubblicazione del loro contenuto sia attraverso il mezzo cartaceo (pubblicazioni, report, etc.), sia tramite le pagine web del proprio sito Internet. 23 Tra le proprie pubblicazioni l’ARSIA ha messo a punto una specifica collana editoriale dal titolo “Il germoplasma toscano” che presenta e approfondisce le caratteristiche delle accessioni del Repertorio Regionale; attualmente la collana consta delle pubblicazioni: Il germoplasma del ciliegio e Germoplasma di specie erbacee di interesse agricolo. Il germoplasma del ciliegio, è la prima parte di un lavoro di ricerca promosso dall’Istituto sulla Propagazione delle Specie Legnose di Firenze, condotto da Giancarlo Roselli e da Pierluigi Mariotti. Si tratta di un primo lavoro attuato nella zona della provincia di Pisa, mentre è prevista una seconda parte che interesserà il germoplasma di ciliegio da recuperare, nelle altre zone della Toscana. La seconda pubblicazione, Germoplasma di specie erbacee di interesse agricolo, è frutto di una ricerca condotta dal Dipartimento di Scienze Agronomiche e gestione del Territorio agro-forestale della Facoltà di Agraria dell’Università di Firenze per conto della Regione Toscana e dell’ARSIA. Tale ricerca aveva lo scopo di recuperare vecchie cultivar e razze locali di specie erbacee, per lo più ortive. Presenta 33 accessioni della Banca del germoplasma regionale suddivise in 8 famiglie: Leguminose, Solanacee, Cucurbitacee, Crucifere, Liliacee, Composite, Labiate e Graminacee. È di prossima pubblicazione un lavoro sul Repertorio delle risorse genetiche animali. semplice richiesta, mentre la banca dati telematica è consultabile direttamente da Internet all’indirizzo: http://germoplasma.arsia.toscana.it/germo/home.htm. La segnalazione del grado di rischio di erosione genetica o di estinzione, è effettuata da un triangolino rosso, segnale di pericolo. La banca dati dei Repertori Regionali è consultabile a partire da oggi. 2. La Banca del germoplasma regionale 1.5 Come si accede ai Repertori Regionali I Repertori Regionali sono conservati sia in forma cartacea che telematica. L’archivio cartaceo si trova presso la sede ARSIA, in via Pietrapiana, 30 - Firenze. La consultazione del cartaceo è possibile previa Nei compiti affidati all’ARSIA dalla L.R. 50/97 rientra la gestione della Banca del germoplasma regionale. La Banca è nata, come già detto, dalla ricerca svolta dal Dipartimento di Scienze Agronomiche e gestione del Territorio agro-forestale della Facoltà di Agraria di Firenze, in collaborazione con l’Orto Botanico del Comune di Lucca, per conto della Regione Toscana. Attualmente la Banca del germoplasma regionale è costituita da due celle frigorifere a 4°C: una presso la sede ARSIA di Capannori (LU) e l’altra presso l’Orto Botanico di Lucca. Vi si conservano 452 campioni di seme di varietà, ecotipi, popolazioni autoctone di specie cerealicole, foraggere in prevalenza ortive, tradizionalmente coltivate dagli agricoltori toscani. Grazie alla collaborazione dell’Orto Botanico di Lucca, la Banca può ricevere seme da chiunque voglia segnalare germoplasma toscano da conservare, ed effettua operazioni di pulitura, essiccazione, confezionamento sottovuoto, pesatura, etichettatura. Inoltre, periodicamente effettua prove di germinazione per controllare la vitalità del seme e per provvedere alla programmazione della sua riproduzione. Fig. 2 - Consultazione Banca dati on-line del Repertorio Regionale: sezione arboree Fig. 3 - Consultazione Banca dati on-line del Repertorio Regionale: sezione risorse genetiche animali Il germoplasma della Toscana 24 3. I Coltivatori Custodi Per la riproduzione in campo del materiale conservato presso la Banca del germoplasma regionale, l’ARSIA ha istituito il cosiddetto Elenco dei Coltivatori Custodi. Si tratta di un elenco di agricoltori che si sono resi disponibili a coltivare, nei propri terreni, i semi conservati nella Banca del germoplasma regionale. L’Elenco dei Coltivatori Custodi è istituito a partire dal 7 dicembre 1999 presso l’ARSIA ed è attualmente costituito da 32 componenti presenti su tutto il territorio regionale. Ad essi l’ARSIA corrisponderà un contributo spese forfettario, che varia da specie a specie in misura diversa. L’Elenco è stato costituito tramite un bando di selezione pubblica e l’ammissione è avvenuta in base al possesso di particolari requisiti quali la capacità ed esperienza in autoriproduzione delle sementi, possesso dei terreni, etc. L’aggiornamento e quindi i nuovi inserimenti nell’Elenco dei Coltivatori Custodi avviene solo nei termini di presentazione delle domande di ammissione, previsti dal bando di selezione pubblica che periodicamente pubblicherà l’ARSIA. Ai Coltivatori Custodi viene consegnato seme conservato presso la Banca, sulla base della zona di origine del seme stesso. Infatti la riproduzione dei campioni, deve rispettare il criterio fissato dall’Elenco, secondo cui la moltiplicazione dei semi deve avvenire presso “agricoltori della zona originaria di prelievo delle sementi stesse” (decreto del Dirigente n. 309 del 29 giugno 1999 - Bollettino Ufficiale della Regione Toscana n. 38 del 22 settembre 1999). Il tentativo da parte dell’ARSIA, è quello di avviare una vera e propria conservazione in situ per rendere vitale e reale la conservazione del germoplasma toscano, soprattutto quello a rischio di erosione genetica. Inoltre, presso i Coltivatori Custodi, avrà inizio una descrizione morfologica del materiale genetico riprodotto, allo scopo di sottoporre tale materiale, all’esame della Commissione delle Specie Erbacee per l’inserimento nel Repertorio Regionale. Appare dunque evidente il legame tra il momento della conservazione — ex situ (Banca del germoplasma regionale) e in situ (Coltivatori Custodi) — e le azioni di reintroduzione e diffusione sul territorio regionale (Repertori Regionali) di germoplasma a rischio. Le attività delle Commissioni tecnico-scientifiche 27 Commissione “Specie erbacee” Il germoplasma delle piante coltivate Concetta Vazzana Dipartimento di Scienze Agronomiche e gestione del Territorio agro-forestale (DISAT) Università degli Studi di Firenze Il problema generale La conservazione delle risorse genetiche vegetali ha suscitato negli anni recenti sia l’interesse della ricerca scientifica che il supporto dei politici poiché sempre più netta è divenuta la consapevolezza della rilevanza della biodiversità e della sua conservazione per la salute della biosfera. Il termine biodiversità, introdotto per la prima volta da Rosen nel 1980 si riferisce alla diversità a tutti i livelli della organizzazione biologica: a distanza di venti anni dalla prima introduzione del termine la conservazione della biodiversità è divenuto tema di grandissima importanza data la attuale drammatica crescita del tasso di estinzione di specie vegetali e animali. Riferendoci per il momento alle sole piante, la biodiversità dei sistemi biologici dovrebbe essere conservata tenendo in debita considerazione diversi fattori: a) l’ampiezza del germoplasma delle specie selvatiche associate alle specie coltivate: è importante valutarne, infatti, la potenzialità nel miglioramento genetico delle colture; b) i processi di domesticazione, la diversità dei geni che mantengono e promuovono la produttività e la base genetica della costituzione di cultivar, in funzione del tempo e delle variabili ambientali; c) la complessità espressa nelle comunità naturali, derivante dall’interazione tra le diverse specie sotto il controllo della selezione naturale. Il mantenimento della biodiversità è un requisito essenziale per la continua produzione di nuove cultivar delle colture affermate, per lo sviluppo di nuove colture e per il benessere generale del pianeta. Il modo migliore per conservare la biodiversità sarebbe quello di prendere come unità di riferimento la comunità: essa infatti contiene la biodiversità a livello di specie, a livello di individuo e, quindi, anche a livello di gene. Se si opera a livello di specie per una conservazione razionale del germoplasma vegetale dobbiamo prendere in considerazione due gruppi: • le specie coltivate con le selvatiche ad esse associate; • le specie che sono già a rischio di estinzione nel loro habitat o quelle che possono divenire a rischio. Entrambi i gruppi di piante, quelle usate dall’uomo e quelle messe in pericolo dall’uomo, hanno una caratteristica in comune: dipendono dall’uomo per continuare ad esistere. Ci sono due strategie di base per la conservazione della biodiversità, ciascuna composta di varie tecniche che possono essere adottate una volta localizzato un sito interessante (per la definizione si fa riferimento all’art. 2 della Convenzione sulla diversità Biologica [UNCED, 1992]): 1) la conservazione ex situ, ossia la conservazione dei componenti della diversità biologica fuori del loro habitat naturale. Le tecniche specifiche cui questa strategia fa riferimento sono: la banca dei semi, la conservazione in vitro, la conservazione del DNA, la conservazione del polline, la banca del gene in campo, i giardini botanici. Campioni di una specie, subspecie o varietà sono prelevati e conservati sia in collezioni di piante vive (banca del gene in campo, nei giardini botanici e negli arboreti) o come campione di semi, tuberi, espianti di tessuto, polline o DNA, in particolari condizioni ambientali artificiali. Queste tecniche sono generalmente appropriate per la conservazione di specie coltivate, di loro parentali e di specie selvatiche. 2) la conservazione in situ ossia la conservazione dell’ecosistema e degli habitat naturali e il man- Il germoplasma della Toscana 28 tenimento delle popolazioni vitali delle specie nelle loro condizioni naturali e, nel caso delle specie coltivate, nelle condizioni in cui abbiano sviluppato le loro proprietà distintive. Le tecniche utilizzate in questo caso sono la riserva genetica, la conservazione in azienda (on farm), la conservazione negli orti di casa. Ci sono alcune serie limitazioni associate alla conservazione ex situ: ad esempio la difficoltà di conservare colture che si propagano per cloni (banane, alcune colture tropicali da tubero ecc.) e alcuni alberi e arbusti tropicali i cui semi non possono essere conservati mediante essiccamento e raffreddamento (ossia le specie con semi recalcitranti o intermedi). Inoltre, le specie i cui semi sono mantenuti per lungo tempo in una banca del seme non sono sottoposte alla pressione evolutiva di un ambiente che cambia in continuazione, anche in termini di presenza di nuove o più aggressive malattie. Al contrario, le specie mantenute in situ non richiedono l’essiccamento o la presenza di basse temperature e sono soggette a pressione di selezione continua. Per questi motivi negli anni più recenti l’interesse si è spostato dalle banche del seme verso la conservazione delle risorse genetiche e della biodiversità in situ. È interessante, quindi, approfondire la conoscenza delle tecniche che sono impiegate in questo tipo di approccio alla conservazione del germoplasma che implica il mantenimento della variabilità genetica nello stesso posto in cui è stata trovata. Dobbiamo tener presente, comunque che la maggior parte della ricerca scientifica fin qui condotta ha focalizzato il suo interesse sulla conservazione ex situ e ben poco è stato fatto per sviluppare principi scientifici appropriati per la conservazione in situ. La conservazione in riserve genetiche e la conservazione in aziende agrarie costituiscono la base tecnica per operare in situ. La prima richiede la localizzazione, la gestione e il monitoraggio della diversità genetica in una particolare situazione naturale. Questa tecnica è appropriata per la conservazione di specie selvatiche, sia geneticamente vicine che lontane da specie coltivate, perché in genere richiede minimi interventi e quindi trascurabili costi; consente inoltre anche la conservazione di specie con semi non ortodox e permette la continua evoluzione delle specie. Lo svantaggio di questa tecnica risiede nel fatto che il materiale non è immediatamente disponibile per la sperimentazione e che, se la gestione è veramente minima, minime sono anche le informazioni disponibili dal punto di vista della caratterizzazione e della valutazione del germoplasma presente. La conservazione in azienda (on farm) implica il mantenimento di varietà di colture o di sistemi colturali da parte di agricoltori che adottano sistemi tradizionali di agricoltura. Nelle aziende tradizionali, quel germoplasma che è conosciuto come “razze locali” viene seminato e raccolto ogni stagione dagli agricoltori che conservano una porzione dei semi raccolti per la semina successiva. Quindi la razza locale è fortemente adattata all’ambiente in cui si sviluppa e contiene informazioni genetiche legate all’ambiente che possono facilmente essere impiegate in programmi di miglioramento. Questa tecnica, di cui solo recentemente è stata riconosciuta la validità a livello scientifico, è stata praticata per millenni dagli agricoltori. Il materiale genetico così coltivato ha un potenziale produttivo molto inferiore a quello delle moderne colture. Per questo motivo gli agricoltori che agiscono da conservatori avrebbero bisogno di un supporto economico per poter continuare la loro attività. La conservazione negli orti è strettamente correlata a quella in azienda e implica una conservazione su scala più piccola, ma spesso di un maggior numero di specie diverse, generalmente destinate ad un consumo familiare: si tratta di specie officinali o di ortive o di aromatiche. Ci possono essere orti più grandi che costituiscono una preziosa fonte di informazione genetica per alberi da frutta, arbusti, colture da tubero ecc. Anche in questo caso è affidato agli agricoltori custodi il compito di mantenere nel tempo la biodiversità: essi sono strumenti essenziali nella conservazione del germoplasma in quanto controllano le risorse genetiche di un intero paese. La conservazione del germoplasma in Toscana Il programma di ricerca per la raccolta, conservazione e caratterizzazione di germoplasma vegetale di interesse agricolo regionale è iniziato nel 1986, con la stesura di una convenzione tra la Regione Toscana e il Dipartimento di Agronomia e Coltivazioni Erbacee (attuale DISAT) dell’Università di Firenze. La Toscana, per la sua collocazione geografica per la topografia del suo territorio presenta numerosi ambienti nei quali nel corso dei secoli si è sviluppata una fiorente attività agricola che ha portato alla selezione di importanti ecotipi. L’erosione genetica, favorita dall’abbandono delle campagne e dalla progressiva scomparsa dei coltivatori più anziani, forse gli unici a conoscenza delle tecniche di produzione delle sementi, è stata significativa, ma non ha causato la completa scomparsa di razze loca- 29 li. Le motivazioni iniziali della ricerca, i primi risultati ottenuti e le problematiche affrontate nel corso della pluriennale attività per la conservazione della biodiversità regionale sono riportati in un gruppo di pubblicazioni edite a cura della Regione Toscana e dell’ARSIA (Nota et al., 1991; Cerretelli e Vazzana, 1995, Castioni et al., 1999). Per il recupero e la conservazione del germoplasma locale in una prima fase è risultato irrinunciabile il ricorso ad una classica banca del seme. La nascita e la rapida crescita di un movimento di agricoltori che promuove una agricoltura sostenibile che si basa su conoscenze ecologiche, tende a favorire a livello regionale la reintroduzione nella coltivazione di razze ed ecotipi locali in una azione tipica di conservazione ex situ dinamica o in situ. Inizialmente, non essendo possibile effettuare una ricerca a tappeto su tutto il territorio, sulla base di una analisi degli aspetti pedoclimatici e socio-economici delle diverse aree regionali, sono state scelte due zone di ricerca: • la Maremma e l’entroterra maremmano fino al monte Amiata, come esempio di area a forte influsso mediterraneo; • la Garfagnana, zona montuosa, morfologicamente complessa, sotto l’influsso di un clima prettamente appenninico. Nel periodo 1986-1996 la ricerca si è progressivamente estesa a tutte le aree agricole della Toscana. La raccolta di campioni in aree di particolare interesse nell’ambito del territorio regionale sta comunque continuando anche ai giorni nostri. Le accessioni raccolte durante tale lavoro sono state catalogate utilizzando i dati raccolti sul luogo dai ricercatori con la compilazione di una scheda (passaporto della accessione). Data l’iniziale carenza di esperienza diretta, l’organizzazione della conservazione statica ex situ dei campioni in una banca del seme ha dato qualche problema: in un primo tempo i semi sono stati conservati in camera fredda presso il DISAT e successivamente nella cella climatizzata della Banca del germoplasma regionale costituita presso l’Orto Botanico di Lucca. Più recentemente una seconda cella climatizzata è stata attivata presso il Centro di Capannori (LU) e consente la conservazione di parte delle accessioni acquisite. La conservazione avviene a bassa temperatura e il materiale conservato deve essere periodicamente monitorizzato per la germinabilità: quando la germinabilità scende al di sotto di una soglia di riferimento si deve provvedere alla moltiplicazione del seme, in pieno campo, in parcelle definite e isolate per non dare luogo ad inquinamenti. Questa pratica, detta “ringiovanimento del mate- riale genetico”, è stata impiegata tenendo conto di alcuni accorgimenti: non si è mai usato tutto il seme disponibile, si è cercato di scegliere ambienti abbastanza vicini a quelli di origine del seme, si è evitata tecnicamente la possibilità di impollinazione incrociata. Per la conservazione dinamica ex situ si sono fatte esperienze di riproduzione in campo affidando i semi per la moltiplicazione ad aziende specializzate. Recentemente la responsabilità del settore Conservazione del Germoplasma è passata dalla Regione all’ARSIA. Sulla base della esperienza direttamente acquisita e della tendenza della ricerca scientifica del settore, si è ripensata la politica di conservazione del germoplasma e si è cercato di dare una soluzione concreta all’idea che già si stava portando avanti da anni di adottare tecniche di conservazione in situ ricorrendo ad agricoltori custodi. Si tratta sia di valorizzare il lavoro fatto da tanti agricoltori che hanno conservato la variabilità genetica negli anni per lo più coltivando negli orti i semi autoriprodotti (conservazione on farm o garden) che di formare agricoltori che con buona tecnica di base e capacità manageriale possano nelle diverse aree di origine del materiale di interesse svolgere il compito di moltiplicazione e mantenimento del seme. Parallelamente a queste attività si sta attuando la caratterizzazione morfofisiologica e genetica di una parte limitata del materiale conservato, attraverso prove di campo appositamente predisposte e prove di laboratorio sia per la parte ecofisiologica che molecolare. L’attività che si sta portando avanti attualmente, quindi, fa riferimento a due punti di forza: • la possibilità di disporre di una Banca del seme completamente informatizzata, che provvede al mantenimento ex situ delle accessioni raccolte nell’ambito della ricerca o conferite alla Banca da agricoltori custodi; • l’opportunità concreta di conservare in situ (vedi esempio del farro in Garfagnana o del fagiolo zolfino nel Pratomagno) utilizzando agricoltori custodi già esistenti e anche attraverso la formazione di nuovi agricoltori custodi. Sulla base delle esperienze maturate a partire dal 1986, possiamo dire che il lavoro fatto a vari livelli per la conservazione del germoplasma pone la Regione Toscana in buona posizione relativamente alla situazione nazionale. Per questo dobbiamo dire grazie anche alla iniziale dedizione di un piccolo gruppo di persone che hanno creduto nella necessità di porre rimedio al problema della erosione genetica del patrimonio vegetale regionale con la conservazione di ciò che era rimasto. Il germoplasma della Toscana 30 Una spinta a continuare e a migliorare l’attività in questo settore deriva sì dai risultati soddisfacenti relativamente al numero di accessioni recuperate, ma anche dalla consapevolezza del molto lavoro ancora da fare per ripristinare la ricchezza specifica e varietale preesistente. Il germoplasma della Toscana. Repertorio Regionale per le specie erbacee Ormai da diversi anni si sta portando avanti in Toscana un progetto per recuperare vecchie cultivar e razze locali di specie erbacee. Scopo del progetto è fornire un contributo alla diffusione del concetto di conservazione e recupero delle specie a rischio di erosione genetica e stimolare il chiarimento di alcuni aspetti delle normative vigenti che rendono difficile la “rimessa in coltura” di alcuni materiali di indubbio interesse regionale. L’intervento della Regione Toscana per la salvaguardia del germoplasma locale si è concretizzato nella L.R. n. 50 del 16 luglio 1997 (“Tutela delle risorse genetiche autoctone”) che istituisce appositi “Repertori Regionali”: ogni specie vegetale e animale che, a parere di chi la conserva, corra il rischio di ridurre troppo il suo areale di diffusione può essere iscritta ad uno specifico repertorio dopo che la richiesta di iscrizione sia stata esaminata e accettata da una apposita Commissione. La Commissione Specie erbacee di cui si tratta in questa breve relazione, è composta dal Prof. Stefano Benedettelli, dal Prof. Enrico Bonari, dal Dr. Varo Bucciantini, dal P.A. Andrea Cavini, dal Dr. Domenico D’Alessio, dal Prof. Mario Macchia, dalla Dr.ssa Manuela Menichetti, dal P.A. Paolo Pancanti, dal Dr. Vincenzo Tugnoli, dalla Prof.ssa Concetta Vazzana, dal Dr. Giovanni Vignozzi. L’attività svolta dalla Commissione in questo primo periodo (tre riunioni), ha riguardato la definizione dei criteri per l’iscrizione e l’esame di una serie di proposte per l’inserimento nel Repertorio Regionale. All’unanimità si è deciso che premessa per l’iscrizione al Repertorio è che: 1. si deve trattare di specie che siano coltivate nella zona di provenienza, in Toscana, da almeno trenta anni; 2. si tratti di materiale genetico a diffusione abbastanza limitata e, talvolta, addirittura a rischio di estinzione. Nelle tre riunioni della Commissione Specie Erbacee che si sono svolte nel 1999, sono state portate all’esame dei membri un numero consistente di varietà per l’iscrizione al Repertorio. Si tratta in gran parte di specie che non sono realmente a rischio di estinzione in quanto sono attualmente coltivate e commercializzate seppure in aree limitate e definite della Regione. Come si può vedere dall’elenco si tratta di ortive si uso assai ampio nella cucina regionale e le cui peculiarità organolettiche sono da rapportarsi spesso alle particolari condizioni in cui viene effettuata la coltivazione (tipo di suolo, clima, condizioni di coltivazione). In alcune sedute la Commissione si è avvalsa anche del contributo di conoscenza del Dr. Giovanni Cerretelli, agronomo esperto della problematica del germoplasma e consulente ARSIA per questo settore. La maggior parte delle richieste di iscrizione al Repertorio sono state presentate dall’ARSIA per materiale che è attualmente conservato ex situ nella Banca del germoplasma di Lucca e che è possibile ritrovare in situ presso alcuni agricoltori custodi. Elenco gerarchico Repertorio erbaceo Compositae Lactuca Lactuca sativa Lattuga rossina di Pescia Cucurbitaceae Cucurbita Cucurbita pepo Zucchina alberello di Sarzana Zucchina fiorentina Zucchina mora Pisana Leguminose Phaseolus Phaseolus vulgaris Fagiola fiorentina Fagiolo Coco bianco del Valdarno Fagiolo di Sorana Liliacee Allium Allium cepa Cipolla rossa fiorentina Cipolla rossa fiorentina Vernina Cipolla rossa massese Cipolla rossa di Lucca Allium sativum Aglio rosso Maremmano Solanacee Lycopersicon Lycopersicum esculentum Pomodoro canestrino di Lucca Pomodoro costoluto Fiorentino Pomodoro pisanello Pomodoro tondino liscio da serbo toscano. 31 L’elenco precedente riporta le proposte di iscrizione al Repertorio approvate dalla Commissione Specie Erbacee. Per alcune delle specie è stato stabilito, sulla base della documentazione presentata e del parere dei Membri della Commissione, di sottolineare il rischio di estinzione: in questo caso sulla scheda prima del nome della specie compare il contrassegno di pericolo (triangolo rosso). Le informazioni contenute nella documentazione presentata dai proponenti, insieme alla domanda di iscrizione al Repertorio per ognuna delle specie nella lista, sono state trasferite a cura dell’ARSIA in schede reperibili sul sito Internet: www.arsia.toscana.it/Germo/Repertori/Erbaceo.htm Esse riguardano l’area di diffusione del germoplasma, la sua reperibilità nella Banca del germoplasma regionale, la descrizione morfologica, il luogo di conservazione in situ, le caratteristiche agronomiche, la possibile utilizzazione e l’uso gastronomico tradizionale. Nell’esaminare le proposte, se la documentazione è apparsa insufficiente per alcuni di questi aspetti, la Commissione si è riservata di rimandare l’approvazione all’iscrizione al Repertorio, in attesa di ulteriori informazioni. Bibliografia D. NOTA, S. PADERI, M. RIGHINI, G. TARTONI, C. VAZZANA, F. CASTIONI, G. CERRETELLI, A. DE MEO (1991) - Un seme, un ambiente. Ricerca di germoplasma di specie erbacee di interesse agricolo in Toscana, Giunta Regione Toscana, Firenze. G. CERRETELLI, C. VAZZANA (1995) - Un seme, un ambiente. Manuale di autoproduzione delle sementi. Regione Toscana, Firenze. F. CASTIONI, G. CERRETELLI, A. DE MEO, C. VAZZANA, (1999) - Germoplasma di specie erbacee di interesse agricolo. ARSIA Regione Toscana, Firenze. 33 Commissione “Specie legnose da frutto” Il germoplasma della Toscana: tutela e valorizzazione delle specie legnose da frutto Elvio Bellini Dipartimento di Ortoflorofrutticoltura, Università degli Studi di Firenze 1. La pomologia nella Toscana medicea 2. Gli Orti agrari in Toscana Il primo segno di interesse per l’arricchimento dell’assortimento varietale delle specie legnose da frutto in Toscana si manifestò essenzialmente nel corso del Rinascimento, quando i Medici fecero introdurre nei “pomari” delle loro ville numerose “sorte” di frutta da tutta Europa. Queste vaste raccolte pomologiche sono state descritte e raffigurate, a cavallo del XVII e XVIII secolo per conto dei Medici, soprattutto dal botanico Pietro Antonio Micheli nei suoi manoscritti e dal pittore Bartolomeo del Bimbo detto Bimbi. Quest’ultimo seppe riprodurre fedelmente, con le denominazioni dell’epoca, le varietà di circa 900 esemplari tra mele, pere, pesche, albicocche, susine, ciliegie, fichi, uve ed agrumi, allora presenti nei “pomari” delle Ville medicee fiorentine (Autori Vari, 1982). Di questo prezioso “germoplasma frutticolo” è sopravvissuta una vasta raccolta di agrumi in vaso che sono conservati al Giardino di Boboli ed alle Ville di Castello, di Poggio a Caiano e della Petraia (Figg. 1 e 2). Nel 1544 nacque a Pisa il “Giardino dei Semplici” (divenuto in seguito Orto Botanico), voluto da Cosimo I, dopo la riapertura dello Studio Pisano per consentire agli studiosi di “vedere le vere e viventi piante, per bene imprimere nella memoria le fattezze”, senza recarsi a cercarle in Paesi lontani (Garbari, et al., 1991). Molti orti agrari (pubblici e privati) sorsero in Toscana su tale scia, tra questi hanno avuto grande rilievo a Firenze (Pisani e Nanni, 1996): • Orto agrario sperimentale dell’Accademia dei Georgofili, costituito nel Giardino dei Semplici nel 1783; • Orto agrario sperimentale della Società Toscana di Orticoltura, fondato tra il 1852 ed il 1858; • Orto agrario delle Cascine, annesso alla Scuola Agraria nel 1868. Fig. 1 – Agrumi: variabilità di forme di limoni ancora presenti a Firenze Fig. 2 – Agrumi: variabilità di forme di arance ancora presenti a Firenze 2.1 Orto agrario sperimentale dell’Accademia dei Georgofili L’Accademia dei Georgofili, fondata nel 1753, è stata da sempre la guida per studi e ricerche pomo- Il germoplasma della Toscana 34 logiche; da essa sono scaturite per volontà degli accademici: • l’Istituto Agrario a Pisa (1840), quale prima Facoltà di Agraria al mondo; • la Società Toscana di Orticoltura (1852), la cui attività ha spaziato nel vasto settore della Ortoflorofrutticoltura; • la Scuola Agraria delle Cascine (1860), trasformata in Regia Scuola di Pomologia, Orticoltura e Giardinaggio nel 1882; • la Facoltà di Agraria dell’Università degli Studi di Firenze (1932); • la Società Orticola Italiana, articolata nelle tre sezioni di Orticoltura, Floricoltura e Frutticoltura (1953). Nell’Orto agrario dell’Accademia dei Georgofili erano presenti numerosissime specie a diversa attitudine tra cui: cerealicole, tessili, medicinali, officinali, tanniche, tintorie, da siepi. Tra le arboree da frutto figuravano: • piante oleifere (tra cui l’olivo); • piante boschive (tra cui il castagno); • piante vinifere (diverse varietà di viti); • piante pomifere o frutti (meli, peri, peschi, susini, ecc.); • piante da giardino (tra cui limoni e aranci). Essa possiede, nei propri archivi e raccolte di documenti e testi, le opere più significative della pomologia antica e moderna. 2.2 Orto agrario sperimentale della Società Toscana di Orticoltura Tra il 1852 ed il 1860 in 7 esposizioni nazionali ed internazionali, alla Società vennero riconosciuti altrettanti premi per un totale di 81 collezioni di specie. Tra i fruttiferi erano presenti nell’Orto agrario varietà di agrumi, albicocche, ciliegie, fichi, fragole, mandorle, mele, noci, pere, pesche, susine, uve e “frutte in genere”. Dai cataloghi vivaistici dell’epoca si evince la grande importanza assunta dalla frutticoltura in Toscana. In uno di questi cataloghi erano riportate 250 cultivar di pere, 78 di mele, 50 di pesche, 50 di susine, 21 di albicocche, 24 di ciliegie, 48 di fichi e 43 di viti. 2.3 Orto agrario delle Cascine I primi cinque ettari dedicati alle collezioni della Scuola agraria delle Cascine, ospitavano, tra gli altri, i seguenti impianti di specie da frutto: • vigna per uva da tavola; • vigna di viti americane; • costiera con meli nani; • meli a vaso; • • • • peri a colonna; peri a piramide; spalliera di viti e di peschi; controspalliera di peschi alternati a cordoni di peri; • oltre a meli a vaso alternati a peri a cordone. La scuola, oggi Istituto Tecnico Agrario Statale, peraltro, conserva ancora una vasta raccolta di campioni in ceroplastica di frutti ed ortaggi di pregiata fattura. 3. Il Novecento: istituzioni a tutela del germoplasma frutticolo in Toscana La Toscana, e Firenze in particolare, vanta antiche ed illustri tradizioni nel campo della pomologia; intendendo con questo termine i settori della frutticoltura, olivicoltura e viticoltura. L’opera meritoria dei Medici e delle istituzioni didattico-scientifiche dei secoli passati (alcune oggi ancora molto attive), ha trasmesso agli studiosi toscani (Morettini e la sua scuola) la grande passione per la pomologia. Così dopo le devastazioni belliche dei due conflitti mondiali sono sorte “nuove istituzioni” con il preciso intento di ripristinare le raccolte del germoplasma olivo-frutti-viticolo in Toscana. Le collezioni e gli studi pomologici delle istituzioni toscane hanno consentito soprattutto di meglio approfondire le conoscenze sulla biologia e fisiologia delle specie arboree da frutto, di intraprendere un organico lavoro di miglioramento genetico e di mantenere, con scambi di informazioni e materiale, stretti rapporti con il mondo scientifico ed agricolo nazionale ed internazionale. Le istituzioni che hanno contribuito in modo determinante a questo arricchimento sono (Autori Vari, 1993): • Istituto di Coltivazioni Arboree dell’Università di Firenze (costituito nel 1936); • Centro Miglioramento Piante da Frutto e da Orto del CNR di Firenze (costituito nel 1950); • Istituto di Coltivazioni Arboree dell’Università di Pisa (costituito nel 1959); • Istituto Sperimentale per la Viticoltura SOP di Arezzo (costituito nel 1967). 35 3.1 Germoplasma in conservazione presso le istituzioni pubbliche toscane Di seguito si riporta l’entità delle “accessioni” (cultivar, varietà, cloni, sinonimi, omonimi) ancora conservate presso le istituzioni pubbliche toscane (Università, CNR, MiPAF), dalle quali emergono le accessioni di origine toscana, o presunta tale (Tabb. 1, 2, 3, 4 e 5). È oltremodo significativo il fatto che siano presenti in Toscana ben 4.286 accessioni, di cui 1.438 ritenute autoctone toscane. Tab. 1 - Germoplasma conservato dal Dipartimento di Ortoflorofrutticoltura (già Istituto di Coltivazioni Arboree), Università di Firenze (DO-UFI) Specie Località Castagno Kaki Noce Olivo Pero Pesco Susino Vite Caprese (AR) Marradi (FI) Scandicci (FI) Albinia (GR) Follonica (GR) Montepaldi (FI) Antella (FI) Montepaldi (FI) Castellina (SI) Figline (AR) Marradi (FI) Londa (FI) Montepaldi (FI) Albinia (GR) Montepaldi (FI) Albinia (GR) Castelnuovo Berardenga Montalcino (SI) Totale Accessioni (numero) Proprietà totale toscane 8 8 DO-UFI 53 12 20 50 27 11 10 34 5 0 1 24 10 8 4 11 IPSL-CNR Tenuta La Parrina IPSL-CNR DO-UFI C.C.I.A.A. FI DO-UFI Az. Rocca Macie Az. Luccioli 9 9 DO-UFI 203 57 38 260 11 726 9 226 11 383 DO-UFI ARSIA-Reg. Toscana DO-UFI ARSIA-Reg. Toscana Az. San Felice Az. Col d’Orcia Tab. 2 – Germoplasma conservato dal Dipartimento di Coltivazione e Difesa delle Specie Legnose (già Istituto di Coltivazioni Arboree), Università di Pisa (DCDSL-UPI) Specie Albicocco Ciliegio Cotogno Mandorlo Melo Olivo Pero Pesco Susino Vite Totale Località Venturina (LI) San Piero a Grado (PI) San Piero a Grado (PI) Venturina (LI) San Piero a Grado (PI) San Piero a Grado (PI) Venturina (LI) Pisa San Piero a Grado (PI) San Piero a Grado (PI) San Piero a Grado (PI) Peccioli (PI) Morrona, Terricciola (PI) Colignola (PI) Teglia, Pontremoli (MS) Accessioni (numero) totale toscane 280 9 50 27 163 22 5 1 97 139 103 216 7 11 186 1.316 38 0 37 0 40 21 1 1 36 16 20 216 7 11 186 630 Proprietà DCDSL-UPI DCDSL-UPI DCDSL-UPI DCDSL-UPI DCDSL-UPI DCDSL-UPI DCDSL-UPI DCDSL-UPI DCDSL-UPI DCDSL-UPI DCDSL-UPI Fondaz. Gaslini Bibbiani DCDSL-UPI Luschi, Noceti Il germoplasma della Toscana 36 Tab. 3 - Germoplasma conservato dall’Istituto sulla Propagazione delle Specie Legnose (già Centro di Studio per il Miglioramento delle Piante da Frutto e da Orto), del CNR di Scandicci-FI (IPSL-CNR FI) Specie Località Albicocco Ciliegio Cotogno Feijoa Fico Kaki Kiwi Melo Nespolo comune Nocciolo Olivo Pero Pesco Susino Totale Accessioni (numero) Scandicci (FI) Scandicci (FI) Scandicci (FI) Scandicci (FI) Follonica (GR) Follonica (GR) Scandicci (FI) Scandicci (FI) Scandicci (FI) Follonica (GR) Scandicci (FI) Follonica (GR) Scandicci (FI) Follonica (GR) Scandicci (FI) Proprietà totale toscane 6 40 50 0 20 20 IPSL-CNR IPSL-CNR IPSL-CNR 3 0 IPSL-CNR 10 68 3 21 2 8 116 275 1.210 260 2072 3 5 0 6 0 0 78 30 100 15 277 IPSL-CNR IPSL-CNR IPSL-CNR IPSL-CNR IPSL-CNR IPSL-CNR IPSL-CNR IPSL-CNR IPSL-CNR IPSL-CNR Tab. 4 - Germoplasma conservato dall’Istituto Sperimentale per la Viticoltura SOP di Arezzo (ISV-SOP AR) Specie Località Vite Accessioni (numero) Arezzo Massa Montecarlo (LU) Pitigliano (GR) Montevarchi (AR) Totale Tab. 5 - Totale accessioni conservate dalle istituzioni pubbliche toscane Istituzioni Accessioni (numero) totale DO - UFI DCDSL - UPI IPSL - CNR FI ISV - SOP AR Totale 726 1.316 2.072 172 4.286 toscane 383 630 277 148 1.438 totale toscane 85 18 21 24 28 172 60 18 18 24 28 148 Proprietà ISV-SOP AR Az. Lorieri Az. Tori Az. Spicci Az. Mannucci Droandi 3.2 Germoplasma in conservazione raccolto per specie Sulla base di quanto sopra esposto, si ritiene utile riportare gli elenchi delle accessioni raccolte per specie, che afferiscono alle diverse istituzioni toscane. Per le specie di maggior interesse (albicocco, ciliegio, melo, olivo, pero, pesco, susino e vite), si riportano anche i nomi di alcune cultivar autoctone toscane tra le più note ed importanti, che devono essere salvaguardate (Tabb. 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15 e 16) 37 Fig. 3 – Albicocco: frutti della cultivar Sant’Ambrogio Fig. 4 – Ciliegio: fruttificazione della cultivar Siso (foto IPSL-CNR FI) Fig. 5 – Albicocco: frutti della cultivar Grossa del Giardino (foto DCDSL-UPI) Fig. 6 – Ciliegio: fruttificazione della cultivar Morellona (foto IPSL-CNR FI) Tab. 6 - Germoplasma di albicocco (Figg. 3 e 5) Istituzioni Accessioni (numero) totale DCDSL - UPI IPSL - CNR FI Totale 280 6 286 Tab. 7 - Germoplasma di ciliegio (Figg. 4 e 6) Istituzioni toscane 38 0 38 Alcune cultivar di albicocco toscane Giugno - Luglio Cultivar costituite a Pisa (DCDSL-UPI) e Amabile Vecchioni - FI a Firenze (DO-UFI) Sant’Ambrogio - TOS. • Cultivar Guerriero Precoce di Firenze - FI Del Pittore - FI Primula - PI Braglia - GR Venturina - PI Monteleone - PI Antonio Errani - PI Giardino Botanico - LU Pisana - PI Particolare - TOS. Dulcinea - PI Di Germania - TOS. Bolgheri Nana - LI • Cultivar Bellini Grossa del Giardino - PT Bandiera Rossa - TOS. Perla - FI Certosa A8 - PI Giada - FI Accessioni (numero) totale DCDSL- UPI IPSL- CNR FI Totale toscane 9 40 49 Alcune cultivar di ciliegio toscane Maggio Giugno Palermina Di Guglielmo Precoce di Cevoli Usigliano Terranova Bella di Pistoia Viciani Cuore Gambolungo Marchiana Papalina Biagiotto Boneca Morella Siso Morellona Di Nello Crognolo Di Misciano Di Giardino Cultivar Roselli (IPSL-CNR FI) Benedetta Carlotta 0 20 20 Il germoplasma della Toscana 38 Fig. 7 – Melo: frutti della cultivar San Giovanni Fig. 8 – Olivo: fruttificazione della cultivar Moraiolo (foto IPSL-CNR FI) Fig. 9 – Melo: frutti della cultivar Panaia Fig. 10 – Olivo: fruttificazione della cultivar Leccino Tab. 8 - Germoplasma di melo (Figg. 7 e 9) Istituzioni Accessioni (numero) totale DCDSL- UPI IPSL- CNR FI Totale 163 21 184 Tab. 9 - Germoplasma di olivo (Figg. 8, 10 e 11) Istituzioni toscane 40 6 46 Alcune cultivar di melo toscane Caravella Limoncella Carla Mela Bianca Casciana Mela Borda Commercio Mela Rosa Decio Mela Rossa Durella Mela Ruggine Francesca Panaia Gelata Rose della Certosa Grossa Bianca Rosmarina Grossa Rossa Sempre Bona Lazzeruola San Giovanni DO - UFI DCDSL- UPI IPSL- CNR FI Totale Accessioni (numero) totale toscane 82 28 116 226 33 23 78 134 Alcune cultivar di olivo toscane Allora - LU Maurino - PT Arancino - PT Mignolo - FI Correggiolo - FI Moraiolo - FI Da Cuccare - LU Morchiaio - FI Frantoio - FI Pendolino - FI Gremignolo - LI Puntino - PI Grossolana - LI Razzo - PI Lazzero - PI Rossellino - FI Leccino - FI San Francesco - FI Leccio del Corno - FI Santa Caterina - LU Madremignola - FI Scarlinese - GR Maremmano - FI Tondello - LI 39 Fig. 11 – Olivo: fruttificazione della cultivar Maurino (foto IPSL-CNR FI) Fig. 12 – Pero: fruttificazione della cultivar Coscia Tardiva, ottenuta da Ragionieri all’inizio del Novecento Tab. 10 - Germoplasma di pero (Figg. 12, 13,14 e 15) Istituzioni Accessioni (numero) totale toscane 9 9 97 36 275 30 DO-UFI DCDSL- UPI IPSL- CNR FI Totale 381 75 Alcune cultivar di pero toscane Giugno – Luglio Autunno-invernali Moscatellina Coscia di Donna Giugnolina Bugiarda San Giovanni Spadona d’Inverno Gentile Bianca di Firenze Pera Mora Gentilona Scipiona Lardaia Pera dell’Orto Spadoncina di Firenze Allora Pera Campana Cento Doppie Coscia Pera Volpina Coccitoia Spina Vera • Cultivar Morettini • Cultivar Ragionieri Morettini 113 Coscia Precoce Morettini 64 Coscia Tardiva •Cultivar Breviglieri Butirra Precoce William Precoce Fiorenza • Cultivar Bellini Butirra Rosata Santa Maria Etrusca Leopardo Sabina Eletta Fig. 14 – Pero: frutti della cultivar Butirra Rosata Morettini, caratterizzati da bell’aspetto e ottimo sapore Fig. 13 – Pero: frutti a confronto di diverse cultivar precocissime Fig. 15 – Pero: frutti della cultivar Volpina, invernale da cuocere Il germoplasma della Toscana 40 Fig. 16 – Pesco: frutti della cultivar Prodigiosa Morettini, tardivi e di squisito sapore Fig. 17 – Pesco: frutti della cultivar Regina di Londa, molto nota anche fuori regione Tab. 11 - Germoplasma di pesco (Figg. 16, 17, 18 e 19) Istituzioni Accessioni (numero) totale DO - UFI DCDSL- UPI IPSL- CNR FI Totale Fig. 18 – Pesco: frutti a confronto delle principali cultivar di Cotogne fiorentine. Da sinistra a destra: Cotogna di Rosano, Cotogna del Berti, Cotogna del Poggio Precoce, Cotogna di Villamagna, Ciani 1, Cotogna del Poggio, Cotogna Pandolfini, Cotogna Cicalini Fig. 19 – Pesco: frutti a confronto delle principali cultivar di Burrone fiorentine. Da sinistra a destra: Tos-ChinaSettembre, Moroni 1, Regina di Londa, Tardiva di Villamagna, Regina d’Autunno, Tos-China-Ottobre, Tardiva di Firenze, Lucchese Tardina toscane 203 139 1.210 1.552 57 16 100 173 Le più classiche cultivar di pesco fiorentine Cotogne Fiorentine Burrone Fiorentine Cotogna Ceccarelli Burrona di Terzano Cotogna di Rosano Burrona di Rosano Guglielmina Spicca Bianca Cotogna della Remola Vittorio Emanuele III Cotogna di Villamagna Tos-China-Settembre Ciani 1 Poppa di Venere-Settembrina Cotogna del Berti Regina di Londa Cotogna del Poggio Tondona Presidente Cotogna Cicalini Burrona di Mezzano Cotogna Pandolfini Regina di Ottobre Gialla di San Polo Tardiva di Firenze Regina di Montalcino Tos-China-Ottobre Cultivar costituite a Firenze dal 1937 • Cultivar Morettini • Cultivar Bellini Precocissima Maria Luisa Favorita I Maria Serena Favorita II Maria Emilia Morettini 1 Maria Cristina Favorita III Maria Grazia Morettini 5/14 Maria Laura Gialla Precoce Maria Bianca Fertilia Maria Elisa Fertilia II Maria Carla Morettini 2 Maria Rosa Morettini 9/14 Maria Aurelia Morettini 5/22 Maria Angela Prodigiosa Maria Dolce 41 Tab. 12 - Germoplasma di susino (Fig. 20) Istituzioni Accessioni (numero) totale DO - UFI DCDSL- UPI IPSL- CNR FI Totale Tab. 13 - Germoplasma di vite (Figg. 21, 22 e 23) Istituzioni toscane 38 103 260 401 9 20 15 44 Alcune cultivar di susino toscane Europeo Cino-Giapponese Claudia Diafana Florentia Claudia Mostruosa Morettini 243 Claudia Nera Morettini 355 Claudia Verde Shiro Coscia di Monaca Firenze ’90 Mirabelle de Metz Porcina Presidente Regina Vittoria San Piero Vecchietti Zuccherina di Somma Fig. 20 – Susino: frutti a confronto di cultivar toscane (Florentia e Morettini 355) e di altra origine DO - UFI DCDSL- UPI ISV - SOP AR Totale Accessioni (numero) totale toscane 271 420 172 863 237 420 148 805 Alcune cultivar di vite toscane Da uva nera Da uva bianca Abrostine - SI Albarola - MS Abrusco - FI Bianconcello - GR Aleatico - LI Durella - MS Barsaglina - MS Grechetto - SI Brunelletto - GR San Colombano - PI Buonamico - FI Santa Maria - FI Colorino del Valdarno - AR Uva Grassa - FI Foglia Tonda - SI Uva Salamanna - FI Mammolo - SI Verdacchio - FI Mazzese - GR Verdello - GR Monferrato - MS Volpola - FI Palle di Gatto - FI Pisciancio - FI Fig. 21 – Vite: grappolo della cultivar nera Palle di Gatto Il germoplasma della Toscana 42 Fig. 22 – Vite: grappolo della cultivar nera Pisciancio Fig. 23 – Vite: grappolo della cultivar bianca Salamanna Fig. 24 – Cotogno: frutti a confronto di selezioni locali italiane Fig. 25 – Fico: fedele riproduzione della cultivar toscana Dottato (da Pomona italiana di Gallesio, 1817-1839) 43 Fig. 26 – Kaki: fruttificazione della cultivar toscana Mercatelli Fig. 27 – Castagno: Marrone Precoce di Misileo (Palazzuolo sul Senio), da valorizzare per la precocità Tab. 14 - Germoplasma di cotogno (cultivar e portinnesti-p) (Fig. 24) Istituzioni Accessioni (numero) DCDSL - UPI IPSL - CNR FI Totale totale toscane 50 50 100 37 p 20 p 57 p Tab. 15 - Germoplasma di kaki (Fig. 26) Istituzioni Accessioni (numero) totale DO-UFI IPSL-CNR FI Totale toscane 85 68 153 Fig. 28 – Castagno: Marrone di Caprese, afferente al Marrone Fiorentino 6 5 11 Tab. 16 - Germoplasma di altri fruttiferi presenti in Toscana (Figg. 25, 27 e 28) Istituzione Specie Accessioni (numero) totale DO-UFI IPSL-CNR FI IPSL -CNR FI IPSL-CNR FI DCDSL-UPI IPSL-CNR FI IPSL-CNR FI DO-UFI Castagno europeo Feijoa Fico Kiwi Mandorlo Nespolo comune Nocciolo Noce 8 3 10 3 27 2 8 50 toscane 8 0 3 0 0 0 0 24 Il germoplasma della Toscana 44 4. Il germoplasma toscano delle specie legnose da frutto e la L.R. 50/97 Il patrimonio varietale di ciascuna specie rappresenta un’entità dinamica in continua evoluzione, assoggettata nel tempo a severe modificazioni. Le attuali esigenze agronomiche e produttive, nonché quelle della trasformazione e della conservazione, tendono a preferire le nuove cultivar che rispondono meglio all’intera filiera della grande distribuzione. Ciò porta inesorabilmente all’impoverimento dell’assortimento varietale, con la drastica riduzione della biodiversità, spesso molto ricca di pregevoli caratteri, tra cui la resistenza agli stress biotici ed abiotici, e gli elevati contenuti organolettici. La conservazione di questa biodiversità, pur richiedendo costi elevati, garantisce la salvaguardia di caratteri pregevoli, utilizzabili sia direttamente nella valorizzazione del germoplasma toscano interessante per i mercati locali, sia indirettamente nei programmi di miglioramento genetico per la costituzione di nuove cultivar adatte alla produzione biologica, compatibili con l’ambiente e la salute dell’uomo. La Legge Regionale n. 50/97 sulla “Tutela delle risorse genetiche autoctone”, attraverso le Commissioni tecnico-scientifiche all’uopo costituite, può contribuire in modo significativo al recupero, alla salvaguardia ed alla valorizzazione di quelle risorse genetiche tipiche delle zone di produzione della nostra Regione. Nei riguardi delle “Specie legnose da frutto” l’apposita commissione regionale (Tab. 17) ha iniziato la sua attività dal giugno ’99, dandosi precisi compiti che porta avanti anche attraverso la costituzione di sottocommissioni per singole specie (Tab. 18). Tab. 17 - Commissione tecnico-scientifica sulle “Specie legnose da frutto” Natale Bazzanti Elvio Bellini Roberto Bruchi Gabriele Chiellini Simone Fratini Rolando Guerriero Ettore Pacini Paolo Pancanti Giancarlo Roselli Paolo Storchi Claudio Vitagliano Luciano Zoppi Rappresentante ARSIA Università di Firenze - Facoltà di Agraria Associazione Produttori Vitivinicoli Toscani Olivicoltori Toscani Associati Confagricoltura Università di Pisa - Facoltà di Agraria Università di Siena - Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali As.P.O.R.T. C.N.R. Istituto Propagazione Specie Legnose Istituto Sperimentale Viticoltura SOP AR Scuola Superiore di Sant’Anna - Pisa Regione Toscana - Dipartimento Sviluppo Economico Tab. 18 - Sottocommissioni per singole specie Specie Responsabile Albicocco Castagno Ciliegio Cotogno Melo Noce Olivo Pero Pesco Susino Vite R. Guerriero E. Bellini G. Roselli G. Roselli C. Vitagliano E. Bellini G. Roselli E. Bellini E. Bellini E. Bellini P. Storchi Componenti S. Bartolini, V. Nencetti E. Giordani, F.P. Nicese P. Mariotti, C. Vitagliano E. Giordani, R. Viti, G. Iannì, P. Mariotti R. Massai, V. Nencetti E. Giordani, F.P. Nicese G. Bartolini, A. Cimato, G. Chiellini, R. Gucci, L. Zoppi G. Giannelli, P. Mariotti, V. Nencetti, G. Roselli G. Giannelli, P. Mariotti, V. Nencetti, G. Roselli G. Giannelli, P. Mariotti, V. Nencetti, G. Roselli R. Bandinelli, R. Bruchi, S. Fratini, G. Scalabrelli Sono in via di definizione le sottocommissioni relative ai fruttiferi minori (es. Fico, Kaki, Mandorlo e Nocciolo) ed ai piccoli frutti (es. Lampone, Mirtillo e Ribes). 45 Fig. 29 – Valorizzazione del prodotto: campioni di frutti esposti al concorso per la “Pesca d’argento”. Premio che viene assegnato ogni anno in settembre a Londa (FI), al peschicoltore che presenta il migliore campione di frutti della cultivar Regina di Londa Fig. 30 – Valorizzazione del prodotto: grafica realizzata dalla Comunità Montana mugellana per rappresentare il “Marrone del Mugello”, al quale è stato riconosciuto dalla Comunità Europea il marchio di qualità IGP (Indicazione Geografica Protetta) 5. Obiettivi perseguiti dalla Commissione Nel rispetto delle finalità istituzionali che la L. R. 50/97 intende perseguire, la Commissione tecnicoscientifica sulle “Specie legnose da frutto”, avvalendosi dei “Gruppi di lavoro per singole specie” (sottocommissioni) già costituiti, di concerto con l’ARSIA, si prefigge il raggiungimento dei seguenti obiettivi. 5.1 Obiettivi raggiungibili in tempi brevi • Inventario del germoplasma pomologico esistente in Toscana, già in avanzata fase di compilazione. • Repertorio del germoplasma autoctono toscano, attualmente in fase di avvio con l’iscrizione di cultivar toscane di olivo, di ciliegio e di pesco. • Predisposizione di “schede descrittive semplificate”, per favorire il recupero di germoplasma. A questo fine sono già state elaborate e rese disponibili le schede descrittive delle seguenti specie: albicocco, castagno, ciliegio acido e dolce, cotogno da frutto, mandorlo, melo, noce, olivo, pero, pesco, susino e vite. Sono in fase di elaborazione le schede per le specie: fico, fragola, kaki, lampone, melograno, mirtillo e nocciolo. Per le altre specie quali: agrumi, fruttiferi minori non censiti (es. azzeruolo, corbezzolo, corniolo, giuggiolo, nespolo e sorbo) e piccoli frutti (es. ribes, rovo e uva spina) si stanno raccogliendo le informazioni descrittive dalla letteratura pomologica. 5.2 Obiettivi raggiungibili in tempi medio-lunghi • Recupero e descrizione del germoplasma autoctono non ancora inventariato, presente presso istituzioni pubbliche e private diverse, aziende vivaistiche, aziende agrarie, parchi e giardini, amatori, ecc. • Selezione e valutazione del germoplasma autoctono, al fine di individuare quello meritevole di diffusione sia a livello locale che regionale. • Costituzione di “campi di piante madri”, per le migliori varietà locali esenti da malattie (virus in particolare). Questo importante obiettivo chiaramente è raggiungibile con il coinvolgimento di istituzioni di diversa estrazione scientifica e tecnica. 5.3 Obiettivi tesi a valorizzare il prodotto • Promuovere la produzione integrata e quella biologica, con la diffusione di appropriati disciplinari di produzione, da predisporre per le singole specie di maggior interesse locale e regionale. • Promuovere manifestazioni sulla tipicità delle produzioni locali, anche con l’adozione di concorsi a premi (Fig. 29). • Valorizzare le produzioni locali con marchi di qualità, da richiedere a livello regionale, nazionale e comunitario (es. IGP e DOP) (Fig. 30). • Istituire corsi di aggiornamento, sulle moderne tecniche colturali, sul condizionamento del prodotto (raccolta, confezionamento e presentazione), sulle utilizzazioni del prodotto. Il germoplasma della Toscana 46 Bibliografia AA.VV., 1982. Agrumi, frutta e uve nella Firenze di Bartolomeo Bimbi pittore mediceo - CNR, Firenze. AA.VV., 1993. Relazione dell’attività svolta presso il Centro Sperimentale per la Ortoflorofrutticoltura della Maremma Toscana. Follonica (GR). GARBARI F., TONGIORGI TOMASI L., TOSI A., 1991. Giardino dei Semplici - L’Orto Botanico di Pisa dal XVI al XX secolo. - Pacini Editore, Pisa. PISANI P.L., NANNI P., 1996. Gli Orti agrari di Firenze. Rivista di storia dell’agricoltura, 1. 47 Commissione “Specie di interesse forestale” Il germoplasma forestale della Toscana Legge regionale n. 50 del 16 luglio 1997 “Tutela delle risorse genetiche autoctone” Pier Virgilio Arrigoni Orto Botanico, Università degli Studi di Firenze Nelle sue prime riunioni la Commissione per le “Specie di interesse forestale”si è posta il problema di definire i criteri per l’individuazione delle risorse genetiche forestali per le quali si possa riconoscere opportuna l’iscrizione al Repertorio regionale di cui all’art. 1 della Legge Regionale n. 50 del 16 luglio 1997. Per il fine sono state necessarie alcuni riflessioni sul contesto normativo. La legge individua come soggetti tanto categorie tassonomiche o taxa (specie, varietà, cultivar) quanto unità sistematiche (razze, popolazioni, ecotipi, cloni). Si può rilevare in proposito che non tutte le unità tassonomiche o sistematiche di possibile interesse sono esplicitamente richiamate (per esempio, sottospecie, ibridi, ecc.). Per comodità espositiva definiremo globalmente le diverse entità come biotipi. La legge pone come condizione per l’iscrizione il riconoscimento dell’esistenza di un interesse generale alla tutela di un biotipo e quindi, implicitamente, presuppone per la risorsa genetica una condizione di minaccia o di pericolo avverso il quale si prevedono (art. 3) interventi attivi. Il pericolo può essere rappresentato, secondo i casi, dal rischio di estinzione, dall’esistenza di processi di erosione genetica, dalla possibilità di inquinamento genetico. Il provvedimento di tutela ha efficacia però solo per quei biotipi per i quali sia riscontrata una rilevanza secondo uno o più dei seguenti aspetti: economico, scientifico o culturale. La normativa si applica in primo luogo ai biotipi originari del territorio toscano, ma può essere estesa anche ad archeofite. Per quanto attiene il settore forestale si può rilevare che le risorse genetiche sono prevalentemente costituite da un numero non rilevante di specie legnose, per lo più componenti importanti di ecosistemi seminaturali, cioè sistemi di origine naturale, ma sottoposti a forme di gestione antropica per l’utilizzazione delle risorse di cui sono portatori. Ai fini operativi la Commissione ha la disponibilità di un elenco di 162 specie legnose (77 alberi o alberelli e 85 fra arbusti, frutici e liane) spontanee in Toscana. Su queste specie i processi di selezione antropica hanno operato in modesta misura. Conseguentemente sono relativamente poche e limitate ad alcune specie quelle unità di diversità vegetale (popolazioni, ecotipi, cloni, ecc.) che la legge individua fra i soggetti di attenzione. Ai fini dell’applicazione della legge la Commissione ritiene opportuno predisporre una lista ufficiale di riferimento sulla consistenza del germoplasma regionale. Essa consentirebbe di tenere aggiornata la conoscenza delle risorse esistenti soprattutto se fossero note le distribuzioni attuali delle diverse specie o biotipi che formano il germoplasma autoctono. Per molte specie legnose, edificatrici di formazioni forestali, è facile riconoscere un interesse scientifico o economico alla loro conservazione, spesso anche un interesse culturale. Diventa quindi determinante nel giudizio l’esistenza di un pericolo reale per la conservazione della risorsa. In relazione a questi elementi di valutazione si è ritenuto di portare l’attenzione sulle seguenti unità: 1 - specie, sottospecie, varietà o popolazioni di riconosciuto interesse scientifico, ma di remota potenzialità colturale. Rientrano in questa categoria le poche specie legnose autoctone (endemiche) della Toscana (per esempio, Salix crataegifolia, Rhamnus glaucophylla), alcune popolazioni locali più o meno isolate a rischio di inquinamento genetico (per esempio,Picea abies di Foce di Campolino, Abies alba del Monte Contrario o del Monte Amiata) appartenenti a specie ad ampia distribuzione, le popolazioni di specie arboree per le quali si è verificata una forte contrazione della distribuzione con evidente erosione genetica (per esempio, Quercus robur, Quercus Il germoplasma della Toscana 48 Fig. 1 - Distribuzione di Quercus frainetto Ten. in Toscana Fig. 3 - Distribuzione di Juniperus phoenicea L. in Toscana Fig. 2 - Distribuzione di Cotynus coggyria Scop. in Toscana petraea), le popolazioni che nella regione sono discontinue e marginali all’areale della specie (per esempio, Alnus incana, Quercus frainetto, Fig. 1). La conservazione di queste specie dipende soprattutto dalla possibilità di mantenere un’adeguata diversità genetica che garantisca una sufficiente capacità adattativa al mutare delle condizioni ambientali. In particolare devono essere sottoposti a tutela quei complessi popolazionali quantitativamente rilevanti che si sono potuti conservare nelle aree ottimali per la specie. 2 - popolazioni di specie legnose spontanee potenzialmente utilizzabili in coltura per rinaturalizzazioni, ecc. La definizione di questa categoria richiede l’individuazione di specie localmente rare e quindi a rischio di erosione che per i loro caratteri potrebbero essere utili in impianti di sistemazione o di rinaturalizzazione. Possono rientrare in questa categoria le popolazioni di Betula pendula L., di Salix sp., Cotynus coggyria, Fig. 2) ecc. In particolare devono essere considerate quelle specie che in Toscana hanno subito, per effetto dell’incremento delle destinazioni agricole e urbanistiche del territorio, notevoli ridimensionamenti delle loro aree di distribuzione naturale. 49 3 - ecotipi, cultivar, cloni, coltivati o coltivabili a rischio di estinzione. Questa categoria comprende la differenziazione somatica o genetica intraspecifica di specie forestali spontanee nella regione che, in assenza di un censimento della diversità esistente e dell’esistenza di un’adeguata rinnovazione, rischia di scomparire. Rientrano in questa categoria i cloni riconosciuti di castagno (per esempio, var. politora), alcune provenienze di pioppo, ecc., utilizzati per scopi economici o impiegabili per i pregi biologici o tecnologici che presentano. Per essi si pone “d’urgenza” il problema della loro descrizione e coltivazione in quanto soggetti a gravi rischi di scomparsa. 4 - biotipi di interesse culturale per legami storici, valore paesaggistico, ecc. Le specie legnose di interesse culturale sono, in Toscana, relativamente numerose. Accanto ai biotipi di cipresso si possono annoverare le popolazioni litoranee di Pino domestico e di Pino d’Aleppo, quelle di palma nana e di alcuni ginepri (per esempio, Juniperus phoenicea in Fig. 3, e J. macrocarpa), ecc. Naturalmente dovranno essere considerati quei biotipi che sono in evidente pericolo di erosione genetica. 5 - collezioni di specie, cultivar, ecc., raccolte e conservate in impianti sperimentali per scopi di ricerca, la fornitura di materiale da riproduzione, la conservazione ex situ. In alcuni arboreti (per esempio, Vallombrosa, Montepaldi), vivai sperimentali (per esempio, Istituto Sperimentale di Selvicoltura), parchi o Orti botanici della regione esistono collezioni di specie forestali o biotipi intraspecifici, impiantati per scopi sperimentali e per la produzione di cloni. Alcuni di questi biotipi possono costituire materiale geneticamente e selvicolturalmente pregiato meritevole di attenzione ai fini della conservazione del germoplasma. Si pone in questo caso il problema della provenienza del materiale che, per il repertorio, dovrebbe essere autoctono. Conclusioni In relazione a queste tipologie di biotipi viene rilevato che il censimento e l’iscrizione al Repertorio richiedono verifiche approfondite sullo stato attuale delle risorse e, in genere, rilievi in campo, attività queste che esulano dalle competenze della Commissione. Ai fini dell’istituzione del Repertorio regionale delle risorse genetiche forestali, la Commissione si è inoltre posto il problema di come promuovere il censimento e la conoscenza delle risorse esistenti. Si è ritenuto che in una prima fase, prima di procedere alla raccolta della documentazione necessaria per l’iscrizione al Repertorio, fosse opportuno avviare un censimento speditivo delle risorse potenzialmente esistenti. Allo scopo è stata predisposta una semplice scheda di segnalazione dei biotipi meritevoli di attenzione e di valutazione, da compilare a cura di Enti pubblici o di altri soggetti interessati. Per ogni biotipo la Commissione provvederà quindi all’esame dell’esistenza dei requisiti normativi e scientifici previsti dalla legge n. 50, selezionando quelli per i quali si ritiene opportuno promuovere la raccolta della documentazione necessaria. Ad istruttoria avvenuta la Commissione si esprimerà in via definitiva sulla proposta di ammissione nel Repertorio regionale delle risorse genetiche per quei biotipi che saranno ritenuti interessanti e meritevoli di tutela. Resta aperto il problema della valutazione di quel germoplasma che non risulta allo stato attuale segnalato all’attenzione della Commissione. Risulta quindi evidente la necessità di promuovere un’indagine conoscitiva sullo stato di conservazione delle diverse specie e della eventuale diversità intraspecifica esistente. In prima ipotesi dovrebbe essere accertata la distribuzione regionale delle diverse specie e biotipi forestali. 51 Commissione “Specie ornamentali e da fiore” Tutela delle risorse genetiche autoctone per le specie ornamentali da fiore Romano Tesi Dipartimento di Scienze Agronomiche e gestione del Territorio agro-forestale - DISAT Università degli Studi di Firenze Premessa Il settore delle piante ornamentali e da fiore è molto sviluppato in Toscana. Basti pensare al centro di produzione di Pistoia per le piante ornamentali da esterno, al Mercato dei fiori di Pescia (primo in Italia per fatturato), alle produzioni floricole della Versilia e della Valdinievole. Ciononostante nella nostra Regione, pur essendo presenti alcune istituzioni coinvolte nella conservazione di specie vegetali (Orti botanici di Lucca, Pisa e Firenze), sono risultate carenti le iniziative per la valorizzazione dei genotipi presenti sul territorio e spesso dispersi per scarso interesse economico. È quindi mancata una strategia lungimirante orientata alla raccolta e conservazione del germoplasma in grado di alimentare la costituzione di nuove varietà e di contribuire alla valorizzazione del materiale esistente, presente sia nella nostra flora spontanea, sia nei giardini storici. A questa carenza risponde oggi la Regione To- Fig. 1 - Una piccola parte della collezione varietale di rose della Fondazione Carla Fineschi a Cavriglia (AR) scana con un'iniziativa (L.R. n. 50 del 16 luglio 1997) che prevede anche la tutela delle risorse genetiche relative alle specie ornamentali e da fiore. In esecuzione di tale legge è stata nominata una commissione di settore con l'incarico di individuare quelle cultivar o varietà ornamentali di rilevante interesse per le nostre coltivazioni e di provvedere all'iscrizione in appositi “repertori”, ove ogni singola accessione presenti gli elementi necessari alla sua individuazione (caratterizzazione) e quelli utili per rintracciarla. Stato di avanzamento dei lavori La Commissione per le specie ornamentali e da fiore, composta da: Dr. Alfio Marchini, Dr. Claudio Carrai, Dr. Claudio Ciardi, Prof. Franco Tognoni, Prof. Giovanni Serra, Prof. Romano Tesi, Prof. Mauro Raffaelli, Dr. Michele Bellandi, Dr.ssa Nella Oggiano, si è riunita per tre volte nei mesi di settembre, ottobre e novembre 1999 per valutare le richieste ed i Il germoplasma della Toscana 52 Fig. 2 - Una parte della collezione di Calla, nell’Azienda Brea di Miglarino Pisano (Pisa), comprendente calle nane da vaso Fig. 3 - Parte della collezione di Iris, della Società dell’Iris che ha sede a piazzale Michelangelo (Firenze) Fig. 4 - Panoramica della collezione di Oleandri in vaso, del DISAT di Firenze 53 Fig. 5 - Ranuncolo, mix di varietà, Azienda Brea criteri di iscrizione. È stato stabilito che per ottenere l’iscrizione nello specifico Repertorio è necessario che possa essere documentata, per il materiale in questione, la presenza in Toscana da almeno 20 anni. Soddisfatta questa condizione, potrà essere definito “autoctono”, su giudizio che la Commissione esprimerà caso per caso, il materiale genetico che: 1) sia presente nella flora spontanea o naturalizzata della Toscana; 2) sia presente nei parchi storici delle ville toscane; 3) faccia parte di collezioni di germoplasma già costituite da soggetti pubblici o privati. Fino ad oggi alla Commissione sono pervenute le seguenti segnalazioni riguardanti materiale ornamentale di interesse per la costituzione del Repertorio: 1) Fondazione Carla Fineschi - Cavriglia (AR): collezione di rose antiche e moderne (Fig. 1) comprendente oltre 8.000 esemplari, su una superficie di oltre 2 ettari; 2) Essebi Talee (Duca Forese Salviati) - Migliarino Pisano (PI): varietà di garofano da fiore reciso con cultivar di varia taglia e tipologia del fiore; 3) Azienda Brea - Migliarino Pisano (PI): varietà di anemone, ranuncolo, minirose e calla, con cultivar da fiore reciso e da vaso (Fig. 2). 4) Società dell’Iris (Prof. Sergio Orsi) - Firenze: Collezione varietale di Iris spp. (Fig. 3). Si tratta principalmente di cultivar di iris barbate differenziate per la taglia (alta, intermedia e nana) e cultivar di iris giapponesi adatte ad ambienti acquatici. 5) Azienda Rose Barni - Pistoia: Collezione varietale di rose antiche e moderne da giardino e da fiore reciso; 6) Dipartimento di Scienze Agronomiche e gestione del Territorio agro-forestale (Università di Firenze) - Firenze: collezione varietale di oleandri (Fig. 4), la cui documentazione è già stata acquisita dalla commissione. Le caratteristiche della collezione sono state illustrate in un poster presentato nell’ambito di questo convegno ed inserito negli Atti; 7) Dipartimento di Biologia delle Piante Agrarie (Università di Pisa) - Pisa: collezione di peperoncini ornamentali, con varia taglia e tipologia di frutto; 8) Vivaio Borrini (Dr. Guido Cattolica) - Sant’Andrea di Compito (LU): collezione di specie antiche di camelie presenti sin dall’Ottocento nei giardini delle ville della Lucchesia e attualmente riunite presso la Villa Borrini; 9) Azienda Meristema (Dr. Pasqualetto) - Cascine di Buti (PI): collezione di Limonium spp., con cultivar per fiore reciso ed essiccazione. La documentazione delle diverse istituzioni interessate al Repertorio è ancora in gran parte in fase di acquisizione, e pertanto siamo in grado di documentare solo alcune realtà di cui possediamo materiale illustrativo: collezione di rose antiche e moderne a Cavriglia; collezione di camelie antiche a Sant’Andrea di Compito; collezione di oleandri a Firenze; esemplari di iris barbate a Firenze della Società dell'Iris; esemplari di anemoni, ranuncoli e calle presenti a Migliarino ed infine esemplari di peperoncini ornamentali. 55 Commissione “Risorse genetiche autoctone animali” Risorse genetiche autoctone animali Mario Lucifero Dipartimento di Scienze Zootecniche Università degli Studi di Firenze La Toscana è stata culla di un rilevante numero di razze e popolazioni animali, frutto della diversità dell’ambiente, del clima, dell’agricoltura che caratterizza la Regione. Un documento che lo testimonia è la presenza zootecnica all’Esposizione Agraria Toscana del 1857. La prima in assoluto nel Granducato che seguiva la Grande Esposizione Agraria di Londra. Il trinomio “area geografica - tipo genetico - prodotto” è un vero e proprio sistema culturale: una “nicchia culturale” che comprende componenti proprie della storia, delle tradizioni, degli usi, dei costumi di un territorio. L’utilizzazione di queste risorse genetiche come fattori di produzione è già una variabile importante della competizione territoriale, ma lo sarà ancor più in futuro. Con l’emanazione della L.R. 50/97 sono stati istituiti i Repertori nei quali vengono iscritti, previo parere favorevole di apposite Commissioni tecnicoscientifiche, specie, razze, varietà, popolazioni, ecotipi e cloni che fanno parte delle risorse genetiche da tutelare. Una sorta di inventario di materiale genetico animale e vegetale che va conservato e, per quanto possibile, valorizzato nel solco del principio della salvaguardia della biodiversità ormai universalmente riconosciuto e sancito dalla Convenzione di Rio de Janeiro del 1992. Nelle modalità e nei criteri per l’istituzione e la tenuta del Repertorio Regionale delle risorse genetiche animali è previsto, all’art. 5, che le razze e le popolazioni autoctone delle specie bovina, equina, ovina, caprina, suina ed asinina per le quali è stato istituito, dal competente Ministero, il Libro genealogico di razza o il Registro anagrafico, sono iscritte d’ufficio al Repertorio Regionale delle risorse genetiche animali autoctone. A queste se ne possono aggiungere altre su richiesta della Giunta regionale, dell’ARSIA, di istituzioni scientifiche ed anche di sin- goli cittadini, purché abbiano il parere favorevole della Commissione tecnico-scientifica regionale. Dunque sono state iscritte d’ufficio tutte le razze e popolazioni autoctone delle quali esistono i Libri genealogici ed i Registri anagrafici e i gruppi etnici che, pur non rispondendo a questi requisiti, la Regione ha ritenuto di inserire; non essendo stata avanzata alcuna ulteriore richiesta di iscrizione, la Commissione, istituita con delibera della Giunta regionale del luglio 1997, ha lavorato fornendo per ogni gruppo etnico le indicazioni e gli elementi per predisporre il Repertorio Regionale, programmando la pubblicazione di uno studio sulle risorse genetiche autoctone animali, invitando alla ricerca di altri patrimoni genetici da iscrivere, soprattutto nel campo delle specie avicole di cui nel passato la Toscana era ricca, ed ha esaminato la situazione dei diversi gruppi etnici sui quali vengono fatte alcune considerazioni. 1) Entrano nel Repertorio per la specie bovina: le razze Chianina e Maremmana iscritte al Libro genealogico tenuto dall’ANABIC che sta svolgendo un apprezzabile lavoro di selezione per la razza Chianina nel Centro Genetico di Boneggio a Perugia e per la razza Maremmana al Centro Torelli di Alberese a Grosseto. I risultati ottenuti col miglioramento e le conoscenze acquisite sulle caratteristiche qualitative e dietetiche di carne della razza Chianina, risultata perfettamente idonea ad una sana alimentazione umana, e la garanzia offerta dall’IGP hanno determinato una crescente richiesta di questa carne e conseguentemente una ripresa dell’allevamento della razza. La Maremmana, sostenuta dal Regolamento Comunitario n. 2078 per la modesta consistenza numerica, trarrà certamente vantaggio dal Progetto di ricerca ARSIA “Valorizzazione del materiale gene- Il germoplasma della Toscana 56 Fig. 1 - Torello chianino Fig. 2 - Vacca maremmana tico bovino toscano e della produzione della carne”, che sta fornendo interessanti informazioni per una proficua azione di miglioramento genetico e per la realizzazione di un disciplinare di produzione della carne per la richiesta di una DOP. a) La Mucca Pisana, la Calvana, la Garfagnina e la Pontremolese, iscritte al Registro anagrafico delle Popolazioni bovine autoctone e Gruppi etnici a limitata diffusione tenuto dall’Associazione Allevatori, si presentano con situazioni diverse. Le prime due costituiscono realtà zootecniche di utilizzazione del territorio a livello di microeconomia locali nelle quali sembra stiano dimostrando le proprie capacità di produttrice di carni di qualità per cui un recupero produttivo appare possibile. La Garfagnina e la Pontremolese manifestano maggiori difficoltà e uno studio sulle vie da seguire per raggiungere tale scopo è auspicabile. Nel Repertorio è stata inserita d’ufficio anche la razza bovina Romagnola, che pur essendo presente nelle propaggini settentrionali della Regione, è estranea al germoplasma autoctono toscano, essendo, come è noto, originaria della Romagna. 2) La specie equina è rappresentata nel Repertorio con: a) il cavallo maremmano iscritto al Libro Genealogico tenuto dall’Associazione Nazionale Allevatori Maremmani, che sta svolgendo una lodevole attività in favore del miglioramento e della valorizzazione della razza con l’obiettivo di produrre soggetti da impiegare nel campo sportivo, per il lavoro ed il turismo equestre. b) Il cavallo Monterufolino, iscritto al Registro anagrafico delle popolazioni equine, è un pony docile e ubbidiente che sottoposto a miglioramento può trovare una ragione d’essere in attività turisticoricreativa nell’ambito di programmi di valorizzazio- 57 Fig. 3 - Pecore zerasche Fig. 4 - Suini “cinta senese” ne dello spazio rurale. c) L’Asino dell’Amiata anch’esso iscritto al Registro anagrafico delle popolazioni equine tenuto dall’AIA, deve la sua sopravvivenza al tempestivo intervento dell’Amministrazione regionale: il suo recupero è legato all’interesse che può destare nell’ambito di attività turistico-ricreative e di valorizzazione dello spazio rurale. 3) La specie ovina è rappresentata nel Repertorio con: a) le razze Appenninica e Massese iscritte al Libro Genealogico tenuto dall’Associazione nazionale della Pastorizia. L’indirizzo della selezione verso la produzione della carne della prima e la preferenza accordata in Toscana alle razze da latte ha fatto spostare l’allevamento della razza verso l’Umbria e le Marche con la conseguente diminuzione della presenza nella regione. Per quanto riguardo la Massese questa potrebbe trarre vantaggio da una più incisiva azione di miglioramento mirata a più chiari obiettivi di selezione. b) Diversa è la situazione della Pomarancina e della Zerasca inserite nel Repertorio, ma non iscritte al Registro anagrafico, che hanno consistenza assai inferiore e sono circoscritte a specifiche realtà locali. Il loro recupero produttivo è legato a mercati di nicchia ed a sistemi di allevamento tradizionali. c) La Garfagnina bianca è inserita nel Repertorio, ma non è iscritta al Registro anagrafico nazionale: richiede una oculata azione di tutela poiché è costituita da due soli allevamenti. Uno per di più trasferito in Abruzzo di cui è auspicabile il rientro in Toscana. 4) La specie caprina è rappresentata nel Repertorio con: a) la capra di Montecristo che non ha interesse Il germoplasma della Toscana 58 zootecnico, né può essere considerato una emergenza di tipo zoologico o conservazionistico, essendo il prodotto di introduzione effettuate in tempo protostorici a cui si sono sovrapposte successive immissioni di capre domestiche anche in tempi recenti. Purtuttavia rappresenta una curiosità di tipo storico che giustamente si intende salvaguardare. b) La Garfagnana la cui conservazione è legata alla valorizzazione delle produzioni tipiche come elementi di identità del territorio. 5) La specie suina è presente nel Repertorio con la sola Cinta senese per la quale con D.M. del luglio 1997 è stata riaperta una sezione del Libro Genealogico della specie Suina tenuto dall’Associazione Nazionale Allevatori suini. Sezione chiusa nel 1966 per la quasi scomparsa della razza. La sua sopravvivenza infatti si deve agli interventi regionali della fine degli anni Settanta. Si ebbe in quell’epoca anche l’istituzione del Registro anagrafico. Oggi la razza ha promettenti prospettive di recupero grazie ad un attivo mercato dei suoi prodotti sia freschi che trasformati, anche al di fuori della Regione e ad un altrettanto attivo mercato dei riproduttori che è il migliore indice dell’attuale interesse per la razza. Il progetto di ricerca ARSIA “Per la salvaguardia e la valorizzazione della razza Cinta Senese” iniziato da qualche mese porterà certamente un contributo alla valorizzazione della razza i cui prodotti sono alimenti tipici della gastronomia toscana. La Commissione fin dalla sua prima riunione si è posto il problema se fra le risorse autoctone da tutelare dovessero essere considerate solo quelle di interesse zootecnico, oppure anche popolazioni autoctone di ungulati selvatici. Essendo collegialmente pervenuti ad una risposta affermativa la Commissione ritiene che sia opportuno tutelare: a) il Cinghiale di San Rossore che sembra rappresenti uno dei pochi nuclei relitti del cinghiale maremmano. Si tratta di un ceppo genetico che merita di essere tutelato e diffuso dopo che le immissioni di ceppi alloctoni e dopo che la ibridazione con soggetti domestici hanno determinato una deleteria erosione genetica della popolazione autoctona originaria. b) Il capriolo del Casentino costituisce una popolazione autoctona, che ha subito minime immissioni di soggetti provenienti dalle Alpi, e può essere considerato una delle più pure della Regione. La situazione del germoplasma autoctono animale della Regione presenta, come si è visto, situazioni assai diverse: • gruppi etnici che richiedono solo una ulteriore valorizzazione • gruppi etnici il cui recupero produttivo è promettente • gruppi etnici il cui ruolo va studiato • gruppi etnici di cui al momento è possibile solo la conservazione. È ovvio che la migliore tutela è il recupero produttivo che però non sempre è possibile. In alcuni casi anche unire alla conservazione in situ una conservazione ex situ attraverso lo stoccaggio di materiale genetico potrebbe essere una via da seguire. A tal proposito il Laboratorio per la conservazione e la valorizzazione del germoplasma animale toscano “Renzo Giuliani” costituito recentemente, presso l’Azienda Montepaldi dell’Università di Firenze, potrebbe fornire un contributo allo scopo e svolgere una efficace azione di supporto alla politica regionale di tutela e valorizzazione del germoplasma animale. Appare pertanto opportuna una strategia che sviluppi azioni diverse a seconda delle situazioni. Un grosso contributo alla definizione di tale strategia può venire dalla ricerca come dimostrano anche i primi risultati di ricerca dei Progetti ARSIA. L’acquisizione di conoscenze potrà infatti dare maggiore razionalità alle applicazioni della Legge 50/97. È perciò auspicabile un potenziamento delle attività di ricerca in modo da poter stabilire, per ogni patrimonio genetico, il ruolo che esso può svolgere e calibrare, di conseguenza, le azioni da sviluppare. La Legge Regionale 50/97 rappresenta uno strumento efficace per coordinare e finalizzare le azioni tendenti alla salvaguardia e alla valorizzazione del germoplasma autoctono della Regione la cui ricchezza, è opportuno ripeterlo, rappresenta e rappresenterà ancor più in futuro una carta vincente nella competitività territoriale. 59 Valorizzazione del germoplasma toscano Registro nazionale delle varietà Domenico Strazzulla Mi.P.A.F. - Direzione Generale delle Politiche Agricole ed Agro-industriali Nazionali L’attività sementiera in Italia è disciplinata dalla Legge n. 1096 del 25 novembre 1971; in particolare, per ciò che riguarda il settore delle piante ortive bisogna fare riferimento alla Legge n. 195 del 20 maggio 1976. Entrambi i provvedimenti derivano da direttive comunitarie emanate per la regolamentazione della commercializzazione delle sementi. Sulla base dei provvedimenti citati la commercializzazione delle varietà, è possibile solo se queste risultano iscritte al Registro nazionale. Il Registro nazionale delle piante ortive si differenzia in due tipologie: a) varietà le cui sementi possono essere certificate in quanto sementi di base o sementi certificate o controllate in quanto sementi standard; b) varietà le cui sementi possono essere controllate soltanto quali sementi standard. La differenza tra le due tipologie consiste, sostanzialmente, nel fatto che nel primo caso le sementi destinate al commercio sono sottoposte a controllo ufficiale da parte dell’Ente certificatore, che nel nostro caso è l’Ente Nazionale Sementi Elette, mentre, nell’altro caso è il produttore che si fa garante del prodotto — sulla base dei requisiti previsti dalla legge — anche se può essere soggetto a controllo a posteriori da parte del medesimo Organismo. L’attuale Registro nazionale delle varietà ortive è caratterizzato da una notevole presenza di vecchie varietà, le cosiddette “varietà ante-70”. Si tratta di varietà iscritte d’ufficio all’atto dell’istituzione dei registri varietali per le quali il costitutore non era noto. La normale procedura per l’iscrizione di una varietà al Registro nazionale prevede che sia presentata, a cura del costitutore, una domanda di iscrizione al Ministero delle Politiche Agricole e Forestali (MiPAF) il quale procederà all’esame della documentazione e successivamente all’accertamento dei requisiti richiesti. Tali requisiti si riferiscono agli aspetti relativi alla differenziabilità, omogeneità e alla stabilità. In altri termini una varietà, per poter essere iscritta al Registro nazionale, deve essere composta da individui che si differenziano nettamente da quelli appartenenti alle altre varietà; che manifestano le proprie caratteristiche in maniera uniforme all’interno della medesima varietà e che mantengono, alla fine di ogni ciclo di riproduzione o di moltiplicazione la medesima espressione per quei caratteri che servono ad individuarla. Per quanto riguarda le varietà appartenenti alle specie agrarie altro aspetto fondamentale è il valore agronomico e di utilizzazione della varietà. Ovvero una varietà non potrà essere iscritta al Registro Nazionale se, rispetto alle altre varietà iscritte, non costituisce un miglioramento per ciò che concerne la coltivazione, la gestione dei raccolti o l’utilizzazione dei prodotti ottenuti. Recentemente questo concetto di valore agronomico è stato esteso, per quanto riguarda le colture ortive, alla cicoria di tipo industriale. Altro elemento caratterizzante la varietà è la denominazione proposta per la sua identificazione. Anche tale elemento è soggetto a regolamentazione infatti ogni Denominazione deve consentire l’individuazione della varietà senza che questa si confonda con le altre denominazioni già utilizzate per designare altre varietà appartenenti alla stessa specie o specie affini; non deve risultare contraria all’ordine, pubblico e al buon costume; non può essere composta unicamente di cifre a meno che non si faccia riferimento a specie per le quali ciò rappresenta una pratica corrente (come nel caso del mais). Sia le caratteristiche varietali che la denominazione sono soggette a controllo da parte del competente Ufficio del Ministero delle Politiche Agricole e Forestali. Omogeneità, stabilità, differenziabilità e Il germoplasma della Toscana 60 valore agronomico e di utilizzazione, sono accertati mediante prove in campo condotte per almeno due cicli produttivi. La gestione delle prove di iscrizione è esercitata sia a livello centrale, attraverso il Ministero che elabora i protocolli tecnici delle prove e predispone i piani di semina, sia a livello periferico attraverso le Regioni alle quali, con la legge finanziaria 1994, è stata attribuita la competenza finanziaria sullo svolgimento delle prove medesime. Per quanto concerne la denominazione il Ministero provvede a confrontare le denominazioni proposte con quelle già presenti nei propri archivi; inoltre provvede, attraverso un apposito bollettino alla diffusione delle stesse denominazioni (nell’ambito dei Paesi dell’Unione Europea e nell’ambito dei Paesi aderenti all’UPOV) di modo che chiunque abbia interesse possa presentare delle obiezioni circa una denominazione varietale proposta. I risultati delle prove di campo e gli accertamenti relativi alla denominazione alla fine sono sottoposti ad una commissione che esprime il proprio parere in merito alla iscrizione della varietà. In seguito a tale pare il Ministero provvede alla iscrizione della varietà nel Registro nazionale e da questo momento la varietà potrà essere liberamente commercializzata. Una volta iscritta è fatto obbligo che la varietà sia mantenuta in purezza dal responsabile ufficiale della “conservazione in purezza”. Come risulta evidente l’iter descritto riguarda specificatamente le varietà di recente costituzione e non le vecchie varietà. Sotto questo aspetto, e particolarmente per il settore della piante ortive, si evidenzia il fatto che ogni qual volta si istituisca un nuovo registro è possibile procedere alla iscrizione d’ufficio delle cosiddette “varietà notoriamente conosciute”. Per tali varietà è possibile prendere in considerazione — ai fini dell’iscrizione — i risultati di esami non ufficiali e le cognizioni pratiche attinte durante la coltivazione; inoltre, sempre per le stesse varietà (ma ciò è stato vero fino al recepimento della direttiva 88/380/CEE del 13 giugno 1988) non era richiesto il mantenimento mediante selezione conservatrice. Con questa procedura sono state iscritte molte varietà di specie ortive per cui il relativo Registro nazionale è ricco di “vecchie” varietà, le cosiddette “varietà ante-70”. Con la direttiva 88/380/CE anche questo settore delle varietà ante70 è stato soggetto a modifiche, in quanto la direttiva prevede che per ogni varietà iscritta sia individuato almeno un responsabile ufficiale della conservazione in purezza. Tale previsione ha dato il via ad un programma di caratterizzazione varietale che sta per essere portato a completamento. Praticamente tutte le varietà ante-70 avevano, quale scadenza alla loro iscrizione, il 31 dicembre 1998. Entro tale data si dovevano quindi acquisire elementi utili in ordine alla ridescrizione della varietà secondo il sistema attualmente adottato ed ai relativi responsabili ufficiali della conservazione in purezza. Per ottenere tale risultato era necessario avere in un primo momento le domande di reiscrizione delle varietà e successivamente i campioni da mettere in prova per la caratterizzazione varietale. Il programma di caratterizzazione ha avuto avvio nel 1996 ed ha riguardato circa 400 varietà per le quali sono stati presentati circa 700 campioni di sementi. Tali varietà sono state sottoposte a prove a Battipaglia, Tavazzano (NA), Bologna e Verona e gli ultimi risultati sono stati analizzati di recente. La mancata presentazione delle domande di reiscrizione ha già portato alla cancellazione di un certo numero di varietà (sono quelle riportate nel Decreto Ministeriale del 4 febbraio 1999 pubblicato sulla G.U. n. 49 del 1° marzo 1999); la mancata presentazione dei campioni di sementi per le prove varietali porterà alla cancellazione di un altro gruppo di varietà. Inoltre si procederà all’analisi dei risultati delle prove di caratterizzazione i cui esiti porteranno a cinque soluzioni definitive: • reiscrizione della varietà in quanto corrispondente al tipo ante-70; • reiscrizione della varietà ridescritta in base al risultato della prova in quanto non si discosta significativamente dal tipo ante-70; • reiscrizione della varietà per un periodo di tempo limitato, ma sufficiente affinché sia messa a punto per ciò che concerne l’omogeneità; • cancellazione delle varietà non rispondenti al tipo ante-70 e non in possesso dei requisiti prescritti dalla legge sementiera; • possibilità di iscrivere delle varietà non rispondenti al tipo ante-70, ma in possesso dei requisiti previsti dalla legge sementiera. In base a tale schema un certo numero di varietà tradizionali scompariranno dal Registro nazionale ed i relativi materiali di riproduzione non potranno essere più commercializzati determinando, in tal modo, condizioni tali da compromettere la stessa esistenza di un determinato genotipo. Su questo punto si inserisce efficacemente la direttiva 98/95/CE del Consiglio che modifica le precedenti direttive del settore per ciò che riguarda il consolidamento del mercato interno, le varietà geneticamente modificate e le risorse genetiche delle piante. L’aspetto che ci interessa maggiormente nel contesto relativo a questo convegno è quello relativo alla salvaguardia delle risorse genetiche. 61 In proposito la direttiva prevede che nell’interesse della conservazione delle risorse fitogenetiche gli Stati membri possono non rispettare i criteri di ammissione purché siano stabilite condizioni specifiche da fissarsi in ambito comunitario; inoltre, sulla base delle medesime condizioni si dovrà tenere conto dei nuovi sviluppi per ciò .che riguarda la conservazione in situ e l’utilizzazione sostenibile delle risorse fitogenetiche mediante la conservazione e la commercializzazione di sementi di specie e varietà adatte alle condizioni naturali, locali e regionali, minacciate dall’erosione genetica. Di seguito la direttiva specifica che tali “specie e varietà sono accettate conformemente alle disposizioni della presente direttiva”. La procedura di accettazione ufficiale tiene conto di specifiche caratteristiche ed esigenze qualitative. In particolare si tiene conto dei risultati di valutazioni non ufficiali e delle conoscenze acquisite con l’esperienza pratica durante la coltivazione, la riproduzione e l’impiego nonché delle descrizioni dettagliate delle varietà e delle loro rispettive denominazioni, così come sono notificate agli Stati membri interessati, elementi che, se sufficienti, danno luogo all’esenzione dell’obbligo dell’esame ufficiale. Tali specie o varietà, in seguito alla loro accettazione sono indicate come varietà da conservazione nel catalogo “comune”. Dette varietà potranno essere soggette ad adeguate restrizioni quantitative. Gli elementi che la disposizione prende in considerazione sono sostanzialmente i seguenti: 1) criteri di assunzione più blandi rispetto ai casi normali; 2) mancanza di esami ufficiali; 3) diffusione in ambito locale o regionale; 4) restrizioni quantitative. In altri termini, varietà tradizionali che allo stato attuale non potrebbero essere iscritte ai Registri ufficiali, potranno essere iscritte sulla base delle conoscenze acquisite nel corso della loro coltivazione, ma potranno essere soggette — per ciò che riguarda la commercializzazione delle sementi — a restrizioni quantitative e alla diffusione in ambito locale. Attraverso questa disposizione si potranno recuperare quelle varietà ante-70 che dovrebbero essere cancellate in base ai risultati del programma di caratterizzazione precedentemente descritto. La direttiva dovrà essere recepita nell’ordinamento interno entro il mese di febbraio del 2000. 63 Piano di coordinamento Mi.P.A.F. per le attività di conservazione delle risorse genetiche vegetali per l’alimentazione e l’agricoltura Mario Marino Mi.P.A.F. - Direzione Generale delle Politiche Agricole e Agro-industriali Nazionali - Ufficio Biodiversità, Tecnologie Innovative e aiuto ai Paesi in via di sviluppo Carlo Fideghelli, Fabrizio Grassi, Alisea Sartori, Francesca Vitellozzi Centro di Coordinamento Risorse Genetiche Vegetali Istituto Sperimentale per la Frutticoltura, Roma La Convenzione sulla Diversità Biologica di Rio de Janeiro del 5 giugno 1992, esplicita che “ciascuna parte contraente, secondo le proprie particolari condizioni e capacità, elaborerà strategie, piani e programmi nazionali per la conservazione e l’uso sostenibile della diversità biologica ed integrerà nel modo più opportuno tale conservazione nelle proprie attività interne”. Successivamente altri accordi internazionali hanno avuto per oggetto la biodiversità e le risorse genetiche. Il Ministero per le Politiche Agricole, Decreto Legislativo 4 giugno 1997 n. 143, è stato chiamato a svolgere compiti di disciplina generale e di coordinamento della salvaguardia e tutela delle biodiversità animali e vegetali, dei rispettivi patrimoni genetici. Presso la Direzione Generale delle Politiche Agricole e Agro-industriali Nazionali è operante l’Ufficio Biodiversità, Tecnologie Innovative ed aiuto ai Paesi in Via di Sviluppo, che coordina con il supporto degli IRSA, le attività di individuazione, catalogazione e diffusione delle informazioni per quanti operano nel settore. L’Ufficio è attivo sia a livello internazionale che nazionale: Livello internazionale Convenzione sulla biodiversità (CBD): nell’ambito della CBD il Ministero delle Politiche Agricole e Forestali (Mi.P.A.F.) è il referente istituzionale per l’agrobiodiversità. L’Amministrazione, ha istituito un apposito Gruppo Interdirezionale, coordinato dall’Ufficio Biodiversità, che ha fornito, tra l’altro, un considerevole contribuito alla redazione del Piano nazionale Biodiversità del Ministero dell’Ambiente (non ancora completato). Nazioni Unite (FAO): Commissione per le risorse Genetiche per l’Alimentazione e l’Agricoltura Sessioni Ordinarie e Straordinarie: Revisione del- l’Accordo Internazionale secondo quanto stabilito dalla Convenzione sulla Biodiversità di Rio de Janeiro 1992; UNIONE EUROPEA - Commissione U.E.: • Comitato Legislazione Sementi e Piante - Sottogruppo Risorse Fitogenetiche il quale si occupa principalmente di coordinare i lavori comunitari in sede FAO per la Revisione dell’Accordo Internazionale per le risorse fitogenetiche; • Comitato per le Risorse Genetiche: Regolamento 1467/94 — riguarda la valutazione di progetti per la conservazione, caratterizzazione e ricerca nell’ambito delle risorse genetiche. Tale programma ha terminato il primo quinquennio 1994-1999 e compatibilmente con le risorse finanziarie a disposizione dell’Unione Europea potrà essere avviato a partire dal 2000. Nella Tab. 1 sono riportati i partecipanti italiani ai progetti approvati nei tre bandi promossi dal Regolamento EU 1467/94. Livello nazionale Il Ministero ha già avviato, attraverso i propri Istituti di ricerca e sperimentazione agraria, alcuni programmi volti alla conservazione/catalogazione del materiale genetico di interesse agrario. Di seguito si elencano le tematiche generali di tali programmi: 1. Progetto finalizzato “Azione di coordinamento per la salvaguardia e la conservazione del germoplasma ortofrutticolo” Tale progetto è promosso ed attuato dall’Istituto Sperimentale per la Frutticoltura di Roma ed è illustrato nella Tab. 1. 2. Progetto finalizzato “Collezioni di microrganismi di interesse agrario e agro-industriale” Tale progetto riguarda lo studio e la salvaguardia di microrganismi di interesse agrario e agro-industriale attraverso il coordinamento e lo sviluppo e Il germoplasma della Toscana 64 Tab. 1 - Titoli e partecipanti italiani ai progetti approvati nei tre bandi promossi dal Reg. EU 1467/94 Titolo e codice del progetto Res Gen 12 European gene banking project for pig genetic resources Res Gen 37 Constitution, description et gestion dynamique des ressources genetique du riz (Oryza sativa) a vocation europeenne Gen Res 42 Evaluation and enhancement of Beta collection for extensification of agricultural production Gen Res 60 Inventory, characterization, evaluation conservation and utilization of european rabbit genetic resources Gen Res 61 International network on Prunus Genetic Resources Partecipanti italiani al progetto Istituzione scientifica PRIMO BANDO G. Gandini C. Bignami I. Chessa E. Bellini T. Caruso G. Grassi C. Xiloyannis G. Cacco E. Barone Università di Milano Università della Tuscia - Viterbo Università di Sassari Università di Firenze Università Federico II - Napoli Ist. Sper. per la Frutticoltura - Caserta Università della Basilicata - Potenza Università di Reggio Calabria Università di Palermo S. Russo Ist. Sperim. per la Cerealicoltura - Vercelli E. Deambrogio E. Biancardi Società Produttori Sementi spa - Bologna Ist. Sperim. per le Colture Industriali Rovigo G. Masoero Ist. Sperim. per la Zootecnia - Torino F. Grassi G. Me A. Roversi F. Cossio D. Bassi G. Rosselli E. Bellini G. Pugliano Ist. Sperim. per la Frutticoltura - Roma Università di Torino Università del Sacro Cuore - Piacenza Ist. Sperim. di Frutticoltura - Verona Università di Bologna CNR - Firenze Università di Firenze Università Federico II - Napoli SECONDO BANDO Res Gen 78 Coordination for conservation, characterization, collection and utilization of genetic resources of European Elms Gen Res 81 European network on grapevine genetic resources conservation and characterization Gen Res 83 A permanent inventory of European farm animal genetic resources and of activities on characterization, conservation and utilization of those resources Res Gen 88 Implementation of the European network for evaluation, conservation and utilization of European maize landraces genetic resources Gen Res 97 Conservation, characterization, collection and utilization of genetic resources in Olive (Olea europea) Gen Res 104 Evaluation and conservation of barley genetic resources to improve their accessibility to breeders in Europe Gen Res 105 The future of European carrot: A programme to conserve, characterize, evaluate and collect carrot and wild relatives Gen Res 107 Establishment of a permanent DNA archive and database for horse populations of the EU Gen Res 109 Brassica collection for broadening agricultural use Gen Res 113 Management, conservation and valorization of genetic resources of eggplants (Solanum species) Gen Res 118 Towards a strategy for the conservation of the genetic diversity of European cattle L. Mittempergher CNR - Firenze A.Schneider A. Costacurta L.R. De Micheli D. Matassino Università di Torino Ist. Sper. per la Viticoltura - Susegana (TV) Istituto Agrario di San Michele all’Adige (TN) Università di Udine European Association for Animal Production - Roma CONSDABI - Circello (BN) M. Motto Ist. Sper. per la Cerealicoltura - Bergamo P. Deidda A. Cimato F. Scaramuzzi N. Lombardo F.G. Crescimanno Università di Sassari CNR Firenze Università di Firenze Ist. Sper. per l’Olivicoltura - Rende (CS) Università di Palermo E. Peterlunger A. Nardone TERZO BANDO A. M. Stanca N. Di Fonzo Ist. Sper. per la Cerealicoltura Fiorenzuola d’Arda (PC) Ist. Sper. per la Cerealicoltura - Foggia L.F. D’Antuono Università di Bologna D. Matassino CONSDABI - Circello (BN) F. Branca Università di Catania G. Polignano CNR - Bari P. Ajmone-Marsan Università del Sacro Cuore - Piacenza 65 del potenziamento delle collezioni già presenti presso alcuni Istituti di ricerca e di sperimentazione agraria. Altre istituzioni potranno contribuire alla realizzazione del progetto con proprie risorse. L’Istituto per la patologia vegetale, in relazione alla specifica competenza istituzionale, coordina l’iniziativa che si articola in tre parti: • ricerca: curata dalle singole istituzioni, è mirata alla ottimizzazione delle tecniche di riconoscimento e alla conservazione dei microbi; • banca dati: sarà interattiva entro le istituzioni e verso l’esterno; • servizio: l’attività finale di servizio verrà curata dalle istituzioni di riferimento per ciascun aspetto. 3. Programma di conservazione di razze e popolazioni animali La necessità di salvaguardare le razze e popolazioni zootecniche a limitata diffusione è avvertita non soltanto per il loro intrinseco valore genetico, ma soprattutto per la conservazione e/o il ripristino di un rapporto uomo/animale/territorio in grado di soddisfare le ormai ineludibili esigenze ambientali. In tale ottica è stato avviato con il Consorzio per la sperimentazione, divulgazione e applicazione di biotecniche innovative (CONSABD), un programma di salvaguardia biogenetica delle razze a limitata diffusione, oramai conosciuto a livello internazionale. Infine, va ricordato che in attuazione del D.Lgs. n. 173 del 30 aprile 1998, la delibera CIPE 19 febbraio 1999 ha disposto lo stanziamento di lire 5 miliardi per la realizzazione di un programma nazionale, articolato in programmi operativi gestiti dalle Regioni, per il superamento della situazione di grave e persistente declino delle risorse genetiche animali e vegetali. Una quota parte di tali finanziamenti sarà destinata ad azioni orizzontali direttamente coordinate dal Ministero delle Politiche Agricole e Forestali. Progetto finalizzato “Centro di Coordinamento Risorse Genetiche Vegetali” Le attività del progetto finalizzato Centro di Coordinamento promosso dall’Istituto Sperimentale per la Frutticoltura (ISF) e finanziato dal Mi.P.A.F., constano di due azioni: una rivolta agli Istituti di Ricerca e Sperimentazione Agraria (IRSA) interessati al settore vegetale (azione 1); l’altra ai principali Istituti di ricerca italiani che si occupano di germoplasma frutticolo (azione 2). La prima azione ha come obiettivi generali la promozione della catalogazione del materiale (localizzazione della raccolta, la forma di catalogazione - seme, pianta, coltura in vitro, ecc.), la raccolta e l’informatizzazione dei dati riguardanti le collezioni e le singole accessioni; inoltre intende rappresentare un centro di collegamento e diffusione di informazioni provenienti da organismi internazionali, da segretariati di convenzioni internazionali e dall’Unione Europea (CBD, SBSTTA, FAO, UE, CGIAR, ecc.) e riguardanti iniziative sulle risorse genetiche vegetali (congressi, simposi, workshop, ecc.). Al fine di raggiungere i suddetti obiettivi, il Centro ha individuato i seguenti punti come prioritari nel primo anno di attività: • censire le accessioni collezionate presso gli IRSA del settore vegetale; • raccogliere i dati già acquisiti dai singoli istituti interessati in un database gestito dal Centro ed allestire una pagina Web; • uniformare le metodologie di caratterizzazione di tipo generale adottate dai singoli istituti; • rendere compatibili gli scambi di informazione tra le diverse istituzioni utilizzando un software comune; • pubblicare periodicamente una newsletter per informare sia gli Istituti di Ricerca e Sperimentazione Agricola (IRSA) interessati alle risorse genetiche vegetali che le altre amministrazioni ed enti di ricerca (MA, MURST, ENEA, CNR); • fornire un collegamento con altri centri analoghi nell’ambito dell’Unione Europea. L’inventario delle collezioni del materiale genetico vegetale presente nei 13 IRSA interessati alle risorse genetiche vegetali è stato effettuato sottoponendo a tali istituti un questionario approntato ad hoc dal Centro di Coordinamento RGV e atto a raccogliere informazioni sulla catalogazione, caratterizzazione, valutazione e modalità di conservazione delle accessioni. Nei 13 istituti (Tab. 2) sono complessivamente mantenute, principalmente ex situ, 129 specie tra foraggere e cerealicole, colture ortive ed industriali, generalmente conservate sotto forma di seme, e colture arboree da frutto, piante officinali, aromatiche ed ornamentali, mantenute principalmente in vivo. Sono presenti 27.166 accessioni totali, di cui circa il 33,5% di origine italiana, tra cui le più numerose appartengono a specie cerealicole (33,5% sul totale delle accessioni italiane) ed a specie arboree da frutto (24,8%), mentre il numero delle accessioni autoctone di piante ortive ed industriali risulta esiguo. La maggior parte del materiale conservato (Fig. 1) è composto da cultivar (33%) e da varietà non più coltivate (32%). La voce “altro” (19%) raccoglie le popolazioni di specie foraggere, le provenienze originali e cloni di specie forestali e, in generale, le selezioni. Il germoplasma della Toscana 66 Tab. 2 - Numero di accessioni (totali e italiane) e di specie conservate presso gli IRSA IRSA Accessioni Totale Ist. Sper. Agronomico Ist. Sper. per l’Agrumicoltura Ist. Sper. per l’Assestamento Forestale e Alpicoltura Ist. Sper. per la Cerealicoltura Ist. Sper. per le Colture Foraggere Ist. Sper. per le Colture Industriali Ist. Sper. per la Floricoltura Ist. Sper. per la Frutticoltura Ist. Sper. per l’Olivicoltura Ist. Sper. per l’Orticoltura Ist. Sper. per la Selvicoltura Ist. Sper. per il Tabacco Ist. Sper. per la Viticoltura Totali 207 550 54 9776 1991 938 392 5573 240 671 1309 1307 4158 27.166 Numero Specie Italia 164 260 26 3042 1822 226 165 2256 140 110 826 50 — 9.087 1 1 32 11 7 5 11 31 1 4 23 1 1 129 Fig. 1 - Tipo di materiale Fig. 2 - Utilizzazione del materiale La Fig. 2 illustra come viene impiegato il materiale vegetale conservato: mentre il 23% delle accessioni non ha alcun impiego, trattandosi di materiale che viene semplicemente mantenuto in collezione; il rimanente 77% viene utilizzato presso gli IRSA prin- cipalmente a scopo di ricerca (55%) e per il miglioramento genetico (30,5%). Lo scambio con altre istituzioni scientifiche e la fornitura a privati risultano limitati (rispettivamente il 12,5% ed il 2% dei casi di utilizzazione). 67 Dal questionario si sono ottenute inoltre informazioni circa: • il grado di valutazione del materiale collezionato, sia tramite metodi tradizionali di osservazioni in campo e rilevamenti di dati bioagronomici, che risultano essere i più utilizzati, sia tramite isoenzimi, RAPD, RFLP, AFLP e microsatelliti, ancora scarsamente impiegati; • i controlli sanitari periodici che, tranne qualche eccezione, risultano poco eseguiti. I diversi responsabili delle collezioni RGV degli IRSA del settore vegetale, grazie ad alcuni incontri organizzati dal Centro presso il Mi.P.A.F., hanno messo in luce la volontà di collaborare al fine di razionalizzare e promuovere sinergie tra le diverse attività relative alle RGV, così come di approfondire la caratterizzazione e la valutazione del materiale collezionato. Il raggiungimento di tali obiettivi si è concretizzato nella definizione di una descriptor list, in base alla quale si stanno raccogliendo, in forma di database, informazioni di base sul germoplasma vegetale conservato presso gli IRSA e sulle tipologie e tecniche conservative adottate. Inoltre è intenzione del Centro arrivare alla pubblicazione di un volume contenente un elenco e un insieme di informazioni sulle RGV di origine italiana conservate e mantenute presso gli IRSA aderenti al progetto. La seconda azione di cui il Centro di Coordinamento RGV si fa promotore consta delle seguenti attività: • Aggiornamento del censimento del germoplasma frutticolo condotto dall’ISF nel 1993; • standardizzazione delle schede utilizzate per la raccolta dei dati sulle accessioni presenti nelle collezioni conservative; • integrazione dei dati del censimento con dati di caratterizzazione, valutazione e di conservazione e relativa pubblicazione su supporto cartaceo; • inserimento dei dati raccolti in un database e rendere disponibile l’accesso per una rapida ed efficace consultazione; • pubblicazione periodica di una newsletter riguardante le risorse genetiche frutticole; • coordinamento e razionalizzazione Fig. 3 - Collaborazioni con Istituzioni di ricerca a livello italiano dell’attività di conservazione. Il Centro si avvale di una serie di collaborazioni sul territorio nazionale (Fig. 3) sia a livello universitario: la maggior parte delle facoltà di scienze agrarie, i dipartimenti e istituti di coltivazione arboree; sia a livello di istituti di ricerca quali CNR che di aziende di sperimentazione agraria. Collaborazioni con Istituzioni di ricerca a livello italiano • Dipartimento di Colture Arboree, Univ. Torino • Istituto di Coltivazioni Arboree, Univ. di Padova •Dipartimento di Colture Arboree, Univ. di Bologna • Azienda Agraria Sperimentale del CRPV, Regione Emilia-Romagna • Dip. di Coltivazione e Difesa delle Specie Legnose, Sez. di Coltivazioni Arboree, Univ. di Pisa • Istituto sulla Propagazione delle Specie Legnose, CNR - Firenze • Dipartimento di Ortoflorofrutticoltura, Univ. di Firenze • Dip. di Produzione Vegetale, Sez. di Ortofloroarboricoltura, Univ. della Tuscia - Viterbo • Dip. di Biotecnologie Agrarie ed Ambientali, Univ. di Ancona Il germoplasma della Toscana 68 Tab. 3 - Aggiornamento del censimento delle risorse genetiche frutticole Specie Actinidia Albicocco Avocado Azzeruolo Castagno Ciliegio Cotogno Feijoa Fico Fico d’India Fragola Kaki Mandorlo Melo Nashi Nespolo Nocciolo Noce Pecan Pero Pesco Piccoli frutti Pistacchio Susino Uva da tavola Totale 25 Censimento 1999 n. totale n. italiane 65 548 12 7 70 892 57 55 59 5 267 107 191 1901 48 57 104 77 14 931 1835 316 2 554 50 8224 0 264 0 7 35 438 20 21 57 3 46 14 68 455 0 37 48 34 0 383 702 3 2 179 29 2845 • Istituto di Coltivazioni Arboree, Univ. di Napoli • Istituto di Coltivazioni Arboree, Univ. di Bari • Istituto per la Fisiologia della Maturazione e della Conservazione del Frutto delle Specie Arboree Mediterranee, CNR - Sassari • Istituto di Coltivazioni Arboree, Univ. di Palermo • Azienda Agraria Sperimentale “Pantanello”, Metaponto, Regione Basilicata • Istituto Coltivazioni Arboree, Reggio Calabria • Centro Sperimentale Agrario – Laimburg (BZ). Ad un anno dall’inizio dell’attività del Centro, i risultati finora ottenuti per quanto riguarda l’aggiornamento del censimento delle risorse genetiche frutticole possono essere riassunti nella Tab. 3. Mettendo a confronto il censimento 1993 con quello 1999, si nota come il numero totale delle accessioni non risulta essere variato che di poco, a fronte di un aumento del numero delle specie conservate (avocado, azzeruolo, fico d’India, pistacchio e uva da tavola). Si osserva un incremento nel numero totale delle accessioni appartenenti ad alcune specie Censimento 1993 n. istituti n. totale n. italiane n. istituti 2 8 2 1 2 7 4 2 2 1 3 4 5 13 2 2 4 3 1 11 9 3 1 9 2 20 525 12 236 1 6 109 976 80 27 137 70 593 15 10 25 2 7 3 1 2 97 88 205 1823 39 22 100 54 13 1007 2067 246 26 5 121 275 0 19 41 7 0 184 721 1 1 4 3 13 2 1 4 3 1 11 9 2 596 120 8 8231 2481 quali la fragola (+2,1%), il melo (+0,9%) ed i piccoli frutti (+0,8%), mentre si rileva un decremento nel numero di accessioni di altre specie quali il pesco (-2,8), il ciliegio (-1,0%), il pero ed il fico (-0,9%). Le accessioni di origine italiana, in totale, risultano invece aumentate (+14,7%); in particolare si registra + 8,0% per il pero, + 7,2% per il melo e +2,4% per il susino, mentre il ciliegio ed il mandorlo presentano un decremento nel numero delle accessioni rispettivo di - 4,4 % e di - 2,1%. Nell’ambito del censimento 1999, particolarmente preoccupante è il dato riportato in Tab. 4 dove il 76% delle accessioni collezionate sono mantenute in un unico istituto, quindi con un alto rischio di perdita del materiale conservato, e solo il restante 24% risulta essere presente in duplicato in più istituti. È stato affrontato un grosso lavoro di formulazione di descriptor list generali e specifiche volte alla facilitazione della raccolta di dati informativi sia sulla caratterizzazione delle singole accessioni che sulla collezione. L’aggiornamento e l’integrazione delle informa- 69 Tab. 4 - Percentuale di duplicazione delle accessioni censite Specie Actinidia Albicocco Avocado Azzeruolo Castagno Ciliegio Cotogno Feijoa Fico Fico d’India Fragola Kaki Mandorlo Melo Nashi Nespolo Nocciolo Noce Pecan Pero Pesco Piccoli frutti Pistacchio Susino Uva da tavola Totale Censimento 1999 n. totale accessioni % accessioni presenti in 1 istituto 65 548 12 7 70 892 57 55 59 5 267 107 191 1901 48 57 104 77 14 931 1835 316 2 554 50 8224 98 75 50 100 94 83 72 49 100 100 78 38 79 70 54 77 43 71 100 69 84 62 100 82 100 76% zioni anche in forma elettronica è tuttora in atto e si presume che entro la primavera il Centro potrà rendere disponibile l’accesso al database, così allestito, per una rapida ed efficace consultazione sia su supporto cartaceo che on line. L’intera attività del Centro, insieme a vari altri articoli e contributi riguardanti tematiche nazionali, europee ed internazionali sulla salvaguardia e valo- % accessioni presenti in 2 istituti 2 5 50 — 6 6 17 51 — — 13 43 15 22 46 33 55 27 — 25 6 35 — 9 — 16% % accessioni presenti in più di 3 istituti — 20 — — — 11 10 — — — 9 19 6 8 — — 2 2 — 6 10 3 — 9 — 8% rizzazione delle risorse genetiche vegetali e, più in generale sull’agrobiodiversità, vengono pubblicati a cura del Centro stesso su un notiziario, ormai al terzo numero, che gratuitamente viene spedito agli interessati in materia ed è consultabile sui siti Internet: http://www.inea.it/isf/progrgv.html e http://www.inea.it/isf/rg.html. Interventi 73 Varietà locali e risorse fitogenetiche: la posizione dell’industria sementiera Anselmo Stella Presidente A.I.S - Associazione Italiana Sementi, Bologna I costitutori di nuove varietà e le ditte sementiere sono favorevoli e sostengono la Convenzione di Rio de Janeiro sulla biodiversità, in particolare per quanto attiene la conservazione, l’accesso e l’utilizzazione sostenibile di tutte le più svariate risorse genetiche vegetali. Il lavoro del ricercatore e costitutore di nuove varietà vegetali trae origine dalla presenza di una diversità genetica ed è tanto più facilitato quanto maggiori sono le differenze e la distanza genetica all’interno del materiale o della popolazione in corso di studio e selezione. La conservazione della biodiversità, cioè delle risorse genetiche, non deve pertanto essere vista come una mera operazione conservativa dell’esistente, quanto un’azione indispensabile per salvaguardare ed assicurare il futuro lavoro di miglioramento delle varietà coltivate. Il quadro normativo sementiero attuale L’innovazione varietale e la produzione sementiera hanno un ruolo rilevante per assicurare la quantità e qualità delle produzioni agricole e la sicurezza alimentare. Queste due preoccupazioni sono alla base della disciplina sementiera comunitaria e nazionale, adottata negli anni Sessanta-Settanta, e che è caratterizzata per le specie agricole ed orticole più coltivate dai seguenti due aspetti: a) le varietà commercializzabili debbono essere iscritte nel Registro nazionale e comunitario. L’iscrizione delle nuove varietà viene disposta solo dopo una verifica delle loro caratteristiche di novità, stabilità ed omogeneità, nonché delle qualità agronomiche e di utilizzazione; b) le sementi possono essere poste in commercio solo se sono state ufficialmente certificate. Nel caso delle sementi ortive è ammessa l’autocerti- ficazione, con controllo ufficiale a posteriori, nella categoria “standard”. In questo modo è realizzata una attenta vigilanza ufficiale affinché venga fornito all’agricoltore un mezzo tecnico molto importante, quale il seme, che deve appartenere dapprima ad una varietà le cui caratteristiche sono state valutate e che poi deve essere stato prodotto sottoponendolo a controlli per quanto concerne la purezza, la germinabilità e lo stato sanitario. Il sistema del registro obbligatorio delle varietà e della certificazione delle sementi consente inoltre all’industria sementiera di portare avanti il lavoro di selezione varietale e miglioramento genetico, senza il quale — è bene tenerlo presente — il progresso varietale sarebbe estremamente limitato o nullo ed in breve la competitività o l’economicità di una coltura si ridurrebbe drasticamente. Attraverso il seme venduto affluiscono quindi alla ricerca risorse per progredire nella selezione e messa a punto di nuove varietà, migliorate rispetto alle precedenti, talvolta in termini di produttività, sempre più spesso in termini qualitativi, di resistenza ai patogeni o a certe situazioni ambientali sfavorevoli e di resa industriale. La nuova Direttiva 98/95/CEE La Direttiva del Consiglio n. 98/95/CEE del 14 dicembre 1998, adottata per aggiornare la disciplina sementiera e per cercare di meglio armonizzare tra i diversi paesi membri dell’Unione Europea le norme per la certificazione e la commercializzazione delle sementi, riconoscendo il principio della necessità di conservare le risorse genetiche ha ammesso la possibilità della conservazione di specie minacciate dall’erosione genetica mediante l’utilizzazione in situ. La direttiva ha pertanto attribuito al Comitato Il germoplasma della Toscana 74 permanente sementi il compito di stabilire specifiche condizioni operative per l’applicazione del principio sopra enunciato. Queste norme applicative non sono tuttavia ancora state emanate. Al fine di una più approfondita riflessione e in attesa di conoscere tali criteri applicativi, è comunque opportuno ricordare che la direttiva 98/95/CEE dispone in sintesi che: a) le norme specifiche debbono riguardare “la conservazione in situ e l’utilizzazione sostenibile di risorse fitogenetiche mediante la coltivazione e la commercializzazione di sementi di specie e varietà adatte alle condizioni naturali locali e regionali e minacciate dall’erosione genetica”; b) le specie e le varietà oggetto di questa particolare disciplina debbono venire accettate ufficialmente, conformemente alle disposizioni delle direttive sementiere. Possono tuttavia venire esentate dall’obbligo di un esame ufficiale se sono ritenuti sufficienti gli elementi descrittivi ed i risultati di valutazioni non ufficiali acquisiti con l’esperienza pratica e l’impiego; c) dopo l’accettazione, questi materiali sono indicati nel Catalogo comune come “varietà da conservazione”; d) debbono essere previste adeguate restrizioni quantitative per la commercializzazione; e) le sementi debbono essere di provenienza nota, approvata dall’Autorità competente di ciascuno Stato membro ai fini della commercializzazione negli specifici settori. La posizione dell’industria sementiera L’industria sementiera avrebbe certamente preferito che l’applicazione dei principi in materia di salvaguardia delle risorse genetiche, contenuti nella Convenzione sulla biodiversità, avesse trovato spazio con norme specifiche, e non nell’ambito di una disciplina sementiera che si preoccupa fondamentalmente di dettare regole rigide e onerose per la produzione e la commercializzazione del seme. Il timore della categoria è che consentendo ai materiali di conservazione di essere posti in commercio senza opportune restrizioni possa svilupparsi un mercato parallelo di prodotti sementieri, soggetti a norme molto meno rigide e tali quindi da prestarsi per operazioni non del tutto corrette. Le aziende sementiere ed i costitutori ritengono opportuno evidenziare ai legislatori che dovranno predisporre le norme in ambito comunitario e nazionale per completare quanto previsto dalla direttiva 98/95/CEE, le seguenti considerazioni: 1) è innanzitutto necessario definire con precisione che cosa si intende per “materiale o varietà da conservazione”, ovvero quali sono le risorse genetiche vegetali che saranno soggette alla nuove norme individuate nell’ambito della disciplina sementiera e quelle che rientrano invece semplicemente nel campo di applicazione del Reg. CEE 1467/94 sulla conservazione, caratterizzazione, raccolta ed utilizzazione delle risorse genetiche in agricoltura. Pensiamo che un interesse pur se molto limitato di tipo commerciale debba imporre di collocare i materiali di cui si tratta all’interno della direttiva sementi. Nel caso delle specie da orto potrebbe essere questo il caso delle vecchie varietà che oggi possiamo definire “amatoriali”, per le quali esiste ancora un certo interesse commerciale, ma non tale da giustificare l’oneroso lavoro di continua selezione e conservazione necessario per il mantenimento dell’iscrizione nel Registro secondo i canoni attuali; 2) le varietà di cui esiste un costitutore o avente causa che è stato riconosciuto non possono essere incluse tra le risorse genetiche minacciate di erosione genetica se non con il consenso ed il coinvolgimento del costitutore stesso. Inoltre, finché una varietà risulta regolarmente iscritta in un Registro nazionale o nel catalogo comune non può venire inclusa tra i materiali da conservazione; 3) l’accettazione di un materiale quale risorsa fitogenetica deve essere stabilita da un organismo ufficiale, con riconosciuta competenza, il quale dovrà descrivere accuratamente le sue caratteristiche e gli aspetti qualitativi ai fini della identificazione nelle fasi successive ed individuarne altresì il responsabile della conservazione. Un campione di seme deve essere messo a disposizione dell’organo cui è demandato il riconoscimento e per quanto concerne il requisito varietale dell’omogeneità potranno ovviamente venire tollerati livelli di purezza inferiori a quelli richiesti per le varietà normali; 4) un miscuglio di sementi di specie diverse non può essere in sé riconosciuto quale materiale da conservazione. Può venire tuttavia ammessa la distribuzione di miscugli composti da più varietà riconosciute da conservazione, così come da varietà certificate e da varietà da conservazione; 5) la denominazione del materiale da conservazione non deve essere confondibile con le denominazioni di varietà iscritte nella Comunità o elencate nelle liste varietali OCSE; 6) l’etichettatura deve assicurare l’identificazione 75 certa del materiale di cui si tratta e non prestarsi a confondersi con le differenti etichette ufficiali prescritte dalla vigente disciplina sementiera a seconda delle categorie di certificazione; 7) la produzione del seme che poi in seguito potrà venire commercializzato dovrà comunque essere oggetto di controllo ufficiale. Per quanto riguarda la purezza meccanica e la germinabilità potranno essere ammessi valori leggermente inferiori ai minimi stabiliti dalla legge sementiera, tuttavia nessuna deroga può venire tollerata per quanto concerne i requisitì fitosanitari; 8) le autorità comunitarie e/o nazionali debbono infine stabilire i quantitativi massimi — da intendersi sia per singola confezione unitaria di vendita, che come quantitativo complessivamente commercializzato nel corso di una campagna — che potranno essere prodotti e posti in commercio ovviamente da figure in possesso della licenza di produzione sementiera; 9) l’area di diffusione, cioè di commercializzazione dei materiali in questione dovrà essere anch’essa stabilita e controllata dall’autorità ufficiale. Se una varietà che è stata regolarmente iscritta può venire commercializzata in tutta l’Unione Europea senza alcun limite, per quanto concerne i limiti quantitativi e di area di diffusione che dovranno essere individuati per questi nuovi materiali possiamo ipotizzare: • per le vecchie varietà che sono state in precedenza iscritte nel Registro, semplicemente un limite quantitativo alle quantità commercializzabili, senza però alcuna restrizione nell’area di diffusione. Trattandosi infatti di prodotti che hanno avuto una larga diffusione, riteniamo che questa prerogativa non possa venire soppressa; • per i materiali individuati ex novo effettivamente quali “varietà da conservazione”, accanto al limite quantitativo dovrà esserci invece anche una restrizione locale o regionale nella zona di distribuzione. La direttiva 98/95/CEE parla infatti di “conservazione in situ” e quindi questi materiali dovranno venire espressamente distribuiti nelle aree di destinazione elettiva. L’industria sementiera vive il rapporto con le risorse vegetali autoctone in modo molto differenziato, a seconda delle specie in esame. Nel settore delle orticole, che presenta una grandissima varietà di specie e di varietà e dove il prodotto ottenuto viene consumato direttamente tal quale, l’interesse verso le vecchie varietà o le varietà locali è immediato e più vivo. Diversa è l’attenzione da parte di chi si occupa di foraggere o di cereali ad esempio, specie per le quali è obbligatoria la commercializzazio- ne di seme certificato ufficialmente. Il compito delle autorità che sono chiamate a stabilire di qui a breve le norme applicative per le “varietà di conservazione” è molto delicato. Dovranno infatti trovare un giusto equilibrio affinché nel perseguire il nobile intento di meglio assicurare la conservazione del materiale genetico autoctono, non venga destabilizzato l’intero quadro della disciplina sementiera, ma soprattutto non venga leso il ciclo del miglioramento genetico che — fino a prova contraria — è tuttora indispensabile per essere più competitivi sul mercato e migliorare i diversi aspetti quali-quantitivi delle produzioni. L’iniziativa della Regione Toscana La Legge n. 50 della Regione Toscana del 16 luglio 1997 costituisce un concreto e lodevole esempio per la salvaguardia e la valorizzazione delle risorse genetiche locali. Il programma di intervento in fase di realizzazione e che si basa sulla individuazione di un elenco di “coltivatori custodi” ai quali affidare il compito di moltiplicare in situ e restituire il campione di seme riprodotto, ci porta a giudicare questa iniziativa regionale a pieno titolo tra le attività previste dal Regolamento 1467/94, cioè tra le operazioni di conservazione. Non è infatti prevista in alcun modo per ora la commercializzazione dei materiali riprodotti, anzi con molta correttezza nel programma di intervento regionale è espressamente indicato che l’eventuale reintroduzione di alcune cultivar nelle proprie aree di vocazione avverrà solo se fattibile nel rispetto delle norme in materia di registro varietale, quindi delle norme della disciplina sementiera comunitaria e nazionale. Come aziende sementiere non possiamo non trovarci d’accordo e confidiamo che le osservazioni da noi espresse possano contribuire a meglio individuare a livello comunitario e nazionale criteri applicativi razionali e rispettosi delle esigenze di tutte le parti coinvolte. Se ci è consentita qualche puntualizzazione sul lavoro portato avanti dalla Regione Toscana e dall’ARSIA, vorremmo sottolineare che: • affinché il lavoro avviato possa trovare la migliore valorizzazione, occorre che esso venga pubblicizzato adeguatamente per consentire anche a coloro che fanno ricerca varietale e costituiscono nuove varietà di potersene avvalere nel rispetto di precisi accordi secondo il principio della condivisione dei benefici che ne risulteranno. L’iniziativa non deve proporsi come strumento Il germoplasma della Toscana 76 per restringere l’accesso alle risorse genetiche, bensì per conservarle e proporle per una eventuale valorizzazione ed utilizzazione successiva; • le specie e le varietà inseribili nel programma debbono essere scelte con attenzione, soprattutto se poi vengono presentate come germoplasma della Toscana. È infatti noto a questo proposito il dibattito che spesso si ripresenta nella conferenze internazionali sulla questione dei centri di origine e dei centri di successiva diversificazione delle risorse genetiche. Alcune varietà da orto riportate nella pubblicazione che è stata di recente pubblicata sulle specie erbacee (ad esempio, la cipolla rossa di Firenze, la cipolla rossa savonese, la lattuga quattro stagioni, il pomodoro costoluto fiorentino, la melanzana violetta di Firenze), sono peraltro regolarmente iscritte nel Registro varietale nazionale ed a questo riguardo non si può non accennare al lavoro di caratterizzazione delle varietà di specie ortive commercializzate in Italia prima del luglio 1970, ai fini della loro reiscrizione nel Registro, che l’ENSE su incarico del Ministero delle Politiche Agricole e Forestali sta portando avanti con la collaborazione dell’AIS; • i materiali debbono venire descritti ed individuati con maggiore precisione. Il semplice riferimento alla specie è a nostro giudizio insufficiente. Sarebbe poi molto utile riportare elementi di confronto o paragone con varietà diffusamente coltivate. Come rappresentanti dell’industria sementiera vogliamo comunque esprimere il nostro interesse ad essere concretamente coinvolti nelle iniziative attinenti questa importante materia. 77 La Provincia di Grosseto ed il Sistema Territoriale di Qualità Valter Nunziatini Amministrazione Provinciale di Grosseto Vi porto il saluto della Provincia di Grosseto, doveva farlo personalmente l’Assessore allo Sviluppo Rurale, prof. Pacciani, che non può essere presente per imprevisti motivi personali. Un ringraziamento non formale agli organizzatori del convegno, non solo per l’ottima riuscita dello stesso, ma anche perché su una tematica così rilevante come quella che viene dibattuta oggi, ci è consentito di esprimere il punto di vista di un Ente come la Provincia di Grosseto, che da tempo riteniamo ha dimostrato una particolare sensibilità rispetto a tali problematiche. Il nostro ragionamento non può che partire da una premessa: come è noto la nostra Amministrazione, in linea con le indicazioni programmatiche della Regione Toscana, è impegnata a realizzare per la Provicnia di Grosseto un “sistema territoriale di qualità” che assuma i connotati di “Distretto Rurale”. I documenti programmatici della Provincia fin dal 1996 citano testualmente: “L’obiettivo del Distretto è quello di concorrere alla crescita dell’occupazione della provincia ed al suo sviluppo economico, assumendo la sostenibilità e l’innovazione come principi fondamentali, con un percorso ed una metodologia di programmazione che assuma i criteri della concertazione, concentrazione delle risorse, concretezza, credibilità e convergenza come elementi distintivi. La realizzazione del progetto non può che partire dalla ricognizione delle risorse territoriali e dalla loro “messa a sistema”, per la definizione di un modello di “sviluppo sostenibile” fondato sul recupero dei legami nell’ambito del mondo rurale, tra l’agricoltura e le altre attività economiche, il territorio e l’ambiente, basandosi sulle produzioni tipiche e sulla biodiversità, sui servizi di qualità, sul rispetto del paesaggio e delle risorse naturali e faccia leva sulla cultura, la storia, le tradizioni locali e quindi sull’immagine complessiva del territorio”. Questa premessa per evidenziare come, la salvaguardia e valorizzazione delle risorse genetiche autoctone e delle produzioni tipiche di qualità rappresentino i cardini su cui fondare la realizzazione del “Sistema Qualità Maremma”. Per dare seguito a questi principi, l’Amministrazione Provinciale, di concerto con gli altri soggetti pubblici e privati interessati ha avviato alcune progettualità che voglio sinteticamente ricordare. È in fase di predisposizione il progetto provinciale denominato “ciclo delle stagioni” che ben si inserisce anche nelle azioni previste dal decreto legislativo 173/98. Il progetto ha l’ambizione di valorizzare la tipicità dei prodotti della Maremma, unitamente alla presenza dell’uomo ed al lavoro che lo ha determinato, evidenziando quindi l’ecosistema di provenienza, ma anche le attività popolari, storiche e culturali legate a quel determinato prodotto ed a quella specifica area, in una visione di insieme che sappia coniugare appunto il territorio con le tradizioni di un popolo ed un prodotto di alto livello qualitativo. Solo in questa logica crediamo che il prodotto stesso possa fregiarsi del titolo di “tipico”. Riteniamo, inoltre, che promuovere la tutela delle biodiversità animali e vegetali, sia intesa non solo come mantenimento di un equilibrio biologico ma anche come presupposto per la costituzione di una banca genetica di altissimo valore, in grado di garantire il progresso biologico, ambientale, agricolo e scientifico in genere, in particolare per la provincia di Grosseto, dove gli esempi rappresentano molto di più di un semplice patrimonio genetico, ma fanno parte della storia della cultura e delle tradizioni della Maremma. Il poster che abbiamo preparato vuol dare questo Il germoplasma della Toscana 78 significato. La “vacca ed il cavallo maremmano”, il “cinghiale ed il segugio”, il “miccio amiatino”, così come il vitigno “Ansonica”, le cultivar di olivo “Seggianese” e “Scarlinese”, il “riso”, le essenze officinali o della macchia mediterranea per fare alcuni esempi, sono parte integrante della cultura di questo territorio ed al tempo stesso rappresentano un potenziale per la valorizzazione futura del territorio stesso integrandosi perfettamente con le risorse ambientali della Maremma (parchi, oasi naturali, ecc.). L’Amministrazione Provinciale ha attivato una convenzione con il CNR per la valorizzazione del germoplasma dell’olivo, ed in perfetta sintonia con le indicazioni regionali è stato approvato ai sensi della L.R. 32/90 un progetto di tutela e valorizzazione delle tipicità e biodiversità della Maremma. Il progetto verrà realizzato di concerto con l’ARSIA e la collaborazione delle organizzazioni professionali agricole; al momento si sta procedendo alla mappatura sia dei prodotti tipici, sia delle biodiversità. L’applicazione della L.R. 50/97 favorirà ulteriormente la buona riuscita del progetto che intende sviluppare anche una metodologia di intervento che preveda oltre alla mappatura, una ipotesi di tutela, valorizzazione e promozione delle risorse genetiche autoctone. Per favorire la realizzazione di tale progettualità si ritiene indispensabile convogliare risorse ed energie, sia in termini finanziari che programmatici (es. applicazione iniziativa comunitaria LEADER PLUS). L’Amministrazione Provinciale intende svolgere altresì una azione di coordinamento nei confronti di altri soggetti pubblici (in particolare Comuni e Comunità Montane) oltre ai soggetti privati interessati, per garantire in particolare il coinvolgimento delle comunità locali al fine anche di un recupero delle identità territoriali. Crediamo opportuno pertanto, anche in funzione dell’applicazione della L.R. 50/97 rafforzare il rapporto di collaborazione tra l’Amministrazione Provinciale, la Regione Toscana e l’ARSIA affinché sia sviluppato congiuntamente (contenuti e metodo) il progetto della Provincia di Grosseto, la cui metodologia appunto, potrà essere trasferita o utilizzata in altre realtà Toscane. - 79 Collezione, conservazione e studio del germoplasma di specie di interesse agrario della regione Abruzzo Donato Silveri ARSSA - Regione Abruzzo Desidero iniziare questo intervento ringraziando la Regione Toscana e l’ARSIA per l’occasione di confronto e di riflessione che oggi ci sta offrendo. Aggiungo un particolare riconoscimento per il lavoro che in forma pionieristica è stato da essi avviato in passato e che, in un certo senso ha segnato una traccia per chi, come noi si è mosso successivamente. Il nostro progetto è nato dalla percezione molto forte di assistere all’abbandono o alla scomparsa, di una enorme quantità di valori che fino ad ora avevano caratterizzato la vita nelle nostre zone rurali, valori legati a piatti, a ricorrenze, a cerimonie, a conoscenze tecniche, o più semplicemente a sapori, patrimonio della civiltà contadina e della cultura popolare. Questa perdita, strisciante, per le colture erbacee, in particolare, per le ortive, è clamorosa per le colture arboree in quanto verificabile visivamente con il mutare del paesaggio. Durante le fasi acute di abbandono dell’agricoltura, verificatesi nel corso degli anni Sessanta e Settanta e con il progressivo e conseguente diffondersi della meccanizzazione, l’albero da frutto diventava un noioso ostacolo al lavoro delle macchine, ed è stato in questo periodo che si è avuta la decimazione di tanta parte del patrimonio arboricolo regionale. Partendo da queste considerazioni l’ARSSA e quindi la Regione Abruzzo, utilizzando fondi U.E. (P.O.M. Programma Operativo Monofondo), ultima tranche di finanziamenti per la regione prima dell’uscita dall’Obiettivo 1, ha avviato il progetto denominato “Collezione, conservazione e studio del germoplasma di specie di interesse agrario della regione Abruzzo”. Per la messa a punto del progetto ci si è avvalsi della collaborazione tecnico scientifica dell’Istituto di Miglioramento Genetico Vegetale dell’Università degli Studi di Perugia, nella persona del Prof. Fabio Veronesi, sotto la cui responsabilità scientifica hanno lavorato alcuni specialisti della materia. Il progetto ha preso in considerazione 12 diverse specie, scelte fra le molte che erano interessanti. La scelta è stata fatta tenendo in considerazione essenzialmente due aspetti: la “fragilità”, o meglio, il supposto grado di erosione genetica di quella determinata specie, e l’importanza della stessa nel panorama regionale delle specie tradizionali. Raccolte in quattro gruppi, le specie su cui verte il progetto sono le seguenti: • settore cerealicolo: grano tenero, grano duro, farro; • settore orticolo: pomodoro, peperone; • leguminose da granella: cece, lenticchia, fagiolo, fagiolo dall’occhio; • piante arboree: melo, pero, mandorlo. È necessario aggiungere che in regione non esiste un censimento delle specie e delle varietà in pericolo di erosione genetica ed in alcune sedi ci è stato obiettato che forse sarebbe stato più opportuno mettere in cantiere un progetto con quella finalità. Secondo la nostra percezione, invece, si sarebbe corso il rischio di perdere tantissimo materiale interessante nel tempo occorrente a censire ed a trovare una successiva occasione di finanziamento per iniziare l’attività di raccolta e conservazione. Come effettuare la conservazione? La via di conservazione scelta è di tipo tradizionale: conservazione ex situ mediante la costituzione di una banca refrigerata di semi per le piante erbacee e l’impianto di 3 campi catalogo, uno per ciascuna delle specie arboree. Nello stesso tempo non abbiamo escluso l’individuazione, presso aziende particolari, della figura di agricoltore custode, consapevoli dell’importanza della conservazione in situ (uno dei meriti dell’attività svolta dalla Regione Toscana è quello di aver coniato e diffuso la termi- Il germoplasma della Toscana 80 nologia ora correntemente usata da chi lavora in questo campo). Sui singoli comparti ci siamo avvalsi della collaborazione di alcuni esperti: • per la cerealicoltura il CERMIS di Abbadia di Fiastra (MC), nella persona della dott.ssa Oriana Porfiri; • per le colture ortive dei dott.ri Giovanni Cerretelli e Antonia De Meo, collaboratori della Regione Toscana; • per le leguminose abbiamo avuto come riferimento l’esperienza dell’Istituto stesso, in particolare sul fagiolo dall’occhio e lenticchia, nella persona del dott. Renzo Torricelli; • per le colture arboree la dott.ssa Isabella Dalla Ragione. Il lavoro si è svolto nell’arco di circa due anni e si è rivelato molto proficuo ed interessante, in un certo senso siamo stati rassicurati dalla relativa abbondanza dei materiali trovati in quasi tutti i comparti. Ancora relativamente diffusa è la cultura della riproduzione in proprio delle sementi, soprattutto per alcune ortive (vedi pomodoro e fagiolo). In totale sono state raccolte circa 100 accessioni: • cereali: molto interessante la “solina” grano tenero di cui si trovano tracce in pubblicazioni del Settecento; tra i frumenti duri si sono trovati tra gli altri dei senatori Cappelli ecotipizzati ed un ecotipo derivato dalla varietà siciliana “Rossia” la cui storia è piuttosto singolare, portata in Abruzzo da un confinato siciliano negli anni Trenta, è restata ed adattata alla coltivazione a 1000 metri di quota. • leguminose: interessante la lenticchia di Santo Stefano di Sessanio coltivata a 1400-1600 metri s.l.m., ed alcune popolazioni di fagiolo dall’occhio; • ortive: si rinvengono ancora alcune popolazioni di pomodoro, soprattutto nella zona litoranea, mentre nelle zone interne si rinvengono numerosi ecotipi di fagiolo, sia vulgaris che coccineus; • arboree: numerose le mele, in particolare la “limoncella”, la mela “gelata”, la mela “zitella”; tra le pere la pera San Francesco, la pera “mazzuta” destinata ad essere conservata sott’aceto. Di particolare interesse, anche dal punto di vista storico risulta poi il germoplasma di mandorlo, una specie che assume fra l’altro una notevole valenza paesaggistica soprattutto per le zone interne. Accanto a quello esposto voglio ricordare un secondo progetto, precedentemente attivato in regione, concernente la collezione e la caratterizzazione di popolazioni locali di erba medica e di leguminose annue autoriseminanti, condotto anche al fine di selezionare materiali autoctoni direttamente utilizzabili per la foraggicoltura e per la conservazione del territorio nelle regioni del centro Italia. 81 Associazione Agricoltori Custodi: la storia, le motivazioni, l’attività Rossella Michelotti Associazione Agricoltori Custodi L’Associazione Agricoltori Custodi si è costituita ufficialmente il 17 giugno 1999 con l’obbiettivo di dare un contributo concreto alla salvaguardia delle razze animali e delle varietà vegetali autoctone del Valdarno e dell’intera regione, allevate e coltivate dall’uomo che rischiano la scomparsa; con l’industrializzazione dell’agricoltura la forte specializzazione delle aziende ed il mondo della ricerca in grado di fornire varietà sempre più produttive (prima con gli ibridi ed oggi con la manipolazione genetica), rischia di soccombere il “germoplasma locale”. Inoltre, sono assai cambiati i modelli di consumo, la globalizzazione dei mercati compresi quelli agro-alimentari porta ad un processo di uniformità di gusti, non si tratta solo di omogeneizzazione, ma di un vero trionfo del commercio, del consumismo, dell’omologazione; il consumo quantitativo è visto come unica attività umana. Gli effetti della globalizzazione sono molto più vicini di quanto pensiamo alla nostra vita quotidiana, le giovani generazioni spesso si nutrono solo di hambuger, patate fritte, coca cola e pastine confezionate, tutti prodotti slegati dalla terra che li ha prodotti. Il germoplasma locale invece è frutto del lavoro e della selezione effettuata dagli agricoltori in ogni habitat, alla ricerca di cultivar adatte alle differenti condizioni climatiche e pedologiche; e che, con il passare del tempo, hanno dato luogo ad un processo di coevoluzione degli uomini con i suoi semi, basti ricordare il senso di appartenenza che alcuni piatti generano in tutti noi (la cultura gastronomica in ogni zona si è evoluta sulle cultivar locali e razze autoctone) ed il senso di gelosia che troviamo negli agricoltori verso i propri semi. Una strada possibile per l’effettivo sviluppo dell’agricoltura è quindi quella che si rivolge ai consu- matori, che combattono contro un impoverimento del gusto e che chiedono il diritto di mangiare quello che vogliono, forse di consumare di meno ma con contenuti qualitativi superiori. L’Associazione si è strutturata come commerciale poiché si ritiene che la promozione ed il mantenimento dei prodotti tipici passa anche attraverso una loro valorizzazione commerciale indirizzata a consumatori consapevoli. Le motivazioni che hanno indotto gli associati ad impegnarsi in questa impresa non hanno solo valenza locale, ma sicuramente planetaria poiché in questo fine secolo la biodiversità delle specie coltivate si sta riducendo velocemente in tutto il mondo, infatti l’organizzazione sociale, l’omogeneizzazione dei mercati, gli effetti della globalizzazione portano alla selezione di un numero limitato di specie e varietà, basti pensare che in 25 forniscono il 90% degli alimenti destinati all’uomo, e solo tre (mais, grano e riso) circa il 75% e sono controllati per un 50% da una singola multinazionale; quindi è per una pluralità di motivi che occorre coltivare specie autoctone. Per questo riteniamo importante l’impegno dell’ARSIA sulla valorizzazione del germoplasma della nostra regione e quello della Regione Toscana con le leggi n. 15 del 1997 per la salvaguardia e valorizzazione delle attività rurali in via di cessazione e n. 50 del 1997 sulla tutela delle risorse genetiche autoctone vegetali. Le motivazioni per cui è importante la salvaguardia di queste risorse riguardano innanzi tutto questioni di compatibilità ambientale e rendere l’agricoltura sempre più sostenibile sia a livello locale che mondiale, infatti la variabilità genetica costituisce una risposta allo stress, agli attacchi parassitari e alle modificazioni dell’ambiente; anche la nostra Il germoplasma della Toscana 82 regione presenta in alcune zone un aumento della virulenza dei patogeni, l’inquinamento della falda acquifera, una diminuita fertilità del suolo e contribuisce alla sovrapproduzione di alcuni specie, inoltre alcune varietà vegetali possono avere caratteristiche produttive interessanti e non ancora conosciute. La situazione attuale, considerando anche la questione della privatizzazione delle risorse genetiche e dei brevetti sulle varietà e specie di interesse alimentare, non può che essere valutata con preoccupazione; inoltre solo gli agricoltori più grandi traggono beneficio dai programmi di miglioramento genetico, la nostra regione e l’Italia è caratterizzata da aziende di piccole dimensioni. Vi è anche una valenza economica legata all’apprezzamento del paesaggio toscano da parte degli stranieri, l’ambiente è molto vario proprio in relazione alla diffusione di un patrimonio vegetale diverso in ogni zona. Infine la competizione a livello mondiale sulle poche specie che coprono la quota più elevata del commercio mondiale si gioca tra i colossi che controllano i mercati, l’Italia per le sue condizioni agronomiche, pedologiche e climatiche (vi è una prevalenza di territorio collinare e montano) né è esclusa; ma vi è un 10% della domanda (ed è in crescita) che chiede prodotti di qualità, occorre quindi puntare sulla diversificazione, e legare la nostra immagine alle tradizioni culinarie locali e del nostro paese, basti ricordare che i migliori ristoranti nel mondo spesso utilizzano prodotti italiani. Le ripercussioni dell’erosione genetica in Toscana sono difficilmente quantificabili, ma sicuramente in grado di modificare l’equilibrio ecologico, basti pensare alla minore variabilità di risposte al mutare delle condizioni ambientali, il germoplasma è un’eredità a disposizione di tutti e deve esserlo anche per le future generazioni. L’attività è iniziata da qualche anno con una dichiarazione di impegno di alcuni agricoltori di costituirsi in associazione, in questo periodo abbiamo assistito all’individuazione di un numero crescente di varietà sia ortive, sia di fruttiferi tipici ed è iniziata la collaborazione con l’ARSIA per la “prima ricognizione sintetica per una mappatura dei prodotti tipici toscani”. Il recupero di molte cultivar è avvenuto soprattutto in aziende composte da anziani che le avevano conservate prevalentemente per il consumo familiare e di parenti e amici; è stato quindi necessario portare questo germoplasma in aziende con agricoltori più giovani e interessate a questo progetto, creando una rete sul territorio di agricoltori custodi. Le varietà più antiche che hanno notevoli pregi gastronomici non rischiano così di essere abbandonate a favore di quelle che hanno una resa produttiva maggiore; la reintroduzione di queste cultivar in un certo numero di aziende che possono conservarle e nuovamente diffonderle è già un primo passo. L’Associazione ha già partecipato a diverse iniziative promozionali, la prima svoltasi ad Arezzo il 28 giugno e promossa dalla Provincia di Arezzo e da Slow Food Arcigola che ha avuto quale tema la salvaguardia delle piccole produzioni alimentari di qualità e la deroga alle normative comunitarie per tali produzioni. La successiva è stata “Ruralia” organizzata dalla Provincia di Firenze e svoltasi il 2-3-4 luglio 1999 ha visto un’azione comune con Lega Ambiente e Slow Food Arcigola, abbiamo partecipato con uno stand sui prodotti tipici dove l’Associazione ha presentato i propri ed ha organizzato una degustazione. Siamo poi stati a Poppi il 27-29 agosto 1999 alla rassegna “La tavola dei Conti Guidi” patrocinata dalle Comunità Montane del Pratomagno e del Casentino, all’iniziativa sulle produzioni alimentari locali durante le Feste del Perdono (terza domenica di settembre) a San Giovanni Valdarno, alla “Castagnata” a Loro Ciuffenna dal 25 ottobre al 1° novembre. Abbiamo inoltre partecipato a San Miniato 1314, 20-21, 27-28 novembre alla “Mostra nazionale del tartufo e dei prodotti tipici” organizzata dal comune e dalla provincia di Pisa col patrocinio della Regione Toscana; alla “Mostra dell’olio delle colline del Pratomagno e dei prodotti tipici locali a Reggello dal 5 all’8 dicembre promossa dal comune e dalla provincia di Firenze. Infine la Provincia di Arezzo ha portato i prodotti dell’Associazione dal 3 al 6 dicembre al “Salone dei sapori” a Parigi, e dal 14 al 19 dicembre siamo stati presenti alla Fortezza da Basso ad “Ecolavoro ’99” rassegna nazionale di Legambiente “2a Esposizione del lavoro, delle tecnologie ambientali e dell’Italia di qualità” con un nostro stand ed abbiamo organizzato diverse degustazioni di prodotti, alcune in collaborazione con la Lega delle Cooperative. L’Associazione ha già iniziato un’attività di valorizzazione commerciale dei prodotti tipici dando avvio a dei contratti di fornitura con la grande distribuzione di alcuni prodotti tipici della zona quali: il fagiolo zolfino del Pratomagno e la farina di castagne del Pratomagno, naturalmente cercando di garantire dei prezzi remunerativi per gli agricoltori. Infine è inserita anche nel progetto “Carta della qualità dell’alimentazione e della piacevolezza del cibo negli ospedali” che ha come partner Slow food Arcigola, USL 8 di Arezzo e Pellegrini centro sud 83 S.p.A (fornitrice dei pasti nell’USL 8); questo progetto prevede che nelle strutture ospedaliere, al fine di migliorare la qualità dei pasti, avvicinandoli come contenuti alla quotidianità, periodicamente siano approntati dei piatti legati alla cultura del territorio; i tali piatti saranno preparati con materia prima di origine locale facente parte delle colture e delle specie autoctone del territorio. La fornitura delle varietà oggetto dell’accordo avverrà tramite l’Associazione, l’unica in grado di “dare gambe” a questo progetto e concernerà sia le ortive che la carne chianina. Concludendo vogliamo ricordare che la campagna coltivata ed i boschi rappresentano circa l’85% della superficie regionale ed hanno una importanza fondamentale per l’assetto idrogeologico e per la qualità della vita dei cittadini che ci vivono e per il possibile afflusso turistico; da ciò deriva l’importanza fondamentale del settore agricolo non solo come fornitore di beni alimentari, ma anche come produttore di ambiente, basti pensare che il paesaggio toscano è per la maggior parte costruito dall’uomo, e la biodiversità ne costituisce un elemento essenziale. Già diverse aree della Toscana hanno compreso che la possibilità di sviluppo loro riservata è legata alle professionalità già esistenti sul territorio, ad uno sviluppo intersettoriale che tenga conto della salvaguardia dell’ambiente e del paesaggio e legato ai prodotti tipici e di qualità che vi vengono prodotti. L’Associazione Agricoltori Custodi si propone un modello di sviluppo che coniughi l’incremento dei redditi sul territorio allo sviluppo ecocompatibile e per quanto riguarda il consumo invece di puntare sul quantitativo è preferibile un consumo consapevole legato anche al valore organolettico e ludico delle produzioni agricole. La reintroduzione di queste cultivar vegetali e specie animali locali non costituisce un arretramento dell’agricoltura, ma una presa di coscienza dei fattori ecologici e ambientali e dell’aspetto qualitativo della produzione. 85 La salvaguardia delle risorse genetiche: dalla teoria alla pratica Piero Belletti DIVAPRA Genetica Agraria - Università degli Studi di Torino Da molti anni la Comunità scientifica italiana è cosciente del problema collegato alla riduzione della variabilità genetica delle specie di interesse agrario. L’attività scientifica in tale ambito è infatti considerevole, così come numerosi sono gli studi finalizzati a salvaguardare quel che è rimasto della biodiversità delle specie coltivate o allevate nel nostro Paese. Anche gli Enti preposti alla gestione e al sostegno della ricerca hanno dimostrato una crescente sensibilità al problema: basti ricordare in questa sede i finanziamenti previsti da numerosi regolamenti comunitari e le iniziative coordinate dal Ministero per le Politiche Agricole. Dove invece le carenze sono ancora notevoli e la necessità di interventi urgente è il trasferimento alla realtà di ciò che la ricerca ha evidenziato. Le iniziative concrete di salvaguardia delle risorse naturali sono infatti ancora poche e, quel che è peggio, spesso gestite in modo approssimativo. Gli stessi Enti Pubblici, che istituzionalmente dovrebbero occuparsi del problema, spesso latitano e a fronte di iniziative di grande valore quale quella adottata dalla Regione Toscana, sono ancora troppi i casi di disinteresse e di abbandono in cui versa il settore della conservazione delle risorse genetiche agrarie italiane. Certamente l’attività di individuazione, raccolta, caratterizzazione e conservazione delle risorse genetiche è costosa ed impegnativa. Si tratta però di un investimento, le cui positive ricadute potrebbero essere di enorme rilievo e giustificare ampiamente gli sforzi iniziali. Ritengo quindi prioritario l’impegno, da parte della comunità scientifica, volto a sensibilizzare gli amministratori pubblici sulla necessità di intervenire, concretamente e in misura non sporadica, in questo settore. Un altro aspetto su cui occorre lavorare ancora molto riguarda il censimento e il coordinamento delle iniziative presenti sul territorio. Infatti, a pre- scindere dalle collezioni di materiale conservate presso strutture universitarie o altri centri pubblici di ricerca, sono molto numerosi i privati che ancora detengono vecchie cultivar vegetali o razze animali, ormai introvabili altrove. Si tratta di materiale estremamente prezioso, ma altrettanto vulnerabile, la cui sopravvivenza è spesso legata all’attività di un singolo agricoltore o allevatore, solitamente di età molto avanzata. Appare quindi prioritario acquisire tutte le possibili informazioni su tali iniziative, fino a costituire una sorta di catalogo delle risorse genetiche agrarie ancora presenti sul nostro territorio. A questo punto sarebbe anche possibile proporre un coordinamento tra tutte le iniziative in atto, in grado di fornire indicazioni omogenee sulle modalità di gestione delle risorse genetiche. Qualcosa di analogo è stato realizzato, ad esempio, in Francia ed i risultati appaiono di indubbia validità e utilità pratica. La salvaguardia delle risorse genetiche, per essere ancor più efficace, dovrebbe poi essere abbinata, ove possibile, a progetti di valorizzazione del materiale oggetto di attenzione. Uno dei pregi principali di cultivar o razze locali oggi in stato di abbandono è spesso l’aspetto qualitativo, tuttora ben apprezzato da chi ha avuto modo di avvicinarsi a tali prodotti. Si tratta pertanto di valorizzare questa caratteristica, occupando quelle nicchie di mercato (più numerose di quanto si pensi ed in crescente espansione) disposte ad accettare prezzi superiori alla media in cambio di un prodotto garantito e dalle prerogative introvabili nei prodotti disponibili nei supermercati. Occorre, cioè, puntare sulla qualità ed abbandonare irrealizzabili progetti di produzione massale e grande distribuzione. Un disegno di tali caratteristiche potrà essere facilitato dall’integrazione di numerose realtà simili: si potrebbe addirittura ipotizzare la creazione di un marchio, ad esempio garantito dalle Regioni e dalle Università, che certifichi l’apparte- Il germoplasma della Toscana 86 nenza di determinate produzioni a varietà tradizionali. A conclusione di queste brevi considerazioni, ritengo opportuno fare un cenno anche al settore forestale, nel quale, sebbene le problematiche siano diverse rispetto a quello agrario, i motivi di preoccupazione non mancano. Come è noto, in Italia il settore della vivaistica forestale è disciplinato da una legge del 1973 (la n. 269, che recita “Disciplina della produzione e del commercio di sementi e piante da rimboschimento”), la quale rappresenta, a sua volta, il recepimento di indicazioni comunitarie. La normativa, per quanto ormai superata, risulta essere piuttosto disattesa; d’altra parte le Regioni, cui sono state demandate le principali competenze nel settore forestale, non hanno fino ad ora fatto molto per ovviare alle lacune del settore. Di conseguenza, non sempre il materiale utilizzato nei rimboschimenti risulta essere certificato e spesso presenta addirittura una origine ignota. Le conseguenze che ne derivano non sono di poco conto: in primo luogo esiste un problema di adattabilità a specifiche condizioni pedo-climatiche, che, se non rispettato, può determinare l’in- successo dell’operazione. C’è poi il rischio legato all’introduzione di patogeni ancora assenti in una determinata area e, quindi, in grado di indurre danni molto estesi. Infine, non va trascurato quello che potremmo definire come “inquinamento genetico”, e cioè la modificazione delle caratteristiche genotipiche di una determinata popolazione. In tutti i casi è comunque ipotizzabile una più o meno estesa erosione genetica, in grado di ridurre la biodiversità delle nostre popolazioni forestali. Il problema può essere risolto soltanto mediante una accurata scelta del materiale di propagazione: occorrerà cioè individuare, localmente, boschi da seme caratterizzati non solo da fenotipi superiori, ma anche dotati di elevati livelli di variabilità genetica. Anche in questo caso, quindi, si tratta di aspetti scientifici che, per poter incidere sulla realtà, devono tradursi in provvedimenti legislativi e amministrativi. Ancora una volta, quindi, la comunità scientifica è chiamata ad una difficile ma necessaria opera di sensibilizzazione nei confronti degli amministratori pubblici affinché vengano adottati provvedimenti mirati ad una miglior gestione dell’ambiente. 87 Tutela del germoplasma: problematiche* Pietro Perrino Istituto del Germoplasma, Consiglio Nazionale delle Ricerche - Bari 1. Introduzione Il termine “germoplasma”, sinonimo di “risorse genetiche” si riferisce a quella parte della “biodiversità” o “diversità biologica” più direttamente utilizzata dall’uomo. Pertanto, la tutela del germoplasma non può prescindere da quella della biodiversità e viceversa. Nel 1970, quando in Italia, nasceva a Bari l’Istituto del Germoplasma del Consiglio Nazionale delle Ricerche, unico “genebank” (banca di germoplasma) italiano, si parlava solo di germoplasma o risorse genetiche (Scarascia Mugnozza e Porceddu, 1972; Porceddu e Scarascia Mugnozza, 1972). Da allora, il crescente interesse per l’ambiente e quindi per una diversità biologica più ampia ha introdotto il termine biodiversità. Questo termine, oggi, si è talmente diffuso che spesso è usato per indicare anche il germoplasma o risorse genetiche. Spesso si afferma che la maggior parte del nutrimento umano è ottenuta da una manciata di piante, come mais, grano, riso, patata, cassava, platano, pisello, fagiolo e lenticchia, completando con un piccolo numero d’animali domestici. La dipendenza da un piccolo numero di specie è apparente e fuorviante: infatti, decine di migliaia di specie di piante e d’animali sono usate nelle economie tradizionali locali. Le sole piante medicinali tradizionali ammontano a 25.000-30.000 specie. I metodi tradizionali di miglioramento delle piante e degli animali hanno giuocato un ruolo importante nel dare una forma alla biodiversità, durante gli ultimi millenni. I metodi moderni, le biotecnologie ed il trasferimento di geni in piante, animali e microorganismi, sono dei mezzi con un grande potenziale d’impatto. Queste tecniche possono aggiungere valore ad alcuni elementi della biodiversità e quindi possono contribuire a cambiare le priorità di conservazione. La focalizzazione sull’uso delle risorse genetiche e la giusta ed equa distribuzione dei benefici che derivano dal loro uso sono argomenti centrali della Convenzione sulla Diversità Biologica (Convention on Biological Diversity: CBD). Oggi, su scala mondiale, assistiamo ad un grande interesse nel valutare la quantità di biodiversità persa e allo stesso tempo ad un crescente apprezzamento dell’importanza di questa biodiversità, in termini economici, sociali, estetici e morali. I valori posti nella biodiversità sono fortemente collegati alle influenze dell’uomo su di essa. Detti valori dipendono anche dal grado di conoscenze sul ruolo scientifico di particolari elementi o processi della biodiversità nel funzionamento degli ecosistemi e delle società. È opinione largamente condivisa tra gli ambientalisti che i valori dell’ambiente trascendono dai costi (Turner e Pearce, 1993). Tuttavia, mentre è indubbiamente vero che i valori della biodiversità non sono adeguatamente contenuti nel valore commerciale, se vogliamo commissionare e dare delle priorità alle risorse per la loro conservazione ed uso sostenibile, non possiamo non applicare misure economiche (Cannata, 1989). È necessario esplorare le complesse relazioni tra valori etici, ambientali ed economici. Le questioni spesso sollevate sono: quanto è importante la biodiversità per l’umanità? Quanto i valori noti e potenziali della biodiversità possono essere categorizzati, accertati e misurati? Possono le distinzioni tra valori locali e globali della biodiversità essere utili? Quanto gli attuali valori della biodiversità riflettono quelli di * Lavoro svolto nell’ambito del Progetto Strategico Biodiversità del CNR “Caratterizzazione e valorizzazione delle risorse genetiche vegetali, animali e microbiche”, coordinato da Pietro Perrino. Il germoplasma della Toscana 88 mercato? Cosa si può fare per stimare in modo più adeguato i valori della biodiversità in analisi economiche? Un elemento chiave dello sviluppo economico dell’ambiente è l’incentivazione. Come i benefici individuali derivati dalle risorse biologiche possono essere bilanciati dai costi sociali? Se gli individui devono conservare la biodiversità per benefici sociali o globali, quali meccanismi devono essere attivati per realizzare un ritorno e distribuzione di detti benefici a quegli individui? Quali tipi di possedimenti terrieri e regimi di proprietà procurano i maggiori incentivi per la conservazione ed uso sostenibile della biodiversità? A queste domande bisogna dare delle risposte. Lo scopo di questa nota è di accennare alle problematiche relative alla conservazione del germoplasma. 2. Strategie di conservazione ed uso sostenibile del germoplasma 2.1 Principi basilari Così come sottolineato ed enfatizzato dalla CBD, qualunque strategia volta a ridurre la perdita di biodiversità e ad aumentare i suoi contributi allo sviluppo deve integrare tre elementi essenziali: conservazione della biodiversità, uso sostenibile delle sue componenti ed equa distribuzione dei benefici. La nozione di biodiversità è strettamente associata a quella della sua conservazione, preservazione ed uso sostenibile (IUCN/UNEP/WWF, 1980; WCED, 1987; UCN/UNEP/WWF, 1991; WRI/UCN/UNEP, 1992). La nozione di sostenibilità è considerata come fattore principale dello sviluppo (di qui sviluppo sostenibile) e lo sviluppo è sostenibile solo se è in armonia con l’ecologia. La CBD ha definito il termine uso sostenibile: “Uso sostenibile significa uso delle componenti della diversità biologica in modo tale, e ad una velocità tale, che in tempi lunghi non deve condurre ad un declino della diversità biologica, mantenendo perciò la sua potenzialità per far fronte alle necessità e aspirazioni delle attuali e future generazioni. Ciò non implica che la biodiversità o risorse possono essere passate alle future generazioni completamente inalterate. Virtualmente tutte le forme d’uso comportano qualche cambiamento o perdita, anche se piccola, di biodiversità”. Nello sviluppo di strategie nazionali e piani d’azione, così come designati dalla CBD, abbiamo bisogno di chiederci: come possiamo intervenire sulle forze trainanti sociali ed economiche? Che tipo di misure legislative sono necessarie per la conservazione e l’uso sostenibile? Come possiamo usare e coordinare efficacemente i dati già disponibili sulla biodiversità, ed impiegare le risorse umane disponibili e tutto l’apparato delle tecniche di conservazione disponibile? Come possiamo integrare conservazione e programmi di sviluppo? Le incertezze scientifiche nel corso dei dibattiti sono i temi più ricorrenti. La gestione delle incertezze è una delle più grandi sfide affrontate dagli scienziati e dalle autorità che devono decidere nel settore dell’ambiente e sviluppo, per esempio con riguardo a fattori sociali ed economici, stime sulle fluttuazioni ecologiche, effetti degli impatti umani a breve e lungo termine ed efficacia delle misure. 2.2 Approcci alla conservazione Tradizionalmente la conservazione ha utilizzato due approcci separati: ex situ ed in situ, con agronomi e biologi a favore del primo ed ecologisti e conservazionisti a favore del secondo. La conservazione della biodiversità è più efficace in ecosistemi “naturali”. Questa è però una grande semplicazione. Nel caso di diversità di specie domesticate, grandi sforzi sono stati compiuti negli ultimi decenni per la conservazione ex situ della variabilità genetica rappresentata da centinaia di migliaia di varietà locali o vecchie varietà che si sono formate in un numero relativamente basso di specie vegetali che l’uomo ha coltivato su larga scala nel corso degli ultimi millenni, così come per il piccolo numero d’animali addomesticati (Scarascia Mugnozza, 1984; Scarascia Mugnozza, 1995; Scarascia Mugnozza et al., 1988). Questa variabilità, riferita principalmente come risorse genetiche, è mantenuta in varie forme nei genebanks per essere usata in programmi attuali e futuri di miglioramento genetico. Quanto sforzo è necessario per campionare la variabilità genetica di queste colture ed animali addomesticati? Quanto efficaci ed efficienti sono i diversi metodi di conservazione? Quanto è ampia e seria la perdita di diversità genetica (erosione genetica) nelle colture? Dovremmo investire più risorse nello sviluppare risorse genetiche di colture minori e specie usate in economie locali ed indigene, includendo, per esempio, piante medicinali? (Perrino, 1984; Perrino e Desiderio, 1998, 1999; Desiderio, 1999). Le collezioni conservate ex situ non solo sono vitali per il mantenimento di microorganismi, ma esse rappresentano il solo ed effettivo modo attraverso il quale si può accedere a queste risorse o assicurare veramente la loro esistenza (Scarascia Mugnozza and Porceddu, 1972, 1978; Soulè, 1991; Scarascia Mugnozza, 1995; Scarascia Mugnozza et al., 1988). 89 Gli approcci attuali alla conservazione sono, infatti, molto diversi da quelli usati sino a poco tempo fa. Negli ultimi anni, c’è stato un cambiamento di vedute dei conservazionisti, i quali sono passati da una posizione di conservazione in situ ad un approccio più integrato. L’approccio precedente era quello di mettere da parte e recintare aree rappresentative d’ecosistemi (aree protette), con un minimo d’interventi e gestione. L’obiettivo era di mantenere la massima quantità di diversità (ecosistemi o specie) e permettere alle specie recintate di continuare la loro evoluzione — il cosiddetto “hands off” approccio. In circostanze speciali, le aree protette utilizzavano come supplemento il mantenimento ex situ di campioni di specie. Recentemente gli approcci prevedono l’applicazione di diversi mezzi e tecniche secondo le situazioni (conservazione integrata o complementare) (Hammer et al., 1992; Perrino and Hammer, 1983; Perrino, 1984, 1988, 1990, 1992, 1995; Perrino et al., 1993, 1996; Laghetti et al., 1996; Hammer et al., 1999). I nuovi approcci sottolineano che la conservazione è un processo dinamico e di solito richiede alcune forme d’intervento e gestione. In aggiunta alla variabile dinamica, dobbiamo prendere in considerazione il campo delle diverse scale delle azioni di conservazione. Stati singoli. Una specie può essere rara in un paese e molto comune in un altro paese vicino. Inoltre, la vera esistenza di un fenomeno può essere percettibile solo ad una certa scala e quindi la scala alla quale stiamo studiando la biodiversità può influenzare la nostra abilità a percepire particolari modelli o processi. Le strategie di conservazione sono molto più efficaci quando si prendono in considerazione scale spaziali e livelli d’organizzazione multipli (Noss e Harris, 1986). Il nuovo modello di conservazione riconosce anche l’importanza del ruolo dell’uomo nella dinamica della biodiversità. Uno dei problemi principali dell’approccio “hands-off” fu quello di non considerare i ruoli ed esigenze della gente locale, la quale era spesso esclusa dalle aree protette nonostante la biodiversità delle riserve era spesso, almeno parzialmente, conservata e mantenuta da essa. Ora, i programmi moderni di conservazione sono caratterizzati da obiettivi multipli, e riserve multi-uso, con aree “set aside” per diversi scopi, come la preservazione a diversi livelli. In qualche modo questo approccio rispecchia pratiche tradizionali. La CBD pone continuamente l’accento sulla necessità d’integrare sviluppo e conservazione. La questione del cambiamento globale del clima aggiunge un’altra dimensione alla pianificazione della conservazione. Gli effetti dei cambiamenti glo- bali sui sistemi ecologici, migrazione e sopravvivenza di specie e sulla biodiversità in generale, sono difficili da prevedere a causa della nostra incapacità di comprendere l’effetto serra, l’azione diretta dell’uomo, e molti altri fattori che interagiscono con i modi in cui i sistemi funzionano ed i modi in cui le specie si adattano. Nonostante ci siano ancora considerevoli incertezze, è largamente riconosciuto il fatto che gli effetti del cambiamento climatico sugli ecosistemi e le specie componenti potrebbero essere molto significativi e condurre a riallineamenti e riagruppamenti di specie, com’è successo più volte nella storia della Terra. Sono stati presi in considerazione i possibili impatti di un cambiamento globale sulla biodiversità e altri scenari per il futuro. 2.3 Miglioramento delle conoscenze di base Molta attenzione è posta sulle grandi lacune delle nostre conoscenze in tutte le aree ed a tutti i livelli della biodiversità. Buona parte dell’inventario di base sulla biodiversità non è stato ancora avviato, persino a livello di specie. Ma in che modo stabiliamo le priorità per programmi d’inventario? Dovremmo, per esempio, concentrarci su certi gruppi poveramente conosciuti, come i microorganismi del suolo, o dovremmo focalizzare di più i nostri sforzi nell’esaminare aree che stanno per essere messe a coltura o inondate per costruire dighe? Come tali traguardi a breve e lungo termine possono essere inseriti in una strategia comune? Strettamente legato all’inventario c’è il monitoraggio della diversità biologica, che è essenziale nel fornire una ricaduta nell’adattamento di programmi di gestione. Il monitoraggio — la ripetizione di rilevamenti delle entità biologiche o di processi in una serie di periodi — richiede un adeguato invetario di partenza. Il monitoraggio può essere svolto con scale diverse, partendo da quello con i satelliti su tutto il pianeta per seguire i cambiamenti demografici delle singole popolazioni di piante, animali e microorganismi. Il monitoraggio, perciò, deve essere chiaramente orientato verso un preciso traguardo ma allo stesso tempo dovrebbe seguire le procedure standard ed analisi statistiche onde permettere confronti con altri studi, passati e presenti. Un’attenta pianificazione, dal punto di vista logistico e finanziario, è vitale. Per questo dobbiamo chiederci: quali sono le tecniche disponibili? Quali sono i costi effettivi? Quanto vasta può essere la loro applicazione? Che risultati abbiamo ottenuto in queste aree sino ad ora? La rapida generazione di dati sulla biodiversità, insieme alla vasta quantità d’informazioni già accumulata, rischia di seppellirci se non s’intraprende un’azione effettiva per gestire e coordinare detta Il germoplasma della Toscana 90 massa di dati ed informazioni. Perciò, lo studio della biodiversità dipende molto dal rapido sviluppo della tecnologia dell’informazione. 2.4 Capacità umana ed istituzionale Non sono solo i dati e le fonti d’informazione che sono distribuiti in modo eterogeneo, ma anche le risorse umane (per esempio, gli scienziati) e le risorse istituzionali (per esempio, raccolte sistematiche di referenze, giardini botanici, collezioni di risorse genetiche) per capire e gestire la biodiversità si trovano, spesso, fuori delle aree caratterizzate dalla più alta diversità. Ci dobbiamo chiedere e dare delle risposte su che cosa si può fare per migliorare la situazione. 2.5 Coordinamento globale, nazionale, regionale e locale La distribuzione disomogenea di risorse ed informazioni, la difficoltà di accedere all’informazione, la divisione e/o distanza tra i collezionisti e gli utenti ed il vasto campo di discipline e prospettive coinvolte, rendono il coordinamento regionale e locale una priorità per la gestione della biodiversità. Una maggiore ed effettiva organizzazione nazionale ed internazionale, che certamente possediamo, dovrebbe aumentare notevolmente l’efficacia del modo in cui gestiamo le nostre risorse planetarie. Un punto iniziale essenziale è di guardare alla biodiversità da una prospettiva globale e stabilire che cosa sappiamo, un processo al quale si spera la CBD darà un contributo significativo. 3. Uso sostenibile della biodiversità e del germoplasma Gli interventi devono essere basati su informazioni accurate. Una maggiore consapevolezza delle informazioni può aumentare la probabilità che individui ed istituzioni approvino le definizioni dei problemi e le soluzioni. In ogni caso, l’attuale stato delle conoscenze è ancora largamente inadeguato per valutare con esattezza quali saranno gli impatti delle attività umane nei diversi ecosistemi e per comprendere quali sono le relazioni tra attività economiche, sviluppo e conservazione della biodiversità. Le lacune di queste conoscenze possono avere almeno tre origini. La prima è la mancanza d’informazione risultante da una ricerca insufficiente, specialmente per la costituzione di un inventario di specie ed ecosistemi, necessario per comprendere come le componenti degli ecosistemi si adattano insieme e interagisco- no tra loro, per avere informazioni e conoscenze sull’uso tradizionale della biodiversità e per cambiamenti nell’uso degli ecosistemi. Un incremento significativo di finanziamenti e manodopera potrebbero colmare queste lacune. Comunque, alcuni scienziati arguiscono che sino a quando non comprenderemo l’ambiente naturale, sarà difficile comprendere come la società umana interagisce con questi sistemi e non è realistico attendere molto tempo prima di avviare interventi di conservazione. Che cosa fare in una situazione d’incertezza? La seconda maggiore fonte di lacune deriva dalla complessità dell’ambiente naturale e dalla complessità delle interazioni tra le società umane, le loro attività ed il mondo naturale. Scienze naturali e scienze sociali si sono evolute indipendentemente, ma una migliore interazione tra loro è necessaria per comprendere la natura e la forza delle loro relazioni. La preservazione a lungo termine della biodiversità dipende dalle strategie di gestione e dai modi in cui si sviluppano, ma è molto difficile prevedere i cambiamenti del comportamento umano. Questa incertezza rende difficile prevedere i cambiamenti dell’ambiente e le attese conseguenze sulla biodiversità, ciò rinforza la necessità di monitorare attentamente la biodiversità allo scopo d’intervenire con azioni correttive. La terza serie riguarda l’accesso alle informazioni e come usare quello che già conosciamo. Come le soluzioni tecnologiche possono essere applicate su larga scala? Mentre concetti utili come “sviluppo sostenibile” e “gestione integrata” sono chiari e disponibili, abbiamo bisogno di linee guida per agire, sostenute da osservazioni ed esperienze attendibili. L’effettiva attuazione dei piani d’azione sulla biodiversità dipende dal miglioramento delle metodologie e dei mezzi. In generale, la ricerca deve essere estesa e rinforzata per migliorare e comprendere la biodiversità ed il suo potenziale ruolo nel creare società umane sostenibili. Abbiamo bisogno di comprendere molto meglio come, perché e dove le attività umane influenzano la biodiversità, allo scopo di fornire informazioni accurate ai politici e decisionisti. La ricerca deve servire ad informare, completare e migliorare gli sforzi per la conservazione, ma essa non dovrebbe sostituire le azioni immediate. Comunque, anche con un inventario completo dello stato globale della biodiversità ed una perfetta comprensione delle relazioni tra attività umane e biodiversità, avremo ancora a che fare con il problema di come controllare il comportamento distruttivo dell’uomo (Heywood e Baste, 1995). 91 3.1 Il commercio e la conservazione della biodiversità e germoplasma Mai la società umana ha ingaggiato nel commercio una tale diversità di prodotti, su una tale scala geografica e su tale volume, come accade ora. Inoltre, come risultato della liberalizzazione di misure contenute nelle recenti conclusioni delle negoziazioni GATT (General Agreement on Trade and Tariffs), è probabile un’espansione del commercio. È difficile prevedere l’impatto complessivo di un incremento di produzione, consumo, scambio e trasporto di beni e servizi sulle risorse biologiche. La questione principale è quanto incremento di consumo e produzione possiamo permetterci senza compromettere la sostenibilità della biosfera. Qual è l’ottimo della ricchezza biologica necessario per mantenere lo stato attuale della produzione globale senza compromettere le future scelte? Per queste domande non ci sono ancora delle risposte definite. Un’altra rilevante questione è come la comunità globale può dirigere il commercio internazionale per promuovere il progresso economico senza compromettere la sostenibilità economica (Goodland et al., 1991). Il commercio guida il mercato ed il mercato funziona meglio quando le misure sostengono lo sviluppo libero di regole commerciali, pratiche e relative infrastrutture. Comunque, il commercio di per se stesso è cieco verso l’ambiente. La mano invisibile del mercato non ha nessun adeguato meccanismo auto-correttivo per considerare le perdite e riduzione di diversità biologica. Ciò implica che qualche grado di “comando e controllo” è necessario. Terre umide ecologicamente fragili potrebbero essere trasformate in aziende per la pesca, in poco tempo, ma senza una gestione illuminata, cura e regolare supervisione, queste aree possono essere distrutte. Singoli stati o nazioni possiedono considerevoli esperienze nell’uso di strumenti di mercato per promuovere obiettivi ambientali. Intanto, non c’è precedente esperienza nel fondere il commercio globale ed i traguardi ambientali. 3.2 La necessità di nuove scelte gestionali Le società moderne sembrano incapaci di arrestare l’esaurimento in corso di risorse e il degrado dell’ambiente. La gestione delle risorse non è sempre stata pensata per l’uso sostenibile delle risorse, ma per la loro efficiente utilizzazione come se fossero senza limiti. La sola gestione d’ecosistemi secondo i principi d’ecologia, non è sufficiente. L’incremento di pressione sull’uso delle risorse naturali per diversi motivi ha fatto sì che i valori sociali diventassero un’importante componente nella gestione dei processi. C’è la necessità urgente di migliorare i collegamenti tra scienze ecologiche, percezione e valori pubblici. Dobbiamo sviluppare una nuova risorsa e scienza della gestione degli ecosistemi che si adatta meglio a servire le necessità di una sostenibilità ecologica. I concetti di sostenibilità diventano sempre più importanti per i politici, ma non è facile escogitare modelli di sviluppo migliori perché la povertà nei paesi in via di sviluppo è la causa della perdita di habitat e biodiversità. Azioni per alleviare la perdita di biodiversità devono considerare le cause socio-economiche della povertà (Schweitzer, 1992). 3.3 Sviluppo e trasferimento di tecnologie rilevanti per l’uso sostenibile delle risorse Uno dei temi più rilevanti dell’Agenda 21 ed allo stesso tempo uno degli argomenti più intrattabili, riguarda l’accesso alle tecnologie (Rath e HerbertCopley, 1993). Tra le proposte da prendere in considerazione ricordaimo: incrementare il flusso d’informazioni sulle tecnologie amiche dell’ambiente; incrementare l’autoregolazione industriale; incrementare l’importanza dei mercati nell’assegnazione dei valori e promuovere miglioramenti nell’andamento ambientale dell’industria nel Sud. Quest’argomento fu ampiamente discusso durante una riunione internazionale d’esperti, tenuta in Messico nel 1994 (UNEP, 1994). L’argomento va da tecniche di stima dell’impatto ambientale a tecniche di gestione d’ecosistemi, uso integrato della terra, biotecnologie, tecniche nuove e fonti rinnovabili d’energia, stili di vita meno rovinosi, modelli di consumo e produzione, tecniche di pianificazione familiari e strumenti economici e finanziari. L’argomento d’accesso alle tecnologie è su come sviluppare capacità indigene per stimare, adottare, gestire e applicare tecnologie migliorate per l’ambiente. Comunque, ci sono difficoltà nell’identificare tipi appropriati di tecnologie “pulite” e rispettose dell’ambiente, da promuovere nei paesi in via di sviluppo. La sostenibilità ambientale non è stata considerata adeguatamente dalle politiche innovative e dalle ricerche di gestione (Winn e Roome, 1993) e la letteratura sull’innovazione “verde” è relativamente povera e dispersa in quella sulla gestione ambientale, economia ambientale, stima dei rischi ed economia dell’innovazione. 4. Gestione della biodiversità in agricoltura L’agricoltura — che in senso lato comprende la coltivazione di piante annuali e perenni, zootecnia, Il germoplasma della Toscana 92 pascolamento — dipende dalla biodiversità per produzione ed innovazione. Il miglioramento genetico delle piante e degli animali, basandosi sulla diversità genetica di una manciata di specie e una varietà d’ecosistemi, ha permesso all’uomo di sviluppare migliaia di varietà domestiche adattate ad un vasto campo di condizioni ambientali ed usi (Spagnoletti Zeuli et al., 1988). I miglioramenti in agricoltura, molti basati sull’uso e manipolazione della biodiversità, sono stati la forza trainante dell’aumento della popolazione umana e dei cambiamenti demografici. E mentre l’agricoltura ha beneficiato enormemente della biodiversità, il suo successo ha contribuito in modo crescente alla perdita di biodiversità. L’uso della terra per la produzione di cibo, ora occupa più di un terzo della superficie delle terre emerse — nel 1991 le terre coltivate coprivano l’11% delle terre emerse ed i pascoli permanenti, il 26% — ed è la causa primaria della conversione dell’habitat su base globale (WRI, 1994). Soddisfare la domanda d’aumento di popolazione mondiale e contemporaneamente mantenere la biodiversità è un’enorme sfida. Ciò richiede le seguenti misure: 1. conservare la diversità genetica trovata nelle varietà di piante coltivate e animali domestici e parenti selvatici; 2. identificare ed usare specie selvatiche e diversità genetica per migliorare la produzione agricola e l’adattabilità per far fronte al cambiamento ambientale; 3. minimizzare gli impatti negativi delle pratiche agricole sugli agro-ecosistemi ed ecosistemi naturali. L’agricoltura tradizionale, su piccola scala, specialmente nei paesi in via di sviluppo, è il miglior deposito delle risorse genetiche agricole, e piccoli agricoltori hanno avuto un ruolo importante nell’amministrazione di quest’eredità. Benché questi agricoltori abbiano gradatamente aumentato l’uso di varietà moderne altamente produttive, misure per usare e mantenere la diversità genetica sono ancora dominanti in molti sistemi agricoli. Comunque, le misure per usare e conservare la biodiversità in modo sostenibile in un contesto d’agricoltura su larga scala/ moderna diventeranno sempre più importanti. Si stanno studiando misure per minimizzare i conflitti tra l’espansione dell’agricoltura e l’intensificazione della conservazione degli habitat naturali. 4.1. Gestione della biodiversità nell’agricoltura tradizionale La maggior parte degli agricoltori del mondo e la maggior parte della diversità genetica agricola del mondo si trova nei paesi in via di sviluppo, dove in molte aree sono ancora comuni i sistemi agricoli tradizionali. Perfino in alcune aree dei paesi industrializzati, sopravvivono pratiche agricole tradizionali. Una delle caratteristiche distintive di questi sistemi è il loro grado di diversità vegetale nella forma di poli-colture e/o modelli d’attività agro-forestali. I sussidi agli agricoltori hanno tradizionalmente minimizzato il rischio, attraverso la coltivazione di diverse specie e varietà di piante, allo scopo anche di stabilizzare le produzioni a lungo termine. Tali pratiche sono anche servite a promuovere la diversità della dieta e massimizzare ritorni sotto bassi livelli d’input esterni e risorse limitate (Barlett, 1980; Altieri, 1987). Generalmente, agro-ecosistemi tropicali costituiti da coltivazioni e maggesi, giardini famigliari complessi e appezzamenti destinati ad attività agro-forestali, contengono sicuramente più di 100 specie di piante per campo, che sono usati per la produzione/costruzione di materiali, legna da ardere, attrezzi, medicine, foraggio per animali e cibo per l’uomo (Altieri e Hecht, 1990). La diversità d’animali domestici è anche una caratteristica comune dei sistemi agricoli tradizionali (Chacon e Gleissman, 1982; Chang, 1977). Molti agro-ecosistemi tradizionali sono situati nei maggiori centri della diversità delle colture, come quelli identificati da Vavilov nel 1930 e quelli più recenti documentati da Zeven e Zhukovsky (1975) e Harlan (1971). Questi centri contengono la maggior parte della diversità genetica delle specie di piante alimentari (Prescott-Allen e Prescott-Allen, 1990) e i sistemi agricoli tradizionali in queste aree mantengono popolazioni variabili ed adattate di “land races” (varietà primitive) insieme alle specie selvatiche affini ed infestanti (Perrino e Monti, 1991; Perrino et al., 1993, 1998). Per esempio, nelle Ande, gli agricoltori coltivano qualcosa come 50 varietà di patate nei loro campi (Brush et al., 1981). In Thailandia e Indonesia, gli agricoltori mantengono la diversità di varietà di riso nelle loro risaie, adatte a diverse condizioni ambientali e regolarmente si scambiano i semi con i loro vicini (Altieri e Merrick, 1987). La diversità genetica che ne risulta innalza la resistenza alle malattie che attaccano particolari linee della coltura e dà agli agricoltori la possibilità di utilizzare i diversi microclimi e diverse condizioni del suolo ottenendo dalla variazione genetica entro specie una nutrizione multipla ed altri usi (Altieri, 1987; Plucknett et al., 1987). Molte piante all’interno ed intorno a sistemi di coltivazioni tradizionali sono selvatiche e parenti di quelle coltivate. Cicli naturali d’ibridazione e introgressione si sono spesso verificati tra colture e selvatiche affini, aumentando la variabilità e la diver- 93 sità genetica disponibile per gli agricoltori. Attraverso la pratica della coltivazione “non pulita”, sia intenzionale sia non intenzionale, gli agricoltori possono aumentare il flusso tra colture e affini (introgressione). Per esempio, gli agricoltori del Messico permettono al teosinte di crescere entro o nelle vicinanze dei campi di mais, perciò quando il vento impollina il mais, avvengono degli incroci naturali e si producono piante ibride (Wilkes 1977; Brush et al., 1986). Un crescente numero di scienziati ha sottolineato la necessità della conservazione in situ delle risorse genetiche e per la protezione degli agro-ecosistemi nei quali esse si trovano. Ciò permette l’adattamento continuo e dinamico delle piante all’ambiente e la gestione tradizionale, specialmente in aree agricole diversificate, dove le colture sono spesso arricchite da scambi di geni con i loro parenti selvatici o infestanti che crescono nel campo o in ecosistemi naturali adiacenti. Il mantenimento d’agro-ecosistemi tradizionali ed ecosistemi naturali vicini è una delle strategie che possono essere usate per preservare in situ germoplasma di piante coltivate (Altieri, 1987; Altieri e Merrick, 1987; Perrino et al., 1994; Laghetti et al., 1997). Gli accordi sui Diritti degli Agricoltori della FAO riconoscono l’importanza dei contributi dati dagli agricoltori tradizionali allo sviluppo e mantenimento della diversità delle colture come parte dell’International Undertaking on Plant Genetic Resources Conservation. Una strategia di sviluppo rurale basata su sistemi agricoli tradizionali, conoscenze etno-botaniche e tecniche agro-ecologiche, non solo assicura l’uso continuo e mantenimento di risorse genetiche di valore, ma favorisce anche la diversificazione di strategie di sussistenza dei contadini, un argomento cruciale in aree afflitte da incertezza economica. Inserendo colture locali e altre piante native in un disegno d’agro-ecosistemi e d’autosostentamento la diversità genetica locale è quindi disponibile per gli agricoltori (Chang, 1977). Recentemente si è assistito ad un crescente interesse nella creazione di “comunità di gene banks” intese come una strategia per conservare e usare la diversità delle colture. Diversi studiosi (Trenbath, 1992; Ramakrishnan, 1992), suggeriscono che le varie misure possono essere più efficaci nel mantenere la diversità genetica se associate a sistemi agricoli tradizionali, alcuni dei quali opportunamente modificati sono qui presentati: • dove si ritiene sia necessario mantenere la diversità genetica, stabilire incentivi politici (per esempio, esenzione di tasse, sussidi) affinché gli agricoltori mantengano alcune aree con varietà • • • • • • • • • • • tradizionali (spesso miste), coltivate con tecniche tradizionali; diminuire la promozione di varietà omogenee e tipi di stock esotici quando la rapida espansione di tali varietà e tipi di stock è collegata ad una significativa erosione genetica e quando piccoli agricoltori non beneficiano in modo apprezzabile da tali provvedimenti; fare ricerca sui costi-benefici nell’uso di diverse varietà e stock genetici nelle aziende agricole a diversi livelli di coltivazione e più alta priorità presso i centri nazionali di ricerca agricola; creare capacità nell’ambito di programmi di estensione agricola statali e non statali per raccogliere informazioni sulla diversità di materiali genetici domesticati e per conoscere la distribuzione geografica e tassi di cambiamento associati alla diversità genetica agricola; stabilire sistemi di registrazione di cultivar e sistemi di monitoraggio per avvertire perdite imminenti di risorse genetiche agricole, basati forse su una combinazione di sistemi di estensione agricola e reti di sviluppo agricolo e rurale non statali; addestrare agenti di estensione agricola nei valori della diversità di specie vegetali e animali domestici, includendo il loro ruolo nell’incoraggiare gli agricoltori locali a continuare ad usare cultivar e razze locali, procurando cultura sul valore delle risorse genetiche ed il riconoscimento dei loro diritti internazionali come proprietari di risorse genetiche; incoraggiare gli agricoltori a mantenere strisce di terra incolte come habitat per infestanti affini alle colture — specialmente in aree situate nei centri di origine o di diversità delle colture; stabilire comunità di banche di semi e programmi decentralizzati di miglioramento genetico; procurare agli agricoltori una diversità genetica ampia, varietà e specie per esperimenti e selezione; ridisegnare i sistemi agro-forestali per inserire idee ecologiche tali da rendere più compatibile la presenza di piante legnose e piante erbacee; migliorare le valli umide coltivate a riso ed altri sistemi come i giardini di casa usando specie appropriate, trasferendo tecnologie indigene da un’area ad un’altra e riprogettando o aggiornando sistemi sviluppati sulle basi di conoscenze tradizionali; rinforzando pratiche zootecniche tradizionali al fine di rendere più efficace il riciclaggio dei rifiuti tra questo sub-sistema e quello delle colture e quindi aumentare la produttività e diversità del- Il germoplasma della Toscana 94 l’agro-ecosistema; • incoraggiare l’abilità artigianale e la produzione basata su risorse naturali accessibili alle comunità rurali. La conservazione e valorizzazione del germoplasma è nelle mani degli agricoltori (conservazione on farm). Tuttavia, la conservazione ex situ è di fondamentale importanza e principalmente per tre motivi: 1) permette la conservazione di materiali genetici che per diverse ragioni possono non essere momentaneamente d’interesse agricolo; 2) permette di fornire materiali genetici agli studiosi per esigenze di ricerca e miglioramento genetico; 3) permette, attraverso la distribuzione, la diffusione di materiali genetici rari e quindi minacciati da erosione genetica. Mentre si assiste ad una crescente considerazione che gli approcci della più tradizionale conservazione ex situ presentano seri limiti, negli ultimi 20 anni, la conservazione in situ o on farm di diverse risorse custodite dagli agricoltori è diventato un argomento sempre più importante (Altieri e Merrick, 1987; Plucknett et al., 1987; Hoyt, 1988; Lleras, 1992; Smith et al., 1992; Perrino et al. 1994; Laghetti et al. 1997; Swaminathan, 1997; Hammer et al. 1999). Comunque, anche se considerato il miglior metodo di conservazione di risorse genetiche vegetali (Brown, 1982; Myers, 1979, 1983) ci sono serie limitazioni nel fare affidamento solo su pratiche tradizionali. Le critiche indicano che i proponenti spesso non dimostrano come fanno a gestire migliaia di cultivar e razze locali di bestiame (Hawkes, 1977; Plucknett et al., 1987), e citano i problemi morali di fare pressione su alcuni agricoltori affinché coltivino vecchie varietà con bassa produzione, mentre altri agricoltori coltivano varietà commerciali. Alcuni propongono di usare sussidi del governo, mentre altri suggeriscono che finanziamenti privati e sostegni tecnici pubblici e privati dovrebbero essere applicati per incoraggiare il mantenimento di cultivar e razze tradizionali in aziende agricole attive (Lleras, 1992). 4.2. Gestione della biodiversità nell’agricoltura moderna Nel mondo industriale, sistemi e pratiche d’agricoltura tradizionale sono stati quasi completamente sostituiti da sistemi commerciali (NAS, 1972). Questi sistemi applicati su vasta scala sono caratterizzati dall’uso di cultivar e razze d’animali altamente produttive e geneticamente relativamente omogenee, da alte somministrazioni di fertilizzanti chimici e pesticidi, e relativamente da pochi miscu- gli di cultivar e razze d’animali (NAS, 1993). In molte parti del mondo in via di sviluppo, questi sistemi di vasta scala stanno diventando prevalenti. Anche su quest’argomento, la letteratura internazionale è già abbastanza ricca da trovare idee ed approcci per un’adeguata gestione delle risorse naturali, biodiversità e germoplasma (Perrino e Desiderio, 1999). 5. Ruolo delle biotecnologie nella gestione della biodiversità Le relazioni tra biotecnologie e biodiversità sono multidirezionali. Primo, le biotecnologie forniscono strumenti per valutare la biodiversità. Perciò, esse giuocano un ruolo sempre crescente nell’identificazione di nuove risorse biologiche. Secondo, forniscono nuovi metodi e linee guida per la conservazione della biodiversità. Terzo, aumentano la capacità per una più saggia ed efficiente utilizzazione della biodiversità, sia come risorse genetiche per la produzione, sia nel ripristino d’ecosistemi degradati. È importante sottolineare che parlando d’organismi ottenuti con moderne biotecnologie non s’intende che essi sono necessariamente dannosi. Così come parlando d’organismi ottenuti con biotecnologie tradizionali non s’intende che essi sono necessariamente sicuri. Molti studiosi sono d’accordo nell’affermare che la valutazione dei rischi d’organismi modificati dovrebbe basarsi sulle caratteristiche dell’organismo piuttosto che sui mezzi attraverso i quali è stato ottenuto. Le biotecnologie forniscono mezzi per la conservazione della biodiversità in diverso modo. • In situ. Le biotecnologie possono fornire dati critici per una migliore gestione delle specie. Permettono di valutare meglio le dimensioni ottimali o minime di popolazioni per il mantenimento della loro diversità e di migliorare le pratiche volte ad incrementare le popolazioni di specie selvatiche attraverso oculati trasferimenti. • Ex situ. Le biotecnologie possono contribuire a migliorare l’efficienza della conservazione ex situ della biodiversità attraverso una migliore conoscenza della diversità e quindi ridurre o evitare la ridondanza nelle collezioni di germoplasma. • Librerie di DNA. Dette anche collezioni non viventi. Permettono di conservare in uno spazio molto piccolo un numero elevato d’informazioni genetiche che possono essere recuperate per obiettivi di conservazione ed utilizzazione. 95 Le biotecnologie forniscono mezzi importanti per utilizzare la biodiversità a beneficio dell’umanità. • Biofattorie. Gli organismi viventi possono essere usati come fattorie per la produzione di beni specifici, di prodotti che possono essere usati per riparare guasti ambientali o in processi industriali e possono servire a rinforzare attività rurali, manufatturiere ed estrattive. • Assistenza ai breeders. L’uso dei marcatori genetici può aumentare ed accelerare l’attività di miglioramento genetico. • Ingegneria genetica. Anche se non è una soluzione universale, è la tecnica più elegante per migliorare una varietà e/o razza domestica. Alcuni protocolli stanno diventando di routine. • Geni nuovi e prodotti di geni. Le biotecnologie, attraverso attività di screening, possono aumentare la capacità di localizzare geni e loro prodotti, utili all’umanità, presenti nella biodiversità che ci circonda. • Rimedi ambientali. La biodiversità è la risorsa principale per riabilitare ecosistemi degradati. Le biotecnologie possono aumentare la specificità e l’efficienza delle azioni riparatorie. Su come le biotecnologie possono interagire con la biodiversità ed il germoplasma esiste già una discreta letteratura (Porceddu, 1984; Perrino e Desiderio, 1999). 6. Conclusioni La nostra abilità di mantenere e di utilizzare la biodiversità ed il germoplasma nel miglior modo possibile dipende dalle modalità d’uso e di gestione sostenibile in agricoltura e molte altre attività (selvicoltura, pesca, turismo) svolte per la produzione di cibi e servizi per il consumo umano (Porceddu, 1992). Molti sistemi agricoli tradizionali costituiscono degli esempi di conservazione ed uso sostenibile della biodiversità. L’agricoltura moderna è stata la maggiore beneficiaria della biodiversità, particolarmente della diversità varietale generata dall’agricoltura tradizionale. Essa ha offerto giganteschi incrementi di pro- duttività attraverso l’innovazione tecnologica e la diffusione ed utilizzazione di varietà altamente produttive ed uniformi. Incrementi futuri di produttività dipenderanno dal miglioramento della gestione delle risorse genetiche nel tempo (per esempio, genebanks) e spazio (per esempio, mosaici di varietà di piante). Mentre abbiamo ancora una conoscenza incompleta sulle dimensioni potenziali delle future perdite di produttività dovute al restringimento delle basi genetiche, la vulnerabilità genetica delle più importanti colture ed animali mondiali sembra continui a crescere. Per soddisfare la domanda di una popolazione umana mondiale crescente ed allo stesso tempo mantenere la biodiversità richiede l’adozione di misure che 1) conservano la diversità genetica delle esistenti varietà domesticate di piante e d’animali, 2) identificano e conservano specie selvatiche che possono migliorare la produttività agricola e l’adattabilità per far fronte ai cambiamenti ambientali e 3) minimizzare gli impatti dell’agricoltura sugli altri ecosistemi. Le misure sociali ed economiche, in ogni caso, nell’assicurare l’uso sostenibile ed ecocompatibile, possono spesso essere molto più efficaci delle misure tecniche. Accanto a tutte le misure in situ esiste tutta una serie d’accorgimenti e/o meccanismi ex situ per mantenere collezioni di germoplasma, propagare e diffondere specie minacciate, conservare varietà di piante o razze d’animali in via d’estinzione ed offrire metodi di ripristino e reintroduzione di specie. Il fattore limitante per lo sviluppo e la realizzazione delle procedure volte alla tutela della biodiversità e del germoplasma sembra essere la capacità che ciascuna nazione ha di gestire la sua ricchezza biotica. In particolare, il successo nella gestione dei programmi dipende molto da quanto ciascuna nazione riesce ad incoraggiare la sua capacità umana a programmare e realizzare compiti che vanno dall’inventario all’uso delle biotecnologie. La gestione del germoplasma, in ogni caso, deve essere affrontata in modo sperimentale, tenendosi sempre pronti a adattarsi ai nuovi cambiamenti e flusso d’informazioni. La ricerca deve continuamente fornire ai politici la certezza dei risultati. Il germoplasma della Toscana 96 Bibliografia ALTIERI M.A., HECHT S.B., 1990. Agroecology and Small Farm Development. CRC Press, Boca Raton, Fla. ALTIERI M.A., MERRICK L.C., 1987. In-situ conservation of crop genetic resources through maintenance of traditional farming systems. Economic Botany 41: 86-96. ALTIERI M.A., 1987. Agroecology: The scientific basis of alternative agriculture. 203-213. Westview Press, Boulder, Colo. BARLETT P.G., 1980. Adaptation strategies in peasant agricultural production. Annual Review of Anthropology, 9: 545573. BROWN N.J., 1982. Biological Diversity: the global challenge. US Department of State, Washington DC. BRUSH S.B., 1986. Genetic diversity and conservation in traditional farming systems. 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Del resto, negli interventi precedenti sono stati affrontati numerosi aspetti che evidenziano correttamente il potenziale di un argomento, sintetizzato efficacemente già nel titolo di questo Convegno. Vorrei, piuttosto, richiamare l’attenzione su alcune fasi di un processo di conoscenza e approfondimento che vede, a mio avviso, nel trasferimento dei risultati conseguiti un momento di grande importanza. E questo, prima di tutto, per quegli agricoltori custodi che, come è stato sottolineato nel precedente intervento della rappresentante dell’Associazione “Agricoltori custodi”, costituiscono un riferimento obbligato e prezioso, sia per arrivare a Repertori completi e rappresentativi, sia per gestire il momento successivo della tutela, conservazione e valorizzazione. Rispetto a questi soggetti è necessaria una informazione attenta e precisa per consentire, attraverso la puntuale comprensione degli obbiettivi adottati, una piena disponibilità e partecipazione. In questo senso rinnovo la convinta collaborazione della CIA Toscana, prima di tutto verso i propri associati, con la consapevolezza che l’interesse culturale, scientifico e ambientale dell’iniziativa si affianca a ragionevoli motivazioni di ordine socio-economico. Richiamo soltanto, brevemente, l’impegno della CIA verso una politica di valorizzazione delle produzioni tipiche e di qualità che abbiamo sintetizzato nel concetto che soltanto un territorio di qualità può ottenere prodotti di qualità. È su questa base che si sono costruite posizioni, ritengo note, sulle biotecnologie o sull’assicurazione di qualità dei prodotti agricoli e alimentari. In questo quadro due elementi sembrano importanti per disegnare lo scenario del prossimo futuro: i servizi alle imprese e agli imprenditori e politiche di informazione verso i consumatori e i mercati. Per quanto riguarda i servizi alle imprese, dobbiamo rinnovare quella che, a nostro avviso, è una precisa esigenza, vale a dire avere un vero e proprio sistema di servizi allo sviluppo agricolo che consenta, da una parte adeguati livelli di informazione e di trasferimento verso gli agricoltori e, dall’altra parte, ottimali livelli di assistenza e supporto alle scelte imprenditoriali. Non deve sembrare fuori luogo questo richiamo tecnico. Infatti, siamo convinti che, con le distinzioni che si renderanno necessarie, per alcuni settori quali la frutticoltura o l’orticoltura, le azioni di tutela e recupero del germoplasma potranno consentire vere e proprie forme di reintroduzione di ciò che è ben presentato — nei limiti delle attuali disponibilità che ci auguriamo potranno crescere — nell’esposizione che accompagna questo Convegno. Relativamente alle politiche verso i consumatori e i mercati richiamiamo soltanto la sensibilità verso la garanzia e la richiesta di genuinità degli alimenti cresciuta recentemente. E, parallelamente, l’interesse verso la scoperta o la riscoperta di prodotti alimentari tipici e di qualità. Uno scenario, quindi, di grande interesse le cui potenzialità possono, e devono, trovare adeguate risposte a iniziare dalle produzioni agricole. Sembra di tutta evidenza come questa attenzione alimentare trovi un naturale punto di incontro nel recupero, anche con finalità produttive, di prodotti altrimenti non disponibili. Un’analisi anche sintetica dei flussi, per esempio quelli turistici, che interessano la Toscana è indicativa di come l’attenzione verso il paesaggio, verso le grandi tradizioni gastronomiche presenti sia da valutare atten- Il germoplasma della Toscana 100 tamente in prospettiva. Nella costante ricerca di qualità che deve caratterizzare un territorio di pregio come quello toscano, tale attenzione dovrà trovare adeguati momenti di crescita per consentire che le azioni di recupero con valore economico possano poi essere il motore di una ulteriore qualificazione, per esempio, della ristorazione. Per concludere vorrei porre l’accento, comunque, sul valore nel suo complesso del recupero del ger- moplasma in Toscana. Ho richiamato alcuni aspetti soprattutto economici e produttivi più direttamente legati ai produttori ma, come CIA Toscana, abbiamo la consapevolezza che le finalità della Legge Regionale 50/97 — economiche, scientifiche e culturali — abbiano un valore nella loro interezza e questo sia un ulteriore elemento di valorizzazione dell’agricoltura toscana in un corretto approccio di sviluppo rurale. 101 La biodiversità e l’agricoltura: la tutela delle risorse genetiche nel Lazio Antonio Onorati Responsabile Segreteria Assessore regionale all’Agricoltura della Regione Lazio Fin dal Neolitico, la diffusione delle prime specie vegetali e animali “domesticate” dalla Mezzaluna Fertile, in Medio Oriente, verso l’Europa Occidentale e le coste del Nord dell’Africa e l’adattamento dei sistemi di coltura e d’allevamento alla diversità delle condizioni ambientali accompagnarono la nascita delle grandi civiltà lungo le coste del bacino del Mediterraneo. Per tutta l’antichità l’agricoltura mediterranea continuò ad arricchirsi di nuove piante e animali provenienti soprattutto dal Medio Oriente e dall’Asia Centrale. Il Mediterraneo è in ogni caso considerato centro d’origine di almeno 84 specie vegetali d’interesse agrario (cfr. IPGRI, 1994). L’abilità degli agricoltori — così come riconosciuto dalle normative internazionali — ha in seguito contribuito all’aumento della diversità: razze, specie e varietà meglio adattate alle diverse condizioni del territorio sono state identificate, sperimentate, migliorate e coltivate per secoli, specie e varietà capaci di dare frutti durante tutto l’arco dell’anno, spesso resistenti alle fitopatie e facili da conservare. Queste piante e animali sono stati, fino a tempi recenti, parte costitutiva non solo dell’economia e del paesaggio, ma anche della vita sociale, del quotidiano e dell’immaginario culturale delle popolazioni rurali del nostro paese e anche della nostra regione. Lo sviluppo negli ultimi decenni di un’agricoltura impegnata a produrre materie sempre più omogenee unitamente a metodi di trasformazione a carattere industriale, hanno indotto gli agricoltori ad abbandonare molte varietà, cultivar, razze tradizionali a favore di varietà ad alto rendimento. Sono quindi iniziati processi di erosione genetica che rendono via via più fragile l’intero sistema agricolo. Contemporaneamente un’agricoltura sempre più specializzata ha prodotto un progressivo impoverimento dei suoli ed ha reso le produzioni più esposte a parassiti e predatori, rendendo necessario il ricorso a quantità crescenti di fertilizzanti e pesticidi di sintesi. L’uso massiccio della chimica in agricoltura è, come è noto, una delle cause dell’inquinamento ambientale. Oggi è irrinunciabile mettere in atto iniziative in grado di contrastare tali processi, in particolare in quei territori — come il Lazio — in cui lo sviluppo agricolo e rurale può trarre enorme vantaggio da una rigorosa politica di qualità e sicurezza alimentare. Nonostante i processi di degrado, nel nostro Paese si è conservata una variabilità importante ed una presenza notevole di specie di interesse agricolo. Le piante da frutto coltivate per essere utilizzate per scopi plurimi raramente trovavano spazio in organizzati frutteti, più spesso erano piante molto vigorose, isolate o vicine alle case, servivano da tutori della vite, delimitavano confini e curve di livello, erano individualmente riconosciute e apprezzate per le specifiche caratteristiche dei frutti che producevano. Questo fa dell’Italia un’area rimarchevole per qualsiasi strategia di conservazione della biodiversità: di qui la necessità e l’urgenza di mettere in atto iniziative utili alla difesa e valorizzazione del nostro patrimonio genetico di interesse agrario e di sostegno a chi questo patrimonio ha contribuito a creare e mantenere, in primo luogo gli agricoltori. La difesa della biodiversità ormai è diventato un valore non più discusso. Resta da garantire ai soggetti sociali che nel corso dei millenni l’hanno salvaguardata, mantenuta, potenziata, la possibilità di averne un’effettiva autonoma capacità di gestione e di poterla utilizzare come fonte di reddito. In assenza ancora oggi di una legge nazionale, la Regione Lazio sulla scorta delle indicazioni fornite dalla Convenzione di Rio sulla Biodiversità (1992), in particolare agli artt. 2 e 8, delle iniziative della Commissione Agricoltura del Parlamento nazionale, Il germoplasma della Toscana 102 dei risultati acquisti attraverso alcuni Regolamenti comunitari, tra cui il Reg. 2078/92, il Reg. 1467/94 e dell’esperienza di altre regioni (es. Toscana) e di importanti istituzioni internazionali, ha deciso di dotarsi di un proprio quadro di riferimento giuridico. L’interesse della Regione per una sua specifica normativa è diventato più evidente dopo l’approvazione della riforma della Politica Agricola Comunitaria, delle modifiche europee alla disciplina sementiera e della direttiva comunitaria sulla brevettazione del vivente (Dir. 44/98 UE), nonché dell’insieme delle disposizioni relative ai riconoscimenti delle protezioni DOP e IGP. Va ricordato, inoltre, che una parte rilevante delle normative sementiere in vigore o in via di modifica attribuisce compiti importanti ed aggiuntivi alle stesse Regioni e che pertanto questa regione deve attrezzarsi a adempiere i compiti che le sono trasferiti dal Governo nazionale. Abbiamo inteso sviluppare un quadro normativo regionale che sostenga gli sforzi per conservare in situ ed in azienda la biodiversità di interesse agricolo e sia capace di: 1 - identificare metodologie appropriate e linee guida per appoggiare e monitorare la conservazione in situ fatta dagli agricoltori; 2 - coordinare la raccolta e l’analisi dei dati relativi alla biologia delle specie ed agli aspetti socio-economici e culturali propri della biodiversità di interesse agricolo nella nostra Regione; 3 - sviluppare le reti di supporto necessarie a rafforzare le capacità di conservazione e creazione varietale a livello di Comunità locali; 4 - provvedere all’elaborazione di un quadro unico di riferimento per valutare in modo omogeneo la qualità e la fattibilità di progetti di conservazione in situ e in azienda di specie e varietà di interesse agricolo, che, al di là della redditività economica, si propongano di promuovere l’uso di germoplasma di origine locale, di difendere e valorizzare i prodotti locali (DOC, DOP e IGP), di mettere in atto interventi di difesa, recupero e ripristino di territori in via di marginalizzazione; 5 - sostenere le capacità di ricerca-azione specificamente finalizzata alla conservazione in situ da parte di istituzioni quali il CNR, le Università, gli Istituti del MIPA che hanno sede nella nostra regione e delle organizzazioni non governative, e il supporto a tutti quei programmi che prevedono una collaborazione diretta tra le istituzioni della ricerca formale, gli agricoltori e le associazioni impegnate nelle attività di conservazione in azienda; 6 - identificare le linee per la predisposizione di par- ticolari accordi contrattuali con gli agricoltori ed i Comuni che partecipano ad attività di conservazione, che garantiscano i diritti collettivi sul germoplasma collezionato, conservato o in ogni modo mantenuto a livello locale; 7 - identificare incentivi e forme di compensazione per sostenere la conservazione in azienda della diversità biologica. Esistono problematiche che, pur di carattere generale, non possono non essere affrontate da questa legge. È evidente che una legge regionale di difesa della biodiversità d’interesse agricolo, può prevedere misure specifiche di protezione (registro volontario) e di supporto (incentivi), mentre deve rimandare le problematiche relative ai diritti sulle risorse genetiche ad altro dispositivo. Particolarmente delicata, inoltre, è la demarcazione tra interesse privato e interesse collettivo relativamente a questo tipo particolare di risorse. Da un punto di vista strettamente formale vi sono alcune certezze su cui ormai non si discute più. Intanto è evidente che ogni Nazione ha diritti sovrani sul suo territorio, incluse le risorse naturali (cfr., Risoluzione 1803 della UN General Assembly, 1962; confermato nel punto 21 dei Principi approvati dalla Conferenza delle Nazioni Unite “The Human Environment”, 1972 e ripreso all’art. 3 della Convenzione sulla Biodiversità, Rio UNCED, 1992). Evidentemente ogni Stato ha il potere e la giurisdizione per disporre, tra l’altro, come queste devono essere usate e ridistribuite. Lo Stato, vista la natura specifica delle risorse genetiche e della biodiversità, ha facoltà di determinare quale tipo e con quali modalità sono riconosciuti, imposti, protetti diritti sulle risorse genetiche. Questi diritti possono includere diritti di proprietà, ma non necessariamente, così come previsto dall’accordo conosciuto come “UPOV ’78” e l’accordo TRIP (cfr. art. 27.3/b). In ogni caso questi diritti sovrani sono soggetti agli obblighi che derivano da accordi internazionali e dal rispetto di diritti sovrani di altri Stati. Questo punto è fondamentale per regolamentare il “diritto d’accesso” alle risorse genetiche e alla biodiversità. Non ci sono dubbi: questo è possibile solo sulla base di termini e condizioni mutuamente accettate (cfr. Convenzione sulla Biodiversità – Rio UNCED, 1992). Sappiamo che da una parte ci sono diritti sulla pianta o l’animale come tale, essere vivente “fisico” che evidentemente “appartiene” a chi in un dato momento vi ha stabilito un diritto relativo a questa 103 fisicità. Ma ben più importante è che le piante e gli animali come risorsa genetica sono portatori di “informazioni” e quindi devono rientrare nella sfera dei diritti su “risorse intangibili”. Nel primo tipo di godimento i diritti stabiliti possono essere di natura privata (proprietà privata) o di natura pubblica (proprietà pubblica, collettiva, ancestrale, etc.). Se una terra appartiene a qualcuno, è evidente che le piante che ci crescono sopra gli appartengono. Altro è per il contenuto intangibile delle risorse genetiche (informazioni contenute nel DNA, geni e genotipo) che, se non stabilito altrimenti da leggi specifiche, sono considerate una merce che ha un valore ma non un mercato, fintanto che questo non è creato attraverso legislazioni appropriate e specifiche (brevetti, negoziati tra le parti, diritti d’ottenzione, diritti sui generis, consuetudini, diritti collettivi, etc.). Evidentemente più complesso appare il caso di piante coltivate quando si parla di razze e varietà autoctone (“landraces o folkseeds”) che sono etero- genee e variabili nelle loro caratteristiche da contrapporre alle cosiddette “varietà moderne” che sono omogenee e stabili, e quindi già protette con diritti d’ottenzione. Tutte quelle forme che in concreto possono prendere la parte non fisica del valore delle risorse genetiche devono essere “protette” in qualche modo da chi esercita un diritto sovrano, lo Stato, l’insieme degli Stati e le entità subnazionali dotate di potere legislativo. Vorremmo anche ricordare che il nostro ordinamento nazionale prevede espressamente limiti di natura sociale alla proprietà privata. Si veda a questo proposito: artt. 846 e 847 del Codice Civile e lo stesso art. 42 della Costituzione. Tutte queste precisazioni sono necessarie per capire la natura, il fondamento e le modalità della compensazione che deve essere riconosciuta a chi è — in qualche modo — all’origine del mantenimento della diversità biologica o che comunque in un preciso momento ne ha la disponibilità perché detentore della parte fisica di questa (la pianta o l’animale). ALLEGATO Legge Regionale n. 15 del 1° marzo 2000 Tutela delle risorse genetiche autoctone di interesse agrario (Bollettino ufficiale della Regione Lazio, 30 marzo 2000, n. 9) Art. 1 (Oggetto) 1. La Regione Lazio favorisce e promuove, nell'ambito delle politiche di sviluppo, promozione e salvaguardia degli agroecosistemi e delle produzioni di qualità, la tutela delle risorse genetiche autoctone di interesse agrario, incluse le piante spontanee imparentate con le specie coltivate, relativamente alle specie, razze, varietà, popolazioni, cultivar, ecotipi e cloni per i quali esistono interessi dal punto di vista economico, scientifico, ambientale, culturale e che siano minacciati di erosione genetica. 2. Possono considerarsi autoctone, ai fini di cui al comma 1, anche specie, razze, varietà e cultivar di origine esterna, introdotte nel territorio regionale da almeno cinquanta anni e che, integratesi nell'agroecosistema laziale, abbiano assunto caratteristiche specifiche tali da suscitare interesse ai fini della loro tutela. 3. Possono altresì essere oggetto di tutela a norma della presente legge anche le specie, razze, varietà, attualmente scomparse dalla Regione e conservate in orti botanici, allevamenti, istituti sperimentali, banche genetiche pubbliche o private, centri di ricerca di altre regioni o paesi, per le quali esiste un interesse a favorire la reintroduzione. 1. 2. 3. a) b) Art. 2 (Registro volontario regionale) Al fine di consentire la tutela del patrimonio genetico, è istituito il registro volontario regionale, suddiviso in sezione animale e sezione vegetale, al quale sono iscritte specie, razze, varietà, popolazioni, cultivar, ecotipi e cloni di interesse regionale di cui all'articolo 1. Il registro di cui al comma 1 è tenuto dall'Agenzia regionale per lo sviluppo e l'innovazione in agricoltura del Lazio (ARSIAL). La Giunta regionale, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, determina le modalità per la tenuta del registro volontario regionale e per l'iscrizione in esso delle specie e varietà di cui all'articolo 1, tenendo conto dei seguenti criteri: il registro volontario regionale, costituito dalle sezioni animale e vegetale, è organizzato secondo modalità che tengano conto delle caratteristiche tecniche di analoghi strumenti eventualmente esistenti a livello nazionale ed internazionale, in modo da renderlo quanto possibile omogeneo e confrontabile con gli stessi; le accessioni di cui all’art. 1, comma 1, per essere iscritte al registro volontario regionale devono essere identificabili Il germoplasma della Toscana 104 per un numero minimo di caratteri definiti per ogni singola entità; c) l'iscrizione nel registro volontario regionale è gratuita ed eseguita a cura dell'ARSIAL, previa acquisizione del parere favorevole della competente commissione tecnico-scientifica di cui all'articolo 3; d) l'iscrizione avviene ad iniziativa d'ufficio dell'ARSIAL, ovvero su proposta della Giunta regionale, di enti scientifici, enti pubblici, organizzazioni ed associazioni private e singoli cittadini; e) alla domanda di iscrizione è allegata una specifica documentazione storico-tecnico-scientifica; f) il materiale iscritto nel registro volontario regionale può essere cancellato dall'ARSIAL, previo parere favorevole della competente commissione tecnico-scientifica di cui all'articolo 3, quando non sussistano più i requisiti di cui all'articolo 1, comma 1. 1. 2. 3. 4. 5. Art. 3 (Commissioni tecnico-scientifiche) Per lo svolgimento dei compiti di cui alla presente legge sono istituite la commissione tecnico-scientifica per il settore animale e la commissione tecnico-scientifica per il settore vegetale. La commissione tecnico-scientifica per il settore animale è composta da: a) un funzionario del dipartimento regionale competente in materia di risorse genetiche animali in agricoltura; b) un funzionario dell'ARSIAL competente in materia di risorse genetiche animali in agricoltura; c) un agricoltore che detiene materiale animale la cui tutela è prevista dalla presente legge, in rappresentanza del mondo agricolo; d) cinque esperti del mondo scientifico ed accademico competenti in materia di risorse genetiche animali in agricoltura. La commissione tecnico-scientifica per il settore vegetale è composta da: a) due funzionari del dipartimento regionale competenti in materia di risorse genetiche di piante erbacee, arboree e forestali di interesse agrario; b) un rappresentante dell'ARSIAL competente in materia di risorse genetiche di piante erbacee, arboree e forestali di interesse agrario; c) un agricoltore che detiene materiale di piante erbacee, arboree o forestale di interesse agrario la cui tutela è prevista dalla presente legge, in rappresentanza del mondo agricolo; d) dieci esperti del mondo scientifico ed accademico competenti in materia di risorse genetiche di piante erbacee, arboree e forestali di interesse agrario. Le commissioni di cui ai commi 2 e 3 restano in carica per cinque anni ed eleggono nel proprio seno il presidente. Per la designazione e la nomina dei componenti le commissioni di cui ai commi 2 e 3, nonché per la corresponsione agli stessi di un gettone di presenza per ogni seduta e per il rimborso delle spese di viaggio e delle eventuali indennità di missione, si applica la vigente normativa regionale in materia. 6. L'ARSIAL fornisce, attraverso i propri uffici, il necessario supporto tecnico-operativo per il funzionamento delle commissioni di cui ai commi 2 e 3. 1. 2. 3. 4. 5. Art. 4 (Rete di conservazione e sicurezza) La protezione e la conservazione delle risorse genetiche autoctone di interesse agrario, iscritte nel registro volontario regionale di cui all'articolo 2, si attua mediante la costituzione di una rete di conservazione e sicurezza, di seguito denominata rete, gestita e coordinata dall'ARSIAL, cui possono aderire comuni, comunità montane, istituti sperimentali, centri di ricerca, università agrarie, associazioni d'interesse e agricoltori singoli od associati. La rete si occupa della conservazione in situ o in azienda del materiale genetico di interesse regionale di cui all'articolo 1 e della moltiplicazione di tale materiale al fine di renderlo disponibile agli operatori agricoli che ne facciano richiesta, sia per la coltivazione sia per la selezione ed il miglioramento. L'ARSIAL predispone elenchi, su base provinciale, dei siti in cui avviene la conservazione ai sensi del comma 2 e li trasmette annualmente ai comuni interessati che provvedono all'informazione relativamente all'esistenza dei siti stessi. Gli agricoltori inseriti nella rete possono vendere una modica quantità delle sementi da loro prodotte, stabilita per ogni singola entità al momento dell'iscrizione al registro volontario regionale. Gli agricoltori inseriti nella rete possono, altresì, effettuare la risemina in azienda. Gli agricoltori, gli enti, i centri di ricerca, le università agrarie e le associazioni proprietari di materiale vegetale o animale tutelato con la presente legge, che non aderiscono alla rete, sono tenuti a fornire all'ARSIAL una parte del materiale vivente ai fini della moltiplicazione, per garantire la conservazione delle informazioni genetiche presso altro sito. Art. 5 (Patrimonio delle risorse genetiche) 1. 1. Fermo restando il diritto di proprietà su ogni pianta od animale iscritti nel registro di cui all'articolo 2, il patrimonio delle risorse genetiche di tali piante od animali appartiene alle comunità indigene e locali, all'interno delle quali debbono essere equamente distribuiti i benefici, così come previsto all'articolo 8j della Convenzione di Rio sulle Biodiversità (1992), ratificata con legge 14 febbraio 1994, n. 124. Art. 6 (Piano settoriale di interventi) 1. La Regione approva, ogni triennio, entro il 30 giugno, un piano settoriale di intervento, nel quale sono stabilite le linee guida per le attività inerenti la tutela delle risorse genetiche autoctone di interesse agrario. 2. Nel piano settoriale di cui al comma 1, la Regione: a) favorisce le iniziative, sia a carattere pubblico sia priva- 105 to, che tendono a conservare la biodiversità autoctona di interesse agrario, a diffondere le conoscenze e le innovazioni per l'uso e la valorizzazione di materiali e prodotti autoctoni, la cui tutela è garantita dalla presente legge; b) assume direttamente iniziative specifiche atte alla tutela, miglioramento, moltiplicazione e valorizzazione delle risorse genetiche autoctone; c) prevede specifiche iniziative per incentivare gli agricoltori inseriti nella rete di conservazione e sicurezza. 3. Nell'ambito ed in applicazione del piano settoriale di cui al comma 1, la Regione predispone, per ognuna delle annualità comprese nel triennio, un programma operativo annuale per la realizzazione delle attività ed iniziative previste, specificando tra l'altro le risorse economiche a disposizione, l'entità dei singoli interventi contributivi ed i relativi soggetti beneficiari, le modalità di accesso e di erogazione dei benefici, le zone prioritarie d'intervento e le forme di controllo delle iniziative svolte. 4. Sono beneficiari dei contributi previsti dai programmi operativi tutti gli operatori che aderiscono alla rete nonché gli agricoltori che producono per il mercato il materiale autoctono d'interesse agrario individuato nel registro volontario regionale. 5. I programmi operativi annuali sono attuati dall'ARSIAL e sottoposti a controllo e monitoraggio da parte del dipartimento regionale competente in materia di agricoltura. Art. 7 (Divieti e sanzioni) 1. All'interno delle aree naturali protette regionali, delle aree d'interesse comunitario, nazionale e regionale individuate dalla deliberazione della Giunta regionale 19 marzo 1996, n. 2146 e nei siti inseriti negli elenchi di cui all'articolo 4, comma 3, nonché nelle zone limitrofe alle predette aree, per una distanza di almeno 2 km, è fatto divieto di usare organismi geneticamente modificati. 2. Per le violazioni alle disposizioni di cui alla presente legge si applicano le seguenti sanzioni: a) sanzione amministrativa pecuniaria da lire 1 milione a lire 6 milioni per chi contravviene al divieto di cui al comma 1b) sanzione amministrativa pecuniaria da lire 500 mila a lire 3 milioni per chi contravviene all'obbligo di cui all'articolo 4, comma 5; c) sanzione amministrativa pecuniaria fino a lire 1 milione per le violazioni non espressamente previste. 3. Le violazioni sono accertate ai sensi della legge 24 novembre 1981, n. 689 e successive modificazioni ed integrazioni, regolamentate dalla legge regionale 5 luglio 1994, n. 30. 4. Alla vigilanza ed all'irrogazione delle sanzioni di cui al comma 2 provvedono i comuni territorialmente competenti. Per la ripartizione tra la Regione ed i comuni degli importi delle sanzioni comminate si applica quanto disposto dall'articolo 182, comma 2, della legge regionale 6 agosto 1999, n. 14. Art. 8 (Clausola sospensiva dell’efficacia e divieto di cumulo) 1. Agli aiuti previsti dalla presente legge è data attuazione a decorrere dalla data di pubblicazione nel Bollettino ufficiale della Regione (BUR) dell'avviso relativo all'esito positivo dell'esame di compatibilità da parte della Commissione delle Comunità europee ai sensi degli articoli 87 e 88 del Trattato istitutivo della Comunità europea. 2. I finanziamenti concessi ai sensi della presente legge non sono cumulabili con quelli previsti per le medesime iniziative da altre leggi statali e regionali. Art. 9 (Norma finanziaria) 1. Gli oneri di cui alla presente legge rientrano negli stanziamenti annualmente previsti nel bilancio regionale a favore dell'ARSIAL. La presente legge regionale sarà pubblicata sul Bollettino Ufficiale della Regione. È fatto obbligo a chiunque spetti di osservarla e di farla osservare come legge della Regione Lazio. 107 La biodiversità: un patrimonio da salvare Riccardo Fortina WWF Piemonte e Valle d’Aosta, Presidente Ho accettato con piacere l’invito dei colleghi del WWF Toscana a parlare di agricoltura e biodiversità a nome del WWF perché è proprio in questa Regione che si stanno facendo gli sforzi maggiori per salvaguardare il patrimonio animale e vegetale autoctono e perché è proprio in Toscana che il WWF gestisce le più importanti e belle Oasi naturalistiche dell’Associazione. Le Oasi del WWF costituiscono il più grande sistema di aree protette gestito da una associazione privata (sono quasi 40.000 ettari sparsi in tutto il territorio nazionale), e in molte di esse si praticano attività agricole spesso mirate alla conservazione del germoplasma autoctono animale e vegetale. Poiché mi occupo di zootecnia al Dipartimento di Scienze Zootecniche dell’Università di Torino, questo mio breve intervento riguarderà principalmente il settore della produzione animale. Per il WWF la salvaguardia delle razze autoctone italiane non è solo un obiettivo fondamentale per la conservazione della biodiversità in agricoltura ma, più in generale, per la tutela di quel patrimonio di cultura, tradizioni e attività contadine che tanta importanza hanno avuto nel nostro Paese. Basti ricordare, a tale proposito, il ruolo avuto dalla zootecnia nella creazione del paesaggio agrario italiano e quello dei prodotti di origine animale nel raggiungimento dei primati gastronomici che hanno reso celebre l’Italia nel mondo. Per questo motivo, il WWF ritiene che il recupero o il miglioramento di tecniche di allevamento quali la linea vacca-vitello con le razze italiane, il pascolo turnato e altre forme di sfruttamento razionale delle risorse foraggere costituiscano fattori essenziali per il rilancio di un comparto oggi in forte crisi. Numerose ricerche hanno ormai ampiamente dimostrato la sostenibilità economica di questi tipi di allevamento, gli unici capaci fornire prodotti in grado di soddisfare un mercato sempre più esigente in fatto di qualità. La zootecnia italiana, come da più parti ricordato, sta vivendo in un mercato del tutto anomalo che non è più sostenibile sia in termini economici, sia in termini di qualità ambientale e dei prodotti. Il continuo calo dei prezzi ha favorito ristallatori e ingrassatori di razze straniere a discapito dei tradizionali allevamenti estensivi; soprattutto nel settore della produzione della carne (bovini, ma anche suini e polli) è quindi necessario recuperare un più solido legame tra azienda e territorio che sia economicamente competitivo. Questo riequilibrio, da sempre auspicato dal WWF e ben prima dell’attuale “modello agricolo europeo”, può finalmente iniziare attraverso l’attuazione di tutte le politiche di sviluppo rurale previste dalla riforma della Politica Agricola Comunitaria. Ben vengano quindi gli incentivi all’allevamento estensivo, le compensazioni al progressivo calo dei prezzi e i premi per sostenere gli allevamenti in aree marginali. Senza queste manovre e di fronte alla prossima riduzione dei prezzi verranno nuovamente favoriti i grandi allevamenti intensivi; è urgente uscire da questo circolo vizioso, frutto di politiche agricole sbagliate che hanno provocato la chiusura di migliaia di piccole aziende che avevano legami strettissimi con il proprio territorio, che hanno favorito gli ammassi delle eccedenze e che sono state la causa di problemi ambientali gravissimi. Il rilancio della zootecnia italiana passa quindi attraverso il riequilibrio del legame tra azienda e territorio: solo in questo modo sarà possibile vincere la sfida con le economie degli altri Paesi europei. Per il WWF non basta produrre bene e igienicamente o, come ormai si dice da più parti, recuperare antiche lavorazioni e prodotti tipici. Bisogna anche e soprattutto recuperare la qualità dell’ambiente di allevamento, le tecniche tradizionali di gestione e di Il germoplasma della Toscana 108 alimentazione degli animali (mettendo in pratica i risultati della moderna ricerca scientifica), mantenere in vita le razze autoctone e redistribuire su tutto il territorio la produzione e i redditi. Ed è proprio in questa ottica che in Toscana, e in particolare nei nuovi terreni acquisiti a Orbetello (oltre 100 ettari prevalentemente a uso agricolo), il WWF intende avviare una attività agricola che avrà tra gli obiettivi anche la conservazione di razze e cultivar autoctone. Oltre alla produzione di carne e latte e ad attività didattico-educative, nella nuova azienda agraria del WWF a Orbetello sarà possibile, a quanti saranno interessati a iniziative di conservazione della biodiversità, svolgere le proprie attività di ricerca e sperimentazione; è previsto infatti che alcuni dei terreni vengano a tale scopo messi a disposizione di coloro che ne faranno richiesta. Quello che rivolgo in questa sede è quindi un invito a istituzioni pubbliche e private toscane a proporre progetti e collaborazioni con il WWF. Ricordo che è gia stato firmato un protocollo d’intesa tra ARSIA e WWF Toscana e che pertanto è auspicabile l’avvio di una fattiva collaborazione anche sulle tematiche di cui oggi si è ampiamente discusso. Ricollegandomi ad alcuni interessantissimi spunti di dibattito offerti dai relatori precedenti, concludo augurando ai colleghi del WWF Toscana la rapida realizzazione, all’interno di una delle Oasi storiche dell’Associazione, di un intervento dove venga coniugata in maniera efficace la conservazione della natura con l’esigenza di mantenere quelle attività agro-zootecniche che hanno reso il paesaggio toscano, e della Maremma in particolare, così famoso e unico. 109 La Società Italiana dell’Iris ed il suo giardino Sergio Orsi Presidente della Società Italiana dell’Iris - Firenze L’interesse per la divulgazione e l’ibridazione di questa magnifica iridacea, così adatta a studi di genetica, è ormai diffusissimo non solo nei paesi di lingua inglese (USA, Gran Bretagna, Australia, Nuova Zelanda), ma anche in Europa (Francia, Germania, Romania, Repubblica Ceca, Svizzera, Spagna, Israele, Olanda, Italia), in Asia (Giappone) e Sud Africa. A Firenze, al Piazzale Michelangelo, nel Giardino della Società dell’Iris (SIDI), società creata nel 1959, esiste una collezione di Iris unica in Italia ed una delle più note nel mondo. I circa 2.000 incroci che vi sono raccolti provengono da ibridatori di tutto il mondo che, dal 1957, inviano annualmente le loro migliori creazioni per concorrere al Concorso internazionale dell’Iris che, ininterrottamente, si svolge a partire dal 1957. Il valore di questi ibridi viene valutato da una Giuria internazionale di cinque esperti, che cambiano ogni anno, la quale basandosi su prestabiliti parametri stabilisce una graduatoria di merito con relativi premi. La collezione, unica in Europa, comprende sia molte specie spontanee da cui è partito il lavoro di miglioramento genetico (Iris florentina, I. germanica, I. pallida, I. variegata, I. odoratissima, ecc.), sia una successione di forme che risultano dal lavoro di selezione, dai primi tentativi a quelli più recenti. Si tratta di una collezione che all’interesse scientifico (conservazione di prezioso germoplasma) unisce un valore storico e culturale di grande rilievo; la ricca e rara documentazione del campo di variabilità delle forme di Iris presenti nel Giardino, sia di quelle spontanee ma anche e, soprattutto, di quelle ibride, oggi numerosissime, costituisce una fonte di dati per studi di genetica sia pura che applicata e per studi di processi evolutivi. Il giardino, ben conosciuto come centro di raccolta di Iris barbate alte e nane, riveste quindi anche un ruolo di giardino botanico che può offrire a studiosi di fare osservazioni e ricerche di biologia, di sistematica e di genetica. Ogni anno, a maggio, in concomitanza del Concorso i snternazionale la Società organizza un corso teorico-pratico di ibridazione dell’Iris corso che è molto apprezzato e frequentato da tutti coloro che desiderano scoprire i misteri e le meraviglie del mondo vegetale ed in particolare di questo fiore. La SIDI, che conta oggi intorno ai quattrocento soci, si prefigge di: incoraggiare, migliorare ed estendere la coltivazione dell’Iris; collaborare con altri enti, società affini italiane ed estere (è allo studio la creazione di una Associazione europea delle Società dell’Iris); promuovere studi scientifici ed iniziative di vario tipo per migliorare la conoscenza del genere Iris e piante affini; regolare la nomenclatura, la classificazione e registrazione delle cultivar di Iris. 209 V. Il germoplasma toscano delle specie legnose da frutto Il germoplasma toscano delle specie legnose da frutto: il noce E. Bellini, F.P. Nicese, C. Bertagnini Dipartimento di Ortoflorofrutticoltura, Università degli Studi di Firenze 1. Introduzione 2. Materiali e metodi In Italia il noce da frutto è largamente coltivato, adattandosi alla variabilità ambientale e pedologica che caratterizza il nostro paese. Tuttavia la coltura è, nel suo complesso, in costante e progressivo declino da molti anni: da 80.000 tonnellate circa nel triennio 1968-70 è passata a 10.000 t/anno secondo gli ultimi dati ISTAT (Lugli e Fanigliulo, 1998). L’evoluzione e l’attuale situazione della coltura del noce in Toscana seguono, nel complesso, l’andamento nazionale. Differenze sostanziali riguardano la distribuzione altimetrica della coltura, più diffusa in collina ed in montagna, la sua ridotta presenza come coltura specializzata (Fig. 1) e l’assoluta prevalenza della produzione da piante sparse. È quindi apparsa evidente l’esigenza di reperire e caratterizzare genotipi locali di pregio (soprattutto per ciò che riguarda il frutto) in aree della Toscana tradizionalmente interessate dalla presenza del noce, quali le province di Firenze ed Arezzo, per evitare la loro scomparsa. La ricerca, avviata già da alcuni anni (Bertagnini, 1997; Nicese et al., 1998), si è inizialmente basata sulla raccolta di informazioni (istituzioni pubbliche e privati cittadini) circa la presenza di piante di particolare interesse (es.: età e fruttificazione); sono state quindi individuate alcune piante sulle quali è stata effettuata una serie di rilievi, basati sui descrittori IPGRI (1994) e sulle schede UPOV (1995), come segue: Fig. 1 - Noce: esempio di coltivazione consociata al nocciolo nel comune di Rignano sull’Arno Fig. 2 - Noce: esempi di forme diverse di frutti reperiti nel corso della sperimentazione • rilievi fenologici: epoche di germogliamento e di fioritura, tipo di fruttificazione, numero di fiori femminili/gemma e di fiori maschili/amento, epoca di maturazione; • rilievi carpometrici: forma, altezza, larghezza, spessore della noce, colore e tessitura delle valve, tipo di sutura, peso totale e del solo gheriglio; • rilievi merceologici: tipo di apertura delle valve, resistenza allo schiacciamento, resa in sgusciato. Il germoplasma della Toscana 210 Fig. 3 - Noce: epoca di germogliamento suddivisa in classi di frequenza 20-30 aprile 7 8-15 aprile 6 16-22 aprile 5 1-8 maggio 4 1-7 aprile 3 2 1 0 Molto precoce Precoce Media Tardiva Molto tardiva Fig. 4 - Noce: peso medio (g) del gheriglio dei genotipi individuati 60 50 Sorrento 40 30 20 10 3. Risultati Le ricerche hanno portato, sinora, alla individuazione di 33 ecotipi con caratteristiche morfologiche e biologiche alquanto diversificate (Fig. 2). L’epoca di germogliamento, che negli ambienti dell’Italia centrale è bene sia alquanto ritardata per sfuggire a pericolose gelate tardive, è risultata compresa tra la prima settimana di aprile e la prima di maggio; ben 11 ecotipi hanno evidenziato un germogliamento dopo il 22 aprile, quindi tardivo o molto tardivo (Fig. 3). Relativamente ai dati carpometrici, la maggior parte degli ecotipi si è collocata tra i 9 ed i 14 g di peso medio del frutto, con punte sino ai 17 g, anche se accompagnate da rese in sgusciato più modeste (30-35%). Anche i rilievi sul gheriglio hanno evidenziato un livello del materiale individuato sostanzialmente buono, con 18 ecotipi nell’ambito o al di sopra del 42 8 36 27 22 43 40 7 6 38 1 44 14 39 19 4 17 37 28 2 45 6 12 31 21 16 18 10 26 15 11 23 33 0 livello della “Sorrento” (4,6-5,1 g) dei quali 12 in una fascia di assoluta eccellenza (5 g o più) (Fig. 4). 4. Conclusioni In definitiva, dalle ricerche sinora condotte, è emerso un panorama genetico del noce in Toscana di notevole interesse (Fig. 5); questo materiale è attualmente in osservazione in un campo di raccolta-comparazione presso l’Azienda Montepaldi (San Casciano Val di Pesa - FI) dell’Università di Firenze allo scopo di individuare i genotipi di maggior interesse nella prospettiva di un loro possibile impiego commerciale. In questo campo, oltre agli ecotipi locali, sono state introdotte alcune delle più importanti varietà, italiane ed estere (americane e francesi), da utilizzare come “riferimento” nell’opera di catalogazione del germoplasma locale. 211 Fig. 5 - Noce: ecotipo individuato nell’Alto Mugello (Pian della Querce - Marradi) 5. Scheda descrittiva semplificata del noce Allo scopo di facilitare il lavoro di reperimento delle “accessioni” di noce ancora presenti in Toscana, la commissione delle specie legnose da frutto (L.R. 50/97) ha redatto una “scheda descrittiva semplificata”, riportata nelle pagine seguenti (in fac-simile, richiedere l’originale all’ARSIA). Fig. 6 - Noce: ecotipo individuato nel Valdarno (Mandri III - Reggello) Bibliografia BERTAGNINI C. (1997) - Ricerche per la caratterizzazione di biotipi di noce da frutto reperiti nelle province di Firenze e di Arezzo. Tesi di laurea. IPGRI (1994) - Descriptors for walnut (Juglans spp.). International Plant Genetic Resources Institute, Roma. NICESE F.P., FERRINI F., BERTAGNINI C. (1998) - Ricerche per la caratterizzazione di ecotipi di noce da frutto reperiti nelle province di Firenze e Arezzo. Atti VI Giornate Scientifiche S.O.I., Sanremo, 1-3 aprile. LUGLI S., FANIGLIULO G. (1998) - Il noce in Italia: coltura in ripresa. Frutticoltura (1): 7-14. UPOV (1995) - Test guidelines for walnut. International Union for the protection of new varieties of plants, Geneva. Il germoplasma della Toscana 212 Commissione tecnico-scientifica delle Specie Legnose da Frutto - L.R. 50/97 Scheda descrittiva semplificata NOCE (Scheda fac-simile, richiedere l’originale all’ARSIA) Nome e cognome del rilevatore: Periodo della rilevazione: dal al Luogo della rilevazione (nome, cognome, indirizzo): NOME CULTIVAR ETÀ DELLE PIANTE N. PIANTE INDIVIDUATE SINONIMI CARATTERI OBBLIGATORI 1) VIGORIA ❏ scarsa ❏ media ❏ elevata 2) PORTAMENTO ❏ assurgente ❏ semiassurgente ❏ espanso 3) FIORITURA MASCHILE (data) inizio (10% fiori aperti) piena (60% fiori aperti) fine (100% fiori aperti) 4) FIORITURA FEMMINILE (data) inizio (10% fiori aperti) piena (60% fiori aperti) fine (100% fiori aperti) 5) NUMERO AMENTI ❏ scarso ❏ medio ❏ elevato 6) FIORI FEMMINILI PER GEMMA ❏ uno ❏ tre ❏ due ❏ oltre tre 7) FRUTTIFICAZIONE ❏ costante ❏ incostante ❏ alternante 8) PRODUTTIVITÀ ❏ scarsa ❏ media ❏ elevata 9) RACCOLTA (data) inizio fine 10) DIMENSIONE FRUTTI ALLA RACCOLTA (noce) ❏ piccola: fino a 4 g ❏ media: da 5 a 7 g ❏ grossa: da 7a13 g ❏ molto grossa: oltre 13 g 11) FORMA FRUTTI (sez. ventrale, lungo la sutura) ❏ arrotondata ❏ ovale ❏ trapezoidale ❏ ellittica ❏ cordiforme 12) FORMA FRUTTI (sez. trasversale) ❏ circolare ❏ ellittico-allargata ❏ ellittico-stretta 13) SIMMETRIA FRUTTI ❏ simmetrica ❏ asimmetrica 14) SUPERFICIE GUSCIO ❏ liscia ❏ rugosa ❏ molto rugosa 15) SPESSORE GUSCIO ❏ sottile ❏ medio ❏ spesso 213 CARATTERI OBBLIGATORI 16) COLORE GUSCIO ❏ marrone chiaro ❏ marrone ❏ marrone scuro 17) DIMENSIONE GHERIGLIO ❏ piccolo ❏ medio ❏ grosso 18) COLORE GHERIGLIO ❏ molto chiaro ❏ chiaro ❏ ambrato 19) SAPORE GHERIGLIO ❏ mediocre ❏ buono ❏ ottimo 20) RIMOZIONE GHERIGLIO ❏ facile ❏ media ❏ difficoltosa 21) GIUDIZIO QUALITATIVO GENERALE ❏ senza interesse ❏ mediocre ❏ buono ❏ ottimo 22) GIUDIZIO QUALITATIVO OSSERVAZIONI 22) GIUDIZIO AGRONOMICO COMPLESSIVO 24) SUSCETTIBILITÀ A MALATTIE CARATTERI FACOLTATIVI 1) ENTITÀFIORITURA (F) ❏ scarsa ❏ media ❏ elevata 2) POSIZIONE GEMME A FRUTTO ❏ apicale ❏ mediana ❏ laterale 3) ALLEGAGIONE ❏ scarsa ❏ media ❏ elevata 4) NUMERO FRUTTI/NODO ❏ uno ❏ più di uno 5) SUTURA ❏ poco evidente ❏ evidente ❏ marcata 6) APERTURA GUSCIO ❏ facile ❏ intermedia ❏ difficile 7) SPESSORE MEMBRANE ❏ sottile ❏ medio ❏ spesso 8) PRODUZIONE (kg/albero) 9) PESO MEDIO FRUTTI (g) 10) RESA IN SGUSCIATO % 11) OLI (%) 12) FORMA DELLA FOGLIOLINA ❏ ellittico-stretta ❏ ellittica ❏ ellittico-allargata 13) SENSIBILITÀ A MACULATURA ❏ nulla ❏ media ❏ scarsa ❏ elevata 14) SENSIBILITTÀ A OIDIO ❏ nulla ❏ media ❏ scarsa ❏ elevata 15) SENSIBILITÀ A TICCHIOLATURA ❏ nulla ❏ media ❏ scarsa ❏ elevata 16) SENSIBILITÀ A CARPOCAPSA ❏ nulla ❏ media ❏ scarsa ❏ elevata arrotondata ovale trapezoidale ellittica Frutto: forma in sezione ventrale, lungo la sutura cordiforme 215 V. Il germoplasma toscano delle specie legnose da frutto Il germoplasma toscano delle specie legnose da frutto: le pesche “Burrone fiorentine” E. Bellini, V. Nencetti, E. Picardi Dipartimento di Ortoflorofrutticoltura, Università degli Studi di Firenze G. Giannelli - Istituto sulla Propagazione delle Specie Legnose - CNR, Firenze 1. Origine delle “Burrone fiorentine” Il termine “burrona” è scarsamente presente nella letteratura pomologica; non esiste nei cartigli dei quadri del Bimbi, anche se sono rappresentate pesche simili come Lucchese, Reale, Biancona (Bellini e Pisani, 1982). È invece presente nella Pomona italiana del Gallesio (1817-1839) secondo il quale la Reale del Bimbi corrisponderebbe alla Spiccacciola bianca Settembrina, volgarmente chiamata Burrona massima o Pesca di Parigi (Fig. 1). È nostra opinione che il termine “burrona” si sia generato nelle campagne di Rosano (FI). Tale vocabolo, nel linguaggio popolare fiorentino, sta a significare qualcosa di corposo e delizioso allo stesso tempo. Il contado dell’epoca, non essendo uso a chiamare le pesche con nomi definiti, chiamava "burrone" quelle popolazioni di cultivar diffuse nella zona, a polpa bianca, fine, aromatica e profumata, spicca, a maturazione tardiva, talora riproducibile per seme. 2. Caratterizzazione delle “Burrone fiorentine” Le “burrone” possono essere definite un sottogruppo delle “pesche a polpa bianca”. Le differenze sostanziali riguardano: il tipo della polpa (meno liquescente nelle burrone); la pezzatura e la forma (più omogenee nelle burrone); il colore della buccia (più chiaro nelle burrone); le epoche di fioritura e di maturazione (più tardive nelle burrone). Di seguito si riportano le caratteristiche dell’albero e del frutto tipiche delle burrone fiorentine. Albero Vigoria: da media a molto elevata. Portamento: regolare. Ramo misto: piuttosto lungo, gemme a fiore distri- buite in prevalenza nei tratti mediano e basale. Fiore: campanulaceo o rosaceo, fioritura generalmente tardiva. Entrata in fruttificazione: normale (2°- 3° anno). Produttività: medio-elevata e costante. Epoca di maturazione: da medio-tardiva a molto tardiva. Suscettibilità ad alcune malattie: molte cultivar sono sensibili alla Cidia e alla Monilia. Frutto Pezzatura: da media a grossa. Forma: rotonda o tendenzialmente schiacciata ai poli in sezione longitudinale e rotonda in sezione trasversale. Linea di sutura: mediamente profonda, talora con presenza di umbone. Buccia: colore di fondo bianco-verdastro chiaro, marezzata o sfumata di rosso vivo nella parte esposta al sole, semiaderente alla polpa, di medio spessore e medio tomento. Polpa: di colore bianco-crema, estesamente venata di rosso vivo al nocciolo, soda, molto dolce, gradevole, aromatica e assai profumata, spicca. Nocciolo: medio grosso, di colore marrone scuro, slargato, asimmetrico, con piccolo mucrone. 3. Le principali cultivar di “Burrone fiorentine” Da una indagine svolta negli anni Settanta (Bellini e Bini, 1976), è emersa la presenza nelle zone peschicole fiorentine di numerose cultivar (o presunte tali) di burrone. Il perpetuarsi della propagazione per seme di poche cultivar ancestrali, ha generato popolazioni alquanto omogenee, dalle quali sono state selezionate e propagate, più recentemente per innesto, le migliori giunte fino ai giorni nostri. Il germoplasma della Toscana 216 Fig. 1 - Rappresentazione schematica del gruppo pomologico delle “Burrone” all’interno delle tipologie di pesco conosciute da Gallesio (1817-1839) Tab. 1 - Cultivar di “Burrone fiorentine” di maggior interesse Cultivar Burrona di Terzano Burrona di Rosano (Fig. 2) Daniela (Fig. 3) Spicca Bianca Vittorio Emanuele III (Fig. 4) Tos-China Settembre Poppa di Venere Settembrina (Fig. 5) Regina di Londa Tondona Presidente Lucchese Tardina Burrona di Mezzano Regina di Ottobre (Fig. 6) Tardiva di Firenze Tos-China-Ottobre Luogo di origine Rosano Rosano Londa Rosano Firenze Firenze Firenze Londa Firenze Rosano Greve in Chianti Londa Firenze Firenze Tra queste ne abbiamo individuate 14 che maturano nell’arco di 3 mesi: 3 si raccolgono in agosto, 7 in settembre e 4 in ottobre (tab. 1). Tutte le cultivar individuate sono state valutate comparativamente per più anni, e per ciascuna è stata redatta una dettagliata scheda agro-bio-pomologica, sul tipo di quella della Burrona di Rosano, che di seguito si riporta. Epoca di maturazione agosto-I decade agosto-II decade agosto-III decade settembre-I decade settembre-I decade settembre-II decade settembre-I decade settembre-II decade settembre- II decade settembre-III decade ottobre-I decade ottobre-I decade ottobre-I decade ottobre-I decade 3.1. Descrizione della “Burrona di Rosano” Origine: ottenuta casualmente a Rosano (Firenze), da genealogia sconosciuta. Diffusa da tempo nella zona di origine. Rami misti: lunghi, con internodi di media lunghezza; la corteccia è di colore rosso e verde intermedio; le gemme a fiore sono distribuite uniformemente lungo il ramo, l’indice di fertilità è medio. 217 Fig. 2 - Burrone fiorentine: Burrona di Rosano, da tempo diffusa nella zona di origine Fig. 3 - Burrone fiorentine: Daniela, ottenuta nella zona di Londa, simile alla nota Michelini, ma più adatta ai nostri ambienti Fig. 4 - Burrone fiorentine: Vittorio Emanuele III, rilasciata dalla Scuola delle Cascine ai primi del Novecento Fig. 5 - Burrone fiorentine: Poppa di Venere Settembrina, ricorda la pesca Lucchese Fig. 6 - Burrone fiorentine: Regina di Ottobre, diffusa di recente, prolunga la stagione di Regina di Londa Fig. 7 - Burrone fiorentine: Londa nel Mugello è il centro della coltivazione delle Burrone; in settembre si tiene la sagra delle pesche, dove viene conferito il premio "Pesca d’argento" ai migliori campioni esposti della cultivar Regina di Londa Il germoplasma della Toscana 218 Foglie: lunghe mm 142 e larghe mm 45, con rapporto diametrico di 3,15; la larghezza massima è prevalentemente centrale; il lembo è increspato lungo la nervatura principale; l’angolo apicale e quello basale sono medi; il margine è crenato; le glandole sono reni-formi. Fiori: rosacei, piccoli; i petali sono rotondi, di colore rosa intenso, attenuato al margine che è corrugato; il pistillo è alto come gli stami; si riscontrano talvolta fiori con pistilli doppi; l’epoca di fioritura è intermedia, tendente al tardivo. Frutti: medi (alti mm 59, larghi mm 64, spessi mm 65, con peso di g 160), di forma rotonda sia in sezione longitudinale che in sezione trasversale; la cavità peduncolare è mediamente profonda e mediamente larga; la linea di sutura è mediamente profonda; l’apice è incavato, con umbone piccolo o assente; la buccia è verdastra, soffusa di rosso, aderente alla polpa, mediamente spessa, con medio tomento; la polpa è bianco-verdastra, mediamente soda, leggermente acidula, spicca. I noccioli sono medi (alti mm 31, larghi mm 25, spessi mm 21, con peso di g 8), di colore scuro, allungati, con profilo simmetrico; l’angolo apicale è ampio; la superficie è molto corrugata, con parte dei rilievi lisci e con cresta di media larghezza. Caratteri bio-agronomici: la pianta è di vigoria elevata, con portamento regolare; la cascola delle gemme è medio-scarsa; la fioritura è abbondante; l’allegagione è elevata (grado di autocompatibi- lità medio, grado di fertilità elevato); la cascola dei frutti è medio-scarsa; il grado di produttività è medio-elevato. Buona la resistenza alle malattie. I frutti sono molto ricercati e ben quotati sui mercati locali. Maturazione: seconda decade di agosto. Bibliografia BELLINI E. (1973) - Mostra pomologica 1972 a Firenze. Considerazioni su: Pesche e Nettarine, Prugne e Susine, Diospiri o Kaki. Vol. Ed. L’Informatore Agrario, Verona. BELLINI E. (1987) - Il pesco: favorevole alternativa per la frutticoltura tardiva del Mugello. Atti Convegno “Il territorio del Comune di Borgo San Lorenzo. Prospettive di sviluppo della frutticoltura nel Mugello”, Ronta (FI), 7 novembre. BELLINI E., BINI G. (1976) - Contributo allo studio delle cultivar di pesco toscane a maturazione tardiva. CNR, Firenze. BELLINI E., PISANI P.L. (1982) - Pesche in: Agrumi, frutta e uve nella Firenze di Bartolomeo Bimbi pittore mediceo. CNR, Firenze. BELLINI E., SCARAMUZZI F. (1976) - Monografia delle principali cultivar di pesco. Vol. II, CNR, Firenze. GALLESIO G. (1817-1839) - Pomona italiana, ossia trattato degli alberi fruttiferi. N. Capurro, Pisa. MORETTINI A., BALDINI E., SCARAMUZZI F., BARGIONI G., PISANI P.L. (1962) - Monografia delle principali cultivar di pesco. CNR, Firenze. 219 V. Il germoplasma toscano delle specie legnose da frutto Il germoplasma toscano delle specie legnose da frutto: le pesche “Cotogne fiorentine” E. Bellini, V. Nencetti, E. Picardi Dipartimento di Ortoflorofrutticoltura, Università degli Studi di Firenze G. Giannelli - Istituto sulla Propagazione delle Specie Legnose, CNR - Firenze 1. Origine delle “Cotogne fiorentine” Le pesche cotogne sono state introdotte in Italia probabilmente dagli spagnoli durante la dominazione del Meridione, e giunte successivamente a Firenze grazie all’interesse mostrato dai Medici verso la frutticoltura. Tale ipotesi è avvalorata dal fatto che tra le cultivar-popolazioni spagnole, se ne riscontrano tuttora alcune simili alle cotogne fiorentine. Nel napoletano certe cultivar locali ancora diffuse ricordano molto le cotogne fiorentine, per caratteri sia pomologici che agronomici. Lo stesso Gallesio (1817-1839) nella Pomona italiana fa riferimento alle “cotogne”, quando scrive sulle pesche “duracine serotine” (pesche non spicche tardive) (Fig. 1). 2. Caratterizzazione delle “Cotogne fiorentine” Le “cotogne” si distinguono nettamente dalle “percoche”, come è chiaramente esposto nella Tab. 1. Le prime si coltivano per produrre frutti da destinare esclusivamente al mercato fresco, mentre le seconde trovano destinazione prevalente nella trasformazione industriale. Di seguito si riportano le caratteristiche dell’albero e del frutto tipiche delle cotogne fiorentine. Albero Vigoria: in genere elevata. Portamento: per lo più assurgente. Ramo misto: piuttosto lungo, gemme a fiore distribuite in prevalenza nei tratti mediano e distale. Fiore: campanulaceo, a fioritura tardiva. Entrata in fruttificazione: in genere lenta (3°- 5° anno). Produttività: medio-elevata, talora alternante. Epoca di maturazione: da tardiva a molto tardiva. Suscettibilità ad alcune malattie: molte cultivar sono sensibili a Monilia e Oidio. Frutto Pezzatura: da media a grossa. Forma: rotondo-oblunga od oblata in sezione longitudinale e triangolare-solcata in quella trasversale, asimmetrica. Linea di sutura: da poco a molto profonda, talora con valve alquanto divise e presenza di umbone. Buccia: aderente alla polpa, molto tomentosa, fondo di colore giallo-verdastro, con sovraccolore rosso più o meno esteso. Polpa: di colore giallo-arancio, rossa al nocciolo, tessitura molto compatta e ricca di fibre, soda, sapore ottimo, aromatica, duracina (non spicca). Nocciolo: grosso, allungato, asimmetrico, con mucrone pronunciato. 3. Le principali cultivar di “Cotogne fiorentine” Assai numerose sono le cultivar (se così possiamo definirle) di cotogne fiorentine tutt’ora presenti nelle aree peschicole della provincia. La propagazione per seme che veniva praticata nel passato, ha generato nel tempo diverse cultivar-popolazioni, ma anche genotipi ben distinti. Tra questa biodiversità sono state individuate tre tipologie di frutto: a) tipo arrotondato, simmetrico, con sutura poco pronunciata e colore della polpa poco arrossato al nocciolo, a cui afferisce la Cotogna di Rosano; b) tipo arrotondato, asimmetrico, con sutura molto pronunciata e colore della polpa molto arrossato al nocciolo, a cui afferisce la Cotogna del Il germoplasma della Toscana 220 Fig. 1 - Rappresentazione schematica del gruppo pomologico delle "cotogne" all’interno delle tipologie di pesco conosciute da Gallesio (1817-1839) Tab. 1 - Principali caratteri distintivi tra “cotogne” e “percoche” Caratteri Cotogna Percoca Forma del frutto Linea di sutura Sovraccolore buccia Polpa Rosso al nocciolo Aderenza al nocciolo Consumo asimmetrica, oblunga profonda rosso da 40 a 70% compatta e fibrosa intenso duracina, con la torsione delle valve si divide solo fresco simmetrica, sferica superficiale rosso da 0 a 20% più liquescente assente assoluta adatta alla trasformazione Poggio; c) tipo allungato, asimmetrico, sutura spesso molto incavata e polpa di colore alquanto arrossato al nocciolo, a cui afferisce la Cotogna del Berti (Fig. 2). Nella Tab. 2 si riportano le cultivar da noi individuate, ritenute le più importanti tra quelle maggiormente diffuse nella zona. Le indagini comparative condotte hanno consentito la stesura di dettagliate schede agro-bio-pomologiche per tutte le cultivar prescelte. A titolo di esempio si riporta la descrizione della cultivar Cotogna di Rosano. Fig. 2 - Cotogne fiorentine: frutti a confronto delle diverse tipologie: in alto tipo "Rosano"; al centro tipo "Berti"; in basso tipo "Poggio" 221 Fig. 3 - Cotogne fiorentine: Cotogna Ceccarelli, è la più precoce Fig. 4 - Cotogne fiorentine: Cotogna della Remola, diffusa nella zona di San Casciano Fig. 5 - Cotogne fiorentine: Cotogna Pandolfini, deve il suo nome ad una delle più importanti fattorie di Rosano Fig. 6 - Cotogne fiorentine: Regina di Montalcino, differisce dalle altre cotogne per la pianta di vigore contenuto Tab. 2 - Cultivar di “Cotogne fiorentine” di maggiore interesse Cultivar Luogo di origine Epoca di maturazione Cotogna Ceccarelli (Fig. 3) Cotogna di Rosano Guglielmina Cotogna della Remola (Fig. 4) Cotogna di Villamagna Ciani 1 Cotogna del Berti Cotogna del Poggio Precoce Cotogna del Poggio Cotogna Cicalini Cotogna Pandolfini (Fig. 5) Gialla di San Polo Regina di Montalcino (Fig. 6) Rosano Rosano Londa San Casciano Villamagna Scandicci Rosano San Casciano San Casciano Rosano Rosano San Polo Bagno a Ripoli agosto III decade agosto III decade - settembre I decade agosto III decade - settembre II decade agosto III decade - settembre II decade settembre II decade settembre II decade settembre II decade settembre II decade settembre III decade settembre III decade - ottobre I decade settembre III decade - ottobre I decade ottobre I-II decade ottobre I-II decade Il germoplasma della Toscana 222 3.1. Descrizione della “Cotogna di Rosano” Origine: ottenuta casualmente a Rosano (FI), da genealogia sconosciuta. Talvolta è stata erroneamente identificata con la Cotogna del Berti. Rami misti: medi, con internodi corti; le gemme a fiore sono distribuite uniformemente od in prevalenza nel tratto mediano. Foglie: lunghe mm 150 e larghe mm 41, con rapporto diametrico di 3,67; la larghezza massima è centrale; il lembo è ondulato e talora increspato lungo la nervatura principale; l’angolo apicale e quello basale sono medi; il margine è crenato; le glandole sono reniformi. Fiori: campanulacei, di grandezza media; i petali sono ellittico-allungati, di colore rosa più intenso ai margini; il pistillo è alto meno o come gli stami, che sono ripiegati varso l’interno del ricettacolo; l’epoca di fioritura è medio-precoce. Frutti: grossi (alti mm 64, larghi mm 71, spessi mm 75, con peso di g 200), di forma oblata in sezione trasversale e oblata a sutura depressa in sezione trasversale, le valve talvolta sono ineguali; la cavità peduncolare è mediamente profonda e mediamente larga; la linea di sutura è poco pronunciata; l’apice è incavato, senza umbone; la buccia ha una colorazione di fondo giallo macchiata estesamente di rosso nella parte esposta al sole, è aderente alla polpa, di spessore medio, con medio tomento; la polpa è di colore gialloaranciato, poco arrossata intorno al nocciolo, molto soda, buona, aromatica e profumata, duracina (non spicca). I noccioli sono medi (alti mm 31, larghi mm 27, spessi mm 23, con peso di g 6), di colore scuro, globosi, con profilo simmetrico; l’angolo apicale è molto ampio; la superficie è molto corrugata, con rilievi lisci e con cresta stretta. Caratteri bio-agronomici: la pianta è di vigoria elevata, la resistenza delle gemme alle basse temperature è buona; la fioritura è abbondante; l’allegagione è elevata; la produzione è elevata e costante. La cultivar, un tempo assai diffusa sia in agro di Rosano che nei comuni limitrofi, dopo un periodo di stasi è ora in fase di ripresa. I frutti sono molto richiesti e ben quotati sui mercati locali. Maturazione: tra la terza decade di agosto e la prima di settembre. Bibliografia BELLINI E. (1973) - Mostra pomologica 1972 a Firenze. Considerazioni su: Pesche e Nettarine, Prugne e Susine, Diospiri o Kaki. Vol. Ed. L’Informatore Agrario, Verona. BELLINI E. (1987) - Il Pesco: favorevole alternativa per la frutticoltura tardiva del Mugello. Atti Convegno “Il territorio del Comune di Borgo San Lorenzo. Prosopettive di sviluppo della frutticoltura del Mugello”, Ronta (FI), 7 novembre. BELLINI E., BINI G. (1976) - Contributo allo studio delle cultivar di pesco toscane a maturazione tardiva. CNR, Firenze. BELLINI E., GIANNELLI G., GIORDANI E., NENCETTI V., PICARDI E. (1992) - Individuazione, descrizione e conservazione delle “pesche cotogne fiorentine”. Atti del Congresso “Germoplasma frutticolo, salvaguardia e valorizzazione delle risorse genetiche”, Alghero (SS), 21-25 settembre. BELLINI E., PISANI P.L. (1982) - Pesche. In: Agrumi, frutta e uve nelle Firenze di Bartolomeo Bimbi pittore mediceo. CNR, Firenze. BELLINI E., SCARAMUZZI F. (1976) - Monografia delle principali cultivar di pesco. Vol. II, CNR, Firenze. GALLESIO G. (1817-1839) - Pomona italiana, ossia trattato degli alberi fruttiferi. N. Capurro, Pisa. MORETTINI A., BALDINI E., SCARAMUZZI F., BARGIONI G., PISANI P.L. (1962) - Monografia delle principali cultivar di pesco. CNR, Firenze. 223 V. Il germoplasma toscano delle specie legnose da frutto Il germoplasma toscano delle specie legnose da frutto: il pero E. Bellini, S. Nin - Dipartimento di Ortoflorofrutticoltura, Università degli Studi di Firenze G. Giannelli - Istituto sulla Propagazione delle Specie Legnose - CNR, Firenze 1. Introduzione La rapida evoluzione della nostra frutticoltura, le sempre crescenti esigenze agronomiche e commerciali, legate al problema del contenimento dei costi, portano progressivamente alla riduzione delle cultivar di pero ed alla sostituzione delle preesistenti con nuove cultivar più rispondenti alle immediate esigenze. Questa tendenza però provoca inesorabilmente una grave erosione genetica che porta all’abbandono di numerose cultivar di pero che in passato costituivano gran parte delle popolazioni locali. È ragionevole pensare che probabilmente le vecchie cultivar di pero sono portatrici dei caratteri di spiccata resistenza e rusticità, in quanto selezionate prima della massiccia espansione dei prodotti chimici (fertilizzanti, antiparassitari, ecc.), i quali hanno contribuito a mascherare e a limitare nelle nuove cultivar la presenza di questi importanti caratteri. Avvalorano questa ipotesi le numerose cultivar e biotipi che ancora oggi possono essere trovati nelle campagne della nostra regione, benché le piante spesso siano prive di adeguate cure colturali. Considerata l’importanza che riveste la precocità per la nostra produzione di pero si può altresì comprendere l’interesse che può avere la conservazione di alcuni individui a maturazione estiva anche per il lavoro di miglioramento genetico. È chiara pertanto la necessità di una azione immediata e coordinata intesa a garantire la salvaguardia e la conservazione del germoplasma pericolo nel nostro Paese. 2. Il pero nella Toscana medicea Il grande interesse rivolto al pero nella Toscana è testimoniato già dall’epoca dei Medici. Nel Sette- cento il patrimonio varietale toscano aveva raggiunto una notevole ampiezza, come dimostrano le opere del Micheli, celebre botanico fiorentino vissuto a cavallo del XVII e del XVIII secolo, nelle quali sono descritte, spesso con abbondanza e molteplicità di indicazioni pomologiche, oltre 230 varietà, e soprattutto del Bimbi, nei cui dipinti sono illustrati 115 soggetti di pere differenziati per epoca di maturazione e di tipologie del frutto. È accertato che i Medici ricercavano le novità vegetali anche da Paesi esteri, soprattutto Francia e Germania. Le raccolte varietali della Toscana erano famose ed apprezzate anche all’estero e coprivano un periodo di maturazione pressoché uguale all’attuale calendario; notevolmente ampie erano le varietà di forme, pezzature e colori dei frutti. Ma come per altre specie da frutto, anche nel pero è andata perduta la maggior parte dell’ampio patrimonio varietale esistente all’epoca del Bimbi, tanto che ad oggi si ritiene che solo 17 delle 115 varietà raffigurate nei dipinti sono sicuramente pervenute fino a noi con il loro nomi originali o con sinonimi (Bellini et al., 1982). 3. Il germoplasma di pero ancora presente in Toscana Il germoplasma del pero toscano annovera 381 accessioni raccolte e conservate da 3 istituzioni di ricerca, di cui 75 sono autoctone della Toscana (Tab. 1). Tra queste meritano di essere ricordate le 20 riportate nella Tab. 2, che costituiscono il germoplasma di pero di origine toscana più antico e diffuso fino agli inizi del Novecento. Quasi tutte sono ancora conservate nelle collezioni fiorentine e soltanto una parte riveste interesse colturale. Il germoplasma della Toscana 224 Fig. 1 - Pero: San Giovanni, cultivar-popolazione, poco serbevole, interessante per l’estrema precocità Fig. 2 - Pero: Gentile, cultivar precocissima ma poco serbevole, conosciuta già al tempo dei Medici 3.1. Notizie storiche di tre cultivar di pero precoci di antica origine toscana Nella nostra letteratura pomologica assai rare sono in genere le notizie sull’origine delle varietà di pere italiane. Le descrizioni sono spesso di carattere morfologico e sul comportamento agronomico delle singole piante. Tuttavia per la Coscia, la Gentile Bianca di Firenze e la Coscia di Donna, considerate le principali varietà antiche precoci diffuse in Toscana, si hanno notizie più specifiche. Gentile (Fig. 2): il buon nome e l’apprezzamento di questa varietà sono stati in parte compromessi dai contingenti di pere precoci provenienti dall’Italia meridionale denominate spesso pere Gentili. Per questo motivo, ed anche a seguito delle continue lagnanze degli esportatori fiorentini, tale varietà è stata denominata Gentile Bianca di Firenze. La pera Gentile deve la sua rinomanza alle note colture dei pomari granducali, attuate per iniziativa di Cosimo III, agli albori del XVIII secolo. Il suo frutto è stato pressoché regolarmente esportato all’estero a partire dalla seconda metà del XVIII e per merito, soprattutto dell’esportatore Becherucci, si è affermato sui mercati dell’Austria e della Germania e più tardi anche in altri Paesi. Coscia (Fig. 4): non esistono elementi sufficientemente attendibili per identificarne in modo preciso l’origine. Il Racah (1927) desume, da notizie tramandate nel contado fiorentino, che la Coscia deriverebbe da una pianta da seme cresciuta a Bagno a Ripoli (Firenze), lungo le rive dell’Arno ai primi dell’Ottocento. Tuttavia la descrizione della Coscia, Tab. 1 - Pero: accessioni conservate in Toscana Istituzioni Accessioni (numero) totale Dipartimento di Ortoflorofrutticoltura, Univ. di Firenze (DO-UFI) Dipartimento di Coltivazione e Difesa delle Specie Legnose, Univ. di Pisa (DCDSL-PI) Istituto sulla Propagazione delle Specie Legnose, CNR di Scandicci - FI (IPSL-CNR-FI) Totale 9 97 275 381 autoctone 9 36 30 75 225 Tab. 2 - Pero: caratteristiche essenziali delle principali cultivar di origine toscana o di antica coltivazione nella regione (Bellini, 1978) Cultivar Origine genetica e sinonimi Giugnolina nota fin dal 1554 metà giugno San Giovanni taluni hanno ritenuto di identificarla con il pero Hordaceus dei Romani citata e raffigurata fin dall’epoca medicea. Sin.: Gentile d’estate, Pera zucchina, Zuccherina diffusa in provincia di Pisa metà giugno costituita da Ragionieri nel 1910 dall’incrocio di Precoce di Cassano x Coscia diffusa in Toscana inizio luglio Gentile Bianca di Firenze (Fig. 2) Gentilona Coscia Precoce Lardaia Spadoncina di Firenze nome che indica cultivar talora differenti, ma che maturano (Fig. 3) precocemente Coscia è accertato che il primo centro (Fig. 4) di diffusione sia stata la pianura dell’Arno, presso Bagno a Ripoli Coccitoia diffusa nel Livornese Coscia di Donna (Fig. 5) Coscia Tardiva Bugiarda Pera Mora (Fig. 6) Curato (Fig. 7) Scipiona Pera dell’Orto Allora Cento Doppie Pera Volpina Spina Vera Epoca di consumo frutto piccolo, verde-giallastro, con polpa liquescente, zuccherina, poco serbevole fine giugno simile alla Gentile, rispetto alla quale produce frutti più grossi, ma meno serbevoli frutto piccolo, piriforme, verde-giallastro, con polpa granulosa e zuccherina inizio luglio metà luglio frutto medio, doliforme, verde-chiaro, con polpa biancastra, translucida, non serbevole frutto piriforme, medio, verde-giallastro, con polpa fondente, zuccherina, aromatica, ma poco serbevole fine luglio frutto medio, verde-chiaro, con polpa bianca, fondente, ottima metà luglio frutto medio-piccolo, piriforme, verde-giallastro, di medie caratteristiche organolettiche frutto medio-grosso, turbinato, verde-giallastro, con polpa bianca, tenera e dolce inizio agosto di genealogia sconosciuta, diffusa da secoli nell’Appennino Tosco-Romagnolo individuata nel 1760 in Francia. Sin.: Spada, Spadona d’inverno nov./dic. Sin.: Pira Spina, Pero Spina, Pero Spino, Spinoso fra le cultivar extraprecoci tipo “Moscatelle” è la più conosciuta in Toscana cultivar-popolazione con frutti piriformi, molto piccoli fine giugno diffusa nel Mugello intorno alla metà dell’Ottocento. Sin.: Maganza, Gamba di donna costituita dal Ragionieri ai primi del Novecento Sin.: Brutt’e buona, Mal vestita introdotta dall’Inghilterra alla fine dell’Ottocento. Sin.: Fiasca, Spadona di Cesena individuata a Firenze nel 1958 da Morettini in Toscana era la più diffusa tra le pere invernali molto antica. Sin.: Pera del Duca, Gelsomino di genealogia sconosciuta, indigena dell’Appennino Tosco-Romagnolo Caratteristiche generali metà agosto metà agosto nov./genn. nov. /febb. nov./genn. dic. /febb. genn. /febb. genn. /febb. genn. /marzo frutto medio-piccolo, piriforme, giallastro, con polpa fondente, zuccherina e profumata la denominazione “Bugiarda” è dovuta alla non corrispondenza fra il brutto aspetto esteriore e la bontà del frutto frutto medio-grosso, maliforme, verde-bronzeo, con polpa leggermente acidula, di buon sapore, sensibile alla ticchiolatura frutto medio, piriforme, verde-giallastro, percorso da una striscia rugginosa, con polpa croccante, zuccherina e granulosa al centro, resistente alla ticchiolatura frutto medio, calebassiforme, verde-giallastro, con polpa succosa, tenera e dolce frutto medio, turbinato breve, verdastro e rugginoso, di buon sapore frutto piccolo, oblungo, verdastro, succoso, ottimo soprattutto da cuocere in forno frutto medio-piccolo, rotondo, verdastro, con polpa consistente e di buon sapore, ottimo da cuocere frutto piccolo, sferico schiacciato, verde-bronzato, con polpa di consistenza elevata e sapore discreto, ottimo da cuocere frutto medio, turbinato-appiattito, verdastro, con polpa aromatica e profumata Il germoplasma della Toscana 226 Fig. 3 - Pero: Spadoncina, nome che indica una cultivarpopolazione frequentemente riscontrabile nelle campagne toscane Fig. 4 - Pero: Coscia, la più importante cultivar toscana, diffusa a livello industriale e nota anche all’estero Fig. 5 - Pero: Coscia di Donna, cultivar di buona qualità, diffusa nel Mugello Fig. 6 - Pero: Pera Mora, cultivar invernale, abbastanza diffusa nel Pre-Appennino toscano Fig. 7 - Pero: Curato, cultivar invernale per cuocere, molto comune in Toscana fornita dal Micheli non sembra corrispondere con l’omonima cultivar attuale. Non è certo facile stabilire se la cultivar oggi diffusa provenga dalla pianta madre ritrovata nelle condizioni citate, ma non è da escludere che essa sia derivata dalla Coscia del Micheli attraverso miglioramenti successivi ed in seguito ad incroci ed a semine naturali. Rimane il fatto che la rapida diffusione di questa cultivar, assai conosciuta ed apprezzata anche all’estero (es. in Spagna sotto il nome Ercolini), va ricercata nella piana di Bagno a Ripoli (periodo Leopoldino), soprattutto per merito della famiglia colonica Goggioli. Una delle prime spedizioni di frutti fu fatta dal Becherucci di Firenze, che nell’estate del 1882 spedì dalla stazione ferroviaria di Firenze a Vienna una quantità modesta di pere Coscia. Coscia di Donna (Fig. 5): (nome attribuito dall’esportatore fiorentino Becherucci per distinguerla dalla tipica Coscia) o Maganza, altra varietà di una certa importanza nella tradizione colturale toscana, 227 Tab. 3 - Pero: cultivar ottenute a Firenze tra il 1951 e il 1999 Cultivar Costitutore Origine genetica Anno di diffusione Epoca* di raccolta Santa Maria Morettini William x Coscia 1951 = Butirra Precoce Butirra Rosata William Precoce Morettini Morettini Morettini Coscia x William Coscia x Butirra Clairgeau William x Citron des Carmes 1956 1960 1960 - 22 - 11 - 19 Morettini 64 Morettini William x Citron des Carmes 1961 - 33 Morettini 113 Morettini William x Citron des Carmes 1961 - 42 Eletta Morettini Butirra Hardy x Passa Crassana 1963 + 45 Leopardo Morettini Coscia x Decana d’Inverno 1967 + 35 Fiorenza Breviglieri Dr. J. Guyot x William 1974 -5 Etrusca Bellini Coscia x Gentile 1991 - 37 Sabina Bellini Santa Maria M. x Decana del Comizio 1999 -2 Osservazioni molto rustica, con eccellenti caratteristiche agronomiche e commerciali frutti di bell’aspetto e di squisito sapore frutti attraenti, di ottimo sapore frutti belli, di ottima pezzatura, ma spesso soggetti all’ammezzimento frutti di ottimo sapore, ma non si conservano bene, ammezziscono facilmente frutti di ottimo sapore, ma non si conservano bene, di facile ammezzimento frutti di aspetto attraente e di buona serbevolezza in frigo la produzione non è sempre elevata, ma i frutti sono di eccellente qualità abbastanza rustica, con frutti di buona serbevolezza molto produttiva, entra subito in fruttificazione; frutti medio-grossi, non soggetti ad ammezzimento frutti simili per forma e pezzatura a Decana del Comizio, ma con buccia più colorata di rosso Legenda: * in ± giorni da William. non è facilmente precisabile, ma dalle notizie raccolte, risulta che le prime colture risalgono ad un secolo fa (fine Ottocento) nel pre-Appennino Toscano, nella zona centrale del Mugello e nel comune di Borgo San Lorenzo, da cui poi si diffusero nei colli di tutta la Toscana. 3.2. Le cultivar di pero ottenute a Firenze dal 1950 Il germoplasma del pero toscano non è costituito solo da antiche varietà di origine spesso ignota, ma anche da cultivar ottenute nell’ambito di programmi di miglioramento genetico finalizzati. Tra questi è doveroso ricordare i risultati conseguiti da Morettini che tra il 1951 ed il 1967 rendeva note ben 8 nuove cultivar (Morettini, 1961; Morettini et al., 1967), due delle quali (Santa Maria e Butirra Precoce) oggi molto diffuse a livello nazionale. Al lavoro del Morettini si è affiancato quello di Breviglieri con la cultivar Fiorenza del 1974, e quello di Bellini con la costituzione delle due cultivar precoci Etrusca e Sabina (Bellini, 1993), rese note rispettivamente nel 1991 e 1999 (Tab. 3). 3.3. La scheda descrittiva semplificata del pero Allo scopo di rendere più agevole il lavoro di reperimento delle “accessioni” di pero ancora presenti in Toscana, la Commissione delle Specie Legnose da Frutto (L.R. 50/97) ha elaborato una “scheda descrittiva semplificata”, riportata nelle pagine seguenti. Bibliografia BELLINI E. (1978) - La coltura del pero in Italia. Edizioni L’Informatore Agrario, Verona. BELLINI E. (1993) - La coltivazione del pero. Edizioni L’Informatore Agrario, Verona. BELLINI E., MARIOTTI P.L., PISANI P.L. (1982) - Pere. In: Agrumi, frutta e uve nella Firenze di Bartolomeo Bimbi pittore mediceo. CNR, Firenze. MORETTINI A. (1961) - Le nuove cultivar Morettini. CNR, Firenze. MORETTINI A., BALDINI E., SCARAMUZZI F., MITTEMPERGHER L. (1967) - Monografia delle principali cultivar di pero. CNR, Firenze. RACAH V. (1927) - L’origine del pero Coscio e cenni sulla sua coltivazione. L’Italia Agricola, Piacenza. Il germoplasma della Toscana 228 Commissione tecnico-scientifica delle Specie Legnose da Frutto - L.R. 50/97 Scheda descrittiva semplificata PERO (Scheda fac-simile, richiedere l’originale all’ARSIA) Nome e cognome del rilevatore: Periodo della rilevazione: dal al Luogo della rilevazione (nome, cognome, indirizzo): NOME CULTIVAR ETÀ DELLE PIANTE N. PIANTE INDIVIDUATE SINONIMI CARATTERI OBBLIGATORI 1) VIGORIA ❏ scarsa ❏ media ❏ elevata 2) PORTAMENTO ❏ colonnare ❏ intermedio ❏ pendulo 4) CASCOLA PRE-RACCOLTA ❏ scarsa ❏ media ❏ elevata 5) PRODUTTIVITÀ ❏ scarsa ❏ media ❏ elevata 6) FRUTTIFICAZIONE ❏ costante ❏ incostante ❏ alternante 7) RACCOLTA (data) inizio fine 8) N. RACCOLTE 9) DIMENSIONE FRUTTI ❏ piccola: fino a100 g ❏ media: da 101 a 150 g ❏ grossa: da 151 a 300 g ❏ molto grossa: oltre 300 g 10) FORMA FRUTTI (secondo Chasset) [vedi figura a destra] ❏A ❏E ❏I ❏M ❏B ❏F ❏J ❏N ❏C ❏G ❏K ❏O ❏D ❏H ❏L ❏P 11) SIMMETRIA FRUTTI ❏ simmetrica ❏ asimmetrica 12) PEDUNCOLO ❏ corto: fino a20 mm ❏ medio: da 21 a 35 mm ❏ lungo: oltre 35 mm 13) EPIDERMIDE ❏ liscia ❏ rugosa 14) RUGGINOSITÀ ❏ assente ❏ presente (%) 15) COLORE DI FONDO ❏ verde ❏ verde chiaro ❏ giallo 16) SOVRACCOLORE EPIDERMIDE ❏ assente ❏ rosso soffuso (%) ❏ rosso striato (%) 17) TESSITURA POLPA ❏ fine ❏ grossolana 18) SCLEREIDI ❏ assenti ❏ presenti, al torsolo ❏ presenti, nella polpa ❏ eretto ❏ aperto (espanso) 3) FIORITURA (data) inizio (10% fiori aperti) piena (60% fiori aperti) fine (100% fiori aperti) 229 CARATTERI OBBLIGATORI 19) CONSISTENZA POLPA ❏ croccante ❏ fondente 20) SUCCOSITÀ POLPA ❏ croccante ❏ fondente 21) COLORE POLPA ❏ bianco ❏ bianco-giallo ❏ crema 22) SAPORE POLPA ❏ scarso ❏ mediocre ❏ buono ❏ ottimo 23) PROFUMO (aroma) ❏ assente ❏ scarso ❏ medio ❏ elevato 24) SOVRAMMATURAZIONE (ammezzimento) ❏ assente ❏ presente 25) SOVRAMMATURAZIONE ❏ scarsa ❏ media ❏ elevata 26) RESISTENZA ALLE MANIPOLAZIONI ❏ scarsa ❏ media ❏ elevata 27) CONSERVABILITÀ (in fruttaio) ❏ scarsa ❏ media ❏ elevata 28) GIUDIZIO QUALITATIVO GENERALE ❏ senza interesse ❏ mediocre ❏ buono ❏ ottimo 29) GIUDIZIO QUALITATIVO OSSERVAZIONI 30) GIUDIZIO AGRONOMICO COMPLESSIVO 31) SUSCETTIBILITÀ A MALATTIE Classificazione della forma dei frutti secondo lo schema proposto da Chasset: A) sferoidali; B) turbinati brevi; C) doliformi brevi; D) cidoniformi brevi; E) maliformi; F) turbinati appiattiti; G) doliformi; H) ovoidali; I) turbinati; J) turbinati troncati; K) piriformi; L) piriformi troncati; M) cidoniformi; N) piriformi allungati; O) calebassiformi; P) oblunghi. A B C D E F G H I J K L M N O P Il germoplasma della Toscana 230 CARATTERI FACOLTATIVI 1) FORMA DELLA FOGLIA ❏ lanceolata ❏ ovale ❏ obovata ❏ ovale allungata ❏ ellittica ❏ subrotonda ❏ ellittico-allargata ❏ cordiforme 2) CAVITÀ PEDUNCOLARE ❏ superficiale ❏ profonda ❏ stretta ❏ ampia 3) CAVITÀ CALICINA ❏ assente ❏ mediamente pronunciata ❏ molto pronunciata 4) ENTITÀ FIORITURA ❏ scarsa ❏ media ❏ elevata 5) ALLEGAGIONE ❏ scarsa ❏ media ❏ elevata 6) PRODUZIONE (kg/albero) 7) PESO MEDIO FRUTTI (g) 8) GRADO RIFRATTOMETRICO (%) 9) SENSIBILITÀ A MACULATURA ❏ nulla ❏ media ❏ scarsa ❏ elevata 10) SENSIBILITÀ A OIDIO ❏ nulla ❏ media ❏ scarsa ❏ elevata 11) SENSIBILITÀ A TICCHIOLATURA ❏ nulla ❏ media ❏ scarsa ❏ elevata 12) SENSIBILITÀ A BRUSONE ❏ nulla ❏ media ❏ scarsa ❏ elevata 13) SENSIBILITÀ A PSILLA ❏ nulla ❏ media ❏ scarsa ❏ elevata 14) FISIOPATIE ALLA RACCOLTA ❏ assenti ❏ butteratura ❏ vitrescenza ❏ spaccature 231 V. Il germoplasma toscano delle specie legnose da frutto Il germoplasma toscano delle specie legnose da frutto: il susino E. Bellini, V. Nencetti, S. Nin Dipartimento di Ortoflorofrutticoltura, Università degli Studi di Firenze 1. Il susino nella pomologia toscana del passato La presenza in Toscana di una variegata quantità di tipologie di frutta è dimostrata fino dal XVII secolo dall’opera del pittore naturalista Bartolomeo Bimbi, vissuto alla corte di Cosimo III de’ Medici. In due tele dell’autore vengono infatti raffigurate rispettivamente 39 e 36 tipi di susine di varie forme e colori che testimoniano l’interesse dimostrato all’epoca anche per questo tipo di frutta (Bellini e Pisani, 1982). Numerose sono inoltre le descrizioni del Gallesio nella Pomona Italiana (1817-39) ove tra le altre specie vengono raffigurate 10 tipologie di susine, che furono da lui raccolte e collezionate. Tra queste ne ricorda alcune di origine toscana come: “Susino Catelano giallo” o “Buon Boccone”, “Susina Catelana”, “Susino Catelano violaceo” o “Susino Vecchietti”, “Susino Verdacchio”. 2. Il germoplasma di susino ancora presente in Toscana In epoca più moderna i primi tentativi di valorizzare il germoplasma nazionale dei fruttiferi furono intrapresi nel 1940 per iniziativa dell’Ente Economico per l’Ortoflorofrutticoltura con il coordinamento del Guzzini. Anche per il susino fu avviata un’indagine pomologica a carattere nazionale che rimase però incompiuta a causa degli eventi bellici. Tale inventario fu poi ripreso nell’immediato dopoguerra ad opera del Centro Miglioramento Piante da Frutto e da Orto del CNR, sotto la direzione del Prof. Alessandro Morettini. Egli raccolse nell’Azienda Sperimentale di Firenze numerose cultivar italiane ed estere delle principali specie da frutto con lo scopo di valutarle e di utilizzarle nei programmi di miglioramento genetico. Le cultivar di susino presenti nella collezione vennero descritte da Baldini (1960); tra quelle di probabile origine toscana si ricordano: “Florentia”, “Porcina”, “San Piero”, “Vecchietti”, “Morettini 355” e “Morettini 243”. Il germoplasma del susino, oggi ancora presente in Toscana, annovera 401 accessioni raccolte e conservate da 3 istituzioni di ricerca, di cui 44 sono ritenute autoctone della nostra regione (Tab. 1). Per 21 di queste si ritiene utile riportare le essenziali caratteristiche (Tab. 2), che evidenziano alcune peculiarità. Tab. 1 - Susino: accessioni conservate in Toscana Istituzioni Accessioni (numero) totale Dipartimento di Ortoflorofrutticoltura, Univ. di Firenze (DO-UFI) Dipartimento di Coltivazioni e Difesa delle Specie Legnose, Univ. di Pisa (DCDSL-PI) Istituto sulla Propagazione delle Specie Legnose, CNR di Scandicci - FI (IPSL-CNR-FI) Totale 38 103 260 401 autoctone 9 20 15 44 Il germoplasma della Toscana 232 Tab. 2 - Susino: caratteristiche essenziali delle principali cultivar di origine toscana o di antica coltivazione nella regione Cultivar Gruppo Pomologico Florentia (Fig. 1) Morettini 355 (Fig. 5) Shiro cino-giapponese probabile l.i. di “Burbank” 1 luglio cino-giapponese 7 luglio Morettini 243 cino-giapponese Mirabelle de Metz Burbank cino-giapponese ottenuta da Morettini da Florentia x Beauty probabile incrocio [P. munsoniana x (P. triflora x P. simoni)] x P. cerasifera ottenuta da Morettini da Shiro x Santa Rosa di origine sconosciuta, molto antica semenzale di P. triflora, di origine giapponese cino-giapponese cino-giapponese Porcina europea Vecchietti (Fig. 2) europea San Piero (Fig. 3) Origine genetica Epoca Maturaz. 10 luglio 12 luglio 14 luglio 15 luglio antica cultivar toscana, di origine sconosciuta antica cultivar toscana, di origine sconosciuta 18 luglio europea probabilmente toscana, di origine sconosciuta 24 luglio Presidente europea di origine sconosciuta, probabilmente toscana 25 luglio Claudia Nera europea 28 luglio Claudia Mostruosa europea di origine incerta, probabilmente belga probabile l.i. di Regina Claudia Firenze ’90 europea Claudia Verde (Fig. 4) europea Regina Vittoria 20 luglio 28 luglio ottenuta da E. Bellini a Firenze da Ruth Gerstetter x President di origine sconosciuta, molto antica 30 luglio europea di origine sconosciuta, introdotta dall’Inghilterra 13 agosto Santa Caterina europea 13 agosto Claudia Diafana europea Prugna d’Italia europea Coscia di Monaca europea di origine sconosciuta, introdotta dalla Francia ottenuta da l.i. di Regina Claudia antica cultivar italiana di origine sconosciuta di origine sconosciuta, forse locale italiana Anna Spath europea Zuccherina di Somma europea di origine sconosciuta, ottenuta in Germania nel 1870 da Spath di origine sconosciuta, forse locale italiana 4 agosto 16 agosto 22 agosto 22 agosto 27 agosto 15 settembre Caratteristiche generali albero vigoroso e produttivo; frutto medio, buccia rossa, polpa poco consistente e buon sapore albo vigoroso e produttivo; frutto grosso, rosso-violaceo, media consistenza e sapore albero vigoroso e costantemente produttivo; frutto medio-grosso, con polpa tenera, dolce e di buon sapore albero vigoroso e produttivo; frutto medio, violaceo, polpa consistente e sapore aromatico albero vigoroso e scarsamente produttivo; frutto piccolo, giallo, dolce e consistente albero vigoroso e costantemente produttivo; frutto medio-grosso, a buccia rossa su fondo giallo, di buona consistenza e sapore albero vigoroso e di scarsa produttività; frutto medio, violaceo, di scarsa consistenza e sapore albero di medio vigore e poco produttivo; frutto grosso, rosso-violaceo, di scarsa consistenza e di ottimo sapore albero vigoroso e con produttività incostante; frutto medio, violaceo scuro, di scarsa consistenza e buon sapore albero vigoroso e di scarsa produttività; frutto medio, violaceo-verdastro, di media consistenza e buon sapore albero di medio vigore e produttività; frutto medio, violaceo, di scarsa consistenza e medio sapore albero vigoroso, assurgente e produttivo; frutto grosso, giallo a maturazione, di scarsa consistenza e buon sapore albero vigoroso, assurgente e produttivo; frutto grosso, blu a maturazione, di buona consistenza e sapore albero di medio vigore e di elevata produttività; frutto piccolo, verde, polpa compatta, di ottimo sapore albero di media vigoria e produttività elevata; frutto grosso, rosso-violaceo, polpa compatta e di medio sapore albero vigoroso e produttivo; frutto piccolo, verde, con polpa dolce e succosa albero vigoroso e produttivo; frutto medio, giallo chiaro, polpa compatta, dolce e aromatica albero vigoroso e produttivo; frutto medio, violaceo, polpa consistente, acidula e zuccherina albero mediamente vigoroso e produttivo; frutto medio, giallo chiaro, con polpa tenera, succosa e dolce albero mediamente vigoroso e produttivo; frutto medio, rosso scuro, con polpa compatta e di buon sapore albero mediamente vigoroso e di elevata produttività; frutto medio, giallo, con polpa compatta e di buon sapore Altre cultivar: AA Spinosa-Terrosi, BB Spinosa-Terrosi, Franceschini 1, Prugna d’Oro, Sant’Anna, Mascina di Montepulciano. 233 Fig. 1 - Susino: Florentia, cultivar fiorentina molto produttiva, propagata intorno al 1920 Fig. 2 - Susino: Vecchietti, cultivar molto antica individuata nella provincia di Firenze Fig. 3 - Susino: San Piero, ancestralmente presente nella regione, la sua origine toscana è discutibile Fig. 4 - Susino: Regina Claudia Verde, sebbene di origine incerta, è presente in Toscana fin dall’antichità 2.1. Notizie storiche di tre antiche cultivar di susino toscane La letteratura pomologica del passato raramente riferisce sull’origine delle varietà di susino, mentre è generosa di caratteri morfologici ed agronomici. Tuttavia per Florentia, Vecchietti e Porcina, si dispongono notizie di una certa attendibilità. Florentia (Fig. 1): secondo Racah questa cultivar deriverebbe dalla propagazione di un albero nato, intorno al 1920, in prossimità di un susino Burbank coltivato nei pressi di Bagno a Ripoli (FI). Alla sua diffusione contribuì iniziamente l’occasionale scopritore a nome Picciolo. Porcina: antica cultivar italiana di probabile origine toscana ricordata da P.A. Micheli in un manoscritto dei primi del XVIII secolo. Vecchietti (Fig. 2): la cultivar avrebbe avuto origine, secondo Racah da un albero allevato nel pomario della Parrocchia di Quintole, nei pressi di Compiobbi (FI). Essa è infatti localmente nota anche con Fig. 5 - Susino: Morettini 355, cultivar fiorentina che si è diffusa un po’ ovunque anche all’estero Il germoplasma della Toscana 234 il sinonimo Susina del Prete di Quintole. P.A. Micheli, peraltro, in un suo manoscritto dei primi del XVIII secolo, illustrante le frutta allora coltivate in Toscana, ricorda una Susina del Vecchietto, descrivendola tuttavia come caratterizzata da frutto bianco maturante in agosto. In ogni caso sembra trattarsi di un’antica cultivar toscana. 2.2. La scheda descrittiva semplificata del susino Al fine di facilitare il compito di rilevamento dei dati per le accessioni di susino presenti in Toscana, non ancora consevate nelle collezioni di cui alla Tab. 1, la Commissione delle Specie Legnose da frutto (L.R. 50/97) ha predisposto la “scheda descrittiva semplificata”, che si riporta nelle pagine seguenti. Bibliografia AUTORI VARI (1994) - Elenco delle cultivar autoctone italiane. Agabbio M. (Ed.) CNR, Carlo Delfino Editore, Sassari. BALDINI E. (1960) - Le cultivar introdotte presso il Centro di miglioramento piante da frutto e da orto del CNR. Da “La coltura del susino”, Riv. di Ortoflorofrutticoltura Italiana, n.s. BELLINI E. (1990) - “Firenze ’90” a new european plum cultivar obtained by cross-breeding. Firenze, XXIII Internationale Horticultural Congress, ISHS-SOI, 27 agosto-1° settembre. BELLINI E., PISANI P.L. (1982) - Susino. In: Agrumi, frutta e uve nella Firenze di Bartolomeo Bimbi pittore mediceo. CNR, Firenze. GALLESIO G. (1817-1839) - Pomona Italiana, ossia Trattato degli Alberi da Frutto. N. Capurro, Pisa. MORETTINI A. (1961) - Le nuove cultivar Morettini. CNR, Firenze. RACAH V. (1933) - La susina Florentia nel suo terzo anno di prova. Firenze Agricola. 235 Commissione tecnico-scientifica delle Specie Legnose da Frutto - L.R. 50/97 Scheda descrittiva semplificata SUSINO (Scheda fac-simile, richiedere l’originale all’ARSIA) Nome e cognome del rilevatore: Periodo della rilevazione: dal al Luogo della rilevazione (nome, cognome, indirizzo): NOME CULTIVAR ETÀ DELLE PIANTE N. PIANTE INDIVIDUATE SINONIMI CARATTERI OBBLIGATORI 1) PORTAMENTO ❏ assurgente ❏ espanso ❏ pendulo 2) VIGORIA ❏ scarsa ❏ media ❏ elevata 3) FIORITURA (data) inizio (10% fiori aperti) piena (60% fiori aperti) fine (100% fiori aperti) 4) CASCOLA PRE-RACCOLTA ❏ scarsa ❏ media ❏ elevata 5) FRUTTIFICAZIONE ❏ costante ❏ incostante ❏ alternante 6) PRODUTTIVITÀ ❏ scarsa ❏ media ❏ elevata 7) RACCOLTA (data) inizio fine 8) N. RACCOLTE 9) DIMENSIONE FRUTTI ❏ piccola: fino a 35 g ❏ media: da 36 a 60 g ❏ grossa: da 61 a 80 g ❏ molto grossa: oltre 81 g 10) FORMA FRUTTI (vista ventrale lato sutura) ❏ oblata ❏ ellissoide ❏ sferoidale ❏ ovale 11) SIMMETRIA FRUTTI ❏ simmetrica ❏ asimmetrica 12) SPACCATURA BUCCIA ❏ assente ❏ presente 13) FRUTTI SPACCATI (%) 14) COLORE EPIDERMIDE ❏ rosso ❏ viola chiaro ❏ rosso-violaceo ❏ viola scuro ❏ rosso-giallastro ❏ verde ❏ giallo ❏ verde-giallastro ❏ giallo-dorato ❏ blu ❏ giallo-verdastro ❏ blu scuro ❏ giallo-rossastro ❏ nero ❏ viola 15) COLORE POLPA ❏ giallo ❏ giallo-verdastro ❏ giallo-aranciato ❏ giallo-rossastro ❏ verde ❏ verde-giallastro ❏ ambrato ❏ rosso Il germoplasma della Toscana 236 CARATTERI OBBLIGATORI 16) SAPORE POLPA ❏ croccante ❏ fondente 17) CONSISTENZA POLPA ❏ scarsa ❏ media ❏ elevata 18) SUCCOSITÀ POLPA ❏ bianco ❏ bianco-giallo ❏ crema 19) ADERENZA POLPA AL NOCCIOLO ❏ scarsa ❏ media ❏ elevata 20) PEDUNCOLO ❏ corto: fino a 15 mm ❏ medio: da 15 a 20 mm ❏ lungo: oltre 20 mm 21) DIMENSIONE NOCCIOLO ❏ piccola ❏ media ❏ grande 22) RESISTENZA ALLE MANIPOLAZIONI ❏ scarsa ❏ media ❏ elevata 23) GIUDIZIO QUALITATIVO GENERALE ❏ negativo ❏ mediocre ❏ buono ❏ ottimo 24) GIUDIZIO QUALITATIVO OSSERVAZIONI 25) GIUDIZIO AGRONOMICO COMPLESSIVO 26) SUSCETTIBILITÀ A MALATTIE CARATTERI FACOLTATIVI 1) ENTITÀ FIORITURA ❏ scarsa ❏ media ❏ elevata 2) ALLEGAGIONE ❏ scarsa ❏ media ❏ elevata 3) CASCOLA DI GIUGNO ❏ scarsa ❏ media ❏ elevata 4) FORMA NOCCIOLO ❏ ellittico-stretta ❏ ellittica ❏ ellittico-allargata 5) FORMA FOGLIA ❏ circolare ❏ ovale-allargata ❏ ellittica 6) DIMENSIONE FOGLIA ❏ piccola ❏ media ❏ grande 7) PRODUZIONE (kg/albero) 8) GRADO RIFRATTOMETRICO (%) 9) PESO MEDIO FRUTTI (g) 10) PESO MEDIO NOCCIOLI (g) 11) RESA IN POLPA (%) 12) SENSIBILITÀ A RUGGINE ❏ nulla ❏ media ❏ scarsa ❏ elevata 13) SENSIBILITÀ A BATTERIOSI ❏ nulla ❏ media ❏ scarsa ❏ elevata 14) SENSIBILITÀ A CORINEO ❏ nulla ❏ media ❏ scarsa ❏ elevata 15) SENSIBILITÀ A SCLEROTINA ❏ nulla ❏ media ❏ scarsa ❏ elevata 16) SENSIBILITÀ A PSILLA ❏ nulla ❏ media ❏ scarsa ❏ elevata Frutti: forma vista ventralmente, lato sutura 237 VI. Germoplasma toscano di interesse zootecnico La Pecora Massese: conoscenze attuali Mina Martini, Paolo Verità Dipartimento di Produzioni Animali, Università degli studi di Pisa Introduzione La razza ovina Massese originaria della località di Forno (MS), si è diffusa in buona parte della Toscana, ed in particolare nelle province di Lucca, Pisa, Pistoia, Grosseto e Livorno. La sua area di espansione si è a tutt’oggi allargata all’Emilia Romagna e ad alcune zone della Liguria inoltre, un piccolissimo numero di greggi è stato portato anche in Abruzzo e Puglia. La consistenza attuale ammonta a 185.000 capi, di cui però, solo 8.000 femmine circa sono sottoposte ai controlli funzionali in un’ottantina di allevamenti (dati 1997). Nello standard di razza viene indicata come razza tipicamente da latte e presenta una produzione media di circa 150 litri in 5 mesi di lattazione. Oltre a questa attitudine, ha anche una buona produzione di carne, una notevole fecondità ed una prolificità di circa il 130%, con un numero elevato di agnelli che alla nascita pesano sui 5,0 - 5,5 Kg, ed a 30 giorni di età sui 12 - 14 Kg. Attualmente è in forte crescita il numero di femmine che presentano i calo- ri in buona parte dell’anno, permettendo così alla razza di avvicinarsi ai tre parti ogni due anni. Gli indirizzi selettivi attualmente perseguiti sono rappresentati dalla ricerca di una migliore conformazione somatica e della mammella, soprattutto in vista dell’impiego della mungitura meccanica. Su questi aspetti sono stati effettuati studi dal Dipartimento di Produzioni Animali dell’Università di Pisa i cui risultati sono riportati di seguito. Caratteri morfologici Recenti ricerche condotte sui caratteri zoometrici della pecora Massese (Tab. 1) hanno evidenziato che i valori riferiti agli animali adulti riportati dallo standard di razza (ASSO.NA.PA.) si presentano superiori eccetto l’altezza e la circonferenza del torace. Ciò potrebbe indicare un’evoluzione morfologica dell’attuale popolazione verso soggetti a torace più ampio. Lo studio dell’evoluzione morfologica della peco- Tab.1 - Rilievi zoometrici nelle femmine e nei maschi adulti (medie ± d.s.) Soggetti Altezza al garrese Altezza al torace Lunghezza tronco Larghezza groppa Circonferenza torace Profondità torace Circonferenza stinco Padiglione auricolare Arco profilo fronto-nasale Coda profilo fronto-nasale A, B: < 0.01 cm cm cm cm cm cm cm cm cm cm Femmine n. 174 76.8 A ± 76,8 34.5A ± 1,93 81A ± 4,16 21,3 ± 1,54 94.4A ± 6,41 46.1A ± 5,84 8.8A ± 0,46 11,6 ± 1,04 20.7A ± 1,3 19.2A ± 1,2 Maschi n. 41 81.8B ± 38.1B ± 87.5B ± 21,1 ± 99.7B ± 49.5B ± 10.1B ± 11,4 ± 22.7B ± 20.8B ± 4,8 3,85 4,81 2,17 7,13 4,82 1,11 1,08 1,74 1,5 Il germoplasma della Toscana 238 Fig. 1 - Massese: Tipi di mammelle Foto 1 - Tendenza all’orizzontalità dei capezzoli Foto 2 - Massese: forma dei capezzoli ra ha rilevato che le misure di altezza e lunghezza sono definitive entro i due anni, mentre quelle di larghezza si completano successivamente. Ciò porta a ritenere che la pecora Massese raggiunge delle dimensioni da adulta dopo la seconda lattazione. Studi relativi alla localizzazione altimetrica degli animali evidenziano che i soggetti allevati in pianura presentano dimensioni maggiori di quelli allevati in collina e questi ultimi sono caratterizzati da una maggiore capacità respiratoria ed un maggiore mesomorfismo. Le diverse province di appartenenza presentano tipi morfologici differenti dovuti ad indirizzi produttivi diversi. In particolare, le femmine allevate in provincia di Lucca presentano le dimensioni maggiori ed un dolicomorfismo più spiccato (caratteristico degli animali maggiormente orientati alla produzione del latte), seguite dai soggetti allevati nella provincia di Pisa e contrariamente a quelli allevati a Livorno e Massa Carrara. Il maggior numero di animali più produttivi sono presenti nelle provincie di Lucca e Massa Carrara mentre la maggior parte delle pecore di Pisa e Livorno appartengono alla classe di minore produttività. Sempre in relazione alle capacità produttive é stato riscontrato che i soggetti che presentano quantità di latte più elevate in seconda lattazione lo sono anche in terza ed in quarta. Dalle indagini effettuate sulla mammella della pecora Massese si rilevano 6 tipologie: due sono di forma “globosa” tipica della razza Sarda, mentre le altre 4 presentano una forma parallelepipeda tipica di questa razza; le differenze tra i due gruppi riguardano essenzialmente gli inserimenti e l’inclinazione dei capezzoli (Fig. 1). Sostanzialmente si può dire che la mammella della pecora Massese si presenta di forma parallelepipeda, sufficientemente compatta e con attacco mediamente rettangolare. Le dimensioni di lunghezza e diametro dei capezzoli rientrano nello standard per la utilizzazione della mungitrice meccanica, mentre l’inserzione dei capezzoli, benché si inseriscano nel terzo inferiore della mammella, si presenta piuttosto elevata rispetto ad altri tipi genetici in cui l’inserzione più bassa favorisce l’emissione del latte ed una sua minore ritenzione. L’angolo di inserzione dei capezzoli risulta mediamente di 62° indicando una tendenza all’orizzontalità, mentre la forma dei capezzoli, rilevandosi tendenzialmente conica, potrebbe creare difficoltà all’utilizzo della mungitrice meccanica (Foto 1 e 2). 239 Conclusioni Per quanto riguarda le caratteristiche morfologiche, la pecora Massese, presenta una notevole variabilità biometrica dovuta essenzialmente alle diversità ambientali in cui viene allevata (localizzazione degli allevamenti nelle diverse province e zone altimetriche, anche se in collina si riscontra una conformazione più compatta con maggiore equilibrio dell’attitudine latte-carne); le tecniche di conduzione adottate nelle diverse aziende, inoltre, e gli orientamenti selettivi non ancora omogeneamente seguiti dagli allevatori favoriscono questa situazione di diversificazione. L’andamento dell’accrescimento può far ritenere la Massese una razza precoce con caratteristiche morfologiche da latte. È da rilevare la limitatezza della selezione genetica fino ad oggi effettuata sulla razza, basata su rimonte interne con conseguente lentezza del miglioramento dei caratteri. Analogamente a quanto evidenziato per la conformazione morfologica, anche la mammella presenta già in seconda lattazione caratteristiche pressoché definitive, ma non sono state riscontrate correlazioni significative tra forma della mammella e produzione di latte. In provincia di Massa Carrara si riscontra una attività selettiva più mirata, che privilegia una mammella più contenuta nelle dimensioni. Risulta indispensabile una selezione mirata al miglioramento dei capezzoli per l’impiego della mungitrice meccanica soprattutto per quanto riguarda la forma che dovrebbe tendere a quella cilindrica e l’inserzione più bassa con tendenza alla verticalità. Bibliografia CIANCI D., MARTINI M., TACCINI F. (1988) - Variabilità delle funzioni produttive nell’allevamento ovino massese della provincia di Pistoia. Ann. Fac. Med. 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Lucifero Dipartimento di Scienze zootecniche, Università degli Studi di Firenze Nell’ovinicoltura da latte toscana l’unica razza autoctona è la Massese, caratterizzata da un particolare ritmo riproduttivo che le consente di avere tre parti ogni due anni, alternando una lattazione lunga a due più brevi. Nell’ambito di più progetti di ricerca sono stati studiati alcuni aspetti della produzione del latte di questa razza. Studio della curva di lattazione Sono state individuate e caratterizzate tre tipologie di lattazione in base all’epoca di parto ed alla durata. La produzione di latte è stata controllata con frequenza settimanale e per il calcolo dei parametri della curva e della produzione totale è stato utilizzato il seguente modello matematico (Wood, 1967): Pecore Massesi al pascolo 2500 g/d 2000 y = a • x b • e -c • x 1500 y = quantità di latte prodotta al giorno x dal parto a, b, c = parametri che caratterizzano la forma della curva 1000 500 Per ogni singola lattazione sono stati stimati: momento in cui si verifica il picco, valore della produzione massima, persistenza e produzione totale (vedi Tab. 1). d 0 0 20 40 60 80 100 120 140 160 180 200 220 240 260 280 Graf. 1 - Produzione di latte della lattazione autunnale breve: tipologia 1 (136 giorni) g/d g/d 2500 2500 2000 2000 1500 1500 1000 1000 500 500 0 0 0 20 40 60 80 100 120 140 160 180 200 220 240 260 d Graf. 2 - Produzione di latte della lattazione primaverile breve: tipologia 2 (94 giorni) 280 0 20 40 60 80 100 120 140 160 180 200 220 240 260 d Graf. 3 - Produzione di latte della lattazione autunnale lunga: tipologia 3 (240 giorni) 280 Il germoplasma della Toscana 242 Tab. 1 - Studio della curva di lattazione Tipo di lattazione Tempo al picco (d) Produzione al picco (g) Persistenza Prod. totale di latte (kg) 15.4 2.9 9.6 2060 2166 1763 5.32 4.93 5.35 166.2 145.0 219.9 - 1 (Graf. 1) - 2 (Graf. 2) - 3 (Graf. 3) % % 9 8 8,5 8 proteina totale 7 7,5 6 7 caseina 6,5 5 6 5,5 4 Grasso 5 3 4,5 4 2 8 28 48 68 88 108 128 148 168 188 208 228 d 8 28 48 68 88 108 128 148 168 188 208 228 d 148 168 188 208 228 d Graf. 5 - Proteina totale e caseina Graf. 4 - Grasso log 5,8 min 30 5,6 25 5,4 20 5,2 15 5 10 5 4,8 0 4,6 8 28 48 68 88 108 128 148 168 188 208 228 d 8 28 48 68 88 108 128 Graf. 7 - Tempo di coagulazione (R) Graf. 6 - Cellule somatiche Tab. 2 - Valutazione del periodo di macellazione Totale latte prodotto (kg) Peso agnello (kg) Incremento p.v. agnello (kg) Indice conversione (kg/kg) 0 - 20 giorni 0 - 30 giorni 20 - 30 giorni 37.1 10.9 5.5 6.8 55.6 13.5 8.0 6.9 18.5 — 2.6 7.0 Studio della qualità del latte Durante le lattazioni, con cadenza settimanale, sono stati prelevati 984 campioni di latte rappresentativi della mungitura mattutina e serale, le analisi hanno riguardato: • parametri composizionali: proteina e caseina (Graf. 5), grasso (Graf. 4), lattosio e cellule somatiche (Graf. 6) • pH • parametri tecnologici: tempo di coagulazione (R) (Graf. 7), velocità di formazione del coagulo (k20), consistenza del coagulo a 30 minuti (a30). È stata calcolata la conversione del latte in agnello per valutare la convenienza ad anticipare o ritardare la macellazione. 243 Lavorazione del latte di pecore Massesi Prodotti del latte di pecore Massesi Conclusioni La lattazione primaverile breve si è differenziata per picco produttivo più elevato ed anticipato e minore persistenza della fase discendente; ha fornito, inoltre, latte con le migliori caratteristiche sia composizionali che tecnologiche. Con il procedere della lattazione si è verificato per tutte le tipologie un aumento delle percentuali di grasso, proteina e caseina, un leggero peggioramento delle caratteristiche tecnologiche. Considerato che il raggiungimento di 20 giorni di età è comunque necessario per ottenere un agnello di pregio e per recuperare il valore alla nascita, la convenienza a protrarre l’allattamento dipende dal prezzo della carne e del latte. In questa fase per ottenere 1 kg di accrescimento occorrono 7 kg di latte. 245 VI. Germoplasma toscano di interesse zootecnico La Capra Garfagnina Mina Martini, Paolo Verità Dipartimento di Produzioni Animali, Università degli studi di Pisa te; labbra grosse da buona pascolatrice; possibiAttualmente la capra Garfagnina, allevata in prolità di corna sia nel maschio che nella femmina, vincia di Lucca, è rappresentata da circa 2.500 capi in quest’ultime sono rivolte all’indietro, diritte o suddivisi in 49 allevamenti nell’area della Garfagnana ricurve, a sezione rotonda; nei maschi, oblique e (Fig. 1) e nella Media Valle del Serchio (Fig. 2). più lunghe, dirette lateralmente; la barbozza è Le aziende, a conduzione diretta, sono di piccole sempre presente; dimensioni e spesso gli animali vengono allevati • collo lungo ma robusto; le tettole non si risconinsieme a razze ovine. L’allevamento è di tipo estentrano in tutti gli animali; sivo con ricoveri modesti e scarse attenzioni igieni• tronco con diametri longitudinali sviluppati; che. L’alimentazione si basa soprattutto sull’utilizzo linea dorso lombale di solito rettilinea; groppa di vegetazione spontanea del sottobosco e dei pascoli. inclinata posteriormente; La popolazione caprina, non avendo mai usufrui• arti robusti con unghielli solidi; to di interventi di miglioramento programmati, presenta una certa variabilità dei caratteri e soprattutto di quelli Camporgiano fanerotici; spiccano comunque 11 capi, 1 allevamento Villa Collemandina le caratteristiche di robustezza 26 capi, 3 allevamenti ed adattabilità a zone poco impervie, disagiate e poco proPievefosciana 192 capi, duttive. 3 allevamenti Caratteri esteriori della popolazione Le caratteristiche morfologiche delle capre Garfagnine possono essere così riassunte: • taglia: media; • testa: proporzionata, profilo rettilineo o leggermente montonino; orecchie abbastanza grandi, dritte, protese in avanti orizzontalmen- Fosciandora 37 capi, 2 allevamenti Vergemoli 95 capi, 2 allevamenti Minucciano 204 capi, 5 allevamenti Fig. 1 - Consistenze e numero di allevamenti caprini in Garfagnana. Totale capi: 600 Totale allevamenti: 18 Careggine 20 capi, 1 allevamento Castelnuovo Garfagnana 15 capi, 1 allevamento Il germoplasma della Toscana 246 Coreglia Alteminelli 80 capi, 5 allevamenti Barga 162 capi, 6 allevamenti Fig. 2 - Consistenze e numero di allevamenti caprini nella media Valle del Serchio. Totale capi: 1839 Totale allevamenti: 31 Caratteri generali Nella Tab. 1 sono riportate le misure biometriche dei maschi e delle femmine adulte. Spesso gli animali vengono messi in riproduzione a partire dai 6 mesi di età e i maschi rimangono con le femmine per tutto l’anno. Le monte iniziano in agosto e si protraggono fino Fabbriche di Vallico ad ottobre inoltrato. I parti 82 capi, avvengono normalmente in 2 allevamenti Bagni di Lucca gennaio-marzo ed in questo 1445 capi, 17 allevamenti periodo, le capre, ricevono una limitata integrazione alimentaBorgo a Mozzano re costituita prevalentemente 70 capi, da fieno di prato polifita natu1 allevamento rale, rare integrazioni di concentrati e sottoprodotti come barbabietole. • mantello molto variabile per i colori che lo comI caratteri riproduttivi riportati nella Tab. 2 rilepongono, per la distribuzione e per l’intensità di vano una fertilità ed una prolificità non elevate questi nelle varie parti del corpo; tra i colori più dovute alle precarie condizioni di allevamento ed frequenti troviamo il bruno rossastro, il grigio alla scarsa selezione fino ad oggi effettuata. dato dall’unione di peli bianchi e neri, il fulvo ed Gli animali rimangono in azienda a lungo deteril marrone, sono frequenti anche mantelli pezzaminando un basso tasso di rimonta (15%). ti bianchi con macchie grigie, fulve e rossastre. Il I pesi dei nati da parto singolo sono mediamente pelo si presenta lungo e folto ed è quasi sempre di 4,8 e 4,5 Kg rispettivamente per i maschi e per le più abbondante nei maschi. femmine, nei gemelli si registrano valori medi per i due sessi di 4,4 Kg e 3,8 Kg. Tab. 1 - Misure biometriche dei maschi e delle femmine adulte Altezza al garrese Altezza del torace Lunghezza del tronco Lunghezza del torace Lunghezza della groppa Larghezza del torace Larghezza anteriore groppa Larghezza posteriore groppa Circonferenza torace Circonferenza stinco Parte libera degli arti Maschi d.s. Femmine d.s. 82.71 38.71 93.50 48.00 29.57 20.00 17.78 14.85 100.00 11.28 40.90 7.52 3.43 6.53 2.17 1.96 1.75 1.72 2.89 6.60 0.95 9.54 76.16 34.69 82.04 41.56 25.29 19.81 17.05 13.72 92.24 9.36 40.83 4.62 1.84 5.15 2.75 1.73 2.25 1.28 1.97 5.56 0.78 3.88 247 I capretti, alimentati esclusivamente con latte materno, vengono venduti al macello ad un’età di circa 40 giorni con un peso medio di 11 Kg. La lattazione dura in media 180 giorni con una produzione di latte di circa 200 Kg (Tab. 3). Il latte, di solito misto a quello ovino o bovino viene utilizzato per la produzione di formaggio tipo pecorino e ricotta con rese medie del 9,6 e 5,3%. Conclusioni La popolazione caprina Garfagnina, anche se la variabilità dei caratteri biometrici risulta modesta, non presenta una conformazione perfettamente armonica per un notevole sviluppo degli arti indicandone il carattere di buona pascolatrice che le permette di inserirsi perfettamente nell’ambiente di origine, caratterizzato da limitate risorse alimentari. La sua notevole disomogeneità fanerotica deriva dalla ricerca degli allevatori, non supportati da organizzazioni tecniche, di combinazioni genetiche più favorevoli, talvolta dettate da semplici motivazioni estetiche e non da veri e propri obiettivi di selezione. In sintesi, il miglioramento produttivo di questa popolazione necessita di un avanzamento delle tecniche di allevamento con particolare attenzione agli aspetti alimentari, riproduttivi ed igienico sanitari. Tutto ciò, dovrà essere affiancato ad un’opera di miglioramento genetico conservando le caratteristiche di adattabilità alle difficili aree della collina e della montagna Toscana. Sono quindi auspicabili ulteriori studi per approfondire le conoscenze sulle attitudini funzionali della capra, al fine di portare vantaggi tecnici ed economici agli allevatori e favorire così un rilancio di questo settore zootecnico in relazione soprattutto alla tipizzazione dei prodotti. Tab. 2 - Parametri riproduttivi Media Rapporto maschi/femmine Incremento demografico Fecondità Fertilità Prolificità Rimonta Età 1° salto maschi Età 1° accopp. femmine Carriera riprod. maschi Carriera riprod. femmine Mortalità % % % % % gg gg anni anni % 1:25 63,50 93,00 71,50 130,00 15,00 268,00 299,00 4,80 8,20 14,50 Tab. 3 - Produzione caratteristiche del latte Media Latte capo Giorni Proteine Lipidi Lattosio litri % % % 215 195 3,07 3,58 4,29 d.s. 66 28 0,47 0,69 0,25 Il germoplasma della Toscana 248 Bibliografia COLOMBANI B., ORLANDI M., VERITÀ P., MARTINI M., BERNI P., PITTI A. (1987) - Influenza del livello energetico della razione sulla produzione di latte nella specie caprina. Ann. Fac. Med. Vet. Pisa, vol. XL, 305-324. MARTINI M., COLOMBANI B., GREPPI G.F. (1989) - Caratteristiche quanti-qualitative del latte prodotto dalle capre della Media Valle del Serchio. Milano XXIV Simp. Inter. di Zoot., 263-267. MARTINI M., PAGANELLI C. (1988) - La capra della Media Valle del Serchio. Agricoltura Toscana, 9-10, 37-39. PASQUINI M., CICERI A., MARTINI M., COLOMBANI B., GREPPI G.F. (1991) - Capacità produttive della capra della Media Valle del Serchio: analisi del profilo metabolico. Atti IX Cong. Naz. A.S.P.A. Roma 1991, 935-949. MARTINI M. (1988) - Prove di alimentazione su una popolazione caprina poco conosciuta: la capra della Media Valle del Serchio. Inf. Zoot., 24, 25-27. 249 VI. Germoplasma toscano di interesse zootecnico La Pecora Zerasca Mina Martini, Paolo Verità Dipartimento di Produzioni Animali, Università degli studi di Pisa Tra le popolazioni ovine presenti in Toscana ne è stata individuata una le cui origini non sono ben note. La prima citazione in documenti tecnici risale alla metà del secolo scorso, ma l’ipotesi più accreditata è quella della derivazione da incroci fra una popolazione autoctona e razze del Nord Italia, in particolare la Bergamasca, la Biellese ed altri ceppi appenninici. Il solo indirizzo selettivo evidente, condotto in maniera molto empirica dagli allevatori, è degli anni Sessanta e Settanta facendo ampio ricorso ad arieti di razza Massese per aumentare la produzione lattea, ma questa pratica ha portato ad una riduzione della rusticità e della capacità di adattamento ad un ambiente non facile sia dal punto di vista climatico che di reperimento delle fonti alimentari. Attualmente, tale tipo di incrocio non viene più attuato e sono quasi completamente scomparse le caratteristiche morfologiche che ricordano la razza incrociante, anche se qualche particolarità del mantello sussiste in alcuni soggetti sotto forma di piccole macchie colorate sul muso e sugli arti. Già da qualche anno gli ovini Zeraschi sono stati inseriti nell’elenco delle razze-popolazioni meritevoli di difesa approvato dalla Comunità Europea, e dal 1992 sono iscritte nel Registro Anagrafico ai fini del miglioramento genetico. Le caratteristiche produttive della popolazione Zerasca hanno suscitato l’interesse del Dipartimento di Produzioni Animali dell’Università di Pisa, che ha condotto studi sia sulle caratteristiche morfologiche, produttive e riproduttive degli ovini, sia sull’ambiente di allevamento, considerando anche la tipologia delle aziende zootecniche. Caratteristiche generali Attualmente, i soggetti Zeraschi sono rappresentati da poco meno di 3.000 capi, di cui circa il 60% con caratteristiche morfologiche e produttive ben fissate. Allevati nel Comune di Zeri (MS), gli ovini sfruttano i terreni marginali, ad alta e media declività, compresi fra 700 e 1200 metri di altezza s.l.m., con una tecnica di allevamento esclusivamente estensiva. La presenza sui pascoli dura tutto l’anno, anche nei periodi di maggiore inclemenza climatica, quando si effettua l’unico momento d’integrazione alimentare con fieno prodotto nelle stesse aziende o con foglie essiccate raccolte durante la stagione vegetativa arborea (castagno, carpino, faggio, etc.). Il programma alimentare è evidenziato nella Fig. 1, da cui risulta anche evidente come il pascolamento sia raramente effettuato su terreni arborati. Fig. 1 - Programma alimentare Pascolo naturale (1.2) Sottobosco Stalla (3), Fieno (4) Sfalcio G F M A M • • • • • • • (1.2) Pascolo nudo di crinale; pascolo arborato sottostante G L • • Pascolamento raro A S O N D • • • • • • • • (2.3) Nel centro aziendale da dicembre a febbraio (4) Sfalcio unico Il germoplasma della Toscana 250 Tab. 1 - Dati aziendali (su 30 aziende) Totale aziende del Comune Aziende con n. capi > 40 Aziende con n. capi < 40 Superficie media Superficie per animali 199 30 169 ha 17,87 ha 15,33 Giacitura terreno Altezza centro aziendale Pascolo utilizzato Numero medio di Capi/azienda acclive (>30%) 600-800 s.l.m. 900-1200 s.l.m. 50 Tab. 2 - Dati rilevati alla macellazione (medie stimate; ANOVA) Peso vivo alla nascita Età alla macellazione Peso vivo alla macellazione Peso vivo netto Carcassa a caldo kg d. kg kg kg Allev. 1 Allev. 2 Allev. 3 Maschi Femmine Parto Sing. Parto Gem. 5.26 b 74 B 18,86 16,4 8,87 4.32 a 59 A 20,32 17,94 9,09 4.51 a 62 A 19,81 17,82 9,31 4,89 64 19,64 17,32 9,16 4,46 65 19,68 17,45 9,02 5.12 b 66 b 19,12 16,37 9,06 3.98 a 63 a 20,21 18,05 9,11 Medie stimate ed aggiustate al peso medio del P.V. nascita di 4.65 kg ed età media di macellazione di 65 giorni Tab. 3 - Parametri riproduttivi e produttivi (su 30 aziende) PARAMETRI RIPRODUTTIVI Capi totali primipare pluripare agnelle arieti Attiv. riprod. femmine Attiv. riprod. maschi Rimonta Rimonta annua 1° salto maschi 1° accopp. femmine Maschio/Femmine monta Femmine partorite anno Concentrazione parti mese PRODUZIONE CARNE Peso medio nascita: maschi femmine gemelli Peso medio vendita Età media vendita Dati Stimati 50 12 29 7 2 anni 9,4 anni 4,7 tipo interna 16-18% mesi 10-13 mesi 10-13 1/1 8/4 tutto l’anno Dati rilevati kg 5,43 kg 4,67 kg 3,8 kg 19,67 gg 62 PRODUZIONE LATTE Durata lattazione Latte/capo/lattazione Latte/capo/giorno Utilizzazione latte gg — kg — kg — agnello PRODUZIONE LANA non utilizzata A,B: P≤0,01 a,b: p≤0,05 Le caratteristiche medie delle aziende zootecniche sono presentate nella Tab. 1: il terreno molto acclive supera anche il 30% di pendenza, ma non crea problemi di spostamento agli ovini che, del resto, utilizzano la maggior parte della superficie aziendale. Tuttavia, non solo questa è a disposizione degli animali, ma anche buona parte del territorio comunale. L’indirizzo produttivo è tipicamente da carne; il latte prodotto è devoluto nella quasi totalità agli agnelli, e solo una minima parte viene utilizzata per la caseificazione per l’autoconsumo. Le caratteristiche produttive carnee degli agnelli sono riportate sinteticamente nella Tab. 2, in cui appare anche il confronto con soggetti allevati con il sistema intensivo (Allev. 1) e semiestensivo (Allev. 2): i pesi di carcassa migliori sono riscontrabili nei soggetti allevati tradizionalmente (Allev. 3). L’età di macellazione, che non supera i 2 mesi, ed il peso vivo che gli agnelli raggiungono (mediamente intorno i 20 kg p.v.) indicano la buona attitudine alla produzione di carne, qualitativamente molto apprezzata dal mercato locale (Tab. 3). Le caratteristiche morfologiche degli ovini Zeraschi possono essere così sintetizzate: • taglia medio-grande; • testa leggera e proporzionata, profilo rettilineo o leggermente convesso, orecchie di medie dimensioni leggermente pendenti; • collo di media lunghezza; • tronco relativamente lungo; • groppa ben sviluppata in lunghezza e larghezza; 251 Gregge di Pecore zerasche • arti solidi e diritti; • mammella piccola e ben attaccata al corpo; • mantello bianco, talvolta con pigmentazioni grigie o rossastre sul muso e sugli arti. Nella Tab. 4 sono riportate le misurazioni biometriche di alcune categorie di soggetti. I parametri riproduttivi (Tab. 3) appaiono estremamente interessanti in relazione sia all’età del primo accoppiamento, precoce per soggetti rustici ed allevati estensivamente, sia per il fatto che la maggior parte delle pecore presenta i calori in tutto l’arco dell’anno: non esistono quindi momenti di particolare concentrazione dei parti, se non quelli voluti dall’allevatore nei periodi pre-pasquale e prenatalizio. Gli indirizzi selettivi attualmente perseguiti sono rappresentati dalla ricerca di una migliore conformazione somatica per la produzione della carne, e l’istituzione del Registro Anagrafico sta facilitando tale attività. Conclusioni I diversi studi condotti dal Dipartimento di Produzioni Animali dell’Università di Pisa, e qui riassunti sinteticamente, indicano come questa Tab. 4 - Misurazioni biometriche Ordine parto I° Soggetti (numero) 171 II° 83 III° e oltre 166 Peso vivo kg 39,73 56,6 62,93 Larghezza testa cm 13,29 13,72 13,97 Altezza al garrese cm 71,67 73,74 75,08 Lunghezza tronco cm 74,86 77,21 78,17 Profondità toracica cm 38,48 39,98 40,42 Altezza toracica cm 32,33 33,87 34,36 Circonferenza toracica cm 88,32 92,19 94,36 Lunghezza groppa cm 22,75 23,79 24,06 Distanza tuberosità ischiatiche cm 9,84 10,76 10,86 Distanza trocanteri cm 20,36 21,27 21,44 Distanza bisiliaca cm 19,68 18,45 18,9 Circonferenza stinco cm 8,43 8,78 8,82 Lunghezza natica cm 31,66 31,84 32,26 Il germoplasma della Toscana 252 razza-popolazione risulti estremamente interessante per la produzione di un agnello meritevole di tipizzazione non solo per le caratteristiche quantitative, ma anche per quelle qualitative alle quali apporta un contributo l’ambiente di allevamento lontano da qualsiasi fonte industriale di inquinamento. Da parte di questo Dipartimento sono attualmente in corso studi volti a definire la capacità di adattamento di piccoli nuclei di maschi e femmine al di fuori del loro tradizionale ambiente, nella prospettiva della creazione e dell’ampliamento della zona di espansione. Bibliografia DEL PERCIO M. – Studio di pascoli della Lunigiana. Tesi di laurea, Fac. Med. Veterinaria, Pisa, A.A. 1994-95. DODI L. – Tecniche di allevamento degli agnelli della popolazione Zerasca. Tesi di laurea, Fac. Med. Veterinaria, Pisa, A.A. 1991-92. MARTINI M., VERIT P., CECCHI F., RICCI G., GIULIOTTI L., COLOMBANI B. - Prove di accrescimento e rese alla macellazione della popolazione ovina Zerasca. Atti XXVIII Simp. Internaz. Zootecnia, Milano, 1993, 365 - 380. MEINI A.F. – Valutazione morfometrica della popolazione ovina Zerasca. Tesi di laurea, Fac. Med. Veterinaria, Pisa, A.A. 1990-91. VERITÀ P., MARTINI M., LEOTTA R., CECCHI F., COLOMBANI B. Studio biometrico della popolazione ovina Zerasca. Atti XXVIII Simp. Internaz. Zootecnia, Milano, 1993, 479 494. 253 VI. Germoplasma toscano di interesse zootecnico Caratteristiche morfo-funzionali della razza bovina Garfagnina P. Secchiari, G. Ferruzzi, M. Mele, A. Pistoia C.I.R.A.A. “E. Avanzi”, D.A.G.A., Settore Scienze zootecniche A. Serra - D.A.G.A., Settore Scienze zootecniche Cenni storici e diffusione originaria La razza, la cui origine è ascrivibile alla Podolica primitiva, è allevata dai tempi più lontani nell’alta valle del Serchio. Negli anni Trenta, come riportato da Bianchi (1939), la Garfagnina era diffusa, oltre che in provincia di Lucca, nel territorio delle provincie di Massa Carrara (un tempo Apuania), Reggio Emilia e Modena. Questo bestiame, che era indicato con denominazioni diverse quali Nostrano, Grigio dell’Appennino Reggiano, Modenese di Monte, presentava, tuttavia, caratteristiche tali da farlo considerare un tipo unico presente nelle zone collinari e montane fra la Toscana nord-occidentale e l’Emilia. In provincia di Massa Carrara, della quale la Garfagnana era parte fino al 1923, la razza Garfagnina ha conservato il suo nome originario, derivatole dal territorio di maggiore diffusione. In particolare, l’allora Ispettorato dell’Agricoltura di Apuania riconosceva, nel 1939, per l’attuazione dei programmi zootecnici relativi alla razza, un’area di diffusione di circa 46.000 ha, compresa nei territori comunali di Casola, Fivizzano, Comano, Licciana Il germoplasma della Toscana 254 Mozzano, Pescaglia, Bagni di Lucca, Coreglia Antelminelli e Barga, si può dire che questo bestiame, sia pure con un altro nome e un po’ deviato dal tipo allevato in Garfagnana, popolava tutta la dorsale Appenninica delle quattro provincie di Lucca, Modena, Massa Carrara e Reggio. Diffusione attuale e consistenza La zona di diffusione della razza Garfagnina, attualmente, comprende le aree della Garfagnana, della Lunigiana e della Lucchesia. La consistenza, al 31 dicembre 1998, ammontava a 410 capi, di cui 151 vacche, 172 manze, 81 vitelli e 6 tori distribuiti su 70 allevamenti. In realtà sarebbe più corretto parlare di nuclei di allevamento di soggetti meticci derivanti da incrocio delle poche femmine conservate negli anni ’70 con tori di razza Bruno Alpina (in qualche caso anche Frisona) e successivo meticciamento. Nella razza Garfagnina attuale, infatti, è possibile notare caratteristiche influenzate dalle razze Bruno Alpina e Frisona. Diffusione della razza bovina Garfagnina Caratteristiche morfologiche e Tresana ed in parte di quelli di Aulla, Podenzana e Fosdinovo. In questa zona i bovini appartenenti al tipo “prevalentemente” garfagnino, ammontavano a 8.000 capi di cui 5.800 vacche e manze e 2.800 buoi, vitelli e tori; questi ultimi nel 1939 erano 29 e, in poco tempo, sempre secondo Bianchi, sarebbero dovuti diventare una cinquantina. Nell’alto e medio Appennino Reggiano il bestiame bovino allora esistente, come sopra ricordato, era chiamato col nome di “Razza Grigia dell’Appennino Reggiano”. Si trattava di bestiame indigeno che non aveva subìto incroci né con la razza Bruna Alpina né con quella Reggiana e che veniva riprodotto in purezza. A questo proposito l’Ispettorato di Modena forniva in merito le seguenti indicazioni: “il bestiame bovino allevato nell’alto Appennino modenese a mantello brinato e con pigmentazioni apicali ardesia scuro, ascrivibile al tipo appenninico, e che in questa provincia è classificato come Modenese di monte, è effettivamente lo stesso allevato in Garfagnana ove ha subito le influenze dell’ambiente migliorando segnatamente nelle attitudini produttive”. Pertanto, sebbene il decreto ministeriale 21 marzo 1935 avesse stabilito che l’area di allevamento della razza Garfagnina comprendeva i comuni della provincia di Lucca che costituivano il circondario di Castelnuovo Garfagnana e quelli di Borgo a Mantello: di colore grigio (detto brinato) con variazioni dal grigio chiaro al grigio scuro; Testa: nelle femmine è di media lunghezza, leggera, con fronte ampia e leggermente depressa; nei maschi si presenta corta e larga, ma non tozza; Lombi: piuttosto larghi, ben attaccati e robusti; Groppa: larga anteriormente, stretta e spiovente posteriormente, nel complesso scarna; Coscia: non piatta, nei maschi è abbastanza muscolosa; Peso: nei maschi 560-650 kg, nella femmine 400455 kg; Altezza al garrese: nei maschi 130-145 cm, nelle femmine 129,2-130 cm. La parte superiore delle corna, le palpebre, il musello, la faccia dorsale della parte libera della lingua, il palato, gli unghielli, gli orifizi, il fondo dello scroto ed il fiocco della coda, nei soggetti definiti tipici, dovrebbero essere sempre neri. Allevamento ed attitudine produttiva: la razza si distingue per le buone capacità di utilizzo di foraggi scadenti come ricacci del sottobosco e dei castagneti da frutto ed è ben adattata alle condizioni climatiche della zona d’allevamento, talora severe (Bianchi, 1939; Bonadonna, 1951). Originariamente veniva definita come razza a triplice attitudine, anche se ha sempre prevalso 255 Esemplare di bovina Garfagnina l’attitudine lattifera. Le vacche Garfagnine, tuttavia, dimostravano una tale resistenza ed energia da vedersi affidare totalmente il lavoro dei campi, in sostituzione anche degli stessi buoi. In ordine alla produzione di latte, bisogna sottolineare che, nel quadro dell’agricoltura mezzadrile del tempo, era tenuta in grande conto la trasformazione casearia che si attuava mettendo in comune, ogni settimana, il latte prodotto da più stalle. Ciascuno dei partecipanti a questa forma “associativa” di trasformazione, a turno, produceva un formaggio dalle qualità molto apprezzate, la cui commercializzazione avveniva tradizionalmente in occasione della fiera che si teneva e si tiene a Castelnuovo Garfagnana nelle prima settimana di settembre. In forza di queste caratteristiche attitudinali, attualmente la razza Garfagnina viene allevata principalmente allo stato semibrado (solo nei mesi invernali viene ricoverata in stalla) e vede considerata, come produzione principale, quella del latte (medie delle pluripare di circa 3.300 litri al 4,5% di grasso, per lattazione) e, come produzione secondaria, quel- Bovini Garfagnini al pascolo la della carne, apprezzabile soprattutto se il vitello viene macellato precocemente. A questo proposito, infatti, fonti risalenti agli anni Trenta (Bianchi, 1939), riportano che la carne dei vitelli da latte di questa razza era particolarmente apprezzata in tutta la zona della Toscana nord occidentale e della Liguria orientale, fino anche a Genova, per il colore chiaro e l’eccellente sapore e che i vitelli, grazie all’elevato valore nutritivo del latte materno, facevano registrare incrementi medi giornalieri fino a kg 1,3. Bibliografia BIANCHI A. (1939) - I bovini di razza Garfagnina e il miglioramento conseguito con la selezione. Scuola tipografica Artigianelli, Lucca. BONADONNA T. (1951) - Zootecnia speciale, Vol. III, Seconda ed., Istituto editoriale Cisalpino, Varese. 257 VI. Germoplasma toscano di interesse zootecnico Caratteristiche morfo-funzionali della razza bovina Mucca Pisana P. Secchiari, A. Pistoia, G. Ferruzzi, M. Mele C.I.R.A.A. “E. Avanzi”, D.A.G.A., Settore Scienze zootecniche A. Serra - D.A.G.A., Settore Scienze zootecniche Cenni storici Sull’origine della razza Mucca Pisana (detta anche razza Nera della Toscana o Mucca Nera Pisana) gli autori non sono completamente concordi. Le prime notizie sulla razza si hanno tra la fine del XVIII e gli inizi del XIX secolo e, secondo Fogliata, deriverebbe dall’introduzione dalla Svizzera nell’Agro Pisano della razza Schwyz che, secondo lo stesso autore, “avrebbe trovato in questa zona condizioni migliori di prosperità rispetto ad altre razze con la medesima attitudine”. Nell’archivio di San Rossore si trova invece una documentazione che attribuirebbe la sua origine alla razza svizzera Luganese a mantello nero; tale ipotesi è avallata anche da C.M. Mazzini (Lucifero, 1989). Malgrado queste discordanze di parere tra gli studiosi, si ritiene comunque che la Mucca Pisana possa derivare da un incrocio tra una razza autoctona detta “Podolica Locale” (che denotava caratteristiche intermedie tra la Maremmana e la Pontremolese) e bovini svizzeri Schwyz e/o di Lugano (più probabilmente questi ultimi, dato il colore nero del loro mantello), importati in provincia di Pisa verso la metà del Settecento ad opera dei Lorena. Per molti anni è stato inoltre praticato l’incrocio con la razza Bruna Alpina; dal 1850, tuttavia, si iniziano ad avere notizie di insanguamenti effettuati con riproduttori Olandesi, Shortorns e Charolais. L’incrocio che, per durata ed “ampiezza”, ha maggiormente influito sulle caratteristiche della razza Mucca Pisana, è stato, tuttavia, quello con soggetti di razza Chianina, praticato per una decina d’anni a partire dal 1880, al fine di irrobustirla, aumentarne la mole e la resistenza al lavoro. Tali effetti sono tuttora ben manifesti nella popolazione esistente. (Lucifero 1989; Ciampolini e Cianci 1990; Secchiari et al., 1996) Diffusione e consistenza La culla della razza Mucca Pisana è rappresentata dalla bassa Valle del Serchio con aree di allevamento che, originariamente, comprendevano la pianura di Pisa (da Cascina fino a Viareggio) ed una parte della Lucchesia. Gli allevamenti della provincia di Pisa si trovavano soprattutto nei Comuni di Pisa, Vecchiano, San Giuliano Terme, Calci, Cascina, Vicopisano e Calcinaia. Attualmente i 22 allevamenti sono ubicati in un’area abbastanza limitata, tra le Provincie di Pisa, Livorno e Lucca (Secchiari et al., 1996). Diffusione e consistenza della razza Mucca Pisana Il germoplasma della Toscana 258 Le prime notizie relative alla consistenza numerica della razza risalgono ai primi del Novecento e si riferiscono ad un censimento e a dati riportati sui registri di monta. Nel 1906 il Fogliata calcolava che esistessero circa 2.000 capi, ma, dal primo vero censimento, risalente al 1908, risultarono effettivamente circa 7.000 capi, distribuiti nei comuni di Pisa, San Giuliano, Vecchiano e Cascina (Ciampolini e Cianci,1990). Nel 1928 i soggetti di razza Mucca Pisana erano circa 20.000, ma già immediatamente prima della seconda guerra mondiale, i capi allevati erano scesi fino a 15.000. Con la guerra, che nei sopraindicati Comuni fu combattuta in maniera particolarmente intensa, si registrò una brusca caduta della consistenza numerica che passò a 5.000-6.000 soggetti. Il diffondersi della meccanizzazione agricola ha fatto sì che gli allevatori abbandonassero la Mucca Pisana a favore di razze decisamente più specializzate come la Bruna Alpina e la Frisona, per quanto riguarda la produzione di latte e la Chianina per quella della carne. Tutto ciò ha determinato un ulteriore decremento della numerosità della razza che, con soli 60 capi, nel 1978 ha finito per sfiorare l’estinzione. Da quell’anno, con la nascita del primo programma regionale di salvaguardia nell’ambito del progetto di ricerca e valorizzazione delle razze bovine autoctone, in collaborazione con il CNR, si è avuta una certa inversione di tendenza e si è verificato un seppur limitato recupero della consistenza numerica della razza (Graf. 1). Attualmente è in atto un lavoro di recupero patrocinato dagli Enti locali (Provincia di Pisa e ARSIA - Regione Toscana), volto alla salvaguardia della razza ed al suo inserimento in un sistema produttivo che ne valorizzi le caratteristiche peculiari. Un’iniziativa importante nell’ambito di questo lavoro di valorizzazione è stata l’istituzione, nel corso del 1997, da parte dell’Ente Parco Regionale di Migliarino, San Rossore e Massaciuccoli, di un marchio di identificazione geografica della carne dei bovini di razza Mucca Pisana, la gestione del quale è stata affidata all’APA di Pisa. Caratteristiche morfologiche Mantello: Il colore fromentino dei vitelli alla nascita (caratteristica delle razze podolico derivate) evolve gradualmente verso il marrone (detto focato), più scuro nei maschi, con riga dorsale (spigatura) rossiccia dei soggetti adulti. Testa: Nelle femmine si presenta corta, pesante con fronte ampia e riccioluta; nei maschi con profilo diritto o leggermente convesso e sincipite molto convesso. Le corna, corte e tozze di colore giallognolo alla base e nero in punta, dirette all’infuori in avanti e leggermente in basso, sono a sezione ellittica. Le corna in direzione opposta a quella indicata sono tollerate, purché il colore e la sezione siano quelli tipici. Lombi: Lunghi, larghi, in armonia con la groppa Groppa: Rettangolare con prevalenza del diametro antero-posteriore, piana Coscia e natica: Lunghe, muscolose, ma con profili rettilinei. Pesi vivi: Lo standard di razza prevede per le femmine un peso di 700-800 kg e per i maschi un peso di 1050-1150 kg. Graf. 1 - Evoluzione della consistenza numerica della razza negli ultimi venti anni 259 Foto 1 - Torello di razza Mucca Pisana Foto 2 - Vacca di razza Mucca Pisana a stabulazione libera Altezza al garrese: Lo standard di razza prevede per le femmine 145-150 cm e per i maschi 155-160 cm. mente con l’avanzare dell’età: a 8 mesi, infatti, l’ICA risulta poco superiore alle 4 UFC/kg di incremento di PV, ad un anno si attesta intorno alle 6,5-7 UFC/kg di incremento di PV per arrivare e talora superare le 9 UFC/kg di incremento di PV dopo i 18 mesi (Secchiari et al., 1996). Proprio per questo motivo, nel caso dei vitelloni di razza Mucca Pisana, l’alimentazione “spinta” per tutto il periodo di allevamento è da sconsigliare non solo dal punto di vista della convenienza economica, ma anche da quello delle caratteristiche delle carcasse che, nei soggetti allevati in tale regime alimentare, appaiono sensibilmente “grasse”; pare pertanto più opportuno adottare una dieta ad elevata concentrazione energetica solo nella prima fase dell’ingrasso (fino a circa un anno di età) e poi diminuire gli apporti energetici e proteici (Secchiari et al., 1996). Le rese alla macellazione sono molto variabili, infatti la resa lorda oscilla dal 55 al 60% e la resa netta dal 62 al 65%, in funzione del tipo di alimentazione e dell’età di macellazione. Per quanto riguarda i rilievi alla macellazione, l’elevata incidenza sul peso vivo netto del peso della testa (dal 3,5 al 4,2 %) e degli stinchi (dal 2,3 al 2,9%) indicano un notevole sviluppo scheletrico di questi soggetti; tale rapporto, tuttavia, tende a ridursi con l’avanzare dell’età. Lo studio di questi aspetti, unitamente alla definizione dei valori ottimali dell’età di macellazione e della lunghezza del periodo di frollatura delle carni, è oggetto di ulteriori prove sperimentali con il finanziamento ARSIA nell’ambito del progetto “Valorizzazione del materiale genetico bovino toscano e della produzione di carne”, i cui risultati saranno presto pubblicati. Allevamento ed attitudine produttiva In passato la razza Mucca Pisana è stata sempre allevata a stabulazione fissa, ma negli ultimi anni si stanno diffondendo allevamenti che adottano la stabulazione libera e, in taluni casi, lo stato semibrado, con risultati non sempre incoraggianti (Foto 2). Per quanto riguarda le attitudini produttive, i soggetti “pisani” sopperiscono con le caratteristiche di prolificità, vitalità, longevità e resistenza alle malattie, alle carenze di resa in latte e dell’indice di accrescimento, ma il pregio forse maggiore della razza è rappresentato dallo spiccato istinto materno, tanto che si è saputa meritare l’appellativo di “balia per eccellenza”: infatti, accetta di allattare con facilità qualsiasi vitello e riesce a nutrirne, oltre al suo, altri due. Originariamente la Mucca Pisana era a triplice attitudine e tale definizione le è stata attribuita fino agli anni ’50 (Bonadonna, 1951; Trimarchi, 1956). Attualmente, caduta la necessità dell’attitudine al lavoro per le mutate condizioni dell’agricoltura, ci si propone di utilizzarla soprattutto per la produzione della carne che, come sopra ricordato, può ora giovarsi di un marchio di qualità. Per quello che concerne le performance di allevamento, i vitelloni di razza Mucca Pisana, fanno registrare Incrementi Medi Giornalieri (IMG) prossimi a kg 1, se alimentati con razione di tipo “tradizionale”, ma che possono raggiungere kg 1,2 se sottoposti a regime alimentare di più elevato valore nutritivo (0,83 UFC/kg SS). Gli Indici di Conversione degli Alimenti (ICA) peggiorano notevol- Il germoplasma della Toscana 260 Bibliografia BONADONNA T., (1951) - Zootecnica speciale, Vol. III,Seconda ed.; Istituto editoriale Cisalpino, Varese. CIAMPOLINI R., CIANCI D., (1990) - Mucca Pisana una razza da salvaguardare. Inf. Zoot. 23, 56. LUCIFERO M., (1989) - La zootecnia all’esposizione Agraria Toscana del 1857 e le razze dell’album Semplicini. Terra e allevamento, 29-65; Alinari, Firenze. SECCHIARI P., PISTOIA A., FERRUZZI G., SERRA A., (1996) - Aspetti della produzione della carne con vitelloni di razza Mucca Pisana – Provincia di Pisa. TRIMARCHI G., (1956) - Panorama agricolo-zootecnico regionale. La regione 3 (8-9); 38-40. 261 VI. Germoplasma toscano di interesse zootecnico L’allevamento di vitelloni di razza Mucca Pisana per la produzione della carne: accrescimento e caratteristiche alla macellazione P. Secchiari, A. Pistoia, M. Mele, G. Ferruzzi C.I.R.A.A. “E. Avanzi”, D.A.G.A., Settore Scienze zootecniche A. Serra - D.A.G.A., Settore Scienze zootecniche Scopo della prova La ricerca è stata condotta allo scopo di approfondire le conoscenze sull’accrescimento dei vitelloni maschi di razza Mucca Pisana e di studiare la loro evoluzione corporea; si è inoltre voluto verificare l’effetto dell’età sulle caratteristiche alla macellazione. Materiali e metodi Per la prova sono stati utilizzati 16 vitelli maschi svezzati (6 mesi di età) di razza Mucca Pisana, suddivisi in 4 gruppi omogenei corrispondenti a 4 diverse età di macellazione: 14, 16, 18 e 20 mesi e alimentati con la medesima razione di tipo unifeed costituita da insilato di mais, fieno polifita, paglia e MCI in ragione di kg 1,5/q Peso Vivo (PV) e caratterizzata dal Valore Nutritivo (VN) di 7,9 UFC/kg SS. • Rilievi in vita. Mensilmente sono stati rilevati i PV individuali ed i consumi alimentari di gruppo; sulla base di questi controlli sono stati calcolati gli Incrementi Medi Giornalieri (IMG) e gli Indici di Conversione degli Alimenti (ICA). Con la stessa periodicità, su tutti i soggetti, sono state inoltre effettuate le seguenti misurazioni somatiche: altezza al garrese, circonferenza toracica, altezza del torace, lunghezza del tronco, circonferenza stinco anteriore destro. I dati relativi ai pesi vivi hanno permesso di definire la curva di accrescimento dei vitelli maschi di razza Mucca Pisana da 6 a 20 mesi di età utilizzando una regressione semilogaritmica (Bettini, 1988), del tipo: y = a + b x + c lnx dove y = PV al tempo x; x = età in giorni. Vitellone di razza Mucca Pisana Si sono inoltre messi in relazione i PV e l’altezza al garrese con i sopra citati rilievi morfometrici, mediante la funzione allometrica y = axb, dove y = misura allometrica, x = variabile di riferimento (peso vivo o altezza al garrese), b = coefficiente allometrico, previa trasformazione logaritmica dei dati originali. • Rilievi alla macellazione. Immediatamente dopo la macellazione sono stati pesati i componenti del “quinto quarto”: la testa (separata a livello dell’articolazione occipito-atlantoidea e spellata); le estremità distali degli arti (stinchi anteriori e posteriori destri, recisi rispettivamente a livello delle articolazioni carpo-metacarpica e tarso-metatarsica); la pelle (compresa quella della testa) dopo sommaria sgocciolatura dell’acqua di lavaggio; la “corata”, comprendente il fegato, la milza, il cuore, la trachea ed i polmoni; l’apparato digerente, limitatamente a stomaci ed intestini pesati pieni e vuoti e, per differenza, il contenuto gastrointestinale. Quindi, sono state calcolate la resa lorda e la resa netta di ciascun soggetto macellato. Il germoplasma della Toscana 262 Graf. 1 - Andamento del peso vivo rispetto all’età Tab. 1 - Coefficienti allometrici rispetto al peso vivo e all’aaltezza al garrese Peso vivo Altezza al garrese Lunghezza del tronco Altezza del torace Circonferenza del torace Circonferenza stinco ant. Altezza al garrese Medie stimate ES Medie stimate ES 0,209 0,288 0,335 0,362 0,296 0,011 0,014 0,025 0,012 0,018 — 1,151 1,378 1,430 1,239 — 0,081 0,116 0,089 0,086 Tab. 2 - Rese alla macellazione ed incidenza percentuale dei componenti il “quinto quarto” sul peso vivo netto Resa netta (%) Testa spellata Pelle Estremità distali degli arti “Corata” Apparato gastrointestinale 14 mesi 16 mesi 18 mesi 20 mesi 62,14 4,25 9,45 2,91a 3,00 9,78 62,31 4,19 8,75 2,90a 3,15 8,88 64,82 3,74 9,41 2,37b 3,36 7,35 62,13 3,85 8,78 2,30b 3,03 7,88 Lettere diverse sulla stessa riga p < 0.05 Risultati I vitelloni hanno fatto registrare, nel periodo svezzamento-macellazione, un IMG prossimo a kg 1, in linea con i risultati ottenuti in una precedente prova (Secchiari et al., 1996) in soggetti alimentati con razioni di VN prossimo a quello adottato in questa prova. Inoltre, anche questa volta, tale parametro è risultato più elevato nelle fasi iniziali dell’allevamento (kg/d 1,1) durante le quali si sono ottenuti i migliori Indici di Conversione degli Alimenti (fino ad un anno di età dei soggetti si sono mantenuti al di sotto delle 5,5 UFC/kg di incremento di PV). Nelle fasi successive dell’allevamento si è registrato un progressivo peggioramento degli ICA come dimostrano i valori ottenuti alle diverse età di riferimento (14, 16, 18 e 20 mesi) pari rispettivamente a 6,44; 7,29; 8,14; 8,99 UFC/kg di incremento PV. I coefficienti allometrici relativi alle varie misure corporee rispetto al peso vivo sono risultati inferiori 263 all’unità, come del resto è lecito attendersi quando si confrontano misure lineari con misure tridimensionali (Tab. 1). In tal caso l’isoauxesi, ovverosia la proporzionalità diretta tra il ritmo con il quale le diverse regioni del corpo si sviluppano e l’aumento del peso vivo, è pari a 0,333. Pertanto, rispetto ai coefficienti stimati, soltanto l’altezza al torace è risultata in isoauxesi, mentre altezza al garrese, lunghezza del tronco e circonferenza dello stinco anteriore sono apparse in bradiauxesi e la circonferenza del torace in tachiauxesi (cioè, nel primo caso, lo sviluppo è stato meno che proporzionale rispetto all’aumento del peso vivo e, nel secondo, più che proporzionale) (Tab. 1). L’età di macellazione non ha influito sulla resa netta di macellazione che è risultata in ogni caso inferiore al 65%, cioè sui livelli tipici delle razze da carne italiane (Tab. 2). L’incidenza percentuale dell’apparato scheletrico sul peso vivo netto sembra diminuire con l’avanzare dell’età di macellazione, come si rileva dai valori significativamente più elevati relativi alle estremità distali degli arti nei vitelli macellati più precocemen- te (p < 0,05). Il fenomeno si nota anche per i dati relativi all’incidenza percentuale della testa, anche se a livelli di significatività più bassi (p<0,39) (Tab. 2). In conclusione, questi dati confermano sostanzialmente le osservazioni precedenti; la parte più corposa dei risultati della prova, in corso di elaborazione, riguarda però gli aspetti qualitativi della carne e ci permetterà di aggiungere nuove acquisizioni sulle caratteristiche della razza Mucca Pisana. Bibliografia BETTINI T.M. (1988) - Elementi di scienza delle produzioni animali – 285; Edagricole Bologna SECCHIARI P., PISTOIA A., FERRUZZI G., SERRA A. (1996) - Aspetti della produzione della carne con vitelloni di razza Mucca Pisana. Provincia di Pisa. Ricerca condotta nell’ambito del “Progetto valorizzazione del materiale genetico bovino toscano della produzione di carne”. Finanziamento ARSIA. 265 VI. Germoplasma toscano di interesse zootecnico Caratteristiche morfo-funzionali della razza bovina Pontremolese P. Secchiari, M. Mele, G. Ferruzzi, A. Pistoia C.I.R.A.A. “E. Avanzi”, D.A.G.A., Settore Scienze zootecniche A. Serra - D.A.G.A., Settore Scienze zootecniche Cenni storici e diffusione originaria La razza è originaria della montagna appenninica e preappenninica e delle valli della Magra e del Vara, situate nelle provincie di Massa Carrara e La Spezia dove, nel 1940, raggiungeva una consistenza di 15.000 capi. La sua area di allevamento, tuttavia, si estendeva anche alle zone montagnose del Piacentino e nell’Oltrepò pavese (Varzi). Infatti, i bovini chiamati nell’Oltrepò bettolesi o pontremolesi erano in realtà della stessa razza, non solo per i caratteri morfologici comuni, ma anche perché la differenza di denominazione era soprattutto locale, essendovi l’uso di intendere per bettolesi i buoi e per pontremolesi i giovani animali (Bonadonna, 1951). Questa razza, in passato, veniva principalmente utilizzata proprio per la produzione di buoi che erano richiesti sul mercato da aziende agricole liguri e lombarde, ma soprattutto da quelle locali per il trasporto dei marmi dalle Apuane al mare (Ciampolini, 1993). In seguito, l’evolversi della meccanizzazione, che portò ad una diminuzione della richiesta di buoi da lavoro e la scarsa attitudine della razza Pontremolese alla produzione di latte e di carne, hanno influito negativamente sul suo sviluppo, inducendo gli allevatori ad operare incroci di sostituzione con la razza Bruna Alpina (Bonadonna, 1951). Pontremolese Diffusione attuale e consistenza Attualmente nessun soggetto di razza Pontremolese è allevato nelle provincie di origine, infatti i 50 capi (22 vacche, 11 manze, 15 vitelli e 2 tori) che compongono la popolazione sono concentrati in sole tre aziende nel comprensorio della Garfagnana (fonte: APA Pisa, Lucca e Livorno). Diffusione e consistenza della razza Pontremolese Il germoplasma della Toscana 266 Pontremolese Caratteristiche morfologiche Mantello: di colore rosso (fromentino carico) con striscia chiara lungo la linea dorso lombare, occhiaie nere. Testa: nei maschi relativamente leggera, profilo rettilineo frontale breve, quadrata, leggermente depressa fra le arcate orbitali, nelle femmine si presenta più leggera e un po’ più corta. Lombi: brevi, larghi, robusti e ben attaccati alla groppa Groppa: spiovente, stretta posteriormente e con spina sopraelevata costituisce uno dei difetti salienti della razza. Coscia: poco muscolosa Peso: nei maschi 550-600 kg, nelle femmine 400450 kg Altezza al garrese: nei maschi 128-135 cm, nelle femmine 120-128 cm. Allevamento ed attitudine produttiva Razza molto rustica in grado di utilizzare pascoli degradati, aree boschive e cespugliose, caratteristica che le consente di superare, senza particolari problemi, i periodi siccitosi estivi. Pontremolesi a stabulazione fissa La Pontremolese si caratterizza anche per una buona efficienza riproduttiva; essa, infatti, partorisce un vitello all’anno, prevalentemente nel periodo primaverile, che viene solitamente macellato all’età di 18 mesi (Ciampolini, 1993). Malgrado in passato venisse utilizzata sia per la produzione di carne che per quella di latte (media pluripare stimata in 2100 kg per lattazione), attualmente potrebbe essere perseguibile solo l’allevamento per la produzione di carne, soprattutto nelle forme brado o semibrado per l’utilizzo delle risorse foraggere delle zone montane più impervie (Bonadonna, 1951). Bibliografia BONADONNA T. (1951) - Zootecnia speciale, Vol. III, Seconda ed., Istituto editoriale Cisalpino, Varese. CIAMPOLINI R. (1993) - Le popolazioni animali autoctone delle Toscana. APA, Pisa. 267 VI. Germoplasma toscano di interesse zootecnico Stima della variabilità genetica nella razza Mucca Pisana M. Carmen Pérez Torrecillas Dottorato in Agrobiotecnologie per le Produzioni Tropicali Dipartimento di Scienze zootecniche, Università degli Studi di Firenze Obiettivo L’obiettivo del presente studio è ottenere una stima della variabilità genetica presente nella razza Mucca Pisana, analizzando campioni rappresentativi della popolazione iscritta al Registro Anagrafico delle popolazioni autoctone e gruppi etnici a limitata diffusione mediante l’uso di marcatori molecolari (AFLP). La stima di questa variabilità risulta di interesse nei programmi di miglioramento della razza, perché permette di: • adottare schemi di accoppiamento avendo ben presente la situazione genetica del patrimonio animale nel suo complesso, • l’acquisire un quadro genetico specifico di ogni capo oggetto della prova, utile ai fini della scelta dei singoli soggetti da utilizzare per la riproduzione. La consistenza numerica della razza Mucca Pisana, al 12 dicembre del 1998, era di 244 animali (107 vacche, 90 manze, 42 vitelli e 10 tori in FA), distribuiti in 19 allevamenti. • Identificazione delle aziende e raccolta dei campioni. Su un gruppo di 40 soggetti, prescelti in base al calcolo delle relazioni di parentela tra tutti gli individui, si effettueranno prelievi di materiale ematico, come materiale di partenza per l’estrazione del DNA. Inoltre è previsto l’impiego di materiale seminale disponibile presso il CIZ-San Miniato per l’estrazio- Evoluzione della consistenza numerica della razza Mucca Pisana nel periodo 1978-1998 Evoluzione del Ne della popolazione di Mucca Pisana nel periodo 1984-1998 Programma di lavoro Il germoplasma della Toscana 268 ne del DNA dei 10 maschi che vengono utilizzati nel programma di FA. L’obiettivo è quello di arrivare a un gruppo di 50 animali, che rappresenta un 20,5% della popolazione totale. • Ottenimento di una stima della variabilità attua- le mediante l’uso di marcatori molecolari AFLP. • Si procederà, se possibile, alla determinazione della distanza genetica tra la popolazione di Mucca Pisana e popolazione delle razze Chianina e Bruno Alpina dalle quali deriva. 269 VI. Germoplasma toscano di interesse zootecnico Caratterizzazione genetica e produttiva della razza bovina Calvana e distanza genetica con la razza bovina Chianina M. Moretti - Dottorato in Agrobiotecnologie per le Produzioni Tropicali Dipartimento di Scienze zootecniche, Università degli Studi di Firenze Obiettivo Fornire un contributo alla conoscenza della razza bovina Calvana, apprezzata razza autoctona toscana a duplice attitudine (carne e lavoro), originaria dei Monti della Calvana (Province di Prato e Firenze). La caratterizzazione genetica sarà effettuata analizzando campioni rappresentativi della popolazione iscritta al Registro Anagrafico delle popolazioni autoctone e gruppi etnici a limitata diffusione mediante l’uso di marcatori molecolari (AFLP). I risultati ottenibili da questa ricerca sono interessanti perché: • possono permettere, da un lato, la stesura di un piano di accoppiamenti razionale che miri innanzitutto alla conservazione del germoplasma di questa razza, che è attualmente minacciata di estinzione riducendo i rischi di consanguineità; • possono contribuire ad una riscoperta e ad una valorizzazione produttiva della razza; • con lo studio della distanza genetica della Calvana dalla razza Chianina, da cui indubbiamente discende, possono servire inoltre a chiarire se la Calvana può essere definita razza, come la maggioranza degli autori sostiene, oppure se debba essere ancora considerata una sottorazza, ecotipo o varietà della Chianina. Programma di lavoro • Identificazione delle aziende, degli animali appartenenti a questa razza, raccolta dei campioni ematici e misurazioni somatiche. — La raccolta di materiale ematico si farà su un numero ampio di soggetti, che probabilmente comprenderà gran parte della popolazione, considerato che la numerosità attuale stimata è di soltanto 180 animali totali e i dati sulle relazioni di parentela sono frammentari. — Gli animali verranno misurati in vivo e pesati alle età tipiche. • Analisi dei campioni. Dai campioni ematici, si estrarrà il DNA. • Ottenimento di una stima della variabilità attuale e della distanza genetica con la razza Chianina mediante l’uso di marcatori molecolari AFLP. • Caratterizzazione fenotipica della razza. Motivi della ricerca La Calvana dispone di interessanti doti di rusticità, frugalità, resistenza alle avversità, risultato dell’adattamento alle condizioni abbastanza difficili del suo habitat e al modo di allevamento, e sembra fornire produzioni di carne pregevoli. Pertanto potrebbe essere considerata interessante sia per l’allevamento in purezza destinato a produzioni tipiche di nicchia nella zona di origine in zone dove è ampiamente usato il pascolamento brado, sia come razza incrociante soprattutto in paesi in via di sviluppo, su razze autoctone scarsamente produttive. Inoltre non deve essere dimenticata la sua potenziale utilità come ’motore animale’, data la sua grande forza e resistenza, per situazioni di agricoltura mista (sistemi agrozootecnici) in paesi emergenti. 271 VI. Germoplasma toscano di interesse zootecnico Caratteristiche produttive di vitelli di razza Maremmana C. Sargentini, A. Giorgetti, A. Martini, R. Bozzi, D. Rondina Dipartimento di Scienze zootecniche, Università degli Studi di Firenze La razza bovina Maremmana è tradizionalmente usata per la produzione di vitelli da ristallo facendo largo ricorso all’incrocio con razze da carne. Annoverata tra le razze a limitata diffusione (Reg. CE 2078/92), a causa principalmente dei meticciamenti non controllati, si è ritenuto opportuno indagare sulle potenzialità produttive della razza in purezza. Materiali e metodi Per caratterizzare e valorizzare le produzioni di vitelli maremmani puri sono state condotte, presso l’allevamento biologico (L.R.T. n. 54 del 12 aprile 1995) Il Filetto (GR), due prove sperimentali: Prova A: riguardante le performance di 24 soggetti macellati a 12 e 18 mesi di età; Prova B: riguardante le modalità di accrescimento e le caratteristiche produttive di 19 vitelli, nell’intervallo compreso tra i 12 ed i 20 mesi. Fig. 1 – Andamento del peso vivo Risultati In ambedue le prove l’accrescimento ponderale degli animali, si è dimostrato continuo e crescente, in accordo con la dinamica di sviluppo tipica della specie bovina. Gli incrementi medi giornalieri sono risultati molto variabili, ma, nel complesso più che soddisfacenti (Figg. 1-2). La resa netta alla macellazione, che, nella prova A, ha presentato valori mediamente superiori al 58%, ha evidenziato nella prova B, una netta tendenza ad aumentare in funzione dell’età; crescono anche i punteggi di conformazione e di adiposità, ad indicare carcasse più mature. Diminuisce tuttavia l’incidenza del coscio, regione dalla quale provengono i tagli più pregiati (Fig. 3). Le caratteristiche fisiche indicano (prova A) carni tenere, e con buona capacità di ritenzione idrica. Questo andamento è stato riscontrato sostanzialmente anche nella prova B: solo il M. semimembranosus tende a ridurre significativamente le perdite di cottura al crescere dell’età. Il germoplasma della Toscana 272 Fig. 2 – Andamento dell’incremento medio giornaliero Fig. 3 – Rese e valutazione commerciale delle carcasse Tab. 1 – Composizione acidica delle carni a 12 e 18 mesi Acidi grassi (%) Saturi Monoinsaturi ω-6 Polinsaturi ω-3 Polinsaturi C14+C16 MUFA/SFA PUFA/SFA Età 12 mesi Età 18 mesi DSR 39,76 28,77 b 26,57 4,89 a 20,97 72,42 b 81,68 40,41 33,14 a 22,98 3,46 b 22,55 82,23 a 66,87 2,42 2,81 3,90 0,90 1,75 5,72 17,47 a, b: medie entro la riga con lettere differenti differiscono per (P<0,05). La composizione acidica delle carni risulta invece differente tra i 2 gruppi della prova A: le carni dei soggetti macellati a 12 mesi sono risultate più ricche di acidi grassi polinsaturi, in modo particolare della serie ω-3, a cui viene riconosciuto un effetto ipocolesterolemizzante. Conclusioni I vitelli Maremmani puri offrono, dal punto di vista quantitativo, produzioni in linea con quelle delle razze rustiche. Dal punto di vista qualitativo, le carni risultano ottime sia per le caratteristiche fisiche che per quelle dietetiche, sotto il cui aspetto è da considerare assai favorevolmente l’elevata incidenza di polinsaturi della serie ω-3 ed ω-6. 273 VI. Germoplasma toscano di interesse zootecnico Studio della razza bovina Maremmana mediante marcatori molecolari AFLP™ R. Bozzi - Dipartimento di Scienze zootecniche, Università degli Studi di Firenze P. Ajmone-Marsan, R. Negrini - Istituto di Zootecnia, Università Cattolica del Sacro Cuore, Piacenza La razza Maremmana ha una consistenza di circa 5.000 soggetti al Libro Genealogico, distribuiti nella Maremma toscana e laziale. La razza ha subito dal dopoguerra ad oggi una forte contrazione numerica ed è pertanto sostenuta dal Reg. CE 2078/92. Il progetto ARSIA prevede uno studio approfondito volto alla conservazione, caratterizzazione e valorizzazione della razza. Le strategie di conservazione sono strettamente connesse ad una stima della variabilità genetica presente nella razza. A tal fine viene utilizzata la tecnologia AFLP (Amplified Fragment Length Polimorphism): valido strumento per lo studio del genoma animale. Materiali e metodi È stato analizzato il DNA di 159 Maremmani puri campionati in due allevamenti toscani (Alberese e Massa Marittima) ed uno laziale (Castelporziano). L’analisi con AFLP ha utilizzato 4 combinazioni di primers EcoRI/TaqI. Variabili analizzate: eterozigosi attesa (Het), indici Ai e Gst, similarità genetica (GS) tra tutte le possibili coppie di individui. Analisi PCOOA utilizzata per verificare la presenza di sottogruppi genetici. Alberese 55 Massa Marittima Castelporziano Fig. 1 - Similarità genetiche tra allevamenti Il germoplasma della Toscana 274 Tab. 1 - Valori di eterozigosi media Allevamenti Castelporziano Alberese Massa Marittima Totale Eterozigosi media Errore Standard 0,237 0,284 0,242 0,262 0,0187 0,0183 0,0183 0,0183 Fig. 2 - Analisi PCOOA basata sui valori GS Risultati Identificati 111 marcatori polimorfici e 316 bande totali, con una media di 27075 marcatori per combinazione di primer ed un indice di efficienza (Ai) di 39,38. Eterozigosi attesa di 0,262 in accordo con valori ritrovati in razze più diffuse come Frisona e Bruna. Valori di similarità genetica compresi tra 0,58 e 0,96 (media 0,76). Differenze tra allevamenti non significative. Indice Gst di 0,05 (il 95% della variabilità AFLP è entro allevamento) (Fig. 1). L’analisi PCOOA, basata sui dati di GS, non ha evidenziato la presenza di sottogruppi genetici (Fig. 2). Conclusioni Esiste un livello sufficiente di variabilità genetica ed è ancora possibile intervenire efficacemente per conservare e migliorare la razza. Non si sono evidenziate differenze a livello genetico tra le popolazioni del Lazio e quelle della Toscana. 275 VI. Germoplasma toscano di interesse zootecnico La Cinta Senese, razza suina da salvare 1. Parametri genetici O. Franci, G. Campodoni, R. Bozzi, A. Acciaioli, C. Pugliese Dipartimento di Scienze zootecniche, Università degli Studi di Firenze G. Gandini - Istituto di Zootecnica, Facoltà di Medicina Veterinaria, Università di Milano L’introduzione di genotipi migliorati ha contribuito alla notevole contrazione numerica della Cinta Senese con conseguente perdita di variabilità genetica ed aumento della consanguineità, già elevata nella popolazione di partenza. Analisi storica e attuale della razza Cinta Senese Sono stati presi in esame dal libro genealogico storico della razza le genealogie e i caratteri riproduttivi degli animali iscritti dal 1936 al 1966 e quelle dei soggetti registrati dopo la ripresa dei controlli a partire dal 1976 fino al 1995. Come fattori influenti sono stati considerati: 1) l’allevamento; 2) l’anno; 3) la stagione di parto; 4) l’ordine di parto. Effetto significativo dell’allevamento su tutti i parametri considerati; • interparto più breve per le scrofe partorite in autunno-inverno; • le scrofe di primo parto hanno prodotto un numero inferiore (7,8) di suinetti rispetto a quello dei 6 parti successivi (8,5); • il peso dei suinetti a 30 e 60 giorni di età è cre- sciuto dal 1936 al 1966; • la consanguineità ha influito negativamente sul peso della nidiata e su quello medio individuale alla nascita, con valori rispettivamente di -17,3 g e -1,8 g per punto percentuale di incremento di inbreeding; • l’incremento medio di consanguineità annuo in entrambi i periodi analizzati è stato di 0,012. Strategia di gestione dei riproduttori Attualmente la consanguineità media di popolazione presenta un valore molto elevato di 0,172, soprattutto se si considera che è stato raggiunto nell’arco di 4-5 generazioni. L’elevata consanguineità è il risultato dell’utilizzo di un bassissimo numero di riproduttori negli anni Ottanta e di un impiego fortemente disomogeneo delle linee genetiche nella fase di espansione dell’ultimo quinquennio. Risulta quindi estremamente urgente avviare un adeguato piano di gestione Programma di gestione genetica È stato sviluppato un piano di gestione genetica della razza imperniato sui tre seguenti criteri: 1. Individuazione del numero minimo di allevamenti e riproduttori che partecipano attivamente al programma di gestione per contenere la consanguineità; 2. Scelta dei verri e delle scrofe in base al criterio di minimizzare la parentela tra riproduttori; 3. Assegnazione dei verri agli allevamenti e pianificazione degli accoppiamenti. Simulazione del programma di gestione Sulla base di simulazione, l’applicazione dei tre principi di gestione condurrebbe ai seguenti risultati Il germoplasma della Toscana 276 1. Tra gli allevamenti attivi al marzo 1999, diciannove hanno 2 o più scrofe. Ipotizzando 25 verri per queste aziende, che in totale allevano 134 scrofe, otteniamo un numero effettivo di popolazione di 84 corrispondente ad un incremento di consanguineità attesa per generazione sufficientemente basso (0,6%). 2. In tabella sono riportati i valori di parentela tra verri, tra scrofe e tra verri e scrofe prima e dopo la scelta dei riproduttori. La consanguineità media della progenie, grazie alla scelta dei riproduttori in base ai principi sopra esposti, si dimezza scendendo da 11,5% a 6%. Tutto ciò assumendo accoppiamento casuale. 3. Con la pianificazione degli accoppiamenti in alternativa all’accoppiamento casuale, con appropriata assegnazione dei verri agli allevamen- prima della scelta dopo la scelta ti, la parentela di accoppiamento scende dal valore precedente del 12% a circa il 7% e conseguentemente la consanguineità della nuova progenie si ridurrebbe al 3,5%. Parentela tra maschi Parentela tra femmine Parentela tra maschi e femmine Coeff. di consanguineità dei figli 25% 22% 19% 19% 23% 12% 11,5% 6% 277 VI. Germoplasma toscano di interesse zootecnico La Cinta Senese, razza suina da salvare 2. Caratteristiche chimico-fisiche della carne C. Pugliese, R. Bozzi, A. Acciaioli, G. Campodoni, O. Franci Dipartimento di Scienze zootecniche, Università degli Studi di Firenze Il recupero e la valorizzazione della razza Cinta Senese trovano giustificazione nell’ambito della salvaguardia della biodiversità, ma importanza fondamentale, al fine di garantire nel futuro il mantenimento della razza, assume la tipizzazione dei prodotti che la razza stessa può fornire. A tale scopo, in seno ad una più ampia sperimentazione condotta per testare le capacità produttive della Cinta senese, sono state confrontate le caratteristiche chimiche e fisiche della carne da consumo fresco di suini Cinta Senese e Large White. Quarantuno soggetti di razza Cinta Senese (CS) e Large White (LW) sono stati allevati con sistema intensivo impiegando usuali miscele commerciali. Maschi e femmine sono stati castrati. I soggetti sono stati macellati al raggiungimento del peso idoneo per il maiale medio-pesante, 136 kg per CS e 154 per LW. Su campioni di muscolo della lombata (Longissimus Lomborum) sono state effettuate le seguenti determinazioni: • colore (determinato anche sul grasso dorsale); • pH; • composizione chimica; • perdite idriche; • sforzo al taglio. Rispetto ai Large White i suini Cinta Senese hanno fornito: • grasso meno traslucido, più opaco e meno giallo carne - più rossa - a pH 24 ore più elevato - più ricca di grasso - meno umida - con minori perdite idriche - più tenera dopo cottura Cinta Senese pH a 24 ore Sul tal quale • Acqua % • Proteina % • Grasso % • Ceneri % Large White 5,78 5,51 73,23 22,80 3,19 1,08 74,27 23,91 0,88 1,13 Il germoplasma della Toscana 278 Cinta Senese Large White Colore grasso • L* (luminosità) • a* (indice del rosso) • b* (indice del giallo) 60,32 6,17 5,03 65,43 5,44 5,58 Colore magro • L* (luminosità) • a* (indice del rosso) • b* (indice del giallo) 49,67 11,40 4,62 51,28 9,1 4,44 Perdite idriche • bagnomaria % • forno % • acqua libera cm2 26,05 31,07 99,7 33,25 33,65 117,5 9,8 9,63 8,06 12,23 Sforzo al taglio kg • carne cruda • carne cotta 279 VI. Germoplasma toscano di interesse zootecnico Laboratorio “Renzo Giuliani” per lo studio e la valorizzazione del germoplasma animale autoctono D. Rondina, A. Mafucci, A. Giorgetti, M. Lucifero Laboratorio “Renzo Giuliani”*, Dipartimento di Scienze zootecniche, Università degli Studi di Firenze Scopo del Laboratorio La conservazione genetica • Istituzione di un archivio di materiale genetico crioconservato (seme, embrioni, oociti, follicoli a diverso stadio maturativo o porzioni di tessuto ovarico), provenienti da germoplasma animale autoctono. • Conservazione di materiale genetico proveniente da razze o specie a rischio o in via di estinzione. La valorizzazione delle razze autoctone • Studio dei fattori che controllano le performance riproduttive. • Caratterizzazione delle razze autoctone e ottimizzazione quantitativa e qualitativa delle loro produzioni. • Promozioni di marchi di qualità per i prodotti. • Studio delle capacità di adattamento in diverse condizioni climatico-ambientali. Aree di lavoro del Laboratorio • Studi di cinetica follicolare mediante microscopia ottica e elettronica, coadiuvati dall’analisi d’immagine. • Studi sull’isolamento, crioconservazione e maturazione “in vitro” di follicoli a stadio di preantro allo scopo di costituirne parte dell’archivio. • Maturazione (MIV) e fecondazione (FIV) “in vitro”, al fine di produrre embrioni crioconservabili utilizzabili nella costituzione di serbatoi genetici. • Impiego di materiale crioconservato nei piani di miglioramento genetico delle razze autoctone italiane sia in Italia che all’estero. • Studi per l’ottimizzazione qualitativa delle produzioni delle razze autoctone in Italia e all’estero. Obiettivo a medio termine del Laboratorio è la creazione di una banca del germoplasma di razze domestiche e selvatiche autoctone toscane di interesse zootecnico. A tal fine si è avviato uno specifico e parallelo programma di ricerca con lo scopo di ottenere su queste razze il maggior numero di informazioni. Il programma è stato suddiviso in più fasi, una prima fase prevede una serie di studi di follicologenesi ovarica “in situ” e la costruzione di modelli specifici di cinetica follicolare del germoplasma toscano. Le informazioni che si avranno inoltre, consentiranno la messa a punto di biotecniche di isolamento, conservazione e di coltura follicolare “in vitro”, corpo centrale delle successive fasi del programma di ricerca. Follicologenesi “in situ” Le attività di ricerca si svolgono in collaborazione con il Dipartimento di Biologia Animale e Genetica dell’Università di Firenze e hanno interessato inizialmente la razza bovina Chianina e la razza ovina Massese, sulle quali sono già disponibili i primi dati. Parallelamente il recupero del materiale ovarico sta interessando popolazioni caprine, bovini di razza Maremmana, Calvana e specie ad interesse faunistico (caprioli, daini e cervi), sempre di origine autoctona. * Il Laboratorio “Renzo Giuliani” è nato grazie ad una donazione dell’Ente Cassa di Risparmio di Firenze ed ha sede presso l’Azienda Agraria Montepaldi di proprietà dell’Università di Firenze, Via di Montepaldi, 16 - 50026 San Casciano in Val di Pesa - Firenze (Italy) Tel. e Fax + 39 055 820066 E-mail: [email protected] Il germoplasma della Toscana 280 Stima della popolazione follicolare in soggetti prepuberi di razza ovina Massese Crescita follicolare: sviluppo della granulosa e dell’antro nella razza ovina Massese Cluster di follicoli primordiali in manze di razza Chianina Espansione del cumulo in follicolo preovulatorio di vacca di razza Chianina 281 Follicolo primario poliovulare in capra adulta SRD brasiliana Isolamento meccanico di follicoli preantrali mediante Tissue chopper: Figueiredo et al., (1995) Il termine di questa fase di ricerca è previsto nella primavera dell’anno 2000, quando saranno presumibilmente disponibili i primi dati completi sulle principali razze autoctone toscane. Nutrizione e follicologenesi Sono inoltre in progresso, su ovini e caprini, studi specifici sugli effetti della nutrizione nelle fasi precoci della follicologenesi e sull’influenza nutrizionale della madre sullo sviluppo qualitativo e quantitativo della popolazione follicolare ovarica del feto. Isolamento e crioconservazione Il laboratorio si è inoltre gemellato con il corrispondente dell’Università Statale del Cearà - Brasile, diretto dal prof. J.R. de Figueiredo, allo scopo di condurre studi specifici di isolamento, crioconservazione e maturazione “in vitro”, di follicoli allo stadio di preantro provenienti da razze autoctone brasiliane e toscane. Isolamento meccanico di follicoli preantrali mediante Tissue chopper: Figueiredo et al., (1995) 283 VII. Ricerca, conservazione e valorizzazione del germoplasma locale: altre esperienze I genotipi autoctoni Amministrazione Provinciale di Grosseto La Provincia di Grosseto ha inserito dal 1998 nei suoi progetti la salvaguardia del Germoplasma delle specie animali e vegetali più tipiche del territorio. Un primo intervento è sato realizzato in convenzione con l'Istituto sulla Propagazione delle Specie Legnose del CNR. Si tratta di un programma di attività che prevede la conservazione e la caratterizzazione del germoplasma autoctono dell'olivo. Una mappatura realizzata su tutto il territorio permetterà la definizione di un percorso di tutela e recupero di quanto è rimasto del germoplasma autoctono del territorio grossetano. Il materiale vegetale sarà collocato in campi per la consevazione e utilizzato per avviare una serie di osservazioni per la valorizzazione. I Genotipi autoctoni della provincia di Grosseto Olivo Vite ansonica Vacca e cavallo maremmano Asino “Miccio” amiatino Riso Carciofo Melone Fagiolo Grano Erba medica Piante officinali Macchia mediterranea. 285 VII. Ricerca, conservazione e valorizzazione del germoplasma locale: altre esperienze Ricerca e conservazione di germoplasma fruttifero di melo, pero e mandorlo in Abruzzo I. Dalla Ragione - Agronomo, Associazione Archeologia Arborea, Città di Castello (PG) D. Silveri - ARSSA, Agenzia Regionale Servizi di Sviluppo Agricolo d’Abruzzo, Avezzano (AQ) 1. Introduzione L’Agenzia Regionale Servizi di Sviluppo agricolo d’Abruzzo (ARSSA), con il Programma Attuativo Misura 3.2 POM (Programma operativo monofondo) sottoprogramma 3, ha dato inizio nel 1998, in collaborazione con l’Istituto di Miglioramento Vegetale Università di Perugia, il CERMIS e Agronomi liberi professionisti, al programma di ricerca, conservazione e valutazione delle risorse agrarie della regione. Nell’ambito frutticolo sono state scelte tre specie (pero, melo e mandorlo) che sono risultate ad una prima osservazione le più significative dal punto di vista economico, paesaggistico e storico. La regione presenta vaste aree di alta collina e montagna coltivate con una agricoltura di sussistenza o in abbandono da diversi decenni. La presenza di fruttiferi di diverse specie però segna ancora decisamente il territorio anche se dal punto di vista economico, solo il melo tra le specie scelte, ha ancora una certa importanza (Fig. 1). Fig. 1 - Varietà locali di mele 2. Materiali e metodi La ricerca è iniziata incontrando tecnici delle organizzazioni agricole, provenienti da diverse zone, alcuni dei quali erano interessati a collaborare concretamente alla realizzazione del progetto, mentre altri hanno dato la loro disponibilità a fornire informazioni e dati dei territori di loro conoscenza. Si sono quindi potute individuare alcune aree prioritarie di ricerca, per le tre specie scelte da questo progetto: l’area di Capestrano e Navelli in provincia dell’Aquila per il mandorlo, l’area di Ortona dei Marsi e della Marsica sempre in provincia dell’Aquila per il melo, l’area a Nord di Teramo e l’area di Lanciano (CH) per il melo e il pero. La mappa di rilievo che possiamo disegnare, ci sarà utile in futuro per impostare una mappa delle varietà ritrovate che costituirà uno strumento prezioso dal quale potremo verificare, leggendo i dati in essa contenuti, gli spostamenti, gli arrivi, i cambiamenti, la storia delle varietà e in definitiva la storia del territorio e delle attività umane. Abbiamo nel frattempo raccolto ulteriori dati sulla bibliografia storica e su quella scientifica e tecnica attuale. Altre fonti di preziose informazioni per la nostra ricerca sono state al di fuori del settore strettamente agricolo, proloco, anziane cuoche, negozi alimentari, mercati locali, conventi e santuari. Sono stati però soprattutto gli anziani agricoltori, depositari del sapere popolare, che ci hanno fornito informazioni sulla storia delle varietà e le trasformazioni del materiale coltivato. Il materiale ritrovato è stato fotografato e descritto in schede opportunamente create per l’intero progetto dell’ARSSA, costituite utilizzando i descriptor list e altri dati, che verranno utilizzati in futuro dagli stessi tecnici regionali che dovranno proseguire il Il germoplasma della Toscana 286 Fig. 2 - Mela Zitella Fig. 3 - Mela Limoncella Fig. 4 - Mela Gelata Fig. 5 - Mela Rosa Per il mandorlo il campo è a Capestrano (AQ) con due tipi di portinnesti: Franco e GF677. Saranno fatte quattro repliche per varietà, due su Franco e due sul clonale. 3. Risultati e discussione Fig. 6 - Mela Mula programma. Sono state individuate delle aree che per la loro posizione e disponibilità potranno essere utilizzate come campi collezione del materiale trovato. Per il melo il campo è nella zona di Ortona dei Marsi (AQ), e sono stati utilizzati due tipi di portainnesto: Franco e il clonale M25 che ha dimostrato di avere un buon risultato in queste zone. Per il pero il campo è a Vasto (CH), dove stati impiantati due tipi di portinnesti: Franco e clonale OHF DELBARD. In tutte le zone che abbiamo visitato abbiamo trovato grandi potenzialità e molte risorse, anche se spesso i testimoni diretti non ci sono più e diventa sempre più difficile ricostruire la storia e l’utilizzo di determinate piante. Spesso abbiamo infatti trovato esemplari notevoli delle specie coltivate di cui ci occupiamo, ma nessuna traccia della loro coltivazione e quindi del sapere popolare intorno a queste piante. Per quanto riguarda il melo, in molte zone è ancora una specie presente e sono ancora discretamente coltivate le varietà locali quali Renetta, San Giovanni, Bianca o Zitella (Fig. 2), mela Alice o Limoncella (Fig. 3), Gelata (Fig. 4), Pianuccia, Annurca, Rosa (Fig. 5). Altre varietà sono presenti molto più sporadicamente e in zone assai ristrette quali: Cocciona, Della cava, Dolce, Cipolla, Rozza, Mula (Fig. 6), Piana. 287 Fig. 7 - Vecchio esemplare di pero Fig. 8 - Pera Spina Fig. 9 - Pera Francesca Fig. 10 - Vecchio esemplare di mandorlo a Capestrano (AQ) Il pero è ormai rappresentato quasi solo da grandi esemplari sparsi (Fig. 7) e la specie è in netto calo come coltivazione e come consumo. Tra le varietà ancora coltivate: Spina (Fig. 8), Spadoncina, Mazzuta, Della mietitura, Moscarella. Altre varietà sono presenti in pochi esemplari: San Francesco (ecotipo spontaneo) (Fig. 9), Bottiglia, Ficarola, Celana, Brutta e buona, Putierre, Cannella di giugno, Cannella d’agosto, Prosciutto, Ficora o D’inverno, Lattara. Il mandorlo era quasi l’unica specie da frutto coltivata nell’area di Navelli e Capestrano (Fig. 10), nella quale rappresentava spesso la più importante entrata economica per molte famiglie (con il raccolto delle mandorle venivano pagati i debiti di tutto l’anno e venivano preparate le doti per le figlie). La coltura è in totale decadenza ma sono ancora presenti centinaia di piante di notevoli dimensioni che costituiscono un grande patrimonio anche paesaggistico da salvaguardare. Molte delle piante presenti sono riprodotte da seme e quindi la variabilità è notevole. Circa 40 anni fa sono state introdotte tramite innesto molte varietà dalla Puglia perché molto più produttive. Tra le varietà locali più stabili ancora presenti: Mandorlone (da consumo verde) (Fig. 11), Fig. 11 - “Mandorlone” Mandorla pesca, Romparola o Acciaccarola, Piccola rotonda, Mandorla di Capestrano, Morosina, Tenerella, Pugliese, Piatta cornuta, Amara. 4. Conclusioni Allo stato attuale della ricerca possiamo senz’altro affermare che il materiale ritrovato presenta molte caratteristiche interessanti oltre che essere un’importante testimonianza culturale e genetica. Il germoplasma della Toscana 288 In futuro caratterizzando meglio e verificando a fondo le possibilità di queste varietà, queste potrebbero ritrovare un loro ruolo nell’agricoltura locale, tenendo conto della vocazione turistica della regione e della presenza di una notevole parte di territorio protetto dal punto di vista naturalistico. Molte delle varietà sono legate ad una grande tradizione gastronomica locale e potrebbero ritrovare un ruolo proprio nel settore del prodotto tipico. 5. Bibliografia Atti del convegno “Germoplasma frutticolo, salvaguardia e valorizzazione delle risorse genetiche”, Carlo Delfino ed., Sassari 1992. MONASTRA F., Monografia di cultivar di mandorlo, Ist. Sper. Frutticoltura, Roma 1992. PASTORE R., Coltivazione del mandorlo (4), Vallecchi ed., Firenze 1954. PETINO A., Il mandorlo, “Italia Historia Oeconomica” vol. X, A.P.E. ed., Catania 1944. TAMARO D., Frutta di grande reddito, (II ed.) U. Hoepli ed., Milano 1935. TAMARO D., Trattato di frutticoltura, U. Hoepli ed., Milano 1900. TRENTIN L., Frutticoltura, Fratelli Ottavi ed., Casale Monferrato 1949. 289 VII. Ricerca, conservazione e valorizzazione del germoplasma locale: altre esperienze Collezione e studio del germoplasma di specie di interesse agrario della Regione Abruzzo: i cereali a paglia* O. Porfiri - CERMIS, Centro Ricerche e Sperimentazione per il Miglioramento Vegetale "N. Strampelli", Tolentino (MC) D. Silveri - ARSSA, Agenzia Regionale Servizi di Sviluppo Agricolo d’Abruzzo, Settore Agroalimentare, Sulmona (AQ) La collaborazione fra ARSSA e CERMIS è iniziata nel 1994 quando l’allora ERSA affidò al Centro la classificazione e la caratterizzazione di 8 popolazioni di farro coltivate in Abruzzo. Il presente progetto ha consentito di continuare il lavoro avviato, di ampliarlo ad altre specie di cereali a paglia e di integrarlo nell’ambito di un progetto più ampio, con il coordinamento scientifico dell’Istituto di Miglioramento Genetico Vegetale dell’Università di Perugia (responsabile Prof. Fabio Veronesi). Le specie oggetto di valutazione sono: • farri o frumenti vestiti • T. dicoccum Schubler, farro medio o dicocco o comunemente farro: è la specie più diffusa/coltivata in Abruzzo; • T. spelta L., farro grande o spelta: specie limitatamente coltivata in regione, con materiali genetici sicuramente non locali. Notizie storiche riferiscono di antiche coltivazioni di “speuta”, di colore rosso, che fanno pensare alla probabile coltivazione in passato di questo farro. • frumento tenero (T. aestivum L.); • frumento duro (T. turgidum ssp. durum Desf.); • orzo (Hordeum vulgare L.); • segale (Secale cereale L.). Materiali e metodi Il progetto ha previsto le fasi operative di seguito sintetizzate. 1. Incontri organizzativi con i responsabili locali e gli altri gruppi di lavoro. 2. Collezione dei materiali genetici e prima identifi- cazione sulla scorta delle caratteristiche della granella e/o delle spighe. La gran parte delle accessioni è stata raccolta tramite i tecnici locali, solo alcune sono pervenute al CERMIS in modi diversi negli anni precedenti. Nella Fig. 1 sono evidenziati i siti di raccolta, nella Tab. 1 è riportato l’elenco delle accessioni collezionate, suddivise per specie, e contraddistinte da anno di arrivo al CERMIS, località di provenienza, fonte di reperimento della semente. Delle 33 accessioni fino ad oggi collezionate, 13 sono di farro medio (39%), 12 di frumento tenero (36%) delle quali oltre il 50% rappresentate dalla popolazione “Solina”, 3 di frumento duro, 3 di segale e 2 di orzo. 3. Impostazione delle attività di valutazione in campo. • Tutti i materiali raccolti sono stati introdotti in allevamenti di ridotte dimensioni, strutturati in file lunghe due metri, con interfila di 25 cm, seminate e raccolte a mano. Delle entrate di cui si disponeva di campioni delle spighe, si è provveduto all’allevamento in spiga-fila (20 spighefila). Sono state valutate le caratteristiche morfologiche e fisiologiche di maggiore rilievo. • Le entrate che presentavano quantitativi idonei di granella sono state incluse in prove parcellari comparative sia a Tolentino che in altri ambienti afferenti alla Rete Nazionale Farro coordinata dal CERMIS, fra i quali è stata inclusa nel 1998-99 una località abruzzese, Ofena (AQ), allo scopo di osservare le caratteristiche agronomiche in due ambienti, compreso quello di origine dei materiali stessi. Il prodotto di queste parcelle sarà destinato a valutazioni di tipo tecnologico. * Progetto commissionato e finanziato da ARSSA (Convenzione del 15 settembre 1998). Il germoplasma della Toscana 290 Fig. 1 - Localizzazione dei siti di raccolta delle accessioni collezionate * farro * frumento tenero * frumento duro * segale * orzo Fig. 2 - Alveogramma della accessione n. 15 di frumento tenero della popolazione “Solina” P = 46 mm H2O L = 101 mm G = 22,4 W = 108 10 E-4 J P/L = 0,45 Ie = 35,8 % Glutine umido = 31,3% Glutine secco = 9,2% Risultati Nella Tab. 2 sono riportate le caratteristiche morfo-fisiologiche rilevate a Tolentino MC nel 199697 sulle prime 8 accessioni di farro collezionate fin dal 1994, provenienti dalle più importanti aziende coltivatrici della regione. Nella Tab. 3 sono presentati i dati qualitativi. La Tab. 4 riporta le prime osservazioni condotte sugli allevamenti in fila singola o plurima realizzati nel 1997-98 presso i campi sperimentali di Tolentino relativamente alle accessioni collezionate nel T. dicoccum T. dicoccum T. dicoccum T. dicoccum T. dicoccum T. dicoccum T. dicoccum T. dicoccum T. dicoccum T. dicoccum T. dicoccum T. dicoccum T. aestivum T. aestivum T. aestivum T. aestivum T. aestivum T. aestivum T. aestivum T. aestivum T. aestivum T. aestivum T. aestivum T. aestivum T. durum T. durum T. durum Secale cereale Secale cereale Secale cereale Hordeum vulgare Hordeum vulgare 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 - 1A 1B 2 3A 3B 4 5A 6 7A 7B 7BIS 8 105 107 114 50/98 51/98 49/98 166/98 - N. access. (catalogo CERMIS) LA RUSCIA LA CAPPELLA CAPPELLA SELINA (segale 1) SEGALE 2 SPEVITELLA ORZO GRANDE ORZO MARZUOLO FARRO DE MATTEIS SOLINA 1 (spiga chiara) SOLINA 1 (spiga rossa) SOLINA 2 SOLINA 3 SOLINA 4 SOLINA 5 SOLINA 6 SOLINA 7 BIANCHETTA o CASIRELLA FRASINESE FRASSINESE MARZUOLO (americano) BELVEDERE ERSA 1 ERSA 1 ERSA 2 ERSA 3 ERSA 3 ERSA 4 ERSA 5 ERSA 6 ERSA7 ERSA7 originale Filosini ERSA 8 LIVESA* DICOCCO AMATRICE Nome attribuito nel catalogo CERMIS e/o nomenclatura locale 1999 1999 1999 1999 1999 1999 1999 1999 1996 1995 1997 1997 1998 1999 1998 1998 1998 1998 1999 1999 1999 1999 1999 1999 1999 1999 1999 1995 1995 1995 1995 1995 1995 1995 Anno provenienza (1° anno di raccolta presso i campi CERMIS) * Questa accessione è stata fornita dall’Azienda Fiore al Sig. Morganti, che l’ha fatta pervenire al CERMIS. T. dicoccum Specie 1 N. ordine (scheda) Castelvecchio S. AQ Chieti Torrebruna CH Collarmele AQ Castel Del Monte AQ Lanciano? Collarmele AQ Capestrano AQ Castelvecchio S. AQ Caramanico PE Casali di Aschi AQ Aschi Alto AQ Capestrano AQ Casali di Aschi AQ Liscia CH Roccaspinalveti CH Carunchio CH Montenerodomo CH Torrebruna CH Montereale AQ Caporciano AQ Torano Nuovo TE ? Amatrice RI Castelvecchio S. AQ Villa S. Angelo AQ Penne PE Penne PE Civitaluparella CH Montereale AQ Guardiagrele CH Guardiagrele CH Torano Nuovo TE Località di provenienza Ranalli Pellegrini Nemo Pelliccia Rita Ranalli Giuseppe Salutari Roselli Cesare Di Salvarore Giovanna Pellegrini Nemo Di Salvatore Gabriele D’Ottavio N. e G. Masciota Michele ? Conti Nicola Carozza Serafino Pelliccia Rita Silveri Silveri De Matteis Antonio Filosini D’Innocenzo Fiore? Coop. Cogecstre Coop. Cogecstre Pasquarelli Filosini Santoleri Santoleri Fiore Amadio Giulio Azienda di provenienza Tab. 1 - Elenco delle accessioni di cereali collezionate in Abruzzo fino al 1998 Silveri/ARSSA Silveri/ARSSA Bolognese/ARSSA Granese/ARSSA Silveri/ARSSA Travaglini/ARSSA Granese/ARSSA Silveri/ARSSA Codoni/ARSSA Codoni/ARSSA Morganti ARSIAL dr. Ghini Silveri/ARSSA Crisi - ARSSA Aurelio Manzi Aurelio Manzi Silveri/ARSSA Codoni/ARSSA Silveri/ARSSA Silveri/ARSSA Silveri/ARSSA Silveri/ARSSA Silveri/ARSSA Silveri/ARSSA Bolognese/ARSSA Bolognese/ARSSA Bolognese/ARSSA Codoni/ARSSA Codoni/ARSSA Codoni/ARSSA Codoni/ARSSA Codoni/ARSSA Codoni/ARSSA Codoni/ARSSA Reperimento/invio semente 291 ERSA 7-rosso originale Filosini 7B 7bis DICOCCO 107 23 FARVENTO TRIVENTINA MOLISE SELEZ. 63 64 65 LUCANICA 67 check dicocco check spelta check dicocco check spelta check dicocco check spelta check spelta check dicocco dicocco dicocco ERSA 7 NON GLAUCO MERIDIONALE MERIDIONALE ITALIA CENTRALE MERIDIONALE GARFAGNANA ITALIA CENTRALE ITALIA CENTRALE MERIDIONALE ITALIA CENTRALE MERIDIONALE 1 1 2 1 2 1 1 2 — — 2 3 3 3 2 3 2 2 2 3 3 3 Pigmentaz. basale (1= assente/debole 2=media; 3=forte) 2 2 3 5 3 2 3 3 — — 2 4 4 4 2 4 2 2 2 5 4 4 Danni freddo tardivo (0-9) *--Accessioni giunte in ritardo e seminate a fine inverno: non sono spigate, il che indica che sono ad habitus invernale. FORENZA 66 COLLI ROUQUIN 59 ROTKORN GARFAGNANA ALTGOLD 13 AMATRICE* FARRO LIVESA* 105 ERSA 8 ERSA 7-bianco 7A 8 ERSA 5-bianco ERSA 6 6 4 5A ERSA 3 ERSA 4 3B ERSA 3 MERIDIONALE ITALIA CENTRALE ERSA 2 2 3A GLAUCO ERSA 1-rosso ITALIA CENTRALE ITALIA CENTRALE ERSA 1-bianco Classif. farro medio (Porfiri et alii, 1995) 1B Nome accessione 1A N. access. CERMIS 24 25 19 24 25 25 25 19 — — 21 23 23 23 23 23 23 23 23 24 24 24 Spigatura (maggio) 0 0 0 0 0 0 0 0 — — 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 Oidio (0-9) 3 0 2 0,5 2 0 0 2 — — 0,5 0 0 0 0,5 0 0,5 0 0 0 0 0 Ruggine bruna (0-9) 4 3 3 3 2 2 2 5 — — 2 0 0 3 4 0 2 3 3 0 0 0 Septoria tritici (0-9) 0 0 0 0 0 0 0 0 — — 0 0 0 0 1 0 1 1 1 0 0 0 (0-9) Carbone Tab. 2 - Caratteristiche morfo-fisiologiche di accessioni abruzzesi di farro valutate a Tolentino MC nel 1996-97 a confronto con accessioni di altra provenienza 0 0 0 0 0 0 0 0 — — 0 0,5 0,5 0,5 0 0,5 0 0 0 0 0 0 120 112 105 115 106 104 97 104 — — 94 92 90 82 98 85 105 105 95 80 93 93 0 0 8 0 2 0 0 — — 0 7 8 9 7 9 3 2 2 2 4 3 Septoria Altezza Allett. a nodorum pianta cm maturaz. (0-9) (alla spiga) (0-9) 292 Il germoplasma della Toscana 293 Tab. 3 - Caratteristiche qualitative di accessioni abruzzesi di farro valutate a Tolentino MC nel 1996-97 a confronto con farri e frumenti di altra provenienza N. access. CERMIS 1 1A 1B 2 3A 3B 4 5A 6 7A 7B 7bis 8 13 59 63 64 65 66 67 test test test test test Nome accessione ERSA 1-bianco ERSA 1-rosso ERSA 2 ERSA 3 ERSA 3 ERSA 4 ERSA 5-bianco ERSA 6 ERSA 7-bianco ERSA 7-rosso originale FILOSINI Proteina % su s.s. (met. NIR) Hardness1 (met. NIR) Volume sedimentazione SDS (ml) GARFAGNANA ROUQUIN FARVENTO TRIVENTINA MOLISE SELEZ. COLLI FORENZA LUCANICA ERSA 7 ERSA 8 check dicocco check spelta check dicocco check spelta check dicocco check spelta check dicocco 11,7 12,1 12,1 12,5 12,7 13,7 14,2 11,7 14,3 14,3 11,7 11,3 12,2 15,7 14,2 15,2 13,4 14,9 14,3 H H H H H H H H H H H M H M H M H M H 17 16 17 19 22 21 18 21 19 16 15 21 22 49 12 55 19 53 18 GRAZIA SIMETO ERIDANO EUREKA MIETI frumento duro frumento duro frumento tenero frumento tenero frumento tenero 12,2 15,7 11,2 11,3 11,6 H H M M M 32 33 45 44 47 GLAUCO NON GLAUCO Hardness (indice di durezza della cariosside): H = hard, M = medium, S = soft. 1997. La farina della accessione n. 15 di Solina (Solina 2) proveniente dal raccolto 1998 a Castelvecchio Subequo (AQ) è stata analizzata alveograficamente e i risultati (Fig. 2) consentono di classificare (pur con i limiti di un unico campione e di un’unica analisi) questo frumento nella categoria “da biscotti”, infatti il W è pari a 108 e il P/L 0.45. Tuttavia, i parametri sono al limite superiore per questa classe, verso la panificabilità diretta, tali da consentire una buona lavorabilità dell’impasto, anche a mano. Si ottiene un pane di discrete caratteristiche, anche mescolando la farina con altri prodotti, esempio la patata lessa (tradizione diffusa in alcune zone dell’Abruzzo che favorisce una conservazione più a lungo del pane), con una alveolatura della mollica non ottimale, ma comunque soddisfacente. Considerazioni conclusive Sulla base dei primi risultati ottenuti emergono alcune considerazioni e possono essere delineati alcuni possibili sviluppi del presente progetto. • La maggior parte delle accessioni pervenute al CERMIS era stata attribuita in maniera corretta alla specie di appartenenza, ad eccezione di un farro giunto come spelta, in realtà si trattava di un dicocco e di una segale (“Spevitella”), inizialmente identificata come monococco. Frequentemente le stesse popolazioni sono chiamate con nomi diversi attribuiti dai diversi agricoltori che le coltivano. • Riguardo il farro non sono emersi elementi sufficienti per affermare che fra quelle analizzate siano presenti popolazioni autoctone abruzzesi. 4 file ERSA 7-bianco ERSA 7-rosso ERSA 8 GARFAGNANA ROUQUIN FARVENTO TRIVENTINA 7A 7B 8 13 59 63 64 Pigmentazione guaina basale: * assente o debole, ** media, *** forte. 2 1 1 1 0 2 2 0 S -S WW -W -W -S -S -W -W -S -S -S -W -W -S Portam. piante a fine accestim.1 Portamento piante fine accestimento: WW = molto prostrato, W = prostrato, -W = semi-prostrato, -S =s emi-eretto, S = eretto MERIDIONALE GARFAGNANA ITALIA CENTRALE ITALIA CENTRALE MERIDIONALE 2 0 0 0 2 1 1 Danni da freddo (0-9) 2 4 file 4 file 4 file 4 file 2 file 4 file ITALIA CENTRALE MERIDIONALE MERIDIONALE MERIDIONALE ITALIA CENTRALE ITALIA CENTRALE ITALIA CENTRALE Classificaz. farro medio (Porfiri et al., 1995) 1 check spelta check dicocco check spelta check dicocco 2 file ERSA 6 6 4 file 4 file 2 file 2 file ERSA 5-bianco NON GLAUCO GLAUCO 5A ERSA 3 3A 4 file ERSA 3 ERSA 2 2 4 file 4 file ERSA 4 ERSA 1-rosso 1B 4 ERSA 1-bianco 1A Allevamento realizzato 95/96 3B Popolazione, linea o varietà N. access CERMIS ** ** * * ** *** *** * *** * * * ** ** *** Pigment. guaina pianta cm basale2 Semina: 24 novembre1995 - Raccolta: 23 luglio 1996 22 23 22 19 18 19 19 18 18 21 20 20 15 19 17 Spigatura (maggio) 160 165 140 155 160 120 120 135 135 130 140 128 135 130 130 Altezza (alla spiga) 0 0 0 0 0 5 9 5 2 4 5 5 9 3 2 Allett. a maturaz. Tab. 4 - Caratterizzazione delle 8 accesioni di farro provenienti dall’A Abruzzo e di altre accessioni di controllo nel 1995-96 glume nere molto glaucesc., (al 28 febbraio) uguale al 7A (al 28 febbraio) uguale al 7B Note di campo (0-9) 294 Il germoplasma della Toscana 295 Frumento tenero “Bianchetta” o “Casiretta” Frumento tenero “Solina” Alcune sono tipiche dell’Appennino Centrale (definite “Italia Centrale), quindi comuni all’Umbria e al Lazio, e potrebbero essere sopravvissute in regione da lungo tempo oppure essere state reintrodotte in tempi più recenti dalle regioni limitrofe. Dalle informazioni raccolte dai tecnici locali soltanto l’accessione n. 11 (denominata “originale Filosini”) potrebbe avere origini antichissime, pur non presentando caratteristiche dissimili dal tipo “Italia Centrale” (habitus primaverile, culmo sottile, mescolanza di individui con livelli diversi di glaucescenza). Per certo i farri di tipo “meridionale” e gli spelta coltivati attualmente sono di esclusiva provenienza extraregionale. • Fra tutti i materiali genetici collezionati appare evidente che il frumento tenero “Solina” rappresenta la popolazione coltivata più importante, sia per numero di accessioni reperite, sia per l’entità delle superfici coltivate, sia per il notevole interesse da parte degli agricoltori a continuare a coltivarla. Certamente questo interesse è da attribuire sia ad aspetti agronomici (la popolazione viene coltivata in zone molto marginali, resiste al freddo e garantisce costantemente una produzione minima) sia, e soprattutto, ad aspetti di utilizzazione, per quanto poco sopra accennato, nella preparazione tradizionale del pane. • Il lavoro svolto nel 1998 non può certamente raggiungere risultati definitivi entro i tempi programmati dal presente progetto. Infatti, tutte le valutazioni da effettuare — morfologiche, fisiolo- Il germoplasma della Toscana 296 Panoramica dei campi sperimentali del Cermis a Tolentino (Macerata) Coltivazione di farro dicocco tipo “Italia Centrale” in Comune di Castelvecchio di Subequo (L’Aquila), a circa 1.000 metri di altitudine giche, agronomiche e qualitative — debbono essere necessariamente ripetute nel tempo e nello spazio. Inoltre, tempi maggiori servono per ulteriori indagini sul territorio e per il completamento della collezione dei materiali genetici. Bibliografia BORASIO E., 1997. Classificazione merceologica del frumento con indici di qualità. Atti GranoItalia, Bologna, settembre 1997:59-61. CASTAGNA R., PORFIRI O., D’ANTUONO L.F., ERRANI M., MAZZOCCHETTI A., CODIANNI P. (1995) - Genotipi di farro a confronto. L’Informatore Agrario, 38: 55-59. PORFIRI O. (coord.) (1996) - Farro: scelta varietale. L’Informatore Agrario, 36: 58-62. PORFIRI O., PAPA R., VERONESI F. (1997) - Il farro nel rilancio delle aree marginali umbro-marchigiane. In Quaderni del CEDRAV "Conservazione delle varietà locali di farro in Italia: aspetti genetici e culturali", Atti convegno, Monteleone di Spoleto, 17 agosto 1995: 64-72. PORFIRI O., D’ANTUONO L.F., CODIANNI P., MAZZA L., CASTAGNA R. (1998) - Genetic variability of a hulled wheats collection evaluated in different agronomic environments in Italy. In JARADAT A.A: (Editor) - Proceedings of 3° International Triticeae Symposium, Aleppo, Syria, 4-8 maggio 1997, Science Publishers, Inc. USA:387-392. 297 VII. Ricerca, conservazione e valorizzazione del germoplasma locale: altre esperienze Le risorse genetiche abruzzesi: risultati di un lavoro di collezione e prima valutazione R. Torricelli, N. Tosti, F. Veronesi Istituto di Miglioramento Genetico Vegetale, Università degli Studi di Perugia D. Silveri - ARSSA, Agenzia Regionale Servizi di Sviluppo Agricolo d’Abruzzo, Avezzano (AQ) Introduzione L’Agenzia Regionale per i Servizi di Sviluppo Agricolo d’Abruzzo (ARSSA) sta sviluppando, con la collaborazione scientifica dell’Istituto di Miglioramento Genetico Vegetale dell’Università degli Studi di Perugia (IMGV-PG), un programma volto a collezionare, conservare e valutare le risorse genetiche agrarie presenti nella regione. L’attività ha avuto inizio nel 1997 con la collezione di popolazioni locali di erba medica (Medicago sativa L.) e con l’acquisizione delle varietà locali di frumento duro (Triticum durum Desf.), frumento tenero (Triticum aestivum L.) e farro (Triticum dicoccum Schubler). Nel corso del 1998 il programma è proseguito con la collezione di popolazioni naturali di leguminose foraggere e di varietà locali di fagiolo (Phaseolus vulgaris L., Phaseolus coccinesus L.), pomodoro (Lycopersicon esculentum L.), peperone (Capsicum annuum L.), lenticchia (Lens culinaris Medikus), frumento tenero, frumento duro, melo (Malus domestica Borkh), pero (Pyrus communis L.) e mandorlo (Amygdalus communis L.). Nel complesso sono state collezionate 144 accessioni. Per le specie erbacee, i semi raccolti sono attualmente conservati presso la banca del germoplasma dell’ IMGV-PG, in attesa che l’ARSSA si doti di un proprio sistema di conservazione, mentre per le specie arboree sono in fase di avanzata costituzione in Abruzzo tre campi di conservazione clonale. Per i più interessanti materiali erbacei è in corso la caratterizzazione molecolare mediante utilizzazione di marcatori RAPD e AFLP. Tale caratterizzazione è già stata realizzata per l’erba medica e per il fagiolo e sta procedendo per la lenticchia e per i frumenti. In questo lavoro vengono riassunti i risultati relativi alle leguminose da granella, alle ortive e alle foraggere (esclusa l’erba medica). Leguminose da granella • Fagiolo (Phaseolus vulgaris L. e Phaseolus coccineus L.) • Lenticchia (Lens culinaris Medikus). Per questo gruppo di specie sono state collezionate 13 accessioni di fagiolo (Tab. 1, Fig. 1) e 7 accessioni di lenticchia (Tab. 2, Fig. 2). Fig. 1 - Alcune collezioni di fagiolo collezionate in Abruzzo Fig. 2 - Le 7 popolazioni di lenticchia collezionate a confronto con la popolazione di Castelluccio e la varietà canadese Laird Il germoplasma della Toscana 298 Tab. 1 - Elenco delle popolazioni di fagiolo collezionate nel 1998, quantità di seme disponibile e caratteristiche commerciali N. Specie Caratteristiche commerciali del seme 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 P. vulgaris P. vulgaris P. vulgaris P. vulgaris P. vulgaris P. coccineus P. vulgaris P. vulgaris P. vulgaris P. vulgaris P. vulgaris P. vulgaris P. vulgaris Albenghino o verdolino Verdolino aquilano o roviotto (simile a albenghino) Tipo messicano Mangiatutto Pisello di Paganica Fagiolone (spagnone o corona) Tondino bianco Fagiolo pane (tipo albenghino) Borlotto tipo Lamon Fagiolo tabacchino (tipo olandese) Fagiolo tabacchino (tipo olandese) Fagiolo pane (tipo albenghino) Cannellino g di seme disponibile 425,00 1462,00 1415,00 30,00 465,00 430,00 1975,00 705,00 1825,00 1635,00 700,00 432,00 1480,00 Tab. 2 - Elenco delle popolazioni di lenticchia collezionate nel 1998, località e quantità di seme disponibile N. Specie Località di provenienza 1 2 3 4 5 6 7 L. culinaris L. culinaris L. culinaris L. culinaris L. culinaris L. culinaris L. culinaris Santo Stefano di Sessanio (AQ) Santo Stefano di Sessanio (AQ) Santo Stefano di Sessanio (AQ) Santo Stefano di Sessanio (AQ) Santo Stefano di Sessanio (AQ) Santo Stefano di Sessanio (AQ) Castelvecchio Calvisio (AQ) Per le varietà locali di fagiolo è iniziata la fase di valutazione condotta mediante un’analisi della forma e del colore del seme grazie all’aiuto di un esperto commerciale del settore (Tab. 1). Sugli stessi materiali, ad esclusione della varietà contrassegnata con il numero 4, è stata condotta un’analisi molecolare mediante AFLP. Ai fini dell’analisi ai g di seme disponibile 22,62 21,33 24,48 30,16 16,08 13,46 9,34 materiali collezionati è stata aggiunta una varietà commerciale di P. coccineus (n. 14). Il livello di diversità genetica presente tra le accessioni abruzzesi di fagiolo, come definito dall’analisi AFLP, è riportato nel dendrogramma di Fig. 3. Il dendrogramma evidenzia che tutte le varietà risultano distinguibili; in particolare per il P. coccineus si nota come l’analisi AFLP riesca a distingure la varietà commerciale da quella locale. La capacità di questi marcatori molecolari di distinguere specie differenti e individuare variabilità tra popolazioni di una stessa specie ne fa un valido strumento ai fini della caratterizzazione e protezione dei prodotti tipici. Specie ortive Fig. 3 - Livello di diversità genetica presente tra le accessioni di fagiolo • Pomodoro (Lycopersicon esculentum L.) • Peperone (Capsicum annum L.) Per queste specie dopo una fase di analisi preliminare che ha permesso la messa a punto delle linee di ricerca su cui muoversi, sono state condotte indagini mirate in alcune zone di saggio nei dintorni di Sulmona (AQ), Pescara, Aquila e Teramo. Il lavoro 299 Tab. 3 - Elenco delle specie ortive collezionate con i nomi locali N. 1 2 3 4 5 Specie Nome locale L. esculentum L. esculentum C. annum C. annum C. annum Pomodoro nostrano Pomodoro grande Peperone Peperone piccante Peperone sfuso Fig. 4 - Alcune specie di Leguminose foraggere collezionate in Abruzzo Tab. 4 - Leguminose foraggere collezionate nel 1997-98, siti di collezione e seme disponibile (g) N. 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 36 37 38 39 Specie Medicago polymorpha L. Medicago polymorpha L. Medicago rigidula Desr. Medicago rigidula Desr. Medicago rigidula Desr. Medicago rigidula Desr. Medicago rigidula Desr. Medicago orbicularis All. Medicago orbicularis All. Medicago orbicularis All. Medicago orbicularis All. Medicago orbicularis All. Medicago orbicularis All. Medicago minima Grufb. Medicago minima Grufb. Medicago minima Grufb. Medicago arabica Huds. Medicago disciformis DC. Trifolium campestre Schreb. Trifolium campestre Schreb. Trifolium pratense L. Trifolium stellatum L. Trifoluim scabrum L. Trifolium fragiferum Trifolium subterraneum L. Trifolim montanum L. Coronilla scorpioides L. Coronilla minima L. Coronilla varia L. Anthyllis vulneraria L. Anthyllis vulneraria L. Onobrychis viciifolia Scop. Onobrychis viciifolia Scop. Onobrychis caput-galli Lam. Onobrychis caput-galli Lam. Lotus corniculatus L. Lotus tenuis L. Vicia sativa L. Vicia villosa Roth. Suto di collezione Capestrano (AQ) Castel di Ieri (AQ) Capestrano (AQ) Civitaretenga (AQ) Cast. Sub. Crapella (AQ) Ofena (AQ) Cast. Sub. Vignara (AQ) Capestrano (AQ) Ofena (AQ) Civitaretenga (AQ) Cast. Sub. Crapella (AQ) Castel di Ieri (AQ) Cast. Sub. Casette C. (AQ) Capestrano (AQ) Ofena (AQ) Cast. Sub. Crapella (AQ) Castel di Ieri (AQ) Civitaretenga (AQ) Ofena (AQ) Cast. Sub. Casette C. (AQ) Cast. Sub. Vignara (AQ) Ofena (AQ) Civitaretenga (AQ) Castel di Ieri (AQ) Castel di Ieri (AQ) Santo Stefano di S. (AQ) Cast. Sub. Casette C. (AQ) San Benedetto Per. (AQ) Cast. Sub. Casette C. (AQ) San Benedetto Per. (AQ) Santo Stefano di S. (AQ) Santo Stefano di S. (AQ) Santo Benedetto Per. (AQ) Ofena (AQ) Santo Stefano di S. (AQ) Santo Stefano di S. (AQ) Castel di Ieri (AQ) Santo Stefano di S. (AQ) Castelv. Subequo (AQ) g di seme disponibile 0.230 0.470 0.900 0.540 2.220 3.070 1.080 3.030 3.640 3.060 2.570 3.190 2.470 0.580 1.140 2.380 0.190 0.820 1.270 0.510 0.960 1.130 1.730 0.590 0.280 1.250 0.600 1.030 2.030 0.220 0.490 23.330 3.570 2.890 3.170 0.860 0.620 4.450 45.950 Il germoplasma della Toscana 300 svolto ha permesso di individuare come varietà sicuramente locali 2 accessioni di pomodoro e 3 di peperone (Tab. 3); inoltre, questa attività ha reso possibile l’individuazione di interessanti materiali di fagiolo e mais nell’aquilano e di fagiolo e zucca nella zona di Paganica (AQ). Leguminose foraggere Per quanto concerne le popolazioni naturali di leguminose foraggere raccolte nei pascoli abruzzesi nel corso del 1997-98, esse sono riportate nella Tab. 4. Nella Tab. 4 a vengono riportate le specie collezionate, le località di raccolta e il seme disponibile. Nella Fig. 4 vengono riportate alcune specie particolarmente interessanti. Nell’autunno 1999 le accessioni di M. rigidula [Capestrano (AQ), Castelvecchio Subequo (AQ), Civitaretenga (AQ), Ofena (AQ)], M. orbicularis [Castelvecchio Subequo (AQ), Civitaretenga (AQ), Ofena (AQ)], T. fragiferum [Castel di Ieri (AQ)] e T. subterraneum [Castel di Ieri (AQ)] sono state seminate a piante spaziate (60 piante per accessione) presso il campo sperimentale dell’IMGV-PG, con lo scopo di effettuare una prima caratterizzazione morfologica e nello stesso tempo moltiplicarne il seme. 301 VII. Ricerca, conservazione e valorizzazione del germoplasma locale: altre esperienze Collezione e caratterizzazione di popolazioni locali abruzzesi di Medicago sativa L. ai fini della conservazione e della costituzione varietale R. Torricelli, F. Travaglini, E. Albertini, G. Zarroli, F. Veronesi Istituto di Miglioramento Genetico Vegetale, Università degli Studi di Perugia D. Silveri - ARSSA, Agenzia Regionale Servizi di Sviluppo agricolo d’Abruzzo, Avezzano (AQ) S. Velletri - Consorzio per la Divulgazione e Sperimentazione delle Tecniche Irrigue s.r.l., COTIR - Vasto (CH) Introduzione L’erba medica (Medicago sativa L. subsp. sativa L., 2n=4x=32) rappresenta la più importante leguminosa foraggera; attualmente è coltivata in Italia su quasi un milione di ettari. Questa specie riveste un notevole interesse economico per ristabilire la fertilità e la struttura dei terreni e costituisce un elemento essenziale nell’alimentazione zootecnica. Nel nostro paese gli ecotipi coprono ancora circa il 70% della superficie ad erba medica. Il Decreto Ministeriale del 3 marzo 1995 ha disposto che a decorrere dal 2002 non verrà più concessa la certificazione alla semente degli ecotipi e la loro commercializzazione sarà vietata in tutta l’Unione Europea. Questa decisione è certamente utile a mettere ordine nel mercato sementiero nazionale, ma aumenta il rischio di erosione di materiali adatti alle condizioni pedoclimatiche del nostro Fig. 1 - Mappa dei siti di collezione delle popolazione locali di erba medica, con i rispettivi codici e l’altitudine (m s.l.m.). Sono inoltre riportate le varietà e gli ecotipi commerciali con i relativi codici. Paese. Alla luce di quanto detto l’Agenzia Regionale per i Servizi di Sviluppo Agricolo d’Abruzzo (ARSSA) ha attivato, con la consulenza dell’Istituto di Miglioramento Genetico Vegetale dell’Università degli Studi di Perugia (IMGV-PG), un progetto di ricerca volto alla collezione, caratterizzazione e utilizzazione del germoplasma abruzzese di erba medica sia ai fini della conservazione che della costituzione varietale. La caratterizzazione molecolare dei materiali raccolti è stata condotta attraverso l’uso dei marcatori molecolari AFLP. Collezione e valutazione agronomica delle popolazioni locali All’inizio del 1997 sull’intero territorio regionale (Fig. 1) sono state collezionate, 24 popolazioni di Il germoplasma della Toscana 302 Tab. 1 - Produzioni di sostanza secca (g m-2) di 24 ecotipi di erba medica abruzzesi e 6 materiali di controllo (da Travaglini et al., 1999) Ecotipi e varietà 1 Roseto degli Abruzzi (TE) 2 Magliano dei Marsi 1 (AQ) 3 Magliano dei Marsi 2 (AQ) 4 Magliano dei Marsi 3 (AQ) 5 Forcella (TE) 6 Valle Rosea (TE) 7 Mezzanotte (TE) 8 Castelvecchio Subequo (AQ) 9 Rosciano Villa Badessa (PE) 10 Pietranico (PE) 11 C. da Pagliaporci (PE) 12 Raiano (AQ) 13 San Giacomo di Atri (TE) 14 Colle San Donato (CH) 15 Casere Casoli (CH) 16 Paludi (CH) 17 Roccaspinalveti (CH) 18 Atessa (CH) 19 Casale Montenerodomo (CH) 20 Piano Carlino (CH) 21 C. le Serre Casoli (CH) 22 San Domenico (CH) 23 San Marco (AQ) 24 San Venanzio (CH) 25 Var. Sabina 1 26 Var. Sabina 2 27 Var. Sabina 3 28 Ec. Italia Centrale 29 Ec. Romagnolo 30 Var. Equipe DMS 0,05 Vasto 1997 384 365 375 304 431 401 339 340 324 349 362 334 359 378 372 320 415 430 403 397 390 423 364 378 311 340 306 385 344 255 92 BCDEFG BCDEFG BCDEFG AB G DEFG ABCDEFG ABCDEFG ABCDE BCDEFG BCDEFG ABCDEF BCDEFG BCDEFG BCDEFG ABCD EFG G DEFG CDEFG BCDEFG FG BCDEFG BCDEFG ABCD ABCDEFG ABC BCDEFG ABCDEFG A Capestrano 1998 417 403 374 363 436 407 380 441 443 344 482 368 470 392 465 300 405 448 309 369 410 414 404 425 321 222 248 187 387 323 127 DEFGH DEFGH CDEFGH CDEFGH EFGH DEFGH DEFGH FGH FGH BCDEFG H CDEFGH GH DEFGH GH ABCD DEFGH FGH ABCDE CDEFGH DEFGH DEFGH DEFGH DEFGH BCDEF AB ABC A DEFGH BCDEF Perugia 1998 383 312 323 326 364 346 357 384 377 352 325 305 400 332 333 329 354 343 333 309 340 326 314 348 354 360 351 349 348 363 57 DEF AB ABC ABCD BCDEF ABCDEF ABCDEF EF CDEF ABCDEF ABC A F ABCDE ABCDE ABCDE ABCDEF ABCDEF ABCDE AB ABCDE ABCD AB ABCDEF ABCDEF ABCDEF ABCDEF ABCDEF ABCDEF BCDEF Le medie seguite dalle stesse lettere non differiscono per P ≤ 0,05. erba medica, presso quelle aziende che garantivano la riproduzione del seme da almeno 10 anni. Il seme delle popolazioni collezionate è stato archiviato presso la banca del germoplasma dell’IMGV-PG, in attesa che l’ARSSA si doti di una banca del seme. Con parte del seme delle popolazioni collezionate e con il seme di 2 ecotipi e 4 varietà commerciali, nell’aprile 1997 sono stati impiantati tre campi sperimentali in altrettante località: Capestrano (AQ) (Fig. 2), Vasto (CH) (Fig. 3), Perugia. I campi sono stati impiantati secondo un disegno sperimentale a blocchi randomizzati con tre ripetizioni e parcelle di 4.5 m2. La Tab. 1 riguarda la produzione di sostanza secca (g m-2) delle 24 popolazioni locali di erba medi- ca a confronto con 6 materiali di controllo. Come è possibile notare, per questo carattere è stata messa in luce una notevole variabilità tra i materiali e in ogni località di valutazione alcune popolazioni abruzzesi sono risultate statisticamente superiori ai controlli. In particolare, due popolazioni locali (M5, Forcella e M18, Atessa, provenienti da siti di collezione a 240 e 475 m s.l.m., rispettivamente) sono state caratterizzate da una notevole capacità di adattamento a condizioni pedoclimatiche diverse mentre la popolazione M22 (San Domenico, 300 m s.l.m.) è particolarmente adatta ad ambienti litoranei e la popolazione M8 (Castelvecchio Subequo, 1.000 m s.l.m.) sembra molto interessante per sviluppare varietà adattate ad elevate altitudini. 303 Fig. 2 - Campo sperimentale a Capestrano (AQ) Fig. 3 - Campo sperimentale a Vasto (CH) Fig. 4 - Campo sperimentale con trapianti a Vasto (CH) Fig. 5 - Campo con trapianti ad Avezzano (AQ) Costituzione varietale Le prove di valutazione agronomica effettuate nel corso del 1997-98 in particolare a Capestrano e Vasto, ambienti contrastanti per le condizioni climatiche, hanno evidenziato la presenza di materiali interessanti per il prosieguo del programma di costituzione varietale. In base ai dati produttivi la popolazione selezionata per l’ambiente pedemontano è stata quella proveniente da Castelvecchio Subequo (AQ). Per le zone di bassa e media collina il materiale selezionato è stato quello collezionato a Forcella (TE). Il 12 marzo 1999 circa duemila semi per ciascuna delle due popolazioni locali scelte sono stati seminati in jiffy pots nella serra dell’IMGV. Il 19 maggio e il 2 giugno 1999, circa 1000 piante spaziate (100 cm x 60 cm) della popolazione M5 e della popolazione M8 sono state trapiantate a Vasto (Fig. 4) e ad Avezzano (Fig. 5) rispettivamente, al fine di procedere alla costituzione di due varietà a larga base genetica. Caratterizzazione molecolare Per l’analisi molecolare sono state escluse le popolazioni M18 e M20. I marcatori AFLP, di cui un esempio di profilo è riportato in Fig. 6, hanno fornito polimorfismi genomici riproducibili ed informativi delle accessioni di erba medica analizzate. L’analisi dei centroidi (Fig. 7), definiti sulla base Fig. 6 - Esempio di profilo AFLP generato dalla combinazione di primer Eco+CCA/Mse+ACA in erba medica. Le frecce indicano i polimorfismi che permettono di discriminare i bulk di DNA Il germoplasma della Toscana 304 della matrice di similarità calcolata utilizzando il coefficiente di Dice, ha evidenziato che undici accessioni abruzzesi hanno costituito un nucleo geneticamente omogeneo caratterizzato da un notevole grado di similarità. Per le rimanenti 13 accessioni, i marcatori molecolari associati alla funzione 2 hanno permesso di discriminare le popolazioni M1, M5, M7 e M10 mentre i marcatori associati alla funzione 1 hanno permesso di separare le popolazioni M1, M2 e M6 dalle popolazioni M11, M13, M15, M16 e M23. Questi risultati indicano che marcatori molecolari tipo AFLP possono essere efficientemente impiegati per caratterizzare la variabilità genetica presente tra accessioni di germoplasma di erba medica al fine di identificare le popolazioni più rappresentative dell’area oggetto di studio. Fig. 7 - Livello di diversità genetica tra le accessioni di erba medica valutate: i centroidi sono stati definiti con il metodo UPGMA delle due funzioni principali 305 VII. Ricerca, conservazione e valorizzazione del germoplasma locale: altre esperienze Programma nazionale di conservazione della biodiversità in agricoltura WWF Italia – Sezione regionale Piemonte e Valle d’Aosta Il WWF per l’agricoltura: obiettivi • Divulgare il ruolo dell’agricoltura per la conservazione della biodiversità (Rio de Janeiro, 1992). • Fornire supporto tecnico ed economico a programmi di salvaguardia di ambienti rurali, di razze e di varietà a Università, amministrazioni locali, organizzazioni agricole e altre associazioni. • Promuovere e valorizzare i prodotti tipici e locali come strumento di salvaguardia di razze e varietà autoctone. • Sostenere l’agricoltura biologica (in collaborazione con AMAB) e le forme di agricoltura a ridotto impatto ambientale. Attività previste • Recupero della razza Ottonese-Tortonese e del formaggio Montebore (con Slow Food). • Atlante informatizzato delle razze autoctone italiane. • Salvaguardia delle razze ovine Carsolina e Marrane (UD e GE) e della razza caprina Istriana (con Di.S.P.A. - Università di Udine). • Attività educative e divulgative in collaborazione con Pro Specie Rara (Svizzera). Il Progetto “Mora Romagnola” Un programma di conservazione della più rara razza suina italiana Progetti e collaborazioni • Recupero della razza suina “Mora Romagnola” (acquisto riproduttori, con Dipartimento di Scienze Zootecniche, Università di Torino). • Tutela di cultivar locali di fruttiferi e campi varietali didattici nelle Oasi WWF. • Salvaguardia di alcune razze autoctone presso strutture del WWF e aziende private. • Mostra “Razze autoctone italiane” (con Università di Torino). • Mostra “Razze autoctone del Piemonte” (con Regione Piemonte e Slow Food). • Progetto LIFE “Grandi carnivori delle Alpi”: azioni di sostegno alla pastorizia e al mantenimento di razze alpine autoctone; fornitura di materiale e strutture per l’allevamento e il pascolamento. • Mostra “Biodiversità in agricoltura” (con Dip.to di Colture Arboree dell’Università di Torino). • Verifica attuazione Reg. 2078/92. • Archivio fotografico delle razze italiane (oltre 5000 immagini e materiale iconografico storico) La Mora Romagnola è una razza suina autoctona della provincia di Ravenna (Emilia Romagna, Italia); non è noto se in passato venne esportata in altre parti d’Europa. Attualmente sopravvivono solo 18 esemplari in un allevamento vicino a Faenza (Ravenna), e non sembra esistano altri capi allevati in Italia: nel 1949 erano più di 22.000. Il nome “Mora” è stato codificato nel 1942 a causa del suo colore, marrone scuro con riflessi bronzei; il verro presenta la “linea sparta”, una serie di setole irte e dure lungo il dorso; la pelle è grigio scura, con le parti inferiori di colore rosa. I giovani hanno il mantello di colore fulvo, che diventa a poco a poco più scuro durante la crescita. La Mora Romagnola ha un tipico corpo allungato e alto mediamente 80 cm (le scrofe sono più alte dei verri) e raggiunge un peso alla maturità di 250-300 kg; la testa è allungata con profilo rettilineo e con orecchie portate in avanti a coprire il grugno affusolato. Le scrofe attualmente allevate non sono molto prolifiche (5-6 maialini le primipare e 9 le pluripa- Il germoplasma della Toscana 306 re), e hanno una scarsa produzione di latte. Una volta esistevano diverse popolazioni di Mora: la diffusissima “Forlivese”, la “Faentina” dal mantello rosso chiaro, e la più scura “Riminese”. Fino a metà degli anni Cinquanta tutte queste popolazioni erano incrociate con ceppi locali di Large White (il “San Lazzaro” e la “Bastianella”); l’ibrido era noto come “Fumati”. Come molte altre vecchie razze suine, anche la Mora è una razza tardiva eccessivamente predisposta all’ingrassamento; è però molto vigorosa e ben adattabile a sistemi di allevamento all’aperto grazie alla sua eccellente qualità di pascolatrice. Il Dipartimento di Scienze Zootecniche dell’Università di Torino e il WWF Italia hanno recentemente elaborato un programma di recupero della razza. Tre scrofe e un verro sono già state acquistate in un allevamento vicino a Faenza, di proprietà del signor Mario Lazzari, proprietario dell’ultimo nucleo di Mora Romagnola. Il nostro programma prevede inizialmente due fasi: 1) cercare libri, fotografie, notizie e dati sulla Mora Romagnola, e 2) cercare altri eventuali animali allevati nel mondo (in purezza o incroci). Se avete notizie al riguardo, contattateci agli indirizzi seguenti: Dipartimento di Scienze Zootecniche Università di Torino Via Leonardo da Vinci, 44 10195 Grugliasco (TO) - Italy Tel. +39 011 6708575 or 6708577 Fax +39 011 6708563 E-mail: [email protected] or fortina@ agraria.unito.it WWF Italia – Sezione Regionale Piemonte e Valle d’Aosta Via Peyron, 10 - 10143 Torino - Italy Tel. 011 4731746 Fax 011 4373944 E-mail: [email protected] or [email protected] 307 VII. Ricerca, conservazione e valorizzazione del germoplasma locale: altre esperienze Associazione Agricoltori Custodi: Statuto ed Elenco del germoplasma Statuto Art. 1 - Costituzione Con il presente statuto è costituita un’Associazione denominata “Agricoltori Custodi” tra i produttori agricoli delle specie e delle varietà animali e vegetali tipiche locali, della Toscana, a rischio di erosione genetica. Art. 2 - Sede L’Associazione ha la sede legale nel Comune di Loro Ciuffenna (Arezzo), presso la Comunità Montana del Pratomagno e può istituire proprie sedi periferiche nel territorio in cui opera. Art. 3 - Durata L’Associazione ha durata fino al 31 dicembre 2020 e sarà automaticamente prorogata di anno in anno e così via se l’assemblea ordinaria non ne delibera lo scioglimento almeno sei mesi prima della scadenza di ogni termine. Art. 4 - Scopi L’associazione aderisce idealmente al manifesto dell’Arca Slow food Arcigola e si impegna per la promozione, la realizzazione e la gestione dei Presidi Slow food, quale elemento di intervento sul territorio. Scopo dell’Associazione è la salvaguardia, la promozione, la valorizzazione e la tutela delle specie e varietà autoctone, sia animali sia vegetali. L’elenco di tali varietà sarà effettuato in apposito regolamento interno curato dall’Organo di Amministrazione che provvederà ad aggiornarlo ove necessiti. Analogamente alle varietà autoctone, sono comprese nell’oggetto sociale le produzioni derivanti dalla trasformazione merceologica delle stesse varietà autoctone. L’Associazione potrà inoltre: a) promuovere ed attuare iniziative tendenti allo studio sulle caratteristiche genetiche, sulle tecniche colturali e sul miglioramento qualitativo delle specie e delle varietà oggetto del presente statuto; b) promuovere le attività di assistenza tecnica e di formazione professionale sulle tecniche di coltivazione e/o allevamento di dette specie e varietà secondo quanto previsto dai disciplinari di produzione indicati nel Regolamento Interno; c) sviluppare, coordinare, aggregare, l’offerta dei prodotti delle specie e varietà suddette, presupposto essenziale per la promozione e commercializzazione degli stessi. A tal fine l’Associazione promuove tutte le iniziative necessarie quali, a titolo di esempio, partecipazione a mostre, fiere, esposizioni, eventi eno-gastronomici e può aderire ad altri organismi che perseguano finalità similari, secondo quanto fissato dal Regolamento Interno; d) tutelare i prodotti attraverso un marchio con le modalità previste dal Regolamento Interno; e) favorire eventuali riconoscimenti delle suddette specie e varietà in relazione a DOP, IGP e IGT, AS etc.; f) incentivare presso altri agricoltori la coltivazione e l’allevamento di germoplasma autoctono, purché in linea con gli scopi del presente Statuto; g) promuovere il consumo consapevole, legato al valore organolettico e ludico dei prodotti; h) divulgare l’iniziativa in quanto modello di sviluppo rurale, che coniuga l’obiettivo di incrementare il reddito degli agricoltori con quello di promuovere un’agricoltura eco-compatibile. Il germoplasma della Toscana 308 Elenco del germoplasma ORTIVE A RISCHIO DI EROSIONE GENETICA Asparagio d’Argentuil Cece piccino Cicerchia Fagiola schiacciona fiorentina Fagiolo borlotto nostrano Fagiolo romano (romanello) Fagiolo rosso di Modesto Fava del Valdarno (mezzafava) Fava lunga delle Cascine Lattuga delle quattro stagioni Lattuga ubriacona Patata rossa Pisello a mezza frasca Pisello a tutta frasca Pisello quarantino Pomodoro ciliegino Pomodoro cuore di bue Pomodoro pendolino a grappolo Pomodoro quarantino Rapo del Valdarno Scalogno nostrale (Reggello) Sedano di Montevarchi Zucca da semi e da maiali Zucchino dal tralcio Valdarno Superiore Valdarno Superiore Valdarno Superiore Valdichiana Valdarno Superiore Valdarno Superiore Valdarno Superiore Loro Ciuffenna Valdarno Superiore Valdarno Superiore Valdarno Superiore Valdarno Superiore Casentino Valdarno Superiore Valdarno Superiore Valdarno Superiore Valdarno Superiore Valdarno Superiore Valdarno Superiore Valdarno Superiore Valdarno Superiore Valdarno Superiore Valdarno Superiore Valdarno Superiore Pratomagno ORTIVE POCO DIFFUSE Basilico gigante di Montevarchi Bietola a coste sottili Cavolfiore precoce toscano Cavolo nero toscano Cipolla rossa toscana Cipolla savonese (sagonese) Fagiolo coco nano Fagiolo marconi seme nero Fagiolo gentile (dall’occhio o cornetto) Fagiolo serpente Fagiolo turco Fagiolo zolfino Lattuga pesciatina Lattuga Sant’Anna Melanzana violetta fiorentina Pomodoro bistecca Pomodoro costoluto fiorentino Zucca lardaia lunga Zucchina lunga fiorentina Zucchina tonda fiorentina Zucca lardaia quintale Valdarno Valdarno Superiore Valdarno Superiore FRUTTIFERI A RISCHIO DI EROSIONE GENETICA Albicocca reale di Imola Mela biancuccia Mela di Frasio Mela Francesca Mela ghiacciata Mela mora Mela panaia Mela renetta dell’Anciolina Mela zucchina Pera Bella di giugno Pera del curato Pera Luigia Pera romana Pera suppertina Perina dolce della Rocca Pesca cotogna Pesca limone Pesca maggese Pesca passerina Pesca regina di Londa Pesca rosa di Rosano Giuggiolo Uva malvasia di Montegonzi Valdarno Superiore Pratomagno Valdarno Superiore Valdarno Superiore Valdarno Superiore Valdarno Superiore Pratomagno Pratomagno Valdarno Superiore Valdarno Superiore Valdarno Superiore Valdarno Superiore Valdarno Superiore Valdarno Superiore Pratomagno Valdarno Superiore Valdarno Superiore Valdarno Superiore Valdarno Superiore Valdarno Superiore Valdarno Superiore Valdarno Superiore Valdarno Superiore FRUTTIFERI POCO DIFFUSI Valdarno Superiore Valdarno Superiore Valdarno Superiore Valdarno Superiore Valdarno Superiore Valdarno Superiore Valdarno Superiore Valdarno Superiore Valdarno Superiore Valdarno Superiore Valdarno Superiore Valdarno Superiore Valdarno Superiore Valdarno Superiore Valdarno Valdichiana Valdarno Superiore Valdarno Superiore Valdarno Superiore Ciliegia acquaiola Ciliegia bella di Arezzo Ciliegia dura nera di Gorgiti Ciliegia Marchiana del Pratomagno Fico dottato Fico fratino Fico grassello Fico verdino Mela cotogna Mela nesta Susina Claudia Valdarno Superiore Provincia di Arezzo Loro Ciuffenna Loro Ciuffenna Valdarno Superiore Valdarno Superiore Valdarno Superiore Valdarno Superiore Valdarno Superiore Valdarno Superiore Valdarno Superiore PRODOTTI DEL BOSCO A RISCHIO DI EROSIONE GENETICA Castagna mondigiana Castagna perella Marrone di Loro Ciuffenna Pratomagno Loro Ciuffenna Loro Ciuffenna 309 PRODOTTI DEL BOSCO POCO DIFFUSI CEREALI A RISCHIO DI EROSIONE GENETICA Castagna pistolese Castagna raggiolana Castagna tigolese Castagna vitarina Marrone del Casentino Marrone di Caprese Michelangelo Marrone di Montevarchi More di rovello Mais quarantino Pratomagno Casentino Pratomagno Casentino Pratomagno Casentino Arezzo Valtiberina Casentino Valtiberina Montevarchi Pratomagno Valdarno Superiore CEREALI POCO DIFFUSI Mais giallone Arezzo Valdichiana ANIMALI A RISCHIO DI EROSIONE GENETICA Gallina Mugellese Pollo del Valdarno Provincia di Arezzo Valdarno Superiore ALTRE COLTURE A RISCHIO DI EROSIONE GENETICA Gelso (moro) bianco Gelso (moro) nero Girello Provincia di Arezzo Provincia di Arezzo Pratomagno ANIMALI NORMALMENTE DIFFUSI Razza chianina Provincia di Arezzo 311 Annotazioni Finito di stampare nel settembre 2000 da EFFEEMME LITO srl a Firenze per conto di ARSIA • Regione Toscana Le azioni intraprese fin dal 1987, dalla Regione Toscana, per la salvaguardia del patrimonio genetico animale e vegetale del proprio territorio, hanno portato all‘emanazione della Legge Regionale n. 50 del 16 luglio 1997, dal titolo ”Tutela delle risorse genetiche autoctone“, che affida all‘Agenzia Regionale per lo Sviluppo e l‘Innovazione nel settore Agricolo-forestale (ARSIA) la gestione dei Repertori Regionali delle risorse genetiche. Il 19 novembre 1999, presso la Sala della Scherma della Fortezza da Basso in Firenze, l’ARSIA ha organizzato il convegno dal titolo “Il germoplasma toscano: tutela e valorizzazione” e in questo volume si pubblicano gli atti. Tra gli argomenti trattati, lo stato di attuazione della Legge Regionale, le attività delle Commissioni tecnico-scientifiche istituite dalla stessa legge, la gestione della Banca del germoplasma e la promozione dei Coltivatori Custodi; sono stati sviluppati alcuni importanti temi, quali la registrazione delle varietà a rischio di estinzione nel Registro Nazionale delle Varietà Vegetali, e presentate le esperienze più significative nel campo dell‘individuazione, del recupero e della valorizzazione del germoplasma in Italia. Inoltre, sono stati predisposti un apposito spazio poster e un‘esposizione pomologica. Questa pubblicazione riporta per intero i poster presentati. Il germoplasma della Toscana: tutela e valorizzazione Il germoplasma della Toscana: tutela e valorizzazione Collana editoriale ARSIA Il germoplasma toscano: 1. Il germoplasma del ciliegio 2. Germoplasma di specie erbacee di interesse agricolo Richiedere a: ARSIA - Centro di Documentazione Agricola Via Pietrapiana, 30 - 50121 Firenze tel. 055 2755237-247 e-mail: [email protected] - [email protected] Il germoplasma Toscana tutela della e valorizzazione A.R.S.I.A. Regione Toscana