Libri su Radicofani
Personaggi nati a R.
Renato Magi
LIBRI SU
RADICOFANI
E SUI
PERSONAGGI
NATI IN
QUESTO
LUOGO
Radicofani da Codice Diplomatico Amiatino
e altri libri
[a cura di Renato MAGI]
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Libri su Radicofani
Personaggi nati a R.
Renato Magi
RADICOFANI (Articoli ripresi da libri ed elenco dei libri
che riguardano il paese o persone cui ha dato i natali o
Lo hanno reso famoso in Italia e nel mondo)
(Tutta la storia da Desiderio a Kurze e Wickham)
PREFAZIONE
Questo libro nasce dalla volontà di fare una Super-Guida, tralasciando l’aspetto preistorico e
naturale, anche se qualcosa c’è riportato. Il libro è la somma, come si vedrà, e il titolo già lo dice, di
una trentina di libri e alcune riviste storiche fra le più accreditate. Ebbene l’imput, così si dice oggi,
mi venne nel leggere i libri scritti dopo il convegno che si tenne ad Abbadia San Salvatore in occasione
del 950° anniversario della consacrazione della chiesa nuova dell’Abbazia di San Salvatore.
Gli storici che parteciparono a questo convegno furono i migliori che allora potevano essere in
Italia ed Europa cominciando dal tedesco Wilhelm Kurze a Italo Moretti a Carlo Prezzolini a M. Ronzani
a Chris Wickham a Renato Stopani e tanti altri.
Da notare che il Wickham nel suo intervento parla di Radicofani e di come questo Borgo diventi,
grazie all’incastellamento della zona, uno dei principali paesi dell’Amiata e rileva la sua importanza
sulla “Via Francigena” e tutto ciò con il riferimento ed il supporto del CDA.
Proprio tramite il CDA ci informa di tutti i borghi che esistevano nella Valle dell’Orcia e nei
dintorni di Radicofani.
Tutti gli storici presenti al Convegno di Abbadia San Salvatore, almeno la maggior parte, fanno
interventi che trovano riscontro nel “Codice Diplomatico Amiatino” e altri scritti riguardanti l’Amiata e
dintorni che il Kurze pubblica a Tübingen, Niemeyer, 1974-1982.
In questo codice sono compresi in edizione o almeno come testo anche le bolle e i diplomi che
riguardano il monastero.
Lo scritto che mi ha fatto capire quante cose si inventavano prima e durante il novecento è stato
quello del Bicchi e lì vi sono anche cose interessanti, ma non suffragate da nessun documento scritto
precedentemente.
Con questo libro non voglio certamente la gloria; l’importante sarebbe che in futuro resti nella
memoria di qualcuno e che questi lo faccia conoscere agli altri, almeno a coloro ai quali ha dato i natali!
Qui sono, come dice il “Titolo”, riportati ca. 30 libri che parlano del nostro paese, quindi vi è il
meglio, almeno per ora, di ciò che era Radicofani in passato, senza che alcuno possa confutare!
L’importanza però di questo scritto è, anche, nel ricordare tutti i personaggi cui ha dato i natali
il nostro paese e che fino ad oggi sono stati dimenticati e, credo, invece, che debbano essere ricordati
perché anch’essi hanno dato lustro al paese.
L’Italia non li ha dimenticati e proprio su “Internet” oggi possiamo ritrovare molti di questi nostri
paesani anche in libri antichi riportati su “Internet”.
Addirittura la famiglia nobile di questo paese era ricordata solamente dagli storici, ma i
concittadini dei “Guasta”, se ne erano dimenticati! Forse perché il Pecci li chiama “tiranni”.
Dei più importanti se n’è ricordato, proprio, il Pecci e pochi altri e proprio questo mi ha
appassionato e mi ha fatto un ricercatore di questi miei concittadini che cerco di ricordare tutti e mi
scuseranno coloro che ritroveranno qualcuno di cui mi sono dimenticato.
*****°°°°*****
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In corsivo chiaro sottolineato sono le aggiunte fatte a cura dell’autore.
ABBREVIAZIONI
AASS
Archivio dell’Abbadia San Salvatore
ACA
Archivio Comunale di Abbadia San Salvatore
ASF
Archivio di Stato di Firenze
ASS
Archivio di Stato di Siena
Atti 5°
Atti del 5° Convegno Internazionale di Studi sull’Alto Medioevo,
Spoleto 1973
BSSM
Bollettino della Società Storica Maremmana
BSSP
Bollettino Senese di Storia Patria
Caleffo Vecchio
GIOVANNI CECCHINI
CAMMAROSANO,
(a cura di), Caleffo Vecchio del Comune di Siena,
I, II, III, Siena 1931 – 1940.
IV, MARIO ASCHERI, ALESSANDRA FORZINI, CHIARA SANTINI (a cura di),
Siena 1984.
Berardenghi
PAOLO CAMMAROSANO,
La famiglia dei Berardenghi, Contributo alla
storia della società senese nei secoli XI-XIII (Biblioteca degli «Studi Medievali», 6), Spoleto 1974
CDA I/II/IV
WILHELM KURZE (a cura di),
Codex Diplomaticus Amiatinus. Urkundenbuch
Der Abtei S. Salvatore am Montamiata. Von den Anfängen bis zum Regierungsantritt Papst Innozenz III. (736-1198).
I, Von den Anfängen bis zum Ende der NationalKönigsherrschaft (736-951).
Tübingen 1974.
II, Vom Beginn der ottonischen Herrschaft bis zum Regierungsantritt Papst
Innozenz III. (962-1198), Tübingen 1982.
IV, Faksimiles. Tübingen 1978/1982.
CDL
Codice diplomatico longobardo.
I, LUIGI SCHIAPPARELLI (a cura di), Roma 1929
II, LUIGI SCHIAPPARELLI (a cura di), Roma 1933
III/1, CARLRICHARD BRÜHL (a cura di), Roma 1973
= Fonti per la storia d’Italia n. 62, 63, 64/1
CDO
LUIGI FUMI (a cura di), Codice Diplomatico della città di Orvieto (Documenti di storia italiana, VIII), Firenze 1884.
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Ceti dirigenti I
I ceti dirigenti in Toscana nell’età precomunale. Comitato di studi sulla
Storia dei ceti dirigenti in Toscana. Atti del 1° Convegno, Pisa 1981.
II I Ceti dirigenti dell’età comunale nei secoli XII e XIII. Atti del 2° convegno. Pisa 1982.
IV Nobiltà e ceti dirigenti in Toscana nei secoli XI-XIII: strutture e concetti. Atti del 4° convegno. Monte Oriolo, Impruneta 1982.
CIACCI, Aldobrandeschi
GASPERO CIACCI,
Gli Aldobrandeschi nella storia e nella «Divina Commedia» (Biblioteca storica di fonti e documenti, 1 e 2), Roma 1935.
Codice
GIOVANNI FATTESCHI, Codice diplomatico
della Badia di S. Salvatore del
Monte Amato, o sia Appendice di monumenti comprovanti l’esposti nelle
Memorie della Badia predetta. Biblioteca nazionale Centrale di Roma, ms.
Sessoriano nr. 213.
Comune e Monastero
Abbadia San Salvatore: comune e monastero in testi dei secoli XIV-XVIII
(Documenti di storia, 3n- Comune di Abbadia San Salvatore), MARIO ASCHERI
(A CURA DI), Abbadia San Salvatore 1986.
Exemplaria
GIOVANNI FATTESCHI, Exemplaria
Diplomatum tam Pontificum quam
Imperatorum nec non Istrumentorum in tabulario Cenobii S. Salvatoris Montis
Amiati existentium ab (...) anno 1228 (...) usque ad anno 1500, I, Biblioteca
Centrale di Roma, ms. Sessoriano, nr. 215.
FATTESCHI, Cronico
GIOVANNI FATTESCHI, Cronico
del monastero di S. Salvatore detto del Monte
Monte Amiato nell’agro Senese. Dall’anno 1228 (...) fino all’anno 1770,
ASS, Conventi 5.
FATTESCHI, Memorie
GIOVANNI FATTESCHI, Memorie
Istorico-Diplomatiche dell’antichissimo MoNastro di S. Salvatore al Monte Amiato, nell’Agro Senese, copia dell’anno 1811
In Biblioteca Centrale di Firenze, ms. Palatino 1131 (orig. : Biblioteca Nazionale Centrale di Roma, ms. Sessoriano nr. 414).
GHERARDINI II/III
Visita nell’anno 1676 alle Città, Terre, Castella dello Stato della Città di Siena
dall’ill.mo Sig.re Bartolomeo Gherardini Auditore Generale in Siena per l’A.S.
di Cosimo III de Medici Granduca VI di Toscana, copia del sec. XVIII, in ASS,
Manoscritti, D 83 (Parte seconda) e D84 (Parte terza).
IGM
Istituto Geografico Militare
It. Pont. III P.F. KEHR, Italia Pontificia, III: Etruria, Berlin 1908.
KURZE, Königsurkunde
WILHELM KURZE, Die langobardische Königsurkunde für S. Salvatore am Monte Amiata QFIAB
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57 (1977), e ora anche in WILHELM KURZE, Monasteri e nobiltà nel Senese e nella Toscana medievale. Studi diplomatici, archeologici, genealogici, giuridici e sociali; Accademia Senese degli
Intronati. E.P.T., Siena 1989, p. 357 sgg.
KURZE, Monasterium Erfonis
WILHELM KURZE, ‘Monasterium Erfonis’ i primi tre secoli di storia del monastero e la loro tradizione, documentaria, in 950° consacrazione.
MGH
MIÖG
Monumenta Germaniae Historica: DD = Diplomata; Fr = Friedrich (Federico), H =
Heinrich (Enrico), K = Konrad (Corrado), O = Otto (Ottone); SS = Scriptores.
Mitteilungen des Instituts für Österreichische Geschichtsforschung.
950° consacrazione
950° consacrazione della nuova chiesa dell’Abbazia di San Salvatore al Monte
Amiata (1053 – 1985), Abbadia San Salvatore 1985.
QFIAB
Quellen und Forschungen Archiven und Bibliotheken.
Rat. Dec. I/II
Rationes Decimarum Italiane nei secoli XIII e XIV. Tuscia.
I.
La decima degli anni 1274 – 1280, P. Guidi (a cura di), Città del Vaticano 1932
(Studi e Testi, 58);
II.
Le decime degli anni 1295 – 1304, (a cura di) M. GIUSTI e P. GUIDI, Città
del Vaticano 1942 (Studi e Testi, 98).
REDON, Uomini e comunità
ODILE REDON, Uomini e comunità del contado senese nel Duecento, Amministrazione
Pro-
vinciale di Siena, Accademia degli Intronati, Siena 1982.
Reg. Sen.
FEDOR SCHNEIDER, Regestum
Repertorio
PAOLO CAMMAROSANO – VINCENZO PASSERI, Città borghi e castelli dell’area senese-grossetana. Repertorio delle strutture fortificate dal medioevo alla caduta
della Repubblica senese, Amministrazione Provinciale di Siena, Siena 1984.
REPETTI
Senese. Regesten der Urkunder von Siena. I: Bis
zum Frieden von Poggibonsi, 713-30 Juni 1235, Roma 1911 (Regesta Chartarum
Italiae, VIII)
EMANUELE REPETTI, Dizionario
geografico-fisico-storico della Toscana, Firenze
1833-1845, I – IV (Ristampa anastatica Roma 1972).
SCHNEIDER, L’ordinamento
FEDOR SCHNEIDER, L’ordinamento
pubblico nella Toscana medievale. I fondamenti dell’amministrazione regia in Toscana dalla fondazione del regno Longobardo alla
estinzione degli Svevi (568-1268), trad. ital. A cura di FABRIZIO BARBOLANI MONTA5
Libri su Radicofani
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UTO dal titolo originale: Die Reichsverwaltung in Toscana von der Gründung des
Langobardenreiches bis zum Ausgang der Staufer, I: Die Grundlagen, Rom 1914.
SPICCIANI, I Farolfingi
AMLETO SPICCIANI, I
Farolfingi, conti di Chiusi e conti di Orvieto nei secoli XI-XII,
BSSP (1985), pp. 7 – 65.
SSMA
San Salvatore del Monte Amiata
TTM
SILVIO PIERI, Toponomastica
RDI I
P. Guidi, a cura di, Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia, I: La decima negli anni 1274-1280, Città del Vaticano 1932, ristampa anastatica Modena 1976.
RDI II
M. Giusti, p. Guidi, a cura di, Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia,
II: le decime degli anni 1295-1304, Città del Vaticano 1942, ed. anastatica Roma s.d.
della Toscana meridionale (Valle del Fiora, dell’Ombrone, della Cecina e fiumi minori) e dell’arcipelago toscano, a cura di GINO GAROSI, riveduto da GIULIANO BONFANTE, Accademia Senese degli Intronati, Monografie di
storia e letteratura senese, Siena 1969.
G.A. PECCI Memorie storiche, politiche, civili e naturali delle città, terre e castella che sono e sono
state suddite della città di Siena. Ms. D 71, cc. 409-453. A.S.
Iniziamo con l’elenco dei libri che parlano soltanto di Radicofani o di fatti o
personaggi o monumenti di Radicofani, di questi libri riporto solamente i fatti salienti
che, generalmente, sono poco conosciuti:
RADICOFANI – Notizie Storiche – a cura di O. Bicchi – Tip. e Lit. Sordomuti
Ditta L. Lazzeri – Siena 1912 – Estratto dal Bullettino senese di Storia Patria – Anno
XIX. Fasc. III.
(Il libro è una copiatura del Pecci e di altri scritti, alcuni dei quali interessanti, ma
nulla di nuovo; importante, invece, è ciò che riporta a proposito della geologia del
posto che riporto qui sotto).
«Molti naturalisti e geologi hanno fatto oggetto dei loro studi questa
interessantissima montagna e nel 1722 il Micheli dichiarò esservi stato lassù, in
tempi molto remoti, un vulcano (tutto ciò è stato oggi accertato da recenti ricerche)»
«Infatti lo scoglio non è che un cono basaltico, il quale innalzandosi sulla montagna di origine
marina, offre un’apparenza assai caratteristica di un cataclisma ivi avvenuto in tempi remotissimi per
cui si formò un vero cratere; da questo furono spinte fuori con violenza esplosione ceneri e lave fuse
che in seguito, raffreddate, acquistarono una struttura spugnosa. E perciò che sopra lo scoglio, ove
esistono gli avanzi della fortezza, si veggono grandi masse di lava rossastra esternamente cellulosa,
internamente più dura e tanto più compatta quanto più s’interna e si avvicina al letto inferiore, in
guisa da servire questa ad uso di macine da molino» (REPETTI. Dizionario geografico della Toscana. Vol.
IV, pag. 714. Cfr. GIORGIO SANTI. Viaggio secondo, per le due provincie Senesi. Pag.431 e segg.)
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Libri su Radicofani
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Relativamente all’ammasso di pietre che trovasi, come abbiamo detto, nel terreno sottostante al
paese, si ritiene da alcuni che, data la natura vulcanica di questo monte formato da un solo scoglio
smisurato, qualche terribile terremoto lo abbia fortemente scosso ed abbia gettato lontano tutti quei
sassi. Altri invece pensando alla loro disposizione ed alla qualità dello scoglio enorme che regge la
Rocca, ritengono che questo fosse formato da tanti scogli più piccoli congiunti insieme con terra
durissima, precisamente come intorno a Siena si vedono parecchi grandi massi formati da piccole
pietre unite strettamente fra loro. Coll’andar degli anni le piogge cadendovi e penetrando per quella
creta, la resero più molle e lentamente se ne andò; sicché quei sassi rimanendo affatto staccati,
rotolarono per il gran peso, rimanendo ove li portò l’impeto della caduta.
I fianchi del monte, da cui scaturiscono fonti perenni e salubri, come quella di Castelmorro, dei
Cappuccini, la Fonte grande e la Fonte Antese, sono coperti di marna conchiliare cerulea interrotta
da banchi di minuta ghiaia; ne risulta così un terreno sterile. (Secondo il SANTI (op. cit.) l’essere questo
territorio quasi affatto spogliato, dipende in parte dalla qualità del terreno e in parte dalla legge militare che proibiva di
ingombrar con piante, il paese intorno alla fortezza ), mentre al contrario è fertile il suolo un po’ più discosto
dal paese perché ricoperto da detriti di rocce vulcaniche.
L’altezza della montagna, presa dal punto più alto del semidistrutto torrino della fortezza, è di m.
896 sul livello del mare. Cento metri al disotto, e cioè al punto in cui incomincia lo scoglio, si trova
il paese a cui già ho accennato e del quale mi accingo a narrare la interessante storia.
Secondo quanto narra il Dr. Vilifranchi che fu quivi Medico-Condotto intorno al 1830, esso fu un
tempo chiamato Castello di S. Pietro a cui la terra è dedicata e sotto il cui titolo è la Chiesa arcipretale
(VILIFRANCHI. Lettera al Prof. Studiati, pubblicata nel «Nuovo giornale pisano dei Letterati», anno 1832). Tanto
questo scrittore quanto l’illustre storico Muratori ritengono che abbia poi rinvenuto il nome di
Radicofani per esser situato alle radici di uno scoglio il quale offrendo la figura di un gran cestone
rettangolare, fu detto perciò Monte Cofano (Radix Cofani) (MURATORI. Storia del Medio Evo. Vol. IV,
Dissert. 50, p. 567.).
DELLA ROCCA DI RADICOFANI –– CENNI SULLA ISTORIA E SUL
RESTAURO DELLA STESSA ROCCA DISTINTI IN CAPITOLI DUE - Stampato da U.
Filippetti – a cura di L. Chiavini – Anno 1928.
STAMPATI AD INIZIATIVA E CURA DELL’ILLUST.MO ED ECCELL.MO SIG. @ IL SIG.
LUIGI BOLOGNA @ - PODESTȦ DI RADICOFANI – NELL’ANNO MCMXXVIII. VI E.F.
(Questo libro è importante soltanto per le cose effettuate nel restauro ma non dice
nulla di nuovo per la storia di Radicofani, però da questo riprendo le considerazioni
su Eugenio Magrini l’autore dell’articolo di cui parlo nella rivista subito sotto).
Al maggiore si deve il restauro del Maschio come si vede oggi e così ce lo presenta
il libro in questione:
Il Maggiore Eugenio Magrini, con profonda conoscenza dell’arte delle fortificazioni, illustrò con
infinita precisione le antiche difese, ricercò sui trattati d’arte militare, del Rinascimento in ispecie,
quegli elementi necessari a che, giustamente interpretato quanto a noi rimaneva, i particolari restaurati
o riedificati, rispondessero a quelle finalità belliche secondo le quali erano stati un tempo costruiti.
LA FORTEZZA DI RADICOFANI – a cura di Eugenio Magrini – Istituto
Poligrafico dello Stato – Roma 1929 – Estratto dalla Rivista “Esercito e Nazione”
Fasc. VIII, Anno VII -1929.
(Libretto copiato a penna in tre Album da disegno da chi scrive nell’anno 1969).
Ecco cosa dice un nostro compaesano arrivato al grado di Maggiore dell’esercito
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Libri su Radicofani
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Renato Magi
italiano, il quale, profondo conoscitore dell’arte delle fortificazioni consigliò il restauro
del Maschio della rocca nei primi anni ‘20:
Terra che ha lasciato impressioni profonde, in bene o in male; che si è attirata la definizione di
«Paesaggio-Lunare», come anche quella – ed è di D’Annunzio – di «paesaggio più virile d’Italia».
Tutto dipende dalla mentalità di chi la visita. Potremmo interessarci un poco ricercando il fondamento
psicologico dei biasimi (pochi, ma aspri) e degli elogi: personaggi consacrati alla fama, hanno creduto
meritevoli queste «belle» crete di Radicofani di alto compiacimento spirituale, sicché ci sentiamo
autorizzati a ritenere, per conto nostro, che se taluno discorda, dipende da tenace indirizzo a forma di
vita piane, terra terra, direi antitetiche alle forme liriche. La prosa, che tutti ne inceppa e molti
conquide, non si trova bene in questo sterminato orizzonte, davanti a questo spettacolo di forze
cosmiche nude e solenni, sicché è consigliabile deporla, a scanso di forti disillusioni, visitando i
luoghi. Lasciando la storia che parla del paese e della fortezza mi piace ricordare qui
sotto cosa dice dell’assalto che Cosimo I, considerando l’importanza della piazza e
saputo da lettere intercettate che essa scarseggiava di viveri e munizioni, ordinò a
Chiappino Vitelli nel 1555. Il Magrini nel suo articolo riporta un manoscritto attribuito
al Turinozzi (Niccolò), segretario della Repubblica:
«Era quivi Commissario della Repubblica Ottaviano Ottaviani, gentiluomo senese, e si trovava
alla difesa di quel luogo (fortezza di Radicofani) Giulio De Tienne con le armi francesi……. Era
questo valoroso cavaliere a capo di 150 fanti. Venne il Trombetto alla porta di Radicofani e domandò
chi erano i governatori della Terra; allora si presentarono i due sopraddetti signori, ai quali il
trombetto espose che era mandato dal signor Chiappino, generale dell’esercito nemico, e dai
commissari del Palazzo di Siena e che voleva la Terra, altrimenti havevano li cannoni e 7000 fanti
che venivano alla volta di Radicofani per fare l’ultimo esterminio. Il conte de Tienne rispose: «Io
sono il conte Giulio de Tienne a guardia di questo luogo e difensore della Repubblica libera di Siena
ritirata in Montalcino, perciò dirai a codesti tuoi che io la voglio difendere passo a passo». Nello
stesso modo subito dopo rispose l’Ottaviani. A 20 ore dal detto dì, comparve il capitano nemico sul
Poggio Sasseta incontro alla muraglia di Castelmorro, e piantata l’artiglieria nella mattinata, all’alba
tirarono 236 tiri, traendo a terra le mura della fortezza per 12 canne e fino alle fondamenta. Alle ore
20½ circa, vennero sei compagnie di spagnoli e sei di italiani a bandiere spiegate e derno l’assalto
alla Terra e da venti soldati del Giulio e da altri uomini della terra furono gagliardamente ributtati.
Vennero 6 insegne di tedeschi di nuovo subito, per assalire la batteria e ugualmente furono ributtate
e similmente rinfrescando sei altre rassegne di tedeschi, furono similmente ributtate con perdita
grande. Non voglio tacere la fortezza di Monna Francesca, moglie del detto Commissario Ottaviani,
insieme con Emilia sua cugina, che in puro abito vestite, messero in ordinanza alla battaria più di
duecento donne della Terra, con armi e sassi, medicine e pezze, con tal virilità e grandezza d’animo
che li soldati et huomini della terra ne pigliavano grande ardire. Vedendo l’inimici che poco frutto
facevano, portorno l’artiglieria dalla banda appresso a Fontefredda. Il Commissario di Siena del
campo nemico, chiamato Muzio di M. Francesco Petrucci, domandò parlamento al Commissario della
Repubblica, Ottaviani. Da questi gli fu risposto «che non era tempo di parlare, ma di combattere e
menar le mani». Venne l’assalto generale di tutto l’esercito con scala alla muraglia e alla battaria,
dimodoché a quelli dentro bisognava difendere la battaria e le mura con grandissimo romore e
travaglio del Commissario e degli uomini della Terra» ……………………………….
«Dopo aver così battute inutilmente le mura una seconda volta, il Vitelli stava per disporre in altra
parte la battaria volendo ad ogni costo, per non danneggiare la propria reputazione, prendere la
fortezza. Ma in questo tempo il duca Cosimo, considerando lo infelice successo dei primi assalti e
d’altra parte l’acquisto di questa piazza poteva maggiormente irritare il Pontefice ed essere origine di
altra guerra, impose al Vitelli che desistesse da quell’impresa e ritirasse in Siena l’Esercito».
«Partirono così i nemici dal campo di Radicofani con grandissima furia, lasciando rotti tre pezzi
di artiglieria e gran quantità di munizioni».
Così Eugenio Magrini continua il racconto:
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Libri su Radicofani
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Il celebre pittore di battaglie (Jacques) COURTOIS, detto il Borgognone, ha scelto questo
assalto alla Rocca di Radicofani per un suo quadro, che ammirasi nella galleria degli UFFIZI a
Firenze.
Questa bella difesa fu sostenuta in gran parte dagli abitanti del paese; ché il buon Giulio de Tienne
aveva solo 150 soldati.
L’assalto fu respinto non ostante il numero dei nemici e l’abilità del condottiero, ed i radicofanesi
scrissero nella storia del paese una pagina veramente gloriosa!
RADICOFANI – a cura di Alberto Luchini – Stampato da “L’Impronta S.p.A.”
a Scandicci (FI) – Luglio 1970.
(Il libro del Luchini, figlio del più famoso Odoardo, è presentato da Piero Bargellini,
scrittore e giornalista, già sindaco di Firenze, il quale del nostro dice:
Lettore accanito, anzi perpetuo, Alberto Luchini era figura caratteristica della Firenze fra le due
guerre. Scendeva per Via Cavour col bastone sotto il braccio e un libro sotto gli occhi. A cosa gli
servisse quel bastone nessuno riusciva a capire. Il libro invece era il compagno inseparabile di quel
giovane avvocato insaziabile di sapere. Chi leggerà queste pagine su Radicofani, dov’egli ha vissuto
e vive a lungo, si accorgerà come la mente dell’autore sia piena di echi, dovuti alla cultura ricchissima
e sovrabbondante.
Di questo libro posso solamente dire che mi trova su la maggior parte delle
descrizioni del tutto d’accordo anche con la descrizione che Bargellini fa dell’autore,
con il quale ho discusso molto di varie materie negli anni ’60, al caffè “La Rocca”; Bar
di fronte alla Chiesa di San Pietro in “V.le del Maccione”).
I PARROCI DI RADICOFANI – a cura di F. Marcello Magrini – Edizioni
Cantagalli – Siena febbraio 1983 –
(La ricerca di Don Marcello sui parroci da una panoramica di coloro che l’hanno
preceduto dal 1557 ai giorni nostri e racconta del paese dall’ottocento fino a metà
del 1900, ed è interessante il racconto della festa della “Madonna delle Vigne”).
GIUSTIZIA PER UN BANDITO – a cura di F. Marcello Magrini – Libro
Dattiloscritto e ciclostilato – Radicofani 1985.
(Il libro traduce in italiano gli articoli della bibliografia, ripresi dalle traduzioni di
Giovanni Cecchini, nell’articolo su Ghino di Tacco che pubblica nell’Archivio Storico
di Siena, che riguardavano sia Ghino che la sua famiglia)
LA VERITÀ STORICA SU GHINO DI TACCO – Radicofani difende e riabilita
il suo castellano – a cura di F. Marcello Magrini – Editore B. Chigi – Rimini 1987 –
(Il libro è l’apoteosi del precedente che è stato venduto al congresso di Rimini del
Partito Socialista Italiano e che ci fece avere l’appoggio di Craxi e quindi i
finanziamenti per il restauro della fortezza. Senza questo libro, i cui documenti li feci
conosce a Don Marcello, la fortezza sarebbe ancora com’era nel 1987! Qui di seguito
riproduco l’articolo che ho pubblicato su “Centritalia news” e su “Amiata Storia e
Territorio” e che tratta del ritrovamento, appunto, dell’articolo di Giovanni Cecchini
sull’A.S.S.:
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Libri su Radicofani
Personaggi nati a R.
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Un articolo del 1957 e la riscoperta di Ghino di Tacco.
Nel settimanale “Panorama” 1023, del 24 novembre 1985, anno XXIII esce un articolo dal titolo
«Ricordate Ghino di Tacco?» firmato da Carlo Rossella. Leggendo tale articolo vidi subito che
l’estensore del medesimo parlava come fanno coloro che s’informano leggendo le note alla “Divina
Commedia”, o la novella del Boccaccio. Inviai una lettera alla rivista spiegando la differenza che
esisteva fra il personaggio reale e quello da loro descritto nella pubblicazione. Il 19 gennaio 1986 a
pag. 59 della rivista l’«Espresso» ( rivista settimanale – n. 2 – Anno XXXII – Gennaio 1986 – pagg. 5865) vi è l’annuncio dell’uscita del libro di Eugenio Scalfari, «La sera andavamo in via Veneto», per le
edizioni Mondadori.
In quell’articolo vi è l’anticipazione del soprannome dato a Craxi il quale da allora firmava i suoi
articoli sull’ “Avanti” con il soprannome di “Ghino di Tacco”. In un trafiletto a parte, dal titolo
significativo “Bettino, signore di Radicofani”, tratta del capitolo del libro intitolato “La stella Craxi”.
Quanto scritto sopra, e parte di quanto dichiarerò sotto, mi fecero venire in mente l’articolo del
Cecchini che avevo riposto nella biblioteca nella parte che riguarda la storia di Radicofani, articolo
che giaceva nell’ «Archivio Storico Italiano» dal 1957, ma che solo gli addetti, forse, conoscevano.
Negli anni ’70, venne a Radicofani uno studente americano che frequentava l’Università per
stranieri di Siena, costui doveva dare la tesi sui “Briganti del ‘300 in Toscana”, e venne a cercare notizie
su Ghino di Tacco. Siccome a Radicofani uno degli studiosi della storia locale si chiamava Mario
Rappuoli, non solo, ma per essere stato prigioniero in Scozia durante la seconda guerra mondiale,
conosceva molto bene anche l’inglese, fu proprio lui che raccontò all’americano tutto quanto si sapeva
e conosceva sulla vita di Ghino di Tacco. Si lasciarono l’indirizzo con la promessa che chiunque avesse
trovato altre notizie su Ghino di Tacco le avrebbe notificate all’altro. Così avvenne che dopo pochi mesi
il Rappuoli si vide arrivare una lettera dall’americano che gli comunicava che nell’Archivio Storico
Italiano, CXV 1957, PP. 263-298 vi era un articolo su Ghino di Tacco di Giovanni Cecchini, molto
circostanziato, in cui la bibliografia era formata da documenti archivistici. Si trattava del più importante
articolo per conoscere la vera storia di Ghino di Tacco, corredato di un’appendice con tutti i documenti
che riguardavano la sua famiglia.
Ad agosto del 1984 ritornai a Radicofani, allora lavoravo a Sezze, e l’amico di storia patria Mario
Rappuoli (classe 1916), mi informò che sulla rivista Il Giornale dei misteri (Il giornale dei Misteri,
agosto 1984, n. 156, anno XVI, edito da Corrado Tedeschi a Firenze). Alle pagine 67 – 72 del mensile
c’era l’articolo di Don Marcello (così chiamavavo in paese Monsignor M. Ferruccio Magrini) “-Ghino
di Tacco bandito gentiluomo – Storia e leggenda del «Falco di Radicofani» appunto su Ghino di Tacco.
Quando ritornai a Sezze cercai la rivista finché un giorno la trovai, per fortuna, a Terracina. Mi misi
a leggerla con frenesia e mi accorsi con sorpresa, che il Magrini non conosceva per niente i documenti
che avevamo io, Giuseppe Marsiglia (Il Marsiglia, lavorava all’anagrafe a Siena, fu colui che prese le
fotocopie del documento del Cecchini e che le inviò a me e all’amico Mario Rappuoli). Mi stupì anche
il fatto che il Rappuoli nulla disse a Don Marcello di quei documenti importantissimi ritrovati
all’Archivio di Stato di Siena. Andiamo con ordine.
Quando ritornai a Radicofani dopo tre o quattro mesi trovai Don Marcello e gli portai questi
documenti che apprezzò moltissimo e, in seguito, mi regalò i libri, il primo ciclostilato (intitolato
GIUSTIZIA PER UN BANDITO - La verità storica su Ghino di Tacco e la sua famiglia nella
documentazione integrale dell’Archivio di Stato di Siena e la dedica “A Renato Magi «amico cultore di
Storia Patria» con amicizia e gratitudine. Don Ferruccio Marcello Magrini”) e poi l’altro stampato (Il
secondo è intitolato: La verità storica su Ghino di Tacco – Radicofani difende e riabilita il suo
castellano). La dedica “All’amico Renato Magi che per primo fornì notizie della documentazione
Cecchini”- Radicofani, 16 aprile 1987 – Don Ferruccio Marcello Magrini. Il libro uscì nel 1987 edito
da «Bruno Chigi editore - Rimini» durante il congresso, se non vado errato, del Partito Socialista Italiano,
entrambi, come riferito sopra, con dedica, dalla quale si evince chi effettivamente fornì le notizie
storiche.
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Libri su Radicofani
Personaggi nati a R.
Renato Magi
Quando nel 1988 uscì su “Amiata storia e territorio” l’articolo a firma di Franco Cardini (F. Cardini
“Ghino di Tacco: proposta d’interpretazione”, (Amiata storia e territorio – n. 1, marzo 1988, pag. 8) che
asserisce, facendolo dire ad Anna Bonsignori “Il merito dell’aver rivendicato alla storia……spetta a
Don Ferruccio Marcello Magrini”, tutto ciò non è vero perché, se non ci fossero state tutte le circostanze
sopra descritte, i documenti del Cecchini, che giacevano nell’Archivio di Stato Italiano di Siena dal
1957, e non erano mai stati fatti conoscere prima, probabilmente giacerebbero ancora lì.
Ciò che ancora oggi non riesco a capire perché il Rappuoli, che era molto più a contatto con Don
Marcello, e che era un uomo molto attento, non gli abbia dato la documentazione (del resto fu lui a dirmi
dell’articolo di Don Marcello sul Giornale dei Misteri!), fornitagli dal Marsiglia prima di me.
So che il Cecchini era uno studioso e anche direttore dell’Archivio di Siena e in questa veste tradusse
tantissime opere presenti nell’archivio, e se non vado errato negli anni ottanta è uscita un’opera di
quindici volumi, a cura dell’Università di Siena, su tutte le sue traduzioni.
Scrisse anche Il palio di Siena pubblicato a cura del Monte dei Paschi di Siena nel 1958.
Insieme a mia figlia Beatrice nel 2006 abbiamo trascritto e pubblicato il manoscritto del Pecci su
Radicofani. Con mia sorpresa ho visto che, anche lui, già a metà anni del XVIII sec. contro il parere di
molti scrittori, asserisce che Ghino di Tacco era discendente dei Cacciaconti e, precisamente, dai Signori
della Fratta (ramo Guardavalle), dando ragione a Benvenuto da Imola, e a G. Cecchini.
Quanto sopra per amore della verità!
LE ROBBIANE DI RADICOFANI E …. – a cura di B. Santi e C. Prezzolini –
Edizioni Cantagalli – Siena marzo 1993 –
(Il libro, come dice il testo, racconta ed enumera le robbiane che sono nella chiesa
di S. Pietro e quella che si trova sull’altare di Sant’Agata, ed è molto interessante dal
punto di vista artistico).
IL BOSCO ISABELLA A R. – Un bosco tardoromantico – a cura di M.
Mangiavacchi e E. Pacini – Editoriale Donchisciotte – Cortona febbraio 1994.
(Il libretto ci fornisce notizie utili per conoscere a fondo come nasce il Bosco
Isabella e per conoscere il suo ideatore Odoardo Luchini del quale parleremo più
avanti in queste pagine).
LA POSTA DI RADICOFANI. – a cura di L. Carandini –Edizioni Cantagalli
1995 –
(Il saggio del Carandini è apparso nella rivista bimestrale dell’Istituto Geografico
Militare di Firenze nel Gennaio-Febbraio 1964 – Anno XLIV – n. 1; notizie più
dettagliate sono nelle pagine più avanti perché quest’articolo fu ripubblicato in un
libretto a cura del Comune di Radicofani nell’anno 1995).
LA CITTÀ FORTIFICATA DI R. – a cura di C. Avetta – Nuova Immagine
Editrice – Siena 1998.
(È la storia, trasformazioni e restauro del castello, grazie al libro di Don Marcello
Magrini edito a Rimini in occasione del Congresso del P.S.I., e fu l’occasione per il
partito per far arrivare, inizialmente con il finanziamento F.I.O. {Fondo di
Investimento per l’Occupazione [ FIO “89” Città Fortificata di Radicofani ], e
successivamente del Ministero del Bilancio e poi gestito dal Ministero per i Beni
Culturali ed ambientali tramite la concessionaria {«A.T.I. “Città Fortificata di
Radicofani S.C. a r.l.”} i miliardi per il restauro. Questo libro voluminoso oltre alle
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Libri su Radicofani
Personaggi nati a R.
Renato Magi
ricerche archeologiche ha molti documenti dell’A.S.S. e dell’A.S.F. con articoli vari di
Storici, di geologi, di archeologi e ricercatori vari sulla fortezza e sul colle nel quale è
adagiata). Vi sono però ricerche d’archivio molto interessanti.
GHINO DI TACCO NELLA TRADIZIONE LETTERARIA DEL
MEDIOEVO – a cura di B. Bentivogli – Salerno Editrice – Cittadella (PD) Maggio
1992.
(Il libro raccoglie tutti gli scritti che fanno riferimento a Ghino di Tacco, comprese
le poesie e l’articolo di Giovanni Cecchini pubblicato nell’ «Archivio Storico Italiano»,
CXV 1957, pp. 263-98 - e ritrovato da uno studente statunitense dell’Università per
stranieri di Siena che gli servì per la tesi “I briganti del ‘300” di cui ho parlato più
dettagliatamente più sopra).
IL PAGLIA – a cura di Jader Jacobelli – Edizioni Ceccarelli Grotte di Castro
(VT) – Anno 2000.
(L’autore è stato per molto tempo un giornalista della RAI. È la storia del Paglia,
affluente del Tevere, ed è un libricino molto importante; ha la forma di un arco ed è
composto di 64 pagine, che ci danno, credo per la prima volta, notizie importanti su
questo fiume. È la storia dal primo ponte costruito dagli Etruschi fino ai giorni nostri!).
RADICOFANI Guida alla rocca ad al borgo – a cura di Riccardo Terziani –
Edizioni Cantagalli – Siena settembre 1999.
(Il libretto è, come dice il titolo, una guida, fino a questa data, abbastanza
esauriente di Radicofani).
GHINO DI TACCO detto “IL FALCO” – a cura di G. Guidotti – Albignasego (PD)
luglio 2001.
(È un romanzo che cerca di seguire la storia del personaggio, ma non so fino a che
punto ci riesca).
GHINO DI TACCO – a cura di Bettino Craxi – Edizioni Koinè – Febbraio 1999.
(In questo libro Craxi difende Ghino e se stesso).
PENSIONE VERTUNNO E DINTORNI – a cura di Vito Mazzuoli –
Tipografia “Stampa 2000” – Abbadia San Salvatore – 2001.
(Il libro del Mazzuoli è uno spaccato della storia radicofanese, di quasi due secoli,
che sarebbe stata irrimediabilmente perduta, se il libro non fosse stato pubblicato. In
questo libro vi è la storia della “Pensione Vertumno” e dei personaggi che vi
soggiornarono! Qui, di seguito, l’elenco di coloro che la frequentarono:
Il primo personaggio da ricordare è Gino Severini, pittore di fama internazionale
al quale Matilde Luchini, padrona della pensione gli fece da maestra e della quale
parleremo più avanti. Il secondo frequentatore e amico di famiglia è Curzio Malaparte,
scrittore italiano di origine tedesca, autore di “Maledetti toscani”, di “Kaputt”, di “La
Pelle” ecc. ecc., il quale non solo era un frequentatore della Pensione Vertumno ma
anche amico di famiglia, che fece il testimone al matrimonio di Alberto Luchini, figlio
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Libri su Radicofani
Personaggi nati a R.
Renato Magi
di Matilde. Comunque facciamo parlare Vito nel suo libro, il quale ci parla subito della
padrona: «…………………Disegnatrice di notevole caratura, era stata la prima maestra del pittore
Gino Severini, preso da lei a benvolere nell’ultimo scorcio del secolo diciannovesimo, per
l’inclinazione e le doti straordinarie, che dimostrava nell’arte figurativa.
Figlio di un uscere povero della Pretura di Radicofani, ma originario di Cortona, il ragazzo non
avrebbe potuto iniziare il suo percorso artistico senza il valido aiuto di questa Signora, pittrice
macchiaiola e ritrattista di valore, che per lui fu più di un mecenate.
………………….Degli antichi insegnamenti della signora radicofanese, l’ex allievo, terrà conto
per tutta la vita e non avrà alcuna remora a riconoscere che :« insegnandomi in che cosa consistesse
la pittura, fu proprio lei a mettermi sulla via dove sono» e poi Vito continua così : ……….Iniziamo
con Bonaventura Tecchi da Bagnoregio (1896 – 1968), critico letterario e uno dei più attivi scrittori
fra le due guerre, autore de “Il seme sulla sabbia”, “Il venti fra le case”, Valentina Velier”, “Gli
egoisti”, e altre opere che gli conferiscono consensi e fama.
Romano Bilenchi (1909 – 1989) da Colle Val d’Elsa, suoi i racconti “La siccità”, “Gli anni
impossibili”, ed altri scritti……….
Antonio Baldini (1889 – 1962) fu tra i fondatori de ‘La Ronda’, collaboratore de “La Voce” della
“Nuova Antologia”, scrisse “Il Rugantino”, “Vedute di Roma” e “Beato fra le donne”.
Piero Bargellini (1897 – 1980) fondatore del “Frontespizio”, autore di “Pian dei Giullari” e
“Belvedere” ……È sua la prefazione al volume di Alberto Luchini “Radicofani”. Diventò
personaggio mondiale, nel 1966, come Sindaco durante la catastrofica alluvione che funestò Firenze.
Mino Maccari (1898 – 1989) inventore di “Strapaese”. Su scelta di Curzio Malaparte, diresse “Il
Selvaggio” con risultati poco entusiasmanti. Pittore capace ed incisore di fama, le sue opere figurano
in collezioni d’arte pubbliche e private, sparse in tutto il mondo.
Ardengo Soffici, fondatore di “Lacerba”, scrittore e pittore d’alta classe. Amava Radicofani, la
sua gente, il suo paesaggio.
Nello Baroni, architetto insigne, uno dei progettisti, insieme a Michelucci, della stazione di Santa
Maria Novella a Firenze.
Giorgio De Chirico (1888 – 1978) inventore dell’arte metafisica, autore delle tele “Ettore e
Andromaca”, “La partenza degli Argonauti” e di una lunga serie di capolavori, che inseriscono il
pittore nella schiera eletta, degli artisti moderni più grandi del mondo.
Ottone Rosai (1895 – 1957), famoso pittore fiorentino. Basta consultare un qualsiasi catalogo per
rendersi conto delle sue quotazioni, recarsi in una galleria, tornar via con una sua tela sotto il braccio
e il portafoglio vuoto. Restò incantato dai colori della Val d’Orcia e della Val di Paglia. Scrittore
ragguardevole, creò “Il libro di un teppista” e “Via Toscanella”.
Curzio Malaparte (1898 – 1957) amico di Radicofani e di casa alla pensione Vertunno.
Era stato il testimone di nozze dell’avv. Alberto Luchini, scrittore e giornalista, futuro padrone
del palazzo e del bosco Isabella.
È superfluo illustrare opere e personalità del discusso artista pratese del quale nel 1998 è stato
celebrato il centenario della nascita.
“Fascista fervente” …………………………il futuro autore di “Maledetti toscani”, di “Kaput”,
de “La Pelle” e d’innumerevoli corrispondenze da ogni parte del mondo e da tutti i fronti della
seconda guerra mondiale………………………………………continuò tranquillamente la sua
collaborazione al “Corriere della Sera” con lo pseudonimo di Candido.
L’imprevedibile Malaparte, scrittore e cinematografaro (Il Cristo Proibito) fece molto parlare di
se in vita, ma ancor più al momento di lasciarla.
…………………………………………………………Pieno di vita e d’idee, parecchie anche
bislacche, al colmo della carriera giornalistica e della “vis polemica”, scrivendo da Lipari all’amico
Luchini, aveva osservato:
- Com’era bella e ariosa quella nostra finestra lassù. …………………………………………………………………………………………………
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Libri su Radicofani
Personaggi nati a R.
Renato Magi
A conclusione d’una vita, tutt’altro che monotona, fece parlare di se amici e nemici, ammiratori
e detrattori, tutti convinti della validità dei loro giudizi sul personaggio scomparso.
Il commento di due contemporanei.
Leo Longanesi: “A un matrimonio voleva essere la sposa; a un funerale il morto”
Più equilibrato, pieno di buon senso e più vicino al vero quello di Giuseppe Prezzolini: “Aveva
grandi difetti e grandi pregi”
Aggiorniamo l’elenco con:
Corrado Pavolini, giornalista e Poeta.
Vittorio Rieti, musicista e compositore.
Benvenuto Disertori, pittore e incisore.
Giorgio Castelfranco, Sovrintendente alle Belle Arti e critico d’arte.
Raffaele Franchi, poeta e scrittore fiorentino, soggiornò per un mese alla Vertunno, dedicando a
Radicofani una lirica.
Aniceto del Massa, critico d’arte de “La Nazione” di Firenze, poi a Roma, collaboratore de “Lo
Specchio”.
La scrittrice Clarissa Tartufari.
Gherardo Casini, fondatore dell’omonima casa editrice, che per l’eleganza dei libri pubblicati e
la qualità degli autori, non temeva e non teme, tutt’oggi, confronti con i concorrenti più ricchi e
blasonati.
Il pugile e attore cinematografico Enzo Fiermonte (qui il Mazzuoli fa una lunga
chiacchierata che a noi, francamente, non interessa e continuiamo con l’elenco).
Riprendiamo il discorso con Berto Ricci, matematico, poeta e scrittore…………………
Il generale Francesco Grazioli, uno dei più decenti comandanti di una grande unità durante la
prima guerra mondiale.
Segue a ruota il colonnello, ve ne furono parecchi in gamba, medaglia d’oro Morozzo della
Rocca, e signora, contessa Elena.
L’aviatore Vasco Magrini, pilota senza macchia e senza paura. ………………………….
……………………………………………...
Giuseppe Bottai (1896 – 1959), fondatore della rivista “Primato”, dove scrissero tutti quei
giovani intellettuali, diventati, nel dopo guerra, comunisti. Onesto intellettuale, tenne il dicastero della
Educazione Nazionale, durante il ventennio e votò contro Mussolini il 25 Luglio del
1943…………………………………………………………………………………………….
Intellettuale, riconosciuto, e come tale stimato anche dagli antifascisti più leali e usi a non
pianificare il settarismo, riassume la sua vita politica in forma di diario nel libro “Vent’anni e un
giorno”.
È il momento di Dino Grandi (1895 – 1988), conte di Mordano (secondo alcuni di Merdano)
Ministro, fascista, degli Esteri, negli anni ’20, diplomatico nel ’30 e Presidente della Camera dei Fasci
e delle Corporazioni, dal 1939 al 25 Luglio 1943. Stranamente concordi, venne ritenuto dai fascisti e
dagli stessi antifascisti, il più ambiguo gerarca del ventennio.
……………………………………………………………………………………………………
È l’ora del fiorentino Alessandro Pavolini (1903 – 1945), povero e feroce, del quale se ne sta
riabilitando la memoria come intellettuale.
…………………………………………………………………………………………………….
.
E, per concludere, nella rassegna dei personaggi eroici, o ritenuti tali, non poteva mancare
Gabriele D’annunzio, anche se non gravitò intorno alla pensione Vertunno, frequentata, invece, dal
suo figlio naturale di cui s’è completamente perduta la memoria.
Diretto, in auto, al fronte, nella primavera del ’16, s’era dovuto fermare, a Fonte Grande, insieme
all’autista e a due giornalisti, per cambiare l’acqua del radiatore che, dopo le salite della Novella e
del Pantano, bolliva in maniera impressionante. Arrivato, sul finire del giorno dopo a Padova,
telegrafò a un amico:
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Libri su Radicofani
Personaggi nati a R.
Renato Magi
“Com’erano belle, ieri sera, le crete di Radicofani.”
Poi nella città di Fiume, assurta, per volontà dell’immaginifico, a capitale della Repubblica del
Quarnaro, conversando col poeta Henry Furst, classificò Radicofani come ‘il posto più virile del
mondo ‘.
Bel riconoscimento da parte di un esperto che di certe cose s’intendeva sul serio.
(A. Luchini – Radicofani – 1970 pag. 139)
Alla pag. 69 del libro Vito continua a parlare dei personaggi che sono stati alla
“Pensione Vertunno” taluni frequentatori assidui e comincia con il principe Sisto di
Borbone, fratello di Zita, consorte dell’ultimo imperatore d’Austria Carlo d’Asburgo;
Gerto Snyder, intellettuale e Ministro della Pubblica Istruzione dell’Olanda, il quale
presentò alla signora Luchini l’esule russo Léon Konkochnitzkj; il violoncellista russo
Barjanski insieme alla moglie Katia; Henry Furst giornalista ed intellettuale, noto in
Italia per l’amicizia che l’univa a Gabriele D’Annunzio e per la collaborazione alla
rivista “Il Borghese”, amico del grande scrittore Ernst Junger e amico di Indro
Montanelli; Marbury Somerwell, architetto di fama mondiale, ufficiale della marina
USA anche lui amante degli acquarelli e delle tempere; Kasimir Edschmid, scrittore
tedesco; Kay Walter eccellente acquarellista di Copenaghen. Infine dopo questa
rassegna di protagonisti Radicofani ebbe come estimatore anche Giorges Pompidou
statista europeo e Presidente della Repubblica Francese che vi trascorse una
giornata privatamente insieme allo storico Henri Bedarida Direttore dell’Istituto
Grenoble di Napoli, considerato uno dei maggiori italianisti francesi.
RADICOFANI E IL SUO STATUTO DEL 1441 – a cura di Beatrice Magi – Edizioni
Cantagalli – Siena – Maggio 2004.
(Lo Statuto ci ha informato su molti aspetti della storia, della vita del paese e della
legge che vigeva in quel tempo! Vi sono cose però che mi hanno enormemente
incuriosito e che a tutt’oggi non sono riuscito né a capire né a trovare alcun riferimento
storico (sic), questo è ciò che è scritto alla rubrica 39 a pag. 132 dello Statuto dal
titolo: Della pena de chi entra in el luoco delle monache. La rubrica così recita:
«Niuno huomo intre in casa overo luocho delle monache del monesterio de sancta Maria del Poggio
Aianesi sença licentia de madonna abatessa d’essa overo essca d’esso luoco alla pena de cento lire de
denare da pagarse per ciascuna volta». Non solo non abbiamo notizie del convento di
monache, ma, per quanto mi riguarda non riesco a capire dove possa essere situato
questo Poggio Aianesi! Oltre a questo, non sappiamo dov’erano i siti Santo Lorenzo
(per questo posto vedi le note 128,129 e 130 che ci possono dare un’approssimazione
del sito) e le Grotte [Rubrica 11], che suppongo fossero vicino alla Palazzina. Sono
certo, invece, di come si chiamava Via della Posta, menzionata nella rubrica 55:
Porta Furella, infatti, il muro di sinistra, ora della famiglia Trisciani, era uguale al
muro di destra, che era quello della famiglia Luchini, quindi guardando dalla porta,
che allora esisteva, aveva l’aspetto di un foro; addirittura vi era una stradetta che
dalla piazzetta A. Garibaldi s’immetteva sull’attuale Via della Posta (in quel tempo
Porta Furella).
MEMORIE DI UN’ANTICA TERRA DI FRONTIERA E DI FORTEZZE – a
cura di Beatrice e Renato Magi – Tipografia “Stampa 2000” – Maggio 2006.
(I manoscritti pubblicati nelle pagine del suddetto libro, sono dell’Archivio di Stato
di Siena: uno è il manoscritto D. 83 di B. Gherardini) (Visita fatta nell’anno 1676 alle Città,
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Libri su Radicofani
Personaggi nati a R.
Renato Magi
Terre, Castella dello Stato della Città di Siena dall’Illustrissimo Signore Bartolomeo Gherardini
Auditore Generale in Siena per l’Altezza Serenissima di Cosimo III de’ Medici Granduca VI di
Toscana), e l’altro è il D. 71 di G.A. Pecci (Memorie storiche, politiche, civili e naturali delle
città, terre e castella che sono e sono state suddite della città di Siena). Questi manoscritti sono
stati, per la storia di Radicofani, i capisaldi fra tutti i libri scritti fino all’uscita del
“C.D.A.” su questo paese, ed anche il lettore meno esperto, leggendoli, può
rendersene conto, scoprendo notizie inedite sul nostro paese e sul territorio che lo
circonda e sui personaggi illustri cui ha dato i natali!).Dal manoscritto del Gherardini
si apprende quali sono le chiese che esistevano in quell’anno nel territorio di
Radicofani e ciò è molto importante anche per il raffronto con quelle che esistono
ancora oggi). Nelle pagine che seguono, riportiamo le parole del Gherardini:
Pag. 33
Chiesa Plebania sotto Titolo di San Pietro con il Fonte Battesimale, ……………, e con suo organo
Sonante, in buono stato. ……………………………..
Sono in detta chiesa Plebania gl’infrascritti Benefizi Semplici.
Uno titolo S. Martino……………………….
Altro benefizio Semplice sotto Titolo di S. Benedetto ………………
Altro Benefizio sotto Titolo di S. Filippo Neri …………………
Altro Benefizio semplice sotto titolo della presentazione di Maria Vergine …….
Altro Benefizio semplice sotto Titolo del Santissimo Crocefisso ……….
Altro Benefizio di libera Collazione sotto Titolo di San Michele Arcangiolo …….
Altra Chiesa Cura d’Anime sotto Titolo di Sant’Andrea Giuspadronato dell’Abbate dell’Abbadia
San Salvadore …………… Questa Chiesa è posta in Castel Morro …………………. Vi è l’Organo
…sonante ……………………il Salario all’Organista lire 20. L’Anno …….
In questa Chiesa vi è un Benefizio semplice sotto Titolo di Santa Lucia ……….
Chiesa, o’ Compagnia Laicale con Cappa sotto Titolo della Santissima Assunta …….
Chiesa, o’ Compagnia laicale con Cappa sotto Titolo del Santissimo Sacramento ……
Chiesa, o’ Compagnia laicale con Cappa sotto Titolo di S. Antonio da Padova; ……
Chiesa, o’ Compagnia laicale con Cappa sotto Titolo del Santissimo Sacramento annessa alla
Chiesa di Castel Morro. ……….
Chiesa con il suo convento habitato da’ frati Minori Conventuali.
Sono nella Chiesa di questo Convento due Congregazioni, una nell’Altare dedicato al Santissimo
Rosario, sotto il detto Titolo. ………..
Nell’Altare dedicato alla Santiss.ma Concezione vi è l’altra Congregazione sotto il detto Titolo.
………….
Anco in questa Chiesa è il suo Organo Sonante, e ben tenuto.
Chiesa sotto Titolo della Madonna delle Grazie dello Spedale della Comunità di detto luogo….
Tutte le sopradette Chiese della Terra sono di Fabbrica capace, bene offiziate, e proviste di sacri
Suppellettili.
Pag. 46
Sono in questa Corte di Radicofani le Chiese infrascritte, cioè:
Chiesa sotto Titolo di San Rocco, ora però distrutta, ….
Chiesa posta nella Contrada di Gello sotto titolo San Bernardino, lontana circa tre miglia da
Radicofani verso Sarteano………………………… (Qui il Gherardini prende un abbaglio
perché la ciesa di Gello era intitolata a San Pellegrino! – Ciò è avvolorato da altri testi
storici.)
Altra Chiesa luogo detto il Pino (oggi detto il Pero) sotto titolo di Santa Croce lontana circa tre
miglia verso la Val d’Orcia……….
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Libri su Radicofani
Personaggi nati a R.
Renato Magi
Altra Chiesa vicino alla Terra detta la Madonna del Roccheto (Si è scoperto all’archivio
vescovile di Chiusi che il primo titolo di questa Chiesa era Santa Maria Novella)
………….
Poco fuori della Terra vi è la Chiesa dedicata a San Francesco con il suo convento habitata dalla
religione Cappuccina, et in esso stanno di continuo n.ro dieci religiosi, e quattro di questi sono
Sacerdoti.
Stranamente neanche il Gherardini ricorda la Chiesa di Santa Barbara situata
nel Castello né quella di San Giovanni Battista che già nel 1676 doveva essere
distrutta.
Pag. 51
Nelle osservazioni, proposizioni e Ordini che il Gherardini invia al Granduca, o a
chi per lui comunica al n. 14:
14° - Fu domandata a nome de’ Bombardieri la Chiesetta della Comunità sotto titolo S. Rocco, o
vorriano un Moggio di Terra per poterla con tale Entrata, e con le contribuzioni proprie mantenere, e
fare offiziare, giache non hanno Chiesa, e si adunano hora in una Chiesa, hora in un’altra.
Dal manoscritto del Pecci abbiamo un primo accenno alla nascita del Borgo di
Radicofani, infatti, a pag. 64 del libro leggiamo:
Supposto vero e legittimo il decreto di Desiderio Re dei Longobardi (m. nel 774 d.c.), che
conservasi scritto in pietra nella città di Viterbo, conferma il Bussi (Feliciano Bussi – Storia di
Viterbo – P.te I, Libro I, pag. 21 e segg.), e tanti autorevoli scrittori, con valide, e gagliarde ragioni,
per tale, celo dimostrano, non occorre più oltre andare a cercare quando Radicofani abbia avuto la
sua fondazione, e chi ne sia stato il fabbricatore, mentre che in esso si leggono le parole: ”Nam in
Tuscia edificamus a fundamentis vobis quidem Vulturranis, Calvellum, Vicumurchianus,
Balneariam, Barbaranum, et Gariofilum, Sentinatibus autem Ansedonias, et Rodacofanum, Volaterris
Radacomalum, etc.”
(La pietra di cui parla il Bussi è scomparsa, la perdita sembra attribuibile alla
seconda guerra mondiale!).
MATILDE LUCHINI (una pittrice a Radicofani) - cura di Dee Keithahn –Alsaba
Grafiche – Siena 2002 –
(Storia e foto dei dipinti di Matilde, {e albero genealogico della famiglia Luchini},
che ha lavorato nei primi anni del novecento a Firenze e nella Pensione Vertunno Vedi storia dei personaggi più avanti)
CARTA ARCHEOLOGICA DELLA PROVINCIA DI SIENA – Volume VII –
RADICOFANI – a cura della Provincia di Siena – AA.VV. – Nuova Immagine editrice Siena – anno 2004 –
(In questa carta tutte le cose dette in occasione del libro del Bicchi sono confutate
o ampliate da ricerche fatte in questi anni da geologi, archeologi, storici e ricercatori
con sistemi moderni. Vi è pure molta storia del paese!)
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Libri su Radicofani
Personaggi nati a R.
Renato Magi
DE STRATA FRANCIGENA – XIX/1 – 2 – RADICOFANI E LA VIA FRANCIGENA
– a cura Centro Studi Romei c/o Basilica di San Miniato al Monte (FI) – AA.VV. – Arti Grafiche
Nencini – Poggibonsi – 2011 -
Dai libri che seguono sono stati tratti dei brani che riguardano Radicofani o
qualche zona, sito o monumento importante di Radicofani.
L’ABBAZIA DI SAN SALVATORE AL MONTE AMIATA - a cura di Wilhelm
Kurze e Carlo Prezzolini - Grafiche Piccardi & Martinelli – Bagno a Ripoli (FI) – Marzo 1988.
Il libro è fatto di tanti articoli, ognuno dei quali ha un diverso autore,
indichiamo oltre il titolo e l’autore anche le pagine del libro da cui sono
stati ripresi i brani. Le note sono quelle originali del libro.
Il monastero di San Salvatore al Monte Amiata e la sua proprietà terriera –
Wilhelm kurze
Pag. 2 e 3:
Parlando dei possedimenti del monastero vi è un brano che mi sembra valido per
capire l’importanza dello studio effettuato dal Kurze.
“......Ciò che venne affidato all’abbazia al momento della fondazione dai re longobardi è dunque
un grande territorio concluso in se stesso, in gran parte ancora coperto dai boschi originari e già
popolato soltanto nella valle del Paglia. La situazione diviene ben comprensibile mediante la
descrizione dei confini. Da un lato fiumi e confini indeterminati verso la vetta dell’Amiata, dall’altro
confini definiti più chiaramente con filari di alberi e pietre verso la contea di Sovana, nella valle del
Paglia e nella zona di contatto con San Filippo già da tempo abitato...............................”
Pag. 4:
“.............Il secondo documento d’acquisto del medesimo anno 774 riguarda i beni in Agello –
come mostra la notizia del IX secolo scritta sul dorso1. Gello nella Val d’Orcia, presso la più tarda
Spineta........”
Pag. 10:
“......... Questa volta rimasero all’abbazia anzitutto importanti centri di proprietà nella valle del
Paglia: San Casciano, Climenziano, (borgo presso l’attuale Casano, ma il Bezzini lo pone
alla Palazzina, che con l’incastellamento si spostò nel borgo di Radicofani come tutti
gli altri), Offena. Essi furono ampliati mediante la concessione di Voltole e la
conferma della curtis di Burburigo donata dal marchese Ugo.
1
CDA I, W. Kurze, Codex diplomaticus Amiatinus, Urkundder Abtei S. Salvatore am Montamiata von den Anfängen bis
zum Regierungsantritt Papist Innozenz III. (736 – 1198), I e II, Tübingen 1974-1982. n. 22.
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Personaggi nati a R.
Renato Magi
Pag. 11:
“.............la Rocca Senzano a nord-est di Radicofani. Queste concessioni basate su antiche
disposizioni furono ampliate con Reodola minore in Val d’Orcia, che probabilmente era sorta
mediante un nuovo insediamento di Reodola maiore (DO III 202) (CDA II, n. 212) e Bittena (forse
a nord-est di Radicofani come Mussona e Offena) da considerarsi anch’essa come nuovo
insediamento. A ciò si aggiunsero i nuovi castelli ................................................e la rocca di Saxine
(nord-est di Radicofani), sorti tutti con il progredire dell’incastellamento. ................., tutte le proprietà
che nel corso del tempo mutarono il loro nome furono elencate con tutti i nomi probabilmente senza
cognizione di causa. È dunque impossibile che questa lista possa aiutare a comprendere lo sviluppo
della proprietà terriera dell’abbazia dell’Amiata”.
Pag. 12:
“.............................
Un fascicolo con le rendite del convento del XIV secolo, composto verso il 1340 mostra il
monastero allora come normale proprietario terriero. Di fronte a 12 posizioni di amministrazione
laica2 e a 4 posizioni di amministrazione feudale3 stanno 17 situazioni di proprietà accentrate intorno
a chiese4. Dall’XI secolo l’area di proprietà è rimasta immutata da molti punti di vista. Come centri
lontani dal monastero spiccano come già da lungo tempo: Campagnatico, Latera, Tuscania,
Tarquinia/Corneto e la zona intorno a Montepulciano. .......................................................
Un fascicolo di atti conservato all’Archivio di Stato di Firenze (A.S.F.), in cui sono copiati
centinaia di documenti registrati dall’amministrazione del monastero del XIII-XVI secolo, ci fornisce
una conferma della situazione che abbiamo esposto. Le copie sono registrate sotto le località centrali
preposte, sono dunque già conformi ad un più moderno ordine amministrativo5. Sulla carta ho unito
ai simboli il numero dei documenti che sono raggruppati sotto il nome delle singole località.
............................32 Radicofani e Celle.
L’evoluzione del tracciato della via Francigena tra la Val d’Orcia e la Val di
Paglia – Stelvio Mambrini – Renato Stopani
Pag. 27:
Com’è noto la via Francigena fu una creazione dei Longobardi. Almeno come direttrice viaria.
Essa nacque, infatti, per rispondere alla necessità di quel popolo di attuare un collegamento tra il
regno di Pavia e i ducati meridionali di Spoleto e Benevento mediante un tracciato che, a differenza
delle consolari romane……………… potesse essere da loro pienamente controllata.
……………………………………………………Essi individuarono così a nord del lago di
Bolsena la possibilità di creare un tracciato che, invece di dirigersi verso la Val di Chiana, come
faceva la consolare “Cassia”, piegasse più ad ovest, indirizzandosi verso la valle del Paglia, risalendo
il quale potevano raggiungere le ampie vallate dell’Orcia, e poi dell’Arbia, arrivando con facilità a
Siena.
2
A.S.F., Compagnie soppresse, 454 fasc. 194; Voltiole, Val di Paglia, Rocchetta, Celle, luogo de Gravillona, Corte di
Monticello, podere Gagliano, podere Grosseto, poderi di Monte Follonicho, luoghi di Monte Pulciano.
3
Ibidem: feudo Castellare et terreno de Gello, feudo di Scorto mortu fa parte di Burgoricho, feudo di Contigniano cioè
della Popilla, feudo del comune di Monte Laterone.
4
Ibidem: ecclesia S. Pietro, ecclesia S. Andrea di Radicofani, ecc. ecc.
5
Ibidem: 448 fasc.182: «Ristretto di varie cartelle dell’Archivio Amiatino in cui si leggono molti contratti particolari di
diversi paesi, luoghi e circoscrizioni non appartenenti, la maggior parte, al monastero di San Salvatore – coll’indice de
1775». Quì presento la lista dei titoli dei gruppi locali, in parentesi il numero dei documenti ivi raggruppati:
................................................Radicofani (Rocca d’Orcia, Campiglia, Contignano (25), ...................................................
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Renato Magi
…………………………………………, è probabile che i Longobardi più che costruire ex-novo
la strada utilizzassero tratti di preesistenti vie…………………………………………………………
I Longobardi, semmai, dovettero costituire lungo la via un organico sistema di difesa: …………,
il che portò alla valorizzazione di quelle località che rendevano possibile un più efficace controllo
della strada. Tale fu senza dubbio Radicofani, il cui castello, non a caso, nei più antichi documenti è
ricordato come proprietà regia6. Il poggio di Radicofani costituiva un dato spaziale di eccezionale
importanza, cui riferire una serie di rapporti, di attribuzioni e di possibilità nei confronti della strada
che, dovendo risalire l’alta valle del Paglia, transitava necessariamente ai piedi del rilievo: impossibile
che i Longobardi non ne prevedessero l’utilizzazione!
Pag. 28:
....................................Ogni tentativo di ricostruire i percorsi della via si presenta pertanto irto di
difficoltà, nonostante che dalla fine del X secolo le fonti scritte riportino i primi itinerari che, talvolta,
permettono di individuare con maggiori dettagli il tracciato della strada. È il caso della memoria
lasciataci dall’arcivescovo di Canterbury, Sigeric, che elenca tutti i luoghi di tappa (ben 80) toccati
dal presule britannico nel suo viaggio di ritorno da Roma alla sua sede episcopale, avvenuto tra il 990
e il 9947. Grazie a questo documento prezioso veniamo a conoscenza che nel X secolo la nuova via
aperta dai Longobardi per sopperire alle loro necessità politico-militari aveva consolidato il suo
tracciato ed era diventato il principale itinerario per Roma, ben definito nel suo percorso di base
facente capo a centri («submansiones») presumibilmente attrezzati per ricevere i viandanti.
Procedendo da Roma, i primi luoghi di sosta indicati dall’arcivescovo coincidono con quelli
riportati dagli itinerari imperiali della via «Cassia». Giunto però al lago di Bolsena, in corrispondenza
del quale sono ricordate le due «submansiones» di «Sce Flaviane» (Montefiascone) e «Sca Cristina»
(Bolsena), Sigeric punta verso Acquapendente, immettendosi nel bacino del Paglia e risalendo il corso
del fiume: la successiva località toccata dal presule britannico è, infatti, «Sce Peitr in Pail» (San Pietro
in Paglia). Segue quindi la «submansio» di «Abricula» (Le Briccole)8, ormai già in Val d’Orcia, o
meglio nella valle del Vellora, subaffluente dell’Orcia. Sigeric ha quindi superato il costone che da
Radicofani si svolge con andamento sinuoso sino a poggio Seragio, fungendo da spartiacque tra le
due vallate.
A differenza della stazione di «Abricula», l’individuazione della «submansio» di «Sce Peitr in
Pail» si presenta problematica, poiché nell’alta valle del Paglia, all’incirca ad una giornata di
cammino da Acquapendente, non esiste alcuna località con tal nome. Laddove si riuniscono i rami
Cfr. P. Cammarosano, V. Passeri, Repertorio, in A.A.V.V., I Castelli del Senese, Strutture fortificate dell’area senesegrossetana, Milano 1976, ristampa (ed. citata) Milano 1985.
Oltre alla formidabile posizione del luogo, vera e propria fortezza naturale, testimonia dell’uso di esso da parte dei
Longobardi l’origine del Toponimo, di derivazione germanica (dal personale «Radipert» oppure «Radicauso»). Cfr.S.
Pieri, Toponomastica della Toscana meridionale e dell’arcipelago toscano, Accademia Senese degli Intronati, Siena
1969, pag. 158.
7
Il manoscritto, che si trova presso il British Museum di Londra, fu pubblicato per la prima volta da W. Stubbs, Rerum
Britannicarum Medii Aevi Scriptores, Londra 1974, vol. 63, cap. 7 pagg. 391-395. Cfr. inoltre: K. Miller, Die Altesten
Weltkarten , Stuttgart 1895 e J. Jung, Das itinerar der Erbischofs Sigeric von Canterbury und die strasse vom Rom der
Siena nach Lucca, in « Mitteilungen des Institues für Osterreichische Geschichtforschung », XXV, p. 57 e segg.
8
L’ubicazione della «submansio» di Abricula non presenta difficoltà in quanto ancor oggi esiste il toponimo (Le Briccole
superiori e Le Briccole inferiori), in corrispondenza del quale, distanti tra loro poche centinaia di metri, sono due case
coloniche. Poste tra il torrente Vellora e il borro Rafanello si trovano su un breve tratto di strada che corre parallelamente
alla statale n. 2, leggermente spostato ad ovest.
A lato della casa colonica «Le Briccole inferiori» è una chiesetta tardoromanica ancora in buono stato di conservazione,
che rappresenta con ogni probabilità un residuo dell’ospizio ricordato nei Decimari pontifici della fine del Duecento come
«Hospitale S. Pellegrini de Obricol (is)» (cfr. RDI I e II – P. Guidi, a cura di, Rationes decimarum Italiae nei secoli
XIII e XIV . Tuscia, I: La decima negli anni 1274-1280, Città del Vaticano 1932, ristampa anastatica Modena 1976.
M. Giusti, P. Guidi, a cura di, Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Tuscia II: Le decime degli anni 1295
– 1304, Città del Vaticano 1942, edizione anastatica Roma s.d.
6
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Personaggi nati a R.
Renato Magi
sorgentiferi del fiume gli unici insediamenti registrati dalla cartografia moderna sono alcuni
modestissimi insediamenti rurali («le Casette»), oggi ormai fatiscenti. Più a valle, collegati da una
strada campestre che corre al lato del Paglia, sulla destra del corso d’acqua, sono poi le case coloniche
«Vigna», «Nardelli», «Voltole» e «Voltolino». Tuttavia le fonti cartografiche cinque-seicentesche
indicano nella zona, con un simbolo che si riferisce chiaramente ad un piccolo borgo, l’abitato di
«Paglia»9. Con ogni probabilità è lo stesso insediamento cui fanno riferimento altre fonti itinerarie
successive alla memoria di Sigeric, come il resoconto del pellegrinaggio a Roma effettuato nel 1350
da Barthélemy Bonis, mercante di Montauban, che ricorda come luogo di tappa la località «Molino
del Paglia»10, oppure le testimonianze di alcuni famosi viaggiatori del Cinquecento, quali il
Montaigne ed il Buchellius, che menzionano un piccolo abitato composto di poche casupole, detto
«Case di Paglia».
Un’attenta ricognizione nell’alta valle del Paglia, nella zona di confluenza dei torrenti Vascio,
Pagliola e Cacarello, ove le carte topografiche indicano l’insediamento «le Casette», ha appurato
l’esistenza di tracce cospicue di un abitato, consistenti in cumuli di pietrame lavorato misto a
frammenti di laterizio. Gli stessi piccoli edifici rurali esistenti mostrano nella loro muratura di aver
utilizzato bozze di pietra andesitica dal taglio regolarissimo. Gli accumuli di macerie e il riuso di
materiali lavorati testimoniano senza possibilità di equivoci che siamo alla presenza dei resti di un
insediamento. Vi si potrebbe riconoscere il «Sce Peitr in Pail» sigericiano, documentato con
denominazioni diverse, ma tutte facenti riferimento all’idronimo «Paglia», ……………………….
Pag. 30:
fino al XVII secolo. Ma, per quanto diremo tra breve, ci sembra più probabile che il sito in questione
possa essere stato la sede dello scomparso villaggio di Callemala, ricordato in numerosi documenti
del «Codex Diplomaticus Amiatinus» a partire dal IX secolo. Sicuramente ubicato in Val di Paglia,
il villaggio doveva trovarsi anch’esso lungo la strada per Roma. Oltre ad una chiesa dedicata a Santa
Cristina, i monaci di San Salvatore vi possedevano casa e terreni, molini e taverne 11. Callemala è
ricordata ancora all’inizio del XVI secolo come una specie di mercatale ove affluivano gli abitanti
dei castelli circumvicini per esitare i loro prodotti12. Sembrano confermare questa ipotesi anche i resti
di un tracciato stradale ancora riconoscibile nella zona, seppure a tratti: è ciò che rimane di una via
che nelle mappe del Catasto Toscano del 1832 è indicata come «antica strada romana»13 ……….
La denominazione «antica strada romana» ancora in uso nel secolo scorso per questa via che si
snodava lungo il corso del Paglia, oltre all’esistenza, a Voltole e a Burburico, di elementi di
9
Già nella «Thusciae Descriptio autore Hieronimo Bellarmato» di Abramo Ortelio (1573 circa, Anversa) si trova indicata,
tra Abbadia San Salvatore e Radicofani, la località «Paglia». E cosi anche nella «Urbisveteris antiquae. Dictionis
desriptio», di Egnazio Danti (1583, Roma); nella carta del «Territorio Senese» di Orlando Malavolti (1599, Siena); nel
«Territorio di Siena con il Ducato di Castro», di Giovanni Jansson (1630 circa, Amsterdam) e in numerose altre carte dei
secoli XVI e XVII (cfr. R. Almagià, Monumenta Italiae Cartographica. Riproduzione di carte generali e regionali
d’Italia dal secolo XIV al secolo XVIII, Firenze 1925, pp. 20-43-45 e Id., L’Italia di G. A: Magini e la cartografia italiana
dei secoli XVI e XVII, Napoli-Città di Castello-Firenze 1922, p. 122).
10
Cfr. E. Forestiè, Les livres de compte des frères Bonis, marchands montalbonais du XIVème siècle, in « Archives
Histiriques de la Gascogne », t. XX e t. XXI, Paris Auch 1890-1891. Dice testualmente il documento lasciatoci dal
mercante pellegrino di Montauban: «…. Lo dezenove dia dinar a Bonconvent, de ser a San Sirguo. Lo XX. Dia dinar alla
Palha del Molit, de ser a Ayguas-pendens».
11
Cfr. CDA I e II, vedi in particolare i nn. 157, 166, 181, 200, 230, 280.
12
Cfr. L. Zdekauer, Sugli Statuti del Monte Amiata (1212 – 1451), Torino 1868, p. 11 dove riporta un documento del 21
aprile 1300 nel quale alcuni uomini di Radicofani e di Abbadia San Salvatore «promettono a Fra’ Giovanni del monastero
di San Salvatore di stare lungo la strada pubblica, nella contrada detta di Calimala, a vendere vino e altre vettovaglie a
vantaggio dei passeggeri, convenendo circa l’utile e il salario». Ancora all’inizio dell’Ottocento Callemala è ricordata
come «luogo e casale, di poi borgo nella corte di San Salvatore vicino al fiume Paglia», nelle Memorie istoricodiplomatiche del Monastero di San Salvatore del Monte Amiata, di Giovan Colombino Matteschi, del 1811 (B.N.C.F.
Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, Fondo Palatino, Manoscritti, 1131, Repertorio.
13
A.S.S. Catasto Toscano, Mappe della Comunità dell’Abbadia San Salvatore, sezioni F, G, H.
21
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Personaggi nati a R.
Renato Magi
costruzioni medievali, rendono verosimile l’ipotesi che il tracciato in questione, oggi rimasto solo per
brevi tratti, riproponesse con limitate varianti il percorso della via per Roma in Val di Paglia
documentato nel medioevo14. A monte dell’ipotizzato sito di Callemala la ……………………
Pag. 32:
strada che stiamo esaminando, ridotta a sentiero, si dirige verso la depressione tra Poggio Cirillo e
l’Apparitoia (toponimo, quest’ultimo, chiaramente legato alla viabilità). Qui, sulla linea spartiacque
tra val di Paglia e la val d’Orcia, è da localizzare il «Poggio di Lone», non registrato dalla moderna
cartografia, in corrispondenza del quale nel 1442 venne effettuato il deviamento della strada romana
per Radicofani15. Il sentiero, ancora indicato nelle tavolette dell’I.G.M.16, benché attualmente di
difficile individuazione, discende poi nella valle del Formone……………………………………un
nuovo percorso della via Francigena tra la val d’Orcia e val di Paglia un altro itinerario tra i più
antichi: il diario di pellegrinaggio dell’abate islandese Nikulas di Munkathvera, che nel 1154 si dipartì
dalla sua lontana isola per visitare Roma e la Terrasanta17. Tra San Quirico d’Orcia («Klerka Borg»)
e Acquapendente («Hanganda Borg», Nikulas dice che «…si sale sulla montagna chiamata
«Clemunt», c’è un castello sulla sommità di questa, chiamato «Mala Mulier», «Cattive donne», come
diciamo noi, dove la gente è di «pessima indole». Si è giustamente ritenuto, nonostante la scarsa
somiglianza dei due vocaboli, che l’oronimo «Clemunt» voglia indicare Radicofani, che solo alcuni
decenni più tardi sarà esplicitamente ricordato come stazione della via Francigena. Tale
identificazione, tuttavia, lascia irrisolto il problema del castello di «Mala Mulier», che non può esser
fatto coincidere con Radicofani, poiché nei secoli XI e XII nei documenti del Codex Diplomaticus
Amiatinus le due località sono menzionate distintamente. È quasi certo però che il «Burgo de
Muliermala» fosse ubicato nella valle del Formone: lo si desume dai toponimi ricordati in talune
confinazione di terre poste nei dintorni del borgo, riportate in documenti del Codex18.
…………………………………………………………………………………………
Pag. 33:
In particolare in un atto del dicembre 1071 si parla di un fossato di Selvella, toponimo che
attualmente contraddistingue una località posta sulle pendici nord-occidentali del poggio di
Radicofani. «Muliermala» non doveva trovarsi quindi molto lontana dall’odierno insediamento rurale
di Selvella, donde nasce un fosso (subaffluente del torrente Landola) che nel medioevo doveva
probabilmente prender nome dal piccolo abitato. Chissà se «Muliermala» non si trovasse ove oggi è
È da notare, tra l’altro, che il Burgo de Uoltiole e la curtis de Burgoricho, con le rispettive chiese dedicate a San Pietro
e a Santa Maria, compaiono sovente nei documenti amiatini sin dai primissimi anni dell’XI secolo.
15
Cfr. O. Malavolti, Dell’Historia di Siena, Venezia 1599, Parte III, p. 31. «Poggilone de’ Monaci» è ancora indicato in
una carta del XVIII secolo che rappresenta anche la «strada romana antica per la Paglia» che risale la valle del torrente
Formone (cfr, A.S.S., «Disegno fatto per mostrare la confinazione tra la Bandita de’ Bovi e la Dogana dell’Abbadia San
Salvatore» pubblicato da D. Sterpos, Comunicazioni stradali attraverso i tempi Firenze-Roma, Novara 1964, p. 39. Una
«strada vecchia romana» è poi ricordata in una confinazione del 20 giugno 1769, relativa a terre poste a «Poggio Cirillo»
e a «Poggilone» (cfr. A.C.A. Archivio Comunale Abbadia S.S., Memorie dall’anno 1745 al 1773, p. 437). Risulta infine
del «Libro delle Deliberazioni e memorie degli anni 1462-69» conservato presso A.C.A. (pp. 6 e 61) che in corrispondenza
del Poggio di Lone erano un «hospitium » ed un pozzo.
16
Cfr. Carta d’Italia, Foglio 129, I SO, IV NE, IV SE.
17
Cfr. F. P. Magoun, The pilgrim diary of Nikulas of Munkathvera: the road to Rome, in «Medieval Studies», IV, 1944,
che riporta un’accurata traduzione in inglese del testo originale (in antico norvegese), pubblicato per la prima volta da E.
C. Werlauff, Symbolae ad Geographiam Medii Aevi ex Monumentis islandicis, Copenaghen 1821.
18
Cfr. CDA, nn. 248, p. 125 e 289, p. 224, che risalgono, rispettivamente, al marzo 1016 e al dicembre 1071. In un altro
atto del febbraio 1107 si ricorda uno «senodochio», quod est edificatum in burgo qui dicitur «Muliermala», CDA II, n.
327.
14
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Personaggi nati a R.
Renato Magi
la casa «Le Conie», prossima appunto a Selvella; oppure, poco più a nord, in corrispondenza della
località «Castellare», il cui toponimo costituisce un chiaro riferimento ad un centro abbandonato19.
Il diario di Nikulas di Munkathvera può quindi costituire la più antica testimonianza del nuovo
itinerario della via Francigena transitante per Radicofani, risultando comprensibile l’errore dell’abate
islandese, che collocò il borgo di Muliermala alla sommità del poggio di Radicofani invece che sulle
pendici del rilievo20.
…………………………………………………………………………………………
Le località toccate dalla strada sono eredi di insediamenti di notevole antichità, ricordate nei
documenti amiatini sin dai secoli X e XI. Non solo, nella maggior parte dei casi esse conservano
anche strutture architettoniche di edifici medievali (ad esempio a Castelvecchio e Perignano), oppure
tracce più o meno consistenti di circuiti murari (ad esempio a Poggio Reggiano e a Castelvecchio).
Dopo «le Conie» la strada si mantiene per almeno cinque chilometri a quota pressoché costante
(circa 590 – 600 metri), incontrando la Casa «Poggio Bandinelli», nei cui immediati dintorni si trova
il già ricordato Castellare, e poi il Poggio a Reggiano21. Abbandonata quindi la moderna carreggiabile
per Contignano22, inizia a degradare dolcemente verso il fondo valle del Formone, transitando per la
località «Riposo», il cui toponimo costituisce un evidentissimo riferimento all’esistenza, in passato,
di una struttura ricettiva. Oltre «Riposo» la strada si dirigeva verso Castelvecchio, ove dovevano
essere previste possibilità di collegamento col più antico percorso della Francigena. Da
Castelvecchio, infatti, senza grandi difficoltà si poteva giungere a Le Briccole, previo attraversamento
del Formone; oppure, proseguendo oltre, giunti in prossimità della confluenza del Formone con
l’Orcia, era possibile arrivare a Spedaletto, il celebre punto di sosta ricordato a partire dal 1236 come
dipendenza dello Spedale della Scala di Siena23. Un altro toponimo in rapporto con la viabilità
(«Palazzolo») potrebbe suggerire in questo secondo caso l’ubicazione dei punti di attraversamento
del Formone e dell’Orcia, oggi uniti da una specie di mulattiera il cui proseguimento s’innesta nella
moderna carreggiabile che conduce a Spedaletto.
In direzione Sud, oltre Radicofani, la strada medievale, a differenza dell’attuale statale n. 2,
raggiungeva il fondo valle del Paglia con un tracciato che viene oggi riproposto dalla via comunale
che conduce a Ponte al Rigo.
Pag. n. 34:
Ne risulta un percorso che affronta la salita di Radicofani mantenendosi lungo la linea spartiacque
fra i torrenti Paglia e Rigo. Anche in questi caso la toponomastica contribuisce ad avvalorare la nostra
ipotesi con la presenza, poco a nord di Ponte al Rigo, della località «la Novella», il cui toponimo
evidentemente dovette nascere in riferimento al nuovo tracciato, e «Baccanello», dal significato di
posto di ristoro. Del resto che la strada medievale transitante per Radicofani proveniente da sud
evitasse il fondo valle del Paglia è attestato dalle fonti cinquecentesche, tra le quali è un bel disegno
19
Ai fini della localizzazione di Muliermala è da ricordare un documento del marzo 1016 che fa menzione di una «strata
Rumea» il cui tracciato, con la «serra di Muliermala», serve a delimitare i possedimenti dei quali l’atto tratta. Da notare
inoltre che le terre cui le confinazioni si riferiscono sono dette essere di pertinenza «de curte e rocca mea de Campilli
(Campiglia)», i cui signori si sa possedevano beni sulla destra del Formone (Cfr. P. Cammarosano, V. Passeri, I castelli
del senese, cit., Repertorio, pag. 360).
20
È da osservare che l’appellativo «Muliermala» non doveva essere infrequente nel medioevo nei riguardi dei luoghi di
sosta. Eguale denominazione dispregiativa possedeva ad esempio lo spedale di Montebuoni, immediatamente a sud di
Firenze, lungo la strada per Roma (Cfr C. Camerani Marri, Le carte del monastero vallombrosano di San Cassiano a
Montescalari, in «Archivio Storico Italiano», CXX, 1962, II).
21
Nei pressi di Poggio a Reggiano, in località «Riscatto» una strada, oggi ridotta a sentiero, raccordava il percorso con
Ricorsi, sul fondo valle del Formone. Il toponimo «Riscatto», dal latino volgare «rexcaptare», intensivo di «captare»
potrebbe riferirsi alla possibilità di collegamento col percorso di fondo valle della Francigena che qui veniva offerto.
22
La strada prosegue attualmente verso Contignano, per poi spostarsi a est e dar luogo a due tracciati che conducono,
rispettivamente, a Spedaletto e a Castelluccio di Pienza (cfr. Carta d’Italia, foglio 129, I SO e Foglio 121, II SO).
23
Cfr. P. Cammarosano, V. Passeri, I Castelli del senese cit. Repertorio, p. 352.
23
Libri su Radicofani
Personaggi nati a R.
Renato Magi
della fine di quel secolo, conservato nell’Archivio di stato di Firenze, da noi recentemente
pubblicato24.
Anche se il più antico percorso che risaliva il corso del Paglia non venne abbandonato (tanto che
il suo uso, abbiamo visto, è ancora documentato nel XVI secolo, come attestano le testimonianze del
Montaigne e del Buchelius), il passaggio per Radicofani a partire dalla fine del XII secolo sembra
essere preferito dai viaggiatori, in quanto permetteva di sostare in una «terra forte e populata» che
rappresentava una garanzia di sicurezza. Ad esempio fa esplicito riferimento a Radicofani come
«stazione» della via Francigena l’itinerario del re di Francia Filippo Augusto di ritorno (1192) dalla
terza crociata: «….deinde per Ekepenndante, deinde per Redcoc, deinde per San Clerc…..».
Chiaramente viene indicato il nuovo percorso Acquapendente-Radicofani-Le Briccole-San Quirico
d’Orcia25. Egualmente, alcuni decenni più tardi, nell’anno 1253, anche l’arcivescovo di Rouen, Eudes
Rigaud, che tornava alla sua sede episcopale, annoterà: «…. apud Aquam pendentem, Radicophanum,
apud Sanctum Quiricum ….»26.
Divenuto centro di transito e di controllo strategico della via Francigena, Radicofani accentuerà
ulteriormente la sua importanza nel 1442, quando intervennero i senesi col «dare ordine che la strada
romana, chiudendo il passo, non si facesse per la valle del Paglia»27. Si affermerà così il moderno
tracciato della via che determinerà il lento abbandono degli altri percorsi, oggi sopravvissuti solo per
alcuni tratti o in labili tracce che il territorio, tuttavia, tenacemente conserva.
Fine pag. 36
STELVIO MAMBRINI – RENATO STOPANI
I possedimenti dell’abbazia di San Salvatore dal XVI al XVIII secolo –
Gabriella Contorni
Pag. 52 e 53.
RADICOFANI
L’Abbazia aveva perduto, a seguito della conquista senese, il potere temporale su Radicofani; nel
‘500 le rimaneva la giurisdizione sulle chiese della terra. Un elenco dei benefici della mensa abbaziale
riporta che nel 1559 le chiese di S. Giovanni e di S. Pietro davano al monastero 24 denari senesi di
censo annuale, mentre S. Andrea a Castelmorro dava due scudi d’oro, comprendenti anche l’affitto
del beneficio. Cioè dei beni stabili della chiesa. Appartenenti all’abbazia, e affittati al curato28.
Dall’inventario seicentesco conosciamo con precisione i beni di S. Andrea. Consistenti in una
casa vicino alla chiesa, un podere e numerosi pezzi di terra29.
La situazione di S. Pietro era diversa; come a S. Maria Assunta di Piancastagnaio l’abate vi
esercitava solo metà giurisdizione, che per l’altra metà competeva al vescovo di Chiusi. Anche qui
dunque c’era un pievano eletto dal vescovo e un compievano eletto dall’abate, che dividevano gli
24
A.S.F., Piante possessioni, t. IV (riprodotto a p. 113 de La via Francigena nel senese. Storia e territorio, di A.A.V.V.,
Firenze 1985).
25
Cfr.,B. von Peterrorough, Ex gestis Henrici II et Ricardi I, in « Monumenta Germaniae Historia, Scriptorum », vol.
XXVII, p. 131, Hannover 1885.
26
Cfr., T. Bonnin, a cura di, Regestrum visitationum archiepiscopi Rothomagensis, Rouen 1852, pp. 176-186.
27
Cfr. O. Malavolti, Dell’Historia di Siena, cit., parte III, p. 31.
28
A.S.F., Compagnie soppresse, 454, 194, cc. 85v., 86.
29
A.S.F., Compagnie soppresse, 454, fasc. 196, cc. 33-34v.
24
Libri su Radicofani
Personaggi nati a R.
Renato Magi
oneri e i benefici derivanti dai beni della chiesa30. Nel ‘300 l’abbazia possedeva nel territorio di
Radicofani le tenute di Agello, Rocchette. Cerviaia e Gallico, cedute nel 1340 in enfiteusi al comune
di Radicofani. Da questo nel 1589 il monastero rilevò nuovamente in enfiteusi la tenuta di Gallico,
per la quale rilasciò al comune il credito che aveva di 623 scudi d’oro e 15 moggia di grano31.
Il catasto del ‘600 descrive Gallico come una tenuta formata da quattro poderi, confinante con la
Paglia, la strada per Radicofani e il fosso Quercia; il cabreo del 1695 invece rappresenta solo due
poderi, Gallico e Gallichino32.
Le chiese di Abbadia San Salvatore – Carlo Prezzolini
Pag. 135.
La fondazione di una nuova pieve nei pressi dell’abbazia va collocata nel processo di radicale
cambiamento del tipo di insediamenti che avviene nella valle del Paglia nel XII secolo, processo che
porterà al sostanziale spopolamento del fondovalle e all’accentramento della popolazione nei castelli
di Radicofani, Abbadia e Piancastagnaio, tutti sotto il controllo di San Salvatore33.
…………………………………………….
Non sappiamo quando questo avvenga; un breve di Innocenzo IV del 1253, diretto ai pievani di
S. Giovanni di Radicofani, di Lamula e di S. Maria de castro Abbatie34.
Le chiese di Patronato di San Salvatore – Carlo Prezzolini
Pag. 150 – 155.
LE CHIESE DI RADICOFANI
Ancora molti interrogativi avvolgono la vicenda delle ripetute traslazioni e delle ubicazioni della
pieve di Radicofani, anche se è chiaro che lo spostamento del fonte battesimale è collegato allo
sviluppo del castello di Radicofani, documentato fin dal 97335 ma asceso come importanza solo dopo
il 108036.
La pieve santi Donati, scito Radicofani è ricordata in una carta amiatina del 106737, ma
probabilmente possiamo identificare con questa la pieve di S. Donato ricordata nel 101438.
S. Donato è elencata fra le pievi vescovili nel privilegio concesso al vescovo di Chiusi Teobaldo
da papa Celestino III nel 119139. Il Maroni identifica questa chiesa con la pieve di S. Giovanni,
dedicazione con cui troviamo indicata la pieve di Radicofani dal secolo XIII, e propone come
30
Per questa amministrazione a due mani vedi F.M: Magrini, I parroci di Radicofani, Siena 1983. Un inventario dei beni
di S. Pietro si trova in A.S.F., Compagnie soppresse 454, fasc. 196, c. 21.
31
A.S.S., Conventi, 5, c. 265.
32
A.S.F., Compagnie soppresse, 454, fasc. 196, c. 3; ibidem, fasc.195, c. 135.
33
Su questi aspetti si veda le relazioni di C. Wickham e di M. Ronzani, L’organizzazione ecclesiastica dell’Amiata nel
medioevo nel convegno “L’Amiata nel medioevo” tenutosi ad Abbadia S.S. nel maggio 1986.
34
A.S.S., Diplomatico S.S.M.A., 1253 gennaio 9; la pergamena è andata perduta, si veda il Regesto del Diplomatico in
A.S.S., B 36 al n. 557.
35
CDA II, n. 203.
36
Sull’importanza di Radicofani nei secoli XII e XIII si veda la relazione di C. Wickham Insediamento e incastellamento
sull’Amiata, 750 – 1250 al convegno “L’Amiata nel Medioevo” tenutosi ad Abbadia San Salvatore nel maggio 1986, dei
cui atti si attende la pubblicazione. (Vedi più avanti l’articolo del Wickham).
37
CDA II, n. 284.
38
CDA II, n. 240.
39
G. Cappelletti, Le chiese d’Italia dalla loro origine sino ai nostri giorni, Venezia 1844 – 1870, vol. XVII p. 587.
25
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Renato Magi
probabile collocazione lo spartiacque fra l’Orcia e il Rigo, a nord-est del castello40. Recentemente
invece è stata proposta la distinzione fra le due chiese, S. Giovanni è stata considerata erede della
«vecchia e obliterata S. Donato»41 e la collocazione di S. Donato è stata ipotizzata nella valle del
Paglia, nei pressi del borgo di Callemala42, collocazione possibile dato l’importanza
dell’insediamento posto sulla Francigena.
Nel 1153 l’abate Ranieri cede in locazione perpetua metà del castello di Radicofani e della sua
corte al papa, escluso però «iure ecclesiarum, quod in eis habet» l’abbazia43. Papa Clemente III nel
108844 e papa Innocenzo III nel 119845 confermano all’abate amiatino «ius quod habetis in ecclesiis
Radicofani castri et suburbii ipsius». Questa dizione fa pensare che le chiese di Radicofani siano
sottoposte fin dalla fine del XII secolo sia all’abate di San Salvatore che al vescovo di Chiusi, come
è chiaramente documentato dal XIII secolo e fino alla soppressione dell’abbazia. Probabilmente
questa situazione, che in seguito vedremo presente anche nelle chiese di Piancastagnaio e, forse, in
S. Leonardo di Castel del Piano, ha origine da un accordo fra l’ordinario chiusino e l’abate di San
Salvatore fatto per la traslazione del battistero di S. Donato, che abbiamo visto pieve vescovile, a S.
Giovanni, che vedremo sottoposta al vescovo e all’abate.
Nel 1196 Celestino III proibisce all’abate di S. Piero in Campo di costruire, in pregiudizio
dell’abate amiatino e contro la sua volontà, una chiesa in Radicofani46. Simili contrasti si ripetono nei
decenni successivi e chiariscono meglio la situazione. Nel 1237 sempre l’abate di San Piero «avendo
una cappelletta mezzo diroccata vicino al borgo di Malmigliaccio, non lungi da un suo spedale detto
di Fonte Cecula nel distretto parrocchiale della cura di S. Andrea di Radicofani (è la prima occasione
in cui troviamo ricordata una chiesa del castello con la sua dedicazione, n.d.A.), aveva preteso di fare
di quella una vera chiesa coll’altare». Il Fatteschi annota nel suo Cronico che S. Andrea, come tutte
le altre chiese di Radicofani, spettava per metà al vescovo e per metà all’abate. L’abate amiatino si
appella al papa contro le nuove ingerenze di S. Pietro in Campo e vede nuovamente riconosciuti i
suoi diritti47. Ancora nel 1255 gli abitanti del borgo di Malmigliaccio (questo nome è errato
perché la chiesa che sarà costruita è a Bonmigliaccio -vedi Statuto del 1255) vogliono
costruire una nuova chiesa, lontana soltanto «quantum jactus est lapidis» da S. Andrea e l’abate
ricorre di nuovo al papa48.
Nel 1228 quando i cistercensi subentrano ai benedettini neri nell’abbazia di San Salvatore, la
pieve di Radicofani, molto probabilmente già traslata in S. Giovanni, chiesa che doveva sorgere nei
pressi del castello, viene assegnata dal nuovo abate a D. Filippo, monaco nero che non abbraccia la
nuova osservanza49.
La prima attestazione di S. Pietro è del 1236: in questo anno una carta di donazione viene redatta
in questa chiesa, posta nel borgo maggiore di Radicofani50. Nel 1241 sono documentati contrasti fra
il vescovo di Chiusi e i parroci delle chiese nominati dall’abate: il vescovo Benedetto impone aggravi
40
A. Maroni, Prime comunità cristiane e strade romane nei territori di Arezzo-Siena-Chiusi, Siena 1973, pp. 213 e 219220. (Per questa chiesa si vedano più avanti le altre considerazioni alla luce dei due statuti del 1255
e quello del 1441).
41
Si veda la relazione di M. Ronzani L’organizzazione ecclesiastica dell’Amiata sul convegno di cui alla nota n 33.
42
Relazione di R. Stopani. Insediamenti e viabilità tra la Val d’Orcia e Val di Paglia nel medioevo, negli atti del convegno
«L’Amiata nel medioevo», cit. Anche in Repertorio, p. 355, S. Donato è individuato nei pressi di Callemala e viene
identificato con S. Giovanni.
43
CDA II, n. 341.
44
CDA II, n. 353.
45
CDA II, n. 370.
46
CDA II, n. 364.
47
Cronico, cc. 12v-13 e A.S.S., Diplomatico S.S.M.A., 1237 maggio 15, 1237 giugno 10, 1238 dicembre 13. Il 15 giugno
1237 alcuni nobili feudatari di Radicofani giurano fedeltà all’abate nella chiesa di S. Andrea, A.S.S. Diplomatico
S.S.M.A., 1237 giugno 15.
48
Cronico, cc. 44v-45, A.S.S., Diplomatico S.S.M.A., 1255 gennaio 17, 1255 settembre 3, 1255 settembre 23.
49
Cronico, c.2. (Anche in questo caso ci vengono in aiuto i due Statuti)
50
A.S.S., Diplomatico S.S.M.A., 1236 ottobre 22.
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Renato Magi
ai presbiteri della pieve di S. Giovanni, di S. Andrea e di S. Pietro. Al rifiuto dei presbiteri, che si
dicono soggetti unicamente all’abate, il vescovo li scomunica e pone l’interdetto alle loro chiese51.
Le Ratio decimarum documentano che le chiese di Radicofani sono soggette sia al vescovo che
all’abate: nelle decime degli anni 1275- 1276 i tre edifici culturali compaiono sia fra gli esenti che fra
i non esenti dalle decime52. Le decime del 1302 sono ancora più chiare per S. Andrea e per S. Pietro,
che compaio negli elenchi «pro parte episcopi» e «pro parte monasterii S. Salvatoris»; S. Giovanni
compare una volta sola53, ma sappiamo da documenti successivi che il patronato di San Salvatore
continua anche per la pieve.
Nel 1328 l’Abate Angelo autentica i diritti del suo monastero sulle chiese sottoposte e fra queste
sono presenti anche le chiese di Radicofani: i testimoni esaminati giurano essere le tre chiese «de jure
et de facto» dell’abbazia, aggiungendo però alcuni che lo sono solo per metà54. E nello stesso anno il
vicario generale dell’ordinario di Chiusi riconosce a San Salvatore la metà di S. Pietro, S. Andrea e
della pieve di S. Giovanni55. Lo stesso viene deciso dal vescovo di Siena, eletto arbitro di un nuovo
contrasto fra l’abate amiatino e l’ordinario di Chiusi, nel 1440: all’abbazia spetta medietates delle
chiese di S. Pietro, S. Andrea e della pieve di S. Giovanni56.
Le tre chiese compaiono nel registro dei pagamenti delle chiese sottoposte alla mensa abbaziale
nel 146957. La chiesa di S. Giovanni è ricordata ancora nel 155958 e poi non la troviamo più citata;
oggi non se ne conservano tracce. (Negli anni 2004-2006 si sono trovate le fondamenta di
tale chiesa vicino a dove è stato costruito un “Bar-Ristorante” per i visitatori della
fortezza).
Anche S. Andrea, posta in Castelmorro, insediamento fortificato sottostante la fortezza di
Radicofani, non esiste più: a documentarne l’importanza storica ed artistica resta la statua in legno
policromo della Madonna con Bambino, attribuita a Francesco di Valdambrino e conservata nella
chiesa di S. Pietro. Nel 1478 l’abate di San Salvatore permuta la metà della chiesa di S. Maria di S.
Quirico, con un accordo con il vescovo di Pienza che deteneva l’altra metà di S. Andrea 59. Questo
scambio non è chiaro in quanto troviamo che nel 1499 Girolamo, vescovo di Pienza e Montalcino,
incorpora la stessa chiesa di S. Maria di S. Quirico a San Salvatore60 e, inoltre, sappiamo che l’abbazia
conserva i suoi diritti su S. Andrea.
Il destino della chiesa, che è la cura della fortezza, è strettamente collegato alle vicende della
fortezza stessa: dopo il suo abbandono, avvenuto nel 175861, la cura resta quasi del tutto spopolata,
restandovi solo due famiglie con otto persone62. Nel 1778 la situazione peggiora perché la casa del
51
Ibidem, 1241 giugno 7 e Cronico, cc. 22-23v. Sulla particolare situazione delle chiese di Radicofani si veda la citata
relazione del Ronzani. Nel 1253 papa Innocenzo IV invia un breve ai pievani di Lamula, S. Maria di Abbadia e S.
Giovanni di Radicofani, A.S.S., Diplomatico S.S.M.A., 1253 gennaio 9; la pergamena è andata perduta, si veda il Regesto
del Diplomatico, A.S.S., B. 36, n. 557.
52
RDI I, pp. 122, 125, 127, 128, 129.
53
RDI II, pp. 164 e 165.
54
Cronico, cc. 147-147v e A.S.S., Diplomatico S.S.M.A., 1328 novembre 28.
55
A.S.S., Diplomatico S.S.M.A., 1328 dicembre 23.
56
Ibidem, 1440.
57
A.S.F. Compagnie soppresse, 454, fasc. 194, cc. 44 e 45.
58
Ibidem, c. 85v.
59
A.S.S., Diplomatico S.S.M.A, 1478 aprile 8.
60
Ibidem, 1499 giugno 30. Si veda anche Cronico, cc. 233-233v.
61
Lo Stato di Siena, IX, p. 109.
62
Memoria del parroco di S. Andrea in Castelmorro all’abate del 1758, A.S.F., Compagnie soppresse, 441, fasc. E;
Gheradini nella sua Visita......., cit, II, p. 389, del 1676-1677 aveva trovato nella cura 94 anime, più sette poderi nella corte
con 35 anime.
27
Libri su Radicofani
Personaggi nati a R.
Renato Magi
curato «è tutta precipitata dal terremoto»63. Due anni dopo l’antica cura di Castelmorro viene unita
alla pieve di S. Pietro64.
S. Pietro diventa pieve nel XVI secolo, così ce la ricorda per la prima volta un documento del
1587. Il documento, un inventario dei beni stabili della chiesa fatto quando era compievano il monaco
Pietro Rocca, ricorda che la pieve è di proprietà indivisa fra il vescovo e l’abate, che vi tengono un
pievano e un compievano; le rendite, come le spese, vengono divise fra i due pievani65.
SAN PIETRO
In una piazzetta al centro del paese di Radicofani è situata la chiesa di San Pietro, una costruzione
di origine medievale ampliata e rimaneggiata in più epoche. L’edificio presenta un’icnografia a tre
navate concluse da una grande abside semicircolare; le navate sono divise in cinque campate da archi
di valico a sesto acuto impostati su pilastri a fascio e semi pilastri addossati alle pareti. Allo stato
attuale la parte iniziale della chiesa, in corrispondenza delle prime due campate, è formata soltanto
dalla navata centrale essendo lo spazio relativo alla navata destra adibito a sacrestia e quello della
navata sinistra occupato da una cappella, l’oratorio della Misericordia.
La copertura della parte iniziale è a capanna; quella delle ultime tre campate della navata centrale
è formata da volte a crociera rinforzate con grossi costoloni di sezione poligonale. Le volte sono
delimitate da ampi archi a sesto acuto trasversali e longitudinali. Archeggiature trasversali a tutto
sesto scandiscono le navate laterali sorreggendo una copertura a travature lignee. Gli archi e i
costoloni scaricano su pilastri composti molto rimaneggiati (solamente uno risulta integro) (Forse
tutto ciò è dovuto ai terremoti succedutisi nei secoli?) formati da semicolonne e lesene e
sormontati da mensole smussate fortemente sporgenti. La facciata, elevata su un’alta gradinata, è
caratterizzata da un portale ricassato il cui archivolto, sorretto da due mensole sagomate, presenta
l’estradosso a sesto acuto e l’intradosso a tutto sesto; una leggera doppia ghiera orna l’interno della
lunetta. Al di sopra si apre una bifora, ripristinata, formata da una colonnina poggiante su un
frammento di cornice riutilizzato a mo’ di mensola e decorato con motivi vegetali. In corrispondenza
dello spiovente sinistro della facciata si eleva un campanile di sezione quadrangolare nel quale si
aprono monofore e bifore. Sul fianco sinistro della chiesa è situato un portale caratterizzato da un
architrave di riporto scolpito con rilievi ad intreccio ed una croce di Malta (Nota n. 40 alla pag. 187 Secondo I. Moretti e R. Stopani, Romanico senese, Firenze 1981, p. 151 n. 41, la croce dei templari potrebbe indicare la
provenienza dell'architrave da uno degli ospedali di Radicofani documentati all'inizio del XIV secolo).
Il paramento murario del corpo centrale della facciata è costituito da regolari corsi orizzontali di
conci ben squadrati di trachibasalto; le altre parti della chiesa presentano un paramento esterno più
irregolare ed evidenziano varie fasi costruttive e numerosi rimaneggiamenti.
All’interno la chiesa è completamente intonacata ad eccezione dei pilastri, degli archi e dei
costoloni delle volte formati da grossi conci regolarmente squadrati. Alcune parti rimaneggiate di
queste strutture sono coperte da intonaco dipinto ad imitazione della pietra.
Il portale che si apre nel corpo centrale della facciata suggerisce una collocazione nel periodo di
transizione tra il romanico w il gotico, collocazione con la quale concorda pure la regolarità del
paramento murario della struttura nella quale è inserito. L’interno della chiesa è invece caratterizzato
da un aspetto decisamente gotico, probabilmente attribuibile al XIV secolo. Non è facile stabilire se
l’insolito impianto iconografico che la chiesa attualmente presenta sia nato con la costruzione gotica,
magari al fine di sfruttare alcune strutture facenti parte di un edificio preesistente, o se sia il risultato
di un intervento successivo ad essa consistente nel tamponamento delle prime due campate delle navi
Lettera del curato di Castelmorro all’abate del 26 maggio 1778, A.S.F., Compagnie soppresse, 441 fasc. E.
F.M. Magrini, I parroci di Radicofani, Siena 1983, p. 13. Si veda anche la lettera dei monaci di San Salvatore al
Reggimento toscano dei cistercensi del 16 giugno 1780 e la risposta del Reggimento del 26 dello stesso mese, A.S.F.,
Compagnie soppresse, 441, fasc. E.
65
A.S.F., compagnie soppresse, 452, fasc. 189, n. 51. Una pergamena del 1540 ricorda la «ecclesia nuncupata plebe de
Radicofori» senza dedicazione, A.S.S., Diplomatico S.S.M.A., 1540 giugno 26.
63
64
28
Libri su Radicofani
Personaggi nati a R.
Renato Magi
laterali. A tal proposito è da rilevare che le strutture della facciata relative alle navate laterali si
appoggiano al corpo centrale corrispondente alla navata maggiore; non è da escludere perciò che
quest’ultimo, essendo relativo ad una fase costruttiva precedente ad esse, abbia fatto parte di un
edificio ad una sola navata preesistente a quella attuale. Ma occorre precisare che qualsiasi ipotesi
deve essere interpretata con la massima cautela a causa dei forti rimaneggiamenti che l’intero edificio,
compresa la facciata, ha subito, anche in tempi alquanto recenti.
Da una foto dei primi del novecento, ad esempio, risulta che il vano relativo all’attuale Oratorio
della Misericordia era prolungato dalla parte della facciata con un corpo di fabbrica demolito negli
anni successivi; la stessa foto mostra che anche la parte superiore della facciata è stata rimaneggiata
e che la bifora che attualmente vi si apre è stata costruita in questo secolo in sostituzione di una
finestra semicircolare a sua volta inserita in epoca moderna. È inoltre da notare che nell’attuale
sacrestia, situata nello spazio relativo alle prime due campate della navata destra, sono presenti sei
semipilastri addossati alle pareti (tre per parte); le loro forme e le loro dimensioni sono però così
diverse da quelli dei pilastri dell’attuale chiesa da rendere improbabile un rapporto con essi. Non
possiamo invece escludere che la loro presenza sia in relazione con alcune funzioni svolte in passato
dal vano adesso adibito a sacrestia. In un documento del 1845 relativo alla sistemazione di alcune
opere d’arte della chiesa di San Pietro si parla infatti di una «Chiesa di Santa Maria, ora Sagrestia
della compagnia del SS. Sacramento e Misericordia» e di una «Nova Cappella della Chiesa di S.
Pietro», utilizzata dalla suddetta confraternita66; è probabile che i due ambienti siano da identificare
con l’attuale sacrestia e con l’oratorio della Misericordia.
Dal XVIII secolo sono documentati alcuni interventi di restauro. Nel 1782 viene restaurato il
campanile, il tetto, la muratura a «scirocco» e imbiancata la chiesa67. Nel 1843 sono necessari altri
interventi alla copertura e al campanile al quale è crollatala «cupolina»68. Negli stessi anni quaranta
vengono eseguiti ulteriori lavori di restauro ed è approvato un progetto di ampliamento della chiesa,
probabilmente consistente nel prolungamento delle navate laterali fino alla facciata 69. Purtroppo la
documentazione non ci offre indicazioni sull’entità dei lavori effettivamente eseguiti ad eccezione di
una lettera del 1844 nella quale, descrivendo il loro inizio, si parla dello smantellamento
dell’impiantito e della demolizione dell’altare maggiore70. In ogni caso sembra che il progetto di
ampliamento della chiesa, non sappiamo per quale motivo, sia stato successivamente abbandonato71.
Nel 1924 l’interno viene intonacato a bande bianche e nere72. Nel 1949 viene tolto l’intonaco dai
pilastri e si eliminano gli altari seicenteschi73. Alcuni anni fa, durante i lavori di pavimentazione, sono
state individuate, a 30 cm. di profondità, le tracce di un edificio situato ad un dislivello di 6 metri74;
di questo ritrovamento, purtroppo, non abbiamo però alcuna documentazione.
Pag. 195 – 198.
I Castelli di San Salvatore*.
[44.1.] RADICOFANI (SI)
66
A.V.C., B. 91. I. 3, lettera del 5 giugno 1845.
Ibidem, lettera del luglio 1782.
68
Ibidem, lettera del 24 luglio 1843.
69
Sul progetto di ingrandimento della chiesa si veda: A.V.C., B. 91. I. 3, lettere del 24 luglio 1843, 14 ottobre 1843, 13
aprile 1844, 18 dicembre 1844. Cfr. anche F.M. Magrini, I parroci, cit. p. 62.
70
A.V.C., B. 91. 3, lettera del 13 aprile 1844.
71
F. M. Magrini, I parroci, cit., pag. 62.
72
Soprintendenza ai Beni Ambientali e Architettonici di Siena, Scheda A, San Pietro a Radicofani.
73
Ibidem.
74
Ibidem.
67
29
Libri su Radicofani
Personaggi nati a R.
Renato Magi
Il complesso del castello di Radicofani e del suo Borgo di Callemala costituì nel medioevo un’importante zona di
transito, e di controllo strategico, sul percorso della via romea o Francigena. Più anticamente attestato (dall’876) è il
villaggio di Callemala, mentre il castello di R. si trova nominato per la prima volta nella vendita dell’aldobrandesco
Lamberto di Ildebrando marchese dell’aprile 973. Numerose sono le carte private – spesso concessioni livellarie –
dell’abbazia di S. Salvatore del Monte Amiata che si riferiscono a Callemala: intorno a questo insediamento sulla via
Francesca (l’indicazione è già nel testo dell’876) i monaci possedettero terreni, vigneti, boschi ed orti, e sul vicino corso
del Paglia impiantarono dei mulini (una prima indicazione risale al 962, e nel ‘200 si ha notizia dei mulini abbaziali di
Callemala) (dei mulini di Callemala si ha notizia nello “Statuto di R. del 1255 – n.d.t.).
A Callemala era la chiesa di S. Cristina, e nei pressi la sede pievana di S. Donato, ricordata con frequenza nelle
carte amiatine e riferita dal 1075 al luogo di R. (in seguito cambiò titolo e fu dedicata a S. Giovanni). Il controllo sul
castello di R., che era di proprietà regia, fu conteso in un primo tempo tra l’abbazia del Monte Amiata e i conti
Aldobrandeschi: nella querela presentata dai monaci all’imperatore Enrico IV, nel luglio del 1081, si denunziava come
abusiva la detenzione del castello da parte di quei nobili, i quali vi tenevano insediata «una moltitudine di loro cavalieri».
In seguito si affermarono in R. i Manenti, che erano conti di Chiusi e in quanto tali – verosimilmente – disponevano di
diritti sul patrimonio regio nel contado: e nel 1139 il conte Manente di Pepone donò al vescovo senese Ranieri – con un
documento rogato in Siena, «nella piazza di S. Cristoforo, nel parlamento, in presenza di molti uomini» - la sesta parte
del castello. Questa cessione, che è uno dei fatti più noti nella storia della prima espansione territoriale di Siena, dovette
certo suscitare apprensioni e volontà di resistenza nei monaci del Monte Amiata. Nel 1144 essi si fecero concedere da
papa Celestino II una bolla di conferma dei propri possedimenti, tra i quali era espressamente indicato il castello di R.
Poco tempo dopo sembra che organizzassero ostilità militari contro i Senesi, impegnati allora in una guerra contro il
Comune di Firenze. Certo si è che nell’estate del 1145 l’esercito senese era accampato presso l’abbazia di S. Salvatore,
e che l’abate dovette allora impegnarsi a porre R. a disposizione dei Senesi per eventuali necessità di guerra: quanto alla
sesta parte del castello, che i Senesi avevano ricevuto in dono dal conte Manente, si stabiliva che l’abate l’avrebbe tenuta
per conto del vescovo e del «Popolo» di Siena. Era una soluzione manifestamente provvisoria, che mentre riconosceva
ai Senesi una sorta di sovranità politica e la formale proprietà della sesta parte castello, ne assicurava peraltro all’abbazia
il possesso materiale. Contro la prospettiva di un inserimento nel dominio senese, i monaci ricercarono con maggior
decisione il sostegno della Chiesa Romana: nel 1153 cedettero in locazione perpetua a papa Eugenio III e ai suoi
discendenti una metà del castello di R. della circoscrizione castrense e del borgo di Callemala dietro l’impegno del
versamento di un censo annuo di sei marche d’argento – a titolo di ricognizione della proprietà abbaziale, e da destinarsi
al vestiario dei monaci. Il successore di papa Eugenio, Adriano IV, fece immediatamente fortificare R., che fu poi
coinvolto nelle ostilità tra il Barbarossa e la Chiesa; e il possesso della Sede Apostolica, secondo le condizioni stabilite
nel 1153, venne regolarmente ribadito dai successori di Adriano. Nel primo anno del suo pontificato (1198) Innocenzo
III fece alzare le mura di R. ne fece costruire di nuove e si occupò che fosse messo a punto l’apparato difensivo del
castello, dove pose un proprio castellano. Infine, il famoso accordo di Neuss, con il quale l’imperatore Ottone IV
riconosceva le nuove frontiere raggiunte dal dominio temporale della Chiesa (1201), menzionava R. come punto di
confine del Patrimonio di S. Pietro in Toscana. Ma nel 1210, con l’inizio dello scontro tra Ottone IV e il papa, le forze
imperiali occuparono R. dove si insediò come castellano il maniscalco Enrico di Lure: ancora nel 1221, nonostante la
sconfitta di Ottone IV (1214) e un accordo stretto fra gli uomini di R. e il maniscalco papale (1215 o 1216), Enrico
esercitava un controllo sul castello; poi questo tornò nell’ambito del Patrimonio. Nella guerra del 1229-1235, combattuta
dal Comune di Siena contro quello di Firenze ed Orvieto, furono compiute nel territorio di R. devastazioni e razzie di
bestiami ad opera di alcuni reparti dei Senesi e dei loro alleati. Timorose di inimicarsi il Papato, le autorità senesi si
adoperarono perché fossero restituiti gli animali e avanzarono proposte di risarcimento: incorsero nondimeno nella
scomunica papale, che venne tolta nel giugno del 1235 in seguito ad una formale obbligazione di risarcimento da parte
senese e alla sistemazione della questione di Chianciano, che i Senesi avevano occupato e che venne restituita al papa
(per suo conto agì Guglielmo di Anagni, castellano di R.); il papa riconsegnò poi Chianciano agli Orvietani (era questa
di Chianciano la questione di maggiore importanza, e si ha l’impressione che l’incidente di R. sia stato dilatato a scopo
strumentale dalla diplomazia pontificia).
Del 1255 è una redazione di Statuti del Comune di R. della quale ci è pervenuto un ampio frammento: organizzata
nelle contrade di Castello, Castelmorro, Bonmigliaccio e Borgo Maggiore, la comunità appare dotata di una sua larga
autonomia giurisdizionale e fiscale. A quest’epoca era stata senza dubbio ridimensionata di molto la signoria abbaziale
sul castello, e dalla metà del ‘200 i monaci amiatini dovettero anche impegnarsi in una lunga serie di vertenze con la
Sede Apostolica per la tutela della propria sovranità su R., nel rispetto dell’antico patto con Eugenio III. Quando, nel
1262, vi fu in Siena la sollevazione dei Salimbeni e dei Guelfi contro il governo ghibellino dei Ventiquattro, e quindi lo
sbandimento della parte Guelfa dalla città, i fuorusciti si arroccarono in R.; l’anno seguente le milizie comunali senesi e
la cavalleria imperiale di Manfredi sconfissero i fuorusciti presso l’abbazia di Spineta e abbatterono quindi le mura di
R.: solo nel 1298, con un intervento conciliativo di papa Bonifacio VIII, si sarebbe conclusa la vertenza tra i Senesi e il
Comune di R. per il risarcimento di queste devastazioni. A lungo il castello di R. continuò ad essere coinvolto nelle
generali vicende politiche di Toscana: sede dei fuorusciti guelfi di Siena ancora dopo la battaglia di Spineta (anni 12641265), ribellato alla Chiesa nel 1284, dal 1295 circa base per le imprese del famoso Ghino di Tacco contro i Senesi (ora
passati allo schieramento guelfo), fu infine al centro della guerra condotta negli anni 1301 – 1302 da Guido di Monfort
e Margherita Aldobrandeschi contro il Papato e i Comuni guelfi di Siena e di Orvieto. Dopo la sconfitta dello
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Libri su Radicofani
Personaggi nati a R.
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schieramento ghibellino R. rimase per cinquant’anni nell’ambito della sovranità papale; i passaggi di Enrico VII e di
Ludovico il Bavaro non ebbero conseguenze durevoli da questo punto di vista. Alla metà del ‘300 il Comune di Siena,
che dalla lontana vicenda degli anni 1139 – 1145 non aveva cessato di ambire al controllori R. e di intervenire nelle
questioni che interessavano il castello, compì una serie di passi decisivi verso l’affermazione di una propria signoria.
Appoggiandosi alla famiglia locale dei Del Guasta (veramente la famiglia si chiamava Guasta), maggiorenti
di R. attestati dalla metà del ‘200, i Senesi ottennero nell’ottobre del 1352 una sottomissione del Comune di R.;
salvaguardati i diritti della Chiesa, ma vi fu ovviamente un’immediata opposizione papale. Dopo una lunga fase
interlocutoria, nella quale si esercitarono contemporaneamente su R. la sovranità appena acquisita di Siena, la sovranità
papale e gli antichi diritti di dominio dell’abbazia del Monte Amiata, si affermò nel castello – per concessione del papa
– una signoria dei Salimbeni; e nel 1405, nell’atto di generale sottomissione stipulato da Cocco Salimbeni in favore della
Repubblica senese, il quale concludeva la fase più acuta delle ostilità tra la città e il grande casato magnatizio, fu incluso
anche il castello di R. A quest’epoca, non ben conosciuta, della storia di R. risale la più antica compilazione di Statuti
che ci sia rimasta nella sua integrità (1397). Il dominio senese fu scosso con la guerra condotta in Toscana da Ladislao
di Durazzo, re di Napoli: tolto a Siena dai Salimbeni nuovamente ribelli, nel 1410 R. fu occupato dal capitano di ventura
Tartaglia di Lavello, già stipendiato dai Senesi ed ora passato al servizio del re; ma l’anno seguente lo stesso Tartaglia
cedette R. ai Senesi, dietro compenso. Furono stipulati adesso nuovi patti di subordinazione della comunità di R. alla
Repubblica, la quale ottenne anche, dal papa, una concessione a lungo termine (60 anni) dei diritti della Sede Apostolica
(nel 1459 i Senesi avrebbero ottenuto da Pio II che la concessione fosse perpetua, con un rinnovo ogni dieci anni, e nel
1464 anche questa clausola del periodico rinnovo fu abolita). Nei capitoli di sottomissione, che ebbero poi gli
aggiornamenti e le revisioni consuete (1517, 1527, 1543), veniva riconosciuto ai Senesi – come d’ordinario – il possesso
della rocca e dei fortilizi di R. Nel 1417 fu intrapresa la costruzione di una nuova fortezza, sotto la direzione di maestri
lombardi. Verso la metà del secolo le autorità senesi fecero guastare l’antico tratto della via Francigena, ritenuto troppo
lontano il castello e pertanto difficilmente controllabile, e lo sostituirono con un tracciato, poi rimasto, più vicino a R.
Nel 1555 la fortezza di R. fu assediata invano, con intenso bombardamento, dalle forze imperiali e medicee: sarebbe
stata consegnata al duca Cosimo solo dopo la resa della Repubblica montalcinese (1559). (Per l’esattezza il 17
agosto 1559)
Il sistema di fortificazioni di Radicofani si può dividere in quattro parti ben distinte: la rocca, la fortezza,
l’ampliamento di questa e le mura del borgo. La fortezza in filarotto comprende all’interno la più antica rocca
triangolare con torri angolari attorno alla quale essa si svolge a pianta presso a poco quadrangolare con bastioni
piuttosto irregolari a tre degli angoli; priva però del lato E, poiché le sue mura, dai bastioni che lo delimitano, vanno
a ricongiungersi con la torre E della rocca, formando da quel lato una specie di tenaglia; il bastione SO è sostituito da
una curiosa conformazione ad L di quell’angolo della fortezza. Alla rocca si accede per una porta ad arco ribassato
sormontata da piombatoi rifatti. Delle tre torri, la maggiore, in funzione di mastio, è quella di SO, accanto alla porta,
con base a scarpa e cordone, tanto restaurata da rendere difficile stabilire l’autenticità dei vari elementi: quella di NO,
più piccola, ha pure la base a scarpa; quella E si fonde con i bracci di mura suddetti. La Fortezza come si è detto, è
provvista di bastioni, che conservano ancora, più o meno rovinati gli ambienti interni. Anche l’ampliamento della
fortezza, in direzione N e ad un livello più basso, era munito di due bastioni, dei quali quello NO conserva ancora tratti
di paramento, specialmente nella base a scarpa, e del cordone sovrastante; nel lato O bel portale di accesso ad arco
tondo. Per quanto riguarda le mura del borgo si può ancora vederne qualche frammento ai piedi della rupe della
fortezza, nonché un lungo tratto del basamento, interrotto da una torre rotonda, dalla parte a valle, a sostegno dei
giardini pubblici, ma reso quasi illeggibile dai rifacimenti. All’estremità E del paese resta ancora una porta ad arco
tondo. All’estremità opposta è invece un fabbricato medievale in pietra con il fronte a valle e la testata fortemente
scarpati, assai rimaneggiati e pesantemente stuccati in cemento; sul lato a monte è una porta d’ingresso ad arco tondo
ed un’altra su quello a valle dentro un profondo strombo della scarpa.
[44.3.] CATEL MORRO
Non si conoscono le vicende specifiche di questo castello, che nel 1255 era aggregato a Radicofani, del quale
costituiva una contrada, ma conservava tuttavia una fisionomia edilizia propria, con le sue carbonaie ed un circuito di
mura del quale si conservano ancora oggi le tracce. C.M. fu sede della chiesa di S. Andrea, posseduta dalla metà del
‘200 fino al 1478 dall’abbazia del Monte Amiata.
Numerosi resti di mura crollati, immediatamente adiacenti alla fortezza di Radicofani, sparsi tra le macerie, stanno
a testimoniare l’esistenza del castello.
[44.8.] Rocchette di Sassina.
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Personaggi nati a R.
Renato Magi
Per le notizie storiche e bibliografiche cfr. la voce seguente.
Ne restano soltanto pochi ruderi appena emergenti dal terreno.
[44.9.] ROCCHETTA (di Senzano)
Nell’aprile del 1007 i monaci del Monte Amiata ottenevano dall’imperatore Enrico II un privilegio, nel quale era
confermata loro, tra gli altri possessi, la rocca di Senzano con le sue pertinenze; venti anni dopo Corrado II ribadiva la
concessione: quel possedimento era designato ora come «le rocche che son chiamate Saxine». È dunque antica la
distinzione tra le due rocche, che si sarebbero poi dette le Rocchette di Radicofani e avrebbero ricevuto rispettivamente
il nome di Senzano (oggi Rocchette; e cfr. il vicino toponimo Sensano) e di Sassina (i resti presso l’odierna Casa al
Treggia, due Km ad O dell’altro fortilizio). Quest’ultima sembra essere stata la meno importante delle due rocche: certo
i documenti amiatini del secolo XI non ne fanno menzione, dopo il citato privilegio di Corrado II, mentre non mancano
i riferimenti al castello e alla rocca di Senzano. Nel 1072 Beatrice e Matilde di Toscana confermarono all’abate del
Monte Amiata la proprietà della rocca e delle sue pertinenze, contro rivendicazioni del vescovo di Chiusi e dell’abate di
S. Pietro in Campo. In seguito ambedue i luoghi fortificati caddero in abbandono. Nel 1205, infatti, l’abate Rolando
diede ad alcuni uomini di Radicofani il permesso di ricostruire le Rocchette, concedendo loro una metà dei relativi diritti
signorili. La ricostruzione non dovette essere intrapresa, perché nel 1248 vi furono nuovi dello stesso tipo tra l’abate del
Monte Amiata e uomini di Radicofani (tra cui erano discendenti dei precedenti concessionari); si ponevano, e furono
adesso regolate, questioni relative ai confini del territorio delle Rocchette e a diritti di altri proprietari del luogo. Non si
conosce l’esito di questi nuovi accordi. Nel 1369, non avendo intenzione di pagare al castellano di Radicofani gli stipendi
delle dieci guardie della Rocchetta (di Senzano), i monaci dell’Amiata acconsentirono a che il luogo venisse smantellato.
Sulla vetta di un roccione, all’estremità di una cresta collinare, sono i ruderi appena visibili del castello.
* Le schede sono riprese dal Repertorio, di Paolo Cammarosano e Vincenzo Passeri. Dal Libro I Castelli del Senese
–Strutture fortificate dell’area senese-grossetana – Volume secondo – [pagg.275-401] – Edito a cura del Monte dei
Paschi di Siena – Anno 1976. La numerazione fra parentesi quadra è quella che appare nel testo originale.
L’AMIATA NEL MEDIOEVO – AA.VV. – Edizioni TIBERGRAPH S.r.l. – Città di
Castello (PG) dicembre 1989.
Pag. 17.
La Toscana meridionale nel medioevo – Giovanni Tabacco.
L’espansione del comune di Orvieto su Chiusi e il suo territorio – un territorio nei secoli anteriori
inquadrato sempre formalmente nel regno italico – favorì qualche intervento papale nella zona, in
prosecuzione e convergenza con il controllo che i predecessori di Innocenzo III avevano conseguito
su S. Salvatore dell’Amiata, nonostante il suo carattere di abbazia imperiale, e sul castello di
Radicofani, dipendente dall’abbazia75.
Pag. 50 e seg.
L’abbazia di San Salvatore al Monte Amiata e le famiglie Comitali della
Tuscia: Prospettive di ricerca – Amleto Spicciani.
I Berardenghi si erano stanziati a est dell’abbazia, gli Aldobrandeschi a sud-est, gli Ardengheschi
a ovest e – più oltre – i Gherardeschi76. In mezzo ai loro territori, da nord a sud, la via Francigena,
75
M. Maccarone, Studi su Innocenzo III, Padova 1972, p. 77 sg. Cfr. D. Waley, Mediaeval Orvieto, Cambridge 1952, n.
53, pp. 6, 19, 27 seg. Per l’abbazia e Radicofani: CDA, II, pp.310-391 (passim); REDON, Uomini e comunità, p. 23.
76
Cfr. la carta delle aree di espansione delle maggiori famiglie toscane allegata a KURZE, Nobiltà toscana e nobiltà
aretina cit.
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nel tratto da Siena a Roma; e lungo questa importantissima strada i maggiori possessi monastici si
San Salvatore dell’Amiata. Lì accanto Radicofani, castello regio, passato poi in mano anche degli
Aldobrandeschi e punto di forza – come vedremo – contro l’abbazia amiatina77.
Fu allora che l’abbazia, posta geograficamente al centro della Tuscia meridionale e in un luogo
strategicamente importante, venne a trovarsi in concorrenza con le altre forze signorili che nella
stessa zona già si erano affermate.
I diritti di potere pubblico che nell’XI secolo l’abate amiatino esercitava, non solo sulle sue terre
ma anche sugli uomini liberi che abitavano nelle circoscrizioni a cui quelle terre estesero la propria
giurisdizione, avevano un lontano retroterra e si fondavano su legittime e antiche concessioni78.
……………………………………..
Il conte Ugo (super omnia mala que suus pater gessit eadem faciens ac deteriora cotidie
superinponere non recusans) aveva usurpato il villaggio di Sala, la corte di Gravilona e aveva
addirittura dato in feudo il castello di Selvena.
Il fratello di Ugo, il conte Ranieri, aveva occupato la corte di S. Fiora con i suoi cento mansi e
la selva di Campusona, e in queste terre, come pure in altri possessi del cenobio, teneva placido e
esercitava il suo governo. Obbligava gli uomini di Piancastagnaio e di S. Casciano (quest’ultima era
una corte regia in possesso dell’abbazia) alla custodia e al servizio nel suo castello di Marino, e
aveva a loro imposto una tassa annua di trenta lire. Addirittura aveva occupato il castello di
Radicofani – anch’esso appartenente al re – e di lì ogni giorno procurava danni innumerevoli al
monastero.
In angustiis et laboribus viximus, scrivevano i monaci al re Enrico IV; e lo scongiuravano di
intervenire in loro aiuto prima che l’abbazia avibus adque feris, ab hominibus derelicta, tradatur79
………………………………………………
Il conte Ugo del defunto conte Ranieri (dei Guiglieschi, del ceppo dei conti di Siena) nel 1071
donò all’abbazia amiatina un terreno nella selva di Muliermala80 (Radicofani), che separava un
possesso del detto monastero dalla terra degli Aldobrandeschi (CDA, II, n. 288, p. 224) .
………………………………………………
Gli effetti della riforma gregoriana si fecero sentire nel settembre del 1082 quando tredici
persone – tra loro imparentate – sottoscrissero una cartula refutationis con la quale restituivano
all’abbazia dell’Amiata i beni che i loro avi avevano usurpato nella corte monastica di Agello, lungo
il corso dell’Orcia.
Pag. 65 e seg.
I primordi del comune di Abbadia – Paolo Cammarosano
………………………………………….
E la contestualizzazione si fa ovviamente più ricca se oltre ai testi che contengono riferimenti al
castrum Abbatie si considerano quelli relativi a Monticello, a Radicofani, ai castelli della Val d’Orcia
in relazione con San Salvatore.
Pag. 79 e seg.
Nel frattempo il cenobio amiatino (1077) si era trovato ad essere come circondato da tutte le parti da centri fortificati
dai conti Aldobrandeschi. I quali obbligavano anche gli uomini del monastero a prestare servizio armato di guardia in
ogni tempo nei loro castelli.
78
Sul lungo processo storico che dal IX all’XI secolo portò alla formazione della signoria territoriale amiatina, mi riservo
di ritornare in un prossimo saggio.
79
CDA, II, n. 309, pp.261-264.
80
CDA, II, n. 288, pp. 222-223.
77
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Il comune e il monastero di Abbadia San Salvatore nella Repubblica di Siena
(secoli XIV_XV) – Mario Ascheri – Donatella Ciampoli.
………………………………………….
Anche le cronache e la storiografia antica senese registrarono che nel febbraio1347 l’orvietana
Abbadia, contemporaneamente a Chianciano, era passata sotto il controllo senese. ………In realtà,
la soluzione del 1347, tanto desiderata da Siena, che sulla zona poteva esercitare un controllo sempre
minacciato e poco stabile a Radicofani e a Piancastagnaio, era stata preparata da tempo.
Pag. 101 e seg.
Paesaggi sepolti: insediamento e incastellamento sull’Amiata, 750 – 1250.
Chris Wickham. (Questo è l’articolo che mi ha fatto comprendere come Radicofani
sia diventato uno dei più importanti paesi dell’Amiata!)
Nel 1250, il quadro dell’insediamento umano sul Monte Amiata aveva ormai assunto le stesse
forme accentrate che ha mantenuto fino ad oggi81. Per la verità, era più accentrato di quanto lo sia
oggi; la fila di frazioni fra Arcidosso e Piancastagnaio non si sviluppò prima del Settecento: la
maggior parte dei poderi della campagna intorno a Radicofani o Castiglion d’Orcia non era ancora
formata. Per quanto possiamo sapere, nel primo Duecento quasi l’intera popolazione della zona
intorno all’Amiata era concentrata in una quindicina di castelli, tutti rimasti, con più o meno
successo, fino ad oggi. ………………………………………
La popolazione di Rocca di Tintinnano (circa 500 persone nel 1250) era senza dubbio
concentrata quasi totalmente dentro le mura. Constatazioni simili potrebbero essere fatte per
Arcidosso, Montelaterone, Radicofani, o Castel di Badia (la moderna Abbadia S. Salvatore).
……………………………………………………….
Fra il 973 e il primo Duecento, ventitré castelli sono documentati nella zona, e fanno parte di
questo gruppo i quindici centri fortificati del basso medioevo82. Solo un terzo delle fortificazioni,
cioè, non riuscirono a persistere come insediamenti fino al periodo moderno; quasi tutti erano
localizzati nei comuni attuali di Radicofani e Piancastagnaio, per ragioni che vedremo in seguito.
……………………………………………………..
La documentazione relativa alla zona amiatina, quasi tutta proveniente dal fondo diplomatico di
S. Salvatore, conferma questo quadro generale. Molti dei castelli situati sulla montagna o nei dintorni
rappresentano quasi esattamente almeno un aspetto di questi modelli; alcuni esempi desunti da
insediamenti situati nella parte occidentale della zona renderanno meglio l’idea. Ad est dell’Amiata,
comunque, intorno agli attuali Abbadia S. Salvatore, Radicofani e Piancastagnaio, il quadro di
sviluppo è molto più complesso, e perciò più interessante; è questa la parte che analizzerò più a
lungo, perché qui la storia dei castelli e dell’insediamento farà più luce sulla storia sociale della
montagna e dei suoi abitanti.
………………………………………………………..
Queste conclusioni mostrano abbastanza chiaramente come i modelli correnti per
l’incastellamento si applicano alla regione amiatina, ma non ci portano molto avanti; non sono in se
81
La regione oggetto di questo studio è limitata al nord del fiume Orcia, e a sud dal Monte Labbro e dai torrenti Sièle e
Rigo; corrisponde approssimativamente (non perfettamente) ai comuni attuali di Castiglione d’Orcia. Abbadia S.
Salvatore, Radicofani e Piancastagnaio (prov. di Siena), Seggiano, Castel del Piano, Arcidosso e Santa Fiora (prov.
Grosseto).
82
L’elenco completo è, in ordine cronologico di prime menzioni: Campiglia, Cinille*, Radicofani, Montelaterone, Rocca
di Senzano*, Castiglione d’Orcia, Montenero, Montepinzutolo (Monticello), Rocca di Sassine*, Reggiano*, Potentino,
Castel del Piano, Marino*, Mussona*, Serra de Ruga*, Boceno*, Arcidosso, Santa Fiora, Rocca di Tintinnano (Rocca
d’Orcia), Seggiano, Castel di Badia (Abbadia S. Salvatore), Montegiovi, Piancastagnaio. Quelli con asterischi non
sopravvivono come castelli. Vedi Repertorio, svv. Escludo dall’elenco i Borghi della via Francigena; anche se alcuni
ottennero le mura, sono chiaramente definiti dalle nostre fonti come diversa categoria d’insediamento.
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Libri su Radicofani
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stesse particolarmente originali, poiché lo stesso Kurze ha già messo in chiaro la situazione nella
zona; e finora lasciano parecchi problemi essenziali senza spiegazione. Alcuni di questi problemi
non possono essere spiegati in nessuna parte dell’Amiata; ma per l’oriente della montagna abbiamo
una documentazione più complessa, e possiamo dire alquanto di più. In quest’ultima zona erano
presenti tre castelli nel primo Duecento, Castel di Badia, Piancastagnaio e Radicofani, tutti e tre più
o meno fortemente controllati dal monastero di S. Salvatore; ed ebbero una storia piuttosto diversa
da quelli dell’occidente. Per la verità, non abbiamo motivo di credere che i primi due siano anche
esistiti come castelli molto prima del 1200, e anche Radicofani, benché documentato dal 973, fu
relativamente trascurabile fino a dopo il 1080; ciò nonostante, nel Duecento l’habitat della zona era
accentrato in modo simile a quello dell’ovest, e Castel di Badia fu probabilmente, con 800-900
abitanti circa, l’insediamento più consistente della montagna83. I fattori che portarono a questo fanno
parte di un quadro notevolmente più complesso di quello che riguarda la zona occidentale.
Nell’VIII secolo, il periodo della fondazione di S. Salvatore, possiamo individuare due assetti di
proprietà nelle campagne ad est della montagna. Il primo era un blocco massiccio di terra pubblica,
che copriva tutta la zona fra la cima dell’Amiata e quella della collina di Radicofani, includendo la
maggior parte dell’alta Val di Paglia che separa le due84. Molta di questa era terra non dissodata e
spesso non coltivabile85; ma la fertile Val di Paglia certamente già allora aveva un numero di
insediamenti aperti (casalia) dentro il blocco fiscale, Paliano, Causulano, Presoniano, Palia, come
pure tre mulini subito sotto l’Amiata già nella metà dell’VIII secolo86. Gran parte del blocco di terra
pubblica fu trasferita a S. Salvatore durante o prima gli anni ’60 dell’VIII secolo; i margini
meridionali e orientali rimasero però nelle mani dei re e dei loro subordinati, e solo più tardi furono
devoluti al monastero. Subito fuori del blocco di terra, esistevano anche parecchi altri casalia: S.
Filippo, Comeiano, Lardoniano, Forcole, Mussona al nord, Casano, Clemenzano, Offena, Gello
all’est, Spargaria e Boceno al sud, segno dell’esistenza di una maglia già fitta di insediamenti in
tutta la zona, almeno sotto la quota di 600 m87. Questi casalia vicini furono i centri del secondo
assetto di proprietà, privato e su piccola scala, anche se pure il fisco possedette, in maniera più
sparsa, in molte di esse.
È difficile oggi immaginare questa zona senza i due centri dominanti di S. Salvatore stesso e
Radicofani. S. Salvatore, però, esisteva appena in maniera significativa come punto di riferimento
politico prima dell’800; Radicofani fu probabilmente solo una vetta boscosa che, per quanto
impressionante a vedersi, era ancora un vuoto sulla carta. Gli abitanti dell’VIII secolo nel gruppo di
83
REDON, p. 155. Ma non conosciamo la grandezza di Arcidosso in quel periodo; più tardi, sarà uno dei centri maggiori
sulla montagna, con Abbadia S. Salvatore e Radicofani (cfr. sotto, n.124).
84
I confini elencati in CDA 6 (con commento in Kurze, Konigsurkunde) includono la maggior parte di questo blocco.
85
L’Amiata è per lo più foresta sopra il livello di 800 m., anche se la parte inferiore di questa selva è stata sfruttata
sistematicamente dal Duecento in poi per la coltivazione di castagni. Al di sotto, i più dolci pendii alla base della montagna
permettono una prospera agricoltura. Comunque, dall’altra parte della Paglia (e del Formone), sotto Radicofani a nord e
ad ovest, i calanchi argillosi di oggigiorno testimoniano la povertà della terra; i calanchi non sono necessariamente
precedenti al dissodamento bassomedievale, ma la terra non sarà mai stata molto produttiva.
86
Casalia e mulini dentro il territorio monastico: CDA 6, 108, 130, 157, 166, 173; cfr. n. 36. La sola sicuramente
localizzabile è Presoniano (sotto, n. 35) che, da CDA 108, è chiaramente individuata come insediamento in parte sparso.
87
Riferimenti prima del 950: S. Filippo, Lardoniano e Spargaria sono documentati e approssimativamente ubicati da
CDA 6 (casale S. Filippo, anche in 58, 105,140, è rappresentato dal moderno Bagni S. Filippo, già un centro termale nel
periodo romano, e dalla chiesa omonima a un chilometro ad ovest). Compiano: 140, vicino a S. Filippo. Forcole, che
sopravvive come podere: CDA 183, 192, 197. Mussona era stata già oggetto di un dono regio dell’VIII secolo a S.
Salvatore (CDA 6); era una corte con campi sparsi sulle povere terre argillose a nord della collina di Radicofani (vedi
altra nota più avanti). Casano (un moderno podere): CDA 70. Clemenzano: 30, 47, 67, 70, 175. Offena: 15, 198 (per
l’ubicazione vedi altra nota), Boceno (un moderno podere): 47, 58, 62, 76, 112, 113. Gello: 2, 7, 9, 13, 33, 66, 74, 101,
103, 110, 114. Anche Gello sopravvive come podere; che la sua identificazione sia giusta (il nome Gello è comune in
Italia), è testimoniato da CDA 7 e 308 (1082 – cfr. anche i riferimenti a S. Pellegrino qui e in 114; in ambedue è associato
con Orcia. Vedi anche altra nota. Fra questi casalia, Clemenzano è quello che presenta maggiori difficoltà
d’identificazione. Nell’810 è citato accanto a Casano (CDA 70) e nel 995 e 1075 Ponano (210, 296-7), che possono essere
identificati sulle carte dell’IGM; nel 1009 (229; cfr. 296-7) è strettamente associato a Corvaia, situata tra Casano e Ponano
nelle mappe catastali del comune di Radicofani.
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insediamenti ad est di Radicofani, probabilmente in gran parte piccoli e medi proprietari, invece
guardarono a nord-est ed a nord, alla sede diocesana di Chiusi e a Montepulciano; il loro centro
politico fu la Valdichiana, e non le terre più selvagge di Radicofani e dell’Amiata.
Circa l’anno 800 la crescita dell’importanza del monastero di S. Salvatore cominciò a spostare
questo reticolo politico verso ovest. S. Salvatore ricevette parecchi doni importanti dall’altra parte
della collina di Radicofani, in particolare un gruppo di terre a Gello, ed il monastero privato di San
Quirico in Clemenzano, che mostrano il riconoscimento dell’importanza del monastero dell’Amiata
da parte dei proprietari locali, e che permisero a S. Salvatore di estendere la sua egemonia più verso
est. Le prime alienazioni a S. Salvatore spesso vengono infatti dalle stesse zone di quelle interessate
dal reticolato dell’VIII secolo, la Valdichiana in particolare. Comunque, il monastero era situato
anche all’inizio della vallata relativamente ricca del Paglia, e perciò naturalmente guardò verso
Sovana, e fino a Tuscania ed oltre.
……………………………………………..
Il primo accentramento medioevale dell’habitat nella Val di Paglia non ebbe niente a che fare
con i castelli; fu il prodotto dell’aumento continuo dell’importanza dal primo IX secolo in poi dalla
via Francigena, che passava per la vallata88. Il casale di Presoniano era situato sulla Paglia in luogo
strategico, in fondo al crinale che va verso lo spartiacque fra Paglia e Orcia; il fatto che nell’830 ci
fosse una taverna indicherebbe che una strada era già presente. Solo nell’876 la via Francisca è
esplicitamente citata per la prima volta come passante attraverso il casale, che ormai però veniva
chiamato Callemala, la «strada cattiva», nome che presto rimpiazzò quello precedente: veniva cioè
ad essere identificato con la strada. Nel 962 Callemala era detta burgo; una denominazione in questo
periodo esclusivamente associata con la via Francigena. Sembra essersi espanso gradualmente
durante il secolo seguente; nel 1009 case e taverne potevano essere situate o dentro o fuori del burgo,
indicando così la presenza di un confine, forse anche le mura, ma soprattutto che le case ormai si
estendevano fuori questo confine89. All’inizio del XI secolo S. Salvatore qui aveva almeno trentotto,
e probabilmente quarantanove, affittuari, come dice un elenco dei redditi, non datato ma
probabilmente risalente a quel periodo; la popolazione del borgo deve essere stata di almeno 200
abitanti, non pochi per il periodo90. Nel tardo XII secolo declinò in favore di Radicofani, come
vedremo, ma non c’è segno di questo declino prema del 1100.
La via Francigena sull’Amiata ha avuto un’ampia bibliografia (cfr., fino al 1975, Repertorio), ma quasi tutta è
topograficamente molto vaga e nel migliore dei casi superficiale. Vale la pena qui citare solo due articoli: J. JUNG, Das
Itinerar des Erzbischofs Sigeric von Canterbury und die Strasse von Rom ǖber Siena nach Lucca, MIÖG XXV (1904), pp.
1-90, la discussione classica, e G. FATINI, Un tratto della via Francisca e la Badia S. Salvatore nell’Amiata, BSSP
XXIX (1922), pp. 341-58, che, benché spesso confuso topograficamente, è il primo in cui si sia tenuto conto della
complessità della situazione insediativa sulla strada. Il resoconto più recente è R. Stopani, La via Francigena in Toscana,
Firenze 1984. La Francigena è citata per la prima volta nell’876 (CDA 157). Non compare in CDA 6, nonostante i
dettagliati elenchi di proprietà sulla montagna, né nei numerosissimi documenti lucchesi dell’VIII secolo. Sarei portato a
concludere che la storia della strada s’inizi nel IX secolo, anche se qualche itinerario già esistente aiuterebbe a spiegare
la fondazione di S. Salvatore stesso.
89
Per l’uso del termine burgus, vedi SETTIA, Castelli e villaggi, pp. 315-25. Presoniano: CDA 108, 166. Callemala come
casale: 157, (876), 166, 181: i confini di 108 e 181 mostrano che i due villaggi sono identici. Callemala come burgo: 201,
210, 230 (1009), 268, 288, 341. Per l’espansione del Burgo, mettere in confronto 181, 201, 230. Callemala fu ubicata fra
il fossato Sicco, la Paglia, e il fossato Petroso. I nomi di questi due torrenti sono ora persi, ma ASS, Diplomatico SSMA,
7 nov. 1283, collega invece il burgo con il fossato Vasci e il fossato Cacarelli, i moderni Vascio e Cacarello (quest’ultimo
già appare come Cacari nel 1032: CDA 268; cfr. anche il testo del 1345 cit. da REPETTI, Supplemento, pp. 7-8). Deduco
che questi furono i nuovi nomi del Sicco e del Petroso; la prossimità dei due torrenti permette una localizzazione
abbastanza esatta per il burgo. Si trova infatti in fondo alla discesa più facile e più ovvia dello spartiacque. Da ricognizioni
fatte sul posto del marzo e maggio 1986, à stata rinvenuta una quantità di ceramica romana e medioevale: i miei
ringraziamenti a Cathie Weir, Andrew Wickham, Lisa Fentress, Anthony Luttrell, Riccardo Francovich per i loro
essenziali aiuti. Per una carta, vedi STOPANI, Francigena, pp. 83-8.
90
L’elenco dei redditi è un testo complesso, molto dettagliato, menziona una quindicina di luoghi (vedi nota più sotto). È
ASS, Diplomatico SSMA, «sec. XI», pergamena ormai ridotta in frammenti; Wilhelm Kurze gentilmente mi ha fornito
una trascrizione e una fotografia. È di una mano difficilmente databile, forse dell’XI secolo ma forse anche più tarda e
manca la data. Dev’essere, comunque, o un elenco dell’XI secolo o la sua copia: la maggior parte degli insediamenti qui
88
36
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Personaggi nati a R.
Renato Magi
Callemala è il meglio documentato di questi Burgi, ma ben lungi da essere l’unico. Fra l’Orcia
e Acquapendente fu possibile, già nel primo XI secolo, trovarli ogni pochi chilometri: Le Briccole,
Fermone91, Muliermala sul passo fra la Val d’Orcia/Val di Formone a nord e la Val di Paglia a sud92,
Callemala, Voltole (che penso debba essere lo stesso che il misterioso, S. Petir in Pail di un itinerario
anglosassone del 991)93, Burgorico (senz’altro così chiamato a causa del vicino torrente Rigo, ma
probabilmente presto confuso semanticamente con la parola significativa «ricco», perché fu più
tardi anche chiamato Richoburgo), Centena, Arisa o Acquapendente94. Insieme, questi borghi
offrono una testimonianza impressionante della quantità di gente sulla strada, e l’effetto massiccio
che ciò deve aver avuto sull’indirizzo dell’economia locale, dato che le loro taverne erano
presumibilmente fornite con risorse locali. Si formarono su diversi tipi di proprietà. Callemala
appartenne a S. Salvatore, Voltole ai conti di Siena, Burgorico e parte di Acquapendente al marchese
Ugo; nobili minori invece tennero delle proprietà nei burgi al nord della Paglia, ove la proprietà era
più frazionata.
Pag. 119 e seg.
……………………………………Precisamente quale effetto ebbe la strada sull’economia
locale e le sue direzioni è molto difficile da stabilire; non è fino a dopo il 1200 che le nostre
testimonianze potrebbero permetterci di costruire una immagine accurata dell’esatto indirizzo
nominati (la stessa Callemala, Voltole, Clemenzano, Paliano, Albinita, S. Cassiano, Boceno, Burgorico), non furono più
abitati in maniera significativa, e spesso neppure documentati, dopo il 1150. Si può proporre una datazione più precisa:
tre degli affittuari elencati sotto la rubrica «Callemala», Adamo, Silvio Furcul(ese) e Maimberto, appaiono in CDA 230
(1009) per lo stesso luogo. Nell’ultimo, Silvio Furculise è menzionato come ex-affittuario di una taverna, e l’elenco
dunque verosimilmente ne è precedente; non può essere comunque precedente al 995 (CDA 221), quando Burgorico fu
donato a S. Salvatore. È da aggiungere che l’elenco menziona anche tre dipendenze in Tintinnano, lo stesso numero che
era contestato al monastero nel 991 (CDA 207), anche se i nomi dei contadini sono diversi. Tutto sommato, lo daterei al
primo decennio dell’XI secolo. C’è da notare comunque che parti del testo (inclusi parecchi nomi per Callemala) sono
scritte da altre mani e sono quasi certamente aggiunte successive. Le mie cifre per Callemala (come pure per altri centri)
nel testo sono piuttosto rozze, ma ho provato ad escludere tutti i nomi scritti in altre mani che non quella principale; ho
incluso invece un gruppo di undici dipendenti elencati separatamente e precedenti dalla rubrica de Call (Callemala?) in
m(en)se madio: il gruppo maggiore pagò presumibilmente in altro mese.
91
Le Briccole:CDA 240 (1014), 258, 316, 356. ASS, Diplomatico. S, Mustiola, «sec, XII» (LISINI, p. 106), con la
citazione dal 991 nell’itinerario dell’arcivescovo Sigerico di Canterbury (Cfr. JUNG, Itinerar p. 46 e seg.) Fermone: CDA
282 (1064), vicino al Formone e al fossatu Cannita (l’attuale Canneta) – il tracciato postmedievale della strada,
verosimilmente qui originale, lo collocherebbe a sud di quest’ultimo. È forse anche lo stesso del burgu Ciolo del 1804
(CDA 311), che si trovava nella vicinissima pieve di S. Filippo, ed ebbe una chiesa dedicata allo stesso santo di quello di
Fermone, Lorenzo.
92
Muliermala: CDA 289-90 (1071), 327-8; NIKULÁS BERGSSON, Leidarvísir, a cura di K. Kålund, Alfædi Íslenzk I
(1908), pp. 1-31, a p. 23 – un riferimento al luogo in un itinerario islandese del 1150 circa che menziona un ‘castello’ su
una cima chiamato in islandese ill Kona (cattiva donna) Muliermala è spesso stata identificata con Callemala, ma senza
buone ragioni – cattive e cattiva strade hanno ben poco in comune, CDA 289-90 l’associa con il fossatu de Selvella, forse
collegato con l’attuale Selvella sullo spartiacque; la Serra di Muliermala sopra il Fermone in CDA 248, come pure la
citazione islandese enfatizza il legame con il passo anziché il fondovalle. L’ho localizzato nel sito dell’attuale Le Conie,
un centro stradale naturale sullo stesso spartiacque, accanto a Selvella.
93
Voltole: CDA 214 (1000), 221, 227, 307, ASS Diplomatico SSMA, «sec. XI». Esiste tuttora come podere. Con ogni
probabilità fu il più grande dei burgi, con ottantadue dipendenti elencati in due gruppi nell’elenco dei redditi: forse ebbe
fino a 400 abitanti. Fu il dolo fra i burgi ad avere una chiesa dedicata a S. Pietro (sulla Paglia, quella di Callemala fu
dedicata a S. Cristina: CDA 201, 210; quella di Burgorico a S. Maria: CDA 324). Fu pure, come sarebbe stato di S. Petir
in Pail (cioè Paglia) del 991, più o meno a metà strada fra Le Briccole e Acquapendente. Per tutte queste ragioni,
identificherei Voltole con S. Petir in Pail.
94
Burgorico: CDA 211 (995: Burgo illo qui dicitur Rota Cardusa), 221, 227 (Rotam Cardosam quae nunc Burgoricho
nuncupatur), 295, 324 (Richoburgo), ASS, Diplomatico SSMA, «sec. XI». È rappresentato dall’attuale pod. Burgorico.
Centeno non è documentato prima del 1202 (ASS, Diplomatico SSMA, 15 maggio 1202), ma fu fuori della sfera
d’influenza immediata (e perciò della documentazione) di S. Salvatore; è facile che anch’essa sia sorta abbastanza presto.
Arisa/Acquapendente: CDA 138 (856, bico), 185 (909, il primo burgo), 202; Arisa e Acquapendente furono lo stesso
centro, come mostrano fra l’altro i riferimenti a Quintaluna in CDA 185 (Arisa) e CDO 8 (Acquapendente).
37
Libri su Radicofani
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economico delle diverse parti della Val di Paglia. È possibile che già nell’XI secolo il facile mercato
della Francigena abbia portato un certo livello di specializzazione economica, ma possiamo solo
immaginare il suo possibile funzionamento. Certo portò a un qualche dissodamento, anche se i
boschi della valle e dei bassi pendii delle colline su ambedue i lati non sparirono del tutto: per la
verità, perfino nel 1255 gli statuti di Radicofani mostrano un interesse per una economia di selva
che è più tardi quasi totalmente scomparsa dalla zona.
Pag. 122 e seg.
Oltre la Paglia, la corte monastica di Clemenzano esisteva ancora, e Radicofani ormai comincia
ad apparire sporadicamente come centro insediativo nei decenni precedenti la sua ascesa negli anni
’80 dell’XI secolo95. Ma gran parte degli abitanti della Val di Paglia dell’XI secolo abitavano lungo
il fiume e, di questi, la maggioranza abitava certamente dentro i burgi della Francigena96.
………………………………I primi castelli si associarono con gli Aldobrandeschi: Radicofani, e,
al nord della montagna, Campiglia e Cininule (probabilmente l’attuale podere Cinille). Sono elencati
in un documento del 973, che ci fornisce un elenco forse completo dei castelli aldobrandeschi nella
Toscana meridionale di quel tempo – se è così, questi tre furono i soli castelli nelle mani della
famiglia nelle vicinanze dell’Amiata. Radicofani fu quasi certamente un dono fiscale alla famiglia,
ma a nord nelle sue immediate vicinanze si trovano anche quasi tutte le altre terre associate ad esso
nella zona amiatina prima del tardo XI secolo: queste ultime almeno in parte erano forse state
ottenute da privati. Radicofani non fu, come ho detto, particolarmente importante prima del 1080
circa; gli Aldobrandeschi forse semplicemente costruirono una torre di guardia sulla cima della
collina, luogo ovvio come doveva essere anche allora per una fortificazione, senza necessariamente
dissodarne i dintorni97. Ma fu una probabile risposta alla sua esistenza l’apparire di altri tre castelli
nei testi fra il 1007 e il 1028: Rocca di Senzano e Rocca di Sassine come nuovi punti di riferimento
per la curtis di S. Salvatore ad Offena, sui pendii settentrionali nella collina immediatamente ad est
di Radicofani, e Reggiano, un castello di proprietà di una famiglia dell’aristocrazia minore, sul lungo
crinale argilloso che corre verso il nord, fino all’Orcia98. Questi, anche se non Radicofani stesso,
sembrano mostrare lo stesso tipo di cristallizzazione fondiaria che abbiamo visto sul lato occidentale
della montagna, di nuovo basato su una rete anteriore di corti frammentate (benché Offena sembri,
in maniera insolita, aver dato origine a due castelli anziché uno). Questa cristallizzazione fu,
comunque, incompleta. S. Salvatore non incastellò le altre vicine curtes, Clemenzano dall’altra parte
dello spartiacque sopra la Paglia, o Mussona vicinissima a Reggiano (le sue terre erano mescolate
con quelle dei signori di Reggiano).
95
Clemenzano, la sua chiesa di San Lorenzo, e le sue proprietà dipendenti a Ponano e Corvaia: CDA 210, 221, 229, 230,
296-7, 307. Negli ultimi tre testi comincia a perdere identità come casale, e può essere ora chiamato corte de S. Laurenzio.
Radicofani come centro demico prima di 1080: 292, 295 (1072-5). Ma S. Salvatore non possedette tutte le terre all’est
del Paglia, e avrebbero potuto esistere altri insediamenti piccoli e sparsi.
96
A nord dello spartiacque Paglia-Formone, la nostra documentazione è più frammentaria. CDA 240 (1014), comunque,
mostra parecchie case e un’articolazione interna per il burgo di Le Briccole, e 282 (1062) indica che forse trentasei
famiglie abitarono in quello di Fermone; ambedue perciò sarebbero stati centri con una popolazione paragonabile a quella
dei burgi sul Paglia.
97
CDA 203 (973) per i castelli. Cininule è identificata con Cinille in Repertorio 13.5 (cfr. anche CDA 180). I soli castelli
toscani fuori della Maremma in questo testo sono Monticchiello a nord dell’Orcia, e il non identificato Cerasolo nella
diocesi di Chiusi. Radicofani, diversamente dalla maggior parte degli altri luoghi elencati, è solo castello, non corte cum
castello; è forse solo un lapsus, ma potrebbe anche confermare che Radicofani non era ancora un centro economico o
demografico (vedi altre note).
98
Reggiano: CDA 265-6 (1028); cfr. 288,315, e sotto ad altra nota. Si trovava subito sopra il moderno podere omonimo.
Offena, Rocca di Senzano, Rocca di Sassine: 198, 200, 212, 215, 221, 227 (1007, primo rif. a Rocca di Senzano), 234,
263 (1027, primo rif. datato a Rocca di Sassine), 280, 291, 301, 308, 361. Per le ubicazioni delle due Rocche, vedi
Repertorio, 44.9. (S. Salvatore fu dominante nella zona, ma anche i conti di Siena vi rivendicarono dei possessi; CDA
280, cfr. 291). I testi topografici più importanti per la zona delle Rocchette (come furono chiamate dopo il 1200) sono i
loro confini elencati in ASS, Diplomatico SSMA, 13 ott. 1248 e 20 ott. 1248, che localizzano la terram Offenosam, tutta
quella che rimaneva ormai nella curtis di Offena, immediatamente a sud dell’attuale Pian dei Mori (Planum de Moris).
38
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Anche più significativamente, il monastero non si sforzò minimamente di fortificare gli
insediamenti nel nucleo centrale della sua proprietà, fra Paglia e l’Amiata stessa. Al contrario,
Piancastagnaio. Come abbiamo visto un villaggio accentrato al momento della sua prima citazione
nel 1002, in una zona completamente nella mani monastero e caratterizzata dal recente
dissodamento, in gradienti classici per l’incastellamento stile Lazio, rimase un insediamento aperto
per due secoli ancora; dei nostri quindici paesi attuali, è l’ultimo menzionato come castello. Le
pressioni politiche che avrebbero prodotto la maglia fitta di castelli ad ovest dell’Amiata erano fino
all’anno 1080 meno sentite in questa zona. Fino a quel momento, l’equilibrio di proprietari – S.
Salvatore, gli Aldobrandeschi, i conti di Siena, i nobili minori di Reggiano e Casale S. Filippo – fu
rappresentato da un equilibrio di centri curtensi e, naturalmente, borghi, più spesso che da castelli99.
Circa l’anno 1080 l’atmosfera cambiò bruscamente, grazie agli Aldobrandeschi. Prima di quella
data, la famiglia fu attiva a nord di Radicofani; furono forse i livellari di S. Salvatore per una parte
della curtis monastica di Offena, e, ad ovest, avevano probabilmente sottratto Montenero al controllo
dei monaci. Ci sono addirittura delle indicazioni di una sorta di patrocinio informale sullo stesso
monastero; nondimeno, la famiglia non è spesso presente nei documenti altrove nella zona, tranne
per un momento di tensione fra essa e S. Salvatore nel 1046, al quale seguì una conferma di terre
monastiche da parte del conte Ildebrando V. Questa in effetti fu concessione impostagli da Enrico
III; essa elenca quasi tutti i possessi di S. Salvatore intorno alla montagna, anche se la lunghezza
stessa dell’elenco fa pensare che sia una conferma generale di diritti monastici più che non un
catalogo di proprietà minacciate. L’interesse della famiglia aldobrandesca per la montagna e il
monastero, comunque, per quanto sgradito, cresceva. Nel 1077 il conte Ranieri, figlio di Ildebrando,
temendo la morte imminente, cedette a S. Salvatore le malas consuetudines et usitationes (cioè diritti
signorili) su proprietà monastica, poco prima concesse da suo padre100. Quando, non molto più tardi,
l’ostilità fra Ranieri di nuovo risanato ed il monastero condusse alla guerra aperta, Ranieri e il fratello
Ugo erano già piazzati in parecchi insediamenti a sud e ad ovest dell’Amiata: S. Fiora, Marino,
Castel del Piano, Selvena, ottenuti non sappiamo come o quando, ma probabilmente accaparrati da
proprietari molto diversi – il fisco, privati, S. Salvatore, e via dicendo. Il documento che rivela
questo, una lettera inviata dai monaci di S. Salvatore a Enrico IV, databile non oltre il 1084, è
giustamente famoso; fa parte della categoria chiamata da Vito Fumagalli «polittici delle malefatte»,
ed elenca i soprusi degli Aldobrandeschi in notevole dettaglio101.
La lettera ad Enrico IV ha contribuito, forse più che nessun altro documento toscano,
all’immagine dell’incastellamento prodotto dalla insicurezza attribuibile ai soprusi dei signori laici
scatenati. Un’analisi attenta del documento e del suo contesto porta però a conclusioni diverse. In
primo luogo, gli attacchi e i soprusi degli Aldobrandeschi qui descritti non furono tutti a casaccio.
Gran parte del testo elenca le obbligazioni specifiche imposte agli abitanti di particolari villaggi: su
Gravilona da Castel del Piano, o su Piancastagnaio e S. Cassiano dal castello di Marino. Certamente
i conti avevano anche occupato della terra monastica, a Selvena ed a Santa Fiora (se quest’ultima
fosse mai stata proprietà amiatina, il che si può dubitare); più tardi, tennero addirittura Albinita,
vicinissima al monastero stesso, anche se la restituirono nel 1108. Ma i principali lamenti dei monaci
si incentrarono sulle esazioni signorili; i loro contadini soprattutto furono obbligati a fortificare e
99
Clemenzano: vedi n. 95, Mussona: CDA 6, 212, 263, 277, 281, 319, 361 (vedi note più avanti). Fu anche una località
in cui avevano possessi i signori di Reggiano: 293, 315. CDA 310 mostra che Mussona era vicina a Reggiano; essa, e il
suo manso sussidiario di Guarguillie (281), furono pure vicini a Bitena, l’attuale pod. Vitena, come dimostra 283;
suggerirei che fossero in fondo a dei pendii argillosi ad est del crinale di Reggiano, siccome Mussona fu già centro
nell’VIII secolo, quando probabilmente la collina non era ancora dissodata. Ci sono testimonianze esplicite di case sparse
nella zona a nord di Radicofani per tutto l’XI secolo, anche intorno ai castelli: 281 (Mussona), 283 (Vitena), 301 (Rocca
di Senzano).
100
Per gli Aldobrandeschi in genere, vedi CDA 215 e 255, dai decenni dell’XI secolo, mostrano i conti già “protettori”
di S. Salvatore, e forse, in 215, come suoi avvocati/livellatori per Offena; fu questo il periodo in cui donarono S. Cassiano
al monastero.
101
CDA 309. Per il termine ‘polittico delle malefatte ‘, vedi V. FUMAGALLI, Le origini di una grande dinastia feudale.
Adalberto - Atto di Canossa, Tübingen 1971, p. 65.
39
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difendere i castelli degli Aldobrandeschi, e a partecipare ai loro placita. Gli Aldobrandeschi erano
probabilmente conti di Roselle e forse ormai anche di Sovana; conobbero il rapporto fra il controllo
della giustizia e la costruzione del potere politico. Questi placita furono certamente del tutto privati;
ma sarà indubbiamente a causa di questa esperienza pubblica che furono gli Aldobrandeschi a
cominciare una politica signorile nella Toscana meridionale cinquant’anni prima dei loro
contemporanei; cominciarono, cioè, a separare l’accrescimento del potere privato dal semplice
possesso di terra e dei diritti ad essa connessi. Questa nuova politica signorile, certo, si esprimeva
ormai tramite i castelli controllati dalla famiglia. Fu in questa ottica che i monaci capirono la
minaccia insita nelle munitiones che videro costruirsi tutti intorno al monastero, e la moltitudine di
milites a Radicofani che furono il loro flagello più grande, e non avevano torto. Anche gli
Aldobrandeschi, però, avevano posseduto castelli molto prima del loro primo documentato esercizio
di poteri signorili; l’incastellamento dell’inizio dell’XI secolo ebbe poco o nulla a che fare con la
localizzazione di tali diritti. Solo dopo il 1080 per gli Aldobrandeschi, ed il 1130 per il resto
dell’aristocrazia, i castelli per la loro natura portarono a una connotazione signorile, e ne ricevettero
importanza in conseguenza di ciò.
Bisogna riconoscere che non tutti i soprusi aldobrandeschi elencati nella lettera a Enrico IV
ebbero scopi specifici e limitati come quelli sopra citati: Se i conti allettavano i dipendenti monastici
e li trasformavano in ladroni (leggi: masnadieri comitali), o se minacciavano di morte ogni monaco
sorpreso in giro, allora significava che avevano il monastero molto fermamente nel mirino. I monaci
dissero, senz’altro con ragione, di essere indifesi di fronte a questi attacchi. Ma tutto questo non
dimostra che gli Aldobrandeschi cercassero semplicemente di distruggere, o rimpiazzare, il potere
locale prima posseduto da S. Salvatore. Per capire cosa significò, comunque, dobbiamo andare più
avanti nel tempo.
Questo testo è l’ultimo che testimoni l’ostilità comitale nei confronti del monastero. Bel 1084 e
1087, due documenti eccezionali registrano che il conte Ranieri concedette formalmente a S.
Salvatore – dietro riscatti molto consistenti, è vero – il diritto di costruire castellini punti strategici
delle sue proprietà, a Mussona e a Serra de Ruga, situati ai margini settentrionali e meridionali del
territorio centrale dei monaci, entrambi sovrastanti la Francigena. Questo si potrebbe interpretare
come una cessione quasi sprezzante di poteri da parte di un conte che non aveva nulla da temere da
tale opposizione, e probabilmente lo era. Ma come difesa contro gli stessi Aldobrandeschi questi
castelli sarebbero stati inutili – non era lungo la Francigena che essi sarebbero arrivati. Nel 1108 il
favore comitale divenne alquanto più positivo, poiché la famiglia cedette metà dei suoi castelli di
Marino e Boceno al monastero, così come tutta la villa di Albinita e metà dei diritti signorili sopra
Piancastagnaio e S. Cassiano. Quanto cambiò con questa cessione non è chiaro – gli Aldobrandeschi
certamente mantennero dei diritti in Piancastagnaio, Marino e Boceno; ma Boceno cessò di esistere
come castello, e verosimilmente fu fatto demolire dagli stessi monaci102.
Più importante di tutto, però, è il fatto che d’ora in avanti gli Aldobrandeschi non sono più
documentati nei loro antichi centri amiatini, Radicofani e Campiglia. Quest’ultima finì sotto il
controllo di una famiglia locale di visconti. Radicofani, comunque, pervenne in gran parte (cinque
sesti, come pare), al più tardi nel 1145, a S. Salvatore stesso 103. Questa ritirata da Radicofani è
l’aspetto più importante di questi cambiamenti, soprattutto a causa dell’importanza strategica del
102
CDA 310, 316 per i castelli (i confini di Serra de Ruga mostrano che si trovava sulla bassa collina di Poggio Cepponero;
per Mussona, vedi n. 89, anche se il castello sarebbe stato certamente sul crinale di Reggiano, non nella valle). Per le
cessioni del 1108: CDA328-30. Piancastagnaio rimase nella sfera d’influenza aldobrandesco: Reg. Sen. 155, 180, 439
/1114-1208), CDO 106-7 (1216), come pure Boceno e il castello di Marino: CIACCI, II, n. 580 (1274). Boceno in
quest’ultimo non è definito castello; ed è castellare, castello distrutto, in CDA 361 («1194»; nella realtà un falso
duecentesco, ma presumibilmente topograficamente accurato per il periodo di stesura).
103
Per la proprietà di S. Salvatore a Radicofani, vedi CDA 337-8 (1144-5) e molti testi duecenteschi in ASS, Diplomatico
SSMA. La sesta parte di Radicofani che non possedette fu ceduta dal conte Manente I di Chiusi al vescovo di Siena, in
un atto ben conosciuto dell’anno 1139 (Reg. Sen. 182, ed. per intero in Caleffo vecchio 34; cfr. anche CDA 338). Spesso
si afferma che i conti di Chiusi lo avrebbero tenuto a lungo; se, però, l’ebbero durante i 150 anni del controllo
aldobrandesco, certamente non lasciarono niente a dimostrare la loro presenza.
40
Libri su Radicofani
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castello che controllava la Francigena. Nell’XI secolo, tale controllo fu cercato dagli
Aldobrandeschi. Nel XIII secolo, invece, quando abbiamo elenchi dettagliati delle località del
comitatus degli Aldobrandeschi, la Francigena è divenuta il loro confine, non una risorsa che
pretendono di controllare, e le sole terre escluse dal contado a occidente della strada sono i territori
centrali di S. Salvatore stesso, in effetti protetti più che minacciati dallo ‘ stato ’ Aldobrandesco. Il
risultato finale dei turbolenti rapporti del tardo XI secolo fra S. Salvatore e gli Aldobrandeschi, cioè,
non fu solo la perdita monastica di alcuni suoi territori ad ovest e a sud dell’Amiata, e la cessione di
diritti signorili su altri, ma anche una notevole crescita di controllo monastico nella Val di Paglia
stessa, soprattutto a Radicofani, che con ogni probabilità lo compensò ampiamente per le sue perdite.
A mio parere, queste ritirate apparentemente paradossali da parte degli Aldobrandeschi portano
ad una chiara conclusione. Quello che vollero i conti negli anni ’80 dell’XI secolo non fu
l’occupazione di alcune proprietà monastiche, ma invece il possesso, o rimpossesso, del padronato,
del controllo, sul monastero stesso. C’è un sottotesto nella lettera a Enrico IV che conforterebbe tale
conclusione: l’insistente riferimento da parte dei monaci alla loro suggestione al re. I monaci si
rivolsero ad Enrico non tanto per chiedere la sua protezione per le loro terre, quanto per invitarlo a
difendere il suo stesso potere di padrone; fu questo che egli mancò di fare104. Gli Aldobrandeschi,
invece, riuscirono precisamente e velocemente nel loro intento: e, dopo il successo, poterono
assorbire S. Salvatore nel loro sistema di potere, e addirittura rinforzarlo come baluardo sul confine
orientale. Ne consegue che gli stessi Aldobrandeschi intenzionalmente donarono Radicofani, e di
conseguenza il controllo della Francigena, a S. Salvatore. Che tale responsabilità abbia recato quasi
tante difficoltà quanti vantaggi al monastero non era problema degli Aldobrandeschi; i conti, non
senza esperienza politica, verosimilmente lo avevano previsto.
La lettera degli anni ’80, allora, non ci mette al corrente dell’inizio di una situazione confusa di
continua minaccia militare per le terre di S. Salvatore, o chiunque altro, che spiegherebbe la vittoria
eventuale del sistema dei castelli: ci dice invece di un quadro specifica e temporaneo di ostilità,
concluse al più tardi nel 1108 ma probabilmente molto prima. Significativamente, i castelli di
Mussona e Serra de Ruga sembrano non essere mai stati costruiti, e prima del Duecento anche
Boceno era scomparso105. Se vogliamo capire come mai l’habitat ad est dell’Amiata si sia
concentrato in tre insediamenti nel Duecento, dovremo esaminare il problema da altri punti di vista,
e tre di questi non sono solo rilevanti ma anche parzialmente documentati: la crescita della piccola
aristocrazia della zona; la crescita dei diritti signorili; e la storia della strada.
Chi abitò nelle terre ad est della montagna e nei nuovi castelli nell’XI secolo? Se guardiamo la
nostra documentazione c’è un’assenza che colpisce, particolarmente se è messa a confronto con le
testimonianze dell’VIII secolo: quella dei coltivatori proprietari delle loro terre. C’è solo una piccola
manciata di riferimenti che forse potrebbero aver a che fare con essi106. O si mantennero totalmente
fuori dal retaggio politico di S. Salvatore, o, più probabilmente, avevano cessato di esistere; i soli
proprietari laici documentati sono chiaramente i possessori di corti e case dipendenti, e sono per lo
più aristocratici, grandi e piccoli. Nella prima metà dell’XI secolo, ci furono almeno quattro famiglie
di una certa importanza che sembrano essere incentrate sulle terre ad oriente della montagna, a S.
104
Per S. Salvatore soggetto a Enrico IV, il commento a CDA 309. Dopo questa data, è documentata qualche sorta di
patrocinio papale, e più tardi, sotto Enrico VI e Ottone IV, un ritorno forse più efficace a quello imperiale; questo non
esclude comunque un controllo aldobrandesco nel primo XII secolo – o anche più tardi, in pratica.
105
Deduco la non costruzione di Mussona e Serra de Ruga (CDA 310, 316) dalla loro assenza in qualsiasi testo successivo.
È vero che una nota dorsale del XII secolo a 310 fa riferimento a un castello di Mussona, ma questo sarebbe una
descrizione del tenore del documento più che una prova della costruzione del castello.
106
Dei piccoli proprietari sono presumibilmente attestati come testimoni o come possessori confinanti in CDA 201
(Callemala), 215 (Offena), 283 (Vitena), 301 (Rocca di Senzano), 356 (S. Filippo), ma in ogni caso la sola ragione per
suggerirlo è che sono altrimenti sconosciuti; tutti gli altri proprietari sui quali esiste una documentazione hanno una o più
dipendenti. Il solo riferimento apparentemente palese a un piccolo proprietario in tutta la vasta zona dell’Amiata fra il
950 e il 1200 è Reg. Sen. 187 (1142) per Tramaza il giocoliere (pallarius ioculator) di S. Fiora. Questa assenza non è solo
in contrasto con la documentazione dell’VIII secolo, ma anche differenzia l’Amiata in maniera chiarissima da quasi tutta
la Toscana settentrionale nello stesso periodo.
41
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Filippo, Reggiano, Callemala, e Rocca di Senzano. Erano tutti benestanti, con contadini dipendenti;
furono, nei casi di Reggiano e Callemala, testimoni frequenti nei documenti monastici; negli anni
’70 cominciarono a essere chiamati lambardi, termine classico in Toscana per il livello più basso
dell’aristocrazia. È importante riconoscere che non furono del tutto omogenei: quelli di Callemala e
Rocca di Senzano furono in gran parte livellari di terra monastica, mentre gli altri due proprietari di
terra allodiale; quelli di Reggiano e Rocca di Senzano abitarono nei castelli, al contrario degli altri.
D’altro canto, i lambardi di Reggiano e di Callemala furono sufficientemente vicini da sposarsi fra
di loro. E le famiglie si comportarono in modi che si potrebbero chiamare ‘ aristocratici ’; i livellari
monastici di Rocca di Senzano si appropriarono anche a Gello di altra terra monastica, quas diabolus
per longum tempus per fraudem et per malum ingenium nobis retinere fecit, come constatarono nel
1082 quando la restituirono107.
Le origini di queste famiglie sono in ogni caso interamente oscure; anche la più conosciuta, i filii
Otichieri di Callemala, sembrano comparire dal nulla quando nel 903 sono citati per la prima volta
come livellari del monastero per un terzo dello stesso luogo. Il massimo che si può dire è che il lento
processo di cristallizzazione che creò, ovunque nell’Italia centro-settentrionale del periodo,
un’aristocrazia minore di milites o lambardi, definita tramite le attitudini militari, interessò
soprattutto in questa zona queste quattro famiglie: anche se non sappiamo cosa fossero all’inizio
dell’XI secolo, alla fine erano divenuti nobili108. E sebbene l’incastellamento della zona sia stato
troppo lento per consentire di associarli inequivocabilmente con i castelli, possiamo almeno dire
che, dove ci furono castelli, è gente come questa che si può presumere vi abitasse. Per la verità, nel
caso di Reggiano, i suoi signori forse rivendicarono lo status aristocratico proprio tramite la
costruzione del castello, e anche assai presto, prima del 1028. Ma l’associazione fra attività
militare/aristocratica e castelli doveva essere stata enormemente stimolata dalle ostilità nei confronti
dei monaci da parte degli Aldobrandeschi dopo il 1080. I conti fondarono castelli precisamente per
proseguire queste attività. E, se Radicofani era stato prima un centro relativamente minore – benché
in continuo sviluppo, come dimostra dopo il 1070 la presenza di livellari monastici il cui livello
sociale quasi certamente era simile a quello dei lambardi – dopo il 1080 era divenuto grande: come
abbiamo visto, vi risedettero, almeno temporaneamente, una moltitudine di milites109.
Non si può dimostrarlo, ma a me sembra molto probabile che di questi milites facessero parte
molti dei lambardi della zona. È significativo che questi ultimi fossero i testimoni principali nel
1084-1087 nei documenti per l’incastellamento di Mussona e Serra de Ruga. Sarebbe forse possibile
che vi fossero presenti in qualità di clienti monastici anziché comitali; ma i testi sembrano provenire
dall’ambiente dei conti più che non da quello di S. Salvatore110. Gli Aldobrandeschi, in questo
momento che segna la loro maggiore affermazione locale, poterono offrire più opportunità e un
patrocinio più congeniale (più militare, cioè) di quello del monastero; i lambardi entrarono a far
parte della clientela dei conti. E quando dopo il 1100 i conti si ritirarono, lasciarono il loro monastero
(come si potrebbe ormai definire) in un ambiente molto più esplicitamente militare e anche signorile
di quello precedente.
Dopo il 1130, i nostri documenti diventano molto meno numerosi; in particolare, l’archivio di
S. Salvatore quasi cessa per sette decenni. Ma quelli rimasti, provenienti sia dal monastero, sia, in
maniera crescente, da altri luoghi, concordano nel rilevare l’importanza sempre più grande dei diritti
107
S. Filippo: CDA 258, 282, 310, 311 (chiamati lambardi), 316. Reggiano: 265-6, 281, 283, 315 (e testimoni a 297, 299,
307, 310-12, 319). Callemala: 181, 201, 210, 229, 268, 288 (lombardi), 289-90, 297, 307 (per Clarizia di Iogo, moglie di
Stefano di Rolando da Callemala e sorella di Bonzo e Teuzo da Reggiano); la famiglia testimonia in 299, 311-13, e forse
253, 255, 296, 301, 308, 316-17. Vedi inoltre n. 76. Rocca di Senzano: 301, 308 (il testo per Gello).
108 Per la Toscana, G. VOLPE, Lambardi e Romani nelle campagne e nelle città, «Studi storici» XIII (53-81, 167-82,
241-315, 369-416); WICKHAM, The mountains and the city.
109
CDA 309; per abitanti dopo il 1070: 292, 295, 316-7, 327; inclusero dei testimoni importanti nella metà del XII secolo:
341, 347-8.
110
Uomini da Reggiano e da S. Filippo testimoniarono per Mussona (CDA 310); da S. Filippo, Radicofani e Callemala
per Serra de Ruga (316). Vedi anche nota n. 121.
42
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signorili. Prima del 1130, come ho detto, solo gli Aldobrandeschi agirono in questa arena. Dopo,
tutta la politica della proprietà ha un aspetto esplicitamente signorile, e gli stessi diritti signorili
cominciano ad avere un ruolo indipendente111. Questa data, anche se tarda nei confronti del nord
Italia, quadra bene con altre zone toscane; ma l’importanza di tali diritti fu qui molto più grande che
non intorno a Lucca o ad Arezzo, per esempio. Ed essi furono associati esplicitamente con i castelli;
le prestazioni signorili erano dovute ai castelli, e, con la crescita dell’importanza delle prestazioni,
crebbe pure il legame fra abitanti locali e castelli; fu ormai su questi ultimi più che sulle curtes aperte
(quando continuarono ad esistere) che si basò il potere coercitivo dei proprietari. Ho già suggerito
questo rapporto per le terre ad occidente dell’Amiata. Ad oriente, comunque, abbiamo documentate
le attività non solo dei grandi signori e dei contadini dipendenti ma anche delle élites locali, sul
gradino più basso dello strato aristocratico; cosa essi fecero in questo ambiente ebbe forse l’impatto
più grande sulla storia dell’habitat.
All’inizio del XII secolo, la situazione politica locale era alquanto più semplice rispetto al secolo
precedente. Anziché un equilibrio di forze politiche, troviamo una situazione in cui il proprietario
nettamente dominante ad est dell’Amiata era lo stesso S. Salvatore. Non solo possedeva ancora il
vecchio centro territoriale fra Amiata e Paglia, con i borghi sulla Francigena, ormai la strada
principale dell’Italia peninsulare, ma aveva ottenuto, probabilmente con l’avallo degli
Aldobrandeschi, anche la maggior parte del castello di Radicofani, che dominava la strada e la zona
circostante. Radicofani divenne presto troppo importante per rimanere sotto il controllo dei monaci;
nel 1145 il primo di una lunga serie di eserciti senesi entrò nei territori monastici; e il controllo
politico sopra il castello fu conteso d’allora in poi fra Siena, gli imperatori e i papi. Nel 1153, infatti,
questi ultimi presero la metà del castello in livello da S. Salvatore: la loro autorità fu riconosciuta e
confermata tramite il possesso. Ma nonostante il riconoscimento politico da parte dei monaci della
dominazione altrui, almeno l’altra metà del castello e delle sue dipendenze rimase in possesso di S.
Salvatore, e questo non era un diritto vuoto, come dimostrano centinaia di testi duecenteschi. S.
Salvatore non mantenne l’egemonia regionale, ma in termini di politica locale il monastero tenne
fermamente le redini clientelari; e il centro del suo potere locale divenne sempre più chiaramente lo
stesso castello di Radicofani, con i suoi bandis, placitis, districtis et honore, come lo definirono i
monaci quando allivellarono la metà ai papi112.
È in questo contesto che dovremo capire i cambiamenti nel quadro dell’habitat. Alla fine dell’XI
secolo c’era nella zona amiatina orientale, come abbiamo visto, una struttura insediativa
estremamente varia; da un lato uno sparuto gruppo di castelli, di importanza crescente, dall’altro la
sopravvivenza di molti insediamenti aperti. L’habitat in questi ultimi fu in parte già accentrato, come
a Piancastagnaio, ma fu per lo più ancora sparso, come sui pendii a nord e a nord-est di Radicofani,
sopra l’Orcia. Poi, naturalmente, «last but not least», c’erano i borghi della Val di Fermone e della
Val di Paglia. Cent’anni dopo, questo quadro è trasformato; solo tre castelli, tutti e tre monastici,
Castel di Badia, Piancastagnaio, e lo stesso Radicofani, hanno sostituito i precedenti insediamenti
della zona. Radicofani, in particolare, nel 1200 aveva rimpiazzato non solo le curtes e i casalia nel
suo territorio, ma anche i castelli e i burgi; non solo Clemenzano e Mussona cessarono di essere
abitati, ma anche Rocca di Senzano e Reggiano. Il successo di Radicofani segna così una chiara
rottura in un processo che avrebbe portato più lentamente verso una realtà più simile a quella
111
Prima del 1130 circa, i diritti signorili sono attestati in CDA 303, 309, 329-30 (1077-1108), Reg. Sen. 139 (1097 o
dopo), tutti per gli Aldobrandeschi. Dopo il 1130, dei buoni esempi per l’importanza di tali diritti sono CDA 341 (1153,
Radicofani), 356 (1191 S. Filippo, forse non collegati ad un castello), 363 (1194, Montepinzutolo); ASS, Diplomatico
SSMA, 20 sett. 1205, 20 ott. 1248 per Rocca (ormai Rocchetta) di Senzano.
112
Radicofani nell’arena dell’alta politica: CDA 337-8, 361, 364; VON PFLUGK-HARTTUNG, Acta pontificum
romanorum inedita, II, Stuttgart 1884, p. 361 sg. n. 410 (1157); SCHNEIDER, Analecta toscana, p. 10 sg. (1200); vedi
per commento REPETTI, IV. 709-12; JUNG, Itinerar, p. 45 sg.; D. WALEY, The Papal State in the thirteenth century,
London 1961, pp. 36, 60, 66, 70, 132, 149, 206; VON DER NAHMER, Reichsverwaltung, pp. 145-8; Repertorio, 44.1.
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dell’ovest della montagna, caratterizzata da un reticolato di castelli molto più vicini fra di loro e
probabilmente anche più piccoli113.
Esattamente come avvenne questa rottura non può che essere ipotizzato, data la mancanza di
documenti per il momento cruciale. Mi sembra inevitabile proporre che l’assorbimento di tutto
l’habitat all’interno di Radicofani abbia a che fare con l’importanza schiacciante del castello come
centro politico locale dopo la metà del XII secolo. Ma questa volta ciò ebbe effetto non solo sui
contadini dipendenti. Se anche Reggiano, centro allodiale di una famiglia aristocratica, cessò di
essere documentato, allora è quasi certo che S. Salvatore ebbe la capacità di attrarre nel nuovo centro
anche alcuni aristocratici. Questo senza dubbio vale per illis de Rocca di Senzano, castello monastico
beninteso ma con abitanti aristocratici; sappiamo di sicuro che quest’ultimo era già abbandonato nel
primo Duecento. I legami clientelari e militari si stavano rafforzando: un processo già cominciato
verso il 1080 sotto gli Aldobrandeschi, ma che continuò e si stabilizzò sotto i monaci. E questo
rafforzamento fece di Radicofani un centro gradito anche ai piccoli nobili di altri castelli. Fu con
ogni probabilità questo spostamento dell’élite locale che indusse gli altri abitanti della zona a
trasferirsi nel nuovo centro. Cosa pensò S. Salvatore non sappiamo; è comunque da notare che nel
Duecento i monaci mostrarono una certa preferenza per il mantenimento di altri castelli intorno a
Radicofani: due volte in quel secolo infatti tentarono di persuadere i lambardi locali a rioccupare
Rocca di Senzano, anche se il successo fu solo momentaneo114.
Una lettura politica di questi cambiamenti può andare oltre. I lambardi di Radicofani nel XIII
secolo sembrano essere stati numerosi ed eterogenei (la famiglia Guasta deve essere entrata
a far parte della popolazione di Radicofani o prima o in questo frangente dato che il
primo firmatario dello Statuto del 1255 è proprio un Guasta Peccato che non se ne
conosca nessun altra!), fatto che quadra con una loro probabile origine come più famiglie
indipendenti. Benché fossero livellari e vassalli monastici, non furono mai facili da controllare115.
Non è perciò inconcepibile che la difficoltà che S. Salvatore nel controllare pienamente questa nuova
clientela militare in parte spieghi anche l’apparire improvviso di Castel di Badia e la fortificazione
di Piancastagnaio, ambedue nel suo territorio centrale. La fondazione di Castel di Badia, in
particolare, sembra un atto estremamente consapevole, simile a quanto era avvenuto nel Lazio quasi
tre secoli prima; la popolazione sparsa dell’XI secolo fu trasferita, prima dell’anno 1200, in un
grande castello compatto, totalmente posseduto e aggressivamente controllato da S. Salvatore116.
113
Nel Duecento la schiacciante preminenza insediativa di Radicofani nel suo districtus (che si stese per tutto il triangolo
formato dai fiumi Paglia e Rigo) è chiara; in tutti i testi in ASS, Diplomatico SSMA, e altrove, ho trovato solo tre menzioni
di capanne fuori dal castello e dei suoi borghi, ASS, Diplomatico riformazioni, 10 genn. 1249 (LISINI, Inventario, p.
382); PIATTOLI, Statuto di Radicofani, § 42 (p. 60); e ASS, Diplomatico SSMA, 10 genn. 1275. Parecchi dei vecchi
insediamenti appaiono abbandonati o come semplici contrade rurali, ubicazioni solo per terra coltivata: vedi note più
sotto.
114
Sulla rioccupazione di Rocchetta (i.e. Rocca) di Senzano, tentata da membri dei lambardi di Radicofani: ASS,
Diplomatico SSMA, 20 sett. 1205, presumibilmente senza successo e, di nuovo, 13 ott., e 21 ott. 1248. Da allora in poi è
documentato il districtus delle Rocchette (Senzano e Sassine) (per es. 13 ag. 1275, 4 apr. 1285, Spoglio nn. 804, 950),
come pure le fortificazioni, fino alla loro demolizione nel 1369 (REPETTI, IV, 712). Un’analoga iniziativa forse spiega
l’apparire di Gello come castellare in ASS, Diplomatico SSMA, 10 genn. 1275; certamente non mai nominato come
castello.
115
Problemi con i lambardi: p.es. ASS, Diplomatico SSMA, 28 ag. 1210, 5-15 giugno 1237, 28 dic. 1275. Non furono
necessariamente livellari del monastero per tutte le loro terre; S. Salvatore non possedette tutta la zona, anche se almeno
controllò gran parte del districtus.
116
Castel di Badia è esplicitamente documentato per la prima volta nel 1203 (CDO 77; ASS, Diplomatico SSMA, 9 nov.
1203, già con un podestà); ottenne già una generosa carta libertatis comunale nel 1212 (REDON, seigneurs et
communautés, pp. 164-6. e commenti, pp. 155 sg., 624 sg., 632 sg., 654-7). (I. IMBERCIADORI, Come nel sec. XII
nacque il consolato a Castel di Badia in ID., Per la storia della società rurale. Amiata e Maremma tra il IX e il XX secolo,
Parma 1971, pp. 23-37 è privo di valore). S. Salvatore vi possedette tutta la terra, e la sua proprietà (ASS, Diplomatico
SSMA, 12 ott. 1238, LISINI, Inventario, p. 56). Per la mano pesante del monastero vedi in genere REDON, pp. 153-6,
620, 623-5, 632-7, 642-7, 654-7. Castel di Badia era grande quanto i centri di Radicofani e Piancastagnaio; le strade
ebbero nomi propri, e ci furono case fuori le mura (ASS, Diplomatico SSMA, 13 sett. 1257, 14 nov. 1259, 21 apr. 1271,
16 sett. 1297, Spoglio nn. 608, 634, 746, 1147).
44
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Ora, il monastero non fu totalmente in grado di convertire quest’aggressione in potere effettivo.
Come ha rilevato la Redon, i primi riferimenti al castello già mostrano un comune rurale che si formò
in opposizione a un monastero temporaneamente, per diversi motivi, debole; la costruzione stessa
del castello fu iniziata forse proprio in questo nuovo momento di relativa debolezza politica generale.
D’altronde, la prepotenza locale del monastero nel Duecento, che ha pochi riscontri in tutta la
Toscana del periodo, certo contribuì alla coesione e, alla fine, alla stessa vittoria del comune di Castel
di Badia. Ma la capacità del monastero di creare Castel di Badia sulla sua terra è indubbia, perché
fu il solo proprietario del territorio e, relativa debolezza o no, vi deteneva ormai anche una schiera
di diritti signorili con pochi paralleli, come ho detto, altrove in Toscana117.
L’espansione di Radicofani non solo sommerse i centri abitativi del suo districtus, ma ebbe
anche un effetto drammatico sulla via Francigena stessa. Alla fine, anche la strada si spostò a
Radicofani; il transito più lungo sulla collina, attraverso i tre borghi subito sotto il castello, fu
stabilito formalmente nel 1442, e la Francigena vi rimase finché la nuova strada degli anni ’60 del
XX secolo non ha recuperato in parte il percorso originale118. Ma nel 1442 i burgi del fondovalle
erano ormai scomparsi da tempo. Callemala dipendeva da Radicofani già nel 1153: benché fosse
ancora un burgus di una certa importanza, successivamente non è più ricordato come tale, così come
gli altri burgi fra le Briccole e Centeno. Invece, nel 1191, Radicofani è ricordato per la prima volta
come stazione stradale a sé, e questo indica che la strada già si stava spostando più in alto; nel 1255
vi fu fondato un ospedale per pellegrini. Negli statuti comunali della stesso anno si fa pure notevole
attenzione alla riparazione di dieci vie diverse nel territorio del castello: non solo della Francigena,
quindi, ma ciò dimostra almeno quanta importanza una buona viabilità cominciasse ad assumere per
i Radicofanesi119. Callemala nel Duecento, d’altra parte, è documentata solo come una contrada
rurale di Radicofani, con parecchi mulini ma senza altre abitazioni. La strada che la percorreva
continuò a esistere, e fu di volta in volta anche importante, ma la maggior parte del traffico
probabilmente passava per Radicofani, salvo in situazioni eccezionali – come quando, nel 1300, S.
Salvatore autorizzò ventidue uomini e donne (significativamente, quasi tutti o da Radicofani o da
Castel di Badia) a installare bancarelle in Callemala per i pellegrini che andavano a Roma per il
Giubileo, forse per facilitare il deflusso dei viandanti sulla strada superiore. Lo spostamento del 1442
deve semplicemente aver ratificato una realtà abitativa vecchia ormai di due secoli120.
Sulla temporanea debolezza di S. Salvatore all’inizio del Duecento, vedi REDON, p. 155 sg. La rivendicazione più
sistematica dei suoi poteri in Castel di Badia, dal 1251, fu quasi totalmente in chiave signorile, e fornisce un elenco
impressionante di tali diritti, anche se alcuni erano delle volte decaduti (ibidem, pp. 174-81, 644-7). Il confronto classico
con una zona della Toscana settentrionale è J. PLENNER, L’emigrazione dalla campagna alla città libera di Firenze nel
XIII secolo, Firenze 1979, pp. 57-79, 98-103. Egli giustamente tiene separati, benché con difficoltà, i diritti fondiari da
quelli signorili, impresa anche più difficile sull’Amiata, dove i signori del bando possedettero percentuali così alte della
terra.
118
Per lo spostamento della strada, REPETTI, IV, p. 713. Per i borghi, ibid., p. 710; PIATTOLI, Statuto di Radicofani; e
anche molti testi da ASS, Diplomatico SSMA, 1237 e 1255.
119
Callemala: CDA 341, 343, 346 (1153). Il Burgo Callemale di ASS, Diplomatico SSMA, nov. 1283, è solo un toponimo
per localizzare terra agricola, presumibilmente usato come sinonimo di contrada /cfr. n. 119). Il racconto della storia di
Callemala in G. VOLPINI, Storia del monastero e del paese di Abbadia S. Salvatore, Abbadia S.S. 1966, pp. 166-8 ha
troppi errori per essere utilizzabile; non riesco a trovare la documentazione per la sua affermazione dello spostamento di
Callemala a Castel di Badia nel 1278. Radicofani: JUNG, itinerar, p. 44 sg. Per 1191; ASS, Diplomatico SSMA, 30 genn.
1255 per l’ospedale (dovrebbe essere 1256 se lo stile fosse senese, ma l’indizione è corretta per il 1255), Vie negli statuti:
PIATTOLI, Statuto di Radicofani, §§ 48-9, 51-2, 58-63 (pp. 61-4); (vedi anche: B. MAGI Radicofani e il suo statuto del
1441, Siena 2004).
120
Callemala come contrada di Radicofani nel Duecento: PIATTOLI, § 60 (P. 63, MULINO); ASS, Diplomatico SSMA,
20 ott. 1248 (mulino), 30 genn. 1255 (mulino), 28 dic. 1257, 24 genn. 1277 (mulino), 11 genn. 1282 (mulino), 8 magg.
1283 (mulino), 22 magg. 1283 (mulino), 2 lug. 1283 (mulino), 28 apr. 1292. Molti di questi anche fanno riferimento alla
strada. Bancarelle nel 1300: 21 apr. 1300. Cfr. Voltole, contrada di Radicofani e anche Piancastagnaio: 9 nov. 1203, e 26
sett. 1260, 10 giug. 1288, 18 giug. 1292 (Spoglio, nn. 636, 984, 1051): Burgorico, contrada di Radicofani: 10 ago. 1277
(Spoglio, n. 823). Maria Ginatempo mi rivela d’altronde che la strada inferiore continuò ad essere importante nel ‘300 e
‘400, in concorrenza di tanto in tanto anche con quella che passò per lo stesso Radicofani.
117
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Come ogni altro cambiamento insediativo negli anni dopo il Mille, il declino di borghi come
Callemala, Voltole o Burgorico è attribuito all’insicurezza. Tale interpretazione però è
particolarmente priva di senso sulla Francigena, linea di passaggio normale al più tardi dal 900 per
interi eserciti. A me sembra che possiamo spiegarlo tramite la combinazione di due fattori. Il primo
è l’attrazione politica di Radicofani, il che sarebbe valso non solo per i lambardi di Reggiano e
Rocca di Senzano ma anche quelli di Callemala, livellari fra l’altro di gran parte delle proprietà
monastiche sulla strada. Callemala, non essendo castello, sembrò forse anche meno adatta per una
famiglia di lambardi in ascesa, una volta che Radicofani divenne il centro naturale delle classi
militari; anche questa famiglia sarebbe da includere così fra i probabili antenati dei lambardi di
Radicofani del Duecento121. Se questo fatto preso da solo sembra inadeguato per spiegare la
scomparsa dei borghi, dobbiamo di nuovo mettere in rilievo che l’attività economica dei loro abitanti
dipendeva dalla strada; è ben possibile che i lambardi che dominarono Callemala abbiano potuto
esigere che anche gli abitanti agricoli si adattassero al lento movimento del traffico stradale verso il
tratto superiore.
Tale comportamento va bene per i nobili di Callemala. Ma ho anche il sospetto che in questo
caso S. Salvatore stesso sarebbe potuto intervenire. Un aspetto notevole di questo spostamento è che
Radicofani rimpiazzò non solo Callemala ma anche Fermone, Muliermala, Voltole e Burgorico,
tutti o interamente o in gran parte monastici. La rete dei possibili punti di partenza e di arrivo sulla
strada si semplificò molto; fra le Briccole e Centeno/Acquapendente, la sola stazione stradale
divenne Radicofani122. Tale semplificazione ha verosimilmente avuto un’origine imprenditoriale. È
decisamente simile infatti alla creazione sistematica nello stesso periodo delle quattro fiere della
Champagne, da parte degli stessi conti di Champagne, che si erano resi conto che, tramite la
concentrazione di mercati e servizi in pochi centri, avrebbero potuto espandere questi ultimi ben
oltre il livello del commercio più frammentario del periodo precedente123. Nello stesso modo
Radicofani avrebbe facilmente potuto essere destinato a svolgere una simile funzione dai monaci di
S. Salvatore, una volta consolidata la sua supremazia locale, nell’ultima metà del XII secolo. E,
anche se Radicofani tendeva all’autonomia politica, in termini economici non c’è segno che i
monaci avessero torto. Il castello rimase il centro maggiore dal 1200 in poi, poco amato dai viandanti
ma grande e commercialmente prospero; il crollo demografico è un prodotto solo degli ultimi
decenni124. Questa vittoria per Radicofani a tutti i livelli, militare, politico e commerciale, completò
il processo attraverso il quale i castelli e i borghi dell’XI secolo, e il reticolo geografico, economico,
e socio-politico che li sosteneva, furono sepolti proprio come gli stessi castelli e borghi avevano
sepolto a loro volta i quadri insediativi dei secoli VIII e IX.
Lo status crescente dei lambardi di Callemala (cfr. n. 106) si vede, soprattutto, nell’espansione delle loro proprietà
fuori dello stesso burgo: nel 1071 comprarono terra situata nei pressi del burgo di Muliermala da un vassallo dei conti di
Siena, la prima attestazione di loro proprietà allodiali (non soggetto a vincoli) (CDA 289-90); prima del 1079, aggiunsero
possessi in Voltole, S. Casciano dei Bagni e Piancastagnaio a quelli che già tenevano del monastero (CDA 307). Vale
pure osservare che, dopo l’affermazione degli Aldobrandeschi negli anni ’80 dell’XI sec., i regolari rinnovi dei livelli da
parte della famiglia, durati per 170 anni, smettono; un’altra ragione per supporre che si erano schierati ormai con i conti.
122
Centeno, situato fuori della zona monastica, sopravvisse. Fu sufficientemente importante da essere al centro nel 1202
di una piccola guerra locale (ASS, Diplomatico SSMA, 15 maggio 1202). Questo testo, che descrive la violenza fra
Proceno e Segiano, è una importante testimonianza della diffusa militarizzazione che ormai era patrimonio anche dei
comuni rurali. Segiano è di solito identificato con Seggiano al nord-ovest dell’Amiata, con buone ragioni linguistiche, ma
se fosse così lontano da Proceno, il documento non avrebbe nessun senso.
123
R.H. BAUTIER, Les foires de Champagne, «Recueils de la societé Jean Bodin» V (1953), pp.97-145.
124
Nel ‘400 Radicofani era il secondo insediamento sull’Amiata dopo Abbadia S. Salvatore, e nel 1595 addirittura, con
2262 anime, il più grande (vedi l’articolo di Maria Ginatempo). Nel 1640 era ancora il secondo, questa volta dopo
Arcidosso: nel 1833 era sceso al quinto posto, sebbene i suoi 2078 abitanti fossero pari ai tre quarti della popolazione del
più grande Abbadia S. Salvatore (REPETTI, I, 34, 108, IV, 716). Rimase a questo livello fino al secondo dopoguerra;
attualmente, comunque, con meno di 800, è uno dei quattro comuni toscani con la più bassa densità demografica (con S.
Godendo, Monteverdi Marittima e Radicondoli: ISTAT, 11° censimento generale della popolazione 1971, III, pp. 38, 62,
86, Roma 1974).
121
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Questo contributo è stato incentrato meno sull’incastellamento e l’accentramento dell’habitat
sull’Amiata, che non sui tipi di incastellamento e i vari momenti di incastellamento nella zona.
L’ultima parte della discussione è stata pura congettura, a causa della completa mancanza di
documenti per i decenni precedenti il 1200, un anno però in cui il nuovo assetto territoriale
dell’Amiata era già pienamente stabilito. Ma, congetture a parte, è almeno chiaro che l’apparire di
castelli e i cambiamenti insediativi sulla montagna concentrano la nostra attenzione su una realtà
estremamente eterogenea e spesso mutevole. I quadri dell’habitat cambiano molto frequentemente
in Italia (e non solo in Italia), come testimonierà qualsiasi archeologo; sono un indicatore sensibile
di realtà socio-economiche e socio-politiche. Ma i cambiamenti di un tipo particolare, diciamo lo
sviluppo di un insediamento accentrato, o la fortificazione di quel centro, non hanno un senso
univoco e invariabile in ogni situazione sociale; la semantica dei sistemi dell’habitat umano non è
fissata in maniera immutabile, come neppure quella delle lingue umane. Quando cambia l’ambiente
economico, o la natura del potere politico sopra i contadini (gli abitanti degli insediamenti), cambia
non solo l’habitat, ma cambiano anche i modi in cui questi fattori hanno effetto sull’habitat. Questo
contesto più largo deve essere capito per capire l’habitat stesso.
Tale comprensione, comunque, anche se difficile, non è impossibile. Ho delineato un modello
all’inizio di questa discussione che sottolinea tre aspetti dell’incastellamento e dell’accentramento
nelle varie realtà dell’Italia dei secoli X – XII: la protezione della proprietà; la crescita economica;
e l’affermazione del potere politico sulla popolazione in generale. Questo modello chiaramente
funziona per l’Amiata, ad occidente come pure ad oriente. La complessa situazione ad est della
montagna ci permette di vedere che i cambiamenti insediativi avvennero in varie tappe, ciascuna
privilegiando un aspetto diverso del modello; ci permette inoltre di capire in maggiori particolari
come il modello stesso potesse funzionare. Nondimeno, tutti e tre gli aspetti determinarono, in tempi
e modi diversi, l’eventuale successo di insediamenti accentrati e fortificati sulla montagna, un quadro
che caratterizza la situazione ancora oggi, anche se un terzo della popolazione ha di nuovo lasciato
i centri tradizionali per le frazioni e le case aperte. Forse, comunque, il fenomeno che pesò di più
sulla storia insediativa dell’Amiata, soprattutto fra il 1000 e il 1200, fu la compattezza del potere
locale. Sull’Amiata, come nella Maremma al suo sud e ovest, la coerenza del potere dei signori locali
fu molto più grande di quella intorno a Siena o, anche di più, di quella nella Toscana settentrionale.
Fu questa coerenza che permise agli stessi signori non solo di tentare di attrarre e costringere la
popolazione locale, ma di avere successo nel tentativo. Ci furono variazioni geografiche,
naturalmente: la rottura rappresentata dall’apparire di Radicofani e di Castel di Badia non ebbe
analogia ad ovest della montagna, perché i dettagli di potere furono diversi (come pure i loro rapporti
con le differenze locali nello sviluppo economico). Ma le diversità fra l’est e l’ovest della montagna
risedettero nella varia articolazione di questo controllo locale, non nella sua forza: nel 1200 non
esistette quasi più l’insediamento aperto su nessuno dei lati dell’Amiata. Rimane solo da aggiungere
che questa localizzazione di potere politico non riguardò solo i signori; anche la coerenza politica
della popolazione locale, portata di recente dentro i centri accentrati e rinforzata nel Duecento dallo
sviluppo economico silvo-pastorale (e cioè collettivo) della montagna, andava cristallizzandosi nello
stesso periodo. Furono forti, dunque, sia i signori che comunità locali; non sorprende che gli esempi
migliori in Toscana di comuni rurali formatisi attraverso la lotta di classe si trovino precisamente
sull’Amiata.
Sono molto grato a Oretta Muzzi per la sua lettura del testo e per i suoi commenti utilissimi.
Pag. 139.
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L’organizzazione ecclesiastica dell’Amiata nel Medioevo. Mauro Ronzani.
.............................................................................................................................................................
Pag. 148.
«Infra territori de plebe Sancti benedicti»: insediamenti sparsi ed edifici cultuali nella val di
Paglia nei secoli XI- XII in.
Se dal versante occidentale dell’Amiata ci volgiamo ora a quello opposto e alla sottostante val
di Paglia, il quadro ci appare ben diverso. Proprio su quella zona, ai due lati della Via Francigena125,
Enrico II intese concentrare gli interessi di S. Salvatore, sanzionando con la sua autorità le donazioni
che l’abbazia vi aveva di fresco ricevuto dagli esponenti più indigni dell’aristocrazia locale e
regionale: il marchese Ugo (995), Bernardo conte di Siena (1000) e l’aldobrandesco Ildebrando IV
(ante novembre 1002)126.
Un documento del 1032 ci attesta che il territorium de plebe S. Benidicti giungeva sino «al punto
di confluenza dei principali rami sorgentiferi del Paglia ( i torrenti Vascio, Cacarello e Pagliola)»:
qui, a 9 – 10 km. dall’antica cella monastica, era ubicato infatti il burgus di “Callemala “, mentre
l’appezzamento individuato nel 1032 si trovava iusta ipso burgo de patibus aquilone127 . Il casale
et villa detto ‘ Clemenziano ‘, già noto sin dal 798 e spesso ricordato fra i secoli X e XI – insieme
con la sua chiesa dedicata a S. Lorenzo – come attiguo a ‘ Callemala ‘ 128, non apparteneva invece
più all’ambito territoriale di S. Benedetto, che a nord e ad est confinava con quelli delle pievi
vescovili di S. Filippo, di S. Donato (poi S. Giovanni) di Radicofani e di S. Maria (presso S. Casciano
dei Bagni)129(da questa nota e da quella successiva si può individuare dov’era il Borgo
di Clemenzano con la sua chiesa di S. Lorenzo e di conseguenza quel Poggio S.
Lorenzo di cui parla lo Statuto del 1441, questa chiesa era nel monastero privato di
“S. Quirico in Clemenzano”).
Sin dal 995 anche ‘ Callemala ‘ compare dotata di una chiesetta (ecclesia et oratorium) dedicata
a S. Cristina, e confermata in quell’anno dall’abate, come parte di un complesso economico
comprendente terre, vigne, orti, taverne e mulini, ai due figli del precedente concessionario ormai
defunto130. Lungo il corso dal Paglia, e sempre ai margini della via Francigena, si trovava (tre km.
125
Sul percorso della famosa via di comunicazione nella valle del Paglia si veda la relazione presentata in questo libro da
R. Stopani.
126
KURZE, Monasterium Erfonis, pp.30-31 e 34-35.
127
CDA, II, 268, p. 173. L’ubicazione di ‘ Callemala ’ – su cui si veda Repertorio, p. 143 (vedi 44.1) – in località «Casetta
del Paglia» era già stata proposta da R. STOPANI, «Sce Peitr in Pail», Callemala è l’antico tracciato della via Francigena
in val di Paglia, in ID., La via Francigena in Toscana. Storia di una strada medievale, Firenze 1984, Appendice alla II
edizione, pp.83-88.
128
Per la notizia del 798, relativa ad un monasterium (ovvero un oratorio) Beati S. Quirici in loco C l i m i n c i a n o qui
vocatur Piscinule seo et S a n c t i L a u r e n t i i: CDA, I, 47, p. 90. Cfr. anche n. 652. Il nome Sancti Quirici in Pissinule
individuò in seguito una curtis (posta non lontano da ‘ Clemenziano ‘) menzionata fra i possessi di S. Salvatore da Ottone
III nel 996 (ibid., II, 212, p. 35) e poi da Corrado II nel 1027. Una vera e propria chiesa con lo stesso appellativo si trovava
invece, come già accennato, nei pressi di Montepinzutolo.
129
Nel gennaio del 1075 Eriberto del fu Rustico donò a S. Salvatore tutti i propri beni, posti infra plebe Sancti Donati,
sito Radicofani, et infra plebe S. Marie, sito Bangno, et infra plebe S. Mariæ in Campo, et i n f r a p l e b e S. B e n e d
i c t i , s i t o V i l l a m a g n a (ibid. 296, p. 239); fra i vari loca subito dopo sommariamente specificati (in (…) Punano,
et in S a n c t o S e b a s t i a n o et in Corvaia et in S a n c t o L a u r e n z i u et in Laianu ) solo il secondo doveva
appartenere al piviere di S. Benedetto: la terra S. Sabastiani era attigua al burgus di Voltole donato a S. Salvatore il 22
novembre del 1000 (cfr. al n. 110), e se nel 1007 Enrico II si limitò a confermare al monastero medietatem curte S.
Sebastiani et burgo de Uoltiole et curte de Climintiano (ibid. 227, p. 74, Regensburg), Corrado II avrebbe riconosciuto
vent’anni dopo l’intera curtem de Paleaet S. Sebastiani (ibid. 263, p. 158). Per una più accurata trattazione della topografia
della val di Paglia prima e dopo il Mille rimandiamo alla relazione di Ch. Wickham; i materiali commentati al convegno
da questo studioso ci sono stati di grande aiuto nella preparazione del nostro testo definitivo. (vedi articolo Precedente).
130
Ibid. 210, pp. 28-30 (995 agosto 13). Quattordici anni dopo la concessione sarebbe stata rinnovata agli esponenti della
generazione successiva (quattro figli di Teuzio e tre di Gotizio clericus, protagonisti ormai defunti del contratto del 995):
ibid. 230, pp. 81-84 (1009, aprile); in quest’occasione si parlò appunto di beni cum integre e c c l e s i e e t o r a t o r
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più a sud) l’eclesia in onore S. Petri, sito burgo Voltiole, che l’anno 1000 fu donata al monastero dal
conte Bernardo, con la metà delle terre, case e mulini appartenenti all’insediamento omonimo. Due
anni dopo, Silvestro II emanò solenne conferma di un’altra donazione, compiuta con ogni probabilità
dal conte Ildebrando (IV) e riguardante la chiesa di S. Cassiano e le sue pertinenze, comprese entro
confini descritti con grande precisione: verso sud essi degradavano dalle sorgenti del fosso Cadone
(primo affluente di sinistra del Fiora) a quelle del torrente Senna, che seguivano quindi fino al Paglia:
a settentrione essi combaciavano con i confini – quali si leggono nei diplomi rimaneggiati di Rachis
e Astolfo – del territorio originale di S. Salvatore nella contea di Sovana, passando appena sotto (de
subtus ripa) alla Villa de Plano, nucleo originario di Piancastagnaio131.
……………………………………………………………………………………………………
Pag. 153.
Nella stessa occasione, il pontefice (Celestino II nell’anno 1144) confermò al cenobio il
castrum de Radicophino, la cui sesta parte era stata donata cinque anni prima dal conte di Chiusi
Manente al vescovo di Siena132. Dopo che, nel luglio 1145, un accordo provvisorio fu concluso fra
l’abate Ranieri ed i Senesi cum Senensis exercitus esset in plano abbazie Sancti Salvatoris133,
Radicofani fu ceduta dai monaci in locazione perpetua – formalmente per metà – a papa Eugenio III
nel 1153. È interessante osservare che a partire da questo documento l’insediamento di ‘Callemala
‘, già compreso come vedemmo nel territorio battesimale di S. Benedetto, figura come burnus
collegato al castrum di Radicofani, e come tale parte integrante della concessione, pur con la riserva
in favore del monastero del redditus pani et vini, qui de agris et vineis solvitur134.
Così mentre il piviere di S. Benedetto perdeva la porzione settentrionale del proprio territorio
situata entro la diocesi e la contea chiusina (ove la pieve titolare divenne S. Giovanni di Radicofani,
erede della vecchia e obliterata S. Donato), e si restringeva progressivamente ad abbracciare la Villa
de Plano, che entro la fine del secolo avrebbe ‘ catturato ‘ e richiamato a sé le popolazioni e le chiese
già in Voltole e presso S. Cassiano, la nascita sul fianco dell’Amiata a poco più di 2 Km. a nord di
S. Salvatore della pieve monastica di S. Maria fu un’altra conseguenza dell’ampia e radicale
ristrutturazione territoriale e insediativa avviatasi nei decenni centrali del secolo XII, e culminata in
un cinquantennio con la comparsa dei castra di Piancastagnaio e ‘dell’Abbazia’ ed il rafforzamento
della fortezza di Radicofani.
……………………………………………………………………………………………………
Pag. 157.
La ‘ cura animarum ’ di ………………Radicofani nelle controversie duecentesche fra il vescovo
di Chiusi e l’abate di S. Salvatore.
……………………………………………………………………………………………………
……………………………………………………………………………………………….
Pur se contornate da richiami altisonanti ai fondamenti canonici della potestà dell’Ordinario, le
rivendicazioni da questi avanzate ( dal vescovo ) nel corso del Duecento non di rado insistevano
sugli aspetti più specificatamente economici135, occasionate com’erano dalla richiesta del tributo
i o cui avocabulo est Sancte Cristine et Sancti Lorentii, posti infra comitato e teriturio Cluscino, in casale burgo e fori
de ipso burgo qui dicitur Calemala cum suprascripta ecclesia Sancte Cristine; e in c a s a l e e v i l l a que dicitur
Clementiano cum suprascripta eclesia beati sancti Lorentii (p. 82).
131
CDA, II, 218, p. 52 (1002, novembre). Nel 1046 Ildebrando (V) avrebbe accennato (nella sua «pagina repromissionis»
in favore di S. Salvatore) anche alla terra Sancti Cassiani, sicut quondam Ildibrandus comes, per cartam dedit
suprascripto monasterio (ibid. 277, p. 198).
132
Repertorio, pag. 143, (vedi 44.1).
133
CDA, II, 338, p. 321.
134
Ibid., 341, p. 327 (1153 maggio 29).
135
Ad esempio nel 1241 il vescovo pretese dai rettori insediati dall’abate di S. Salvatore nelle tre chiese di Radicofani (la
pieve di S. Giovanni, S. Andrea «de Castello Morro» e S. Pietro del Borgo. Cfr. n. 137) obedientiam et reverentiam,
quartam partem mortuariorum, nec non et quasdam procurationes, cathedraticum et quidam alia, in quibus eos de iure
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dovuto per la consacrazione vescovile (il «cattedratico»), o di esazioni dettate da motivi contingenti:
se ne ha un esempio per il 1260, allorché da Chiusi si cercò d’imporre ai chierici di Radicofani,
Arcidosso e Casteldelpiano dipendenti dal monastero una ‘ colletta ’ occasione reverendi patris
domini Obteboni (sic) cardinalis, provocando l’immediato appello degli interessati alla Sede
Apostolica136.
Già all’atto di concedere ad Eugenio III la metà del castello di Radicofani e delle sue pertinenze,
l’abate Ranieri aveva riservato al monastero lo ius ecclesiarum quod in eis habebat137; di tale diritto
si fece ricordo anche nei privilegi papali di fine secolo, aggiornandone la formulazione in relazione
ai mutamenti amministrativi e insediativi sopravvenuti: le ecclesie castri Radicofani et s u b u r b i
i i p s i u s a noi note grazie ai documenti due trecenteschi sono la plebs S. Iovannis de Arce, S.
Pietro del borgo e S. Andrea del Castel Morro (al quale ultimo era altresì annesso un proprio borgo,
detto «Malmigliaccio»). (Quest’ultima affermazione mi fa ricordare che oltre a questo
sito, e non borgo, ve n’era un altro che si chiamava Viclanus e si ritrova in un art.
dello Statuto del 1255!). Il problema della concorrenza fra il monastero di S. Salvatore e
l’Ordinario di Chiusi fu risolto stabilendo in ciascuna di esse un condominio paritetico, che
prevedeva la competenza di un officiante deputato dall’abate, e di uno installato dal vescovo. Così,
nel 1262 il plebanus plebis S. Ioannis de Radicofano pro monasterio, nel giurare fedeltà all’abate
Giovanni, dichiarò di retinere pro dicto monasterio et eius nomine plebem de Radicofano a d v o l
u n t a t e m e t m a n u m dicti abbatis et suorum successorum; e subito dopo i cappellani di S.
Andrea e S. Pietro – mittendo manus suas in manu dicti abbatis – fecero analoga professione
d’obbedienza e reverenza secundum regular S. Benedicti138. Una ventina di anni dopo ci è dato
invece di leggere un regolare atto di collazione della pievania di S. Giovanni – con relativa
concessione dell’autorità administrandi in temporalibus et spiritualibus – compiuto dal vescovo
Pietro, ad quem dicte plebis collatio immediate pleno iure spectare dinoscebatur139.
Prima della fine del Duecento, la configurazione istituzionale escogitata per Radicofani fu
applicata anche all’antica pieve monastica di S. Benedetto (nel momento in cui divenne finalmente
la vera e propria plebs de Plano Castangnario), nonché – forse – a quella sorta ben più di
recente nei pressi di Casteldelpiano.
Pag. 217 e segg.
Aspetti del popolamento amiatino tra XV e XVI secolo. Maria Ginatempo.
Muovendo dall’interesse verso le strutture e le trasformazioni del popolamento in una fase
cruciale quale quella della fine del Medioevo vorrei affrontare qui i problemi connessi con la densità
e i tipi di occupazione umana del territorio, con il variare del carico demografico e con le
conseguenze di esso sull’organizzazione socioeconomica. Tuttavia, a proposito dell’Amiata non è
da sperare di giungere a quanto è stato possibile fare ad esempio per l’arco appenninico sottoposto
a Firenze. La documentazione senese, infatti, per ciò che riguarda i problemi demografici non è tra
comuni teneri sibi dicebat, e di fronte alle proteste da essi levate utpote qui non ei, sed abbati S. Salvatoris (…) erant
pleno iure subiecti, li scomunicò: ASS, Diplomatico SSMA, 1241 giugno 7 (cfr. FATTESCHI, Cronico, cc. 22r-23v).
136
ASS, Diplomatico SSMA, 1260 marzo 9. Fondamento dell’appello fu, ovviamente, che le chiese del monastero non
erano tenute, in forza dei privilegi papali di questo, ad pecuniariam procurationem alicuius Legati vel Nuncii Apostolice
Sedis (come era appunto il card. Ottobuono Fieschi).
137
Cfr. n. 133.
138
ASS, Diplomatico SSMA, 1262 maggio 30 (cfr. FATTESCHI, Cronico, cc. 57v-58r).
139
F. LIVERANI, Le catacombe e le antichità cristiane di Chiusi, Siena 1872, p. 305 (Chiusi, 1283 ottobre 19). Nel 1328
il vicario del vescovo chiusino avrebbe ufficialmente dichiarato esenti dal cattedratico, perché soggette pleno iure al
monastero, fra le altre, m e d i e t a t e s ecclesiam S. Petri, S. Andree et plebis S. Ioannis de Radicofano: ASS,
Diplomatico, SSMA, 1328 dicembre 23.
50
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le meno avare140, né tantomeno è paragonabile a quella fiorentina coeva che, com’è noto, offre una
fonte del tutto eccezionale quale il Catasto del 1427 -30. Ciò che si può fare è cercare di valutare
l’entità demica delle comunità amiatine, esaminando alcune indicazioni frammentarie; comprendere
i modi e i tempi di reazione alla «crisi del Trecento» e alle difficili congiunture quattrocentesche,
verso un punto d’arrivo costituito da alcuni dati per il primo e per il tardo Cinquecento141; individuare
cioè gli ordini di grandezza degli insediamenti amiatini nel contesto del popolamento senese e
toscano e tracciare le grandi linee dell’evoluzione di ciò verso l’età moderna.
Per non appesantire il discorso e non costringervi a compiere con me noiosi calcoli e conversioni,
parlerò quasi sempre in termini di anime o abitanti. Naturalmente le fonti non danno mai tale misura
e solo nei casi più fortunati – per altro rarissimi per il Senese – si trova qualche cifra per le bocche.
Le unità più diffuse nei frammenti d’informazione disponibili sono i fuochi fiscali e gli uomini di
guardia, ossia in grado di portare le armi e fare le guardie, obbligo cui erano tenuti in genere tutti i
maschi adulti da 14 -16 anni a 60 – 70142. ……………………………………
Almeno in via provvisoria, vorrei includere anche Radicofani, mentre resta naturalmente esclusa
tutta quella parte del suo attuale comune, approssimativamente compresa ancora tra Orcia e
Cassia143.
Giungo così a delimitare un’area di poco meno che 500 kmq sulla quale 13 comunità
compongono una maglia insediativa tutt’altro che rada. …………………………………………
Pag. 221 e segg.
La posizione politico-amministrativa dei centri amiatini sembra uno specchio abbastanza fedele
della loro consistenza demica e della loro importanza nel contesto dell’Antico Stato senese. Anche
se non si dispone d’indicazioni sufficienti per ognuna delle 13 comunità, si può stimare che verso la
metà del ‘400 Abbadia superasse i 1000 abitanti, così come Piancastagnaio; che Radicofani si
situasse tra i 900 e i 1000144; ………………………………………………………… Ci sono lacune
difficilmente colmabili, ma si dirà rapidamente che, esclusa Siena stessa, a superare i 1400 – 1500
abitanti erano appena in 4 – Massa Marittima, Montalcino, Grosseto nei suoi momenti migliori e
inoltre, dopo la ricolonizzazione degli anni ’60, Saturnia, il fiore all’occhiello della politica di
ripopolamento di Siena – mentre oltrepassavano o oscillavano vicino ai 1000 abitanti solo 6
comunità, ossia Sarteano, Cetona, Lucignano Valdichiana e, come si è detto, Abbadia, Pian
Castagnaio e Radicofani………………………………………………………Il ‘400 appare a volte
come un continuo ripetersi e accavallarsi di drammatiche congiunture: pestilenze, carestie, guerre
devastatrici e tutto ciò che un’efficace espressione del tempo definiva come «cattivi temporali».
L’Amiata non rimase certo indenne, anzi. Il primo ventennio, in particolare, appare estremamente
difficile, un periodo confuso, punteggiato dai convulsi movimenti del definitivo affermarsi del
140
Ne ho descritto i limiti nel mio Per la storia demografica del territorio senese nel Quattrocento: problemi di fondi e
di metodo, «Archivio Storico Italiano» CXLII (1984) pp. 519 e sgg.
141
Per il 1532 esistono infatti delle liste di capifamiglia per una settantina di comunità del dominio ASS, Balia 929; queste
liste possono inoltre essere integrate con i coevi registri Sale 9-16-11 e 10 che forniscono il numero dei tassati per una
presta di sale per le comunità di cui andata perduta la lista dei capifamiglia e per i comunelli: Per un’analisi più dettagliata
di queste fonti si veda comunque M. GINATEMPO, Crisi di un territorio. Il popolamento della Toscana senese alla fine
del Medioevo, Firenze 1988, c<p. I, 1, pp. 55-63.
142
Tali erano infatti le prescrizioni di molti Statuti rurali, ad esempio ASS, Statuti dello Stato 8 (Asciano 1465), c.16r o
163 (Radicofani 1441), c. 58v. Vedi B. MAGI, Radicofani e il suo statuto del 1441, Siena maggio 2004, r. 95, p. 181.
143
Vi si situa tra l’altro l’antica comunità di Contignano, anch’essa pervenuta in mano ai Salimbeni.
144
Nell’estratto-lira di Radicofani del 1464, ASS, Lira 59 bis, 189 fuochi fiscali compreso il borgo di Castelmorro (di
questi 9 donne e 7 eredi); con un coefficiente di 4,5 si stimerebbero circa 850 abitanti, ma sono da tenere presenti eventuali
sottoregistrazioni relative a manodopera extra-agricola più o meno itinerante e nullatenente; nel 1448 Radicofani, a
proposito di franchigie sul sale, parlava di 150 bocche (oltre quelle dei terrieri) dei fanti, maestri lombardi et altri forestieri
che continuamente stanno in quella terra e delle guarnigioni di castellani e podestà, Concistoro 2130, n. 83 o Consiglio
Generale, 224, c. 89r. Stimo 950 abitanti o più.
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dominio senese nella zona. Tra gli altri disastri, si pensi alla distruzione e al temporaneo abbandono
di Montenero e Montegiovi, alle violente guerre, quasi endemiche, contro il conte Bertoldo Orsini,
ai sussulti della «tirannide» dello Sforza e dei Salimbeni; al passaggio di Ladislao di Napoli e di
altre genti d’arme, ecc.145. ……………………………
Tuttavia, le comunità amiatine, forse soltanto per una posizione che dopo il consolidamento dei
poteri senesi a sud risultava in qualche modo più decentrata, non sembravano stavolta le più colpite.
Si trova certo notizia di danni a Castiglioni, Radicofani e Montelaterone146, d’indebitamento e fughe
a Pian Castagnaio e soprattutto Arcidosso. ………………………………
Ma la lunga teoria di calamità non si interrompe ancora: …………………………………… nel
’62-64 (del 1400) una nuova pestilenza, forse abbastanza grave, della quale in alcuni documenti a
natura fiscale parlano Castiglioni e Pian Castagnaio, mentre Radicofani, Campiglia e Castel del
Piano non vi accennano neppure. ………………………………………………………
Il principale problema tuttavia non sembra la fame vera e propria, quanto il pesante
indebitamento accumulato negli acquisti di grano147.
……………………………………………………………………………………………
A fine ‘500, dopo una certa ripresa, si collocherà con circa 800 abitanti (Castel del Piano) –
meno cioè di quanto non ne contasse fra Tre e Quattrocento in fase di marasma demografico già
avanzato – a fianco di Ponticello e Campiglia e al di sopra di Rocca, di Montenero ora in netto
decremento, e ancora di Montegiovi148……………………………….................................................
…………………………………………………………………………………………………
Ma sappiamo anche che, nonostante mortalità e continue fughe negli anni ’60 (del 1400), nel 1474
la comunità diceva a Siena: essendo cresciuto il popolo per Diogratia, veggono non governare et
sempre stanno per le corti costretti et a poco a poco si consumano149, frase che costituisce una delle
rarissime affermazioni d’incremento demografico per il ‘400 senese. Successivamente la crescita di
Arcidosso dovette continuare e diventare più intensa, nonostante i sofferti anni ’70: nel 1532, infatti,
con i suoi 202 capifamiglia questa comunità toccava i 1000 abitanti e si poneva piuttosto in alto
nell’ordine d’importanza dei centri senesi. Tale cifra poi raddoppierà e nel 1595 Arcidosso risulta la
seconda comunità amiatina dopo Radicofani e una delle più importanti dello Stato Nuovo
(Granducato). ……………………..........................
……………………………………
Da rilevare inoltre
la marcata crescita di Radicofani e di Castiglion d’Orcia dal 1464 alla fine del ‘500: la prima passava
da circa 950 abitanti a 2262 anime, la seconda da 450-500 a 1120. ……………………
……………………………………………………………………………………………………
La peculiare vitalità di una zona montana proiettata verso una delle più importanti arterie di
comunicazione del Medioevo può senz’altro stupire e apparire a prima vista come uno dei segnali
della capacità umana di produrre disponibilità e svilupparsi anche a partire da condizioni tra le più
favorevoli. Può sembrare anche una delle manifestazioni più tipiche dello sviluppo della civiltà
mediterranea medievale e delle forme di un’umanizzazione intensa e «commovente». Ma non
bisogna dimenticare, a mio parere, che la crescita demografica non rappresenta sempre e comunque
un segnale di equilibrio e di benessere e che la civiltà medievale era intessuta di tante irrazionalità e
ASS, Caleffo Rosso, cc. 176r - 178v, 1411 – i disastri subiti da Radicofani durante il passaggio di Ladislao di Napoli;
gran parte delle comunità amiatine entrarono (o rientrarono) definitivamente sotto Siena proprio in questo periodo nel
quadro dei principali eventi bellici cui Siena e il territorio furono coinvolti.
146
Consiglio Generale 218, c. 149r-v (petizione di Radicofani che lamenta la perdita del bestiame).
147
Consiglio Generale 236, c. 16r, 1474 (a lamentare di essersi rovinati in acquisti di grano e a chiedere moratorie è un
terriere di Radicofani, pastore-allevatore).
148
BONELLI CONENNA, Crisi economica e demografica dello stato senese ecc. ………, I, Dal Medioevo all’età
moderna, Firenze 1979, pp. 523-525: Montelaterone contava 811 anime, Ponticello 804, Campiglia 822, Rocca 684,
Montenero 398 e Montegiovi 265: era tuttavia ben lontana dalle altre che superavano le 1000 anime (Castiglioni e
Seggiano) le 1400 (Caste del Piano) le 1700 (Pian Castagnaio e Abbadia) o le 2000 (Arcidosso e Radicofani).
149
ASS, Consiglio Generale 236, c. 16v, 1474 (lamentano oltre ai debiti e alla sterilità della terra, il fatto che la loro corte
«va a Dogana» e ricevono dunque continuamente danni ai coltivi).
145
52
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contraddizioni. Rimane cioè aperta l’ipotesi che la vivace ripresa amiatina tra Medioevo ed età
moderna non abbia significato che l’accentuarsi e il perpetrarsi per i secoli successivi di una di quelle
contraddizioni e irrazionalità.
Pag. 243 e segg.
L’ultima repubblica, Siena e l’Amiata nella guerra tra Francia e Spagna (1552-1559).
Maria Ludovica Lenzi – Donatella Parrini.
Il 2 aprile 1559 il Capitano del Popolo e i Deputati alla difesa della libertà di Siena ritirata in
Montalcino mandarono per le terre di ciò che restava dell’antico stato senese l’avviso di festeggiare
la pace che sarebbe stata stipulata il 3 di quello stesso mese a Cambresis fra il re di Spagna Filippo
e il loro protettore Enrico II di Francia.
In particolare si prescriveva alle comunità di Seggiano e di Abbadia San Salvatore di fare per tre
sere consecutive fuochi grandissimi nella sommità della Montagna nostra (….) e con buon cuore,
essendo ormai posto fine a tutti li grandi e lunghi affanni150.
……………………………………………………………………………………………………
……………………………………………………………………
Esiste una stampa, eseguita da Abramo Ortelio nel 1570 e inserita nel suo «Theatrum orbis
terrarum» che fu incisa da Claud Duchet seguendo un più antico, rarissimo originale risalente
pressappoco al periodo del passaggio di Siena al ducato mediceo. Sopra questa carta si può delineare
lo Sato Senese, con particolare riferimento alle zone della Montagna, quale appare dai dati degli
ultimi statuti della Repubblica151, che il Concistoro deliberò havessero principio il dì primo Gennaio
1545, secondo il calendario moderno………… (La caduta della Repubblica fu una forzatura
durissima per le popolazioni del senese lontane dalla capitale che, ancora in pieno Cinquecento, con
i loro statuti e consigli comunali, con i loro antichissimi ordinamenti cercavano di preservare la
propria specificità e particolare autonomia) …………….
Le comunità, rappresentate nella carta con suggestivi disegni di torri e mura, erano ben 104 e
caratterizzavano un territorio ancora ricco d’insediamenti con città, terre, castelli, comuni, fortezze
disseminati un po’ ovunque.
Di questi le sedi podestarili erano 32 e quelle dei vicari 66. Più di 20 erano poi i centri muniti di
rocche alla cui custodia e difesa militare venivano assegnati i castellani. Mentre il compito dei
castellani era quello di prendere consegna le armi, soprattutto gli archibugi e di conservare le
vettovaglie di grano, sale, olio, aceto e legna per sei mesi, i Podestà e i Vicari erano invece tenuti a
presidiare i consigli locali e a rendere giustizia nelle cause civili, criminali e del danno dato, secondo
gli statuti comunitari, le costituzioni senesi e all’occorrenza la buona consuetudine antica.
……………………………………………………………………………………………………
………………………………………………………………………………………………..
Ma la Montagna indicata dai documenti del tempo comprendeva un territorio molto più esteso,
ricco di altre sedi podestarili, tra cui il castello di Abbadia San Salvatore, la terra fortificata di
Piancastagnaio, la città di Sovana, il castello di Saturnia, la rocca di Radicofani.
……………………………………………………………………………………………………
……………………………………………………………………………………………………..
Il 21 aprile 1553 Pier Maria Amerighi da Radicofani mandò alla Balia senese un rapporto sulla
situazione di tensione dell’Amiata contro le compagnie mercenarie senesi: ispezionando Seggiano
si era trovato di fronte al rifiuto dei Priori, recandosi ad Abbadia aveva trovato quegli uomini più
ostinatissimi che mai, conferitosi a Piano riuscì solo con grandissima fatica a raggiungere il palazzo,
mentre tutto il popolo era corso armato in piazza con romor grandissimo. Il Commissario senese
150
151
A. VERDIANI BANDI, I castelli della Val d’Orcia e la Repubblica di Siena, Montepulciano 1926, p. 256.
ASS, Statuti di Siena 49.
53
Libri su Radicofani
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(Amerighi) si affacciò alla loggia per parlare alla gente: fate questo a quel palazzo? Gli fu risposto
con una sola voce: Non ce li voliamo! Chiamati i Priori, l’Amerighi chiese ragione di quel tumulto
e il castellano rispose che la compagnia da alloggiare era fatta di poltroni e le loro insegne certamente
non molto bucarate dalli archibusi.
……………………………………………………………………………………………………
………………………………………………………………………….
In questo periodo da parte senese (1554) si tentò con poco successo di attuare le direttive francesi
che stabilivano di difendere solo 16 piazzeforti e di sgombrare ed evacuare le altre terre grandi e
piccole. Gli Amiatini avrebbero dovuto concentrarsi, a seconda che abitassero nel lato ovest o est
della Montagna, a Sovana e Radicofani.
……………………………………………………………………………………………………
………………………….
Scorrendo i verbali del Consiglio di una ricca comunità, prossima a Radicofani, Celle sul Rigo,
fino alla primavera del 1554 si delinea un quadro puntuale del contributo fornito dalle retrovie alla
guerra di Siena.
……………………………………………………………………………………………………
………………………………………
Solitamente il numero dei soldati e dei guastatori descritti era proporzionale alle bocche, eccetto
a Radicofani, che dopo l’assedio e il bombardamento di Chiappino Vitelli nell’Ottobre del ’55 era
stata fatta oggetto di lavori di rinforzo e ristrutturazione e posta sotto il controllo di compagnie
mercenarie. (Tale battaglia è stata raccontata dal Bonsignori).
……………………………………………………………………………………………………
…………………………………………………………………..
Alla fine, avendo perso moltissimi beni comunitativi, si dovettero aumentare le pene sul danno
dato anche per i bambini, di cui rispondevano i genitori e che non potevano avvicinarsi alle vigne,
dove potevano entrare solo i capi famiglia e i campari, escludendo tutti gli altri e massime le donne.
Pag. 301 e segg.
Insediamenti e viabilità tra la Val d’Orcia e Val di Paglia nel medioevo –
Renato Stopani e Stelvio Mambrini.
Sia la Tabula Peutingeriana che l’Itinerarium Antonini, le due principali fonti per lo studio della
viabilità in età imperiale, attestano inequivocabilmente l’utilizzazione dell’asse vallivo della Chiana
da parte della consolare Cassia, perno dei collegamenti viari tra Roma e le città dell’Etruria 152.
A partire dagli ultimi decenni del IV secolo, tuttavia, con la divisione politica della penisola
italiana tra longobardi e bizantini, il sistema delle vie consolari che s’irradiavano da Roma risultò
inutilizzabile, almeno per quegli itinerari che si dirigevano verso l’Italia settentrionale. Così avvenne
per la via Cassia, che nel suo tracciato rinnovato dall’imperatore Adriano nell’anno 123 d.C.,
transitando per Clusium diretta a Florentia Tuscorum, svolgeva parte del suo percorso proprio in una
zona (la val di Chiana), ove i bizantini e longobardi si fronteggiavano. Di qui la necessità per questi
ultimi di realizzare un corridoio interno che permettesse loro il collegamento tra il regno di Pavia e
i ducati di Spoleto e Benevento, rimanendo del tutto al sicuro da eventuali colpi di mano dei
Bizantini.
Grazie all’esperienza acquisita nel corso delle lunghe marce di spostamento e ad una immediata
capacità di conoscere e sfruttare le direttrici naturali, i longobardi individuarono a nord del lago di
Bolsena la possibilità di creare un tracciato viario che, invece di dirigersi verso la val di Chiana,
piegasse più ad ovest, indirizzandosi verso l’alta valle del Paglia, risalendo la quale potevano, giunti
152
Cfr. K. MILLER, Itineraria romana. Romische Reisewegen an Hand der Tabula Peutingeriana dargestellt, Stuttgart
1916 e M. LOPES PEGNA, Itinera Etruriae, «Studi Etruschi» XXI (1950-51).
54
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alla linea spartiacque, scendere lungo le ampie vallate dell’Orcia, e poi dell’Arbia, comode vie
naturali che permettevano di arrivare fino a Siena. Essendo del tutto impensabile che durante il primo
periodo della dominazione longobarda fosse ancora funzionante il sistema municipale romano per
la manutenzione della viabilità è assai probabile che i longobardi, nel realizzare il nuovo percorso,
utilizzassero tratti di preesistenti vie vicinali. Pertanto la nuova strada in realtà doveva essere poco
più di una traccia, seguendo la quale il viandante poteva contare di raggiungere la sua meta, di trovare
con certezza i valichi e i punti di attraversamento dei corsi d’acqua, nonché le località dove fosse
possibile trovare alloggio.
Dato il ruolo che il nuovo tracciato si trovò a svolgere, i longobardi dovettero costituire lungo la
via un organico sistema di difesa, con stanziamenti e fortificazioni. Come tutti i popoli guerrieri, essi
avevano particolarmente sviluppato il senso dell’importanza strategica delle posizioni. Ciò portò alla
valorizzazione di talune località che permettevano di realizzare più efficacemente il controllo della
strada. Una di queste dovette senza dubbio essere Radicofani, il cui castello, non a caso, sin dai più
antichi documenti che lo menzionano è ricordato come proprietà regia153. Oltre alla formidabile
posizione del luogo, vera e propria fortezza naturale, testimonia l’uso di esso da parte dei longobardi
l’origine del toponimo, chiaramente di derivazione germanica154. Il poggio di Radicofani (a quota
896) costituiva un dato spaziale di eccezionale importanza cui riferire una serie di rapporti, di
attribuzioni e di possibilità nei confronti della strada che, dovendo risalire l’alta valle del Paglia,
transitava necessariamente sulle pendici del rilievo: impossibile, quindi, che i longobardi non ne
prevedessero l’utilizzazione!
Soltanto dopo che la «Maritima» e la Lunigiana furono saldamente in mano longobarda la via
dovette essere attrezzata secondo un preciso programma che, oltre a creare una serie di strutture
funzionali alla circolazione, rafforzò il dispositivo di difesa. Nell’ambito di questa sorta di politica
delle comunicazioni del potere centrale, si colloca la fondazione dell’abbazia regia di San Salvatore
sul Monte Amiata che, come tutti i monasteri fondati e dotati dalla corte di Pavia a partire dai primi
decenni dell’VIII secolo, fu funzionale alla strada, servendo da base strategica del sistema di
controllo di una via che stava diventando la principale arteria del regno longobardo. Si comprendono
pertanto le ragioni della ricca dotazione dell’abbazia, quale risulta dai diplomi relativi alla sua
fondazione, nonché dai più antichi documenti del Codex Diplomaticus Amiatinus, che accennano ad
una espansione patrimoniale del monastero protrattasi lungo tutta l’età carolingia e ottoniana155.
Se nelle sue linee generali è facilmente individuabile il tracciato di quella che sarà poi chiamata
via Francigena156, più difficile rimane una puntuale ricostruzione del percorso, anche perché, come
la storiografia più recente da alcuni anni va suggerendo157, le strade medievali di grande
153
Cfr. Repertorio, p. 369.
TTM, p. 158. Radicofani sembra infatti derivare dall’abbreviazione di un personale germanico, ad esempio Radipert o
Radicauso. Peraltro da rilevare che nel tratto toscano della via, in punti particolarmente difficili o d’importanza strategica,
sovente sono rilevabili testimonianze toponomastiche dell’esistenza di elementi del sistema difensivo longobardo. Vedi,
ad esempio «Salamarthana» (Fucecchio) e «Vico Willari» (San Genesio) in corrispondenza dell’attraversamento
dell’Arno; «Montestaffoli» (nucleo originario di San Gimignano), «Castellum Aginulfi» in Lunigiana, ecc.
155
Cfr. CDA. Anche se sono stati giudicati falsi i diplomi del re Rachis e del suo successore Astolfo, pertinenti,
rispettivamente, alla fondazione ed alla conferma dei beni patrimoniali dell’abbazia, l’elenco dei possessi che appare nel
diploma di Astolfo è stato ritenuto autentico, nel senso che si è presupposta una sua derivazione da una successiva fonte
autentica del re Adelchi (cfr. W. KURZE, Monasterium Erfonis).
156
A partire dal IX secolo, infatti, dopo la conquista franca, la strada aperta dai longobardi, chiamata inizialmente «Via
di Monte Bardone», dall’omonimo corrispondente al passo usato valicare l’Appennino, verrà denominata «Francigena»,
cioè, etimologicamente, «strada originata dalla Francia», termine geografico, quest’ultimo, che nella normale accezione
medievale includeva anche l’antica «Lotaringia» (cfr. R. STOPANI, La via Francigena in Toscana. Storia di una strada
medievale, Firenze 1984, p. 21). Tra l’altro il più antico documento nel quale si ricorda con la sua denominazione è un
atto conservato proprio tra le carte del monastero di San Salvatore sul monte Amiata, rogato in Chiusi il 4 maggio 876,
ove, nel definire i confini di un terreno dato a livello, detto…. Et per fossatu descendente usque in via Francisca (cfr.
CDA, I, n. 157, p. 332).
157
Cfr., tra gli altri, P. FUSTIER, La route. Voies antique, chemin anciens chaussén modernes, Paris 1968, pp. 172 e 176;
A. SETTIA, Castelli e strade nel Nord Italia in età comunale: sicurezza, popolamento, «strategia», «Bollettino storico154
55
Libri su Radicofani
Personaggi nati a R.
Renato Magi
comunicazione in realtà non constavano di un unico tracciato, ma contemplavano fasci di percorsi
convergenti su determinati punti focali, corrispondenti ad un valico, all’attraversamento di un fiume,
oppure ad un centro particolarmente dotato di strutture ricettive.
Il nostro tentativo di ricostruzione dei percorsi della via nel tratto compreso tra Val d’Orcia e val
si Paglia si presenta pertanto irto di difficoltà, nonostante che dalla fine del X secolo le fonti scritte
presentino i primi itinerari che permettono di individuare con maggiori dettagli il tracciato della
strada, per l’innanzi indicato come semplice direttrice. È il caso della memoria lasciataci
dall’arcivescovo di Canterbury, Sigeric, che riporta tutti i luoghi da tappa toccati dal presule
britannico nel suo viaggio di ritorno da Roma alla sua sede episcopale, avvenuto tra il 990 e il 994158.
Grazie a questo documento possiamo acquisire la certezza che la nuova via aperta dai longobardi
per sopperire alle loro necessità politico-militari, non solo aveva consolidato il suo tracciato, ma era
diventata il principale itinerario per Roma, ben definito nel suo percorso di base facente capo a punti
nodali (le submansiones), centri presumibilmente attrezzati per ricevere i sempre più numerosi utenti
della strada. Procedendo da Roma, i primi luoghi di sosta indicati dall’arcivescovo coincidono con
quelli riportati dagli itinerari d’età imperiale; giunto però al lago di Bolsena, in corrispondenza del
quale sono ricordate due submansiones (Sce Flaviane e Sca Cristina, rispettivamente Montefiascone
e Bolsena), Sigeric devia dal percorso dell’antica consolare «Cassia» puntando verso
Acquapendente (Aquapendente). Quindi risale il corso del Paglia, come indica la successiva località
toccata dal presule britannico: San Pietro di Paglia (Sce Peitr in Pail). La submsnsio che segue
(Abricula = Le Briccole) è ormai già in Val d’Orcia, o meglio nella valle del Vellora subaffluente
dell’Orcia: evidentemente Sigeric ha superato il costone che da Radicofani, per monte Nebbiali si
svolge con andamento sinuoso fino a poggio Seragio, fungendo da spartiacque tra le due vallate.
L’ubicazione della stazione di Abricula non comporta grosse difficoltà, in quanto ancor oggi il
toponimo (nella moderna forma de «Le Briccole») indica due case coloniche che sorgono tra il
torrente Vellora e il torrente Rofanello, su un breve tratto di strada che corre parallela alla statale n.
2, ma leggermente spostato più ad ovest159.
Diverso è il caso per la submansio di Sce Peitr in Pail, che presumibilmente doveva trovarsi
nell’alta val di Paglia, presso a poco ad una giornata di cammino da Acquapendente. Laddove si
riuniscono i rami sorgentiferi del fiume del fiume gli unici insediamenti registrati dalle moderne
carte topografiche sono alcuni edifici rurali indicati come «le Casette», peraltro oggi ormai fatiscenti.
Più a valle, collegati da una strada campestre che corre a lato del Paglia, sulla destra del torrente,
sono poi le case coloniche corrispondenti ai poderi «Vigna», «Nardelli», «Voltole» e «Voltolino»160.
Il toponimo «San Pietro in Paglia» non corrisponde quindi a nessun attuale insediamento.
Sappiamo tuttavia da fonti storico-cartografiche della persistenza, almeno sino al XVII secolo, di un
insediamento «Paglia», indicato nelle carte cinque-seicentesche con un simbolo che si richiama
chiaramente ad un piccolo borgo161. Non solo, altre fonti itinerarie successive alla memoria di Sigeric
bibliografico subalpino» LXXVII (1979), p. 243 segg.: G. SERGI, Potere e territorio lungo la strada di Francia, Napoli
1981.
158
Il manoscritto, quasi sicuramente d’epoca successiva, si trova presso il British Museum di Londra. Fu trascritto e
pubblicato per la prima volta da W. STUBBS, Rerum Britannicarum Medii Aevi Scriptores, Londra 1974, vol. 63 cap.7,
pp. 391 – 395. Cfr. Inoltre, al riguardo, K. MILLER, Die ältesten Weltkarten, Stuttgart 1895 e J. JUNG, Das Itinerar des
Erzbichofs Sigeric von Canterbury und die Strasse von Rom über Siena nach Lucca, MIÖG XXV (1904), p. 57 e sgg.
159
I due toponimi «Le Briccole superiori» (quota 362) e «Le Briccole inferiori» (quota 336), distanti fra loro circa 500
metri, si trovano ancora indicati nel Foglio 129 della Carta d’Italia 1:100.00, nell’edizione del 1907. L’attuale tavoletta
1:25.000 (Foglio 129, IV N.E.) indica invece soltanto i segni topografici delle due case senza i toponimi relativi, salvo
poi riportare, erroneamente spostato, il toponimo «le Briccole». Da notare che a lato della casa colonica «le Briccole
inferiori» c’è una chiesetta tardo-romanica ancora in buono stato di conservazione, che rappresenta probabilmente un
residuo dell’ospizio ivi esistente, ricordato dai Decimari pontifici della fine del XIII secolo come «Hospitale S. Peregrini
de Obrico(is). (Cfr. P. Rat. Dec. I.)
160
Cfr. la tavoletta 1:25.000 della Carta d’Italia IGM, Foglio 129, I, S.O. Nella cartografia approntata dalla Regione
Toscana con scala 1:10.000 sono segnati edifici rurali: «La Casetta di Paglia» e «Le Casette».
161
Già nella Thusciæ Descriptio auctore Hieronimo Bellarmato di ABRAMO ORTELIO (1573 circa, Anversa) si trova
indicata, tra Abbadia San Salvatore e Radicofani, la località «Paglia». E così anche nella Urbisveteris antiquae Ditionis
56
Libri su Radicofani
Personaggi nati a R.
Renato Magi
parlano di una submansio situata nel fondovalle del Paglia. Così ad esempio nel resoconto di un
pellegrino a Roma effettuato nel 1350 da Berthélemy Bonis, mercante di Montauban 162, viene
ricordata come tappa tra S. Quirico d’Orcia e Acquapendente la località «Molino del Paglia»,
coincidente, con ogni probabilità, sia col sigericiano Sce Peitr in Pail, sia con la borgatella «Paglia»
indicata dalla cartografia a partire dal XVI secolo. Dice testualmente il documento lasciatoci dal
mercante pellegrino di Montauban: Lo dezenove dia dinar a Boncovent, de ser a San Sirguo. Lo XX.
dia dinar ala Palha del Molit, de ser a Ayguas-pendens.
Del resto nei Capitoli tra il Monastero di San Salvatore e il Comune di Abbadia, del 1472, si
parla di un «albergo che il Comuno à cominciato in Valle Paglia» e di «alberghi e case nella strada
Romana» (da notare però che la maggior parte del traffico della via Romana passava
ormai da Radicofani e gli ospedali che vi erano e lo Statuto di Radicofani del 1255
nonché le note di questo stesso libro dalla 118 e seguenti lo dimostrano ampiamente,
che poi qualche viaggiatore passasse per la val di Paglia è cosa certa al punto che
alcuni commercianti di Radicofani si fecero dare il permesso di costruire nella zona
del Paglia proprio per allargare i loro commerci ma è indubbio che ormai quasi tutto
il traffico importante, esclusi coloro che avevano molta fretta e molti commercianti,
passava per Radicofani e così rimarrà fino agli anni ’60 del XX secolo! a pag. 183).
Un’attenta ricognizione nell’alta val di Paglia, nella zona di confluenza tra i torrenti Vascio,
Cacarello e Pagliola, ove la moderna cartografia indica l’insediamento «le Casette», ha appurato
l’esistenza di tracce di un abitato, consistenti in cospicui cumuli di pietrame lavorato misto a
frammenti di cotto. Gli stessi edifici rurali in rovina (per lo più semplici dimore temporanee)
mostrano nella loro muratura a sasso accapezzato di aver utilizzato bozze di pietra andesitica dal
taglio regolarissimo, che sono presenti anche nelle case coloniche poste più a sud («Podere Vigna»,
«Voltolino»). Gli accumuli di macerie e il riuso di materiali lavorati testimoniano senza possibilità
di equivoci che siamo alla presenza di un insediamento abbandonato che per alcuni secoli deve aver
costituito una sorta di cava di materiale da costruzione. Potremo riconoscervi i resti di Sce Peitr in
Pail ricordato dall’arcivescovo di Canterbury e poi, con denominazioni diverse, ma tutte facenti
riferimento all’idronimo «Paglia», documentato sino al XVII secolo. Ci sembra tuttavia più
probabile che il sito in questione possa essere stato la sede dello scomparso villaggio di Callemala,
ricordato in numerosi documenti del Codex Diplomaticus Amiatinus a partire dal IX secolo.
Sicuramente ubicato in val di Paglia, il villaggio doveva trovarsi lungo la strada per Roma (chiamata,
di volta in volta, via Francisca, via carraria, via publica). In esso oltre la chiesa dedicata a Santa
Cristina, i monaci di San Salvatore possedevano case e terreni, molini e taverne; nelle vicinanze del
borgo era poi la pieve di San Donato, anch’essa frequentemente menzionata nelle carte amiatine163
…………………………………………………………………………………………
A questo punto sono ipotizzabili almeno due percorsi dell’antica «via romana»: il primo, più
spedito, è quello che nel suo tratto iniziale viene suggerito dalle Mappe catastali ottocentesche
(Mappa della Comunità di Radicofani, sezione F), che oltre lo spartiacque fanno proseguire il
tracciato in direzione della «Casa San Giorgio», per puntare poi verso Ricorsi, riallacciandosi quindi
all’attuale strada statale n. 2 (che Ricorsi si trovasse su un percorso frequentato sin dal medioevo è
testimoniato, se non altro, dalla presenza dell’edificio stesso della «Posta», d’impianto medievale,
nonché da un coevo ponticello ad unica arcata, contiguo alla costruzione). Esistono però fondati
descriptio di EGNAZIO DANTI, Roma 1583; nella carta del Territorio senese di ORLANDO MALAVOLTI, Siena
1599; nel Territorio di Siena con il Ducato di Castro di GIOVANNI JANSSON, Amsterdam 1630 circa, e in numerose
altre carte dei secoli XVI e XVII (cfr. R. ALMAGIÀ, Monumenta Italiae Cartographica. Riproduzioni di carte
generali e regionali d’Italia dal secolo XIV al secolo XVIII, IGM, Firenze 1925, tt. 20-43-45 e ID.,
L’Italia di A. Magini e la cartografia italiana dei secoli XVI e XVII, Napoli-Città di Castello-Firenze
1922, p. 122).
162
Cfr. E. FORESTIÉ, Les Livres de compte des fréres Bonis, marchands montalbonais du XIVème siècle, (Archives
Historiques de la Gascogne, XX e XXI), Paris-Auch 1890-91.
163
Cfr. CDA, I/II, in particolare i documenti nn. 157, 166, 181, 230, 200, 280.
57
Libri su Radicofani
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motivi per ipotizzare un secondo tracciato che, superato il crinale, giungeva invece al fondovalle del
Vellora, altro subaffluente dell’Orcia, con un percorso più lungo che incontrava le località
«Bellavista» (quota 704) e «Forcole» (quota 962)164, due toponimi che costituiscono entrambi un
chiaro riferimento stradale. Quindi quella che attualmente non è che una mulattiera proseguiva in
direzione nord, toccando le quote 686 e 642, e immettendosi poi nella rotabile per Castiglion d’Orcia
…………………………………………
Allude probabilmente ad un nuovo percorso della via Francigena tra la val d’Orcia e val di Paglia
un altro itinerario di notevole antichità: il diario di pellegrinaggio dell’abate islandese Nikulas di
Munkathvera, che 1154 si dipartì dalla sua lontana isola per visitare, dapprima Roma, quindi la
Terrasanta165. Tra San Quirico d’Orcia (Klerka borg) ed Acquapendente (Hanganda borg); Nikulas
dice che «… si sale sulla montagna chiamata Clemunt; c’è un castello alla sommità di questa,
chiamato Mala Mulier, ‘Cattive donne’ come diciamo noi, dove abita gente di pessima indole». Si
è giustamente ritenuto, nonostante la scarsa somiglianza dei vocaboli, che oronimo «Clemunt» sia
stato usato per indicare Radicofani che, come vedremo, alcuni decenni più tardi verrà più
chiaramente ricordato come stazione della via via Francigena. Tale identificazione, tuttavia, lascia
irrisolto il problema del castello di Mala Mulier, che non può esser fatto coincidere con Radicofani,
in quanto nei secoli XI e XIII i documenti dell’Abbazia di San Salvatore menzionano le due località
distintamente. Sembra cero però che il «Burgo de Muliermala» fosse ubicato nella valle del
Formone: così infatti si desume dai toponimi ricordati in talune confinazioni di terre poste nei
dintorni del borgo, riportate nei documenti del Codex Diplomaticus Amiatinus166. In particolare in
un documento del dicembre 1071 si parla di un fossato di Selvella, toponimo che attualmente
contraddistingue una località posta sulle pendici nord-occidentali del poggio di Radicofani.
Muliermala non doveva quindi trovarsi molto lontana dall’odierno insediamento rurale «Selvella»,
donde nasce un fosso (subaffluente del torrente Landola), che nel medioevo probabilmente prendeva
nome dall’abitato. Chissà se Muliermala non si trovasse ove è oggi la Casa «Le Conie», prossima
appunto a Selvella, oppure un poco più a nord, in corrispondenza della località «Castellare», il cui
toponimo costituisce un chiaro riferimento ad un centro abbandonato. Significativo è anche il
documento del marzo 1016, che fa menzione di una strata Rumea s(an)c(ti) Petri a Ruma il cui
tracciato, con la serra di Muliermala, serviva a delimitare i possedimenti dei quali l’atto tratta.
Il diario di Nikulas di Munkathvera può quindi costituire la più antica testimonianza di un nuovo
itinerario della via Francigena transitante per Radicofani, risultando comprensibile l’errore
dell’abate islandese, che collocò il borgo di Muliermala alla sommità del poggio di ClemuntRadicofani. Possiamo ricostruire di questo percorso nei suoi dettagli topografici, sulla base delle
indicazioni offerte dal territorio con i suoi caratteri morfologici e con le testimonianze e gli indizi
che esso conserva dell’antico tracciato. Procedendo da Radicofani in direzione nord la via non
doveva avere un andamento molto dissimile da quello dell’attuale strada statale n. 2, almeno sino a
«Le Conie» dove, invece di scendere a fondovalle del Formone, molto probabilmente seguiva il
percorso dell’attuale carreggiabile per Contignano, che si snoda parallelamente al torrente, ma a
quota più elevata, sul crinale delle basse colline che fungono da spartiacque con la valle dell’Orcia.
Molteplici testimonianze storico-territoriali attestano l’antichità di questa via che,
significativamente, è punteggiata da numerosi pozzi e fonti: se ne contano ben otto nel tratto
164
Riguardo a Forcole si legge nelle già citate FATTESCHI, Memorie che anticamente in detto Selvaiolo vi fosse un
casale detto Forcole, e i coloni corrispondevano con Callemala (cfr. Repertorio, ad vocem). Dato che per Callemala
transitava la via Francigena, l’esistenza del rapporto Forcole-Callemala potrebbe essere spiegato da un collegamento
viario fra le due località.
165
Cfr. F.P. MAGOUN, the pilgrim diary of Nikulas of Munkathvera: the road to Rome, «Medieval Studies» VI 1944,
che riporta un’accurata traduzione in inglese del testo originale (in antico norvegese), pubblicato per la prima volta, con
una più approssimata traduzione in latino, da E.C. WERLAUFF, Simbolae ad Geographiain Medii Aevi ex Monumentis
islandicis, Copenaghen 1821.
166
CDA, II, nn. 248, p. 125 e 289, p. 224 (i due documenti risalgono, rispettivamente, al marzo 1016 ed al dicembre
1071). In un altro atto, del febbraio 1107, si ricorda un senodochio, quod est edificatum in burgo, qui dicitur Muliermala
(cfr. CDA, II, p. 296).
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Castellare-Castelvecchio! Le località toccate dalla strada sono tutte eredi di insediamenti di notevole
antichità, ricordate nei documenti amiatini sin dai secoli X e XI167. Non solo, nella maggior parte
dei casi esse conservano anche le strutture architettoniche di edifici medievali (ad esempio a
Castelvecchio e a Perignano), oppure tracce più o meno consistenti di circuiti murari (ad esempio a
Poggio a Reggiano e a Castelvecchio).
Dopo «Le Conie» la strada si mantiene per almeno cinque Km. a quota pressoché costante (circa
590-600 metri), incontrando la Casa Poggio Bandinelli, nei cui immediati dintorni si trova il già
ricordato «Castellare» e poi il Poggio a Reggiano168.
Quindi, abbandonata la moderna carreggiabile per Contignano169, inizia a degradare dolcemente
verso il fondovalle del Formone, transitando per la località «Riposo», il cui toponimo costituisce un
evidentissimo riferimento all’esistenza, in passato, di una struttura ricettiva. Oltre «Riposo» la strada
si dirigeva verso Castelvecchio, ove dovevano essere previste possibilità di collegamento con il più
antico percorso della Francigena. Da Castelvecchio, infatti, si poteva giungere senza grandi difficoltà
a «Le Briccole», previo attraversamento del Formone, oppure, proseguendo oltre, giunti in
prossimità della confluenza del Formone con l’Orcia, era anche possibile arrivare a Spedaletto, il
celebre punto di sosta sulla Francigena ricordato dal 1236 come dipendenza dello spedale della Scala
di Siena170. Un altro toponimo in rapporto con la viabilità (la località «Palazzolo») potrebbe
suggerire in questo secondo caso l’ubicazione dei punti di attraversamento del Formone e dell’Orcia,
oggi uniti da una semplice mulattiera il cui proseguimento si innesta nella moderna carreggiabile
che conduce a Spedaletto.
Oltre Radicofani la strada medievale, a differenza dell’attuale strada statale n. 2 (Oggi S.R. n.
2), raggiungeva il fondovalle del Paglia molto più a sud, con un tracciato che viene riproposto dalla
via comunale che conduce a Ponte al Rigo. Ne risulta un percorso che affronta la salita di Radicofani
mantenendosi lungo la linea spartiacque tra i torrenti Paglia e Rigo. Anche in questo caso la
toponomastica contribuisce ad avvalorare la nostra ipotesi con la presenza, poco a nord di Ponte al
Rigo, della località «La Novella», il cui toponimo evidentemente nacque in riferimento al nuovo
tracciato, e «Baccanello», dal significato di posto di ristoro. Del resto che la strada medievale
transitante per Radicofani proveniente da sud evitasse il fondovalle del Paglia è attestato dalle fonti
cinquecentesche, tra le quali è un bel disegno della fine di quel secolo, conservato presso l’Archivio
di Stato di Firenze, da noi recentemente pubblicato171.
Anche se il più antico percorso che risaliva il corso del Paglia non venne abbandonato (tanto che
il suo uso, abbiamo visto, è ancora documentato nel XVI secolo, come attestano le testimonianze
del Montaigne e del Buchellius), il passaggio per Radicofani a partire dal dalla fine del XII secolo
sembra preferito dai viaggiatori, forse proprio perché permetteva di sostare in una «terra forte e
populata» che rappresentava una garanzia di sicurezza.
Il primo esplicito riferimento a Radicofani come «stazione» della via Francigena si ha
nell’itinerario del re di Francia Filippo Augusto, di ritorno dalla terza Crociata, nel 1192: …deinde
per Ekepenndasnte, deinde per Redcoc, deinde per la Briche, deinde per San Clerc …Chiaramente
viene indicato il nuovo percorso Acquapendente-Radicofani-Le Briccole-San Quirico d’Orcia172.
167
Cfr. CDA, passim e Repertorio, pp. 360-361.
Poco prima di Poggio a Reggiano, una strada (oggi ridotta a sentiero) raccordava il nostro percorso con Ricorsi, sul
fondo valle del Formone. Il toponimo ‘Riscatto’, derivato dal latino volgare «rexcaptare», intensivo di ‘captare’, potrebbe
riferirsi alla possibilità di collegamento con il percorso di fondo valle della via Francigena che qui veniva offerto. Un’altra
strada, che tuttora conserva tracce di selciato, si diparte da ‘Casa Reggiano’ e, con un percorso più lungo, raggiunge
egualmente Ricorsi.
169
Attualmente la strada prosegue in direzione di Contignano, per poi spostarsi verso est e dar luogo a due tracciati che
conducono, rispettivamente, a Spedaletto e a Castelluccio di Pienza (cfr. Carta d’Italia, Foglio 129, tavoletta I SO e Foglio
121, tavoletta II SO.)
170
Cfr. Repertorio, p. 352.
171
ASF, Piante Possessioni 4, (pubblicato in A.A.V.V., La via Francigena nel senese. Storia e territorio, Firenze 1985).
172
Cfr. BENEDICT VON PETERBOROUGH, MGH SS, Ex gestis Henrici II et Ricardi I, XXVII, p. 131, Hannoverae
1885.
168
59
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Personaggi nati a R.
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Alcuni decenni più tardi, nell’anno 1253, anche l’arcivescovo di Rouen, Eudes Rigaud, che ritornava
alla sua sede episcopale, annoterà : …apud Aquam pendentem, apud Radicophanum, apud Sanctum
Quiricum…173.
Divenuto centro di transito e di controllo strategico della via Francigena, Radicofani accentuerà
la sua importanza nel 1442, quando intervennero i senesi col dare ordine che la strada romana (….)
non si facesse per la valle del Paglia174. Si affermerà così il moderno tracciato della via, che
determinò il lento abbandono dei percorsi medievali, oggi sopravvissuti solo per taluni tratti o in
labili tracce che il territorio tenacemente conserva.
ROMANICO NELL’AMIATA (ARCHITETTURA RELIGIOSA DALL’XI AL XIII
SECOLO) – AA.VV. – Editore Arti Grafiche Giorgi § Gambi – Firenze – Ottobre 1990.
(A cura di Italo Moretti)
Pag. 13 e seg.
BREVE STORIA DEL MONTE AMIATA FINO AGLI INIZI DEL DUECENTO –
Wilhelm Kurze -
DEFINIZIONE E VICENDE DI UNA TERRA -
PREMESSA
Il concetto di Monte Amiata è usato qui per indicare una zona che può essere definita soltanto
storicamente. Essa non ha confini geografici naturali, ma confini determinati dal crescere insieme,
durante i secoli del Medioevo, di piccole unità geografiche tra loro molto diverse.
Ha però senso designare con un concetto geografico questa formazione storica. Il massiccio
montuoso che si eleva dalla pianura della Maremma, sopra le colline circostanti, fino a 1738 metri
di altezza era ed è il punto di riferimento visivo di questa regione. Il monastero di San Salvatore,
l’istituzione che per secoli ha largamente determinato la storia e i destini della zona, definì di
conseguenza a pieno diritto la sua posizione con il nome: Monte Amiata.
Situata nel territorio di Chiusi, la zona intorno al Monte Amiata aveva una posizione speciale. Il
suo punto di riferimento non era la lontana Chiusi, che come centro amministrativo era relativamente
insignificante, ma il centro di potere al Monte Amiata rappresentato nell’alto Medioevo dal
monastero di San Salvatore. Il grande possedimento demaniale al Monte Amiata, separato con la
fondazione della curtis regia di Chiusi imboccò proprie vie di sviluppo. Il vescovo di Chiusi, che si
trovava in una posizione di debolezza, non riuscì ad imporre la propria autorità ai monasteri di San
Salvatore e di Sant’Antimo nella valle dello Starcia, situati nella parte occidentale della sua diocesi.
Essi affermarono anzi la loro indipendenza.
La zona, che storicamente gravitava intorno al Monte Amiata e al monastero di San Salvatore
posto sulle sue pendici orientali ad un’altezza di 800 metri, ad occidente include Arcidosso e
raggiunge, attraverso le valli dell’Ente e dello Zancona, gli accentuati rilievi sui quali si trovano oggi
le località di Monticello e Montelaterone. A nord-ovest va fino a Montenero sulle pendici
meridionali della val d’Orcia. Questa riva dell’Orcia viene raggiunta anche a nord con Campiglia e
Castiglione. A nord-est il margine della zona si trova all’incirca sulle colline a destra della valle del
Formone con Contignano e lo scomparso paese di Reggiano. Ad est è inclusa la valle del Paglia e le
alture situate ad est, tra le quali il possente massiccio roccioso di Radicofani che ha una posizione
dominante. La zona s’estende poi oltre il Rigo e comprende l’area intorno allo sbocco di questo
fiume nel Paglia. È inclusa la riva sud del Senna e il territorio di Piancastagnaio.
Questa area relativamente chiusa è interrotta in due punti. Una volta a sud, dove nella zona di
Santa Fiora una concentrazione di possedimenti degli Aldobrandeschi s’insinua nell’ambito chiuso
173
174
Cfr. Th. BONNIN (a cura di), Registrum visitationis archiepiscopi Rothomagensis, Rouen 1852, pp. 176-186.
Cfr. O. MALAVOLTI, Dell’historia di Siena cit., p. 31 (parte III).
60
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soggetto all’influenza del monastero. Questa concentrazione di potere della nobile famiglia nel XII
secolo fece sentire la sua influenza anche in Arcidosso e anzitutto nella zona di Castel del Piano e
rese problematica l’organizzazione di questo territorio da parte dell’abbazia. A nord si può constatare
l’esistenza di un secondo ostacolo per la creazione di un ambito compatto d’influenza del monastero
di San Salvatore intorno al Monte Amiata. Da quella parte l’abbazia non riuscì ad estendere la sua
autorità al di là del fiume Orcia. Anche ciò trova spiegazione in una situazione storica e non nella
conformazione geografica. Qui l’area d’influenza del monastero di San Salvatore confinava con
quella dell’abbazia sorella di Sant’Antimo nella valle dello Starcia. Qui era Sant’Antimo che poté
estendere la sua zona d’influenza ampiamente verso il Monte Amiata, incuneandosi così per molti
secoli in un territorio altrimenti relativamente omogeneo.
Questa situazione con la concatenazione delle aree d’influenza ci offre per così dire la prova
speculare del fatto che le antiche abbazie dell’Impero ebbero un ruolo decisivo nello sviluppo delle
strutture storiche di questa zona a partire dall’alto Medioevo.
I.
ETRUSCHI E ROMANI
La situazione che abbiamo delineato vale per il Medioevo, non per la Preistoria, per il periodo
etrusco e quello romano. Le più antiche testimonianze di insediamenti nella zona intorno al Monte
Amiata qui considerata li troviamo sulle pendici nord e nord-ovest del massiccio montuoso.
Ritrovamenti preistorici provengono da aree d’insediamento che s’estendono dalla val d’Orcia fino
al territorio dell’attuale Castel del Piano. Per quanto riguarda gli insediamenti etruschi siamo
informati soprattutto dai toponimi. Anche se i linguisti non sono ancora d’accordo nell’identificare
le componenti etrusche, si può però dimostrare che la penetrazione degli Etruschi nelle zone già
popolate durante la Preistoria, in alto sopra le valli dell’Ente e dello Zancona, deve aver avuto luogo
a partire dal fiume Orcia, il cui nome è probabilmente etrusco. (A Radicofani vedi il Pistoi e
vedi le novantadue statuine etrusche che si trovano nel Museo Etrusco di Firenze e
a Perugia- vedi Carta Archeologica della provincia di Siena – Vol. VII!).
I Romani occuparono il territorio già organizzato dagli Etruschi. Essi non hanno probabilmente
potenziato in misura notevole la colonizzazione di questa regione, ma hanno soltanto intensificato
lo sviluppo interno delle zone di cui presero possesso.
Un santuario di Giove consente forse di identificare una struttura ed un’organizzazione più
solida, ma finché non abbiamo il conforto di prove archeologiche, ciò deve rimanere una
supposizione.
Sulle pendici orientali del Monte Amiata vediamo qualcosa di più chiaro. I saggi di archeologia
di superficie di recente compiuti nella valle del Paglia hanno fornito risultati – anche se soltanto
provvisori – che consentono un primo tentativo d’interpretazione. I ritrovamenti indicano che la
colonizzazione etrusca, anche qui risalendo il fiume, non è penetrata fino al corso superiore del
Paglia. Resti etruschi sono documentati fino alla zona della valle ancora molto aperta, all’incirca
presso Voltole.
Probabilmente anche qui come sulle pendici occidentali i Romani hanno intensificato la
colonizzazione degli antichi insediamenti di cui entrarono in possesso, ma soltanto raramente la loro
attività si estese ai lati della valle, risalendo a monte. Ciò è dimostrato dai ritrovamenti che sono
numerosi negli antichi insediamenti, mentre sono scarsi al di sopra di queste località. I ritrovamenti
concentrati in un punto di particolare significato nel corso superiore del Paglia e in un luogo posto
sullo spartiacque con la valle del Formone probabilmente dimostrano che qui la presenza romana è
da collegarsi con la costruzione e l’organizzazione di una nuova strada attraverso le valli del Paglia
e del Formone. I grandi spazi privi di ritrovamenti nel corso superiore del Paglia provano
chiaramente che non ebbe luogo alcuna successiva colonizzazione della valle che avrebbe dovuto
partire all’incirca dalla zona intorno all’attuale Voltole, ma che forse piuttosto si formarono o furono
create in quel tempo in certi punti delle stationes per la sosta e l’organizzazione della nuova strada.
61
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Personaggi nati a R.
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Ricapitolando si può dunque con buona probabilità affermare questo: in epoca etrusca e romana
la colonizzazione è concentrata soprattutto sul lato nord-ovest e in val d’Orcia sul lato nord del
Monte Amiata.
Già in questo periodo essa raggiunse qui la zona che si trova tra i 600 e i 900 metri di altezza,
dove, tutt’intorno al monte, sgorgano copiose sorgenti, la zona dunque in cui poi, durante il
Medioevo, si svilupparono le località più importanti e più popolose ad occidente e ad oriente del
Monte. La parte meridionale delle pendici occidentali in epoca romana non fu compresa in questa
colonizzazione nella valle del Paglia fino alla zona di Voltole e gli insediamenti in punti scelti lungo
la strada in questa valle.
II I LONGOBARDI III.
L’apertura di una strada attraverso la valle del Paglia e del Formone, una variante della via Cassia,
in età romana doveva avere per la zona intorno al Monte Amiata delle conseguenze per il futuro, che
però allora non potevano essere previste.
La conquista longobarda mutò i rapporti politici di potere nell’Italia settentrionale e centrale, che
portò come conseguenza al coesistere, fianco a fianco, di territori soggetti rispettivamente ai
Bizantini e ai Longobardi. Ciò comportò necessariamente una riconsiderazione dell’importanza di
molti antichi collegamenti stradali romani ancora esistenti nel Medioevo. La politica promossa e
portata avanti energicamente e con successo dal re Liutprando, nella prima metà dell’VIII secolo,
volta a collegare più stabilmente la Toscana con l’Austria e la Neustria, portò anche ad una radicale
rivalutazione della strada che, attraverso il passo della Cisa nuovamente sistemato, portava a Lucca
e da questo centro del potere longobardo, attraverso la Toscana, conduceva a Roma. Sotto
Liutprando e i suoi successori Ratchis e Astolfo, venne anzitutto organizzata questa strada mediante
un sistema di monasteri riorganizzati o di nuova fondazione.
È da vedere in tale contesto la scelta del luogo in cui fu fondato il monastero di San Salvatore,
sopra la valle del Paglia. Era compito dell’Abbazia quello di occuparsi del tratto di strada più tardi
chiamata via Francigena, che attraverso l’insellatura tra il Monte Amiata e Radicofani portava nella
valle del Paglia. Erfo, il collaboratore dei re fratelli Ratchis Astolfo, come questi di nobiltà friulana,
ottenne per la fondazione da lui prima organizzata e poi guidata come abate l’assegnazione nella valle
del Paglia di beni e di persone per i quali in precedenza era responsabile la curtis regia di Chiusi, e
che poi furono amministrati dal nuovo monastero di San Salvatore.
VII. IL XII SECOLO
Nel XII secolo le città cominciarono ad estendere il loro potere, ottenendo l’egemonia sopra il
contado e le zone d’interesse adiacenti. Le città rappresentavano concentrazioni demografiche che
nel proprio interesse cercavano di aumentare. Esse vivevano di attività artigianali e di commercio.
Per queste due attività era essenziale una rete stradale funzionale e sicura. Bisognava procurare
viveri per la numerosa popolazione e per il commercio era necessaria una viabilità che collegasse
con paesi lontani.
L’ampliamento delle strade era un problema finanziario che la forza economica delle città sapeva
superare poiché economia e trasporto dei prodotti erano strettamente connessi tra loro. Più
problematico era garantire la sicurezza delle strade.
L’insicurezza derivava soprattutto dalle tensioni e dalle faide delle famiglie nobili del contado in
lotta tra loro o perfino con gli abitanti delle città. L’autorità regia, che sarebbe dovuta intervenire qui
some autorità dello Stato ad appianare i contrasti, nella prima metà del XII secolo, come già alla fine
dell’XI, era debole in Italia e i re erano raramente presenti. Di conseguenza le città stesse si assunsero
l’onere di adempiere all’esigenza per loro vitale di rendere sicure le strade e le loro zone d’interesse,
assoggettando la nobiltà del contado.
62
Libri su Radicofani
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Perciò non meraviglia vedere che Siena in quest’epoca s’occupa politicamente e militarmente
della via Francigena sia nel tratto a nord sia in quello a sud della città. A nord i suoi interessi
cozzavano già presso Poggibonsi con quelli di Firenze, rivale per lo meno coetanea e ponevano limiti
agli sforzi di Siena. A sud bisognava però rendere sicura la via Francigena fino allo Stato della
Chiesa e garantire il collegamento con la Maremma, importante per l’approvvigionamento della sua
popolazione. L’antica Chiusi non aveva più un grande potere, la nuova Grosseto non l’aveva ancora.
Non erano nemici da prendere sul serio. Più forti erano gli Aldobrandeschi.
La condotta di Siena nel corso del tempo si conformò a queste situazioni. Nel 1139 una parte di
Radicofani fu donata dai nobili Manenti al vescovo di Siena in qualità di rappresentante della città.
È difficile credere che tale “donazione” sia stata fatta senza pressioni da parte di Siena. Nel 1145 un
esercito della città comparve di fronte all’abbazia di San Salvatore. Lottando era penetrato nel
territorio del monastero, perché Siena chiese all’abate e ai suoi fideles di giurare di non esigere alcun
indennizzo ed estorse al monastero diritti su Radicofani. Nel 1151 poi venne costretta Grosseto, che
dopo il trasferimento della sede vescovile di Roselle nelle sue mura (1138) cominciava a svilupparsi
in maggior misura, a fare delle concessioni.
Vediamo qui gli inizi di uno sviluppo che trasformò la zona intorno all’Amiata da un importante
centro di potere del vescovato di Chiusi, sul quale il vescovo non riuscì mai ad affermare la sua
autorità, in una zona marginale dell’area d’influenza di Siena. Questo sviluppo, le cui conseguenze
determinano ancora oggi la situazione intorno al Monte Amiata, nel XII secolo non era naturalmente
ancora prevedibile, c’erano anzi segni di miglioramento.
Nella seconda metà del XII secolo, sotto i sovrani svevi Federico Barbarossa e suo figlio Enrico
VI, il potere regio si rafforzò ancora una volta. Barbarossa cominciò, a partire dalla sua prima
spedizione in Italia negli anni Cinquanta, a comporre energicamente un inventario dei diritti
dell’Impero e delle proprietà demaniali in Italia. Gli riuscì riottenere molti di questi beni appartenenti
allo Stato, sottratti da diverse autorità. I diritti e le proprietà accertate furono fissati per scritto. Su
questa base l’importante cancelliere Rainaldo di Dasseln poté consolidare il potere imperiale in
Toscana e iniziare l’organizzazione di un’amministrazione demaniale.
Alla base della politica imperiale c’era l’idea di riconoscere in larga misura l’autonomia delle
città, ma di limitare la loro influenza ad una zona che in ogni singolo caso venne fissata in alcune
miglia intorno alle mura. Il territorio doveva però essere dominato dai nobili e dai monasteri. Le
estese proprietà demaniali residue o recuperate furono organizzate sotto una propria
amministrazione statale costituita in parte da tedeschi. Per la zona dell’Amiata divenne responsabile
il castello imperiale di San Quirico d’Orcia.
La perdita dell’esercito, causata da un’epidemia alle porte di Roma (1167) e la conseguente
ritirata del Barbarossa al di là delle Alpi, la morte di Rainaldo, ridussero a niente tutto ciò che era
stato costruito. Poiché venne a mancare il potere dell’Impero, ordinatore e garante di pace, i poteri
locali dovettero cercare di nuovo di raggiungere un equilibrio tra di loro. La nobiltà non riuscì più
ad imporsi sulle città, nemmeno quando dopo il 1177 fu appoggiata dall’arcicancelliere Cristiano di
Magonza, rappresentante dell’imperatore. Si era tornati, più o meno, alla situazione anteriore
all’intervento del Barbarossa, nella prima metà del XII secolo.
Come mostrano alcuni documenti sovrani degli anni ’60 e ’70 a destinatari toscani, nonostante
tutto Federico non ha mai rinunciato agli antichi diritti dell’Impero. Nella pace di Costanza (1183)
l’imperatore dovette riconoscere sì l’autonomia conquistata dalle città, ma riuscì a conservare la
sovranità e molti diritti fiscali dell’Impero. Questo trattato offrì i punti di partenza per una ripresa in
Toscana, i primi sintomi della quale sono riconoscibili nella sesta spedizione in Italia di Federico I
(1184 – 1186). Per le lamentele dei nobili le contee furono in gran parte tolte di nuovo alle città.
Barbarossa privilegiò nobiltà, vescovati e monasteri e li investì di diritti sovrani.
Modello per la ripresa era evidentemente il principio di ordine degli anni ’60. Seguendo questo
Enrico VI completò poi l’impostazione di suo padre mediante la riorganizzazione di un’efficiente
amministrazione demaniale che, in caso di necessità, poteva aiutare la nobiltà contro il potere delle
63
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città. Per Enrico dopo il matrimonio con Costanza, figlia di Ruggero II, era diventato ancora più
importante tenere saldamente in mano la Toscana come regione di transito.
La zona intorno all’Amiata, dopo aver respinto le pretese di Siena, rimase quasi non toccata da
tutti questi sviluppi. Probabilmente il monastero di San Salvatore non fu riaccorpato alle proprietà
demaniali. Nel 1164 l’imperatore confermò a Ildebrando, conte degli Aldobrandeschi, i suoi beni
come distretto di immunità. Da tali distretti, di cui allora in Toscana facevano parte, per fare qualche
esempio, anche quelli dei beni dei Guidi, degli Alberti e dei Malaspina, più tardi quelli dei Manenti
di Sarteano e degli Ubaldini, l’impero si ritirò e li riconobbe come zone chiuse di dominio, anche se
sotto la sovranità imperiale. Per rafforzare il potere degli Aldobrandeschi venne probabilmente
affidato a questa famiglia il monastero di San Salvatore. Ciò è coerente con la politica favorevole
alla nobiltà portata avanti dal Barbarossa e viene confermato dal fatto che questo imperatore, di cui
sono conservati un gran parte di diplomi a favore di destinatari toscani, non emanò mai un
documento per San Salvatore. Perciò l’influenza degli Aldobrandeschi intorno all’Amiata rimase
per il momento immutata.
Con l’organizzazione della sua amministrazione demaniale Enrico VI è poi intervenuto in questa
situazione. Il centro amministrativo per i possedimenti demaniali intorno all’Amiata fu di nuovo
stabilito in San Quirico d’Orcia che Siena aveva usurpato per qualche tempo. Nell’anno 1194 Enrico
per la prima volta ha di nuovo concesso al monastero di San Salvatore un privilegio che fissava
chiaramente la posizione giuridica dell’abbazia come Reichskloster. Con questo vennero respinte
anzitutto le pretese avanzate nel XII secolo dalla Curia Romana sull’abbazia, ma mutò anche la
posizione del monastero nei confronti degli Aldobrandeschi. Da questo momento in avanti soltanto
il Papa e l’Imperatore si contesero l’influenza sull’abbazia.
Mediante questa riforma dei rapporti di potere intorno all’Amiata si pose un freno anche alla
spinta espansionistica di Siena in questa zona.
Dopo l’inaspettata, precoce morte di Enrico VI (1197) le potenze della Toscana cercarono di
evitare una nuova lotta di tutti contro tutti. Una lega doveva sostituire la forza equilibratrice
dell’Imperatore che era venuta a mancare. Fanno parte di questa lega toscana accanto alle grandi
città anche i conti Guidi e gli Aldobrandeschi. Siena era perciò frenata anche da ciò nella sua attività
al Monte Amiata e lasciò la zona d’influenza all’amica Orvieto. All’inizio del XIII secolo vediamo
dunque di nuovo il Monte Amiata esposto a due potenze in confronto: gli Aldobrandeschi ad ovest
e la città di Orvieto ad est. Fu la potenza della città di Siena che nel corso del XIII secolo riunì infine
di nuovo sotto il suo dominio la zona intorno all’Amiata. Ma questo sviluppo si trova già al di fuori
dei confini cronologici che ci sono stati assegnati.
VIII. GLI INSEDIAMENTI (Pag. 32)
Nel corso dei grandi mutamenti politici che abbiamo tratteggiato la storia della colonizzazione
del Monte Amiata ebbe un ruolo importante. Entrambi gli sviluppi si sono condizionati
reciprocamente e almeno la velocità dei mutamenti politici fu largamente dipendente dalle
trasformazioni della struttura di colonizzazione.
Nell’VIII secolo presumibilmente ancora grandi porzioni della zona intorno al Monte erano
coperte dalla foresta vergine, naturalmente ad eccezione delle aree degli antichi insediamenti. Nel
IX secolo la bonifica promossa dal monastero penetrò già notevolmente in questi territori boschivi.
Nel X secolo in molti punti ad ovest del Monte Amiata e nella valle del Paglia compaiono curtes
padronali circondate da una cerchia di fattorie dipendenti, site probabilmente in gran parte su terreno
dissodato nel frattempo.
Quando poi, nella seconda metà del X secolo, la posizione di partenza della nobiltà, favorita dal
re e a danno del monastero di San Salvatore, per il dissodamento del territorio in proprio migliorò
notevolmente, essa non avrà mancato di sfruttare il momento favorevole. Non possiamo purtroppo
documentare questa parte dell’attività economica nel suo sviluppo poiché gli archivi gentilizi sono
andati perduti, ma il risultato nell’XI secolo dimostra che questi sforzi ci sono stati – anzitutto degli
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Aldobrandeschi. Non tutto ciò che essi possedevano intorno al Monte Amiata potevano averlo
strappato al monastero di San Salvatore o averlo acquistato; gran parte dei loro possedimenti deve
essere il frutto di una propria attività di dissodamento. Una coltivazione intensiva della terra dette
loro la possibilità di creare più ampi complessi di proprietà indipendenti che, come nel resto
dell’Europa, così sicuramente anche qui furono importanti punti di partenza per la costituzione del
dominio dei nobili. Ampliati poi mediante diritti statali usurpati o concessi dal re, essi divennero i
territori soggetti al loro dominio.
Simbolo evidente del potere divenne il castello. Non deve pertanto stupire che l’epoca in cui la
nobiltà ristruttura le proprie famiglie e ne estende le aree di proprietà e d’influenza, sia anche quella
nella quale sorsero molti castelli, l’inizio dell’“incastellamento”.
La coincidenza cronologica di un “boom” di costruzioni di castelli e di un’ondata di monasteri di
famiglia mostra che il processo di costituzione del dominio di piccole strutture aristocratiche era il
punto di partenza per ambedue i fenomeni. Essi disegnano questo processo su due lati: la dignità e
il prestigio di una famiglia furono documentati e favoriti mediante il monastero di famiglia, segno
visibile di potere e dominio fu il castello.
I castelli dei nobili, che nel loro sorgere esprimevano in senso simbolico e reale il potere del loro
proprietario, si trasformarono nel corso del tempo mediante l’accumulazione di diritti di proprietà e
di dominio in centri di potere. Nel corso di questo processo essi esercitarono un forte richiamo sulle
popolazioni che abitavano sparpagliate nei dintorni, le quali abbandonavano le loro residenze e si
trasferirono nei castelli. Questo processo spopolò il territorio a favore dei castelli. Ciò si verificò
nella nostra zona verso la fine del XI secolo e nel XII. All’inizio del XIII secolo, al Monte Amiata,
come anche in altre regioni d’Italia, ci troviamo di fronte ad una situazione di insediamento del tutto
diversa da quella dei secoli precedenti. La popolazione si concentrava ora in oltre 20 castelli, 15 dei
quali sopravvissero nel tardo Medioevo. Ancora oggi è riconoscibile nella struttura dagli
insediamenti della zona intorno all’Amiata la tendenza alla concentrazione della popolazione in
pochi punti, ma ora soltanto come tendenza non più esclusivamente come nel XIII secolo.
EPILOGO
Proprio negli ultimi anni, in molti Comuni che si trovano più o meno distanti intorno al Monte,
si sviluppa con la Comunità Montana un nuovo sentimento di appartenenza al Monte Amiata. Per
tutti vi sono anche motivi storici che possono documentare una tale appartenenza, ma non tutte
queste tracce possono risalire fino al XII secolo o ancora più indietro. Qui possono essere citate
soltanto le zone che si raggrupparono intorno al Monte Amiata nell’alto Medioevo e nel Medioevo
centrale formando un paesaggio storico che anche se non era compatto era però più o meno
delimitabile.
Il monastero di San Salvatore e poi gli Aldobrandeschi organizzarono questa zona e le dettero
un’unità che per lungo tempo è stata poi lacerata dalla divisione in due provincie: Siena e Grosseto.
La struttura della Comunità Montana sembra adatta a sviluppare qui di nuovo un più profondo
sentimento di appartenenza al medesimo ceppo. Il Monte Amiata era un tempo zona di confine del
Regnum Italiae con lo Stato della Chiesa e si trovava assai lontana dai centri comunali. Spesso la
zona ebbe a soffrire a causa di questa posizione, ma ne ebbe anche dei vantaggi.
Oggi l’Amiata non è più come un tempo zona di confine in senso politico. La distanza dai grandi
centri è rimasta. Oggi vale di nuovo la pena di sfruttare questa distanza per il futuro, di riconoscerne
l’importanza e di saperla utilizzare nel nuovo sistema di valori che si profila.
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Libri su Radicofani
Personaggi nati a R.
Renato Magi
MONASTERI, PIEVI, CHIESE DI VILLAGGIO E DI CASTELLO
NEL TERRITORIO AMIATINO DEL MEDIOEVO. Mauro Ronzani.
1. Per chi intenda ricostruire i tratti essenziali dell’organizzazione ecclesiastica medioevale del
territorio amiatino, considerandola dal punto di vista delle strutture d’esercizio del ministero
pastorale, ragion d’essere della Chiesa stessa, il privilegio rilasciato nel 996 da papa Gregorio V
all’abate di San Salvatore offre – ad un tempo – una prima occasione di verifica e il punto ideale di
partenza per osservare i grandi sviluppi maturati nel secolo XI. Il 27 maggio del quell’anno, oltre
ad accogliere il cenobio sotto la protezione della Sede Apostolica, il pontefice gli confermò infatti il
diritto d’esigere «le primizie e le decime» dei suoi dipendenti, e soprattutto consentì che il sacrum
baptisterium venisse amministrato nelle chiese monastiche di San benedetto e di Santa Maria di
Làmula175. Questi due edifici culturali, situati su versanti opposti del Monte, ci sono noti sin dai
primi decenni del secolo IX come cellae, ossia filiali del monastero amiatino, a loro volta collegate
con aziende agrarie di tipo curtense: così, assai chiaramente, per la cella S. Benedicti (posta allora
presso il Monte Bocéno, al di là del torrente Senna), cui corrispondeva la curtis detta “del Paglia”;
mentre Santa Maria in Lamulas, pur preceduta nella val d’Ente dall’altra cella di Santo Stefano di
“Monticlo” (che appunto «comprendeva all’incirca le più tarde zone di colonizzazione di
Montelaterone, Lamula e Arcidosso»), assurse fra il IX e X secolo a vero centro amministrativo di
questa porzione del territorio amiatino (dov’era pure la curtis di “Mustia”)176. Un secolo ancora, ed
ecco che il privilegio del pontefice giunse a sanzionare un uso probabilmente antico, riconoscendo
a Santa Maria e a San Benedetto lo status di chiese battesimali, riservato di norma – in virtù d’un
principio plurisecolare – a chiese direttamente sottoposte al vescovo competente per territorio
(l’Ordinario diocesano), che di tanto in tanto le visitava per impartire personalmente il sacramento
della confermazione a quei fedeli, abitanti nei luoghi circonvicini, che già vi avevano ricevuto il
battesimo e vi si raccoglievano nei giorni più solenni dell’anno liturgico.
Non così, come abbiamo visto, per le popolazioni delle alte valli dell’Ente e del Paglia; e anche
il fatto che il pontefice, nel 996, consentisse ai monaci di San Salvatore di procacciarsi il crisma e
l’olio santo (necessari per la consacrazione dell’acqua battesimale e per altri usi liturgici) «da
qualunque vescovato volessero o potessero», suonava come un riconoscimento della posizione
particolarissima del cenobio, impiantato al confine delle due diocesi di Chiusi (entro i cui confini
propriamente si trovava la sede abbaziale) e di Sovana, e detentore in tale zona di ampi diritti sulle
terre, e sugli uomini che su di esse vivevano. Tanto più che fra Santa Maria di Lamula e San
Benedetto – ovverosia sull’Amiata vera e propria – non v’è traccia, in questi primi secoli d’esistenza
del monastero, di chiese battesimali vescovili o “pievi” (plebes), come si denominavano
abitualmente sin dal principio del secolo VIII, quando esse erano pur già alquanto diffuse non molto
più a nord del nostro Monte, nella Valdorcia oggetto della famosa disputa fra i vescovati di Siena e
d’Arezzo177. Ed è solo grazie al documento di San Salvatore che, nel pieno secolo XI, riusciamo a
cogliere la presenza di un reticolato di plebes vescovili chiusine fra la val di Paglia e la val d’Orcia:
quando, cioè, le “carte di donazione” individuano i singoli appezzamenti di certi grandi complessi
175
Codex diplomasticus Amiatinus. Urkundenbuch der Abtei S. Salvatore am Montamiata von den Anfängen bis zum
Regierungsantritt Papst Innozenz III. (736 – 1198), a cura di W Kurze, I –II, Tubingen 1974 – 1982, nr. 213, pp. 37 – 40
(in seguito si citerà semplicemente: CDA, con il nr.).
176
Cfr. la puntualissima ricostruzione di W. KURZE, La storia delle chiese intorno alla pieve di S. Maria in Lamula fino
alla fine del XII secolo, in Le chiese di Arcidosso e la pieve di Lamula, a cura di C. Prezzolini, Siena, Periccioli, 1985,
pp. 17 – 30, ora anche W. KURZE, Monasteri e nobiltà nel Senese e nella Toscana medievale. Studi diplomatici,
archeologici, genealogici, giuridici e sociali, Siena, Ente Provinciale per il Turismo, 1989, pp. 375 -390 (in particolare:
pp. 376 – 380; in seguito ci riferiremo sempre a questo volume).
177
Cfr. A. MARONI, Prime comunità cristiane e strade romane nei territori di Arezzo-Siena-Chiusi (dalle origini al
secolo VIII), Siena, Cantagalli, 1973 (specialmente le pp. 141 – 216, mentre non siamo d’accordo con l’A. quando, a p.
219, sostiene che l’elenco delle pievi chiusine, contenuto nel privilegio papale del 1191 che fra poco menzioneremo,
«riflette un’organizzazione ecclesiastica del territorio chiusino, che si è mantenuta sostanzialmente integra dal IV-V
secolo quando le pievi vennero fondate»).
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Libri su Radicofani
Personaggi nati a R.
Renato Magi
fondiari «entro il piviere di Santa Maria in Campo», o infra plebe S. Filici (non lontano da Castiglion
d’Orcia), infra plebe S. Filipi (Bagni San Filippo), S. Donati siti Radicofani, e cos’ via178.
Con questi ultimi pivieri (oltre che, forse, con quello di Santa Maria presso l’odierna San
Casciano dei Bagni) confinava il territorium de plebe Sanctti Benedicti, sito monte Amiato,
menzionato in un documento del 1032, che ci mostra come il raggio d’attrazione del fonte
battesimale dell’antica cella monastica – spostatasi ora probabilmente al di qua del Senna, in
posizione più elevata sulle pendici del Monte – giungesse fino a “Callemala”, scomparso
agglomerato posto sul tracciato della via Francigena, e localizzabile «al punto di confluenza dei
principali rami sorgentiferi del Paglia (i torrenti Vascio, Cacarello e Pagliola»179. Un “territorio”
molto ampio, dunque, e punteggiato di casalia, di loca e di vocabula: ossia d’insediamenti sparsi e
di piccole dimensioni, e poco o per nulla fortificati, ma dotati d’una propria chiesetta, come
l’ecclesia et oratorium di Santa Cristina in Callemala, o la chiesa di San Pietro del lontano burgus
di Voltole, e la San Cassiano posta nella villula omonima180.
2. Questo numero si tralascia in quanto di Radicofani non c’è nessun riferimento
e si continua con il numero 3.
3. Dall’altra parte dell’Amiata, nell’alta val di Paglia, avevamo lasciato la
situazione così come si presentava nel secolo XI, con l’ampio piviere di San
Benedetto esteso fino al burgus di Callemala, oltre il quale era il confine con i
distretti battesimali di San Donato sito Radicofani e di San Filippo. Ma anche qui,
verso la metà del secolo successivo, partì un vistoso processo di ristrutturazione
territoriale e insediativa, che condusse innanzitutto a collegare Callemala al
castrum di Radicofani alquanto asceso d’importanza (e dotato di lì a poco della “propria” pieve
di San Giovanni, erede della vecchia e obliterata San Donato) 181; restrinse progressivamente il
piviere di San Benedetto (privato della porzione settentrionale, situata entro la diocesi e la contea
chiusina) alla zona della villa (già villula) de Plano, che entro la fine del secolo avrebbe “catturato”
e richiamato a sé le popolazioni di Voltole e di San Cassiano (nonché le loro chiese!); e – last but
not least – vide nascere sul fianco occidentale dell’Amiata una nuova pieve monastica: quella Santa
Maria inter fossata che fa la sua prima comparsa nel 1144, deputata – si direbbe – ad offrire i suoi
servizi alla popolazione che andava raccogliendosi nel vicino “Castel di Badia”.
Ovunque insomma, sul Monte e su le sue propaggini, fra XII e XIII secolo sembra trionfare la
tendenza all’instaurazione di un rapporto biunivoco fra un castrum ed una plebs, che poteva essere
vescovile o monastica, e in entrambi i casi vecchia (come Santa Maria di Lamula, l’antica cella del
secolo IX, o Santa Maria di Mustia, plebs vescovile databile fra X e XI secolo), o nuova, come
appunto Santa Maria inter fossata, Santa Mustiola d’Arcidosso e le San Giovanni di Radicofani e di
Castel del Piano; e come altresì – per andare un po’ più a nord, verso la val d’Orcia – Santa Degna,
chiamata a raccogliere l’eredità della vetusta San Felice: mentre nel 1154 era ancor possibile dire
che il castellum di Castiglione si trovava infra plebem S. Felicis, un secolo dopo si sarebbe parlato
ormai della plebes S. Digne de Castillione Vallis Urcie.
178
Cfr. ad esempio i documenti del maggio 1067 e del gennaio 1075, citati alle n. 179.
CDA, nr. 268; e per la localizzazione di “Callemala”, cfr. ora S. MAMBRINI e R. STOPANI, L’evoluzione del
tracciato della via Francigena tra la val d’Orcia e la val di Paglia, in L’Abbazia di San Salvatore al Monte Amiata.
Documenti storici-architettura-proprietà, a cura di W. Kurze e C. Prezzolini, Firenze, All’Insegna del Giglio, 1988, pp.
27. 38. Nel 1075, in un altro documento si trova la nuova indicazione infra plebe S. Benedicti, sito Uillamagna: CDA, nr.
296.
180
CDA, nr. 210 (995 agosto13) e 230 (1009 aprile) per Santa Cristina di Callemala; nr. 214 (1000 novembre 22) per San
Pietro sito burgo de Uoltiole, e nr. 218 (1002 novembre) per San Cassiano (definita villula nel documento databile ante
1084 marzo 31).
181
Il 29 maggio 1153 l’abate di San Salvatore cedette a papa Eugenio III medietatem integram unius castri quod vocatur
Radicofanum (…) cum tenementis suis et burgo de Calemala (CDA, nr, 341); cfr. anche CAMMAROSANO e PASSERI,
Città, borghi e castelli, pp. 143 – 144 (nr.44.1).
179
67
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Personaggi nati a R.
Renato Magi
Vedremo, fra poco, come una situazione siffatta contenesse già in sé le condizioni del proprio
superamento, verso la piena e generale affermazione della “parrocchialità” della chiesa castrense
intramurana, che sin dai primi secoli dell’età moderna sarebbe stata definita con l’appellativo di
“chiesa pievania”, avendo ereditato infine il fonte e - talora – la stessa dedicazione della pieve vera
e propria, che l’ulteriore, drastico spopolamento delle plaghe non fortificate aveva ormai lasciato in
una condizione d’isolamento e d’abbandono rispetto al pur non lontano castello182.
4. ………………………………………………………………………………………………
Verso la metà del Duecento, dopo lunghi decenni di silenzio, i documenti tornano a parlare anche
della vetusta pieve-cella monastica di val di Paglia; e mentre, per Sant’Ippolito di Martura, la realtà
ancor viva e sentita del plebe(r)ium era stata invocata dal vescovo grossetano (desideroso di
ristabilire quell’ordinato funzionamento del sistema pievano che avrebbe ipso facto aperto la strada
al riconoscimento della propria autorità d’Ordinario diocesano), l’esistenza inconcussa di un
plebe(r)ium Sancti Benedicti – pur se incentrato ora su un edificio culturale nuovo – fu uno dei più
forti argomenti usati dall’abate di San Salvatore per difendersi dal duplice assalto contro le
prerogative dell’abbazia su Piancastagnaio, sferrato sul piano ecclesiastico dal vescovo di Sovana,
e dai Visconti di Campiglia su quello del dominio signorile. Così, agli abitanti di quel castrum –
sempre più numerosi, e ben decisi a reclamare un’assistenza spirituale più adeguata e ravvicinata –
fu fatto divieto d’edificare con la complicità del vescovo sovanese una nuova chiesa entro l’area del
castello, perché lì si era in plebeio S. Benedicti plebis, sive S. Andree183; e il fatto che in quest’ultima
chiesa (posta non lontano dal castello, verso il castrum Abbatie) l’abate avesse trasferito il fonte
della vecchia San Benedetto (dicta plebes S. Andree facta fuit de plebe S. Benedicti), era la conferma
più lampante del totale controllo da sempre esercitato dall’abbazia nei confronti di quella pieve
(riconosciutale da diplomi emanati dagli imperatori carolingi!) e dei fedeli residenti sul suo
territorio: «l’abate di San Salvatore fece demolire la pieve di San Benedetto come cosa sua propria,
e ne trasferì la sede nella pieve odierna di Sant’Andrea (….); tutti gli abitanti del castello di
Piancastagnaio sono sempre venuti a farsi seppellire presso il monastero, e a farsi battezzare presso
la detta pieve….». Rievocazioni davvero suggestive, nelle quali troviamo già indicate le tappe del
cammino che anche noi abbiamo rapidissimamente ripercorso: dalla cella S. Benedicti concessa a
San Salvatore dal carolingio Ludovico II, alla plebs S. Benedicti del diploma di Corrado II del 1027;
dal sorgere del castello di Piancastagnaio «sulle pertinenze ovvero adiacenze della suddetta cella e
pieve», fino agli sviluppi recenti. Ma furono solo le belle parole d’un’arringa. Ben altra presa sulla
realtà e ben più duratura fortuna ebbero invece le formulazioni del «patto ossia convenzione»
stipulato nel 1279 dall’abate Gerardo con il suo antico confratello cistercense David, vescovo di
Sovana. Vi si riconosceva, certo, che la «pieve di San Benedetto» - tornata così alla dedicazione
originaria! - «apparteneva al monastero dal punto di vista del diritto di celebrare il battesimo»; ma
si affermava, nel contempo, che essa «si trovava entro la diocesi di Sovana», e si stabiliva anzi che
essa fosse «trasferita e ricostruita entro il castello di Piancastagnaio», e che fosse officiata da due
sacerdoti: scelti l’uno dall’Ordinario e l’altro dall’abate, essi avrebbero «presieduto in comune al
battesimo e alle altre incombenze spirituali e temporali della pieve, in nome così del vescovo come
del monastero»184. Soluzione in fondo equilibrata, e nemmeno tanto originale, visto che qualcosa di
simile esisteva già (da qual momento esattamente non sappiamo) per le «chiese del castello di
Radicofani e del suo suburbio», ossia per la pieve di San Giovanni de arce, San Pietro del “borgo”
e Sant’Andrea del “Castel Morro”, ciascuna officiata in condominio da un chierico deputato
dall’abate, e da un altro installato dal vescovo di Chiusi185.
182
Fu questa, in genere, la situazione riscontrata nel 1676 dal Visitatore granducale Gherardini: Archivio di Stato di Siena
(=ASS), D. 83 -84.
183
ASS, Dipl. San Salvatore, 1243 agosto 21 – 22.
184
ASS, Dipl. San Salvatore, 1279 luglio 10.
185
Nel 1188 Clemente III riconobbe ai monaci di San Salvatore ius quod habebant in ecclesiis castri Radicofani et
suburbii ipsius (CDA, nr. 353); e nel 1328 il vicario del vescovo chiusino avrebbe dichiarato esenti dal tributo del
68
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Renato Magi
5. Questo paragrafo contiene riferimenti alle chiese a ovest dell’Abbazia quindi lo
tralasciamo.
Pag. 54 e 55
Appendice
MONASTERI, CHIESE E LUOGHI PII d’AMIATA
APPARTENENTI ALLA DIOCESI DI CHIUSI
IN DUE ELENCHI DEL 1302 -1303 E DEL 1405186
Monasterium S. Salvatoris
Ecclesia S. Crucis de Castro Abbatie
Ecclesia S. Angeli de dicto loco
Domus leprosorum de Arcidosso
Plebes de Sancta Flora
Plebes S. Blasii de dicto loco
Plebes S. Mistiole de Arcidosso
Plebes (sic) S. Andree de Arcidosso
Plebes S. Iohannis de Castroplani
Ecclesia SS. Pancatti et Nicholay
Ecclesia Sancte Floris de Noceto
Eccl. S. Filippi de Arcidosso
Ecclesia de Monteiovi
Plebes de Amolis
Ecclesia S. Marie de Hermetis
Ecclesia S. Leonardi de Arcidosso
Eccl. S. Clementis de Montelat(r)one
Plebes de Ciliano
L’Abbazia a S. Salvadore
S. Agnolo nel chastello della Badia
Sancta/Crocie/ nel chastello della Badia
Pieve a Sancta Fiore
S. Giorgio (sic) da Sancta Fiore
S. Mustiola d’Arcidosso
S. Lonardo d’Arcidosso
Pieve di Castel del Piano
Sancti Brancatio et Niccholo
S, Fiore da Noceto
S. Filippo d’Arcidosso
Chiesa di Monte Giovi
Pieve de La Mogli
Santo Chimento a Monte Latrone
Sancta Victoria de Monte Latrone
Eccl. S. Victorie de Montet(r)one
Eccl. S. Angeli de Monte Pençulo
Plebes de Castilion(e) Torti
Ecclesia de Valdeprata
Plebes de Mustia
Ecclesia de Montenero
Plebes de Potentino
Ecclesia S. Cervasii de Segiano
Prepostia de Segiano
Pieve di Cilglano
Pieve di Sancto Agnolo a Monticello
Pieve di Castilglioncello del Torto
Chiesa di Valle Piena
Pieve di Mustia
La Propostia di Castelnuovo
Chiesa di Monte Nero
S. Lucia da Viliattole
Pieve a Potentino
Santo Giorgio (sic) a Segiano
Propostia di S. Bartolomeo a Segiano
cattedratico, perché soggette al monastero, medietates ecclesiarum S. Petri, S. Andree et plebis S.Iohannis de Radicofano
(ASS, Dipl. San Salvatore, 1328 dicembre 23). Vedi anche C. Prezzolini, Le chiese di padronato di San Salvatore, in
L’Abbazia, pp. 150 – 152.
186
Fonti: Rat. Dec., II, nr. 2781 – 2829, pp. 165 -168; e ASS, Lira, 411, cc. 58v-62v.
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Ecclesia S. Crucis de Segiano [ ?]
Prepostia Ss. Phylippi et Iacobi [?]
Ecclesia S. Lucie de Villa Attolli
Ecclesia S. Leonardi de dicto loco [?]
Eccl. S. Leonardi de Castro Abbatie
Plebes S. Dingne
Ecclesia de Gravilone
Hospitale de Segian(o)
Ecclesia S. Angeli de Castroplani
Monasterium S. Antimi
Plebes S. Antimi
Ecclesia de Petra
Eccl. De Titinano
Plebes de Balneo
Canonica de Vignone
Ecclesia de Canpolasso
Hospitale de Arcinbaldo
Hospitale de Obricolis
Monasterium de Vivo
Ecclesia de Campilio
Plebes de Castroveteri Vallis Urcee
Monasterium S. Petri in Campo
Renato Magi
S. Maria fuor di Segiano
Pieve de Sancta Degna
Sancto Andrea d’Arcidosso
Chiesa di Cavillona
Sancto Leonardo nel castello della Badia
Lo spedale di Segiano
Sancto Agnolo da Castel del Piano
Sancta Maria da Remeta
El munisterio de S. Antimo
Pieve di S. Antimo
Chiesa di Pietra
Chiesa di Tentennano
Pieve del Bagno
Canonicha di Vignone
Chiesa di Campo Lasso
Lo spedale di Arcinbaldo
Lo spedale da Bricole
El monistero dal Vivo
Pieve di Campiglia
Pieve accastelvecchio
El munistero di S.to Piero in Valdorcia
REPERTORIO
Hanno compilato le schede:
F.G. = Fabio Gabbrielli
L.G. = Luca Giubbolini
C.P. = Carlo Prezzolini
Pagg. 105 e segg.
PREMESSA
Il repertorio contempla gli enti religiosi del territorio amiatino ricordati in alcune fonti
documentarie comprese tra l’alto Medioevo e l’inizio del Trecento. Il nucleo principale è costituito
dagli enti registrati Rationes Decimarum duetrecentesche (1276 – 1324) e nei documenti pubblicati
nel Codex Diplomaticus Amiatinus. Sono escluse le chiese appartenenti agli ordini mendicanti e
quelle non più esistenti di cui, allo stato attuale delle ricerche, non è stata ancora individuata, con
una certa attendibilità l’ubicazione, neanche approssimativa. Sono invece inclusi alcuni edifici che,
pur non essendo ricordati nelle fonti esaminate, presentano in tutto o in parte strutture riferibili al
periodo medievale. Per quanto riguarda il tipo di ente (pieve, monastero, cella, cappella, canonica,
ospedale, ecc.) ci siamo attenuti alla qualifica più elevata risultante dalla documentazione medievale
70
Libri su Radicofani
Personaggi nati a R.
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(non oltre l’inizio del Trecento). Le schede sono ripartite sulla base degli attuali limiti comunali.
Ciascuna scheda è composta di due parti, quella storica (in carattere tondo) e quella architettonica
(in carattere corsivo). Nella prima sono sinteticamente riportate alcune notizie relative all’ente
religioso che possono avere direttamente o indirettamente influito sulla “vita” dell’edificio; nella
seconda viene svolto un esame architettonico, di carattere principalmente descrittivo, relativo
esclusivamente alle strutture murarie e agli elementi decorativi riferibili al periodo medievale. Per
gli edifici scomparsi la seconda parte è riservata ad alcune brevi indicazioni sulla loro possibile
ubicazione. Le note sono direttamente inserite, in forma abbreviata, nel testo; le relative indicazioni
archivistiche e bibliografiche complete sono riportate in fondo al Repertorio.
In questo elenco continuo a parlare delle altre chiese che esistevano a Radicofani
e che, o non esistono più o rimangono alcuni ruderi, e che hanno molto in comune
con il «romanico amiatino» e le cito per avere un quadro completo degli enti
ecclesiastici che il paese annoverava. Prima di tutto però desidero nominare fra
queste chiese quella che era nel borgo di Callemala e che in questo Repertorio è
inserita fra quelle di Abbadia San Salvatore con il suo numero indicativo.
1.5 – CHIESA DI SANTA CRISTINA A CALLEMALA
Callemala, ricordato come casale dall’876 (CDA, I, n. 157) e dal 962 come burgo (CDA, II, n.
201, cfr. WICKHAM, 1989, p. 117 nota 35) fu un importante insediamento lungo la via Francigena
ed ebbe all’inizio dell’XI secolo almeno 200 abitanti (WICKHAM, 1989, p. 117); fu dotato di una
chiesa, dedicata a Santa Cristina, ricordata dal 962 (CDA, II, n. 201; cfr. anche CDA, II, n. 210 (995)
e CDA, II, n. 230 (1009).
Il borgo, che risulta associato a Radicofani fin dal 1153, nel XII secolo perse importanza per la
creazione di un nuovo itinerario della Francigena che passava per il ricordato castello e nel ‘200 è
documentato solo come contrada di questo (cfr. MAMBRINI E STOPANI, in L’Abbazia, 1988, pp.
32-33); (WICKHAM, 1989, p. 134).
Scomparsa. Recentemente è stata proposta per Callemala l’ubicazione alla confluenza dei
torrenti Vascio, Pagliola e Cacarello, in località Le Casette (cfr. CAMBI, 1988, pp. 8-10;
MAMBRINI e STOPANI, in L’Abbazia, 1988, p. 28; WICKHAM, 1989, p. 117); è stata anche
avanzata la possibilità che una traccia circolare, notata in una foto aerea dell’insediamento, possa
essere riferita a Santa Cristina (CAMBI e DE TOMMASO, 1988, p. 478).
8.1 – MONASTERO DI SAN QUIRICO A CLEMENZANO
Nel 798 l’abbazia di San Salvatore riceve in dono il monastero privato di San Quirico «in loco
Climinciano, qui vocatur Piscinule seo et sancti Laurentii» (CDA, I, n. 47). Nella documentazione
del X – XI secolo alla località Clemenzano corrisponde la chiesa dedicata a S. Lorenzo (CDA, II,
nn. 210, 230).
Scomparso. L’ubicazione è incerta. Il WICKHAM, 1989, pp. 107, 114 n. 29, propone la zona a
sud-est di Radicofani compresa fra i toponimi Ponano e Casano (cfr. pure KURZE, 198), mentre il
RONZANI, 1989, p.149, indica un’area attigua al burgus di Callemala, situato nella valle del
Paglia. Mario Bezzini 1998 lo pone vicino alla Palazzina.
8.2 – PIEVE DI SAN DONATO A RADICOFANI
La prima menzione della pieve di San Donato «scito Radicofani» è in un documento dell’anno
1067 (CDA, II, n. 284). Precedentemente è forse ricordata in due carte amiatine del 1014 e del 1023
nelle quali non è però specificata la località (CDA, II, cc. 240, 259). Nella bolla di Celestino III del
71
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1191 figura tra le pievi confermate al vescovo di Chiusi (CAPPELLETTI, XVII, pp. 587-588). Nel
XIII secolo la pieve di Radicofani risulta dedicata a San Giovanni. Secondo alcuni studiosi ciò
sarebbe dovuto ad un semplice cambiamento di titolo (MARONI, 1973, p. 219; CAMMAROSANO
e PASSERI, 1985, p. 355) secondo altri ad un trasferimento della sede pievana (PREZZOLINI, in
L’Abbazia, 1988, pp. 149-151; RONZANI, 1989, p. 153).
Scomparsa. Il MARONI, 1973, pp. 219-220, ipotizza la sua collocazione nello spartiacque tra
Orcia e il Rigo. Altri invece propongono la valle del Paglia, nei pressi dell’insediamento scomparso
di Callemala (CAMMAROSANO e PASSERI, 1985, p. 355; STOPANI e MAMBRINI, 1989, p.
306). Vedi nota più sotto alla Pieve di San Giovanni!
8.3 - PIEVE DI SANT’EUSTACHIO A CASTELVECCHIO
La pieve figura negli elenchi delle decime della fine del Duecento e dell’inizio del Trecento (Rationes,
II, p. 168).
L’attuale chiesa di Castelvecchio non presenta elementi riferibili al periodo romanico.
8.4 - PIEVE DI SAN GIOVANNI A RADICOFANI
Nell’XI-XII secolo la pieve di Radicofani è ricordata con il titolo di San Donato (ad esempio CDA,
II, n. 284; CAPPELLETTI, XVII, pp. 587-588). Dal secolo XIII risulta invece dedicata a San Giovanni.
Secondo alcuni studiosi si tratterebbe soltanto di un cambiamento di titolo (MARONI, 1973, P. 219;
CAMMAROSANO e PASSERI, 1985, p. 355), secondo altri dello spostamento della sede pievana
(PREZZOLINI, in L’abbazia, 1988, pp. 149-151; RONZANI, 1989, p. 153). Come altre chiese di Radicofani
San Giovanni dipendeva allo stesso tempo dall’abate di San Salvatore e dal vescovo di Chiusi i quali
provvedevano ad eleggere due pievani che amministravano la pieve contemporaneamente (cfr.
PREZZOLINI, in L’abbazia, 1988, pp. 150-151; RONZANI, 1989, pp. 158-159). Tale situazione è documentata
pure nelle decime degli anni 1275-77 dove la pieve è registrata due volte (Rationes, I,
pp.122,125,127,129). Nel 1440 tale assetto amministrativo risulta ancora esistente. (PREZZOLINI, in
L’abbazia, 1988, p. 151). L’ultima menzione della chiesa di San Giovanni risale al 1559 (ibid.). A partire
dal 1587 figura con la dignità di pieve la chiesa di San Pietro (ibid., p. 152).
Scomparsa. Sulla sua localizzazione sono state avanzate varie ipotesi: lo spartiacque tra l’Orcia e il
Rigo (MARONI, 1973, pp. 219-220), la valle del Paglia, presso l’insediamento scomparso di Callemala
(CAMMAROSANO e PASSERI, 1985, p. 355; STOPANI e MAMBRINI, 1989, p. 306) e le vicinanze del castello
di Radicofani (PREZZOLINI, in L’abbazia, 1988, p. 151).
(DI QUESTA CHIESA SE NE PARLA GIA’ NELLO STATUTO DEL 1255 CHE DOVEVA ESSERE COSTRUITA
NEL BORGO BONMIGLIACCIO E NELLO STATUTO DEL 1441 SE NE PARLA GIA’ COSTRUITA, [ART. 64
(Statuto del 1255) ALLA RUBRICA 8 p.91 (Statuto del 1441 a cura di B. MAGI, 2004)] CHI SI AVVICINA DI PIU’
AL SITO E’ IL PREZZOLINI.
Nello Statuto di Radicofani del 1255 all’art. 64 con il titolo: Costruzione della
Chiesa di San Giovanni Battista (e la ritroviamo nello Statuto del 1441, alla Rubrica
8) si dice che tutti gli uomini che abitano fuori dalla Porta Nuova di Castel Morro e
fino alla Porta di Ormanno, e quelli che risiedono fuori dalla Porta di Bonmigliaccio
sono tenuti ad aiutare gli abitanti di Bonmigliaccio per l’edificazione di una nuova
chiesa intitolata appunto a San Giovanni Battista; coloro che si fossero rifiutati di
prestare il loro contributo saranno puniti con un’ammenda di 20 soldi. Questa
chiesa era posta fuori delle mura della fortezza ed oggi (2015) si sono ritrovati i resti
delle fondamenta. In una stampa antica si vedono sia la Chiesa di Sant’Andrea a
Castel Morro sia quella di San Giovanni nel Borgo di Bonmigliaccio. (Prima del 1255
però non possiamo sapere con certezza dove fosse ubicata)
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Renato Magi
8.5 - CHIESA DI SANT’AGATA A RADICOFANI
Non abbiamo alcuna notizia della chiesa di Sant’Agata riferibile al periodo medievale. Non è
registrata nelle decime due-trecentesche e neppure in un elenco di edifici religiosi dell’anno 1532
(Rationes, I; Rationes, II; ASS, Sale 18).
L’attuale chiesa, situata nella via principale del paese di Radicofani, è una costruzione
settecentesca che conserva in vista, per quanto rimaneggiata, la facciata di un edificio medievale.
Quest’ultima, di aspetto decisamente gotico, presenta un paramento murario, rimontato nella parte
superiore, a corsi orizzontali e paralleli di conci di pietra vulcanica. In origine l’ingresso era
caratterizzato da due portali di uguale struttura, ora tamponati, formati da archi a sesto acuto
impostati su mensole smussate. Al di sopra, in corrispondenza dei portali, si conservano le tracce di
due finestre con arco a sesto acuto, in epoca moderna tamponate e sostituite con un’apertura
rettangolare. La soluzione dei due portali di facciata sembra ricordare quella di alcune chiese
romaniche del contado senese, tra le quali l’abbazia di Sant’Antimo, disposte lungo la via
Francigena o comunque non lontano dal suo percorso (sull’argomento si veda MORETTI e STOPANI,
1981, pp.68-69, 74 n. 60). Tuttavia i caratteri formali delle aperture originali e la loro disposizione sono
più consoni ad un edificio civile che religioso (dello stesso parere era anche Angelo Rappuoli
che aveva studiato arte e fungeva da geometra comunale negli anni dal ’50 al ’80).
E’ quindi probabile che la chiesa settecentesca abbia riutilizzato, modificando le
aperture, la facciata di un edificio civile.
La parte della chiesa che va dall’entrata a circa metà dell’immobile è la parte che
sembra faccia parte di un edificio civile, mentre tutto l’immobile compresa la sacrestia
ed il resto fa parte del convento dei “Frati Minori Conventuali” con la loro chiesa di S.
Lorenzo (tutto ciò l’ho sempre sentito dire ma nel Gherardini, ed è il 1676, non vi è
alcun accenno a questo convento, ma è ricordato nello Statuto del 1255).
Si racconta che nel XVIII sec. una rappresentanza di radicofanesi andò a piedi a
Catania per prendere una reliquia di Sant'Agata che, nel viaggio di ritorno, si fermò
a Roma per ottenere dalla Curia Pontificia l’autenticazione (il documento ci è
pervenuto nella sua autenticità) era il 31 ottobre 1727. Tutto ciò perché in quel secolo
Radicofani fu spianato dai terremoti che ci furono fortissimi, almeno quattro volte. Da
quel secolo, oltre a San Saturnino il 5 febbraio Radicofani festeggia, come patrona,
Sant'Agata. Nella chiesa, appena si entra, a sinistra in una conchiglia chiusa, vi è
una scultura lignea che rappresenta la Madonna del Rosario con San Saturnino e
Sant'Agata, e sotto i piedi della Madonna vi sono la Fortezza ed il paese.
Il 5 febbraio durante la processione e la messa è d'abitudine cantare un inno
dedicato alla Santa con musica e parole di due radicofanesi che è intitolato: INNO DI
SANT’AGATA scritto da Alfonso CHIAVAI (1833 – 1912) ed è ignoto colui che lo
arrangiò in musica, con effetti di una certa suggestione (Pensione Vertunno e dintorni
– Vito Mazzuoli – Stampa 2000 – Abbadia S. Salvatore – 2001) il quale recita:
coro:
Su sorelle intoniamo il canto
alla martire gloriosa
che il buon Dio ce l'ha data
per Patrona sorella amata
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Renato Magi
VIVA LA MARTIRE NOSTRA PATRONA
BEATA AGATA, COTANTO BUONA
BEATA AGATA, COTANTO BUONA
coro:
coro:
Nostri padri da Catania
ti portarono in processione,
genuflessi, riverenti e con somma devozione.
VIVA LA MARTIRE.............................
Dal flagello del terremoto
tu proteggi la nostra terra,
Radicofani a te devoto Ti rinnova l'antico voto.
VIVA LA MARTIRE.ETC. ETC..............
A proposito di Sant’Agata non si può non ricordare perché questa comunità passò da
patrono San Lorenzo (?), della chiesa dei frati Minori, a San Saturnino donato con
l’urna nel 1647 da Francesco Giovanni Pellei, il quale portò da Cagliari le sue reliquie
che si conservano ancora sotto l’altare della chiesa di Sant’Agata. Dopo questo
cambiamento di patrono, per trovare l’altro cambiamento bisogna arrivare al 1700 e
come avvenne ce lo racconta il “Corriere di Siena” il giorno 3 febbraio 2002:
una gran folla venera la vergine e martire, che fu eletta a protezione del paese
in seguito al violentissimo terremoto del 1727, il sisma che per durata e
violenza causò numerose vittime, feriti e rovine incalcolabili. I sopravvissuti,
in preda al terrore, decisero di inviare una delegazione a Catania, città di origine
della fanciulla martire, per ottenere una reliquia del corpo, conservato nella
cattedrale. E si racconta che un gruppo di pellegrini designati dall’assemblea,
abbia percorso a piedi gli oltre mille chilometri per ottenere il prezioso
frammento. La popolazione deliberò quindi di istituire una nuova
congregazione laicale, che esiste tutt’oggi con struttura (numero chiuso, 110
membri) e scopi inalterati………Gli associati indossano cappe rosse, colore
liturgico riservato ai santi martiri che hanno versato sangue per testimoniare
eroicamente la loro appartenenza alla fede cristiana. …………..
In seguito alla spaventosa serie di terremoti che sconvolsero questa terra, la
popolazione di Radicofani la designò nuova patrona, sostituendola a San
Saturnino (compatrono, festeggiato il 29 novembre), protettore
dell’agricoltura.
Mariella Baccheschi
Purtroppo di terremoti se ne ricordano molti, prima e dopo quello del
1727. Qui ricorderemo quelli dopo. Uno nel 1740 ed uno molto forte
nell’ottobre del 1777 con morti e distruzione notevoli di case e poderi (chi
volesse averne notizie dettagliate le può trovare nella rivista “Amiata Storia
e Territorio” n. 10 a pag. 18-28) tanto che molti radicofanesi se ne andarono
senza più fare ritorno. Altri terremoti ci sono stati negli anni: 1783, 1797,
1904, 1919 8° grado della scala Mercalli, 1940 uguale a quello precedente,
poi negli anni ’60 e ’80 e qualcuno, piccolo, negli anni ’90; ma da quando
sono stati aperti i soffioni boraciferi dall’ENEL a Piancastagnaio, terremoti
grossi non vi sono più stati.
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Renato Magi
8.6 - CHIESA DI SANT’ANDREA A CASTELMORRO
La prima attestazione della chiesa risale al 1224 (CAPPELLETTI, 1862, XVII, p. 578); nel 1237
alcuni nobili feudatari di Radicofani giurano fedeltà all’abate di San Salvatore nella chiesa (ASS,
Diplomatico SSMA, 1237 giugno 15) di Sant’Andrea, con le altre chiese di Radicofani, spettava per
metà all’Ordinario di Chiusi e per metà all’abate amiatino (PREZZOLINI, in L’abbazia, 1988, pp. 150-151)
e questa situazione compare evidente nelle decime del 1275-76, dove la chiesa è elencata sia fra gli
edifici sacri esenti che fra quelli non esenti (Rationes, I, pp. 122 e 125), ed è ancora più chiara nelle
decime del 1302-1303, che riportano la chiesa pro parte episcopi e pro parte monasterii S. Salvatoris
(Rationes, II, pp. 164-165). Questa situazione verrà confermata dal vescovo di Chiusi nel 1328 (ASS,
Diplomatico SSMA, 1328 dicembre 23) e dal vescovo di Siena nel 1440 (ASS, Diplomatico SSMA,
1440).
La cura di Sant’Andrea, quasi del tutto spopolata in seguito all’abbandono della fortezza di
Radicofani nel 1758, nel 1780 venne unita alla pieve di San Pietro (PREZZOLINI, in L’abbazia, 1988,
pp.151-152).
Scomparsa. Era situata nel borgo di Castelmorro, a nord della fortezza di Radicofani, dentro il
circuito dei bastioni medicei, probabilmente dove oggi sorge la cappella del cimitero. Sant’Andrea
è rappresentata in una veduta di Radicofani del 1689 (ASF, Mediceo, f. 1081 ins. 55).
La chiesa di Sant’Andrea era posta dove oggi è il cimitero. In una stampa antica
si vedono, come ho detto sopra per la chiesa di San Giovanni, sia la chiesa di
Castelmorro che quella di San Giovanni Battista.
8.7 - CHIESA DI SANT’ANDREA A REGGIANO
Sant’Andrea a Reggiano è ricordata in due carte dell’anno 1028 relative al trasferimento di alcuni
beni, tra i quali la terza parte della stessa chiesa, all’abbazia di San Salvatore (CDA, II, nn. 265-266).
Successivamente figura in altri due documenti del 1084 e del 1085 (CDA, II, nn. 310, 315). Nelle
decime due-trecentesche non è registrata.
Scomparsa. Rimane il toponimo Poggio Reggiano ad una collina che fa da spartiacque tra l’Orcia e
il Formone. Il documento del 1084 risulta rogato «a sancto Andreas prope fluvio Horcia».
8.8 - CHIESA DI SAN FRANCESCO A REGGIANO
La chiesa è ricordata negli elenchi delle decime della fine del Duecento e dei primi del Trecento
(Rationes, II, p. 169).
Scomparsa. Rimane il toponimo Poggio Reggiano ad una collina situata tra l’Orcia e il
Formone.
8.9 - CHIESA DI SAN LORENZO DEL BORGO FORMONE
In un documento dell’ottobre 1064 viene donata all’abbazia di San Salvatore la terza parte della
chiesa di San Lorenzo, situata nel «burgo de Fermone» (CDA, II, n. 282). Nelle decime duetrecentesche non è menzionata.
Scomparsa. Era situata vicino al torrente Formone e al fosso Canneta, ad est di Campiglia
d’Orcia (CDA, II, n. 282; cfr. WICKHAM, 1989, pp. 118 n. 37, 121).
8.10 - CHIESA DI SANTA MARIA A CONTIGNANO
Alcuni studiosi identificano la chiesa di Santa Maria a Contignano con la pieve di Santa Maria
in Campo (LIVERANI, 1872, p. 284; VERDIANI BANDI, 1973, p. 28; MARONI, 1973, p. 220), ricordata, a
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Renato Magi
partire dal 1064, in alcune carte amiatine del secolo XI (CDA, II, nn. 283,284,296,313,315). Con tale
ipotesi non concordano però CAMMAROSANO e PASSERI, 1985, p. 356, i quali ritengono che
quest’ultima fosse ubicata verso il fiume Orcia, presso il monastero di San Pietro in Campo
(attualmente in territorio di Pienza). La prima menzione di Santa Maria a Contignano è in un
documento del 1293 in cui l’abate di San Salvatore nomina il rettore della chiesa, dipendente dal
monastero (PREZZOLINI, in L’abbazia, 1988, p. 155). Successivamente è ricordata nelle decime della fine
del Duecento e dei primi del Trecento (Rationes, II, p.168); in questi elenchi figura sempre come
chiesa suffraganea ad eccezione di quello del 1298-99 in cui è registrata come pieve (ibid.). In un
documento del 1328 alcuni anziani testimoni dichiarano di «aver veduto l’Abate Amiatino porre la
prima pietra nella fabrica di detta chiesa» (PREZZOLINI, in L’abbazia, 1988, p. 155). Nel 1468 è ancora
dipendente da San Salvatore (ibid.). Nel 1544 risulta definitivamente elevata alla dignità di pieve
(PECCI, Miscellanee, c. 165).
L’attuale edificio non presenta in vista elementi riferibili al periodo romanico.
8.11 - CHIESA DI SANTA MARIA AD OFFENA
A partire dall’anno 937 è documentata la curtis di Santa Maria ad Offena, dipendente dal
monastero di San Salvatore all’Amiata (CDA, II, n. 198). Da una carta del 1000 circa risulta esistente
in tale località pure una cella monastica (CDA, II, n. 215). Come chiesa invece Santa Maria è
segnalata soltanto in un falso preceptum del 1036 attribuito a Ludovico II (CDA, II, n. 272).
Scomparsa. L’ubicazione di Offena viene indicata subito a nord della rocca di Senzano, nella
zona compresa tra il fiume Orcia e il torrente Socenna (KURZE, 1988, carte V-VII; WICKHAM, 1989, pp.
121, 123 n. 51).
8.12 - CHIESA DI SANTA MARIA A PERIGNANO
La chiesa è ricordata nella decima degli anni 1302-1303 (Rationes, II, p. 169). Successivamente
figura in un elenco di enti religiosi del 1532 (ASS, Sale 18, c. 51).
Scomparsa. A sud-ovest di Contignano, sulla destra del Formone, rimangono i toponimi Fosso
di Perignano e Poggio di Perignano. In corrispondenza di quest’ultimo, sulla cima del colle, si
conservano i ruderi dell’omonimo castello (CAMMAROSANO e PASSERI, 1985, p. 357).
8.13 - CHIESA DI SAN MICHELE A MUSSONA
La chiesa di San Michele è menzionata in un documento dell’anno 1084 (CDA, II, n. 310). In
precedenza, nel 996, l’imperatore Ottone III aveva confermato all’abbazia di San Salvatore la curtis
di Mussona (CDA, II, n. 212). La chiesa non figura negli elenchi delle decime due-trecentesche.
Scomparsa. Dal documento del 1084 risulta situata vicino alla chiesa di Sant’Andrea a
Reggiano, anch’essa non più esistente, ubicata a sud di Contignano, non lontano dall’Orcia (CDA,
II, n. 310; cfr. WICKHAM, 1989, pp. 121, 124 n. 52, e KURZE, 1988, carta VI).
8.14 - CHIESA DI SAN PELLEGRINO A GELLO
La prima menzione della chiesa di San Pellegrino «in Agello» è in un documento dell’anno 837
(CDA, I, n. 114). Nel 996 l’imperatore Ottone III conferma all’abbazia amiatina la curtis di San
Pellegrino (CDA, II, n. 212; cfr. KURZE, 1988, p. 9). Nel falso preceptum del 1036 attribuito a Corrado
II viene espressamente confermata a San Salvatore pure la chiesa (CDA, II, n. 272). Negli elenchi
delle decime due-trecentesche San Pellegrino non è registrata.
Scomparsa. A sud-ovest del Monte Cetona rimangono i toponimi Podere Gello (nell’IGM Cello)
e Poggio Gello (cfr. WICKHAM, 1989, pp. 107, 114 n. 29).
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Libri su Radicofani
Personaggi nati a R.
Renato Magi
(Il Gherardini nel suo manoscritto (A.S.S., d. 83 a pag. 398) dice che in contrada
Gello vi è la chiesa di San Bernardino dove ancora si celebrano, nelle feste
comandate, le messe, io però penso in verità sia stata intitolata a S. Pellegrino!).
8.15 - CHIESA DI SAN PIETRO A RADICOFANI
Secondo il CAPPELLETTI, XVII, p. 574, il primo ricordo della chiesa di San Pietro, posta nel Borgo
Maggiore di Radicofani, risalirebbe al 1224. Un’altra esplicita menzione è in un documento del 1236
(ASS, Diplomatico SSMA, 1236 ottobre 22). Come altre chiese di Radicofani San Pietro dipendeva
contemporaneamente dal vescovo di Chiusi e dall’abate di San Salvatore. Tale situazione
amministrativa prevedeva la compresenza di due presbiteri eletti rispettivamente dal vescovo e
dall’abate (cfr. PREZZOLINI, in L’abazia, 1988, p. 151, e RONZANI, 1989, pp. 158-159). Particolarmente
chiara è la doppia registrazione della chiesa nella decima degli anni 1302-1303 dove viene distinto il
pagamento «pro parte episcopi» da quello «pro parte monasterii S. Salvatoris» (Rationes, II, pp. 164165). In un documento del 1587 San Pietro figura per la prima volta con il titolo di pieve, ereditato
dalla chiesa battesimale di San Giovanni (PREZZOLINI, in L’abbazia, 1988, p.152). Nel secolo XVIII
risulta ancora presente un compievano nominato dall’abate di San Salvatore (PECCI, IX, c. 112).
La chiesa di San Pietro, situata in una piazzetta del paese di Radicofani, è una costruzione di
origine medievale ampliata e rimaneggiata in più epoche. L’edificio presenta un’icnografia a tre
navate concluse da una grande abside semicircolare. Le navate sono divise in cinque campate da
archi di valico a sesto acuto impostati su pilastri cruciformi e semipilastri addossati alle pareti. Allo
stato attuale la parte iniziale della chiesa, in corrispondenza delle prime due campate, è formata
soltanto dalla navata centrale essendo lo spazio relativo alla destra adibito a sacrestia e quello della
navata di sinistra occupato da una cappella, oratoria della Misericordia. La copertura della parte
iniziale è a capanna. Quella delle ultime tre campate della navata centrale è formata da volte a
crociera sorrette da ampi archi trasversali e longitudinali a sesto acuto e rinforzate da grossi
costoloni di sezione poligonale. Archeggiature trasversali a tutto sesto scandiscono le navate laterali
sorreggendo una copertura a travature lignee. Gli archi e i costoloni scaricano su pilastri cruciformi
molto rimaneggiati (solamente l’ultimo di destra risulta integro) e sormontati da mensole smussate
fortemente sporgenti. La facciata, elevata su un’alta gradinata, è caratterizzata da un portale
ricassato il cui archivolto, sorretto da due mensole sagomate, presenta l’intradosso a tutto sesto e
l’estradosso a sesto leggermente acuto; una doppia ghiera orna l’interno della lunetta. Al di sopra
si apre una bifora, ripristinata in questo secolo al posto di una grande finestra a lunetta inserita in
epoca moderna (cfr. in L’abbazia, 1988, pag. 153); come mensola è stato riutilizzato un frammento
in cornice decorato a fogliami. In corrispondenza dello spiovente sinistro della facciata si eleva un
campanile di sezione quadrangolare nel quale si aprono monofore e bifore (in due vedute di
Radicofani del XVII secolo e della prima metà del XVIII figura invece un semplice campaniletto a
vela; cfr. PREZZOLINI, 1981, p. 81). Il paramento murario del corpo centrale della facciata è costituito
da regolari corsi orizzontali di conci ben squadrati di pietra vulcanica; le altre parti della chiesa
presentano un paramento esterno più irregolare ed evidenziano varie fasi costruttive e numerosi
rimaneggiamenti. All’interno l’edificio è completamente intonacato ad eccezione dei pilastri, degli
archi e dei costoloni delle volte, formati da grossi conci regolarmente squadrati. Alcune parti
rimaneggiate di queste strutture sono coperte da intonaco dipinto ad imitazione della pietra.
Il portale che si apre nel corpo centrale della facciata presenta caratteri formali tardo-romanici,
caratteri che concordano con la regolarità del paramento murario della struttura nella quale è
inserito. L’interno della chiesa presenta invece un aspetto decisamente gotico mentre l’abside che
conclude la navata maggiore è di epoca moderna. Non è da escludere che il corpo centrale della
facciata, quello relativo al portale principale, abbia fatto parte di un edificio ad aula unica
successivamente prolungato ed ampliato a tre navate. Le strutture della facciata relative alle navate
laterali infatti si appoggiano stratigraficamente al corpo centrale corrispondente alla navata
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Libri su Radicofani
Personaggi nati a R.
Renato Magi
maggiore. I forti rimaneggiamenti subiti dall’intero edificio, compresa la facciata, rendono
comunque problematica una sicura identificazione, sulla base di sommarie indagini, dell’assetto
originario e delle successive modifiche. Nell’attuale sacrestia, ad esempio, situata nello spazio
relativo alle prime due campate della navata destra, sono presenti sei semipilastri addossati alle
pareti (tre per parte); le loro forme e dimensioni sono però così diverse da quelle dei pilastri
cruciformi dell’impianto gotico da rendere improbabile un rapporto con essi (sulla questione si veda
GABRIELLI, in L’abbazia, 1988, p. 154). A partire dalla fine del XVIII secolo sono documentati numerosi
interventi di restauro tra i quali un progetto di ampliamento, probabilmente consistente nel”
recupero” delle prime due campate delle navi laterali, mai realizzato (cfr. ibid., pp. 154-155).
GABRIELLI, in L’abbazia, 1988, pp. 152-155).
8.16 - CHIESA DEL CASTELLO DI SENZANO
La chiesa è menzionata, senza l’indicazione del santo titolare, in un atto di vendita dell’agosto
1061 (CDA, II, n. 280).
Scomparsa. Il castello di Senzano è identificabile con l’attuale toponimo Le Rocchette situato a
nord-est di Radicofani; a circa un chilometro di distanza si trova il podere Senzano (CAMMAROSANO
e PASSERI, 1985, p. 357).
8.17 - «DOMUS LEPROSORUM» DI RADICOFANI
L’unica notizia che abbiamo è nella decima degli anni 1302-1303 (Rationes, II, p. 165).
Scomparsa. Non ne conosciamo l’ubicazione.
Quasi certamente questa “Domus Leprosorum” doveva essere titolata a San
Lazzaro (Patrono dei lebbrosi) e doveva sorgere nella vecchia Via Francigena fra i
poderi Castellina e Tre Colle, e forse anche più a sud verso la zona che prima si
chiamava San Lazzaro (vedi il catasto storico Leopoldino del 1823). Andando, infatti,
verso Ponte al Rigo, nella vecchia Via Cassia, prima Francigena, s' incontrano a
destra i siti Caselle, Castellina, Costarella e Poggio Leano e a sinistra Il Corniolo,
Nocicchia, S. Lazzaro e subito dopo S. Ristoro.
8.18 - OSPEDALE «BONAIUCTE» A RADICOFANI
L’ospedale è ricordato nelle decime degli anni 1298-1299 e 1302-1303 (Rationes, II, p.165).
Scomparso. Non ne conosciamo l’ubicazione.
8.19 - OSPEDALE DI «FONTE CECULA»
Nell’anno 1237 è menzionato l’ospedale di «Fonte Cecula», dipendente dal monastero di San
Piero in Campo (FATTESCHI, c. 12v; cfr. PREZZOLINI, in L’abbazia, 1988, pp. 150-151).
Scomparso. Era situato nel distretto parrocchiale della chiesa di Sant’Andrea a Radicofani
(FATTESCHI, c. 12v). Era, forse, nel sito chiamato Malmigliaccio, sotto Castel Morro, dalla
parte della Strada dell’Incarcerata che va a Fonte Antese.
8.20 - OSPEDALE DI SAN PIETRO A RADICOFANI
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Libri su Radicofani
Personaggi nati a R.
Renato Magi
L’ospedale è registrato nelle decime degli anni 1298-99 e 1302-1303 (Rationes, II, p.165). Il 24
aprile 1412 viene donato, insieme ad altri ospedali di Radicofani, al Santa Maria della Scala di Siena
(PECCI, IX, c. 147).
Scomparso, La strada adiacente al fianco destro della chiesa di San Pietro evidentemente
ricorda nella denominazione di via dello Spedale l’ubicazione di uno dei numerosi ospizi di
Radicofani. (Don Marcello Magrini lo colloca, ed io sono d'accordo, all'inizio della strada
che conduce alla Fortezza, dove si trova il complesso, ora di civili abitazioni subito
dopo il muro di retta della strada).
8.21 - «XENODOCHIO DI «MULIERMALA»
In un documento dell’anno 1107 figura lo «xenodochio, quo est aedificatum in burgo, qui dicitur
Muliermala» (CDA, II, n. 327).
Scomparso. L’ubicazione della località Muliermala è stata recentemente indicata in
corrispondenza o nelle vicinanze dell’attuale podere Le Conie, situato sullo spartiacque tra le valli
del Formone, dell’Orcia e del Paglia (MAMBRINI e STOPANI, 1988, pp. 29, 32-33, 38 nn. 24-27; WICKHAM,
1989, p. 118 e n. 38).
Sotto sono ricordate le chiese non citate sopra e, alcune di esse, possono
appartenere a quel periodo pur non essendo state messe nell’elenco, oppure erano
oratori. Nello Statuto di Radicofani del 1441, cit. sopra, nella Rubrica [8] così recita:
«I Santese (sacrestani) delle chiesie del castello di Radicofani elencase per generale
Consiglio di Radicofani, in nel principio dello officio di messer lo Podestà overo del
suo vicario infra otto dì, cioè uno per la chiesa di san Pietro, uno per la chiesa da
santo Andrea, uno per la chiescia di santo Giovanni et di Sancta Barbara et uno
per la chiesa di santa Maria Novella ecc.» Da questo articolo si evince che, almeno in
questo anno esisteva già la chiesa della “Madonna del Roccheto” come viene oggi
chiamata quella chiesa prima intitolata a Santa Maria Novella e la chiesa di Santa
Barbara, e più sotto ancora diremo, invece, cosa trovò il Gherardini nel 1676.
«CHIESA DI SANTA BARBARA»
Questa chiesa doveva essere romanica finché era dentro la fortezza vecchia, ma
nel 1467 (ASS, Concistoro 603, cc. 7r-10r, deliberazioni del 1467, marzo 11 e 12;
appendice A, doc. 13.) i senesi decisero di costruire " una cappella in sul poggio
fuore del cassaro dove era anticamente la cappella di Santa Barbara, la quale sia longa braccia otto
et larga braccia sei, col tetto impianellato et co uno altare dentrovi et sieno tenuti farvi disegnare la
figura di Santa Barbara et tutte altre figure di santi o sante come lo parrà et che l'entrata sia verso il
cassaro".
Questa chiesa viene abbandonata il 19 di luglio 1750, giorno di domenica e festa di San Vincenzo
De' Paoli.
Nel libro "La città fortificata di Radicofani – AA.VV. - Nuova Immagine editrice –
Siena – 1998". (Da questo libro sono riprese tutte le notizie qui riportate) a pag. 204
è scritto "Sopra il masso, a conclusione dei lavori, venne realizzata la "chiesina dello scoglio"
riportata nella prospettiva del Ferri del 1699 ma non più, cinquant'anni più tardi, nei disegni del
Warren dove compare la sola chiesa di Santa Barbara".
La Chiesa di Santa Barbara era la più importante chiesa delle tre (chiesina dello scoglio, chiesa
di Castel Morro e quest'ultima) che esistevano nelle fortificazioni, si trovava nelle vicinanze del
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Renato Magi
mastio e vi si accedeva da "una porta per dove si entra due imposte con bandelle, arpioni, toppa e
chiave e sua bussola di tela ad un’imposta con sue bandelle, arpioni e sua pestiolo da chiudersi.
Finestre cinque, tre a vetrate e due ferrate, e nella sagrestia due porte ad una sola imposta con bandelle,
arpioni, toppa, e chiave ad una all'altra, il suo catorcio per dentro, e una finestrina con sua vetrata
ferrata a resa di filo di ferro come anche alle altre tre descritte sopra, cioè il filo di ferro per di fuori".
Andando indietro nel tempo, se torniamo per un momento al quattrocento, troviamo la chiesa
dedicata a Santa Barbara era già ristrutturata dai senesi dopo il 1467 quando si costruì "una cappella
in sul poggio fuore del cassaro dove era anticamente la cappella di Santa Barbara, la quale sia longa
braccia otto et larga braccia sei, col tetto impienellato et co uno altare dentrovi et sieno tenuti farvi
disegnare la figura di Santa Barbara et tucte altre figure di santi o sante come lo parrà et che l'entrata
sia verso il cassaro". Larghezza dell'edificio e posizione dell'entrata coincidono con quelle riportate
nelle piante successive; non coincide la lunghezza che arriva a quasi 20 braccia corrispondenti a oltre
11 metri, contro le 8 braccia del documento quattrocentesco. Si tratta quindi della stessa costruzione
in seguito ulteriormente modificata.
La chiesa di Santa Barbara, quindi, come si evince da quanto sopra, o meglio la
cappella (dove era anticamente la cappella di S.B.) doveva essere romanica quasi
certamente, ma con il passare dei secoli, per esigenze militari l'hanno demolita e
ricostruita più volte fino alla distruzione completa avvenuta il 17 luglio 1750, come ci
dice Don Ferruccio Marcello Magrini nel suo articolo su Amiata Storia e Territorio n.
22, pagg. 35-38- Intitolato “L’ABBANDONO DELLA FORTEZZA DI RADICOFANI (Da
un registro dell’ultimo cappellano militare). Ora continuiamo con quanto scritto dal
Gherardini nella sua visita a Radicofani nel 1676, come riporto più sotto.
MEMORIE DI UN’ANTICA TERRA DI FRONTIERA E DI FORTEZZE – a
cura di Beatrice e Renato Magi – Abbadia San Salvatore – 2006 – Tip. STAMPA 2000.
Pag. 33
Radicofani è sottoposto nello Spirituale alla Diocesi di Chiusi, e dentro la Terra vi sono le Chiese
infrascritte, cioè:
Chiesa Plebania sotto titolo di S. Pietro con Fonte Battesimale di libera Collazione, goduta dal
Prete Giovan Battista Mori, e con il suo organo Sonante, et in buono Stato.
Pag. 34 e segg.
Sono in questa Chiesa Plebania gl’infrascritti Benefici Semplici.
Un titolo di S. Martino goduto da’ Prete Andrea Raffaelli, frutta solo scudi tre l’Anno, non ha
altro obligo, che la festa titolare; ……………
Altro Benefizio Semplice sotto Titolo di S. Benedetto di libera Collazione goduto da Prete
Giuseppe Contini, frutta scudi dieci l’Anno, con obbligo della festa del Titolare.
Altro Benefizio sotto Titolo di S. Filippo Neri, goduto da Prete Faustino Brinchi………… è di
libera Collazione …………………………………………………………………
Altro Benefizio semplice sotto Titolo della Presentazione di Maria Vergine giuspadronato della
Famiglia degli Orlandi, goduto da Prete Benedetto Orlandi ……………………………….
Altro Benefizio semplice sotto Titolo del Santissimo Crocefisso Jus Padronato della Famiglia
de’ Consolini goduto da’ Prete Giovan Battista Salvi…………………………………
Altro Benefizio di libera Collazione sotto Titolo di San Michele Arcangiolo goduto da’ prete
Cesare Cagnacci…………………………………………………..
80
Libri su Radicofani
Personaggi nati a R.
Renato Magi
Altra Chiesa Cura d’Anime sotto il Titolo di Sant’Andrea Giuspadronato dell’Abbate
dell’Abbadia s: Salvatore pro’ tempore la gode Prete Iacomo Caciai frutta Scudi 35. L’Anno, con i
soliti oblighi de’ Curati. Questa Chiesa è posta in Castel Morro, et i fuochi esistenti in questo nella
fortezza, et in sette Poderi della Corte sono sotto la di Lei cura………………………In questa Chiesa
vi è un Benefizio semplice sotto Titolo di Santa Lucia giuspadronato della Famiglia dei Vannozzi, lo
gode il Clerico Antonio Jacopini………………………………………………
Chiesa, o Compagnia Laicale con Cappa sotto Titolo della Santissima Assunta,
……………….Tiene la detta Compagnia il Cappellano, che si elegge dal Capitolo di essa e vi celebra
……………………………………………………………………
Chiesa, o’ Compagnia laicale con Cappa sotto titolo del Santissimo Sacramento……….
Chiesa, o’ Compagnia laicale con Cappa sotto titolo di S. Antonio da Padova…………..
Chiesa, o’ Compagnia laicale con Cappa sotto titolo del Santissimo Sacramento annessa alla
Chiesa di Castel Morro………………………………………………..
Chiesa con il suo Convento habitato da’ Padri Minori Conventuali, ………………Sono nella
Chiesa di questo Convento due Congregazioni, una nell’altare dedicato al Santissimo
Rosario……………..Nell’Altare dedicato alla Santiss.ma Concezzione vi è l’altra CongregazioneChiesa sotto Titolo della Madonna delle Grazie dello Spedale della Comunità di detto luogo,
nella quale si celebra per obbligo una Messa la Settimana ogni Sabbato, e vi si fa la festa con tutti i
Preti e Frati del luogo il giorno della Madonna delle Nevi.
Tutte le sopradette Chiese della Terra sono di Fabbrica capace, bene offiziate, e provviste di Sacri
Suppellettili.
Pag. 46
Sono in questa Corte di Radicofani le Chiese infrascritte, cioè:
Chiesa sotto titolo di San Rocco, ora però destrutta, ………..
Chiesa posta nella contrada di Gello sotto titolo San Bernardino, lontana circa tre miglia da
Radicofani……………………………..
Altra Chiesa luogo detto il Pino sotto titolo di Santa Croce lontana circa tre miglia versa la
Valdorcia……………………………………..
Altra Chiesa vicino alla Terra detta Madonna del Roccheto (da recenti ricerche, come più
sopra accennato, si è appurato che questa chiesetta, tuttora esistente, era quella che
nello Statuto di Radicofani del 1441 viene chiamata: Santa Maria Novella, come già
detto sopra) …………
Poco fuori della Terra vi è la Chiesa dedicata a San Francesco con il suo Convento habitata dalla
religione Cappuccina
…………………………………
Pag. 51
14° - Fu domandata a nome de’ bombardieri la Chiesetta della Comunità sotto titolo S. Rocco, o
vorriano un Moggio di Terra per poterla con tale Entrata, e con le contribuzioni proprie mantenere, e
fare offiziare, giache non hanno Chiesa, e si adunano hora in una Chiesa, hora in un’altra.
Non sappiamo se la richiesta dei bombardieri sia stata esaudita, ma credo che,
anche se le richieste furono esaudite, fu soltanto per pochi decenni perché oggi non
esiste più. Sembra che fosse nel campo a destra di Via Marconi, settantacinque metri
circa al centro dove passa la fognatura, e forse proprio nella costruzione di essa sono
spariti i resti di questa chiesetta.
Per finire con l’elencazione della chiese non si può non ricordare la Chiesa della
Madonna delle Vigne, e su questa chiesa parla Don Ferruccio-Marcello Magrini nel
81
Libri su Radicofani
Personaggi nati a R.
Renato Magi
suo libro che riportiamo subito sotto, il quale ci fornisce tutte le notizie che riportiamo
ed anche una visione delle altre chiese.
I PARROCI DI RADICOFANI – a cura di Ferruccio Marcello Magrini – Edizioni
Cantagalli – Siena – 1983.
Pag. 53 e segg.
Il parroco Rossini fu l’ultimo a portare il titolo di Pievano. Con lui si estinse, esattamente dopo
un millennio, l’antica denominazione originaria delle Pieve romanica di Radicofani.
Cinque anni dopo il censimento effettuato per conto delle Dataria apostolica, il pievano Rossini
si trovò alle prese con una ulteriore revisione delle «Fabbriche e Fondi rustici» posseduti dal
Beneficio parrocchiale di San Pietro, questa volta per mandato dell’autorità civile. Dopo
l’incameramento dei beni patrimoniali appartenenti agli Ordini religiosi disciolti nel 1780, il
Granduca Pietro-Leopoldo di Lorena, passato alla storia col soprannome ironico di «Principe
sagrestano» per la sua mania di ingerirsi nelle faccende ecclesiastiche, ordinò il censimento fiscale
delle proprietà immobiliari in dotazione alle Diocesi e alle Parrocchie su tutto il territorio della
Toscana. L’ordine fu trasmesso agli Enti interessati mediante circolare inviata dalla segreteria del
Regio Distretto di Firenze in data 26 settembre 1788.
Per la parte concernente il patrimonio della Chiesa di San Pietro in Radicofani, il pievano Rossini
affidò l’incarico a un esperto del luogo, Sig. Alessandro Cagnacci, di professione «Perito
campagnolo», il quale venne assistito nei rilievi topografici da Giuseppe Rossini, fratello del Parroco.
I due revisori eseguirono un dettagliato elenco degli appezzamenti di terreno e dei fabbricati di
pertinenza della Parrocchia, rilasciando su carta da bollo con lo stemma della Dinastia Lorenese un
attestato dell’estimo dominicale da essi computato in duplice copia, di cui una si conserva presso
l’Archivio vescovile di Chiusi nella Cartella n. 90, Inserto n. 2, sotto titolo «Amministrazione del
Beneficio parrocchiale di San Pietro»; mentre l’altra fu depositata nella «Cancelleria Comunitativa
della Terra di Radicofani», all’interno della Filza intitolata «Affari della Chiesa Parrocchiale» e
collazionata sotto il n. 1 dell’Archivio comunale. La relazione scritta di propria mano
dall’agrimensore Cagnacci in un quinterno di carta protocollo e datata 25 ottobre 1788, consiste nella
lunga e minuziosa descrizione dei numerosi appezzamenti di terreno, distribuiti un po’ dovunque
nella «Corte di Radicofani», dei quali la Parrocchia di San Pietro era venuta in possesso nel corso dei
secoli a seguito dei frequenti « Lasciti » ereditati per testamento e condizionati all’obbligo dei relativi
suffragi.
Si
tratta
per
lo
più
di
particelle
di
modesta
entità
che,
…………………………………………… Oltre a questi «Beni di Suolo», la Pievania possedeva,
destro al Paese, la Casa Canonica situata in Borgo Maggiore, una stalla con fienile……. …….e due
stanze sotterranee ad uso cantina…….
Alla cura di S. Andrea in Castel Morro, certamente aperta fino al 1780, quando la Compievania
di San Pietro venne incorporata alla Chiesa della Fortezza, ma che già otto anni dopo il perito
Cagnacci dichiara «soppressa», appartenevano i vicini terreni di Poggio Sasseta, delle Pianacce, di
Sterposi e della Mattonaia e una successiva perizia attribuisce pure terreni in contrada Fonte Antese.
Al Convento dei Padri Conventuali, anch’esso soppresso in quel periodo, oltre la Chiesa di San
Lorenzo, oggi dedicata alla Patrona S. Agata, risultano intestati i terreni di San Francesco Vecchio,
del Poggio della Benedizione e del Vallocchio. Il grande fabbricato adibito a Convento, che risale al
XIV secolo, venne in seguito frazionato e attualmente appartiene a vari enti e privati: ACLI,
abitazione Amadei, Ristorante Pascucci (oggi La Grotta), Teatro.
Dal generale sovvertimento delle istituzioni religiose si salvò invece, sia pure con tregua
momentanea, il Convento dei Cappuccini, grazie alle costituzioni dell’Ordine che facevano divieto ai
Frati di possedere beni fondiari, ad esclusione della Chiesa, del Convento e dell’orto, sempre recinto
dal muro di clausura.
82
Libri su Radicofani
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Renato Magi
L’indiscriminata riforma imposta da Pietro Leopoldo non rispettò neppure un ente di pubblica
utilità, come l’Ospedale di San Pietro, costruito durante il Quattrocento sotto il nome di «Spedale dei
Pellegrini» e situato nel vasto edificio che sorge sulla sinistra all’imbocco della vecchia strada del
Camposanto. La fine dell’antico Ospedale, che aveva annessa la Chiesa della Madonna delle Grazie,
fu decretata allo scopo di confiscare i possedimenti ubicati in contrada Selva Maggiore, Cavellerecce
e Baiotto, le cui rendite avevano consentito per lungo tempo di offrire assistenza gratuita agli
ammalati del Paese e ai viandanti che si recavano in pellegrinaggio a Roma.
Pag.56
La presenza di un cappellano stabile all’ufficiatura della Chiesa delle Vigne. Questo luogo di
culto, sorto per ultimo durante il Settecento in una zona molto popolata della campagna radicofanese,
oltre alla Chiesa in stile barocco, disponeva di una spaziosa abitazione e un orto attiguo, come era
consuetudine delle case canoniche rurali. Detta Chiesa possedeva inoltre una proprietà terriera di oltre
dieci ettari, impiantata parte a vigna e parte a bosco, che proprio in questo tempo venne concessa in
affitto al Sig. Madioni, gestore dell’Albergo «La Posta», ricordato da una lapide che si trova ancora
dietro all’altare nella chiesa di S. Agata.
Per capire meglio le vicissitudini delle chiese di Radicofani inserisco in queste
pagine un prospetto dell’attivo e passivo della Pieve di San Pietro agli inizi del 1800
e precisamente nel 1803.
Pag. 61
STATO ATTIVO
Fruttato dei Beni della Pieve, circa
Annuale prodotto delle Decime parrocchiali, circa
Censi delle soppresse Compagnie laicali
Frutti della Chiesa di S. Antonio
Frutti della Chiesa di S. Rocco
Frutti dell’Opera di Castel Morro
Totale delle Entrate
L.
350,00
1500,00
98,88
25,00
12,00
28,00
__________
2.013,88
STATO PASSIVO
Cattedratici alla Mensa Vescovile in grano Staie cinquanta
Valutate al prezzo di lire Toscane 3 e Paoli 1
Tassa Comunitativa
Olio per lampada del Sacramento
Bollettini per la Comunione pasquale
Cera per la Candelora
Consumo di cera annuale
Vino, Ostie, Biancheria per le Messe quotidiane de’ Sacerdoti
Pulizia della Chiesa e Sacrestia
Manutenzione della Casa Canonica
Provisione all’Organista e Manticista
Manutenzione dell’Organo
Manutenzione degli Arredi Sacri
Salario al Sacrestano
Totale delle Uscite
83
183,68
50,00
75,00
6,00
45,00
175,00
40,00
105,00
105,00
40,00
7,00
28,00
20,00
___________
879,68
Libri su Radicofani
Personaggi nati a R.
Renato Magi
In calce alla Nota segue questa dichiarazione:
«Io Giuseppe Gorgoni, nuovo Pievano eletto della Pieve di
Radicofani, approvo i suddetti obblighi a’ quali mi sottopongo. Do’
il mio consenso che il Cappellano di San Piero in Campo esiga dieci
Stara di grano delle Decime che pagano a Radicofani la Fattoria del
Pero e i poderi denominati: Sodelli, Piano Fondi, Casa Cioli e il
Molino della Foscola a titolo di gratificazione per gl’incomodi che
esso Sig. Cappellano si prenderà nell’assistenza, nell’istruzione e
nell’amministrare i Sagramenti alle anime dei poderi e Fattoria
predetta; avrà anco gl’incerti per l’Uffiziatura dell’Oratorio sotto il
titolo di Santa Croce in luogo detto il Piano (Pero). Io Giuseppe
Gorgoni, di mano propria»
Si noti che il Gorgoni fu l’ultimo Pievano di San Pietro a Radicofani, dalla sua morte i Parroci
prenderanno il titolo di Arciprete e la Chiesa da Pieve si nominerà Arcipretura e il primo Arciprete
sarà Paris Magrini.
Pag. 118 e segg.
STATUA DELLA MADONNA DELLE VIGNE
Visto il successo riportato con il primo intervento, il Parroco (Don Marcello Magrini l’autore)
decise di procedere senza interruzione alla seconda parte del piano programmato, commissionando
al Fatini il restauro di un’altra statua di legno policromo, non meno popolare e venerata anche se di
minore interesse artistico: la «Madonna delle Vigne». Il titolo attribuito comunemente a questa
Immagine sacra deriva dalla località in cui sorgeva l’importante Chiesa rurale che fu, senza dubbio,
l’ultima ad essere costruita nel territorio della Parrocchia. Ne fa fede l’interessante relazione
compilata il 30 giugno 1676 dal funzionario granducale Bartolomeo Gherardini per incarico di Sua
Altezza Serenissima Cosimo III dei Medici. In effetti, mentre il Gherardini riporta accuratamente tutti
gli edifici adibiti al culto esistenti in quel tempo nel centro abitato di Radicofani e nel suo Contado,
non fa alcuna menzione della Chiesa dedicata alla Natività della B.V. Maria, posta in contrada « Le
Vigne ». Segno evidente che, all’epoca in cui il rapporto venne redatto, la suddetta Chiesa non era
ancora stata edificata per l’ovvia ragione che, in caso contrario, il diligente relatore non avrebbe
omesso di segnalarla, considerata la notorietà che essa assunse in seguito.
Sappiamo infatti che, fino a tutto l’ottocento, la Chiesa delle Vigne ebbe un proprio Cappellano
residente e ottenne la qualifica di «Succursale» della Parrocchia di San Pietro per la zona di campagna
compresa nel versante del torrente Rigo. Si può dunque presumere che la fondazione di questo nuovo
e popoloso centro di aggregazione religiosa risalga all’ultimo scorcio del secolo XVII.
Le uniche date sicure che possediamo intorno a questo fabbricato provengono dalle due campane
che si trovano sul campanile a vela eretto sul lato sinistro della facciata, e che attualmente sono in
deposito nella sacrestia vecchia della Parrocchiale. Ma si tratta di una testimonianza troppo posteriore
per poter essere utilizzata nelle determinazione dell’origine della Chiesa. La campana minore, più
antica, riporta incise due immagini, il Crocefisso e S. Antonio da Padova, e l’iscrizione disposta in
alto lungo una sola fascia: Aere Patrui Michael Benai nepos fecit A.D. 1769. La campana maggiore,
più recente, reca in rilievo i due monogrammi di Gesù e della Madonna, mentre l’iscrizione corre su
due fasce sovrapposte: Ioannes Baptista Renzi Custos B.M.V. ad vinas ex elemosinis – curavit fieri
A.D. MDCCLXXXXI. Per buona sorte, siamo invece venuti a conoscenza di tutte le notizie che
riguardano la statua della Madonna.
Nel corso del recente restauro, regolarmente autorizzato dalla Soprintendenza, mentre si
procedeva alla ripulitura della sacra immagine, è stata rinvenuta, nascosta il piedistallo, la seguente
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Libri su Radicofani
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iscrizione che riferisce il nome dello scultore, la località di provenienza e l’anno in cui l’opera venne
eseguita: Ans.no Montini – Siena – 1738. Il nome abbreviato dell’autore è tipicamente senese: S.
Ansano è infatti il Patrono di quella città. Per una volta tanto, la previdenza dell’artista ha risparmiato
ai posteri la ridda delle supposizioni che sogliono dividere gli esperti nell’attribuzione di un’opera,
quando vengano a mancare documenti espliciti e probanti. L’identificazione dell’autore ha permesso
inoltre di stabilire con certezza l’appartenenza dell’opera alla Scuola Barocca allora dominante, che
caratterizzò tutto il Seicento e gran parte del secolo successivo, introducendo una rottura tra due
concezioni artistiche.
In antitesi alla perfezione raggiunta dall’arte del Cinquecento e simboleggiata dalla linea retta, il
Barocco (vocabolo con il quale i Portoghesi designavano le perle irregolari) ricercò con ogni mezzo
la linea curva simbolo di movimento, la decorazione ricca ed esuberante, i forti contrasti tra luce e
ombra. Introdotta in Italia al tempo della dominazione spagnola, la Scuola barocca si affermò
dapprima a Napoli (da qui, la dizione alternativa di « Scuola Napoletana ») per poi risalire la Penisola
fino alla fascia centrale, dilagando in tutte le manifestazioni artistiche e deturpando in particolare le
strutture dei precedenti complessi architettonici con inammissibili forzature prive di ogni validità e
giustificazione, delle quali anche a Radicofani, la chiesa romanica di S. Pietro e quella gotica di S.
Agata portano tuttora i segni.
La statua della Madonna delle Vigne presenta in pieno le caratteristiche proprie dello stile
barocco: il movimento generale della composizione, il contrasto dei colori, il panneggiamento
svolazzante come mosso dal vento, la ricchezza delle due corone d’argento finemente cesellate e
incastonate con pietre dure di color rubino e smeraldo. Ma la ricerca esasperata della novità, tipica
del Barocco, risalta soprattutto dall’insieme dell’opera, costituita di due diverse figure, distinte anche
se complementari, per cui, dovendo usare un termine esatto, non si può parlare di una singola statua,
ma di un gruppo. Ed è questa la caratteristica maggiore che fa dell’originale composizione una vera
rarità. In effetti, la Vergine Maria non sorregge sulle braccia il bambino Gesù, secondo i moduli
consueti dell’iconografia tradizionale, ma si trova in posizione genuflessa e con le mani giunte in atto
di preghiera, mentre il piccolo Gesù, seduto in basso sopra un cuscino, invita i fedeli con l’indice
sollevato a rivolgersi alla Madre perché interceda presso l’Onnipotente per proteggere i lussureggianti
vigneti dalla minaccia delle intemperie e ottenere abbondante raccolto.
Dall’alto dell’Altare Maggiore, incorniciato da un festone di pampini e di grappoli d’uva, la sacra
Immagine ricevette per lungo tempo devoto e fiducioso omaggio da parte degli abitanti della zona,
attaccatissimi alla loro celeste Patrona, e la Chiesa continuò ad essere officiata ininterrottamente fino
all’inizio del Novecento, quando l’ultimo Cappellano residente, Don Francesco Bonsignori, si trasferì
a Pienza dove venne nominato prima Canonico e poi Parroco di quella Cattedrale. Successe come
Rettore Don Ferdinando Valenti, il quale, essendo impegnato a Radicofani dove svolgeva le mansioni
di Viceparroco, continuò a mantenere la sua dimora in Paese e di conseguenza fu costretto a limitare
il servizio religioso nella Chiesa delle Vigne ai soli giorni festivi. Purtroppo, anche questa officiatura
ridotta dovette essere sospesa nel 1938 in seguito alla scomparsa di Don Ferdinando, e da quella data,
essendo rimasto a Radicofani il solo Parroco, la Chiesa delle Vigne rimase definitivamente chiusa,
con l’unica eccezione della ricorrenza annuale della Natività della Madonna, che cade l’8 Settembre.
Nel clima tenue e luminoso dell’incipiente autunno, si riviveva per un giorno l’ambiente
suggestivo di quelle feste campestri, di cui oggi si è perduto il ricordo. Al mattino, dopo la prima
Messa della Comunione generale, aveva luogo la Messa solenne in terzo con la partecipazione di
alcuni Sacerdoti venuti dai paesi vicini. Seguiva, nei locali dell’ex Casa canonica, il grande banchetto
rumoroso e gioviale, offerto dai «Benefattori» che avevano contribuito alla raccolta della questua, e
conclusa dai brindisi e dai cori delle vecchie canzoni. Nel pomeriggio, l’intera popolazione del Paese,
preceduta dalla Banda musicale, si trasferiva in massa alle Vigne, percorrendo a piedi il lungo tragitto
per partecipare al canto dei Vespri e alla processione della sacra Immagine.
L’ultimo atto si svolgeva nello scenario del vasto piazzale antistante, all’ombra delle querce
secolari, attorno alle bancarelle dei venditori ambulanti, con l’esecuzione del programma ricreativo:
la gara dell’albero della cuccagna, il giuoco della pentolaccia, la corsa dei somari recalcitranti sotto
85
Libri su Radicofani
Personaggi nati a R.
Renato Magi
la guida degli improvvisati fantini e, per concludere, sull’imbrunire, l’immancabile ballo all’aperto
ravvivato dal suono delle fisarmoniche. (Fra i giuochi vi era anche la corsa degli insaccati,
ma, guarda caso, non vi era la corsa dei Bigonzi!)
Dopo questo libro Don Ferruccio Magrini ha fatto altre ricerche all’Archivio della
Curia Vescovile di Chiusi ed ha trovato la data esatta della costruzione della chiesa
della Madonna delle Vigne e ha scritto quanto segue:
ARCHIVIO VESCOVILE
DI CHIUSI
Sezione di Radicofani
Cartella n. 95-B
CHIESA DELLA MADONNA
DELLE VIGNE
ANNO 1617 – Dal primo manoscritto apprendiamo che un certo PULLIONE CAMERINI espone al
vescovo di Chiusi come nel territorio di Radicofani si trovava un’Edicola con l’immagine della
Santissima Vergine detta “Madonna delle Vigne”. Poiché l’Edicola costruita non in muratura, ma con
pietre collocate a secco, minacciava rovina, il CAMERINI chiede al Vescovo l’autorizzazione per
ricostruire una nuova Edicola murata a calce, utilizzando le offerte non solo dagli abitanti del luogo,
ma anche dai paesi vicini che si dimostravano fervidi devoti di tale immagine miracolosa.
L’Immagine cinquecentesca, oggi perduta, consisteva in una tela dipinta, poi sostituita nel 1738
dall’attuale scultura, opera di Ansano Montini.
Anno 1716 – L’Edicola ricostruita dal PULLIONE si trovava più a valle, presso un’antica strada che
conduceva al torrente Rigo e di cui sussistono ancora le fondamenta della “CASETTA” di cui scrive
PULLIONE CAMERINI, essendo in muratura, poté resistere esattamente per un secolo allo
smottamento inarrestabile del terreno circostante di natura argillosa e solcato dal fosso del VIEPRE.
Ma agli inizi del settecento, anche l’Edicola in muratura era tornata di nuovo inagibile e minacciava
rovina. Gli abitanti delle Vigne adottarono allora una soluzione radicale, abbandonarono l’antica
Edicola al suo destino, per costruire una nuova Chiesa, più in alto e lontano dal fosso. Scelsero a tale
scopo un pianoro nelle vicinanze del podere “VIEPRE” e qui edificarono nell’anno 1716 la grande
Chiesa casa canonica pervenuta fino ai nostri giorni. Primo Cappellano-Curato fu il sacerdote
radicofanese Don Gabriele GERLINI. Per assicurare il mantenimento del sacerdote incaricato di
ufficiare regolarmente la nuova CHIESA, i Priori del comune di Radicofani, Angelo BENDUCCI e
Andrea RAGNINI, con pubblico e generale Consiglio del GENNAIO 1734 donarono quattro moggia
di terra in contrada SCALDASOLE, riservandosi il diritto di PADRONATO nella chiesa stessa.
(Nel lavoro in ottava rima del Sig. Rappuoli Mario, che riporto qui sotto, vi sono alcune
inesattezze ma vi sono in sostanza tante cose che, se non dette, sarebbero andate
perdute, però da questa poesia e dalla ricerche di Don Marcello si ha una panoramica
abbastanza esauriente sia della festa che della chiesa di questa Madonna delle
Vigne).
LA MADONNA DELLE VIGNE
(a cura di Mario Rappuoli)
Cari signori, mi son messo in testa,
86
Libri su Radicofani
Personaggi nati a R.
Con questi umili versi di narrare
D’una chiesa che restano di questa
Vecchi muri per farci ricordare
La sua bellezza e quella grande festa
Che, in essa, si soleva celebrare,
Ogni anno, di settembre il giorno otto
Quando non era il mondo sì corrotto.
2
Una leggenda, di cui sono edotto,
Dice che in una vigna fu trovata,
Da un bravo e religioso giovanotto,
Una statua di Maria Immacolata.
Questi , dal prete, se ne va di trotto
Dicendogli, con voce concitata,
Che c’era la Madonna che pregava
Gesù Bambino, ch’ai piedi le stava.
3
Il buon prete sul posto si recava,
Che distava soltanto poche miglia,
Dal vecchio Radicofani e trovava,
Con stupore e grande meraviglia,
La Vergine che il Figlio supplicava.
Tosto la decisione, il prete piglia,
Che nella chiesa fosse trasferita,
Del paese ed in quella custodita.
4
E la cosa fu subito eseguita
E venne collocata sull’Altare,
Ma la mattina dopo era sparita,
Se anche la porta fu fatta serrare;
La gente addolorata e sbigottita
Subito la Madonna va a cercare
E la trova giù nella vallata,
Dove, dal giovanotto, fu trovata.
5
E nella chiesa venne riportata
E con la chiave fu chiusa la porta,
Ma durante la notte era tornata,
Giù, alle Vigne senza essere scorta;
87
Renato Magi
Libri su Radicofani
Personaggi nati a R.
Il prete, ch’era d’indole ostinata,
Alla chiesa, del paese, la riporta,
Ma nella notte ancora ritornò
Laggiù, dove il ragazzo la trovò.
6
A questo punto più non si portò
La statua nella chiesa del paese,
Una chiesa per Lei si edificò,
Proprio la dove Lei dal ciel discese.
La gente tutta vi partecipò,
Senza badare, per niente, alle spese,
Purché la nuova chiesa fosse stata
Degna della Madonna Immacolata.
7
La nuova e bella chiesa fu chiamata
“Madonna delle Vigne”, ove la gente,
Di purissima fede infervorata,
Ivi andava a pregar continuamente.
Questa leggenda dai vecchi narrata,
La quale m’è restata sempre in mente,
Ascoltatori, l’ho voluta dire,
Perché il ricordo non vada a finire.
8
Giacché, come potete ben capire,
Anche se la leggenda è molto bella,
Noi non possiamo affatto stabilire
Quanta di verità ci sia in quella.
Perché la chiesa si fa risalire,
Benché la storia non ci dia novella,
Alla prima metà del settecento,
Quando, laggiù, la gente ebbe incremento.
9
Ulivi e vigne furono in aumento
Ed aumentò così la produzione
Di vino, d’olio, d’orzo e di frumento,
Vanto del contadino e del padrone.
Il popolo, però, era sgomento,
Perché per la Messa e la Comunione,
Fino la paese, su, doveva andare
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E doveva (per) sei miglia camminare.
10
Ed allora fu fatta edificare,
Giù alle Vigne, in bella posizione,
Una chiesa spaziosa per ascoltare
La santa Messa e tutta la Funzione.
Nel campanile fecero istallare
Due campane d’un’ottima fusione
E quella chiesa fu poscia abbellita
Dalla casa del prete, ivi costruita.
11
La chiesa, nell’interno, fu arricchita
Da una Madonna lignea col Bambino,
Con gran bravura e fascino eseguita,
Che ricalcava molto da vicino
Quella della leggenda, or ora udita,
Che tiene le man giunte e il capo chino
Sopra al Bambino c’ai suoi piedi siede,
Bella scena dell’arte e della fede.
12
Ed un bel Tabernacolo si diede,
D’alabastro, con stile lavorato,
Alla stupenda chiesa e ben si vede
Che da Volterra, lì, venne portato.
Un sacerdote fisso vi risiede
E vi affluisce gente da ogni lato,
Per ascoltar la Messa e la Funzione,
Con tanta fede e grande devozione.
13
Uomini e donne senza distinzione,
Nutrivano un sincero attaccamento.
Alla Madonna e a Lei, con compunzione,
Perdon chiedean per qualche mancamento.
Il prete tenne, lì, l’abitazione,
Come si sa, per tutto l’ottocento,
Poi il sacerdote venne trasferito
Ed il servizio fu diminuito.
14
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Renato Magi
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Personaggi nati a R.
Il prete che l’avea sostituito
Era impegnato con altre mansioni
Quindi il servizio venne garantito
La domenica e poche altre eccezioni.
Questo servizio, da tutti gradito,
Venne soppresso per chiare ragioni:
Il prete, che in paese, risiedeva,
Nel trentotto, purtroppo, decedeva.
15
L’arciprete, da solo, non poteva
Fare, sebbene ridotto, quel servizio,
Così la bella chiesa si chiudeva
E quella, della fine, fu l’inizio.
Tosto la guerra inutile esplodeva,
Che tutti ci portò nel precipizio.
La Chiesa delle Vigne fu occupata
Dai marocchini e quindi devastata.
16
E da quando, la chiesa, fu lasciata
Dalle truppe francesi combattenti,
È rimasta per sempre abbandonata
Ed oggi restan sol muri cadenti.
La pregevole Statua fu salvata,
Dalle grinfie di quell’orde inclementi,
Grazie ad un bravo milite francese
Che con fede e coraggio la difese.
17
Tuttora, nella chiesa del paese,
si conserva la Statua prediletta,
Dove, per evitar brutte sorprese,
Si portò dalle Vigne, in tutta fretta.
Le due campane, che restaro illese,
Qui da San Pietro, mandan voce schietta.
Il Tabernacolo anche fu salvato
Ed in San Pietro viene conservato.
18
Della festa, alle Vigne, oggi è restato
Solo il ricordo e molta nostalgia,
Quando il popolo, tutto entusiasmato,
90
Renato Magi
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A piedi, da lontano, si partìa.
E chi la quarantina avea passato
Sull’asina, a bisdosso, ci venia;
All’asina attaccava un fagottino
Con il prosciutto, cacio, pane e vino.
19
La festa cominciava nel mattino,
Con la prima Messa e la Comunione,
Si pregava la Vergine e il Bambino,
Per aver e dal cielo la protezione.
Finito ch’era, poi, il rito divino,
Si formavan gruppetti di persone
Tra i banchi, all’ombra delle querce annose
Dove vendeano vino ed altre cose.
20
Le bibite al ghiaccio eran famose,
Famose eran pure le porchette,
C’eran mele, fichi e pesche polpose
E l’anguria che si vendeva a fette;
C’eran susine e pere succose,
Uva matura e noci belle e schiette.
E tra la folla li sempre più spessa,
S’era giunti, così, all’altra Messa.
21
Dove la gente, zitta e genuflessa,
Commossa ascolta la Messa cantata
In onore de la Madonna stessa,
Che da tre preti viene celebrata.
Ognuno ascolta, prega e fa la promessa
Alla Vergine bella e Immacolata:
Nell’aiuto, di Lei, di confidare
E mai più, nel peccato, ricascare.
22
Dopo la Messa si soleva fare
Un gran banchetto, nei grandi locali
Dell’antica canonica, per dare
Mangiare e bere a molti commensali.
A questo pranzo si potean gustare
Ottimi vini e piatti originali,
91
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Grazie ai cuochi che avean cucinato
E grazie a quei ch’avean collaborato.
23
Ed una volta il pranzo terminato,
Si sostava a cantar vecchie canzoni
E romanze ben note del passato,
Come era nell’antiche tradizioni.
Da casa sua, per sue proprie ragioni,
Si prendeva, con cura, il fagottino
Ben contento di fare uno spuntino.
24
Più fortunato chi stava vicino,
Che alla festa si potea recare,
Dalle primissime ore del mattino,
Cosi la Comunione potea fare.
Parlare poi potea col contadino
E verso mezzodì, potea tornare
A casa a gustar vini prelibati
E molti piatti assai ben cucinati.
25
Dei convenuti molti eran chiamati
A pranzo dagli amici della zona,
Laddove erano stati preparati
Vini squisiti e roba molto buona.
Ogni famiglia avea molti invitati
Che il capoccia, degnissima persona,
Dice loro di bere e di mangiare
E della festa seguita a parlare.
26
Nel pomeriggio, poi, soleva andare
Tutto il paese, a piedi, alla gran festa,
Felice si metteva a camminare,
Con la banda locale sempre in testa.
Giunti giù, tutti andavano a pregare,
Nella chiesa, con aria grave e mesta;
Al vespro si assisteva e alla Funzione
E s’andava alla grande Processione.
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27
Poi il prete dava la Benedizione
A tutti quelli ch’erano presenti,
Alla Madre Pia, chiedea la protezione
Delle Vigne, dei campi e degl’armenti.
La banda suona suona a profusione
Ed incominciano i divertimenti
Dei cazzotti, dei giuochi e della danza,
Tanto di tempo, ce n’era abbastanza.
28
Di fare a pugni vecchia era l’usanza,
E spesso c’era chi solea aspettare
Un anno intero, con perseveranza,
Onde potere i conti regolare.
C’erano quelli poi che, con baldanza,
Trovavan sempre il modo d’attaccare:
Il troppo vino li facea impulsivi
E se li davan per sciocchi motivi.
29
I giuochi eran giuochi primitivi:
La cuccagna e la corsa dei somari,
Dove fantini di esperienza privi,
Le cadute facean spettacolari.
E dentro ai sacchi giovani giulivi
Facean la corsa su percorsi vari;
Per ultima veniva la padella,
Con attaccate cinque lire a quella.
30
Ma la danza era la cosa più bella,
Perché, li, sul terreno si ballava,
Dove la gioventù, agile e snella,
Al suon della fisarmonica girava.
Le donne allor portavan la gonnella
E il polverone che si sollevava
Le copriva la pelle verginale,
Ma anche polverose, eran belle uguale.
31
E spesso spesso, dell’amor, lo strale
Alle fanciulle le feriva il cuore,
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Libri su Radicofani
Personaggi nati a R.
Renato Magi
Perciò non era affatto casuale
Se si innestava un vincolo d’amore.
E dopo tutto, che c’era di male
Se una ragazza bella come un fiore,
In quel giorno si fosse fidanzata,
Quando la Madonna era festeggiata?
32
Ormai, s’era alla fin della giornata,
I giovanotti si sentian beati
D’accompagnar la nuova fidanzata
E i vecchi a casa, già, erano andati.
La festa, si bella, era terminata,
Bella specie pei nuovi fidanzati.
Fu infatti detta, da lingue pungenti:
“Festa dei pugni e dei fidanzamenti”.
33
Io, della chiesa e dei festeggiamenti,
Ne ho sentito parlar sin da piccino,
Perché mia madre, con altri parenti,
Era nata e cresciuta li vicino;
E nutriva devoti sentimenti
Verso quella Madonna col Bambino
E sempre le diceva una preghiera,
Nel suo santo Rosario della sera.
34
Anche tutt’oggi, con fede sincera,
Quella Madonna è sempre venerata,
Con Triduo, Messa e Cantici la sera,
Qui in San Pietro, quando è
Festeggiata
Ascoltatori, questa mia maniera
Di cantar, spero che vi sia garbata.
Sono Rappuoli Mario (il Postino) rimatore
E vi saluto dal fondo del cuore.
Radicofani, lì 30 settembre 1989.
Nota:
La nota riportata qui sotto è stata scritta dal Rappuoli che era amico e nato nel 1916
come mio padre: Francesco Magi!
94
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Personaggi nati a R.
Renato Magi
Dopo alcuni anni dalla composizione di questo lavoro in ottava rima sulla “Madonna delle Vigne”,
siamo venuti a conoscenza che la chiesa attuale (della Madonna delle Vigne), venne eretta nel 1716.
(Duecento anni esatti prima che io venissi al mondo).
PRIME COMUNITA’ CRISTIANE E STRADE ROMANE NEI TERRITORI
DI AREZZO – SIENA – CHIUSI - (Alfredo MARONI) - (Edizioni Cantagalli – Siena
– 1990) - (Ristampa dell’edizione del 1973).
Pag. 37
Nell’Estimo di Castelvecchio, presso S. Gimignanello, sono riportati i toponimi: «la via
d’Asciano» e «le vie di Sentino».
(Qui c’è una nota, la numero 84 che recita così: A.S.S., Estimo 33, c. 484. I Sentinati, di cui parla
un apocrifo Decreto di re Desiderio (FAURE, Memorie apologetiche del marmo viterbese, vol. I,
pag.134), sono frutto di un’invenzione di chi trasse spunto dal nome Centeno, località sulla riva
sinistra del Paglia sotto Radicofani, per localizzare in quella zona il popolo dei Sentinati, per i quali
Desiderio avrebbe costruito Radicofani e Ansedonia. Centeno appare piuttosto un prediale (podere,
fondo) dal gentilizio latino Centinius o da centenum = segale.
Pagg. 54 e 55
I raccordi stradali tra la via Cassia e Siena.
La prima strada romana che univa la Cassia con Siena avrebbe seguito, secondo l’opinione
comune ripetuta ultimamente da Bonelli, (F. Bonelli, Il monastero di Abbadia S. Salvatore ed alcuni
edifici pre-romanici ad occidente del Monte Amiata, in Bullettino della Società Storica Maremmana,
18 (giugno-dicembre 1968), pp. 37-44.) il percorso Acquapendente, Ponte al Rigo, S. Pietro in Paglia,
da qui entrando nel piviere di S. Lorenzo avrebbe toccato le chiese di S. Cristina di Callemala che
secondo un documento del 903 (A.S.S., Diplomatico del monastero di S. Salvatore, pergamena ad
annum (a. 903) ) sorgeva presso il fiume Paglia, S. Quirico e la pieve di S. Lorenzo nel vico Trefossata
(come nella parentesi precedente ad annum (anni 797, 798, 896) ) e avrebbe proseguito per il
Formone, Ricorsi, Briccole e S. Quirico d’Orcia. Avrebbe percorso cioè quell’itinerario già detto «via
francesca» in un documento dell’876 (come nelle precedenti parentesi ad annum (a. 876) e descritto
dal vescovo Sigerico nel 994.
La strada venne poi sostituita dopo il 1191 con la via più lunga che passava per Radicofani che
fu percorsa in quell’anno da Filippo Augusto re di Francia e che è stata fino ai giorni nostri l’arteria
di comunicazione tra Siena e Roma.
Targioni Tozzetti scrisse che la carta del Granducato di Toscana pubblicata da Matteo Setter,
geografo del ‘600, «si trova la strada romana moderna segnata da Acquapendente, Ponte a Centeno,
S. Casciano de’ Bagni, Castiglioncello, Spedaletto e Buonconvento, perché il Setter l’avrà trovata
così notata in qualche libro antico di Poste, avanti che o la Repubblica Senese o il Granduca Cosimo
I la voltassero come sta ora». (G. Targioni TOZZETTI, Relazioni d’alcuni viaggi ecc., tomo IX, p:
294).
Il toponimo Migliari a nord-est di Radicofani indica chiaramente il passaggio della via romana,
la quale perciò non seguiva i due tracciati esposti ma con un cammino molto più breve, dopo Ponte a
Centeno, Ponte al Rigo, saliva a est di Radicofani seguendo da vicino il corso del Rigo, forse per
l’attuale « La Novella » e Casa al Sarti e raggiunta la pieve di S. Donato e Migliari, nello spartiacque
tra il Rigo e l’Orcia, si dirigeva a destra verso l’Orcia. La traversava al «vadum de petrosa», come
appare in una carta del 1038. (A.S.S. Diplomatico del monastero di S. Salvatore, pergamena ad
annum – a. 1038-).
95
Libri su Radicofani
Personaggi nati a R.
Renato Magi
Da qui la strada si portava a S. Andrea di Reiano o Reggiano (Regius) oggi S. Andrea di
Chiarentana. Dell’antica chiesa rimane oggi una piccola cappella: il suo titolare ricordato negli Statuti
di Chiarentana, venne trasferito nella chiesa di S. Bernardino al Castelluccio. Questo tratto di strada
appare in una carta amiatina del 1086 «ad ecclesia S. Michaelis de Muxona (S. Angelo di Cerviaia)
usque ad viam petrosam que venit ad ecclesiam S. Andrete de Reiano…». Nel castello di Reggiano
si fermò l’imperatore Ottone I nel 962 ed emise datato da questo luogo un privilegio a favore
dell’abbazia di S. Salvatore sull’Amiata.
Dopo Chiarentana la via traversava il torrente Miglia: una «Plagiam Milie» è già menzionata in
una carta del Libro delle Coppe di Montepulciano del 1243 (A.S.S. Libro delle Coppe di
Montepulciano, c. 133 r.) che potrebbe ricordare, come arguisce il Pieri per un anonimo torrente
presso Suvereto (Livorno), il nome «Via Aemilia» di questo tratto Bolsena-Siena. Per Palazzo di
Polo, la via toccava l’hospitalis S. Nicolai del medioevo, ospedale che trova la sua ragion d’essere
unicamente nella presenza di questa antica strada, dato che la via francesca correva dall’altra parte
del fiume Orcia.
Pag. 213
Il privilegio di Ottone III del 998 la denomina ancora «Baptisterium S. Viti in Pruniano», ma
risulta chiaro dagli errori della carta, che ci si curò di copiare i precedenti elenchi senza badare se la
chiesa aveva cambiato il titolare o meno. La facilità con cui avveniva tale cambiamento è già stata
notata per la pieve di S. Vito poi S. Giovanni in Corsignano. Lo troviamo anche nelle pievi di S.
Donato di Radicofani, di S. Cristina di Lucignano d’Arbia, dedicate al Battista nelle Rationes del
1276.
Pag. 219
S. Donato «de Radicofano», detta dalle Rationes Decimarum del 1275 «plebs S. Iohannis» per
l’uso diffuso di unire il nome del Battista a quello del titolare fino a sostituirlo. È ricordata in carte
del 1014 e 1067, non si conosce la sua ubicazione, sorgeva probabilmente nello spartiacque tra l’Orcia
e il Rigo.
(Vedi note scritte più sopra quando si parla della stessa chiesa)
Fra i libri vecchi vi sono due stampe anastatiche da cui riprendo quanto scritto
sotto:
RELAZIONE DELLA CITTA’ DI FIORENZA E NEL GRANDUCATO DI
TOSCANA – sotto il regnante Gran Duca Ferdinando II – a cura di Galeazzo Gualdo Priorato –
ristampa anastatica –Arnaldo Forni editore S.p.A. – Bologna - ottobre 1977 – l’originale edito in
Colonia nel 1668.
Pag. 80
Lu∫uolo in Luneggiana è pur
con∫iderabile, & ine∫pugnabili ∫ono la Terra del ∫ole, la
Fortezza dal ∫alto della ceruia, e Redecofanni.
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Libri su Radicofani
Personaggi nati a R.
Renato Magi
TRADIZIONI POPOLARI E LEGGENDE DI UN COMUNE MEDIOEVALE
E DEL SUO CONTADO (SIENA E L’ANTICO CONTADO SENESE) – a cura di Giuseppe
Rondoni – ristampa anastatica – Arnaldo Forni editore S.p.A. – Bologna.
Pag. 108
Troppo lungo sarebbe ripetere le mille storie fantastiche dell’antica Maremma e delle montagne
che le fanno maestosa corona. Venendo dall’Amiata al monte pittoresco di Radicofani, dove le mura
robuste di pietra basaltica riquadrata sembrano anche oggi ripetere storie di vendetta e di cavalleria,
e dove il Gigli segnalava tanta dovizia di tradizioni e di memorie, incontriamo una leggenda che
allietò forse i riposi di Ghino di Tacco e dei suoi fieri compagni, e che fu ripetuta, come storia vera,
da quei poveri campagnoli quasi fino alla metà del secolo decorso. Narravasi cioè che un romito
ricettava in quei luoghi Fiovo, figlio di Costantino, smarrito e fuggiasco con due altri compagni per
avere in corte ucciso un potente signore. Mentre restò celato co’ suoi in Radicofani, l’angelo che
recava ogni giorno un pane al romito ne portò invece quattro, ed in fine consegnò ai ricoverati
l’orifiamma (bandiera con stelle e fiamme d'oro in campo rosso, insegna militare dei re
di Francia nel Medioevo). Allora il solitario palesò a Fiovo di essere il suo zio, e tutti ritornarono
in corte. Così la fiaba popolare, curiosissima perché ripete, combinandoli e localizzandoli in parte,
due celebri racconti del Fioravante e de’ Reali di Francia. Il Rayna, nelle sue belle e dotte ricerche
intorno ai Reali, ne pose in chiaro le differenze e la natura 187. Infatti, mentre, secondo il Fioravante,
Fiovo è nepote, ne’ Reali è figlio dell’imperatore, e mentre i secondi lo fanno giungere nelle selve di
Corneto, il primo lo vuole ricoverato sulla montagna di Radicofani. Ne’ Reali il romito si chiama
Sansone, è zio di Fiovo; ma non si dà a conoscere, nel Fioravante non dice il nome di lui, né si fa
cenno alcuno di siffatta consanguineità, e, laddove ne’ primi Giamberone e Sanguino si uniscono con
Fiovo, e partono col romito per la guerra, nel Fioravante egli, dopo essersi confessato da Fiovo, muore
e va il cielo. Ora, nella nostra novella, seguendo la versione dei Reali, si piglia dal Fioravante la
notizia di Radicofani, e si aggiunge il riconoscimento fra zio e nipote, A buon conto, perché la prosa
del Fioravante è più antica di quella dei Reali, e risulta di varie narrazioni riunite insieme, con
istrettissima affinità con cantari e romanzi francesi, e con la saga islandese, resta chiara l’antichità, e
forse anche la derivazione originaria francese della nostra novella, e forse anche la esistenza di una
qualche versione locale, in parte smarrita, delle celebri leggende, tanto più che in Radicofani gli spiriti
cavallereschi furono certo assai vivi, talché un masnadiere Ghino di Tacco, largheggiò in cortesie
degne di romanzo e di poema. Anche la leggenda del re Giannino attribuisce a Radicofani l’avventura.
Pag. 150-151
Nel castello di Radicofani un medico, recandosi presso un grandissimo usuraio infermo, essendo
il cielo stellato e l’aria senza nuvole, fu arrestato «da due grandissimi tuoni e baleni». E volendo
entrare in camera del misero peccatore «venne un altro baleno con un tuono sì orribile che chiunque
era nella camera fece stordire e cadere accovolati in terra». Di lì a poco l’infermo era già cadavere, e
intanto rovesciavasi sulla terra una grandine con tanta tempesta che parea che «dovesse sonnabissare
». Se tuoni e procelle erano allora operazione diabolica, pensi ognuno che cosa non si favoleggiò dei
terremoti. Pel buon fra Filippo fu una schiera di gente a cavallo molto terribile che scosse e ruinò le
case di Borgo San Sepolcro, appena che una voce ebbe gridato: percuoti. Entrarono nella terra di
notte, né alcuno li vide, salvo alcuni villani di ritorno alle proprie case, ed un giudice del Potestà
levato a recitare il mattutino. Leggenda simile a quella dell’eremita di Vallombrosa che scorse un
tumulto di guerrieri formidabili via trascorrenti, de’ quali uno scongiurato esclamò: andiamo ad
affogare la città di Firenze per le sue colpe se Dio lo permette, ed all’altra della galea piena di demoni
187
Collez. Di Opere inedite o rare, i Reali di Francia, vol. I, p. 19 e segg. 33 e 47-48, 61, Nei Reali il fatto di Fiovo è
narrato nei libr. 1, 7, 8, 9. Cfr. Gigli, Diario, II, p. 313.
97
Libri su Radicofani
Personaggi nati a R.
Renato Magi
che ratta solcava la laguna per devastare Venezia liberata da tre santi ascesi sopra una barca da
pescatore. A scongiurare tali pericoli si usavano anche in Siena i telesmata, oggetti che si seppellivano
nelle fondamenta dei pubblici e privati monumenti.
Da libro che qui di seguito riportiamo, è stata ripresa tutta la storia che fino ad
oggi si sapeva su Radicofani. È veramente importante, perché soltanto dopo gli studi
fatti da F. Schneider, Kurze e Wickham con le ricerche sull’Abbazia di San Salvatore,
e tutti quelli che presero parte al simposio per il 950° anniversario dell’Abbazia e
soprattutto la pubblicazione del Codice Diplomatico Amiatino, questo era il libro più
importante (o quasi) di tutta la storiografia della Val d’Orcia. Oggi le ricerche fatte da
quegli storici ci hanno apportato altre notizie che fanno capire più a fondo la storia
della nostra Valle con notizie certe dettate dal Codice suddetto.
Quando si parla della guerra che Cosimo I, insieme alle truppe imperiali, sferrò
contro la Repubblica di Siena, per divenire, i Medici, Granduchi della Toscana, e
anche in questo caso riporto soltanto le parti che riguardano il paese di Radicofani.
Questo libro, infatti, vuol parlare esclusivamente di Radicofani e suo Comune. In certi
momenti, cita racconti che, in qualche modo fanno intuire le vicende che la nostra
gente visse in questa guerra, che tolse la libertà alla Repubblica, e le cui gesta
influenzano ancora gran parte di Siena e della Val d’Orcia. Chi vorrà informarsi
meglio e più accuratamente dovrà leggere tutto il libro.
I CASTELLI DELLA VAL D’ORCIA E LA REPUBBLICA DI SIENA – a cura
di Arnaldo Verdiani-Bandi – L’Arco dei Gavi – Montepulciano – Siena Tipografia Turbanti
MCMXXXVI – Seconda Edizione – La presente edizione anastatica in cinquecento copie è stata impressa
nel mese di giugno MCMXXIII dalla tipografia Cantagalli di Siena
Pag. 8
Il territorio Chiusino a quei tempi vastissimo, giacché sembra si estendesse a gran parte della
Maremma senese, comprendeva nel suo bel mezzo ciò che oggi si chiama Val d’Orcia. E se il fatto
della cerva inseguita dal lupo, narrata da Tito Livio, e la testa di cinghiale e la figura del cacciatore,
rappresentate nelle antiche medaglie di quella metropoli, son indizi della rusticità del suo territorio,
gli importanti ipogei scoperti nei dintorni di Chianciano, di Montepulciano, di Castelnuovo
dell’Abate e nell’agro senese e la probabile origine etrusca dei nomi Follonica e Sarteano, danno
contezza di come quei luoghi fossero abbondantemente abitati.
La potenza di Chiusi era sì grande, che Roma ne tremò: e la vastità del suo dominio servì di pretesto
di guerra a Brenno Re dei Galli188.
Tutto ciò basterebbe a dimostrare come la Val d’Orcia dovesse essere a quei tempi fiorente,
quand’anche non ne dessero certissima prova i sepolcreti, trovati nel secolo passato presso Pienza e
San Quirico189 e quelli importantissimi di Castiglioncello del Trinoro, ove si rinvenne tale quantità di
cimeli, di lavori di figuline e di preziosi metalli, da ritenere «esservi stata costà la necropoli di qualche
grossa terra perduta»190 per non parlare di altre scoperte, già fatte e che via via vanno facendosi, nel
territorio di S. Quirico, di Castiglione191 ed in tutte le colline circondanti la valle.
PLUTARCO – Vita di Camillo.
«Nel mese di aprile (1751)non molto distante dalla Terra (S. Quirico) fu scoperto un sepolcro degli antichi Toscani e
in esso ritrovate molte urne e vasi con camei allacciati e con caratteri di quel tempo, che molto bene indicano essere stato
quel luogo abitato da quegli antichissimi popoli». – PECCI – Lo Stato Senese Ms. nella Biblioteca Moreniana di Firenze,
tom. V, fog. 176.
190
REPETTI – Dizionario etc., vol. I, pag. 593.
191
G. PELLEGRINI – Notizie degli scavi, dicembre 1898.
188
189
98
Libri su Radicofani
Personaggi nati a R.
Renato Magi
Tutto insomma, anche la loro stessa ubicazione, persuaderebbe ad assegnare a questi paesi
un’origine Etrusca. …………………………………………………………………………………..
Pag. 11
Quanto poi al nome del fiume, da cui s’appella questa contrada, se alcuno lo crede una corruzione
di Horchia, dea etrusca, quasi fosse ad essa dedicata192, altri invece lo ritiene derivato da una famiglia
Urcia, antichissimamente, potente in questi luoghi193.
Il fatto sta che il nome di Orcia, che fin dai tempi dei Longobardi si trova alcuna volta corretto
in Orclas da quella barbara latinità, andò trasformandosi nel Vadus Ursus dei secoli Carolingi, per
finire nell’Urcea delle età posteriori.
………………………………………………………………………………………
All’incontro di S. Filippo poco si sa. Perché intorno alle sue terme, non esiste, a detta dello stesso
Repetti, documento anteriore al secolo XIV194.
…………………………………………………………………………………………………
Pag. 13
Se la parola rocca (arx) denotava spesso la parte più alta e più inaccessibile del castello, quando
era data ad un intiero paese, supponeva sempre un luogo fortissimo per natura e per arte, in elevata
posizione e di difficilissimo accesso essendo sempre situato sulla cima di una forte scogliera.
…………………………………………………………………………………………
……………che altri luoghi, come Castiglione (Castrum Leonis) Castiglioncello Latronoro, detto
poi del Trinoro (Castrum Latronum) Castelvecchio (Castrum Vetus) etc. nei quali la comune parola
castrum entra a far parte di denominazione e in certo modo li caratterizza, doverono, molto
probabilmente esser ridotti allo stato attuale in quel tempo, in cui le asperità naturali li rendeva sì cari
ai signorotti feudali. Né diversamente è forse da dirsi di Monticchiello, Campiglia e Radicofani.
E il Palazzo di Geta, a cui veniva sempre applicato il nome di Castellare e la Rimbecca e il
Castelluccio Bifolchi, senza parlare dei castelli di Vignoni e di Spedaletto, erano anch’essi luoghi più
o meno fortificati. Né questi, tuttora esistenti, erano, per avventura, i soli che fossero parte di
quell’ampio sistema di fortezze, che si trovano in Val d’Orcia. Perché, quantunque sia certo che di
moltissimi è andata perduta ogni memoria, abbiamo nondimeno notizia come esistessero fin dal
secolo IX, Castel di Villero nei pressi di Cosona195 ed un Castello d’Orcia d’ignota ubicazione. Si ha
poi memoria del castello di Montertine antichissimamente abbattuto 196, di Reggiano, le cui rovine si
trovano sull’Orcia fra la Foce e Castelvecchio197, della Foscola, del castello di Mojana, delle
Rocchette di Radicofani. Di Perignano distrutto dai Senesi, di Castel Franco e della Bicocca presso
Campiglia, tutti oggidì totalmemte scomparsi, senza parlare di altri, dei quali sarà fatta a suo luogo
menzione.
Quella continua guerra di rappresaglie fra signorotti feudali e fra questi e la repubblica, nonché
le straniere invasioni, furono la causa di un così ampio sviluppo di fortificazioni in questa regione,
GIGLI – Diario senese Ediz. Moderna, tom. 2°, 484.
REPETTI – VOL. 3°, pag.682.
194
I documenti cui accenna il Repetti sono, molto probabilmente, quelli riportati dal Vigni nella sua Descrizione del
Casale e Bagni di S. Filippo, ma per la verità fin dal sec. X (995) in un diploma di Ugo Marchese di Toscana, emanato a
favore dei monaci della Badia S. Salvatore, questo luogo vien qualificato col nome di Bagno (Liverani Catacombe
Cristiane di Chiusi, pag. 281).
195
LIVERANI – Catacombe etc. pag. 272.
196
BANCHI – Statuti Senesi, vol. 3° pag. 249.
197
LIVERANI - Catacombe etc., pag. 284. Da questo castello, che Muratori afferma non saper dove fosse, fu dato un
diploma da Ottone I nel 961.
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che può dirsi fosse posta in pieno assetto di guerra. Perfino la Briccola che, qualificata costantemente
col titolo di Burgo198, non dovrebbe essere stata mai luogo forte, porta un nome guerresco199.
Tutto ciò adunque necessariamente si connette a quell’epoca, in cui sulla larga costituzione
romana vennero innestandosi quelle piccole sovranità, che formarono il sistema così detto feudale, al
quale preluderono quelle invasioni di barbari, che portarono una così radicale trasformazione
nell’ordinamento delle cose d’Italia.
È dunque giuocoforza fare un salto nel bujo per giungere ai tempi della dominazione dei
Longobardi, che di tutte quelle orde di barbari, che desolarono l’Italia, avendo tenuto più stabile
signoria, furono quelli che lasciarono maggiori tracce nei paesi conquistati e gli unici che ne
lasciassero qualcheduna sui luoghi dei quali trattiamo. Fra le dense oscurità, che circondano il primo
periodo di loro invasione, è lecito affermare che la Toscana non sfuggì all’universale disastro e che
anzi il territorio di Siena fu una delle province, dove l’elemento longobardo venne più largamente a
sovrapporsi al vecchio elemento latino. Difatti negli anni posteriori, in cui le tenebre cominciano a
diradarsi, si trova Chiusi già eretto in Ducato e la città e il territorio di Siena far parte del patrimonio
reale, come esplicitamente risulta da un tal documento, riguardante una controversia agitatasi tra i
vescovi di Arezzo e di Siena, ove vien detto che quest’ultima era dominicata ad manus Ariberti regis
Longobardorum e fin dal 678 si trova rammentato certo Willerat, gastaldo del re Perterite. Il
ricchissimo archivio dell’Abbadia S, Salvatore fornì agli archeologi una copiosa messe di documenti,
fra i quali con somma fatica spigolando, può raccogliersi qualche cenno fugace sopra i nostri
castelli200.
L’aver poi mantenuto i Longobardi, per lunghissimo tempo, l’antico loro costume di vivere alla
campagna201, fece sì che i mark, ove i principali risiedevano con quasi assoluta autorità, divennero
ben presto piccoli centri, ove andava raggruppandosi quel ceto di popolo, che attendeva ai lavori
campestri. Quindi l’agricoltura e le arti affini trovarono incremento in un tempo, in cui si godeva di
una pace quasi generale, tanto più che questi stranieri invasori oramai «non ritenevano di forestieri
altro che il nome»202. Alcune concessioni, fatte a chi si dedicava a nuove coltivazioni, doverono essere
di sprone al miglioramento delle condizioni agrarie e dai documenti dell’epoca si rileva infatti, come
fosse abbastanza estesa la coltura specialmente della vite e dell’olivo203.
Con tanto fervore si erano dati poi i longobardi alla loro nuova religione, che le fondazioni delle
chiese e dei monasteri, fatte durante la loro dimora in Italia, furono assai numerose, cominciando fin
da allora quei lasciti pro remedio animae, che seguitarono poi anche nei secoli successivi, con tanto
vantaggio della Chiesa. Fu pure attorno a questa epoca che quasi ogni monastero ed ogni oratorio sì
198
Si chiamano Borghi le domorum congregationes, quae muro non claudebantur.
La Briccola era una macchina militare che, come la catapulta dei romani, serviva a scagliar grosse pietre nelle città
assediate.
200
Questi documenti peraltro, non andando al di là del secolo VIII, si riferiscono soltanto agli ultimi anni della permanenza
dei Longobardi in Italia, a quando cioè, dismessa la primitiva ferocia e convertitisi, per opera della regina Teodolinda,
alla fede cattolica, era venuta a mancare una delle principali cause di dissidio.
201
È noto che i Longobardi dividevano il loro territorio in tante parti chiamate nel loro linguaggio gau (parola che fu
tradotta in quella di comitatus e quindi contado) ove avevano piena autorità i graf (comites, donde venne poi la parola di
conte) che fungevano da capitani in guerra e da giudici in pace ed erano nei loro giudizi assistiti da alcuni notabili, che
furono più tardi chiamati scabini. Il gau poi, o contado, si divideva in parecchi mark (vici) ove abitavano le fare o tribù,
il capo delle quali (faro, baro, barone) risiedeva in mezzo nel suo castello (curtis, corte) e gli altri all’intorno.
202
MACCHIAVELLI – Istorie Fiorentine. Le Monnier, pag. 31.
203
Un istrumento del 736 stipulato in Agello, che fu vico o casale di Val d’Orcia, ci dà un esemplare della vera conduzione
coloniaria e dell’annua corrispondenza dei frutti al padrone. Per chi ne avesse vaghezza, eccolo nella sua barbara latinità.
«Placuit atque convinet inter Tasulu Centinarius et Pertulu qui Baruccio ut resedire divea suprascripta Baruccio iu casa
Tasulu in fundo Agelli in tertiam pars de uncia una, et persolvat in Angarias tertiam septimana; de vinea facta tertia
mensura, de quod plantaveri quarta mensura; in die Natale panis duo et parum pullis et in pasca similiter et unum pecus
si abuerit etc.» Le angarie, erano le opere manuali alle quali era tenuto Pertulo per tre settimane dell’anno. Della vigna
fatta deve corrispondere la terza parte della raccolta, di quella che avrebbe piantato la quarta, e più due pani ed un paio di
polli per Natale e per Pasqua ed un agnello se lo avesse avuto. Si notino, casa, septimana, Natale, parole prettamente
Italiane.
199
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era annesso uno spedaletto o un ospizio, a vantaggio dei viaggiatori poveri o malati e dei pellegrini
che si portavano a Roma. E «particolarmente poi uso fu di quei tempi fabbricare questi ospizi di
carità, per sussidio e comodo dei pellegrini, dove si dovevano passare i fiumi senza ponte e valicare
la cima dei monti»204. Né sarebbe affatto improbabile, che datassero fino da quest’epoca le fondazioni
dell’Ospizio di S. Maria a Tuoma, dello Spedaletto di Val d’Orcia e dell’Ospizio o Spedaletto di
Briccole, che son luoghi antichissimi, ma dei quali non si ritrova l’origine. Certo è che simili
fondazioni, fatte dai Longobardi nel territorio Senese, furono assai numerose: perché quella tal
controversia, insorta al tempo del re Liutprando (712) fra i vescovi di Siena e di Arezzo, che ha fornito
il documento più completo ed interessante dell’epoca Longobarda, non ne lascia alcun dubbio.
……………………………………………………………………………………………………
Pag. 20 e segg.
Di Agello, qualificato coi nomi di vico o casale, e che in un istrumento del 750 viene indicato
per Agello ad Orcia, si trovano frequentemente rammentati, nei diplomi Amiatini del secolo VIII, i
vigneti, ed è fatta menzione del suo giusdicente (Sculdais) e del suo Centenario205. Di questo casale,
di cui è perduta qualunque ricordanza, si può nondimeno rilevare la posizione geografica, ricavandola
dalla deposizione di alcuni testimoni, per causa di confini territoriali, controversi nel secolo XIII
(1205) fra il Comune di Montepulciano e la Repubblica Senese, nella qual circostanza uno degli
esaminati dichiarò di aver veduto i Montepulcianesi fare oste, sotto il comando dei Senesi, ad Agellum
qui est inter Montem Presim (il monte di Cetona) et Radicofanum206.
Una pergamena del 755, ………………………………………………………………
Intorno a Radicofani poi si scatenarono le bizze degli eruditi di due secoli fa. Il famoso decreto
di re Desiderio, pubblicato dal più famoso Annio da Viterbo, dette la stura (atto di sturare) ad accanite
diatribe, in cui Borghini, Cluviero, Muratori, Olstenio, Sigonio, Grutero, Beretti, Mariani, Lami e non
so chi altri, si trovarono impelagati fino ai capelli. Ultimo in ordine cronologico, fra cotanto senno,
l’Abate Faure scrisse, in difesa del decreto, un’opera di due volumi in quarto grande, di circa 500
pagine ciascuno: e la conclusione di tutto questo si fu che, nella peggiore ipotesi, ammesso anche che
detto decreto sia una solenne impostura, i fatti ivi enunciati sono conformi alla storica verità: quindi
partito più semplice è il ritenerlo per vero. Per ciò che riguarda Radicofani, ivi adunque vien detto –
è re Desiderio che parla -, In Tuscia edificavimus a fundamentis ……………………….Sentinatibes
……..Ausdonias et Rodacofanum. In Toscana edificammo dai fondamenti, ai Sentinati, Ansedonia e
Radicofani: I Sentinati erano, o gli abitatori dell’antico Sentino nell’Umbria distrutto dai Longobardi,
o meglio «alcune popolazioni sulla riva sinistra del fiume Paglia, delle quali ancora oggi esiste ivi un
castello chiamato Sento, onde, non molto lungi, è ancora il ponte Sentino, che volgarmente e
corrottamente Ponte Centino addimandasi»207. (Di tutto ciò ne abbiamo parlato anche sopra).
In questo decreto, il re Desiderio enumera i benefici fatti dai Longobardi in Toscana e nella
Liguria, per dimostrare che non erano poi quegli uomini così crudeli, né quei terribili Tuscie
destructores, come papa Adriano si ingegnava di rappresentarli presso i re Franchi. E rammenta a
Grimoaldo prefetto di Viterbo che, finché durerà dubbiosa la pace, imponga a tutti i soldati di Toscana
di stare sull’armi, abbia in pronto gli stipendi e non gravi i cittadini con nuove esazioni.
E c’era ben di che. Giacché alle istanze dei pontefici, scendeva Pipino e poi Carlomagno in Italia,
che sconfitti finalmente i Longobardi (774), assicurava ai papi il libero godimento di quelle città, che
formarono il triste retaggio della loro autorità temporale208.
MURATORI – Antichità Italiane, tom. 2°, pag. 466.
BRUNETTI – Il Codice etc., tom. I°. – Il Centenario era il capitano di 100 soldati come il Decano il caporale di 10.
206
MURATORI – Antiquitates etc,, tom. IV, pag. 81.
207
FAURE – Memorie apologetiche del marmo Viterbese etc., vol. I°, pag. 134.
208
La donazione di Pipino aveva smembrato antecedentemente alcune provincie alla dominazione imperiale, ma Arezzo,
Chiusi, Orvieto erano tuttavia rimasti sotto il dominio degli imperatori. (Platina – Historia delle vite dei Romani Pontefici,
pag. 91. Alberti Leandro, pag. 31 – Rafaele Volterrano pag. 122).
204
205
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Pag. 23 e segg.
Dopo la dispersione della gente Longobarda, Adalgiso, figlio di Desiderio, rifugiatosi a
Costantinopoli, aveva ottenuto il comando di alcune truppe Greche e con esse sbarcato in Italia e tratti
al suo partito alcuni Duchi, fra i quali Reginaldo di Chiusi, insorse, ma con esito affatto infelice,
contro i Franchi.
Fu allora che Chiusi perdé l’onore del Ducato: e fu forse quella sedizione la causa, per cui Carlo
pose ogni cura di abbattere la potenza dei duchi, dividendo il loro territorio in parecchi gau o comitati,
sotto altrettanti conti dipendenti direttamente da lui, e di spartire i beni regi fra i suoi commensali o
gasindi, che, con nome esclusivo, cominciarono allora a chiamarsi vassi o vassalli: i quali, dividendo
a loro volta i beni affidati ad uomini loro, diedero origine ai valvassori (vassalli vassallorum) come
da questi vennero i valvassini etc. dopo i quali non si sa più dove scendesse questa divisione di potere.
Era un grande frazionamento di sovranità, che, riducendosi tutta alle forti mani di lui, gli
assicurava il godimento delle conquistate provincie. Giacché, seguendo l’antico costume Germanico,
egli accordava questi benefici ai suoi più valorosi capitani, impiantandoli nelle terre e nei castelli,
d’onde, per il loro valore, erano stati sloggiati i signori Longobardi. E da questo seguì che, o fosse la
somiglianza del loro brio nazionale con l’indole del popolo Senese209, o piuttosto ne fosse «la causa
che in Toscana e maggiormente in quella parte che è oggi il dominio di Siena, che, come più vicina
ai confini, vi si trovarono et vi si presero più luoghi forti» (MALAVOLTI – Dell’Historia di Siena, fasc. 18.)
e quindi più numerosi dovettero essere i beneficati, vi si stabilì una numerosa colonia di signori
Francesi. E difatti tutta la vecchia nobiltà del luogo è di origine Franca o Longobarda, ma più di quella
che di questa, al che dové certamente, soprattutto, contribuire quella rivolta di sopra accennata, nella
quale gli abitanti di questa contrada si erano manifestati così affezionati ai loro vecchi padroni.
Cessati i duchi, la città e il distretto di Chiusi furono governati da gastaldi: giacché fin dall’anno
803 trovasi un Ischinbaldo gastaldo; e rammentato in un diploma di Ludovico Pio, a favore del
monastero di S. Antimo, un Petrone, ed un tal Orso, parimente gastaldo, in un pubblico rogito
stipulato in quella città210. Soltanto sulla fine del secolo IX, sembra che ad essi sottentrassero i Conti,
come nello stesso tempo e con lo stesso titolo, governava un Grafone a Sovana e un Wingisi, o
Guinigi, a Siena.
Una pergamena Amiatina, scritta in Roselle l’anno 867, parla di una permuta di Casali e poderi
fra i figli del fu Petrone della città di Chiusi con Wingisi conte di Siena, a cui fa dato in cambio il
casale di Tintinnano (Rocca Tentennano, che fu poi Rocca d’Orcia). Da questi antichi magnati
Chiusini ebbe origine la consorteria dei Conti di Marsciano, dei Signori dell’Ardenga, dei Visconti
di Campiglia, dei Manenti di Sarteano e di Castiglioncello del Trinoro, che ebbero tutti giurisdizione
nel territorio dei nostri castelli.
Né i beni regi erano estranei a questa contrada. Giacché si trova rammentata (817) la Terra del
re verso S. Quirico e Pian Castagnaio «quella della regina presso Novennano e Radicofani» e «nel
letto dell’Orcia si conserva, ancora in oggi, il pian del re, detto negli istrumenti antichi planum regis»
e son ricordate le corti del re a Sovana, a Montepulciano ed in altri luoghi circonvicini.
Attorno a questi anni (803) si hanno pure le prime notizie sulla potentissima prosapia dei Conti
Aldobrandeschi, anch’essa di origine Salica, e su i loro possessi dei contadi di Sovana, Grosseto e
Galliano, così estesi che «si diceva che solevano avere più castella, che non sono dì nell’anno». Un
Conte Lamberto, figlio del Marchese Ildebrando, con atto stipulato (973) nel suo castello di Galliano,
oppignorò a Ropprando Abate di S. Salvatore, per la somma di lire 10.000, in presenza di molti
testimoni del contado di Chiusi, 45 corti coi loro castelli e pertinenze, che egli possedeva nei contadi
di Chiusi, Castro, Toscanella, Sovana, Rosselle, Populonia, in quello di Parma, di Lombardia, di Novi
e nella Liguria. Ma nell’aprile del 989 la Contessa Ermengarda, figlia del Conte Ranieri, rimasta
209
210
REPETTI – TOM. 5°, PAG. 299.
PIZZETTI – Antichità Toscane, - BRUNETTI – Cod. Dipl.
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vedova del suddetto Lamberto, con atto stipulato in Lattaia, riacquistava tutte le 45 corti nominate,
delle quali una era Monticchiello.
In mezzo allo svolgersi di queste grandi signorie baronali, era sorta altresì, ed andava ogni giorno
estendendosi, un’altra signoria: vale a dire le abbazie ed i monasteri, investiti anch’essi di diritti e
poteri feudali.
……………………………………………………………………………………………………
………………………….
L’Abbadia di S. Salvatore, di cui è già nota l’origine, fu la più ricca di quante furono in Toscana.
I privilegi imperiali, emanati a suo favore da Ludovico Pio nell’anno 816, furono confermati ed
aumentati da Lotario I (836), da Ottone I (964), da Arrigo II (1006), da Corrado II (1027 e 1036). La
sua giurisdizione si estendeva a moltissimi villaggi, casali e castelli situati nei contadi di Chiusi,
Sovana, Toscanella, Castro, Orvieto, Siena, Grosseto, Populonia etc. come risulta da più documenti
del suo archivio, fra i quali verremo citando alcuni, che più interessano la storia dei nostri castelli.
Fin dal mese di maggio dell’anno 828, esistono istrumenti di comprite, fatte da quei monaci nel
casale di Corsignano: e quindi, nei privilegi imperiali degli anni 1027 e 1036 fu confermata al
suddetto monastero la corticella, che possedeva in Corsignano con tutte le sue appartenenze211.
Guido imperatore, con diploma dato in Roselle l’anno 837, conferma tutti i beni e diritti al
monastero di S. Salvatore nel Monte Amiata e gli dà concessione di tenere un mercato annuale212.
Il Conte Ugo, figlio del C. Ranieri, ed il C. Ildebrando della consorteria dei Visconti di
Campiglia, donarono (1072) al monastero Amiatino una corte con terreni, posta nel borgo di
Callimala, ove da tempo quella Badìa aveva il patronato di una chiesa sotto il titolo S. Cristina213. Ed
ugual patronato ebbe fin dal secolo X nella Pieve di S. Stefano in Tutona214, l’antica pieve di
Castiglion d’Orcia, della quale è questa, per avventura, la prima notizia.
La corte di S. Clemente in Tintinnano (Rocca d’Orcia) rammentata fin dal 915 in un diploma
dell’imperatore Berengario, a favore dei monaci Amiatini, fu loro confermata nel 5 aprile del 1027 e
di nuovo nel 1036 da Corrado II.
In uno istrumento (806) stipulato nella corte del detto monastero, con cui quei monaci
comprarono una vasta estensione di beni nel territorio di Sovana, figura come testimone un tal
Giordano di San Filippo215, casale che, con l’altro di Rota Cardosa (Ponte al Rigo) fu poi loro donato
da Ugo Marchese di Toscana, nell’anno 935216.
E da atti, di poco posteriori, resulta come quei monaci avessero giurisdizione su parte del castello
e distretto di Radicofani.
Con atto stipulato (1064) presso la rocca di Campiglia, fu loro donata, da alcuni patroni della
chiesa di S. Lorenzo, porzione del Borgo del Formone217; e nello stesso anno ebbero altre donazioni
di possessi, fra la pieve di S. Maria in Campo e il luogo di Mussona, con atto stipulato in
Reggiano218.Di questo castello poi nel 1028 avevano ottenuto per un fermaglio (nusca) d’oro del
valore di 100 soldi, la terza parte delle case, terreni, vigne, poggio e castello con tutta la chiesa di S.
Andrea, per istrumento stipulato ad S. Andrea propre flumen Horcea219.
REPETTI – Op. cit.-Vol. I. pag. 610.
MURATORI – Dissertazioni sopra le Antichità Italiane, Tom. 2° - pag. 35.
213
REPETTI – Vol. I°, pag. 310. – Il borgo di Callemala (Callimalus) era situato sulla via Francesca, alle pendici del
monte di Radicofani, presso il fiume Paglia.
214
REPETTI – Op. cit., Vol. I°. pag. 460.
215
BRUNETTI – ivi. Tom. 3°. Pag. 193. – Ciò solo dimostra all’evidenza quanto sia erronea la tradizione, che vorrebbe
che questo villaggio prendesse il nome da S. Filippo Benizzi, che venne al mondo più di quattro secoli dopo. Dunque il
suo nome si riferisce a S. Filippo Apostolo.
216
LIVERANI – Catacombe etc, pag. 281.
217
REPETTI – Vol. 4°, 553. LIVERANI – Catac. Pag.285. – L’antico Burgus de Formone era, con tutta probabilità,
l’attuale Ricorsi e non Castelvecchio, come crede Monsignor Liverani.
218
LIVERANI – Catac. Pag. 284. – S. Maria in Campo si disse poi Contignano, che sembra fosse edificato dai Conti di
Chiusi, forse dopo le devastazioni di Mussona, Reggiano e Vitena.
219
LIVERANI – Catac. Pag. 283. Ducato pag. 152.
211
212
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Al 1031 risalgono le memorie della Badìa di S. Pietro in Campo, allora di patronato dei Manenti
di Sarteano, alla quale un C, Pietro, figlio di Wingildo e di Teodora, insieme ai fratelli Ranieri e
Farolfo, faceva dono nel 1055 di alcuni possessi.
L’Imperatore Arrigo I, fin dal 1003, aveva donato a S. Romualdo alcuni beni nel Monte Amiata,
ove poi sorse l’Eremo del Vivo, in cui il santo abitò qualche tempo e stabilì la riforma Camaldolese220.
E circa li stessi anni, presso la chiesa di Santa Maria a Tuoma, fu edificato un ospizio di Eremiti
Camaldolesi, donde venne che la porta di S. Quirico, che guarda da quel lato, si chiamò e si chiama
tuttora Porta Camaldoli221.
E finalmente nell’anno 1016, la Contessa Willa figlia del fu Teudice e moglie del C. Bernardo,
con istromento rogato nel borgo di S. Quirico in Osenna, cedé alla Badia di S. Salvatore un possesso
dell’estensione di 12 moggia, situato nel vocabolo di Spineta, ove più tardi, per opera del C. Pepone
di Sarteano, sorse la Badia omonima. Il casale di Spineta, in prossimità di Agello, è più volte
rammentato nelle carte della Badia Amiatina: e i monaci possedevano, ivi presso, il castello di Mojana
con l’annesso territorio222.
È facile comprendere, come per tutte queste piccole sovranità, affinché non prorompessero fra
loro con la violenza, fosse necessaria una grande vigilanza ed una grande autorità che le contenesse:
e né l’una né l’altra vennero meno, fino a che Carlomagno fu in vita. Ma morto lui (814) il grande
edifizio, che aveva innalzato, cominciò ad essere scosso dai fondamenti, finché per le divisioni e le
guerre dei pretendenti alla corona dei suoi stati, l’opera sua andò in frantumi e l’autorità imperiale
decadde sì fattamente in Italia, che i signori feudali non ebbero più in essa quel freno, necessario a
contenerli entro i limiti della propria giurisdizione. Allora la violenza e la rapina tennero luogo di
diritto: e le dispute, che poi sorsero fra la chiesa e l’impero, contribuirono a mantenere questo
miserando stato di cose, da cui fra poco doveva sorgere un nuovo ordinamento sociale. Le
particolarità di questo disgraziato periodo, quantunque coperte da grande oscurità, si lasciano
intravedere così disastrose ed infelici, che quest’epoca è ritenuta come il ritorno ad una barbarie
peggiore della precedente.
I monaci intanto, datisi al lieto vivere e non atti alle armi, non curando, o non sapendo difendere
i loro vasti possessi, furono forse i più esposti alle usurpazioni dei signorotti vicini. E quando questi,
o pro remedio animae o pro remissione peccatorum, non vi ponevano riparo con atti di ultima
volontà, altro scampo non v’era che rifugiarsi sotto l’autorità degli imperatori, i quali, limitandosi ad
imporre la restituzione dei beni rubati, portavano un rimedio non sempre efficace. Gli imperatori
Lotario e Lodovico, fin dall’850, facevano noto a tutti i vescovi, conti e luogotenenti (locopositis)
come il monastero di S. Salvatore nel Monte Amiata fosse, per ogni modo, invaso, distrutto e
dissipato, comandando ad essi di fare a tutti restituire il mal tolto. Ma nel 1014 era quel luogo
nuovamente, mortalium invasione, pressoché ad nichilum redactum: talché l’abate Winizone, ricorso
in Pavia ad Arrigo, otteneva un diploma con la conferma di tutti i beni che ad esso spettavano223. A
questa decadenza materiale dei monasteri non era certamente estranea la rilassatezza della vita, a cui
i monaci si erano dedicati; e se i patroni di S. Salvatore consegnarono (1003) ad essi il luogo, quod
L’autore della Storia Camaldolese (Venezia 1759. Tom. I°. pag. 368) dice che l’Eremo fu fabbricato nell’anno 1015
e che in progresso di tempo, a qualche distanza da esso, sorse pure il monastero dei Cenobiti.
221
REPETTI – Tom. 5°. Pag. 114. – Le prime memorie di donazioni a S. Maria a Tuoma sono dell’anno 1099, in cui
Ventura Ginerio, figlio del fu Gualando, e Guinizzone, figlio del fu Adelmo, donarono a quel monastero molti terreni
nelle adiacenze dei torrenti Tuoma e Ramanciano, nel colle di Guarno, in Saturniano, nella Pieve di S. Quirico, presso il
fiume Asso e nel monte Gualando. (Annales Camaldulenses).
222
REPETTI – Vol. °. Pagg. 112 e 452 – Il castello di Mojana, oggi perduto, trovavasi, probabilmente, fra Castiglioncello
del Trinoro e Radicofani, presso la confluenza del torrente Guecenna nell’Orcia.
223
MURATORI – Dissertazioni etc. Vol. 3°. Pag. 538. – Le maggiori molestie vennero, forse, per parte dei
Aldobrandeschi, dei quali un C. Ranieri (1077) scampato da lunga malattia, rifiutò a Gerardo abate le male consuetudini
e visite fatte nei luoghi e terre di pertinenza di quella badia, comprese nella Contea Aldobrandesca, e pochi anni più tardi
prometteva allo stesso abate di non opporglisi rispetto alla costruzione di un castello, che i monaci volevano edificare, a
partire dalla Chiesa di S. Maria di Mojana alla via petrosa.
220
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ibidem fuit monasterio puellarum, ingiungendo che vivessero regolarmente, perché altrimenti
sarebbero stati cacciati e surrogati da altri migliori224, sembra manifesto che così fosse veramente.
Tuttavia dovette esser questo il vero secol d’oro del feudalismo; giacché, scaduta l’autorità
imperiale, i feudi, che fino ad ora erano stati personali, cominciarono, a poco a poco, a farsi ereditari:
ed i proprietari di beni allodiali, per salvarsi dalle usurpazioni di prepotenti vicini, furon costretti a
mettersi sotto la loro protezione, aumentando così il numero dei loro vassalli. E si videro, così, più
conti arrogarsi titoli pomposi e salire a tanta potenza, da disputare fra loro il regno d’Italia, che pure
occuparono per diversi anni, finché l’autorità regia ed imperiale non passò ai tedeschi, nella persona
di Ottone I il grande (964).
Fu pure in questo tempo, che numerose orde di Ungari e di Saraceni devastarono e
saccheggiarono l’Italia, per lo spazio di ben 50 anni, e che, distrutte Populonia e Rosselle, quegli
abitanti, rifugiatisi in Siena, dettero ad essa «occasione di farsi grande»225.
Avanti quest’epoca si viveva, secondo il costume Longobardo, in villaggi aperti e senza difesa:
e quel castello Orlas, che non si sa dove fosse, e quel Castel di Villero nei pressi di Cosona,
rammentati fin dai primi anni del secolo IX, sono esempi più unici che rari. Ma quelle feroci
incursioni e lo stato di violenza, in cui ora internamente si viveva, fecero necessario il render la vita
e le sostanze sicure e dalla scimitarra dei Saraceni e dalle notturne aggressioni degli scherani
(briganti, masnadieri) feudali. Allora qualunque ammasso di rocce, qualunque inaccessibile
luogo, parvero buoni per impiantarvi quei turriti castelli, da dove i fieri feudatari, riposando sicuri,
potevano a loro volta, come uccelli grifagni, piombare ai danni dei loro vicini e dei Romei, che
andavan passando per la via Francesca. Giacché fu allora che la Val d’Orcia si coronò di castelli e di
torri: e se deve prestarsi fede allo storico Manente, fu appunto nell’anno 978 che «i nobili Visconti di
Valle Paglia fondarono Campiglia et altri castelli intorno, essendo potenti et ricchi Signori»226.
……………………………………………………………………………………………………
…………………………………………..
Pag. 33
…………………………Il feudalismo adunque fu veramente come arco a congiungere le
istituzioni barbariche alle moderne. Ed è cosa notevole che sì grande mutazione si compiesse, con
mirabile coincidenza di tempo, quasi dappertutto, intorno al 1100: e non vi è prova sufficiente che
dia ragione agli storici Senesi, che vorrebbero la loro città essersi resa libera in epoca molto
anteriore227.
Da Carlomagno in poi, la Toscana era stata amministrata da una serie di Marchesi, all’ultimo dei
quali, mancando la linea mascolina, successe la gran Contessa Matilde che «lasciò, per testamento,
alla Chiesa di Roma quanto è dal fiume Pissia a S. Quirico, su quel di Siena, fino a Ceperano,
dall’Appennino al mare»228. Rimane memoria di due soste fatte da lei alle Briccole di Val d’Orcia,
224
Sed volumus ut ipsi monachi regurariter vivant. Et si ipsi monachi regulariter vivere noluerit, tunc habemus licentiam,
nos suprascripti, illos foras ejicere et alteros introducere meliores, qui ipsum ordinem melius cystodiant. – (MURATORI
– IVI. PAG. 210).
225
LEONARDO ARETINO – Istoria Fiorentina – Le Monnier, pag. 45.
226
CIPRIAN MANENTE – Istoria di Orvieto pag. 2.
227
Le popolazioni rurali, soggette ai signori feudali, non poterono, che assai più tardi, costituirsi in Comune: ed è assai
rimarchevole che gli abitanti della Rocca a Tentennano ottenessero da quei Conti, fin dal 1207, alcune franchigie stipulate
e giurate in una Carta Libertatis, che servì di norma anche a statuti posteriori. Scopo di tali convenzioni era che utraque
pars in equitate, iustitia et libertate vivat et ad dicte arcis Tintinnani, que, si plebis copiam haberet, inter ceteras Italie
Arces perplurimum polleret, augumentum et melioramentum tribuat. ZDEKAUER - «Carta Libertatis» e gli statuti della
Rocca di Tintinnano (Bull. Sen. Anno III fasc. IV).
228
PLATINA – Vita di Pascale II. Pag. 141. ALBERTI – Descrizione etc. pag. 31. – La donazione di Matilde suscitò una
questione intricatissima fra la Chiesa e l’Impero, che Enrico V. risolvé, calando in Italia ad occupare i beni controversi e
minacciando di far prigioniero il papa, che protestava.
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da dove emanò un placito (17 settembre 1079) a favore del vescovo di Lucca229, ed assisté ad un
istrumento (dec. 1088) (dicembre 1088) con cui il C. Ranieri, del fu Aldobrandino degli
Aldobrandeschi di S. Fiora, promise, mediante il regalo di 100 lire Lucchesi, di non fare ostacolo alla
edificazione di un castello, che l’Abate di Monte Amiata voleva erigere a Serra di Ruga. E fin dal
1072, insieme a Beatrice sua madre, aveva nel contado di Chiusi un altro placito, con cui fu
aggiudicata la Rocchetta di Sezzano al suddetto monastero.
Dalle notizie prodotte si può intanto rilevare, come la Val d’Orcia, alla fine dell’XI secolo, fosse
divisa fra due, anzi tre signorie. La parte orientale, che si estende da Castiglioncello del Trinoro e
dal monte Pisis o Presis (il monte Cetona) a Radicofani, oggi così deserta, ma allora ricca di casali,
di castelli, di vigne e di oliveti, si trovava sotto la dipendenza di quella consorteria, discesa dagli
antichi Conti di Chiusi, a cui appartenevano i Manenti di Sarteano e quel Visconti230, che unitamente
ai vicini Conti di Marsciano, avevano giurisdizione su Campiglia, porzione di Radicofani e su
moltissimi castelli di Valle Paglia. Sulla parte opposta invece si distendevano i dominii della
vastissima Contea Aldobrandesca, a cui appartenevano Monticchiello e Castiglione, mentre sulla
vicina Rocca, a Bagno Vignoni e porzione di San Quirico dominava un ramo dei Signori
dell’Ardenga, feudatari degli stessi Aldobrandeschi e che presero più tardi il titolo di Conti di
Tintinnano. Da ogni parte poi si insinuavano i possessi di quella Badia S. Salvatore, che abbiamo
visto così beneficata e così malmenata dai suoi potenti vicini.
E in lontananza era Siena, già ingrandita di fabbricato e di popolazione, quantunque con territorio
tuttora ristretto a poche miglia di raggio attorno le mura, ma che il nuovo spirito di libertà doveva
spingere a maggiori grandezze e fare in se3guito emula, non superata, della vicina Firenze.
Pag. 36 e segg.
……………………………………………………………………………………………………
…………
Il Conte Manente dei Visconti di Campiglia donò al Comune di Siena (1138) e per esso al
vescovo Rainerio, l’intera sesta parte del castello, poggio, case ed edifizi di Radicofani: 231ed essendo
tuttora l’altra parte di proprietà dei monaci dell’Abbadia S. Salvatore, il pontefice Eugenio III, con
bolla concistoriale dei 23 febbraio 1143, confermava nella persona di Ranieri abate tutti i beni che
ivi possedevano, dichiarando il monastero sotto la protezione della S. Sede, alla quale dovevasi
annualmente retribuire 200 denari d’oro.
Ma i Senesi che, per quella donazione a loro fatta dal C. Manente, erano venuti in animo
d’impadronirsi dell’intero castello, presero occasione dall’essere il pontefice occupato nella guerra
con Ruggiero Duca di Calabria, per muoversi con le loro genti a quell’impresa (1145). Ma non
avendone ritratto altro costrutto, che quello di alienarsi l’animo di quelle popolazioni, per i danni
arrecati, e trovandosi con l’esercito nel piano dell’Abbadia S. Salvatore, fecero convenzione con
l’abate, che promise, con giuramento, di tenere per il Comune di Siena quella porzione, che il C.
Manente aveva ad esso donata, con obbligo di cederla ai Senesi, a qualunque loro richiesta ed in
qualunque occasione avessero bisogno di far guerra a chiunque, fuori che alla detta Badia e con
dichiarazione che esso Abate non pretenderebbe alcun rifacimento ai danni, che durante quella guerra
aveva ricevuti232. Gli Orvietani però, che mal sopportavano qualunque ingrandimento dei Senesi, con
buon numero di cavalli e con genti del papa, che erano a Montefiascone «andarono nel Senese sul
fiume d’Orcia verso S. Chirico et messero a sacco Corsignano et S. Chirico»233 che era allora sotto la
dipendenza di Siena.
229
UGHELLI, Tom. I°. pag. 872.
L’antico nome di Visconti ( vice-comes) fu forse, in origine, titolo di dipendenza, ma si cambiò poi nel nome proprio
dei Visconti, che signoreggiarono da assoluti dinasti nei loro possessi.
231
Caleffo vecchio c. 21.
232
Caleffo vecchio c. 25.
233
CIPRIAN MANENTE, pag. 55.
230
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Pochi anni più tardi papa Eugenio III, avendo recuperato alla Chiesa alcune terre « che erano da
varii tiranni occupate » e volendo assicurare maggiormente suo stato, acquistò, col consenso dei
vassalli di Radicofani, da Ranieri abate di S. Salvatore, la metà di questo paese con la sua corte e col
sottostante borgo di Callemala, obbligando la camera apostolica a pagare ai monaci l’annuo censo di
sei marchi d’argento, a condizione che, mancando tre paghe successive, nel quarto anno s’intendesse
annullato il contratto234. E il Conte Paltonieri figlio del C. Forteguerra, con istrumento stipulato nel
borgo di S. Quirico, donò alla Chiesa Romana il castello di Monticchiello, riprendendolo poi in feudo,
per l’annuo censo di un bisanzio d’oro, per sé e i suoi figliuoli, con patto che, venendo essi a mancare,
dovesse appartenere in perpetuo alla Chiesa.
Le cose d’Italia andavano frattanto maggiormente avviluppandosi. Una questione proposta da
Federico I (Barbarossa) alla dieta dei campi di Roncaglia e risoluta in favore dell’Impero, ebbe per
effetto lo sterminio di quelle povere città lombarde, che avevano osato scuotersi dal collo il giogo
imperiale. Ed il papa (Adriano IV) forse temendo che la tempesta, che andava da qualche anno
addensandosi non dovesse scaricarsi su di lui, intesa la venuta di Federigo in Italia (1154) si affrettò
di tirare a termine le opere di difesa, già iniziate in Radicofani, fortificandolo di mura e di torri235,
in modo da renderlo quasi inespugnabile: ed ivi per qualche tempo abitò236. E quando Barbarossa,
accomodate a suo modo le cose di Lombardia, s’incamminò con tutto il suo esercito alla volta di
Roma, per ricevervi la corona imperiale, il pontefice, che si trovava in Viterbo, mandogli incontro
il Cardinale dei SS. Giovanni e Paolo, Guido Cardinale di S. Prudenziana ed il Cardinale Diacono
di S. Maria in Portico con le istruzioni necessarie, per trattare gli interessi della Chiesa col futuro
imperatore. Giunti questi legati a S. Quirico, trovarono quivi accampato l’esercito del re: e ricevuti
da Barbarossa, con grande onore, nel padiglione reale, fu discusso e stipulato un trattato, con cui si
convenne che, in compenso della promessa della corona imperiale, dovesse Federigo dare nelle mani
del papa Arnaldo da Brescia, rifugiato allora nel castello di un Conte della Campania, ed adoperarsi
a soffocare quello spirito di libertà e quel simulacro di repubblica, che veemente eloquenza del frate
aveva saputo suscitare in Roma. Cosa che fu purtroppo scrupolosamente osservata.
Ma i buoni rapporti fra chiesa e l’impero ben presto si ruppero: de inasprendosi allora le
ire……………………………………………………………………………………………………
……….
E nel tornare che fece Federigo in Germania messe guardie di Tedeschi in più luoghi, et a
Radicofani ridusse la rocca a miglior forma e, lasciandovi buon presidio di soldati, s’avviò in
Lombardia.
Pag. 49 e segg.
……………i Fiorentini, pensando che avrebbero potuto avere qualche ragionevole vantaggio,
se avessero tenuto le forze dei nemici divise «l’anno 1230 vi menarono il carroccio e feciono
maggiori danni che nel primo, perciocché oltre che ebbono ardire di passare di là da Siena e
lasciandosela addietro, andare fino a S. Quirico a Rosenna, disfeciono anche il Bagno a Vignoni,
MURATORI, Antiquitates etc., tom. 3°, pag. 273. – All’atto solenne, stipulato in Roma il 29 Maggio 1153 e sottoscritto
da Eugenio III e da diversi magnati e consoli dell’alma città, intervenne pure uno dei Conti di Tintinnano, che figurava
fra quelli che davano il consenso per parte dei monaci e che si qualificò per Obicio Tiniosi Comes de Tintinnano.
235
Papa Adrianus fecit gironem in Radicofano et torribus munivit. – Ptolomei Lucensis Annales, - Cronache dei sec. XIII
e XIV, pag. 54. (Il Pecci dice che Adriano IV iniziò i lavori ma che furono terminati nell’anno 1158). B. e
R. Magi, Memorie di un’antica terra di frontiera e di Fortezze, Abbadia S.S. 2006, pag. 67.
236
Circa Vulsinios nonnulla oppida reconcinnavit: Radicophanum, in agro ac dictione nunc senensium, arce et moenibus
munijt, ubi quandoque abitavit. – Raphaelis Volaterrani – Commentariorum etc., pag. 663.
Anche nella cronaca attribuita a Brunetto Latini vien detto che papa Adriano «fece le mura e le torri di Radicofani» e
che «comperò dai Conti di Santa Fiora molte possessioni e castella» - VILLARI – I primi due secoli della storia di
Firenze. Vol. I°, pag. 216.
234
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discorrendo con grandissime prede per Valdorcia insino a Radicofani»237». Ben venti castella furono
abbattute. Ma i Senesi che sopra ogni altra cosa avevano a cuore Montepulciano, lasciando liberi i
Fiorentini in questa loro scorreria, fecero raccolta di sempre maggiori forze e presero al loro soldo
diversi valorosi capitani e fra questi «il Conte Gherardo, legato imperiale, e con grossa banda di
cavalli lo tennono in M. Icchiello». …………….. Messe insieme le milizie di due terzi della città,
le inviarono, sotto il comando di Trasmondo podestà di Siena, alla volta di Campiglia, della quale
in due giorni si resero padroni, compreso il palazzo e la superiore fortezza238.
…………………………………………………………………………………………………
…………………………………………………………..
Alcuni anni più tardi (1244) i signori Pepo, Bulgarello, Rimbotto e Manente, Conti di Sarteano,
sottomisero al Comune di Montepulciano tutte le loro terre di Sarteano, Chianciano, Panciano,
Panicale
e
Badia
di
Spineta,
con
le
loro
corti
e
distretti239……………………………………………………………………………………………
……………………
A Firenze dopo una furiosa guerra civile, furono cacciati i guelfi (1247): e in breve tempo, non
solo quella città, ma tutta la Toscana si governava a beneplacito dei Ghibellini, protetti dalla fortuna
dell’imperatore240.
Ma quando la stella di Federigo cominciò a volgere al tramonto, per la declinazione delle cose
sue sì in Germania che in Italia e per le censure ecclesiastiche, alle quali era continuamente fatto
segno, le città, anche quelle che più si conservavano fedeli all’impero, cominciarono ad agire con
minor soggezione. E poiché ai Senesi stava immensamente a cuore l’assicurarsi contro
l’Aldobrandeschi, che per diversi fatti si era dimostrato loro nemico, procurarono di allargare il loro
territorio dalla parte della Val d’Orcia, comperando (1250) dai monaci del Vivo, col consenso del
pontefice, Castiglioncello «che da indi in qua si dice Senese ed all’hora si diceva dei ladroni»
……………………………..In questo medesimo tempo sembra che anche Corsignano venisse in
potere della Repubblica (1251)…………
Pag. 64 e segg.
…………………………………….. Si elessero 12 magistrati, per la guardia della città e dello
stato «li quali munirono e rafforzarono Monticchiello, S. Quirico e la Rocca di Tentennano» e
AMMIRATO – Lib. I°, pag. 174. – Scopaverunt totum comitatum et fregerunt eorum serralia, usque ad portas civitatis
et coeperunt balneum et destruxerunt XX castra eorum (Ptotomei Lucensis Annales – Cronache, Pag. 27). Con tutta
probabilità fu in questa circostanza che furono distrutti il castello di Mont’Ertine, Agello ed altri luoghi della Valdorcia,
dei quali, da quell’epoca, non si ha più cenno negli atti della Repubblica.
238
Trasmundus Potestas Senensis cum duabus partibus civitatis ad arcem ipsam accessit et aeguenti die capta fuit reliqua
pars burgi, cum sala (il cassero o palazzo) et arce superiori (cioè Campigliaccia). (Cronica di Andrea Dei in MURATORI,
tom. XV, pag. 25). Nel tempo che i Senesi erano accampati colà, sembra che non potessero resistere alla voglia di tentar
nuovamente l’impresa di Radicofani e che, per la seconda volta, riuscisse contraria ai desideri loro. Giacché Gregorio IX
faceva noto (25 giugno 1235) al vescovo di Palestrina che, attesi i danni, che i Senesi avevan fatti agli abitanti di
Radicofani, sudditi della S. Sede, aveva loro fulminato la scomunica, e dava facoltà ad esso vescovo di assolverli, quando
avessero dato cauzione, per un conveniente rifacimento. Ed infatti si trova che il sindaco di Siena, il 17 Settembre dello
stesso anno, sborsò al Comune di Radicofani, sulla piazza di Monticchiello, 1257 lire e 16 soldi, in conto dei danni fatti
a quel paese e suo distretto
Le note sottoscritte devono intendersi posticipate.
239
Ecco come erano descritti nell’atto originale i beni che questi signori possedevano in Val d’Orcia: In primis inter
curtem Sartiani et districtum curiae Scetonaeet mittit in Astronem et includit silvam Montallesem versus Clancianum,
versus Radicofanum et includit Agellum et curtem eius et ab Urcea protenditur usque ad fossatum Meglie usque ad
Coninum (Pieve vecchia sotto Monticchiello). Documento pubblicato da Monsignor Liverani – Catac. Pag. 301.
240
L’imperatore, al suo ritorno da Napoli, lasciò in Toscana per suo vicario e capitano generale, con buon numero di
truppe, suo figlio Federigo re di Antiochia, il quale, durante la dimora che fece in Siena, mosse guerra ai Perugini e li
sconfisse, aiutandolo in questa spedizione i Senesi, che vi mandarono cento soldati, sotto la condotta di Aldobrandino di
Conte dei Conti di Tentinnano.
237
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mandati ambasciatori a quei fuorusciti di Radicofani (guelfi), non si approdò ad alcun amichevole
accordo. Spedite allora a quella volta le bande Tedesche, con la maggior parte delle milizie urbane,
si scontrarono coi Guelfi presso la Badia di Spineta e nel primo fatto d’arme li vinsero. Ed avendone
alcuni uccisi241, quasi tutti gli altri portarono a Siena prigioni che, sottomessisi nuovamente,
giurarono fedeltà alla repubblica ed a Manfredi, rinunziando a qualunque lega che avessero e
specialmente a quella detta degli Assassini, nella quale erano i Guelfi di Firenze, i Lucchesi, gli
Aldobrandeschi di Pitigliano ed il Visconti di Campiglia………………………………..
Pag. 70 e segg.
Fra il continuo tramestio di quelle discordie civili potevano, con maggior libertà, esercitare le
loro prepotenze quegli illustri briganti «che fecero alle strade tanta guerra»242 dei quali Ghino di
Tacco è rimasto il più famigerato, il più perfetto campione243.
Costui dei nobili della Fratta, perseguitato dai Senesi244 e nemico dei conti di S. Fiora, fattosi,
per vendetta, bandito ed assassino da strada, aveva ribellato Radicofani alla Chiesa di Roma e quivi
fortificatosi, esercitava le sue ruberie, interrotte da qualche grossa burla, come la famosa cura della
languidezza di stomaco all’abate di Clignì (Cluny (città della Francia) abate che era
considerato come il papa in Francia)245.
Non molto dissimili a lui erano i signorotti vicini: Napoleone Visconti aveva, in questo tempo,
occupato alcuni effetti della Badia Amiatina; ma ammalatosi nel suo palazzo di Castelvecchio,
riconosceva l’ingiustizia del suo operato e, con atto del 3 luglio 1279, faceva restituzione completa
al sunnominato monastero. Né l’essersi per l’avanti Sinibaldo Visconti fatto monaco nel Monte
Amiata, era valso ad impedire quelle usurpazioni: e dopo la morte di lui ripullularono le contese,
perché i monaci, che volevano accedere, jure hæreditatis, nei suoi possessi, intentarono lite ai suoi
successori. I monaci della Badia di Spineta doverono locare al Comune di Orvieto il loro poggio di
Mojana, per la costruzione di un castello, detto Monte Orvietano, ritenuto necessario alla utilità ed
alla difesa del monastero, che era frequentemente oppresso dalla potenza dei tiranni246. (in questo
periodo a Radicofani c’era un paese pieno di militari, nobili e proprietari terrieri che
cercavano in tutti i modi di poter prendere il potere anche a scapito del papa e
certamente questa situazione favorì la presa del potere di Ghino di Tacco. C’era già
la famiglia Guasta e, infatti, lo “statuto di Radicofani del 1255 è firmato anche da
uno dei Guasta che è un parente stretto avo di “Dino da Radicofani” e Guasta da
Radicofani, futuro capitano del popolo di Firenze nelle lotte contro Castruccio
Castracani).
Pag.74 e segg.
Nel tempo che durava la guerra dei Senesi contro il contado Aldobrandesco, Messer Guasta, uno
dei principali di parte Guelfa, con l’aiuto dei Monaldeschi, occupata furtivamente una notte la rocca
In questo fatto d’arme morì Messer Guccio Tolomei, uno dei principali di parte Guelfa e che fu segnalato da Franco
Sacchetti nella spiritosa novella di Donna Bisodia.
242
DANTE, Inferno, c. XXII.
243
Benvenuto da Imola, nel commento di Dante, se ne mostra addirittura entusiasta. Ecco le sue parole : Ideor lector volo
quod scias quod iste Ghinus Tacchi fuit vir mirabilis, magnus, membrutus, niger pilo et crine, fortissimus, ut Scaeva
levissimus, ut Papirius Censor prudens et largus. Fuit de nobilibus de la Fratta, Comitatus Senarum, qui, expulsus viribus
Comitum de Sancta Fiora, occuvavit Castrum nobile Radicofani contra Papam e via di seguito fino a dire che i suoi
uccisori, come quelli di Cesare, finirono tutti in malo modo.
244
Nel consiglio della campana del I° Agosto del 1279 fu deliberato «che si cerchi dove sono stati ricettati Tacco e Ghino,
figliuoli del già Ugolino della Fratta, che hanno tentato muovere insidie agli abitatori di Torrita» (Pecci).
245
BOCCACCIO – Decamerone, Novella 11^, giornata X.ª.
246
Cod. dipl. d’Orvieto, pag. 320, Cum costrutionem dicti castri cognoscat pertinere ad magnam utilitatem, defensionem
et exaltationem dicti monasterii et iurium ipsius, quod frequenter opprimitur per potentiam tirannorum.
241
109
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di Radicofani, vi si era fortificato a danno dei Ghibellini. Il che inteso dal Conte Guido di Santa Fiora
«con cavalli et pedoni» corse al loro soccorso: e fatto venir da Siena Pone di Campiglia, con 150
cavalli, sotto il comando del capitano Girardello da Forlì e così crescendo gente da ogni parte e venuti
alle mani, ebbero i Guelfi una rotta «dove morirono circa 400 fra cavalieri et pedoni di più luoghi» e
il capitano Girardello fuggì: e restando Guasta nella rocca, si dette in mano del Cardinale Teodorico,
capitano del patrimonio per il Papa. Ma nell’anno seguente, essendosi Radicofani col favore del C.
di S. Fiora ribellato (1301) Ermanno Monaldeschi «con cavalli et fanti et molta gente di Val Lago,
Valle Paglia et Valle Chiane» dette il guasto alla terra fin sotto le mura, e andatovi poi il Cardinale
Teodorico, con la cavalleria di Orvieto, fu ripresa la rocca e restituita ai figliuoli di Guasta, mentre i
Ghibellini,
costretti
a
fuggire,
si
ritirarono
in
Acquapendente
e
Proceno.
………………………………………………………………………………………………………
Tanto che fra i due Comuni di Siena e di Orvieto fu conclusa una lega, per difesa scambievole
(1316) e per far guerra, fino alla loro totale distruzione, ai comuni nemici e specialmente ai Conti di
S. Fiora, ai Signori di Montemerano, di Vitozzo e di Baschi, che tutti ribelli, con cavalli e fanti
prendevano a forza terre e castelli cacciandone i Guelfi, e che entrati, pur allora in Abbadia S.
Salvatore, avevano fatto innumerevoli danni, rubando masserizie e bestiami. Nel frattempo Guasta,
capitano di guerra in Radicofani, che aveva trattato con alcuni di Abbadia, che dovessero rendersi a
lui per il C. di Orvieto, in un giorno determinato, avvicinatosi colà con una mano d’armati, trovò che
il capitano del Conte aveva fatto catturare i fautori del trattato; per cui svanita l’impresa, fatto più
danno che poté, tornò a Radicofani, aspettando soccorsi: e intanto le masnade dei ribelli rimanevano
libere nella loro opera di distruzione.
……………………………………………………………………………………………………
L’azione ferma e risoluta del governo della Repubblica cominciava a portare qualche buon frutto.
Il signor Pietro da Farnese sottopose spontaneamente sé e la sua Terra di Contignano al C0mune di
Siena (1339) e nuovamente si sottoposero e si fecero censuari i Conti di S. Fiora: Credi, Poncino e
Neroccio de’ Visconti di Campiglia, dopo che Castelvecchio fu loro dai Senesi distrutto, per sfuggire
danni più gravi, in quello stesso anno capitolarono con la repubblica, facendosi cittadini Senesi e
sottoponendosi alla lira: e si mise sotto protezione dei Senesi il Comune di Radicofani « con Guasta
di Pone di Ms. Guasta che s’era fatto tiranno di detto luogo247.
Pag. 86 e segg.
……………………………………………………………………………………………
La cosa era arrivata al punto che Guasta, valoroso capitano dei Senesi in Radicofani, avvisava il
fedele Giovanni Visconti che, essendo stato richiesto dall’ambasciatore pontificio di ricevere in quella
rocca presidio di milizia Brettona, se i Senesi non avessero tosto mandato nuovi rinforzi, egli vi
avrebbe aderito, per le tante ingiurie che dai sudditi di Siena aveva dovuto subire.
Spedite allora sollecitamente in Val d’Orcia più squadre di cavalli, fu nel combattere preso
Niccoluccio Malavolti e data la caccia agli altri, che poterono a stento salvarsi, con Agnolino
Salimbeni, nel castello della Rocca a Tentennano. …………………………………………………
……………………………………………………………………………………………………
Pag. 91 e segg.
In questo medesimo tempo (1402) Ghinasso e Bigallo, due tristi campioni di casa Salimbeni, che
trovavano sicurezza nelle fortezze dei loro consorti, avevano con frequenti latrocini, ricatti ed omicidi
sparso terrore per tutta la Val d’Orcia. «Ghinasso alfine fu impiccato in campagna»: e Bigallo che,
MALAVOLTI, PAG. 109. I patti furono: mandare ogni anno a Siena per la festa d’agosto, un palio di seta del valore
di 15 fiorini: far pace e guerra a volontà della repubblica, fuori che contro la Chiesa Romana, salvo essendo le ragioni,
che aveva in Radicofani la corte di Roma ed eccettuati la rocca e il cassero, che erano tuttora custoditi a spese comuni,
dal pontefice e dai monaci dell’Abbadia S. Salvatore.
247
110
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dopo aver loro estorte più taglie, aveva ammazzato il marito e parte dei figliuoli di «Monna Gianna
della Ripa di Gota (?)» fu da essa, assistita da alcuni parenti, colto in agguato e ucciso. E «posto a
traverso in sur’ uno asino, la donna lo condusse a Siena; e quando fu alla porta domandò che gabella
pagava un porco morto. El portiere maravigliato la lassò passare e si condusse a’ piei del Palazzo dei
Signori, e lì lo scaricò. La Signoria volse premiare la donna di buona somma d’oro e essa, ricusando,
rispose non aver fatto quell’homicidio per denari, ma per punire la crudeltà dell’inimico suo, con ogni
ragione»248.
Liberatisi poi interamente i Senesi dalla soggezione dei Visconti e riformato il governo, volendo
ad ogni modo ridursi in più pacifico stato, nel mese di marzo del 1404 stipularono un accordo con
Cocco Salimbeni e tutti i suoi castelli e fortezze, che in quel tempo erano: Chiusi, Radicofani,
Castiglioncello del Trinoro, Rocca a Tentennano, Castiglion d’Orcia, Celle, Contignano, Foscola,
Rimbecca, Castelvecchio, Poggio di Val d’Orcia, Bricola, Castellare di Geta e quello di Monte
Antico249. …………………………………………………………………………………………….
Pag. 95 e seg.
Questi danni continui, a cui i sudditi del Salimbeni erano esposti, fecero sì che alcuni di essi,
partito re Ladislao di Toscana, parendo ormai tempo di liberarsi da quella servitù si ribellarono.
Contignano si mise sotto la protezione dei Senesi: e « gli abitanti di Radicofani non volendo più
sopportare quel tiranno, levato il rumore, riconobbero M. Carlo di Agnolo Bartoli e Giovanni
Franceschi, Commissari della Repubblica, i quali a quest’effetto avevano seco là condotto Agnolino
da Polsi con 200 lancie, che a nome della città lo lasciarono a guardia di quella fortissima rocca e
passarono a Amelia a trattare col Cardinale di S. Eustachio, acciò Radicofani rimanesse libero alla
Repubblica: ma egli, affermando che quella Terra era patrimonio di S. Pietro, negò sempre
costantemente la domanda a’ Commissari ».
Ad ogni modo era uno dei più forti castelli, che sfuggiva dalle mani di Cocco: e i Senesi, traendo
profitto da questo momento di prosperità, si dedicarono, con più ardore, a ridurre all’obbedienza i
gentiluomini loro nemici………………………………..
…………………………………………………………………………………………………
Di questo medesimo tempo il Tartaglia, capitano al soldo di Iacopo Piccinino, impadronitosi di
Radicofani, lo aveva, dopo averlo messo a sacco, venduto ai Senesi. Gli uomini di quel castello fecero
atto di sottomissione alla Repubblica (24 Maggio 1411)250 e nell’anno di poi il Pontefice Giovanni
XXII
lo
concedeva
formalmente
in
vicariato
al
C.
di
Siena251.
…………………………………………………………………………………………………………
Tutta la Val d’Orcia era finalmente libera da signorie nemiche: e l’antico confine che, per la
sottomissione di Campiglia (1345) si era esteso dalla Bricola fino al distretto di Radicofani, era ora,
per gli ultimi trattati conclusi Paese, arrivato a Centeno, che rimase poi sempre di limite fra il territorio
Senese e il vecchio Stato Pontificio. E tutte quelle rocche, che avevano dato occasione a tanti travagli,
Annali Senesi d’Anonimo. In MURATORI, vol. XIX. Iohannis Bandini ecc.: - ivi. – L’autore degli annali senesi e il
Bartolomei riferiscono a Bigallo e Ghinasso, ponendola intorno al 1402, la cattura e susseguente cura del mal di stomaco
all’Abate di Clignì, che dal Boccaccio è attribuita a Ghino di Tacco. Il Padre Guglielmo della Valle espresse, più tardi,
una opinione consimile, facendo autore del fatto Cocco Salimbeni. Ma vi è anacronismo evidente: giacché se ciò fosse, il
Boccaccio, che era già morto fin dal 1375, non avrebbe potuto trarne argomento per la sua novella, né Benvenuto da
Imola parlarne nel commento di Dante.
249
Doc. VI. – Radicofani era stato comprato da Cione fin dal 1380 e Contignano fu dal medesimo acquistato, dai Signori
di Farnese, per cinquecento fiorini d’oro, nel 6 agosto 1390 (Delizie degli eruditi Toscani. Tom. 23, pag. 148).
250
Caleffo rosso. C.e 176t, 179. Pio II, nei suoi Commentari, attribuisce a Nanni Piccolomini, compagno d’armi del
Tartaglia, la conquista di Radicofani, che sarebbe stato tolto dalle mani di un certo ladrone (ex manu prædonis
cuiusdam).
251
Caleffo rosso. C.e 179, 181. Pochi anni più tardi fu messo mano in Radicofani alla edificazione di una nuova fortezza,
per opera di quattro maestri muratori Lombardi, che furono Aliotto di Cambio, Simone di Ciccarello, Giovanni del
Carfusia e Francesco di Giovanni, a ciò deputati dalla Repubblica. (Repetti).
248
111
Libri su Radicofani
Personaggi nati a R.
Renato Magi
erano finalmente, dopo oltre tre secoli, dacché Siena si reggeva a Comune, divenute fortezze dello
Stato.
Pag. 102 e segg.
I castelli ebbero, invero, una parte così interessante, così strettamente connessa con le vicende
dei secoli di mezzo, che chi conoscesse intimamente la storia di qualcuno di essi potrebbe, senza
difficoltà, modellarvi sopra tutta quella d’Italia di otto secoli almeno.
Iniziati per quello spirito di feroce indipendenza individuale, trapiantato dai Barbari nelle
sfiaccolate provincie Romane, ebbero il loro massimo sviluppo al tempo dei re Carolingi e del grande
Ottone. Perché, divisa fra un numero più grande di signori, la proprietà territoriale, continuamente
minacciata dalle frequenti scorrerie dei Saraceni, in ogni roccia inaccessibile, in ogni più selvaggia
gola di burrone furono impiantate di queste fortezze, che rendevano il proprietario sicuro da nemiche
aggressioni. Scossa poi l’autorità degli imperatori, ogni gentiluomo viveva nelle sue terre da piccolo
sovrano; ed i castelli divennero allora la sede di quelle corti baronali, che ebbero tanta influenza sui
destini d’Italia. In quelle castella andò agguerrendosi quella fiera nobiltà, che combatté così a lungo
contro lo spirito Guelfo dei cittadini, mantenendo vivo fra quelle inaccessibili mura, il Ghibellinismo
in Italia. Di là uscirono i nobili con l’ufficio di Podestà e di Capitano e ricomparvero, più tardi, sotto
le vesti di capitani di ventura. Da quelle castella uscirono le crociate, la cavalleria, i tornei, le regole
del duello. A quelle castella si connette quella immaginosa letteratura che, dalle romanze dei
Trovatori e dalle leggende della Tavola Rotonda, si rifletté nei poemi del Tasso e d’Ariosto, per cader
poi, fra le risate del pubblico, con l’opera di Cervantes.
Venuti finalmente i castelli in potere delle Città, non ebbero una parte meno importante da
compiere: giacché, per il modo di guerreggiare di quei tempi, essi opponevano un ostacolo, quasi
sempre insuperabile, alle armate nemiche. Facevasi allora la guerra più al popolo che all’armata: e
tutto il popolo riguardandosi come nemico, i soldati consideravano gli averi degli uomini, nel cui
territorio ardeva la guerra, come legittima preda e facevano prigionieri i terrieri e i contadini, che non
rilasciavano che dietro una taglia. Da questo venne che eranvi a quei tempi pochissime case sparse
nei campi e gli agricoltori abitavano dentro i castelli, dove tenevano le robe e i mobili più preziosi. E
poiché la guerra veniva, quasi sempre, dichiarata per tempo, il governo ordinava di trasportare nelle
terre murate tutti i bestiami e le messi, che trovavansi alla campagna e davasi quindi, non di rado, il
guasto all’intero territorio252. Per cui il nemico, non trovando modo di mantenere l’armata, e non
potendo trarre i viveri da molto lontano, perché tutto lo spazio che si lasciava indietro non era
sottomesso, era costretto, prima degli assediati, a desistere, per fame dalle ostilità.
La costruzione dei castelli era, presso a poco, uniforme. Quasi tutti collocati in alture, con pozzi
profondi e vaste cisterne253, avevano una cinta più o meno complicata di torri, di mura merlate e di
bastioni, che rendevano difficile l’accesso al torrione più alto e più solido, che si trovava nel mezzo,
e in cui ritiravansi i difensori, superata che avesse il nemico la cinta. Intorno alle mura avevano gli
assalitori molti ostacoli da vincere: giacché opere distaccate, fossi profondi, per lo più, pieni d’acqua,
ponti levatoi a saracinesche ne impedivano potentemente l’accesso e nel mezzo alle volte, soprastanti
alle porte, si alzavano ed abbassavano, con ordigni, certe travi pesanti, per schiacciare chiunque si
apprestasse. ........…………………………………………………
…………………………………………………………………………………………
Ma la già potentissima Badia di S. Salvatore era da lungo tempo caduta in così misero stato, che
fin dal secolo (1369) l’Abate e i monaci avevano permesso che fosse abbattuta la Rocchetta di
252
MACHIAVELLI diceva: «gli strami, il bestiame, il frumento che tu non puoi ricevere in casa si dee corrompere» (Arte
della guerra, Barbera, pag. 138).
253
La grandiosa cisterna di Rocca d’Orcia è dal Pecci qualificata per «il più bel vaso che sia nello Stato di Siena». (Stato
Senese).
112
Libri su Radicofani
Personaggi nati a R.
Renato Magi
Radicofani, non potendo più sostenere la spesa di 27½ fiorini d’oro, che dovevano corrispondere ai
dieci soldati che l’avevano in guardia. …………………………………………
…………………………………………………………………………………………………
Pag.110 e segg.
Saliva frattanto al soglio pontificio Enea Silvio Piccolomini col nome di Pio II, dal cui
patriottismo i Senesi aspettavano il rimedio a tanti travagli. Era il Piccolomini nato a Corsignano, ove
i suoi genitori, a causa delle discordie civili, si erano da tempo ritirati, ed era « uno dei più dotti, dei
più penetranti, dei più attivi uomini del suo secolo ». Egli conosceva come tutte quelle divisioni e
quelle intemperanze, che affliggevano la sua patria, fossero più che altro, causate dall’esclusione dei
nobili dal governo, mancando, per essa, quel giusto equilibrio fra il partito democratico e il
conservatore, necessario in ogni ben ordinata repubblica: e tanto si adoperò che, finalmente, i nobili
furono riammessi alle pubbliche cariche. In ricompensa di ciò egli concedeva in perpetuo al Comune
di Siena il castello di Radicofani, dietro il pagamento di un annuo censo, mentre i suoi antecessori
l’avevano ceduto soltanto per un tempo determinato254. …………………………..
……………………………………………………………………………………………………
Morto Pio II ad Ancona, fra i preparativi della Crociata, gli succedeva Paolo II, non troppo amico
ai Senesi. Tuttavia rimanendo inalterata la pace, di cui allora godevasi in Toscana, la Signoria attese,
più che ad altro, a confermare e riformare i capitoli di più terre e castella, quali Campiglia,
Castiglioncello e Radicofani, ed a restaurare alcuni luoghi del contado. Fu stabilito che nelle rocche
di Val d’Orcia dovessero stare i fanti che appresso: a Campiglia 25, a Pienza 25, Contignano 25,
Radicofani 30, Castiglioncello 20, S. Quirico 40, Monticchiello 20, Rocca a Tentennano 25 e nel
vicino Montalcino 100. ……………………………………………………… E intorno a questo
medesimo tempo l’amministrazione dello Spedale dette commissione a Maestro Guidoccio di alcuni
lavori di accrescimento nello Spedaletto di Val d’Orcia, dove doveva fare «tre torricelle tonde, cioè
sur ogni canto una in mezzo»: attesochè le muraglie fossero state restaurate da qualche tempo, come
ne fa fede l’iscrizione, che tuttora si trova sulla porta d’ingresso di quel castelletto, col nome del
Rettore Urbano di Pietro255.
Ma l’ammissione dei nobili ai pubblici uffici aveva già da tempo risvegliata la gelosia dei
popolani per modo, che finalmente, in una feroce insurrezione, furore i primi cacciati di seggio e
l’Ordine dei Nove, che era accusato di minacciare l’indipendenza dello Stato, parteggiando per le
influenze forestiere, fu in perpetuo privato del diritto di governare. Ad Antonio Bellanti, Placido
Placidi, e Leonardo di Andrea di Tolomeo, appartenenti a quell’ordine e già detenuti nelle rocche di
Radicofani, Piancastagnaio, e Monticchiello, fu, con processo sommario, tagliata la testa256.
DOCUMENTI
254
PIO II. Commentari, pag. 83. Campanus.Vita Pii II, pag. 451. Pio II accordò molti privilegi anche allo Spedale di S.
Maria della Scala, e si ha di lui una bolla, data dalla Chiesa di Spedaletto in Val d’Orcia, in favore di una chiesa. (Statuti
Senesi, BANCHI, pag. 263).
255
Ai due stemmi scolpiti su d’una stessa lastra di marmo, collocata sulla porta d’ingresso, sottostà questa iscrizione:
Dominus Urbanus di Pietro rector Hospitalis S.M. de la Scala 1466.E nel libro segnato 0 dei conti correnti dello Spedale
a c. 323, sotto la data dei 29 decembre 1442, si legge questa partita: « M. Giovanni di Marcuccio di Contadino, maestro
di pietra dee avere lire nove, soldi dodici, sono per una pietra di marmo avemo da lui chò l’arme de lo Spedale e chò
l’arme di Messere: si mandò a lo Spedaletto di Val d’Orcia a la muraglia si fe’ nuova ». Altri pagamenti, per restauri si
trovano agli anni 1450 e 1453. (BANCHI, Statuti ecc. pag. 248).
256
« A dì 12 all’aurora fu tagliata la testa ad Antonio Bellanti nella Rocca di Radicofani e a ore 22 a Miss. Placido Placidi
nella Rocca di Piano Castagnaio. E a dì 14 in lunedì a Misser Leonardo d’Andrea di Tolomeo nella Rocca di Monticchiello
all’alba ». ALLEGRETTI Cronica, in MURATORI, Tom. XXIII, pag. 808.
113
Libri su Radicofani
Personaggi nati a R.
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Questi documenti che parlano della guerra che Cosimo I fa alla Repubblica di
Siena sono soltanto le parti che riguardano Radicofani.
Pag. 170 .
Era chiaro però che la burrasca si era, soltanto precariamente, allontanata: e fu quindi cura degli
Otto della guerra e degli agenti Francesi di rivedere ed afforzare i castelli del dominio: e poiché non
tutti si potevan tenere, soltanto sedici furono dichiarati piazze forti e fra questi, oltre Montalcino,
Monticchiello «la fortissima e inespugnabile Rocca a Tentennano e Radicofani per sé stesso
fortissimo»257. E fu immediatamente spedito a tutte le altre terre, ordinando ai Podestà, Vicari ed altri
ufficiali di esse, che dentro 15 giorni dalla notificazione, tutti i viveri e le robe, che vi si trovano,
fossero portate in qualcuna delle altre 16, che più facesse al caso. …………………………
……………………….Usciti di Montepulciano parecchi armati, per dar loro la caccia, furono
tratti nell’imboscata e fatti prigioni in numero di 40, portati a Pienza. Alcuni giorni dopo fu fatta, ma
con poco frutto, una scorreria fin sotto le mura di Lucignano; e il Malatesta per sua parte «con venti
celate e alcuni fanti» si spinse fino a Radicofani ove, essendo paese tuttora immune da scorrerie
nemiche, faceva grossa preda di bestiame: ma imbattutosi al ritorno nei nemici, a stento riparavasi
con essa in Montepulciano. ……………………………………………………………
………………………………………………………………
Ma Siena trovavasi in così disperata condizione, da non poter più resistere: e alla fame e alla
morìa, che la travagliavano, nessun giovamento potendo ormai portare le armi, si era in trattative
d’accordo. Aurelio Fregoso, mal soddisfatto dello Strozzi e veduta l’inutile opera sua, adunate un bel
giorno tutte quelle milizie di Pienza, aveva loro tenuto all’incirca questo discorso: «Cari figlioli, qui
non c’è altro da fare. Andatevi con Dio e pensate a procurarvi da voi stessi il modo di vivere durante
il viaggio». Poi volto il cavallo per la via di Radicofani, se n’era bruscamente partito, andandosene
alla volta di Roma. Tutti quei soldati, trovatisi così abbandonati a loro stessi, cominciarono a
sparpagliarsi e se ne andarono alla spicciolata per la medesima direzione, con quanto vantaggio dei
luoghi da dove passavano è facile immaginare258. E rimanevano soltanto i vecchi presidi negli altri
castelli, ove si stava tuttavia incerti e timorosi dell’esito che avrebber preso le cose.
LETTERE DEI PROTAGONISTI DELLA
CADUTA DELLA
REPUBBLICA DI SIENA
Pag. 195 e segg.
XIV.
Bando di Piermaria Amerighi Capitano Generale delle battaglie nella montagna:259 Che i soldati
si mettano in ordine di panni e d’arme.
Il molto Mag.º e valoroso Cap.º Piermaria Amerighi Gen.le Cap.no delle battaglie nela montagna,
fa pubblicamente bandire e comandare a tutti li Uff.li e soldati della milizia indifferentemente, che,
non essendo in ordine di panni e d’arme, si vestino et armino a uso di buon soldato, a tale che, al
arrivo suo, vestiti et armati sieno, né si partino dalla corte dela lor terra in modo alcuno: e chi fusse
PECCI – Vol.IV°., pag. 91.
Tutto questo rilevasi da alcune lettere della Filza 445 dell’Archivio Mediceo, che lo scrivente non ha avuto agio di
copiare integralmente.
259
Le milizie della Rep.ª si dividevano in quattro capitanati: della <val di Chiana, della Maremma, della Montagnola e
della Montagna alta o Montamiata. (l’Amerighi era di Radicofani!).(Vedi a pag.45 di questo libro).
257
258
114
Libri su Radicofani
Personaggi nati a R.
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fuor del dominio o fuor dela corte devi essere ritornato, sotto gravissima pena del suo arbitrio e
indignatione di qu. S.ri Mag.ci del Reggimento.
Dalla Rocca d’Orcia il dì x di maggio 1554 – (ivi).
XV.
Id. che nessun soldato e ufficiale si allontani dalla sua terra.
Noi Piermaria Amerighi, Cap.o Gen.le delle battaglie nelle parti della montagna e d’altri luochi,
mosso da buone e ragionevoli considerazione, dove le presenti n.re saranno presentate, commettiamo
et expressamente comandiamo a tutti i singoli Off.li Vic.i (Vicari ) Priori e Cam.i (Camerlenghi)
delle terre sotto scripte che, subbito queste viste, faccino preceptare in nome n.ro a ciascuno cap.o,
L.T., alfiere, caporale ed altri Off.li insieme con li soldati indifferentemente sotto la n.ra (nostra)
carica, che sotto pena di scudi dieci d’oro e due tracti di fune per ciascuno, non si levino dalla terra
dove habitano, senza n.ra expressa licentia, notificando che sene farà diligente ricerca e contro li
inobbedienti si procederà rigidamente, senza alcun rispecto: né si manchi di fare caminare la presente
dì e notte, né si posino, registrandola a libri delle memorie, facendone fede in nel presente foglio, per
quanto stimano la gratia delli S.ri Ill.mi e n.ro arbitrio.
Da la Rocha d’Orcia il dì 25 di maggio 1554.
Le terre son queste:
Castiglioni d’Orcia
Campiglia
Abbadia di San Salvadore
Piano Castagnaio
PIERMARIA AMERIGHI
Radicofani
Celle Sancasciano
Fichini
XVIII.
Id. di Piermaria Amerighi : che si catturino i soldati che partissero senza licenza del loro
capitano.
Il Mag.co et valoroso Cap.o Piermaria Amerighi, per autorità e commissione hauta a bocca dallo
Ex.mo S.r Pietro Strozzi, L. Tenente G.nle di S. M. Cx.ma in Italia, fa publicamente bandire e
comandare a qual si vogli persona indifferentemente che trovassero soldati, che si partissono senza
fede della licentia del loro capitano in scripto, allora ed in qual caso, essendo gentil’homo, lo devino
ritenere prigione ad istantia di S. S. Eccell.ma, dandogliene avviso, né si mancarà usarli cortesia : e,
essendo soldato particulare, lo possino ammazzare e svaligiare al loro beneplacito, facendo sempre
la cosa honoratamente da posserlo provare, comandando di più a tutte le Coità e homini sotto la carica
n.ra che devino stare alli patti, maxime la notte, per exequire la volontà di S. E.tia Voi Off.li Priori e
Cam.i delle terre non mancarete, per quanto pregiate et havete cara la gratia di q.i Ill.mi S.ri, mandare
pubblicamente il suddetto bando in né luochi soliti delle terre e registrarlo alle Memorie di mano in
mano e di terra in terra, come ordinatamente e qui da basso, caminando dì e notte senza dilatione di
tempo, facendone fede in nel presente foglio.
Di Vignoni260 il dì ultimo di giugno 1554.
260
Nel castelletto di Vignoni, di proprietà dei Sig.i Amerighi, abitavano essi un loro palazzo, dove fu ordita la congiura
contro gli Spagnoli.
115
Libri su Radicofani
Cast.ni
Seggiano
Castel del Piano
Montegiovi
Montelatrone
Arcidosso
Samprugnano
Personaggi nati a R.
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Rochette
Rocha Albegna PIERMARIA AMERIGHI
Monticello
Montenero
Castelnuovo del Abate – E voi Off.le di Castelnuovo la
rimandarete
Il dì primo di luglio 1554 fu portato il sopradetto bando et pubblicamente bandito. - (ivi).
I CASTELLI DELLA VAL D’ORCIA
E LA REPUBBLICA DI MONTALCINO
CAP. IX.
Pag. 229 e segg.
Non pochi fra i più ragguardevoli di quegli esuli generosi, risoluti di non cadere ancora
all’avversa fortuna, si rifugiarono in Montalcino: e quivi, con un ardimento che parve follia, dettero
ordine ad un governo sullo stampo stesso di Siena, attesero a fortificarsi ed a riunire la maggior
quantità di soldatesche possibile, aprirono poi anche una zecca e chiamarono la loro La Repubblica
di Siena ritirata in Montalcino. Invitarono tutti i cittadini e le Terre di lor giurisdizione a giurar fedeltà
al Re Cristianissimo ed obbedienza alla loro Repubblica, e i Castelli della Val d’Orcia. come i più
prossimi, furono i primi a darne l’esempio. S. Quirico, Pienza, Monticchiello, Contignano,
Castiglioncello del Trinoro, Radicofani, Campiglia, la Rocca e Castiglioni aderirono di gran cuore al
nuovo Governo. Oltre la Val d’Orcia, rimanevano ancora in mano degli alleati Francesi il
Montamiata, porzione della Val di Chiana e della Maremma, che formarono quattro Commissariati
distinti: ed ebbero a lor Commissari Marc’Antonio Politi, Ambrogio Nuti, Giulio Vieri e Andrea
Landucci. ……………………………
…………………………………………………………………………………………………….
Nel breve spazio di 10 giorni tutta la Val d’Orcia, eccettuati Radicofani e Monticchiello, era
adunque venuta sotto il dominio degli Imperiali, i quali, saccheggiati tutti quei paesi e devastarono il
territorio, scorrevano ora vittoriosamente per la Maremma, giacché Cornelio Bentivogli, uscito di
Montalcino a capo delle poche forze di cui disponeva, si era trovato affatto impotente ad arrestarne
la marcia. Ma volendo ad ogni modo distogliere i nemici da quell’impresa, messi insieme nuovi
rinforzi di cavalli e di fanti, dava voce di voler dare il guasto al contado di Fojano e di Montepulciano.
Il Duca da sua parte tenendosi sulle intese, mandava in Pienza una compagnia di tedeschi
…………………
Pag. 237 e segg.
Tutta la Val d’Orcia era dunque ritornata in potere dei Francesi, i quali avevano altresì quattro
compagnie verso Radicofani e Cetona, numerosi rinforzi in via per la Val di Chiana ed altri andavano
radunandone ovunque potevano. Ma ad onta di tanti felici successi, la posizione delle milizie della
Repubblica non poteva dirsi affatto sicura. E il Bentivogli che conosceva quanto gagliardamente il
Medici si preparasse ad aver la rivincita, andava provedendo, come meglio poteva, alla difesa dei
luoghi conquistati. E appena recuperata Pienza, lasciatevi due compagnie di fanti e una di cavalli, se
ne partì la sera stessa, alloggiando la notte in S. Quirico. E lasciate per quivi due compagnie di fanti,
la mattina prestissimo ritirò il restante dell’esercito con le artiglierie e le munizioni in Montalcino,
116
Libri su Radicofani
Personaggi nati a R.
Renato Magi
apparecchiandosi a fare onorevole resistenza, contro le forze che il Duca con gran premura a quelle
parti spediva.
Ma il mancamento delle paghe, che gli agenti Imperiali dovevano rimettere da Napoli, erano nati
tanti malumori e tante dissenzioni fra i soldati, che ricusando di obbedire agli ordini che venivano
impartiti, fu perduto un mese di tempo avanti che il Duca potesse mettere in buon assetto le truppe.
Era stato intanto deciso che il grosso dell’esercito si conducesse primieramente contro Chiusi e di lì
a Sarteano, per veder di liberare la Val di Chiana e per chiudere ai Francesi il passo per gli Stati della
Chiesa, da dove ricevevano continuamente soccorsi. Né in questo frattempo passarono le cose
perfettamente tranquille. Perché il Conte di Santafiora «con tutta la cavalleria» e con «la compagnia
del Capitano Iacopo Pucci» spintosi da Montepulciano fino a Radicofani, Piancastagnaio e Pitigliano
aveva «fatto gran preda d’ogni sorte di bestiami» catturati «molti vivandieri che conducevano
vettovaglie a Montalcino» e rotta la strada romana presso la Paglia.
L’esercito intanto si trovava già in ordine di marcia per la volta di Chiusi, quando il Conte Rados,
scorrendo con i suoi cavalli per la Val d’Orcia, si abbatté in un messo di Ottaviano Ottaviani,
Commissario dei Senesi in Radicofani che, sentendo gli apparati dei nemici, scriveva ai ministri
Francesi in Montalcino come quel paese non fosse abbastanza munito di ripari e vettovaglie, da
potersi lungamente sostenere se fosse stato attaccato; tanto più che il Conte Giulio da Tiene, che con
soli 150 fanti guardava quella fortezza, diffidava poterla difendere, se non fosse stato soccorso di
nuovi rinforzi. Pervenuta la lettera alle mani del Duca, ei, mutando proposito, ordinò a Chiappino
Vitelli che, abbandonata l’impresa di Chiusi, marciasse speditamente contro Radicofani, non
stimandola meno importante, sì per la vicinanza di Pitigliano e di Castro, che si trovavano tuttora in
mano ai Francesi, sì ancora perché quei di Montalcino avevano per di là il passo sicuro per Roma e
perché era opinione dei più che, caduto Radicofani, tutta la montagna, che era la vita dei Montalcinesi,
dovesse ben presto venir soggiogata.
Il Vitelli adunque mosse l’esercito verso Pienza, che per essere «mal guarnita e difesa fu presa
agevolmente e vi si guadagnò un’insegna e vi si fecero molti prigioni; e lasciatovi a guardia il
Capitano Rosa da Vicchio, quivi inviò l’esercito inverso Radicofani» che in questo tempo era stata
provveduta di munizioni e di viveri.
Colà giunto ed accampatosi, avendo gl’ingegneri Pazzaglia e Giulio Milanese riconosciuto il sito
strano in che è posta quella fortezza e come difficilmente si potesse battere per l’altezza e asprezza di
quella montagna, fu risoluto di piantare la batteria in mezzo di due torri, dirimpetto alla porta: e
continuando a battere per quattro giorni con circa 400 colpi di cannone, non se ne vide alcun frutto
notevole. Tuttavia il Vitelli, fidandosi nel valore dei suoi, risolvé di dare il segno dell’assalto: e al
suono della tromba tutti quei soldati dettero dentro per quella poca breccia che vi era. Ma Bastiano
Guascone261, a cui era stata affidata la difesa della piazza, burlandosi di loro, li lasciò entrare fra il
barbacane e la batteria e lì con fuochi artifiziali, archibugiate e gran quantità di sassi ne ammazzava
e ne feriva tanti che il Vitelli fu costretto a chiamare in aiuto i capitani dei cavalli e i cavalleggeri che,
messo piede a terra, vennero a rinfrescare l’assalto. Vedendo il Guascone questo gran rinforzo,
lasciata la cura della batteria al suo alfiere con alquanti soldati, egli con molti terrazzani carichi di
bariglioni pieni di sassi, che faceva gettare a basso per la muraglia con tanta prestezza che parevano
grandine, faceva un danno notabile sopra gli assedianti262. Il Vitelli per tanta mortalità nei suoi,
comandò battersi la ritirata: e risoluto a mandare per altri soccorsi, si preparava a disporre in altra
parte la batteria.
Non poteva in niun modo risolversi ad abbandonare quell’impresa: della quale scrivendo a Don
Francesco di Toledo, mentre menomava grandemente i danni sofferti, dava la maggior colpa al poco
valore dei soldati e protestava: «non havendo ordine contrario, ci voglio stare et combatter tanto che
io l’abbia et mi riuscirà» ripromettendosi eziandio di impadronirsi «di tutta la Montagna». Ma il Duca
261
Lo storico Pecci non fa menzione di Bastiano Guascone ma indica il Conte Giulio da Tiene come il difensore di
Radicofani.
262
MONTALVO – Relazione della guerra di Siena tradotta da Don Garzia suo figlio. Pag. 190.
117
Libri su Radicofani
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vedendo che l’espugnazione di quella fortezza non era poi così agevole come aveva creduto, tanto
più che con difficoltà vi si poteva mantenere l’esercito, dovendolo provvedere di tutto da
Montepulciano, attraversando con grosse scorte di cavalli un lungo tratto di paese nemico, e che
essendo ormai il mese di novembre, la stagione cominciava a mettersi fredda e piovosa, dava ordine
al Vitelli di abbandonare l’impresa. Questa risoluzione del Duca dipendeva anche dall’aver egli
saputo che Ottavio Farnese Duca di Parma veniva, per ordine del re, a Montalcino con molti fanti e
cavalli alla difesa delle terre e dei luoghi che tenevano i Francesi. Osservava al Vitelli che il «fare
acquisto delle terre della montagna» non gli pareva «a proposito» non tanto per essere il paese assai
disastroso e difficile a vettovagliarsi, quanto per non dilungarsi di troppo da quei «nuovi soccorsi di
Roma»: e riteneva miglior partito ritirarsi in Val di Chiana, da dove potevano più facilmente esser
soccorse «le frontiere et Siena». Avvertiva di aver saputo che i Francesi si apparecchiavano a «fare
gran cose»: ma credeva che non potessero tanto presto essere in ordine: e a meno che «il Papa non
sfornisse a un tratto le genti del confino di là et le mandasse di qua» per parecchi giorni non vedeva
pericolo. Occorreva ad ogni modo «star sull’avvisi».
Dava ordine ancora che, al ritorno, l’esercito si accampasse vicino a Pienza e ne gettasse a terra
le mura, in modo che non vi si potessero più annidar soldati e farsene frontiera, perché voleva che
quella città, già tante volte presa e perduta, non gli desse più noia263. E «oltre a Pienza se vi fussino
altri luoghi, che si dubitassi che havessino a dar disturbo, farli anco essi sfasciare senza dilatione».
Il Vitelli adunque, eseguendo gli ordini del Duca, lasciava Pienza affatto smantellata e senza
presidio alcuno in abbandono; ed, inviati i tedeschi a Montecchio, distribuiva i cavalli per i castelli
ove meglio si potevano mantenere, lasciando con il resto delle milizie le frontiere ben munite.
La sorte di Pienza essendo stata nuovamente seguita da Fabrica e Castelluccio, caduti in mano
degli Imperiali, il Duca ingiungeva al Commissario di Montepulciano che pure essi si smantellassero,
aggiungendovi anche il palazzo di Tori e dava buoni consigli tecnici, per venirne a capo con prestezza
e poca fatica264.
Queste perdite, invero di non grande importanza, non erano valse a turbare la generale allegrezza
per la partenza degli Imperiali da Radicofani. Si fecero feste grandi; furono remunerati per la loro
valorosa condotta il Tiene e l’Ottaviani: e cominciando a rinascer la speranza anche negli animi più
abbattuti, alcuni castelli che erano sotto l’obbedienza del Duca si misero in ribellione e nella stessa
Siena cominciavano a manifestarsi alcuni moti sovversivi. I Francesi nel calore della vittoria facevano
continue scorrerie fin presso le porte della città, di modo che, essendo impedito il libero transito delle
persone e delle robe «pareva che fosse ritornato l’assedio»265.
……………………………………………………………………………………………
Per la verità il Duca avrebbe avuto in animo di tentar nuovamente l’impresa di Radicofani, se
non fossero state messe innanzi le difficoltà della stagione, del vettovagliare l’esercito, essendo la via
lunga e tutta in potere dei nemici, e del mantenere i cavalli in un paese come quello così arido e privo
d’erbe. Tuttavia, prestandosi i luoghi assai bene alle fanterie, si poteva, rinunziando ai cavalli, tenerne
soltanto una compagnia in Contignano, e lasciar gli altri in Montepulciano e fornir di fanti il
Castelluccio e Castiglioncello. Ma c’è di mezzo l’Orcia, che in occasione di piena impedisce il
passaggio: e allora sarebbe stato necessità ricorrere per vettovaglie a Santafiora, paese non troppo
propizio in quella stagione. Era anco da considerare che Radicofani di per sé così forte e già
inutilmente tentato, poteva trovarsi assai meglio munito, essendovi stato di corto Monsignor di Subise
e Cornelio Bentivogli. Per cui volendo differire l’impresa, fino a che l’erba non fosse venuta, potevasi
intanto presidiar gagliardamente Pienza, Castelluccio e gli altri luoghi vicini: tenere una compagnia
di cavalli in Contignano, sfasciar Campiglia o tenervi una compagnia di fanti che, rompendo la strada
romana, la quale si poteva altresì tenere in rispetto da Santafiora, impedissero ai Montalcinesi gli aiuti
263
«Pienza città fatale e ludibrio della fortuna in tutto il corso della guerra, tante volte perduta, tante volte recuperata»
(NINI - Storia d’Italia. Ms. nella Moriniana di Firenze. Tomo 3, Pag. 154). – Doc. XXI, XXII, XXIII, XXIV.
264
Vedere su ciò alcuni documenti pubblicati dallo scrivente nella Miscellanea Storica Senese (Anno I, n. 8).
265
PECCI – Vol. 4. Pag. 268.
118
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Personaggi nati a R.
Renato Magi
che potessero loro venire dallo Stato della Chiesa: e a stagione propizia occupare il Montamiata, per
voltarsi di là a quell’impresa che meglio paresse: e guastar le raccolte dei luoghi ove facessero miglior
pro ai nemici, mentre le genti di Pienza sarebbero state pronte a ogni movimento. Questo era a un
dipresso il rapporto che il Capitano Muzio Petrucci rimetteva al Duca, che persuaso da quelle ragioni
richiamò indietro lo Sforza, il quale lasciate due compagnie di Tedeschi in Sarteano, ritirò da
Chianciano il restante dei Tedeschi e degli Spagnoli, conducendosi con essi in Pienza.
………………………………………………………………………………………
Pagg. 253 e segg.
Ma dubitando il Monluc che il Duca non facesse impeto in qualche parte, andava da tutto il
contado radunando il grano nelle terre più forti266; fabbricava sollecitamente bastioni e ripari e
assoldava nuovi fanti da Roma e dal campo francese, traendo a sé quanta più gente poteva del suo
paese. Oltre tre prime insegne di Guasconi che erano entrate in Montalcino, altre tredici erano
comparse in Radicofani, ove il Monluc era stato a incontrarle: e ne aveva distribuite tre più in
Montalcino, tre in Chiusi, tre a Grosseto, tre a Radicofani ed una alla Rocca. Di lì aveva tolto il
Capitano Calloccio e lo stesso andava a fare in Monticchiello del Capitano Bartolomeo da Pesaro e
di altri capi Italiani, dei quali non si fidando troppo, metteva in lor vece capitani francesi.
………………………………………………………………………………………………
Si procedeva intanto all’evacuazione delle guarnigioni francesi: ma la bisogna non camminava
con quella speditezza e quella regolarità, che sarebbesi desiderate. Perché i soldati, essendo in credito
di alcune paghe, si rifiutavano di consegnare le piazze, se non venivano prima soddisfatti: e quei di
Radicofani in numero di 200, ammutinatisi e rinchiusisi in fortezza, mostravano non volersene uscire:
né Cornelio Bentivogli accorso colà, aveva potuto con preghi o minacce ridurli al dovere. Teneva
ancora gli animi sospesi la notizia, pervenuta in questi giorni, della morte del re267: e si temeva che
quei di Montalcino o di Pienza volessero romper la strada, per impedire il trasporto delle artiglierie,
che da Chiusi, da Montepulciano e da altri luoghi dovevan condursi.
……………………………………………………………………………………………
Quei di Radicofani intanto, ucciso il loro capitano e abbandonata volontariamente la fortezza,
essendosene fuggiti, furono mandati colà dei buoi, per cavarne i due pezzi di artiglieria che v’erano,
essendo quelli del Castelluccio, di Chiusi, di Buonconvento e degli altri luoghi già in via per
Batignano, ove erasi fermato il Bentivogli per provvedere all’imbarco. Dai castelli della Val d’Orcia
si erano finalmente messi insieme i soldati francesi «e tutti si adunarono a S. Quirico e furono nove
capitani, che fra tutti ebbero meno di 800 soldati, gente logora dalla povertà, dalla fame e dai disagi»
e di lì per il fiorentino spediti a Vada, dove eran galee ad aspettarli. Erano già stati mandati
Bombaglino d’Arezzo a Chiusi, Simone Rossermini a Grosseto e a Radicofani Goro da Fucecchio,
che vi rimasero poi come capitani di quei presidi: e si provvedeva a che il Francia o Francesco da
Montaguto pigliassero possesso di Monticchiello, della Rocca, di Castiglioni e di altre piazze vicine,
assicurandosene in nome del Duca.
………………………………………………………………………………………………………
……..
Il territorio dei castelli della Val d’Orcia, ove si era per altri quattro anni prolungata la guerra
contro i Senesi di Montalcino, ne rimase naturalmente ancor più rovinato. La Val d’Orcia conserva
tuttora in modo particolare quell’aspetto di desolazione, che una serie sì lunga di disastri lungamente
v’impresse. La tradizione parla di cento case coloniche scomparse; la storia con maggior precisione
Un bando del 2 settembre 1556 ingiungeva alle Comunità della Val d’Orcia di mandare «tutte le bestie da soma alla
volta di Montalto a caricare i grani» che il Mag.co Ms. Alfonso Tolomei doveva condurre a Montalcino. In quella
circostanza Castiglioni ricevé «moggia tre» e stara venti due di grano, «mancho libre quattro, da pagarsi a ragione di lire
sei lo staio». (Arch. Comunale di Castiglion d’Orcia – Riscossioni e Memorie 1553- 61). – Altre provisioni furono fatte
in seguito. (V. Doc.).
267
Re Enrico morì il 10 luglio 1559 per una ferita riportata in un torneo.
266
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Personaggi nati a R.
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registra miserie spaventevoli. Fin dai primordi della guerra tutti questi Paesi, per essere stati a più
riprese saccheggiati si trovavano «talmente frusti che una crudiltà a vedere et tuti abandonati, ecetto
le fortezze».
……………………………………………………………………………………………………
…………………………
L’accentramento che, per ragioni economiche, molti di essi più tardi subirono nei Comuni più
grossi, fece loro perdere anche le ultime vestigia di quella fiera individualità, che rimontava ai tempi
fortunosi della dominazione Longobarda. Soltanto in Radicofani, come frontiera dello Stato, fu
risarcita la fortezza e mantenuto un presidio di soldati: ma essendo poi in epoca molto posteriore, per
imprudenza del capitano scoppiata la polveriera e rovinate affatto quelle fortificazioni, venne
anch’esso del tutto abbandonato268. Parve quindi che solo la Rocca, ma per la massima parte di questi
castelli, si avverasse la profezia che Brandano in una delle sue peregrinazioni da Siena a Roma, aveva
pronunziata con queste parole: «Rocca, Rocca presto diventerai una bicocca»269. D’altra parte allo
spopolamento del contado contribuirono altresì le arti stesse del Medici, che non risparmiò né
lusinghe né liberalità per richiamare in patria i dispersi Senesi, affinché non paresse che egli, invece
di aver soggiogato una città, dominasse soltanto sulle rovine di essa.
Avvenuta dunque la capitolazione di Montalcino «il Cap.º del populo e deputati ala difesa dela
libertà della Rep.ª di Siena» che con tanto ardore avevano protetto gli ultimi istanti del loro pericolante
governo, doverono dare avviso alle terre del dominio dell’atto di sottomissione da essi compiuto verso
« dell’invicts.º e Cat.º Principe Filippo re di Spagna e per consequentia dell’Ill.ͫ º et Ecc. ͫ º S. S.
Cosimo de’ Medici Duca di Fiorenza suo feudatario nella Città e Stato di Siena » confortandole ad
accogliere «benignamente» gli agenti e procuratori ducali che sarebbero loro stati presentati dal
Commissario Ascanio Bertini270. Tutte le Comunità doverono poi, per loro incaricati, stipulare
pubblici atti di devozione al nuovo padrone: e così Radicofani prestava giuramento il 17 di agosto271,
S. Quirico il 21, gli altri in altri giorni: ed eccettuati Port’Ercole, Orbetello, Talamone e S. Stefano
che, sotto il nome di Presidi, rimasero alla corona di Spagna, tutto l’antico Stato Senese era finalmente
venuto sotto il ferreo dispotismo di Cosimo de’ Medici.
S. Quirico d’Orcia
A. V. BANDI
DOCUMENTI
della Terza Parte
(Lettere)
268
Il PECCI dice: «Si è continuato a tenere guardata la fortezza di Radicofani fino al presente governo, ma considerandola
inutile furono nel 1739 licenziati il Castellano e i soldati, i cannoni trasportati a Firenze gli attrezzi venduti e la fortezza
lasciata in abbandono». (Lo Stato Senese. Tom. 5 car. 201). La nota precedente a questa diceva: « Fin dall’11 agosto
(1559) il Duca Cosimo scriveva al Niccolini: « di quello che avete fatto di Monticchiello, delle Rocchette et simili altri
luoghi daretecene avviso, perché non intendiamo di spendervi in guardarli ». (Mediceo – Filza 50, pag. 373).
269
PECCI – Vita di Bartolomeo da Petrojo chiamato dal volgo Brandano. Pag. 76.
270
REPETTI – Dizionario etc, Vol. 4. Pag. 713 e vol. 5, pag. 114. «Fu cosa da notarsi (l’Adriani) che fra tante città e
luoghi stati con tanto disagio e maggior danno in mano de’ Francesi tanti anni, ora che molti giorni furono in tutto libere,
non ce ne venisse per una ad offerirsi al Duca e a prevenire la grazia, come in altre nazioni si è veduto il più delle volte
essere avvenuto». (Vol. 6, Pag. 27).
271
Vedi nota 270. Le note prima riferentesi ad Ascanio Bertini e a «devozione al nuovo padrone» sono: Doc. LIII; e Doc.
LIV.
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Personaggi nati a R.
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Pag. 286 e segg.
XX.
Dal Conte di Santa Fiora al Duca di Firenze
Sopra una scorreria fatta nelle parti di Radicofani.
Ill.mo et Ecc.mo mio S.r et Pròne Oss.mo
L’altra notte a VIj hore me partii di Montepulciano con tutta la cavalleria et la sera havevo
incaminato alla volta della Posta di Paglia la compagnia di fanti del Capitano Iacopo Pucci, la quale
lassarò nel stato di S.ta Fiora et mandai seco cento cavalli. Nel far giorno io comparsi in quello di
Radicofani, dove si è fatto gran preda d’ogni sorta di bestiami et così in quello di Pian Castagnajo et
nel stato di Pitigliano, oltra che si è rotta la strada di Paglia, con preda di molti vivandieri che
conducevano vettovaglia a Montalcino. Il tutto si è fatto senza haver hauto pur un minimo disturbo,
segno che in queste bande l’esservi comparso tanta cavalleria ha dato et dà gran spavento.
Questa cavalleria è di necessità si riposi tutto domani et intanto io havrò dato ordine, secondo
l’opportunità, alle cose dello stato di S.ta Fiora et doppo ciò me ne tornerò in dietro con la maggior
celerità che sarà possibile et di quanto seguirà glie ne darò continuamente minuto avviso; et bascio le
mani di V. E. pregandoli ogni felicità.
Di Proceno li XXI d’agosto 1555.
Di V. E.
Umiliss.mo S.re SFORZA SFORZA
XXI.
Di Chiappino Vitelli a Don Francesco di Toledo,
assedio di Radicofani.
Ill.ᵐᵒ et Ecc.ᵐᵒ S. ͬ mio
Hiersera arrivammo et piantammo l’artiglieria a Radicofani cioè 3 mezzi cannoni et un cannone
con provvisione di 400 tiri, de’ quali per errore de’ bombardieri, che presono 36 palle troppo grosse,
restorno tanto manco. Inperò havendo fatta, secondo pareva a molti, conveniente batteria, doppo
d’haver fatta riconoscerla, et udito che si poteva tentare, spinsi l’Italiani et Spagnuoli a rimecterla. Et
avendo due volte fatto rinfrescarla non c’è stato ordine d’entrarvi, perché da alcuni particolari in poi
non s’è combattuto; tal che, havendovi a fare imprese d’importantia, è necessario chavare di
Portercole et Orbetello Spagnuoli, altrimenti non si farà cosa buona. Non di meno avanti parta di qui,
non havendo ordine in contrario, ci voglio stare et combattere tanto che io l’habbia et mi riuscirà, al
meno della Terra, perché gli Alemanni mi hanno promesso voler rimecter, et la fortezza, quando non
s’abbia, resterà di poca importantia et capace di poca gente, perché ci farò quanto potrò et penso
impadronirmi presto di tutta la montagna. De’ morti fin a hora non ne rinvengo se non 3: l’Alfiere
d’Antonio Pasientos, un fante et un Todesco pesti di sassate, alcuni frà quali sono tutti e’ creati del
Duca mio Signore, che se domani anchora farà di bisogno tentar di nuovo saranno pronti a farlo et
così domani c’andremo temporeggiando con certi pochi tiri che habbiamo, finché verrà munitione et
V. S. Ill.ᵐᵃ saprà il seguito, alla quale bacio le mani. I. N. S. la guardi.
Da Radicofani il dì V d’ottobre, 1555.
Aff.ᵐᵒ S. ͬ CIAPPINO VITELLI
XXII.
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Personaggi nati a R.
Renato Magi
Dal Duca di Firenze a Chiappino Vitelli
Sull’abbandonare l’assedio di Radicofani.
Al S. Chiappino Vitelli alli VIIIj d’ottobre 1555.
Noi pensiamo che alla ricevuta di questa si sarà fatta tutta la prova et lo sforzo possibili di pigliar
Radicofani et che, non vi essendo riuscito, vi sarete risoluto levarsene, come per la vostra de’ VIj
mostravi, aspettando da noi risposta et risolutione di quanto havessi a fare, et così rispondendovi
diciamo che l’andare a fare acquisto delle Terre della montagna non ci pare a proposito, sì perché il
paese come voi dite è disastroso, et con difficoltà potreste aver vettovaglie, si perché vi dilungheresti
troppo rispetto a questi nuovi soccorsi di Roma et però giudichiamo esser meglio che voi andiate in
Val di Chiana, di dove potrete soccarrer le frontiere nostre et Siena……………………….
XXIII.
Altra.
Al S.ᵒ ͬ Chiappino Vitelli a dì 9 di ottobre 1555.
Habbiamo inteso quanto sia successo intorno a Radicofani et ci dispiace il poco valor de’ soldati:
circa il seguitar l’impresa di esso et le altre ve ne risolverete con la considerazione di quanto per la
nostra de’ VI et di man nostra vi habbiamo scritto, eseguendo quanto in essa contiene, per cio che li
avvisi et romori di Roma rinfrescano che i Francesi voglin fare gran cose, et di già s’era fatta la
speditione di molti capitani, et che nello Stato Farnese il Duca Ottavio faceva massa: però tenete
l’occhio alle genti che compariscono a Montalcino et a quelli che si fanno da quelle bande, acciò non
vi fusse fatta qualche burla.
De’ muli s’è ordinato di mandarvene 50 et il Commissario vedrà se ve ne potrà provvedere delli
altri.
Noi crediamo che quelle genti, che possono essere un 2000 fanti, non sien per essere così presto
in essere, et forse vedendovi accostar presso allo Stato di Castro non dubitin d’una spoglianza et per
questo faccin tanto romore.
Don Bernardino è alli confini del Regno con VIII mila fanti buoni et 1500 cavalli. Se il Papa non
sfornisse a un tratto le genti del confino di là et le mandasse di qua, per parecchi dì non veggio
pericolo: ma bisogna star su l’avvisi et questo sia per vostra informatione. Dio vi conservi.
Dal Poggio.
XXVII.
Di Muzzio Petrucci al Duca di Firenze
Sulle difficoltà di espugnare Radicofani.
Ill.ᵐᵒ et Ecc.ᵐᵒ S. ͬ et Patron mio unico
Per non manchare a quanto V. Ecc.ͭ ͥ ͣ mi comanda per la sua, anchor che mi paia l’opinione mia
superflua, li dico che nell’impresa di Radicofani ho per difficile in questa stagione il potersi
vettovagliare l’esercito et perché la strada è lunga et anchor fra le forze di nimici, né dal paese stesso
di Radicofani possiamo cavar comodità nessuna, per esser Montagna fredda et alida d’herbe per i
cavalli. Non l’havrei però per impossibile se in Montepulciano fussero strami, perché lì nel luogo
stesso potremmo far senza cavalli, e il paese, donde s’ha a camminar con le vettovaglie, è assai atto
per la fanteria; et con il tenere i cavalli in Montepulciano et in Contignano una compagnia, la quale
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potria mutarsi, et con il tener fanti nel Castelluccio, in Castiglioncello et in Contignano, credo si
condurrebbe sicura.
C’è che l’Orcia c’attraversa il camino: il qual fiume piglia con una gran pioggia, piena, ma passa
presto, et per un caso che venisse, bisogneria potersi valere delle vettovaglie di S.ͭ ͣ Fiora. Lì è difficile
stare in campagna, per essere il paese freddo e spogliato d’arbori, et dubito, per intender ci hanno due
mezzi cannoni, non c’impedischino gli alloggiamenti della Terra, che sono superiori a tutta, et ce
l’abbrucino et nel termine che la stava et con quel che la possano aver fortificata che ci è stato Mons. ͬ
di Subisa et il S. ͬ Cornelio, l’ho per una gagliarda piazza. Parendo a V. Ecc. ͭ ͥ ͣ difficile, si potria per
tanto, venissi l’herba, mettere in Pientia questi Tramontani et in Contignano et in quegl’altri ricetti di
Terrette forti, che sono li intorno, et anchora tenere una compagnia di cavalli in Contignano et sfasciar
Campiglia o tenerci una compagnia di fanti che rompessi quella strada, la quale anchora da S. ͭ ͣ Fiora
se li travaglierebbe, et come prima l’herba fussi grande, levarli la Montamiata et di li voltarsi a
quell’impresa che più paressi et a guastarli i ricolti in quelle parti che loro potessero valersene, et
stando le genti in Pientia sarebbon pronte a ogni movimento, ch’el Papa facessi. Et, non mi
occorrendo altro, a V. Ecc. ͭ ͥ ͣ bacio l’Ill.ᵐᵉ mani et mi raccomando. Nostro Signore l’esalti.
Da Sarteano il dì IIIj di febbraio 1556.
Di V. E. ͭ ͥ ͣ Ill.ᵐ ͣ
Minimo et perpetuo S.ͬ ᵉ
MUTIO PETRUCCI
XXXIII. bisͬ
Di ignoto. Notizie da Radicofani.
Mag. ᶜᵉ vir etc.
Vi ho scritto a pieno li dì passati et di Perugia alli 15 del presente come mi trovavo in quella Città
per venire a Montalcino co’ 150 muli della monitione; li quali havevano a condurre vettovaglie in
quelle Terre forti, che tengono li S.ͬ ͥ Franzesi: et vi dissi che il Duca di Sùma veniva con tre
compagnie, cioè la Compagnia del S.ͬ Iac.ᵒ Malatesta, quella del ap.ᵒ Moretto Calabrese et quella del
Cap.ᵒ Franc.ᵒ da Pisa. Et essendo venuti alli 17 in Chiusi, il detto S.ͬ Duca è rimasto in quella Terra et
così ancora la compagnia del S. ͬ Iac. ᵒ Malatesta: e alli 18 sono marchiate (sic) le due altre compagnie
alla volta di Radicofani et una compagnia Franzese del Capit. ᵒ Braccone, con li muli della monitione,
li quali se n’andranno stasera alla Badia et domani verso Montalcino, carichi di grano et di farine: et
le dette compagnie faranno lor compagnia et scorta.
In Chiusi si trova la compagnia del S. ͬ Duca di Sùma, la quale non fu vero che si partisse per
Roma, come era stato detto, et se ben si partisse et si conducesse sino in Perugia, per andar verso il
campo, non dimeno hebbe da poi ordine di tornare in dietro: ci è la compagnia del S. ͬ Adriano
Baglione et quella del S.ͬ Iac. ᵒ Malatesta, come ho detto.
Di qua vi sono campagne assai belle et li ricolti saranno buoni: e si cominciarà a segare li grani
tra xv giorni et, faciendosi le ricolte questo anno et riponendosi li grani, non è dubbio che le cose di
questi S.ͬ ͥ Franzesi andranno bene per qua, ma se fussero impedite queste ricolte, costoro sariano del
tutto ruinati272. ………………………………………………………………………
272
Un bando del 4 giugno notificava che: « acciò che ogni persona possa liberamente et senza alcuno impedimento
attendere alle ricolte de’ grani et altre cose e resistere alli nimici » venivano sospese in tutto lo stato « le corti delle cause
civili »: e successivamente (30 luglio 1557) che : « per tutto il dì 8 di agosto ogni homo habbi fatto tribiare li grani e
altri biadumi, che da inde in là s’intenderanno persi et se ne farà la volontà degli Ill.ᵐ ͥ Sig. ͬ ͥ » dovendosi detti grani,
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Libri su Radicofani
Personaggi nati a R.
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……………………………………………………………………………………
……………………………………ma disse ancora che se S. Ecc.ͣ volesse metter mani in questa
impresa, con la gente che si trova al presente in essere, et dare il guasto a queste parti, come potria
darlo, che tutte queste Terre gli verriano in mano senza dubbio alcuno; et tanto dicono li paesani così
di Chiusi, come questi qui di Radicofani. Il qual luogo è così forte di sito, che se un principe, come il
Duca di Fiorenza, l’havesse in mano, et ci volesse fare un po’ di spesa a fortificarlo et munirlo, tutto
il mondo non lo prendaria: et pur così come sta, se vi sono genti dentro da guardarlo, è difficilissimo
et quasi impossibile a prenderlo: et gli huomini della Terra sono bastanti a guardarsi da sé stessi: li
quali mostrano di desiderare molto che tutto questo paese sia di un Sig.ͬ ᵉ solo et non così diviso,
perché a loro non mette conto di star come stanno, et conoscono la ruina et danno che risulta a queste
Terre di star così et vorriano che tutte le Piazze fussero di un Sig. ͬ ᵉ solo et più desiderano il Duca di
Fiorenza, che altro principe. Tanto che se li Sig. ͬ ͥ sapessero alle volte come le cose passano et fussero
risoluti a pigliare de’ partiti e espedienti per loro: fariano molte faccende, più che non fanno: benché
io penso che il detto Duca di Fiorenza sappi tutte queste cose o buona parte di esse, et che non si
muova più che tanto per diversi rispetti, et essendo tenuto principe savio et prudente, non vorrà far
motivi, se non mira ben prima quello che può succedere; et vedendo lo essercito Franzese in Italia,
che gli potrebbe venire addosso, se ben parte sia occupato nelle cose del regno di Napoli e che habbi
animo di tornare in Francia et non tentare per adesso le cose di Toscana
…………………………………………………….
…………………………………………………………………………………..
Da Radicofani allì 19 di giugno 1557.
(A tergo) Al Mag.ᶜ ᵒ et mio Hon. ᵐ ᵒ S.ͬ ᵉ Iacopo Pagni
Nel Arcivescovado di Fiorenza
A Fiorenza
XXXV.
Di Agnolo Niccolini Governatore di Siena al Duca di Firenze
Sopra alcune guarnigioni Francesi
Ill.ᵐ ᵒ et Ecc.ᵐ ᵒ S.ͬ ᵉ et Patron mio Oss.ᵐ ᵒ
Anchora che hiersera vi scrivessi quanto occorreva, nondimeno con l’occasione di questo
Sergente maggiore del Sig. Federigo, mi è parso di darle notizia di quanto s’è inteso da huomini
proprii, partiti hiermattina di Montalcino, quali riferiscono che Mons. Di Monluc, uscito di
Montalcino per incontrare le bande Guascone, fu a Radicofani per distribuire tredici insegne di
Guasconi, venute nuovamente di Roma oltre le tre prime, delle quali tredici, hiersera se ne
aspettavano tre in Montalcino, tre in Chiusi, tre a Grosseto et tre ne andavano a Radicofani, et una
alla Rocchetta di Val d’Orcia che tutte erano brutta gente. Che in Montalcino delle tre insegne venute
prima non rientrò più che una, un’altra a Seggiano et la terza alla Rocca di Val d’Orcia, di maniera
che, in detto luogo di Montalcino, venivano a essere cinque insegne di Guasconi et quella d’Italiani
sotto il Cap.ⁿ º Faustino di Perugia era ita in Maremma et si tiene che non sieno cento fanti per insegna.
Non sono pagati et hanno haver tre paghe: l’altre de’ presidii ordinarii, cinque; benché si diceva che
presto dovevano fare la mostra. In Chiusi dicevono essere arrivati cinque pezzi d’artiglieria grossa,
appena fossero «netti et conci, condurre alle piazze e terre forti » a tutto il 15 dello stesso mese. (Archivio Com. di
Castiglion d’Orcia – Riscossioni e Memorie 1553 – 1561).
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et che di quivi ne andavono quattro pezzi rotti a Montalcino per rifarsi, li quali eran già a Radicofani,
et così il numero dell’artiglieria non riscontra con li altri avvisi passati; per e’ quali pareva che da
Franzesi si lasciassino in queste piazze quasi tutto il fornimento dell’artiglierie con loro condotte. Le
vettovaglie vi sono care, eccetto il pane, et si diceva che s’erono guasti alcuni grani della munitione:
quale munitione di grani dicevono esser grande, per haver continuato gran tempo di mettervene
grossamente. Seguitavasi di dare tre pani il giorno della munitione alli soldati, et li Guasconi
desideravano molto di tornarsene in Francia: non sapevono che, con questi Guasconi venuti
nuovamente, fusse alcuna quantità di cavalli, ancora che prima si fusse detto che ne venivono 200, et
le due compagnie, prima ritenute con il Sig. Mario, si stavano a Pian Castagnajo et alla Badìa. Il Cap.º
Bartholomeo da Pesaro pareva che non volessi uscire di Montechiello, se non li daveno le cinque
paghe delle quali era creditore etc.
Di V. Ecc. Ill.ᵐ ᵃ
Humiliss.ᵐ ᵒ S.ͬ ᵉ AGNOLO NICCOLINI
XLVI:
Di Antonio Albizi al Duca di Firenze sull’ammutinamento
Del presidio di Radicofani e sulla evacuazione delle altre piazze.
Ill. ᵐ ᵒ et Ecc. ᵐ ᵒ S. ͬ Duca
Li soldati Franzesi di Radicofani si sono abbottinati et ritiratisi in rocca, et questa mattina a questa
ora, che siamo a ore quindici, il S. ͬ Cornelio si truova alla Scala che cammina a Radicofani et qui è
arrivato quel suo Gentilhomo che era a Chiusi et andato in Montalcino, et vorrebbe condurre
l’artiglieria a Radicofani, secondo dice, per fare spavento a quelli soldati: et le munizioni che hanno
cariche le fanno marciare a Batignano vicino a Radicofani. Io andrò con destrezza intrattenendo
questo cammino della artiglieria, come ieri li scrissi, et piacerà a V. Ecc. ͭ ͥ ᵃ dirmi se ho da andare
con l’artiglieria fino alla marina e dove habbia a stare.
Li Chiusini stanno con timore che quelli soldati di Montalcino, o vero Pienza, habbiano rotta la
strada in su queste nuove della morte del Re Ks.ᵐ ᵒ : et questo è quanto per ora ho da dirli et,
reverentemente baciandoli la mano, prego Dio la contenti.
Dal Castelluccio alli 20 di luglio 1559.
Riferisce questo Cap. ᵒ dell’artiglieria che l’artiglieria di Montalcino non cammina, né vuole il
S. ͬ Cornelio che là cammini, fino a tanto che questa nen è arrivata di là da Montalcino.
Di V. Ecc.ͭ ͥ ᵃ Ill.ᵐ ᵃ
Fed.ᵐ ᵒ S. ͬ ANT. ᵒ ALBIZI.
XLVIII.
Altra dello stesso Albizi.
Ill. ᵐ ᵒ et Ecc. ᵐ ᵒ S. ᵒ ͬ Duca
Iersera l’artiglieria fece alloggiamento vicino alla Scala ad un miglio et questa mattina di
bonissima ora è avviata et con prestezza si cammina, et lunedì, secondo mi dice il Cap. ᵒ
dell’artigieria, quella di Montalcino si giunterà con la nostra et expedirà il viaggio quanto prima sia
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possibile. La monizione di Chiusi è già cavata et mandata, excetto 30 barili di polvere che il Cap. ᵒ
manda a levarla 15 muli di Montalcino, perché la vuole insieme. Il S. ͬ Cornelio ritornò iersera a
Montalcino et veniva da Radicofani, senza haver possuto cavare li Franzesi della rocca, che sono 205
o 210, et non mi occorre altro dirli se non supplicare V. Ecc. ͭ ͥ ᵃ mi comandi; et reverentemente
baciandoli la mano, prego Dio la contenti.
Dalla Scala alli 22 luglio 1559.
D. V. Ecc. ͭ ͥ ᵃ
Umiliss. ᵐ ᵒ Sor ANT. ᵒ ALBIZI
XLVIIII.
Dichiarazione rilasciata dal S. ͬ Cornelio Bentivoglio
Alla Deputazione di Montalcino
Cornelio Bentivoglio
Havendomi ricerco gl’Ill. ᵐ ͥ S. ͬ ͥ il Cap. ᵒ del Popolo et Regg. ͭ ͥ di questa Rep. Che io li prometta
di levar di questo loro stato le forze di S. M. ͭ ᵃ̀ Chr.ᵐ ᵃ et restituirlo in mano di essi, ogni volta che si
saranno accordati con l’Ill. ᵐ ᵒ et Ecc. ᵐ ᵒ S. ᵒ ͬ Duca di Fiorenza di quanto trattano sopra di esso di
presente, ho loro promesso et prometto sopra la mia fede liberamente non solo di consegnare, in quel
caso d’accordo, le piazze di Chiusi, Monticchiello, Rocca d’Orcia et Montalcino, ma di levare le dette
forze lunedì o martedì prossimi delli 24 o 25 del presente, ancora che a tal tempo non si fussino
accordati, in mani di essi o di chi mi sarà detto da loro, perché, senza lassar passar più tempo, intendo
levare esse forze, seguendo il comando di S. M. ͭ ᵃ̀, non havendo fra tal tempo altro in contrario; et
perché, stante la inobbedienza et rebellione delli soldati ammutinati nella Rocca di Radicofani, io non
so se posso consegnarla così liberamente come l’altre suddette piazze, a questo tempo havendo fatta
la pronunzia contro di essi soldati che contiene il bando fatto pubblicare hoggi, lassarò da quel tempo
in là, pigliarla da loro stessi nel miglior modo che potranno.
In fede di che etc.
Nota della filza 1869 dell’Archivio Mediceo (Nota della rasegnia)*
Nota della rasegnia de’ soldati Franzesi usciti di Montalcino, Chiusi e Radicofani, fatta in Rosia
per me Tomaso Ciucci, questo dì 27 di L.º (luglio) 1559, cioè di nove insegne sotto Mons. di Ciarri:
El detto Mons. Di Ciarri273
El Capitano Palobie
El Capitano Cianterale
El Capitano Principe
El Capitano Santobino
El Capitano Blacone
El Capitano Barone
El Capitano Prunes
El Capitano Bolardo
El Capitano de la guardia de li Guizzeri
273
soldati n.o
soldati n.o
soldati n.o
soldati n.o
soldati n.o
soldati n.o
soldati n.o
soldati n.o
soldati n.o
n.o
88
70
64
79
56
75
76
56
61
13
Ciarri, Palobiera, Blaccon, Baron de Rolast, Sant’Urbino, Prune, Prence, Ciamberan, Bolardo.
126
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Personaggi nati a R.
E più nove Uffiziali per compagnia
Renato Magi
n.o 81
___
n. º 719
*Questa lettera è della filza 479 dell’Archivio Mediceo, mentre la Nota della rasegnia, che vi si dice inclusa , si trova
nella filza 1869.
(Con quest’ultima lettera siamo arrivati alla pag. 323 e a noi interessa il libro fino
a questo punto. Riportiamo qui sotto i brani del libro di D. Sterpos che riguardano la
Via Francigena prima e poi la Cassia e di conseguenza il nostro paese e che grazie a
questa via è conosciuto in tutto il mondo).
COMUNICAZIONI STRADALI ATTRAVERSO I TEMPI – FIRENZE –
ROMA – a cura di Daniele STERPOS – Istituto Geografico De Agostini – Novara 1964.
(Comitato promotore Giuseppe PETRILLI –presidente dell’I.R.I. con Autostrade –
Concessioni e Costruzioni Autostrade S.p.A. – Roma)
II
Pag. 27 e segg.
La Firenze – Roma dell’alto medioevo. Nascita e sviluppo del tracciato
attraverso Siena.
L’invasione longobarda separa Firenze da Roma.
Dopo la morte di Teodorico il regno gotico non riesce a mantenersi: l’Italia viene conquistata
dall’imperatore d’Oriente. Durante la lunghissima, deleteria guerra con cui tale conquista si compie,
non è evidente il ruolo strategico della strada da Firenze a Roma. Riusciamo, non senza qualche
incertezza, a seguire le alterne vicende della lotta per il possesso delle città che ne costituiscono gli
estremi. Roma è occupata dal corpo di spedizione condotto da Belisario nel 536, assediata dai Goti
inutilmente due anni dopo, ma occupata dopo altri dieci sotto Totila, lasciata e ripresa ancora. Infine
resta ai Bizantini. Anche Firenze cambiò più volte padrone. Dopo che gli uomini di Belisario furono
entrati in Roma, si diede ad essi; forse il re ostrogoto Vitige la riprese nel 539, ma se ciò avvenne,
non durò, perché dopo poco v’erano certo i Bizantini. Nel 552 apparteneva comunque ai Goti e perciò
subì certo un’altra occupazione perché l’anno seguente il generale imperiale Narsete affrettava la
conquista totale dell’Italia. …………………………………………………………
La definitiva vittoria di Narsete (553) non recò all’Italia altro beneficio che di veder cessare i
combattimenti. …………………………………………………Il paese era perciò sempre stremato
quando, 15 anni dopo la fine della guerra gotica, dovette subire ancora l’invasione. Una sciagura,
questa, più grave delle precedenti, perché i nuovi barbari si consolidarono nel paese obbligando gli
Italiani semplicemente a servire: «fu la prima vera, duratura dominazione totalitaria di un popolo
conquistatore»274.
…………………………………………………………………………………………………
…………………Sta qui l’origine di divisioni territoriali e politiche che si manterranno fino ai
nostri giorni. Ad ogni modo il 568-69 è la tappa decisiva dell’imbarbarimento. Dei Longobardi dice
tutto Velleio Patercolo quando li chiama «più feroci della ferinità stessa», nell’Italia rimasta bizantina
274
PEPE G.: Medio Evo barbarico d’Italia, Torino 1959, pag. 16.
127
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la vita fu condizionata e paralizzata dalla loro permanente minaccia. Con l’invasione longobarda «il
nostro medioevo comincia nei suoi aspetti più bui»275.
Condizioni sfavorevoli al massimo per le comunicazioni stradali quelle dell’Italia alla fine del
secolo VI. ……………………………
……………………………………………………A Pavia, ch’era la capitale dei Longobardi,
cresceva l’erba abbondantemente per le strade. Dovendo al solito cercar di dedurre il particolare dal
generale, non possiamo supporre, almeno subito dopo la nuova invasione, che una Firenze – Roma
in pessime condizioni e con minima attività. ……………………………………………………
……………………………………………………………………………………………
La separazione permanente fra i due centri, mai prima d’allora verificatasi, diventò irreparabile
per ciò che accadde del territorio romano. …………………………………
……………………………………………………………………………………………………
….
Quando poi si dovette affrontare un’offensiva longobarda minacciante di assoggettare l’Italia
intera, il papa incominciò ad agire da Capo di Stato. La nascita giuridica del dominio ecclesiastico è
tradizionalmente legata a una località posta sulla strada Firenze – Roma, una stazione della Cassia
antica, a Sutri. Questo castello preso dai Longobardi che re Liutprando stava conducendo contro
l’Urbe, dietro agli ammonimenti di Gregorio II, fu a un certo punto abbandonato e donato « ai
beatissimi apostoli Pietro e Paolo ». ……………………………………………………………
………………………………………………………………….
Contatti e strade tra Roma e Firenze nei secoli VII e VIII.
Questi saltuari indizi della persistenza di contatti Firenze – Roma (potremmo aggiungerne uno
più antico, lo scambio di missive tra due sacerdoti fiesolani e Gregorio Magno per la costruzione di
alcune chiese) nell’atto stesso in cui ci fanno pensare a una strada inducono a domandarsi come nei
tempi descritti potesse venir provveduto almeno ai suoi più elementari bisogni. Si può trovare una
risposta, indiretta, solo tenendo presente certi aspetti meno sfavorevoli della realtà storica.
……………………………………………………………………………………………………
L’opera di governo civile dei re Longobardi e dei papi, l’azione dei monasteri, dei «popoli» delle
pievi, non sapremmo fin dove abbia potuto spingersi. Da come ci si presenterà qualche secolo più
tardi la rete nella zona che c’interessa, conosceremo invero che qualcosa di nuovo si realizzò nel
campo della viabilità anche in quest’epoca. Ma le difficoltà che innegabilmente allora ogni iniziativa
del genere doveva trovare per attuarsi, specie quando i territori interessati non avevano unità politica,
fanno escludere che per l’intero percorso fra le due città che c’interessano già si disponesse di un
itinerario diverso dall’antico. Non congettureremo perciò ancora per i viaggi tra Firenze e Roma
(quando avvengono) altra via che la Cassia, quale ci è apparsa in piena età imperiale, salvo varianti
locali di emergenza.
Il problema dello spostamento del tracciato a ovest.
Ma avremo presto elementi per incominciare a supporre variato il quadro che ci si presentava
nell’antichità. Acquisiamo tali elementi considerando l’evoluzione delle comunicazioni stradali tra
Roma e Firenze al suo punto d’arrivo. Ai nostri giorni la strada usata comunemente per andare
dall’una all’altra città corrisponde solo in parte alla Cassia quale ce la mostrano i documenti e gli
avanzi d’età romana. Essa non penetra nel Valdarno Superiore, ma parte puntando a Siena attraverso
un’accidentata zona collinare, e dopo Siena, scavalcati a Radicofani gli ultimi rilievi antiappenninici
della Toscana, tiene la direzione di Viterbo. Non molto prima di raggiungere questa città, sulla sponda
orientale del lago di Bolsena assume di nuovo, e sino alla fine (un centinaio di chilometri)
275
Ivi, pag. 113.
128
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l’andamento dell’arteria romana.
………………………………………… Proprio l’ultimo dei
discendenti legittimi di Carlo Magno che ebbe titolo imperiale e riunì domini dell’illustre antenato,
Carlo il Grosso cioè, rientrando in Francia dopo l’incoronazione a San Pietro, segue già un itinerario
che prefigura quello delle odierne comunicazioni Firenze-Roma. Carlo fu consacrato imperatore il 12
febbraio 881; il 13 di marzo si trovava a Pavia dopo essere stato a Siena in un giorno imprecisato di
quel mese: Roma-Siena-Pavia è dunque la sintesi del suo ritorno. Se teniamo conto che difficilmente
egli avrà lasciato l’Urbe all’indomani stesso della cerimonia e che a Siena dovette sicuramente fare
una certa sosta, emerge che il viaggio non durò un numero eccessivo di giorni; possiamo così
escludere che Carlo abbia raggiunto Siena durante una diversione e credere invece che percorresse
una strada diretta da Roma all’Italia settentrionale passante per quella città.
L’itinerario di Sigerico: da Roma all’Italia settentrionale per Siena e la Valdelsa.
Trascorso un secolo, il percorso di tale strada lo troviamo dettagliatamente descritto
nell’itinerario del viaggio che tra il 990 e il 994 l’arcivescovo di Canterbury, Sigerico, fece per tornare
da Roma alla sua sede episcopale: un elenco dei luoghi di sosta («submansiones») toccati dalla
partenza al mare, 80 nomi276. La strada seguita dall’arcivescovo Sigerico tocca Sutri, Viterbo e Siena,
corre nella Val d’Elsa fino all’Arno, ………………………………
Il tratto Siena – Roma della strada percorsa da Sigerico.
Della strada di Sigerico già ci è noto il tratto dall’Arno a Siena; tornando all’itinerario dobbiamo
vedere quello successivo, certamente tutto percorso da quanti andavano da Firenze a Roma e
viceversa senza più seguire il percorso antico. La prima stazione dell’Itinerario a sud di «Scocine»
(Siena) è «Arbia», parola indicante l’incontro della strada con il fiume omonimo. È molto probabile
che il luogo dell’attraversamento sia rimasto lo stesso attraverso i tempi e quindi «Arbia» può
collocarsi nella località Ponte d’Arbia. Vengono poi «Turreiner» e «Sce Quiric», ossia Torrenieri e
San Quirico, identificazione non dubbia. Per i primi 45 Km dopo Siena, la strada un millennio fa
corrispondeva fondamentalmente a quella attuale. ……………………………
…………………………………………………………
Quanto a «Sce Petir in Pail», va naturalmente cercata nella valle del Paglia. Il Paglia è formato
da alcuni torrenti che si uniscono a sud-ovest di Radicofani; la confluenza dei rami principali avviene
tra quota 406 e quota 359. Se l’antica stazione, come i più ritengono interpretando alla lettera
l’itinerario che scrive «nel Paglia»277, si trovava sul fiume, il luogo più probabile dove possiamo
collocarla è al disotto delle quote predette, dove dopo aver ricevuto il Fosso Quercia lo stesso Paglia
appare bene definito; per precisare: presso Casa Voltole o Casa Val di Paglia. Siamo assai in basso
rispetto alla cima di Radicofani. ……………………………………………………
…………………………………………………………….
D’altra parte nell’itinerario di Sigerico colpisce l’assenza di Radicofani sicuramente esistente
all’epoca della sua redazione (apparteneva a S. Salvatore sull’Amiata almeno dal 973) e nominata più
tardi in documenti analoghi. …………………………………………………………………
…………………………………………………………………………………….
Pag. 42 e segg.
L’itinerario di Sigerico fu pubblicato a cura di W. STUBBS in Rerum Britannicarum Medii Ævi Scriptores, vol. LXIII
(London, 1874) pag. 392 sgg. sotto il titolo: «Adventus Archiepiscopi nostri Sigerici ad Romam». K. MILLER lo
ripubblicò in Mappamundi, III. Stuttgart 1895, pagg. 156 – 158. La lezione da noi seguita è quella dello Stubbs.
277
Cfr. JUNG J., Das Itinerar des Erbischofs Sigeric von Cantebury und die Strasse von Rom über Siena nach Luca,
pag.43. Egli cita, approvando, lo STUBBS che ha collocato « sulla riva del Paglia » e richiama opportunamente l’esistenza
nei primi decenni del secolo XII di un monastero di San Pietro che aveva possessi lungo il Paglia.
276
129
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Precisazioni sulla strada date da altri itinerari.
Ammesso che l’itinerario degli «Annales Stadenses» sia databile nel 1152 esistono documenti
simili, coevi o di poco posteriori, con i quali è opportuno confrontarlo. Il confronto può essere però
soltanto parziale, perché i documenti in questione illustrano il percorso vero e proprio della
Francigena, e cioè Lucca-Siena-Roma e non Firenze-Siena-Roma. Il primo è l’itinerario del viaggio
a Roma, e quindi in Palestrina, dell’abate Niccolò di Thongor, islandese, tra il 1551 e il 1554. In esso
immediatamente prima di Siena troviamo ……………………………………………………
La situazione degli «Annales» la troviamo anche da Siena a Roma, salvo due novità: che fra S.
Quirico e Acquapendente si passa per il Monte Clemunt (Clements-fjell) nel quale si trova il castello
di Mala Mulier (Illa Konu Kastali), che la strada oltre a Sutri tocca, dopo un giorno di cammino,
«Sutri minore» (Suturan mikla ok litla) vicino a Monte Foiano (Fegnisbrekka). «Monte Clemunt»
corrisponde probabilmente (io dico sicuramente perché in altri documenti citati più sopra
Mala Mulier esiste, anche se non è sopra il monte ma probabilmente nella zona delle
attuali “Conie”) al monte di Radicofani, perché sotto di esso, nella pendice meridionale, sorgeva
Callemala, borgo che sarà lo stesso di Mulier Mala, tanto più che le carte dell’XI e XII secolo
menzionano una Mulier Mala sulla « via Francigena» (però Mulier Mala è diversa da
Callemala, infatti, in alcuni documenti sono citate tutte e due).
L’altro documento contemporaneo agli «Annales», in quanto «connesso con un viaggio a Roma
di messaggeri di Richards di Anesty inviati nel 1158» da Lucca in poi nomina tutte le località già
comparse negli «Annales» stessi cominciando da «Le Matre» (Marturi = Poggibonsi). Infine,
abbiamo l’elenco delle tappe fatte da Filippo Augusto, re di Francia, nel tornare dalla crociata il 1191.
Esso conferma per la Firenze- Roma il tracciato degli «Annales», arricchito da una nuova
precisazione sul passaggio della strada da le Le Briccole, già ricordata nell’itinerario di Sigerico, e da
Radicofani («La Briche» e «Redecoc») tra San Quirico e Acquapendente. In sostanza i tre ricordati
itinerari dicono qualcosa di più rispetto a quello contemporaneo degli «Annales Stadenses» solo per
il tratto San Quirico-Acquapendente, attestando la presenza della strada sulla montagna di Radicofani.
………………………………………………………....
A una distanza di tempo un poco maggiore dagli «Annales Stadenses», troviamo un documento
che presenta di nuovo l’intero tratto Firenze-Roma, e cioè certi conti di viaggio probabilmente di
Wolfger, vescovo di Passau e patriarca di Aquileia. Wolfger, che compie il suo viaggio nel tratto che
c’interessa durante l’aprile e il maggio 1204, come località toccate all’andata o al ritorno nomina
Firenze, Poggibonsi (Marthirburch), Siena, «Sanctam Cristinam», San Quirico, Radicofani
(Radechuf), Acquapendente ecc. ecc. ………………………………………………
Pag. 60 e segg.
Sulla Firenze-Roma alla fine del secolo XII: di nuovo il Barbarossa, Enrico VI, Filippo
Augusto.
………………………………………………………………………………………………….
Il primo agosto (era l’anno 1185, trent’anni dopo la prima discesa,) il Barbarossa era
ancora a Firenze: il 2 si trovava a Poggibonsi: spostamento rapido in cui non sembra azzardato vedere
la riprova che una strada regolare già univa le due località, e cioè che il primo tratto della FirenzeRoma attuale e funzionante nel suo tracciato base. ……………………………………………….
Anche Enrico di Svevia lo troviamo molto presto nei luoghi attraversati dalla Firenze-Roma:
durante la primavera del 1186 egli muove infatti contro Siena. La città che doveva essersi ribellata,
subì un breve assedio: e forse l’esercito regio discese per la strada di Firenze perché si distribuì attorno
al luogo dove questa strada raggiungeva la città: «pose l’Omperadore Arrigo assedio a Siena a
Camollia» dice la Cronaca. Vincitore, Enrico punì i Senesi togliendo loro i pedaggi stradali e tutti i
130
Libri su Radicofani
Personaggi nati a R.
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possedimenti sui quali aveva diritti l’impero, precisando bene che intendeva vi fosse compreso San
Quirico («et specialiter Castrum santi Quirici»). ……………………………………………..
Alla spedizione in Terra Santa, durante la quale perse la vita il grande imperatore (Barbarossa),
aveva partecipato anche Filippo Augusto, re di Francia, che nel 1191 appunto compiva quel viaggio
di ritorno per l’Italia il cui itinerario schematico abbiamo prima utilizzato nel seguire l’evoluzione di
tracciato della nostra strada. Filippo Augusto, come a suo luogo si disse, toccò Roma, il «Castello di
San Pietro», Sutri, Viterbo, Montefiascone, Bolsena, Acquapendente, Radicofani, Briccole, San
Quirico, Siena, Poggibonsi e da qui continuò per il tratto superiore della Via Francigena.
…………………………………………
I Romani
contro Viterbo al tempo di Innocenzo III.
Non minori vantaggi, immediati almeno, ebbe dall’improvviso cambiamento la Chiesa. Il
successore di Celestino III, spentosi poco dopo l’imperatore, poiché i sovrani che contendevano in
Germania erano entrambi interessati al suo appoggio, e poiché dell’orfano di Enrico VI era egli stesso
il tutore, venne a trovarsi in una posizione fortissima e, con la sua intelligenza ed attività, poté
largamente profittarne. Fu questi Innocenzo III, il cui papato è fatto coincidere con l’apogeo della
potenza della Chiesa, anche se non tutti i successi che egli riportò furono così pieni come ai più
appariva. Prima di allargare la propria autorità su tutta Europa, papa Innocenzo III volle e seppe
assicurarsi una base di potere, riprendendo l’effettivo controllo dei territori ecclesiastici. Si trattava
anzitutto d’imporsi ai feudatari rimasti senza appoggio imperiale ed egli vi riuscì assai rapidamente;
tra l’altro, l’anno stesso dell’elezione ricuperò tre località il cui controllo significava garanzia di libero
movimento in direzione della Toscana e di Firenze: Radicofani, Acquapendente e Montefiascone. E
la prima dispose subito che venisse adeguatamente fortificata: «In rocca de Radicofano fecit exsaltari
veteres murus et novos construi, cavari fossatum et locum bene muniri»278.
………………………………………………………………………………………………………
Pag. 69
Federico II in viaggio sulla Firenze-Roma. Tracollo de3ll’Impero alla morte di lui.
Ricomparve Federico sulla Firenze-Roma durante il 1247 e percorse tutto il tratto centrale. Tempi
grami quelli per lui. Negli anni avanti c’erano state una scomunica papale, offensive fallite contro i
comuni eternamente ribelli e la proclamazione in Germania di un nuovo «re dei Romani»; nello stesso
campo imperiale alcuni notabili avevano congiurato. Procedendo per la «strada romana» Federico
trovò tuttavia rispetto e ubbidienza. I Senesi, quando seppero che da Terni s’era diretto a nord-ovest,
spedirono un corriere ad Acquapendente per informarsi se il viaggio avrebbe interessato la loro città.
Ma ad Acquapendente già s’era pensato a mandare qualcuno a Siena, per informare dell’itinerario
che intendeva fare quel difficile viaggiatore. Appena avute comunque le informazione che
aspettavano, i Senesi fecero partire un’ambasceria capeggiata dal podestà in persona per ricevere
appunto in Acquapendente l’imperatore e accompagnarlo. L’ambasceria stette fuori 4 dì, per cui si
desume che Federico II percorresse il tratto Acquapendente-Siena in un paio di giorni. Probabilmente
egli fece tappa a San Quirico, perché lì datò un diploma che ci è rimasto.
A Siena, dove fu ospitato a pubbliche spese, il sovrano aveva con sé il figlio Federico d’Antioca,
da un po’ di tempo potestà di Firenze e vicario imperiale in Toscana, e certo esaminò con lui la
situazione nella zona e i piani concretati per l’Italia superiore, alla quale si dirigeva. Ma pur con
l’assillo di tanti problemi di Stato, l’imperatore non dimenticò nel soggiorno in Toscana di andare a
caccia, il suo spasso prediletto: sappiamo che il comune senese fece preparativi in vista di una battuta
verso Orgia. Con Federico II erano dunque passati sulla «via romana» anche i suoi celebri falconieri,
278
Cfr. Gesta Innocentii papæ III, In MIGNE I. P.; Patrologiæ latinæ cursus completus, Paris 1844-1864, CCXIV, c.
XXVIII.
131
Libri su Radicofani
Personaggi nati a R.
Renato Magi
e lo stesso deve essere accaduto a Viterbo nel 1234, quando, a dire d’un cronista malevolo, a un certo
punto lo Svevo sembrò «diventato cacciatore, da imperatore che era». Per tempo brevissimo Siena
ebbe quell’ospite eccezionale. Egli ripartì d’aprile, proseguendo per la «via romana», e fu fatto
accompagnare da idonee guide fino a Poggibonsi, dove prese la vecchia Strada Francigena279.
III
Secoli XIV e XV : vita della « strada romana »
Sulla Firenze-Roma verso la fine del Duecento.
Pag. 72
……………………………………………………………………………………………………
… E la spedizione dei Romani contro Viterbo nel 1290, e il passaggio della ambasceria straordinaria
fiorentina, 12 oratori e un notaio, per l’elevazione al trono di Pietro d’un uomo che si sapeva difficile
e autoritario, di Bonifacio VIII il cui drammatico pontificato doveva chiudere il secolo e un periodo
di storia. Al medesimo periodo la fantasia del Boccaccio assegnò una straordinaria impresa di Ghino
di Tacco sulla «strada romana», di catturare «l’abate di Clignì» mentre col permesso di papa
Bonifacio va da Roma «a Bagni di Siena» e curargli lo stomaco in Radicofani con fave secche e
vernaccia.
Viaggio di Dante per il Giubileo.
Non meno di questi personaggi di primo piano della vita italiana o europea, non meno di questi
fatti ricchi di conseguenze, e tuttora, alcuni, famosi, ci interessa la presenza sulla Firenze-Roma di un
gruppetto di gente comunissima e una notiziola sui loro affari. Il 21 aprile 1300, diverse persone di
Radicofani e del castello di Badia promettono a Fra Giovanni del monastero di San Salvatore che
staranno lungo la strada pubblica, nella contrada di Calimala a vendere vino e cibo a quelli che
passano, ricevendo un determinato utile. Certo, è un accordo privato tra alcuni campagnoli e il
rappresentante di un monastero, che riguarda un modesto servizio per i viandanti. Ma forse qualcuno
dei sottoscrittori di tale accordo, in quella stessa via pubblica dove l’atto era stato sbrigativamente
rogato, fra i viaggiatori della Firenze-Roma, fra i pellegrini, fissò forse il volto di Dante: quel volto
che tutte le generazioni avrebbero poi cercato e immaginato e che doveva diventare il simbolo della
gente e della patria italiana.
Pag. 76.
Fisionomia della Firenze-Roma nel secolo XIV. L’opera dei comuni.
……………………………………………………………………………………………………
La strada Celamonti-Corsignano interessava le comunicazioni Firenze-Roma; essa proseguiva
infatti per San Casciano dei Bagni e riprendeva la Via Francigena, che è quanto dire la strada di
Firenze presso il Paglia, dopo la confluenza con il Rigo. In alcuni periodi « per ragioni
prevalentemente politiche » si preferì tale itinerario all’altro di Radicofani280. Quest’ultimo però
rappresentò sempre il cammino principale. Nell’itinerario di due viaggi effettuati alla metà del 300,
Per tutti i particolari del passaggio di Federico II lungo la nostra strada nel 1247 cfr. Libri dell’entrata e dell’uscita
della Repubblica di Siena detti del Camerlingo e dei quattro provveditori della Biccherna, Siena 1931, VII, pagg. 31 –
43.
280
Cfr. VENEROSI-PESCIOLINI G.: La strada Francigena nel contado di Siena nei secoli XIII-XIV, Siena 1933, pag.
9 – 14 -15 – 35.
279
132
Libri su Radicofani
Personaggi nati a R.
Renato Magi
dopo Siena si trova San Quirico e quindi l’ «Altum Radicofanum» o il Molino del Paglia, che doveva
essere, non lontano dal ponte sul Rigo attuale281.
La costruzione del tratto nuovo a sud di Torrenieri rientra in un restauro generale ordinato
nell’anno 1306 nel comitato senese. Incaricati del comune divisero la Strada Francigena (compreso
il ramo di Corsignano) in tratti, assegnandoli alle comunità che dovevano provvedere, e prescrivendo
i lavori da eseguire: le spese sarebbero state detratte dalla imposta della gabella.
A parte la variante riportata, qualche ponticello, qualche allargamento, il restauro sembra
consistesse nella costruzione o ricostruzione delle massicciate: si è calcolato che in complesso
venissero impiegati oltre 9000 metri cubi di ghiaia, il che indica un forte ricarico.
Pag. 84
Il giubileo del 1350: anche il Petrarca fra i pellegrini.
Senza il papa intanto Roma aveva visto un secondo giubileo e una nuova incoronazione
imperiale. Il Giubileo dell’anno 1350 ebbe anch’esso, come il primo del ‘300, uno dei massimi nostri
poeti fra i pellegrini : Francesco Petrarca. …………………………………………………
L’incoronazione imperiale alla quale abbiamo alluso fu quella di Carlo IV di Boemia nel 1355.
Nel venire verso l’Urbe Carlo, da Pisa, raggiunse la Firenze-Roma a Poggibonsi e ne percorse tutto
il rimanente. Toccò Siena, San Quirico, Radicofani, Acquapendente, Bolsena, Sutri; non Viterbo, o
meglio, non l’abitato: gl’impedì l’ingresso il rettore del Patrimonio, che temeva dei ghibellini locali.
Ma Carlo IV si rassegnò facilmente; era accomodante e badava soprattutto a far denari mediante
tributi. Sulla Firenze-Roma, con l’imperatore viaggiava la moglie e furono poi incoronati insieme.
Pag. 92
La « strada romana » nella seconda metà del Quattrocento.
Dopo il decorativo e suggestivo passaggio dell’imperatore (si parla dell’Imperatore
Federico III di Stiria il quale veniva per essere incoronato ma restò esclusa la sua
nomina però venne per sposarsi dal vescovo Enea Silvio Piccolomini) l’urto tra le due
ricordate coalizioni di Stati si verificò e le ostilità non si conclusero che nel 1454 quando i principali
contendenti, Venezia e Milano, compresero la necessità di posare le armi. Al loro accordo diretto
dovette seguire quello degli altri Stati e la pace, detta di Lodi, sanzionò una situazione di equilibrio
che durò 40 anni.
La seconda metà del secolo scorre così assai più tranquilla della prima nello splendido fiorire
della civiltà rinascimentale che trae tanta anima anche dai diretti rapporti, in questo tempo attivissimi,
tra Firenze e Roma. Possiamo a conclusione dare ancora uno sguardo al tracciato della strada
naturalmente per noi sempre più definito e preciso. Esso si sviluppava da Firenze a Siena per queste
località: Porta San Pier Gattolini, San Gaggio, Portico, bivio per Volterra al Galluzzo, Tavarnuzze,
Ponte (nuovo) di Montebuoni, Sant’Andrea in Percussina, San Casciano, passaggio torrente Terzona,
Tavarnelle, Petroio, Barberino, Poggibonsi, Staggia, Siena. Da San Casciano fin qui è sempre
frequentatissimo il ramo del Chianti, per Sambuca, San Donato in Poggio, Castellina, Quercegrossa.
Oltre Siena la Firenze-Roma tocca: Monteroni, Ponte d’Arbia, Buonconvento, Torrenieri, San
Quirico, «Le Capanne», Radicofani, Ponte al Rigo, Ponte Centino, Acquapendente, San Lorenzo,
Cfr. l’itinerario del mercante «Bonis», venuto a Roma per il giubileo del 1350: « …de ser a San Sirguoo; le XX dia
dinar ala Palha del Molit, de ser a Aguas-pendens » (RAINA P.: Una iscrizione nepesina del 1131, in « Archivio Storico
Italiano », XIX (1887), pag. 58). Cfr. anche l’itinerario di Carlo IV imperatore nel 1355: «per Sanctum Quiricum ac altum
Radicofanum et deinde per Aquam Pendentem».
281
133
Libri su Radicofani
Personaggi nati a R.
Renato Magi
Bolsena, Montefiascone, Viterbo, Vico del Prefetto, Ronciglione, Sutri, Monterosi, Torre a Baccano,
Borghetto e Roma282.
Nei 40 anni suddetti, dalla pace di Lodi alla spedizione di Carlo VIII questa strada, come al solito,
fu utilizzata da alcuni protagonisti del mondo italiano (ed europeo) in occasioni importanti. Il
Piccolomini diventato papa ne percorse parte nell’andare e nel tornare (1459-60)
…………………..Vi passarono qualche anno dopo andando a nozze due fanciulle di gran rango: la
figlia del duca di Milano, sposa all’erede di Napoli, e la sorella di quest’ultimo, destinata a Ercole
d’Este. Fanno riscontro viaggi a Roma per devozione, di due sovrani stranieri: ancora Federico III e
Cristiano di Danimarca (1469 e 1474) e il passaggio dei pellegrini al Giubileo del 1475. La strada fu
poi interessata da movimenti militari per l’attacco combinato di Sisto IV, il re di Napoli e Siena a
Firenze. Attacco fallito per la sagacia di Lorenzo il Magnifico;…………………………….È l’anno
1489, dal 12 al 22 marzo, sulla Firenze-Siena passa il figlio del Magnifico stesso, Giovanni, che va a
ricevere la porpora. Il cardinale Giovanni, assurto al pontificato come Leone X, darà il nome al suo
secolo.
IV
La grande crisi italiana negli episodi collegati alla strada.
Pag. 93 e segg.
La discesa di Carlo VIII: marcia da Firenze a Roma.
Alla fine del Quattrocento l’equilibrio nella Penisola viene rotto ad opera del re Carlo di Francia,
che vantando antichi diritti dinastici passa le Alpi per conquistare il Napoletano. Sulla venuta di Carlo
VIII in Italia come apertura d’un periodo storico tutti conoscono il giudizio del Guicciardini, che
scrisse la più penetrante narrazione dei primi decenni dell’età moderna partendo proprio dalla
spedizione del re francese: « Dalla passata sua non solo ebbono principio mutazioni di Stati,
sovversioni di Regni, desolazioni di paesi, eccidi di città, crudelissime uccisioni; ma eziandio nuovi
abiti, nuovi costumi, nuovi e sanguinosi modi di guerreggiare, infermità insino a quel dì non
conosciute; e si disordinorono in maniera gli istrumenti della quiete e concordia italiana che non si
essendo mai poi potuta riordinare, hanno avuto facoltà altre nazioni straniere e eserciti barbari di
conculcarla miserabilmente e devastarla». ……………………………………………
……………………………………………………………………………………………….
Il Guicciardini dice chiaro che da Siena in poi Carlo VIII procedette verso Roma «insolente più
l’un dì che l’altro per i successi molto maggiori che non erano giammai state le speranze; e, essendo
i tempi benigni e sereni assai più che non comportava la stagione, deliberando di continuare senza
intermissione questa prosperità». Da Siena, il re partiva il 4 dicembre; quella sera alloggiò a
282
Sul tracciato siamo complessivamente informati dai diari delle «Commissioni» espletate da Rinaldo degli Albizzi per
conto della Repubblica fiorentina, nelle quali sono riportati con molti dettagli gl’itinerari di tre viaggi Firenze-Siena e
ritorno (1410 e 1414) e tre Firenze-Roma e ritorno (1421, 1424, 1425-26). In questi ultimi per due volte l’Albizzi non
percorre nel primo tratto la strada che conosciamo, ma un’altra che passando per Incisa Valdarno, Torrita, Montepulciano
e Perignano viene a rientrare in essa tra i monti a nord di Radicofani. Il tratto dal Rigo all’Orcia, cioè l’attraversamento
da sud a nord dei monti di Radicofani, viene per due volte così descritto: «Ponte Arrigo-Capanne di Radicofani – alle
Capanne – all’altre Capanne – al fiume della Paglia». Una volta si nomina semplicemente «Radicofani». Risulta perciò
incerto il percorso compiuto in questo tratto: Probabilmente altre alla strada che saliva alla sommità, documentata altre
che dalla detta menzione «Radicofani» anche da un altro itinerario del secolo XV (Cfr. «Itineraire de Bruges» in Le livre
de la description des Pays, a cura di E. T. HAMY, Paris, 1908, pag. 190: «…….Saint Cleriquo, Readecophere,
Acqueendente». Era di nuovo in uso un cammino come quello del medioevo, che passava più in basso forse da «La
Capannella» (m. 525, dalla parte di Ponte a Rigo) e poi vicino al Paglia. Secondo un’antica fonte (Cfr. PECCI. Lo stato
senese. Etc…Biblioteca Civica di Siena. Ms. B. IV. 18. Vol. IX, c. 140, sarebbe questo il periodo in cui i passeggeri
«tenevano la strada di sotto» e la repubblica ordinò di drizzare e stabilire per Radicofani la «strada romana» facendola
riparare dal Formone in poi.
134
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Personaggi nati a R.
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Buonconvento e nei giorni successivi continuò sulla «strada romana» : egli oltrepassò il confine
senese, il fiume Paglia e raggiunse Acquapendente, Bolsena e Viterbo occupandole senza difficoltà,
non solo, ma in mezzo a clamorose manifestazioni di omaggio. …………………………………
……………………………………………………………………………………………….
Entrato attivamente nella politica, Girolamo Savonarola rappresentò un elemento equilibratore e
chiarificatore, prezioso non solo per l’efficienza delle nuove istituzioni, ma per la concordia cittadina,
in un’ora in cui le passioni non più represse e velleità di rivincita potevano scatenare le guerra civile.
«Se non fussi questo Frate si veniva al sangue», scrisse un fiorentino in quei giorni283.
Il re di Francia entra in Roma. Situazione critica di Alessandro VI.
Firenze insomma andava superando la crisi, invece Roma doveva ancora passare il peggio. Dopo
l’occupazione di Viterbo …………………………………………………….il 19 e il 22 dicembre
arrivarono « fino alle porte di Roma » provocando i nemici a battaglia. …………………….
Nella descrizione del contemporaneo rivive lo spettacolo che migliaia e migliaia di persone,
lungo tutta la Firenze-Roma, stupefatte e atterrite ammirarono quell’anno lontano come la cosa più
straordinaria che mai sulla strada o altrove avessero visto.
Ritorno di Carlo VIII da Roma verso Firenze: il Savonarola accorre per persuaderlo a
deviare.
Carlo poteva dirigersi ormai alla sua meta ultima, e per profittare del bel tempo fuori stagione, si
affrettò a lasciare Roma per Napoli avanti che finisse gennaio. Ai primi di giugno lo ritroviamo a
Roma e sulla strada Roma-Firenze……………………… alla conclusione di una lega antifrancese
promossa da Venezia e da quello stesso Ludovico il Moro che aveva tanto appoggiato la discesa del
re in Italia. …………………..il primo giugno arriva e il 3 riparte in direzione di Viterbo e di Siena.
…………………………………………………………….il 13 giugno entrarono in Siena il re,
……………………..marciando con ordine e silenzio da impressionare. Nella città Carlo VIII passò
alcuni giorni, occupato a trattare con i fiorentini…………………………………………………….
………………………………………………………..Quando seppe il re a Siena, il frate
(Girolamo Savonarola) sentì di non dovere più attendere ad andargli incontro
……………………………………….Quando Girolamo Savonarola accompagnato Carlo a Castel
fiorentino, rientrò in città, non meno di 13.000 persone accorsero alla prima predica.
Piero de’ Medici tenta di tornare a Firenze risalendo la «strada romana».
La definitiva uscita dell’esercito francese dal proprio territorio non significava per Firenze la fine
di ogni difficoltà. ………Piero de’ Medici ………………credette allora giunto il momento per un
nuovo tentativo di rientrare a Firenze…………………
Da Roma egli tenne fino a Siena la direttrice della via maestra, ma «camminando di notte e fuori
strada» per non scoprirsi; a Siena raccolse altri aiuti e si trovò a disporre di un migliaio di armati
senza che Firenze fosse ancora in allarme.
Alla fine, visto che nessuno si voltava in suo aiuto e considerato che gli potevano sopraggiungere
da un momento all’altro alle spalle truppe della Repubblica chiamate da Pisa, Piero de’ Medici capì
d’aver ancora una volta perso e fece marcia indietro verso Siena.
La legazione romana del Machiavelli «segretario della Signoria».
283
LANDUCCI L., Diario fiorentino dal 1450 al 1510, ec. A cura di Del Badia, Firenze 1883, pag. 93.
135
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Pag. 107.
………………………I piagnoni furono sostituiti con uomini della fazione
opposta……………………..la direzione della seconda cancelleria, a un giovane sconosciuto:
Niccolò Machiavelli…………………………………………………………..Anche Machiavelli è fra
coloro che percorsero la Firenze-Roma; anche nelle sue vicende s’inseriscono viaggi e spostamenti
per la nota strada postale. Ci sono anzitutto nell’agosto del 1501 e nell’aprile del 1503, due viaggi a
Siena……………
C’è poi, ben più importante, il viaggio a Roma, anch’esso del 1503. Più importante per la
lunghezza del percorso, per l’emozione che dovette dare al Machiavelli («Sull’incontro di quest’uomo
con le reliquie dell’Urbe ci bisogna frenare la fantasia», ha scritto un biografo) e per il motivo che lo
determinò: osservare la situazione dopo la morte del papa Alessandro VI Borgia e l’effimero
pontificato di Pio III, e seguirla «fino alla elezione del nuovo pontefice». Il Machiavelli partì la
mattina del 24 ottobre e arrivò il 27.
Il ritorno in patria dei Medici. Il cardinale Giovanni a Roma per l’elezione papale.
……………………………il Machiavelli perse il posto. E poco dopo rischiò anche la vita: fu
infatti arrestato all’inizio del 1513 sotto l’accusa di aver preso parte a un complotto antimediceo. Il
complotto esisteva e l’azione dei congiurati avrebbe dovuto manifestarsi anche sulla Firenze-Roma
perché sembra che fosse stato deciso «d’ammazzare in Firenze Giuliano e Lorenzo de’ Medici e nel
medesimo tempo, per la strada di Siena, il cardinale quando egli andasse a Roma, per la creazione del
nuovo papa». Ma il decaduto Segretario non vi aveva partecipato e poté evitare il peggio; tuttavia lo
lasciarono in prigione. Perché ricuperasse libertà e sicurezza ci volle un avvenimento eccezionale,
avvenimento iniziatosi proprio con un viaggio da Firenze a Roma.
Giulio II …………. spirò nella notte tra il 20 e il 21 febbraio 1513. Il giorno 22………. il
cardinale Giovanni de’ Medici lasciava Firenze con il suo seguito per partecipare al conclave.
……………………… impiegò 5 giorni nel viaggio poiché arrivò il 26, e appena a Roma si mise a
letto. Anche in conclave il cardinale Medici entrò in lettiga, ma questo non gli impedì di uscirne papa.
Fiorentini e parenti di Leone X a Roma. Riprende la guerra tra Francia e Spagna.
Se il papa mediceo, come abbiamo visto, giovava anche ai nemici della sua famiglia, doveva dare
necessariamente speranze d’esaltazione ai consanguinei. In particolare per Giuliano e per Lorenzino,
figlio di Piero, i due Medici che erano primi in Firenze, con il pontificato di Leone X si apriva un
grande avvenire, ed entrambi si affrettarono a Roma per mettersi in luce accanto al rispettivo fratello
e zio. Lorenzino vi corse alle prime notizie, tanto che era già arrivato il 14 marzo, in tempo per tutte
le solenni cerimonie che seguirono alla creazione del nuovo pontefice. Giuliano andò meno
affrettatamente, ma con molta pompa. La fama dei grandi preparativi fatti precedette la sua venuta
acuendo l’interesse. ……………………
In verità quando arrivò a Siena risulta che di cavalli Giuliano ne avesse intorno a
200……………………………………………………… Fu un viaggio tutto pieno, per il Medici, di
soddisfazione e d’onore. ………………………………………..
Spettacolare quanto quello di Giuliano se non di più – lo ricordiamo per inciso – fu il passaggio
sulla Firenze-Roma della delegazione ufficiale inviata a recare al pontefice l’omaggio della città
natale. Era composta di 12 oratori, che si portavano dietro «200 cavalli ben in hordine» e 50 carri di
bagagli; partì il 17 maggio; arrivò il 25 e naturalmente venne accolta con la maggiore solennità:
«l’intrata soa fo onorata di le fameie di Papa e di cardinali e di oratori.
(Siccome ricominciò la guerra che la Francia combatteva contro la Lega Santa e
che in un primo momento vedeva la Lega Santa avere la meglio, ma che dopo la morte
del re Luigi XII, il successore Francesco I il 13 e 14 settembre 1515 a Melegnano, in
una battaglia che fu detta «dei Giganti» i Francesi sconfissero le fanterie svizzere. Il
136
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nerbo delle forze della Lega. Dopo questa vittoria Francesco I mostrò che avrebbe
gradito di accordarsi con il papa. Leone X non poteva disdegnare questa offerta ma
preferì andare Lui ad incontrarlo nella pianura padana.
………………………………. Ecco dunque il pontefice dirigersi verso nord e percorrere la
Roma-Firenze.
Il primo papa fiorentino viene a Firenze.
All’inizio di ottobre Leone X lascia Roma………………………………………………….Il 19
febbraio 1516 iniziava il viaggio per Roma con il proposito di percorrere a ritroso press’ a poco lo
stesso itinerario fatto all’andata, che solo in piccola parte coincideva con la Firenze-Roma. (Il papa
invece passò da un’altra parte e solo in minima parte fece la Firenze-Roma che venne
effettuata invece da diversi personaggi della Curia).
Pag. 120.
Un altro Medici papa e un’altra solenne ambasceria fiorentina a Roma.
Il 1516 fu l’anno della pace, «solenne ed universale pace» come scrisse il Muratori, nella quale
«pareva ormai che l’Italia avesse a respirare». C’era stata invero una battuta d’arresto nella lotta di
predominio scatenatasi fino dalla venuta di Carlo VIII: ma si gettò in quell’anno medesimo il seme
di più lunga, accanita guerra ……………………………………………………(In Spagna
successe a Ferdinando il nipote Carlo che già regnava nei Paesi Bassi ed era anche
nipote di Massimiliano d’Austria dopo di che raccolse da lui l’eredità di « re dei
Romani » vale a dire imperatore. Questa enorme concentrazione di potenza nelle mani
di un solo uomo sconvolgeva l’equilibrio europeo a danno della Francia. Dopo
l’elezione imperiale di Carlo (28 giugno 1519) il conflitto Spagna Francia ricominciò
per durare decenni).
Al momento della ripresa della lotta, l’anno 1521, Leone X aveva concluso un’intesa con Carlo
V. …………………………….il papa si ammalò improvvisamente e morì. …………………Lo
sbigottimento rincrudì all’elezione del successore, Adriano VI, che era un fiammingo ascetico e
severo, privo di raffinatezze e di interessi artistici. Alla morte di Leone X gli eserciti alleati si
fermarono, e con papa Adriano VI parve che incominciasse in religione e in politica un’epoca diversa.
Invece meno di due anni dopo, quel pontificato così preoccupante non era che una parentesi chiusa,
perché Adriano morì a metà settembre del 1523. Quando i cardinali si riunivano per la nuova elezione
se la curia sperava di vedere nuovamente « uno italiano o almanco nutrito in Italia, in quella sedia »
Firenze poteva aspettare di vederci per la seconda volta un suo cittadino e un Medici: nel sacro
collegio spiccava infatti il cardinale Giulio, nipote di Lorenzo il Magnifico.
Per tutti fu attesa lunga, perché il conclave durò quasi due mesi, ma quando si aprì proprio il
cardinale Medici risultò eletto (il 18 novembre 1523).
E qui (a Firenze) naturalmente si dovettero fare le cose in grande. Gli ambasciatori che presero
la
«strada
romana»
assommavano
a
dieci,
con
l’arcivescovo
Minervetti.
………………………………………………..
Una manifestazione questa lungo la strada, che tornava doppiamente a gloria del papa, perché
anche Firenze era stata retta dal papa e continuerebbe ad esserlo per interposta persona. Con Clemente
VII (questo nome aveva preso Giulio dei Medici) si verificava il caso straordinario dell’ascesa al
soglio pontificio di un uomo che già possedeva uno Stato.
(Tutto quanto sopra fa sembrare che Clemente VII si avviasse ad un felice
pontificato, invece sia per Firenze che per Roma fu infelicissimo. La guerra fra Carlo
137
Libri su Radicofani
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e Francesco continuava e sia l’uno che l’altro si aspettavano i favori del papa. In un
primo momento Clemente VII prese le parti di Francesco che aveva avuto diverse
vittorie e a Carlo sembrò un tradimento. Il 24 febbraio 1525 a Pavia i Francesi
venivano disfatti facendo prigioniero lo stesso Francesco. La reazione di Carlo fu di
sdegnato rigore: strapparono al papa un patto di alleanza e un’indennità,
assediarono lo Sforza nel suo castello a Milano, ai Veneziani chiesero una forte
somma minacciando l’invasione, e a Francesco fecero firmare una pace che mise la
Francia in vassallaggio. Ma il monarca francese, appena libero, costituì una grande
lega contro Carlo V.)
Clemente VII nella lega contro Carlo V. Spedizione nel Senese.
(Nella lega contro Carlo V oltre a Milano, Venezia e la Francia era costituita anche
dal papa. La prima fase, per iniziativa di Clemente VII fu fatta in Italia centrale per
avere un contatto tra Roma e Firenze e togliere la piccola Repubblica di Siena, che
era il solo Stato in Italia favorevole agli Spagnoli. Il papa fece di tutto per portare il
suo esercito sotto la guida del conte Virgilio Orsini insieme a quello fiorentino contro
la città di Siena, l’impresa andò talmente male che il fallimento costituì un colpo per
tutta la Lega, e tutto ciò si svolse per la maggior parte nella nostra strada «FirenzeRoma», ma, un vecchio condottiero tedesco riuscì a radunare lanzichenecchi nel Tirolo
per soccorrere le fortune imperiali e sembra che le forze vadano contro Firenze).
Pag. 127.
Marcia di sorpresa degli Imperiali su Roma, profittando della via di Firenze.
Ma quando tutte le forze imperiali raggiungono la Firenze-Roma il Borbone decide
di andare verso Roma e appena gli eserciti della Lega capiscono che gli imperiali si
dirigono alla volta di Roma inviano truppe celeri in aiuto, ma una serie di imprevisti
fa ritardare gli aiuti, mentre gli imperiali a sud di Siena entrarono nella Firenze-Roma
e qui hanno preso a camminare per una meta ben precisa: La presa di Roma.
Siena si ribella: attacco e ritirata dell’esercito imperiale.
Come Siena fosse legata all’imperatore, lo abbiamo visti in occasione del viaggio di quest’ultimo
da Roma a Firenze. In pratica da molti anni la Repubblica «si reggeva stentatamente sotto la vigile
assistenza di Carlo V, la quale aveva più carattere di dominio che di protettorat». Una parte dei Senesi,
la fazione popolare, non era rassegnata a tale soggezione e nell’anno 1546 si verificò un tumulto
culminato con la cacciata del presidio spagnolo dalla città.
………………………
Di fatto un’altra rivolta in Siena si verificherà con successo nel 1552, e avrà fra i primi esponenti
uomini stati in contatto con il cardinale di Tournan, inviato dal re di Francia a Roma.
Fra le due azioni contro gli Spagnoli del ’46 e del ’52, costituì un avvenimento per Siena e il suo
territorio l’eccezionale traffico della «strada romana» in occasione del Giubileo, a metà del secolo. Il
flusso dei pellegrini incominciò alla fine di febbraio 1550 (sopravvenuta la morte del papa, per aprire
l’Anno Santo si attese il successore, che fu Giulio III incoronato il 22 del detto mese) e durò fini a
Natale. Ma già molto prima i Senesi s’erano preparati a sfruttare economicamente il fenomeno.
Nell’estate del 1549 gli officiali di Balia «veduto la necessità di provvedere denari per li occorrenti
138
Libri su Radicofani
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pubblici bisogni» avevano dato disposizioni per appaltare «le gabelle o entrate o rendite di esse per
tutta la strada romana del dominio senese de l’anno del giubileo». Furono così tassati le osterie e gli
spacci di «cose da mangiare e bere per uso d’uomini o cavalli o altro».
Le tabelle d’imposizione danno modo di costatare che i pellegrini trovavano sul Senese osterie e
osti un po’ dappertutto: a Monteroni, a Lucignano, a Ponte d’Arbia (qui ce n’erano 7), a
Buonconvento, a Torrenieri, a San Quirico, a Ricorsi, a Radicofani e al Paglia, (dove stava un oste
più tassato di tutti con 80 fiorini) e naturalmente nella città, che godeva però di speciali esenzioni284.
Si legge esplicitamente negli atti della Balìa per le gabelle dell’Anno Santo del 1550, che le decisioni
allora prese ricalcavano provvedimenti analoghi disposti in precedenti occasioni. Non era infatti la
prima volta che la repubblica godeva di benefici materiali connessi al movimento dei pellegrini sulla
Firenze-Roma di cui essa controllava un così lungo e importante settore, non era l’ultima che poteva
far ciò da Stato Indipendente. (E qui comincia, appunto la guerra di Firenze contro la
Repubblica di Siena). ………………………………………………
Pag. 152.
……………………………………………………….Nel 1559, a chiusura di nuove battaglie
militari combattute per lo più fuori d’Italia, una pace, la celebre pace di Cateau Cambrésis, veniva
stipulata fra la Spagna e la Francia. Quest’ultima rinunciava alle sue pretese nella Penisola, e quanto
a Siena accettava l’assorbimento nel ducato di Firenze per il quale due anni prima Filippo II, il
successore di Carlo V, aveva offerto la base giuridica subinfeudando a Cosimo dei Medici la vicina
repubblica, salvo una piccola zona costiera.
………………………………………………………
Per la Firenze-Roma invece s’inizia da questo momento un’epoca nuova: benché continui ad
esistere formalmente lo «stato senese» con le sue magistrature distinte da quelle fiorentine, l’unione
dei due organismi sotto lo scettro dei Medici farà sì che per tutto il settore tracciato entro i limiti
geografici della Toscana troveremo d’ora in poi dei provvedimenti amministrativi in virtù dei quali
la strada viene mantenuta e migliorata in una uniformità crescente e alla fine completa. Anche gli
avvenimenti nei quali la grande arteria ha parte, cambiano sensibilmente carattere da quando
appartiene a due sovranità: al duca (ben presto granduca) e al papa. Da molti secoli le comunicazioni
per via ordinaria fra Firenze e Roma si svolgevano su un itinerario la cui sezione centrale correva in
territorio del tutto indipendente dalle città poste agli estremi, restando così condizionate, oltre che
dallo stato della strada, da un intrecciarsi complesso e mutevole di rapporti politici.
……………………………………………Con lo Stato senese autonomo scompare qui il più grosso
residuo del particolarismo di tipo medievale e incomincia per la nostra strada, proprio con lo storico
trattato di Cateau Cambrèsis, un periodo di attività forse meno vivace e interessante, ma certo più
proficua.
V
Viaggi e lavori tipici dell’età del predominio spagnolo e delle riforme.
La strada del Cinquecento nelle note di due stranieri.
Pag. 153.
……………………………………………………………………………………………….
284
A.S.S.. Balia, 1089, «Gabelle de la strada per l’anno santo 1550»,
139
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Per la seconda metà del Cinquecento, possono costituire esempio di relazioni di due stranieri ben
dotati di personalità ed esprimersi con libertà di giudizio, relazioni posteriori appena 20-25 anni alle
ultime vicende esposte, e cioè il Voyage en Italie di Montaigne, famosissimo; e «Iter Italicum».
Composizione latina del dotto fiammingo Arnoldo Von Buchel (Buchellius)285. Essendo pressoché
contemporanee (del 1580-81 la prima, del 1588 la seconda) esse si integrano e correggono a vicenda,
donde un’immagine oggettiva della realtà che c’interessa.
All’inizio del viaggio da Firenze, la campagna appariva di media fertilità fin verso Siena, ma
molto coltivata e molto abitata. La strada: ondulata e sassosa. Poco o punto notevoli San Casciano,
comunissimo castello («oppidulum»), dove però non mancava da alloggiare e Poggibonsi «una terra
piccola». Montaigne, che aveva sempre pronte osservazioni, qui non ne fece, né in bene né in male.
Siena continuava a imporsi per la sua unità stilistica, ma interessava anche più per essere stata 30
prima al centro di una questione internazionale: l’impegno posto dai Francesi a difenderla e il valore
dei cittadini ne avevano celebrato il nome in Europa. Altro luogo di ricordi Buonconvento,
naturalmente per la morte di Enrico VII, ricordi antichi che però dovevano essere stati rinfocolati
polemicamente nel mondo protestante: il Buchellius indugia, citando il dotto tedesco Fabricius
(visitatore di quei luoghi circa 15 anni prima), a ricordare la diceria che a Buonconvento l’imperatore
era stato avvelenato da un domenicano.
Poi San Quirico, che nel Buchellius è «Fanum Quirici» e nel Montaigne molto semplicemente
«un castelluccio». Montaigne però nei paraggi non ha mancato di notare l’ottimo stato della via che
percorre e lo dice volentieri: «tutte queste strade sono state assestate uguanno per ordine del duca di
Toscana, la qual opera è molto bella e profittevole al servizio pubblico. Dio glielo rimeriti, perché le
vie difficilmente sono per questo mezzo speditevoli e comode, come le vie di una città286. E la cura
delle strade è compensata dall’afflusso del traffico: «era cosa stupenda – scrive Montaigne riferendosi
ancora a questo tronco – di sentire il numero infinito di gente che andava a Roma».
Il tratto da San Quirico a Radicofani ed oltre non deve avere fatta molta impressione a questi
viaggiatori, poiché essi notano appena «la strada montuosa e petrosa». Vorrebbe significare che salita
e scesa non sgomentavano, ma anche che il paesaggio diceva poco nonostante la notevole ampiezza
di orizzonti: «monti sterili e poco piacevoli a vedersi», nota il francese.
A suo modo indimenticabile invece il tratto a fine della discesa, giù nella valle del Paglia, con
quel fondo sabbioso e pieno insieme di asperità: «planum arenosum inter aspreta durissima» detto in
latino; «une frondriére fort pierreux» in francese, ma sempre lungo difficile e scoraggiante. E poi lo
strazio dell’attraversamento dei fiumi: «passammo e ripassammo infinite volte un torrente che là
scorre». Epopea, questa dell’attraversamento, che aveva avuto qualche decennio prima287 già il suo
cantore nel poeta burlesco Mauro:
« duro a veder la povera canaglia
Passare un fiume più di venti volte
Morta di freddo, e poi dormire in Paglia».
Già «dormire in Paglia», cioè al piccolo abitato detto «Case del Paglia», non doveva essere un
conforto dopo le fatiche del viaggio: tre o quattro catapecchie e «taverne come tane di osti»:
definizione del Buchellius. ………………………………………………………
I grandi viaggi di Cosimo e del cardinale Aldobrandini.
Cfr. DE MONTAIGNE M.: Journal du voyage, etc., In D’ANCONA A.: L’Italia alla fine del secolo XVI, etc., Città
di Castello, 1889, pagg. 181-193 e 516-635; BUCHELLIUS A.: Iter Italicum, in «Archivio R. Soc. Romana di St. Patria»
XXV (1902), pagg. 125-129.
286
DE MONTAIGNE M., OP. CIT., PAG. 534.
287
Cfr. Il primo libro delle opere burlesche di M. Francesco Berni….del Mauro, etc., Firenze 1550, pagg. n.n.
285
140
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Ai due scritti ricordati nei secoli XVII e XVIII ana serie di diari, note itinerarie, lettere e guide,
che quasi ad ogni momento ci danno gli aspetti realistici della strada colti dal viaggiatore comune288.
Le vicende delle regioni interessate, improntate adesso a una tranquillità alquanto grigia, si riflettono
invece, come dicemmo, nel transito di personalità ufficiali. All’inizio del periodo spagnolo, ebbero
un particolare significato per la Toscana e per l’Italia due viaggi di Cosimo dei Medici.
Il primo avvenne nel 1560 quando egli si recò in forma solenne a prendere possesso di Siena, il
secondo, nove anni dopo, per andare a Roma dove sarebbe stato incoronato granduca. Erano un po’
le solenni consacrazioni dello Stato fiorentino come stato regionale e della famiglia Medici come casa
regnante. Per l’uno e per l’altro avvenimento diamo la parola ai cronisti contemporanei: «Il dì 26 di
ottobre in sabato a ore 9½ in circa, il duca Cosimo dei Medici si partì qui da Firenze colla sua corte
e personalmente andò a pigliare la possessione della sua nuova città di Siena. Alloggiò la sera di detto
sabato in S. Casciano e la domenica sera di poi in Colle ed il lunedì, che fu il giorno di S. Simone
apostolo, andò a desinare di là dal Palazzo dei Diavoli, vicino a detta Siena; e desinato che ebbe, si
messe in ordine con tutta la sua corte, per fare la corporale entratura in Siena.
…………………………………………………………………………………………..
Et il dì 1° di novembre il signor Principe se ne tornò in Firenze»289.
Quanto all’andata a Roma per l’incoronazione, essa si svolse mentre si levavano proteste contro
il conferimento del titolo ereditario da parte di Pio V, ma non per questo ci fu meno solennità
nell’accoglienza. Venne utilizzata la Firenze-Roma da Radicofani perché fin lì il duca percorse una
traversa per Montepulciano.
……………………………………………………………………….
……………………………….
All’epoca di Cosimo la Toscana è sempre vicina alla Spagna; con l’inizio del secolo XVII si ha
invece un accostamento ai Francesi poiché una nipote del granduca, Maria, sposa il re Enrico IV. A
benedire le nozze (per procura) nella capitale Toscana venne, stante la portata dell’evento, un
cardinale, facendo naturalmente il suo viaggio sulla Firenze-Roma. Viaggio eccezionale, poco meno
si fosse mosso il papa, poiché il porporato non era solo legato, ma nipote di Sua Santità, e il «cardinale
nipote» rappresentava una potenza in Curia. Il relativo diario è documento tipico dell’età della
controriforma e del barocco, ma anche la sola parte itineraria appare in sé piena d’interesse290.
L’Aldobrandini partì il 26 settembre con due carrozze, ma distaccati l’accompagnavano un
seguito numerosissimo e i bagagli su carri o a soma. Questo corteo poteva anche precedere, bastava
che aspettasse arrivando alle tappe perché le carrozze del porporato potessero «far corse nell’entrare
in esse». Incidente il secondo giorno da Monterosi a Viterbo: scendendo la «montagna» uno stalliere
cadde dalla carrozza che gli passò sopra «e gli troncò completamente una gamba».
…………………..si ripresero i veicoli ad Acquapendente. Tappa difficile; ne soffrirono i cavalli: due
ci morirono. Partendo da Acquapendente per la brutta discesa al Paglia, cardinale «e compagnia»
andarono a piedi291.
Per i viaggiatori stranieri in Italia, oltre alla notissima bibliografia del D’ANCONA nell’opera citata, cfr. SCHUDTI
.,: Italienreisen im 17. Und 18. Juhrundert, Wien-Munchen. 1959. I più illustri viaggiatori transitati in età moderna sulla
Firenze-Roma sono passati in rassegna nel corso di un recentissimo articolo di L. CARANDINI (La posta di Radicofani,
in «L’Universo», XLIV, [1964], n. 1. Pagg.153-176) che analizza le loro impressioni su Radicofani e adiacenze.
289
LAPINI A.: Diario fiorentino, Firenze, 1900, pagg. 130-131.
290
Diario del viaggio fatto dal card. Pietro Aldobrandino nell’andar a Fiorenza, etc., Biblioteca Vaticana, Ms. Ferraioli,
38. II, cc. 81-136. Il cardinale aveva anche una missione diplomatica e la sua legazione «veramente memorabile ai posteri
durò più di 6 mesi. Il diario rivela molta sincerità e vivezza gl’interessi dell’epoca. Per esempio si notano con minuta
attenzione le personalità presentatesi in ciascun luogo e l’ordine tenuto nelle precedenze, la specie e la quantità dei cibi e
del vino forniti per i posti. Sono elencate scrupolosamente le preghiere dette dal cardinale in pubblico e in privato «con
la famiglia»; e viene rilevato ad ogni tappa se il letto per lui preparato aveva o no il baldacchino. L’andamento vero e
proprio del viaggio è illustrato con la descrizione dei vari mezzi di trasporto impiegati e, molto frequentemente, dello
stato della strada».
291
«Per essere la strada molto erta e fastidiosa la fece a piedi con la compagnia fin quasi al fiume; poi salito in carrozza
andò fino a Ponte Centino». Per salire a Radicofani «si andò cavalcando unitamente con ordine ciascuno a suo luogo».
Ad Acquapendente capitò anche un disordine: «La gente bassa fu alloggiata e trattata malamente e li vetturini e mulattieri
si ammutinarono sopra il mancamento del mangiare per loro e per le bestie».
288
141
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Personaggi nati a R.
Renato Magi
L’inviato ufficiale del granduca che si presentò prima di Radicofani, oltre a qualche compagnia
di soldati portò «una carrozza di velluto negro» nella quale il cardinale venne fino a San Quirico, e
poi a Buonconvento e Siena, …………………………………………………………………… Se
era stato possibile andare da Radicofani a Siena in carrozza tanto più doveva esserlo, come fu, da
Siena a Firenze ………….
Pag. 159 .
Galileo bloccato ad Acquapendente. Una guerricciola.
Passaggi di principi e cardinali: queste ora le novità più importanti della Firenze-Roma. Di
cardinali ne passano moltissimi ai primi del Seicento, in genere incaricati di particolari missioni nelle
capitali europee292. È la manifestazione d’un altro fenomeno storico: l’impegno della Chiesa di tenere
i contatti con le potenze cattoliche in un’età di grandi contrasti religiosi. L’attiva difesa dell’ortodossia
determinò un altro viaggio a Roma famosissimo, quello nel 1633 di Galileo Galilei, che si mosse da
Firenze perché citato a rispondere sulle sue dottrine. Percorrendo la strada ordinaria lo scienziato
impiegò 25 giorni ad arrivare: quasi il viaggio non fosse abbastanza amaro, ebbe a subire una sosta
forzata, in pessime stanze, senza cibo che «pane vino e uova» a Ponte Centino e Acquapendente.
Motivo: quarantena per peste293.
Con detta peste, degli anni stessi dei Promessi Sposi, ci si ripresentano le calamità dell’Italia
seicentesca, che colpirono anche queste regioni, benché non esasperate dal malgoverno straniero. Qui
mancò fortunatamente anche la guerra: per la verità non del tutto perché nel 1642 s’ebbe addirittura
un’invasione che arrivò fino ad Acquapendente. Aggressore era il duca di Parma per rappresaglia
contro Urbano VIII che gli aveva tolto Castro, nel Viterbese, a beneficio dei suoi parenti294.
La «guerra di Castro» (1642-44), in cui il Farnese ebbe alleato il granduca, col suo carattere di
contesa tra famiglie rispecchia la stanchezza della Penisola. Quest’ultima risente ormai anche della
decadenza della Spagna, che dopo nuove lotte con la Francia dovrà accettare la pace dei Pirenei l’anno
1659. Inoltre molte dinastie nazionali, Medici, Este, Gonzaga, Farnese declinano verso l’estinzione.
La vita italiana in tutte le sue manifestazioni tende ad immobilizzarsi.
Lavori sulla Firenze-Roma nei secoli XVI-XVII. Il Ponte Gregoriano.
…………………………………………………………………………………………………….
Della nostra strada nell’epoca considerata s’occupò tra i primi Leone X conoscendo per
esperienza personale il disordine di alcuni tratti e specie dei ponti concesse nel 1519 ai Senesi una
parte della decima da impiegare in restauri295. Occasione fissa per pensare alla «strada romana» fu
sempre il Giubileo: il 1549 fu anno di restauri nel Senese e nelle terre della Chiesa, dove lo stesso
avvenne poi sempre, e specie nel 1646-49, nel 1699, nel 1724, nel 1774. In Toscana attorno al 1580
il granduca fece un restauro al tratto sotto Siena rendendo ottime parecchie miglia di strada.
292
Alcuni dei porporati che in viaggio per la nostra strada passarono da Firenze tra il 1608 e il 1620: 26 maggio 1608:
Mellini, da Roma a Vienna; 22 dicembre 1609 Delfino, da Roma in Francia; 11 agosto 1611: Giustino, da Bologna a
Roma; 14 settembre 1614: Capponi, percorso inverso; 4 giugno 1615: Bousl, diretto a Roma; 10 giugno 1617:
Vendramino, id; 15 ottobre 1620: Farnese, id. (Cfr. RASTRELLI, Notizie istoriche italiane, Firenze, 1781-1782, III, pagg.
124-161).
293
Cfr. Le opere di Galileo Galilei, vol. XV. Firenze, 1932-1938, pagg. 32-43 e 168-176 e 350 (anche per il ritorno nella
seconda metà del 1633 con lunga sosta a Siena).
294
Le ostilità furono precedute da un viaggio a Roma, per trattative del duca di Parma nel novembre 1639. Egli passò da
Firenze, andando poi a Castro.
295
Cfr. TITIO S.: Historiarum Senensium ab initiis Senarum urbis usque ad annum 1528, Biblioteca Nazionale Centrale
di Firenze, Ms. II. V. VIII, pagg. 403-404.
142
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Personaggi nati a R.
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Tra i lavori compiuti sulla Firenze-Roma in età moderna fanno un capitolo a sé quelli che si
riferiscono al Ponte Gregoriano sul fiume Paglia. Questo fiume che scorre dapprima verso sud-est
davanti ad Acquapendente volge ad est addirittura, costringendo la strada corrente alla sua sinistra ad
attraversarlo onde proseguire toccando Acquapendente stessa, in direzione di Roma. La portata
d’acqua e le caratteristiche del letto avevano fatto sempre del Paglia l’ostacolo maggiore di natura
idrografica che la «strada romana» incontrasse nel territorio pontificio. …………………………
In tempi diversi c’erano stati ponti o passerelle in legname alcuni eretti per circostanze
particolari, ma attraverso i secoli sembra che i viaggiatori dovessero ordinariamente superarlo a guado
o mediante traghetto. …………………………………………………………………………
Nel tempo delle piene era cosa comune che qualcuno, avventurandosi, annegasse. Nel settembre
1578 accadde che il papa Gregorio XIII, l’autore della riforma del calendario, andando nei possessi
del cardinale Farnese, passasse e ripassasse da Acquapendente; al ritorno «essendo in lettiga, quando
fu al suddetto ponte n’uscì et montò a cavallo et vista la rovina et quello bisognava per rifarlo, ordinò
di farlo rifare, dando la cura di ciò al cardinale Farnese e al cardinale Sforza ch’erano seco con
altri»296. Questo accadeva il 18 settembre: anche ammessa una pronta esecuzione degli ordini papali,
non restava tempo di organizzare il lavoro e di incominciarlo seriamente prima della stagione
sfavorevole: tutto dovette essere fatto l’anno seguente. L’opera ebbe due progettisti e direttori valenti:
i fratelli Domenico e Giovanni Fontana, architetti di grido, già esecutori di notevoli opere in Roma.
…………………
Il ponte fu progettato in muratura a sei luci; non si trattò di un’opera interamente nuova perché
degli archi «doi ve n’erano restati per prima»297. Nuova fu però la parte certo la parte centrale di gran
lunga più importante e difficile. …………………………………………………………
L’essenziale del lavoro fu compiuto nel 1580, perché tutti assegnano l’opera a quell’anno.
Stemmi del papa, in pietra di Ferentino, andarono secondo l’uso del tempo ad adornare la costruzione.
J. Caspar Goethe, padre del grande poeta, quando si trovò a percorrere la strada da Roma a Firenze,
trascrisse nelle sue note un distico laudativo inciso sul ponte 298…………………………………
………………………………….Altri, considerando l’impresa in se stessa, si espressero più
equanimemente. A un anno dalla costruzione l’opera come vedemmo fu ricordata dal diario di viaggio
del Montaigne e un ambasciatore veneto la segnalò fra le iniziative del papa: « Ha fatto anco un ponte
sopra il fiume Paglia, sul cammino della Toscana, a beneficio dei viandanti, che ogni anno prima se
ne affogavano molti » Effettivamente con il passaggio del Paglia assicurato, si aveva un
miglioramento grandissimo alle comunicazioni stradali tra Firenze e Roma scongiurando il pericolo
di interruzioni che potevano durare parecchi giorni. Il manufatto, tuttavia, di gran mole, esposto ad
una corrente non disciplinata dovette essere continuamente vigilato e consolidato. Nel ‘600 e nel ‘700
è un continuo susseguirsi di restauri al ponte del Paglia, le segnalazioni e le richieste di riparazioni
non si contano; ad ogni visita generale alla strada si segnalano lavori da fare al «ponte Gregoriano».
Passaggio di re e di principi.
Conseguenza diretta e visibile del nuovo clima della Penisola dopo l’inizio del Settecento è sulla
Firenze-Roma il passaggio frequente di principi e sovrani assai diversamente dall’età spagnola.
Ricordiamo il viaggio a Siena, l’anno della sua venuta in Toscana (1739), di Francesco di Lorena,
capostipite della nuova dinastia granducale, e quelli del principe d’Ansprach (1753), degli arciduchi
di Milano e dei conti del nord (1780-1782), del re di Svezia nel 1783 e, quasi contemporaneamente,
dell’Imperatore d’Austria Giuseppe II che restituisce la visita fattagli dal papa, l’andata solenne a
296
Per la data del passaggio di Gregorio XIII da Acquapendente, cfr. ORBAAN, J.A.F.: Documenti sul barocco in Roma,
in «Archivio della R. Soc. Romana di St. Patria», VI (1920), pag. 400; MARTINORI E. La via Cassia antica e moderna,
Roma 1930 pag. 133. Le notizie sulla costruzione e le frasi citate letteralmente derivano da: «Memorie di Acquapendente»,
Biblioteca Vaticana, Ms. Vat. Lat. 11765, cc. 17r.-18r.
297
Memorie di Acquapendente, cit. c. 18r.
298
Cfr. GOETHE J.C.: Viaggio in Italia, traduzione A. FARINELLI, Roma 1932, pag. 89.
143
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Personaggi nati a R.
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Siena del nuovo granduca Ferdinando con la moglie nel 1791, il transito dei reali di Napoli nello
stesso anno299.
Ma il viaggio più clamoroso dell’epoca sembra essere stato nel 1768, quello di Maria Carolina
sorella dell’imperatore e del granduca di Toscana, che si recava nel regno di Napoli dopo averne
sposato per procura il sovrano Ferdinando IV. Una fanciulla di 16 anni, condotta al suo sposo, un
matrimonio che riguardava le due famiglie Asburgo e Borbone che si dividevano i troni di mezza
Europa: ce n’era abbastanza per interessare tutti, dal gran mondo al popolo minuto. Veramente, da
regina a Napoli avrebbe dovuto andare, l’anno precedente, una sorella di Maria Carolina, poi morta
d’improvviso, e per lei la Firenze-Roma cominciò a venir messa in ordine. Nel granducato non c’era
bisogno di gran che, dato il fresco «ristabilimento» del lunghissimo tratto senese. Ma da parte del
governo pontificio si dovette pensare seriamente a misure d’emergenza.
…………………………………………………………………………………………………
Maria Carolina arrivò a Firenze alla fine di aprile e trattenutasi alcuni giorni ripartì, verso
Poggibonsi e Siena, con il granduca e la granduchessa il 3 maggio 300. A Siena dame e gentiluomini
invitati al ricevimento erano stati fatti venire al Palazzo per le 3: e non prima delle 5 e un quarto
udirono il cannone che annunciava l’arrivo dell’ospite. Dopo le accoglienze tradizionali il viaggio
della regina riprese con la tappa Siena-San Quirico. La sera del 5 tutta la brigata era a Radicofani, il
6 a Montefiascone, il 7 a Viterbo, l’8 a Ronciglione.
…………………………………………………………………………………………………
Il transito del convoglio di Maria Carolina da Firenze a Roma, fu un po’ la prova dell’efficienza
del servizio postale e della strada. In Toscana, abbiamo detto, tutto fu facilitato per effetto del recente
restauro di gran parte della «via romana». Questo «ristabilimento» per il valore ch’ebbe in se stesso
e come esempio di grande lavoro stradale precedente all’età contemporanea merita di essere seguito,
tornando indietro di qualche anno.
Il «ristabilimento» della Firenze-Roma nel Senese: preparazione e appalto.
Pag. 170.
A un restauro e ammodernamento generale della «strada romana» da Siena al confine il governo
toscano pensava almeno dal 1757, perché in quell’anno fu ordinato ad Anastasio Anastagi, valente
«pubblico ingegnere», di visitare il tronco in questione ed esporre quanto occorreva per migliorarlo.
L’ingegnere assolse il suo compito proponendo dei lavori solo nei tratti in cui il transito dei veicoli
avveniva con difficoltà301. Dopo un certo tempo furono fatti fare un sopralluogo e una relazione anche
a Giovan Battista Ventani (sempre stessa nota 302), non ingegnere, ma capo maestro e impresario di
notevole esperienza, che aveva avuto l’accollo d’un’opera molto impregnativa: la nuova strada da
Firenze a Pietramala attraverso il passo della Futa. Ricevute ed esaminate le due relazioni, il governo
granducale si orientò definitivamente per l’esecuzione dell’opera……………………………………..
………………………………………………………………………………………………………
299
Cfr. rispettivamente: ZOBI: Storia civile della Toscana, Firenze 1850 -1852, II, I, pag. 187; «Gazzetta Toscana» a.
1783 n. 52, a. 1784 n. 4 e ZOBI, op. cit, pag. 340; «Gazzetta Toscana» a. 1791, n. 36 e n. 17,18. Per i vari personaggi di
rango principesco che percorsero la strada, furono necessari quasi sempre speciali preparativi. Per esempio, per il viaggio
Roma-Firenze del principe di Ausprach a fine aprile 1753 furon richiesti a ogni posta 17 cavalli più altri di rinforzo; tra
l’altro il «postiere» di Monteroni tenne in attesa 10 cavalli e 5 garzoni per quasi 2 giorni a Buonconvento (A.S.F.,
Reggenza, 665). Per il passaggio dei «Reali Arciduchi di Milano» nel 1780 furono fatti particolari restauri alla strada di
Radicofani (A.S.S., Quattro Conservatori, 2085 ms. «Strada romana 1780». Di riparazioni nei territori di S. Quirico,
Montalcino e Buonconvento si ha notizia per il passaggio del Conte e della Contessa del Nord nel marzo 1782 (A.S.S. f,
cit., Ins. «Strada romana 1782»).
300
Cfr. RASTRELLI M.: Memorie per servire alla vita di Leopoldo II, Firenze 1792, pag. 95.
301
A.S.S., Quattro conservatori, 2077. Memoria Anastagi dell’inizio del 1763 trasmessa a Siena da Botta Adorno l’8
marzo s.a.
144
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Personaggi nati a R.
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Descrizione dei lavori.
Alla scritta d’accollo veniva allegata copia della relazione del 9 agosto, contenente, come
accennammo, il dettaglio dei lavori da eseguirsi302. Il restauro riguardava il tratto «dalle porte di Siena
al confine dello stato ecclesiastico» ma senza continuità, perché nelle parti che l’Anastagi aveva
trovato, come egli diceva, « in grado ragionevole», non c’era alcun obbligo per l’impresario, « Nessun
lavoro » dalla posta di Monteroni alla collina di Curiano, dal Ponte a Tuoma all’osteria del Poggio di
San Quirico, dall’osteria della Commenda alla riva dell’Orcia, e tanti altri luoghi. Di ciò che
rimaneva, per una considerevole parte non era prescritto che «l’inghiarato»: cioè, salvo la costruzione
della massicciata, la strada rimaneva com’era. Semplicemente da inghiarare (coprire di ghiaia)
erano, ad esempio, il tratto fuori di Siena fino a Malamerenda, quello da Buonconvento al ponte del
Moro, quello subito dopo il ponte dell’Orcia.
In molti casi oltrechè risargire il fondo bisognava allargare o eseguire qualche limitato
sbassamento, o compiere tutt’e due le cose insieme; e questo precisamente, omettendo i tratti molto
brevi, ………………………………………………………………………………………………..
Lavoro particolare, più impegnativo e costoso del precedente: la selciatura, che compare secondo
l’uso soprattutto nelle salite. Dal ponte del Formone a Radicofani e da Radicofani al Ponte al Rigo
l’impresario dovrà costruire o allargare, non consecutivamente, parecchie centinaia di braccia di
selciato.
……………………………………………………………………………………………………
Dopo il Formone tornano i cambiamenti di tracciato con lo scopo di attenuare la pendenza: 1230
braccia della «lunga e ripida salita» che incomincia verso la casa del podere S. Giorgio si devono
abbandonare: sviluppare la variante a est attorno al Poggio, e attraversare un pianetto; si ritorni con
un rettilineo. Più avanti apertura di un tratto nuovo, 540 braccia, dalla parte di ponente. Le «eccedenti
declività» del Poggio La Selvella impongono una deviazione a nord di 600 braccia attraverso i prati;
è l’ultimo «tramutamento» questo prima di Radicofani. Ma nella discesa ecco subito 1100 braccia di
strada «quasi impraticabile per i calessi»: la soluzione è rappresentata da una variante dalla posta di
Radicofani al bivio della strada per San Casciano dei Bagni, variante necessariamente più lunga per
risultare più comoda. Il Poggio detto Serristoro va abbassato; va aperto un breve tratto nuovo e in più
dolce pendio a Baccanello. Ultima parte della discesa: da la Novella al Ponte del Rigo, un ponte in
verità ridotto alle pile. Qui l’impresario è espressamente obbligato da una clausola del contratto a fare
la strada (presentemente è nel letto del torrente che attraversa cinque volte!) in quel luogo che a lui
sarà prescritto lì per lì dai Deputati. S’era infatti progettato all’inizio di costruire un tratto tutto nuovo
sulla destra del Rigo sboccando al ponte, rifatto il qual ponte sarebbe stato risolto l’attraversamento;
ma la spesa risultava troppa e si pensava ora ad un semplice ripristino. Dopo il Rigo, più nessun tratto
nuovo di strada sino al fiume Elvella cioè sino al confine.
……………………………………………………………………………………………………
…………………………………….
Il ponte del Formone non aveva in muratura che le spalle e le pile, e bisognava fargli le arcate.
Considerato che anche i ponticelli, le chiaviche delle «serre a calcina» descritte nella relazione, sono
pochi e poco importanti, si può dire che dal «ristabilimento» restano escluse le opere d’arte.
L’Anastagi aveva proposto ponti nuovi sull’Orcia, sul fosso del Rofanello, sul Vellora e sul Rigo; i
primi a un arco, gli ultimi due a due e a cinque archi rispettivamente. Aveva preso in considerazione
un possibile accordo con li Stato pontificio per un ponte sull’Elvella e valutata la parte che sarebbe
302
La nostra descrizione dei lavori è fondata sui seguenti documenti. «Descrizione dei lavori per il riattamento della strada
Romana, etc.» s. d. (A.S.F., Segreteria Finanze ant. 1788, 682) unita al rogito dell’appalto è da ritenersi copia della
Relazione 9 agosto nel rogito stesso menzionata; «Relazione» pure s. d. contenuta in A.S.S., Quattro Conservatori, 2078,
che cita la precedente ed è probabilmente il documento tecnicamente più dettagliato preparato dall’Anastagi per la fase
esecutiva, approvato superiormente il 5 settembre. Alle relazioni predette furono apportate modifiche, d’ordine del Botta
Adorno, espresse per la prima nel Rogito 10 settembre, e per la seconda in una postilla.
145
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toccata alla Toscana: 526 scudi. Ma tutto venne accantonato d’ordine del Botta Adorno, e alla fine il
programma per l’Orcia e il Formone avrà ulteriori tagli.
Si rinuncia ad un ponte per «ragguagliare» il tratto di montagna.
Prima della fine del 1760 l’impresario (Minacci vedi nota 304) perfezionò un altro tratto,
quello da Le Macine in giù303. Egli aveva così rispettato l’obbligo di sistemare rapidamente tutta la
parte di là e di qua da Radicofani. L’anno seguente …. lavorò ………………………………… al
tratto lungo il Formone, di cui a fine giugno aveva pressoché ultimato il grande muro di sostegno, e
nei prolungamenti di esso fino a Ricorsi da un lato e a casa S. Giorgio dall’altro304.
Per i lavori al Formone ci fu però in quest’anno una grossa novità. Il «provveditore delle strade»,
Bulgarini, e il «deputato del Pubblico», Landucci, quando l’accollatario ebbe finito nella zona di
Radicofani si accorsero che la bellezza e l’utilità del lavoro venivano sciupate dalla presenza di alcuni
tratti rimasti angusti e logori, perché nella descrizione dell’appalto nulla era prescritto per essi.
Desiderosi oltremodo di potere «ragguagliare», cioè rendere uniforme quanto a larghezza e a stabilità
del fondo, almeno questo tratto importantissimo di montagna, i due soprintendenti pensarono di
lasciare il ponte del Formone come si trovava, cioè con l’impalcato di legno (salvo un restauro,
fattibile però a settembre con le erogazioni solite della Cassa delle strade) in modo da poter disporre
di altre 4.322 lire, che tanto era calcolata la spesa per fare gli « archetti in muratura » al ponte sulla
cifra complessiva stanziata per la strada …………………………………..
Eliminata la costruzione delle volte in muratura al predetto ponte, il Minacci continuava a fare
soprattutto massicciate e scavi, lavori per i quali doveva essersi abbastanza organizzato, perché nei
primi mesi del 1762 aveva quasi finito. In una delle consuete visite di verificazione compiuta verso
il 10 febbraio di quell’anno, Bulgarini e Landucci trovarono pronte altre 4.530 braccia di strada subito
passato S. Quirico verso Roma e circa 6.900 nella salita di Radicofani, tra le Conie e la sommità305.
Verifica del Lavoro eseguito. Un regolamento per la manutenzione del tronco senese.
……………………………………………………………………………………………………
……..Intorno all’anno 1770 l’intero tratto senese della Firenze-Roma era dunque stato rinnovato. Si
trattava di un terzo e più dell’intera strada e di quella parte le cui condizioni più influivano
sull’andamento del traffico, perché includeva forti accidentalità e il passaggio della montagna di
Radicofani. Per le comunicazioni fra le due città, attraverso i lavori sopra esposti, si era realizzato un
progresso sensibile, particolarmente con l’adeguamento del piano stradale alle esigenze dei grossi
veicoli a ruote che proprio in questi anni andavano aumentando di numero e di pesantezza.
Integrazione del «ristabilimento»: i «ponti grandiosi» restaurati nel Senese.
Pag. 182.
………………………………………………………………………………………… I «ponti
grandiosi» del Senese (provincia superiore) erano nove, di cui sei sulla Firenze-Roma. In
preparazione dell’appalto ognuno di essi ebbe una perizia, per cui siamo esattamente informati sulle
condizioni reali dei manufatti grazie ai quali, verso la fine del Settecento, chi viaggiava tra Firenze e
Roma poteva valicare l’Arbia, l’Ombrone, il Fosso delle Serlate, l’Asso, l’Orcia, e il Formone ossia
molti dei maggiori corsi d’acqua che incontrava sul cammino.
…………………………………………………………………………………. Ultimo «ponte
grandioso» quello del Formone, con tre piloni in muratura e quattro travate in legno. L’ingegnere
303
A.S.S., Quattro Conservatori, 2078, Relazione del 18 dicembre 1760.
A.S.S., /. cit. Relazione del 9 aprile 1761; lettera del Botta Adorno del 27 giugno 1761.
305
A.S.S., /. cit. Lettera del Botta Adorno del 3 ottobre 1761; relazione Bulgarini e Landucci del 12 febbraio 1762.
304
146
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Razzi che fa la perizia il 1° giugno del 1784 lo trova piuttosto danneggiato, ma senza che ne sia
minacciata l’esistenza. Consolidare le ali, le pile e sostituire molte travi: questo basterà se si vuole
che il ponte possa servire «come ha servito finora». …………………………………………
Bisognerebbe prendere una decisione: lasciar perdere le travi (tanto più che non si troverebbero alberi
adatti per rifarle) e costruire le volte in muratura. Basterebbero tre volte, perché una luce si può
semplicemente chiudere essendo dimostrato che l’acqua non la raggiunge. Per 600 scudi c’è chi si
assumerebbe l’impresa: l’architetto Leonardo Vegni, la stessa persona che le due comunità
interessate, Radicofani e Abbadia San Salvatore, hanno delegato a rappresentarle nella faccenda degli
accolli e che ha visitato il ponte assieme al Razzi. ……………………………………………
Per il Formone quattro anni prima già s’era concordato con Vegni la somma che le comunità
dovevano ricevere dai conservatori per lavori di ripristino e per la susseguente manutenzione. Ma le
piene del 1784-85 avevano recato gravi danni, tra l’altro rovesciato un’ala. Ora la Balìa doveva
restaurare in proprio e trattare poi di nuovo. E il lavoro di restauro fu intrapreso nell'estate 1785 e
fatto anche in cambio delle travi, risultate quasi tutte cattive. Nel febbraio del 1787 quando il ponte
finalmente poteva venire appaltato, sopraggiungeva l’ordine di sospendere tutto perché era stata
decisa la costruzione degli archi in muratura306.
Il tracciato intorno al 1785. Da Firenze al confine del fiume Elvella. (Io lo chiamerei Torrente!)
…………………………………………………………………………………………..
Dal
ponte del Formone partiva la salita diretta per Radicofani con un dislivello di circa 300 metri, le cui
tappe erano Poggio di S. Giorgio, Selvella, l’osteria della Macina, Baiotto: una certa differenza di
tracciato rispetto ad oggi. La salita culminava fra le case del borgo, all’osteria e al Palazzo pubblico;
un po’ più in basso, nella parte discendente, la posta.
La calata da Radicofani è uno dei tratti in cui la strada settecentesca più si differenzia da quello
attuale. La troviamo infatti sul versante est invece che su quello ovest del Poggio Leano, e passa da
S. Ristoro, Casa al Sarti, Casa al Maestro, Gonzeto Baccanello, e l’osteria detta della Novella. Di qui,
quota 313-314, la direttrice era costituita dal torrente Rigo. Incominciava un tratto pianeggiante, ma
non per questo facile perché per oltre un miglio la sede stradale doveva trovare posto
nell’avvallamento del torrente Rigo subito sotto la Novella, scriveva il Ferroni: «È questo il guado
più pericoloso e incomodo di tutti gli altri, imperrocchè l’alveo è profondo e corroso, e le acque hanno
maggior velocità, a motivo di essere più vicino all’origine del torrente, che unitamente al Centino
privo di ponte, sebbene conservi tuttora il nome di esso, è l’Iliade della strada romana »307. E superato
appena questo guado eccone un secondo per tornare dalla parte opposta, poi un altro e un altro ancora.
I guadi diventano via via meno pericolosi, ma erano cinque!
VI
Pag.201.
Sulla Firenze-Roma dall’invasione francese all’unità d’Italia.
La guerra contro la Francia rivoluzionaria. Ripercussioni in Toscana e nello Stato Pontificio.
Le vicende della Firenze-Roma ultimamente rievocate (della strada come bene pubblico da
conservare e perfezionare, come canale ordinario di determinati scambi e relazioni, come sede di fatti
306
A.S.S., /. cit. Ins. «Formone» Perizia Razzi del 17 giugno 1785; lettere del Nini del 2 agosto e del Vegni del 5 settembre
s.a. (stesso anno).
307
A.S.F. Il Ferroni proponeva qui un nuovo tracciato sulla destra del Rigo, con ponte non lontano dalla confluenza del
Rigo stesso col Paglia.
147
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appartenenti alla cronaca o alla storia) ci danno un’immagine della situazione degli Stati attraversati,
e un po’ di quella italiana, a un decennio circa dalla fine del secolo XVIII, cioè dopo un lungo periodo
di pace.
……………………………………………………………………………………………………
Non erano davvero prevedibili immediatamente prima del 1789 trasformazioni radicali della vita
italiana, novità come quelle che la nostra cronaca di provvedimenti amministrativi, di lavori, di
viaggi, di manifestazioni dovrà fra poco registrare. O meglio, lo erano solo come conseguenza di
qualche cataclisma esterno; ma questo, nell’anno ricordato appunto, ci fu: incominciò la rivoluzione
in Francia.
……………………………………………………………………………… La Sardegna, Napoli
e la Toscana, uno dopo l’altro, entrarono in guerra; mentre tra il papato e il governo rivoluzionario vi
fu, senza formali dichiarazioni di ostilità, rottura di rapporti e quindi acutissima tensione. Durante
quattro anni questo atteggiamento, essendo altrove il centro della lotta tra la Francia e le potenze
legittimiste, ebbe tuttavia conseguenze solo per il regno di Sardegna, in parte invaso.
La guerra in Italia prese una piega assolutamente nuova nella primavera del 1796, quando il
comando dei Francesi fu assunto da Napoleone Bonaparte. Il giovanissimo generale, passando
immediatamente all’offensiva, costrinse il re di Sardegna ad un armistizio, batté clamorosamente gli
austriaci in Lombardia …………………………………………………………………… Quando,
nell’autunno, Bonaparte ripartiva per Parigi «lasciava l’Italia settentrionale (salvo il Veneto) e quella
centrale sotto il predominio francese»308.
Tuttavia il sistema creato in Italia non appariva stabile: i primi a minacciarlo erano i Francesi
stessi, bramosi di estendere nei piccoli Stati la loro influenza fino ad istaurarvi, mascherato appena,
il diretto dominio.
Deportazione di Pio Vi da Roma a Siena e da Siena a Firenze.
Di tale aggressività il primo a fare le spese fu il papa. A quattro mesi appena dalla pace (di
Campoformio), i Francesi, profittando di disordini da loro stessi provocati, occuparono Roma. Seguì
il cambiamento di regime: alcuni democratici proclamarono la repubblica mentre Pio VI veniva
condotto fuori dalla capitale, verso il nord. Il transito del vecchio papa alla mercé delle truppe
repubblicana diede a larghe masse di popolo, sulla strada Roma-Firenze, la sensazione precisa dei
profondi mutamenti portati dalla rivoluzione d’oltralpe.
Il 20 febbraio (1798) fu la partenza, di buon’ora perché il papa uscisse inosservato, nonostante
tale precauzione, e nonostante il freddo e la pioggia, c’era gran gente. Scortò il piccolo convoglio un
reparto di dragoni, ma solo fino a La Storta: da qui in avanti rimasero col papa due ufficiali di stato
maggiore, che fecero cambiare i cavalli alla posta di Baccano e fermare a Monterosi dove si doveva
passare la notte. L’indomani, trasferimento da Monterosi a Viterbo, attraverso Ronciglione. Pioveva
e a tratti nevicava e Pio VI, che era infermo da dover essere messo e tirato giù a braccia dalla carrozza,
giunse molto provato309. Uno che si trovava nella folla accorsa all’arrivo, lo descrive: «in un
carrozzino, con pochi seguaci, vecchio e ridotto allo stremo………co’ capelli bianchissimi, colla testa
incurvata sotto il peso più ancora del suo dolore che dell’età, passava tra soldati a cavallo, come
vittima non coronata di fiori».
…………………………………………………………………………………………………..In
Toscana il primo pernottamento fu a Radicofani: freddo e isolato il luogo e poco adatto l’alloggio, la
locanda della posta.
………………………………………………………………………………………………….
CANDELORO G. Storia d’Italia moderna, Milano 1956-1964, I, pag. 235.
Per il trasferimento del papa da Roma a Viterbo cfr. BALDASSARI P.: Relazione delle avversità e patimenti del
glorioso papa Pio VI negli ultimi tre anni del suo pontificato, Roma 1889, III, pagg. 5-9.
308
309
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Personaggi nati a R.
Renato Magi
Si voleva che Pio VI andasse addirittura in Sardegna, davanti a ciò il governo toscano chiese di
trasferirlo presso la propria capitale nel convento della Certosa. Così nel doloroso pellegrinaggio
entrò tutta la «strada romana»; per quest’ultima tappa Siena-Firenze bastò solo un giorno, che fu il
primo giugno.
Alla Certosa Pio VI rimase diversi mesi, sino al marzo cioè dell’anno successivo, quando,
nonostante le sue condizioni di salute sempre più precarie, venne portato precipitosamente in Francia.
Reazione antifrancese. Gli insorgenti a Siena, Radicofani e Viterbo.
…………………………………………………I primi combattimenti in Italia furono
completamente favorevoli ai coalizzati: Austriaci e Russi dilagarono in Piemonte, in Lombardia e
Liguria. Nelle zone rimaste ai Francesi si verificò allora un movimento controrivoluzionario, che
assunse particolare gravità ad Arezzo. Gli «insurgenti aretini» costituirono addirittura un’armata che
scorrazzò diverso tempo per la Toscana, e agì anche sulla Firenze-Roma, perché con l’aiuto di
elementi locali poté occupare Siena il 28 giugno (forzando per entrare la Porta Romana e la Porta
Tufi) e successivamente San Quirico e Radicofani310. Sulla strada, non molto prima, s’era già vista
passare una lunga colonna francese in ritirata costituita dalle forze d’occupazione del Napoletano che
il generale Macdonald riconduceva d’urgenza verso nord in aiuto dei connazionali in difficoltà311.
……………………………………………………L’indietreggiamento dei Francesi, improvviso
quanto era stata improvvisa la loro avanzata tre anni prima, aveva coinciso con l’assenza di Bonaparte
impegnato nella spedizione d’Egitto. Quando egli ricomparve in Italia (essendo ormai padrone dello
Stato come primo console) con la sola battaglia di Marengo riacquistò la maggior parte del perduto.
In tale parte fu compresa la Toscana, mentre nello Stato pontificio continuò a regnare il nuovo papa
Pio VII, che, eletto a Venezia, era venuto da poco a insediarsi a Roma. Dopo Marengo (11 giugno
1800) tra Francia e Austria vi fu solo un armistizio: alla fine dell’anno la guerra venne ripresa per
breve periodo. In questa fase il re di Napoli fece occupare una parte dello Stato pontificio, spingendo
poi oltre le sue forze per ricacciare i Francesi dalla Toscana. I Napoletani puntavano a Firenze
servendosi della principale arteria conducente a questa città da Roma. E lungo la strada, nei luoghi
stessi che alcuni secoli prima avevano visto combattere Senesi, Fiorentini, imperiali e pontifici, si
decise l’esito della spedizione. La schiera avanzante infatti venne fermata proprio davanti a Siena, tra
Fontebecci e Porta Camollia, da Cisalpini e Francesi, scesi da Poggibonsi e anche per il vecchio ramo
«fiorentino» di Castellina. Precisamente i granatieri Cisalpini (con i quali vediamo per la prima volta
agire una di quelle milizie che furono istituzione nuova e caratteristica degli stati italiani protetti da
Napoleone) quando vennero in contatto col nemico «erano situati sulla strada». Attaccati i Napoletani
indietreggiarono quasi subito verso la città, valendosi naturalmente anche della via maestra, e una
lotta piuttosto accanita si accese alla porta: i regi persero e ripresero un cannone, chiusero fuori i
nemici e dovettero alfine sgombrare mentre i battenti venivano sfondati. Altra resistenza essi fecero
alla Coroncina, presso il loro campo trincerato; e poi fu la ritirata generale in direzione di Roma312.
Pag. 209.
Pio VII va a incoronare Napoleone: in Toscana lo riceve la reggente.
310
Cfr. ZOBI A., op. cit., Firenze 1851, III, pagg. 322-326.
Il generale Macdonald con le sue truppe partì da Roma il 20 maggio e giunse a Firenze il 26 dello stesso mese. Cfr. in
proposito BOTTONI G. Il generale Macdonald nelle campagne d’Italia del 1798-99, Napoli 1909, pagg. 92-98. Per il
suo arrivo a Siena, cfr. BRIGIDI E. A., Giacobini e realisti o il Viva Maria, Storia del 1799 in Toscana, Siena 1882,
pagg. 338-340. Circa il passaggio degli Austriaci sulla Firenze-Roma: A.S.S., Governatore, 964, affare 120.
312
«Gazzetta Toscana» a. 1801, n. 4, pagg. 13-14. Per la battaglia che si svolse a Siena cfr. anche ZOBI A., op. cit., III,
pag. 452.
311
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Personaggi nati a R.
Renato Magi
Il trattato di Lunéville, quello di Amiens tra Francia e Inghilterra (marzo 1802) e il concordato
non si sarebbero dimostrati vitali, ma intanto davano all’Europa e all’Italia un periodo di respiro, e i
più rimarchevoli avvenimenti che interessano ora la strada sono intonati a questo clima distensivo.
Nei primi mesi del 1802 fu possibile effettuare il trasporto in Italia delle spoglie di Pio VI, rimaste di
là delle Alpi. Da Firenze a Roma le stesse popolazioni che avevano visto deportare il vecchio papa
tornarono sulla strada per rendergli omaggio da morto. Quanto il primo passaggio s’era svolto
nascostamente, senza onori e in gran fretta, tanto questo ebbe carattere di ufficialità e fu solenne e
lento. Dalla partenza, da Firenze, l’11 febbraio, fino all’ingresso di Roma, il 17, furono mobilitati per
rendere omaggio al feretro le autorità militari e le truppe dei presidii, mentre popolo e religiosi si
riunivano ovunque in massa per accoglierlo. Particolarmente grandioso il ricevimento a Roma, curato
dal cardinale Antonelli, che si preoccupò fra l’altro di fare tempestivamente riparare due tratti della
strada postale tra la Storta e Piazza del Popolo.
Dopo le manifestazioni della pietà e della fede. Dopo i riti funebri, la gioventù, la frivolezza e
l’amore. Una sorella del primo console, Paolina, bellissima, viene a stabilirsi a Roma, maritata al
principe Camillo Borghese, e percorre la strada di Firenze. Sono i primi giorni di dicembre 1803 e
naturalmente fa freddo. ………………………… Al loro arrivo, la sera del 9 Paolina e Camillo
trovano ad accoglierli nel superbo palazzo Borghese le maggiori personalità di Roma……………
Altre attenzioni gli sposi avevano ricevuto a Firenze ad opera di Maria Luisa, reggente d’Etruria.
Regina reggente: Ludovico di Borbone era infatti morto durante l’anno e il figlio ne aveva preso il
posto dotto la tutela materna. …………………………………………………
……………………………………………………………………………………………………
………………………………………………. Il primo console, infatti, aggiungendo alla gloria
militare qualche anno di energico governo, aveva acquistato tanto potere da farsi concedere mediante
plebiscito il titolo imperiale. E pensava che porgendogli la corona il papa, la sua esaltazione al trono
sarebbe apparsa molto più solenne e legittima. Ma secondo il suo costume Napoleone volle imporre
tutta la propria volontà, curandosi poco anche delle forme. Non solo Pio VII venne obbligato a portarsi
a Parigi, ma lo si fece viaggiare nella cattiva stagione, prescrivendogli una serie di tappe quasi non
interrotta da riposi, cosicché quel trasferimento, come scrive il Consalvi «non fu meno indecente alla
sua dignità che nocivo alla di lui salute».
Anche Pio VII deportato. Faticoso viaggio da Roma a Firenze.
………………………………………………………………Accompagna i due un alto ufficiale
francese, un generale, non si capisce se in veste di protettore o di custode; costui non si trattiene dal
rimproverare vivamente la padrona di tenere il locale tanto sudicio e sprovveduto. Però la donna non
si scompone e rivolta a quello dei viaggiatori che sembra il più importante e che è stato fatto subito
sedere sull’unica «sdrucita e vecchia sedia» disponibile……………………………………
…………..L’ostessa non sospetta certo che l’uomo da lei trattato come un cardinale
………..possa essere il papa in persona. Per intuirlo dovrebbe conoscere quello che è accaduto in
Roma sull’alba: che le truppe francesi hanno invaso il Quirinale, fino a raggiungere il papa e cui il
generale Radet (lo stesso che si trova con i prelati nell’osteria) ha notificato, a nome di Napoleone, la
decadenza del potere temporale facendolo poi entrare in una carrozza e portandolo precipitosamente,
come prigioniero, verso Firenze. Se ciò sapesse, la donna si spiegherebbe anche il turbamento e la
stanchezza del suo ospite, e perché non riconosca in lui l’augusto personaggio che, onorato ed
acclamato, ha visto quattro anni prima. Comunque non resta tempo per considerazioni perché il
viaggio del gruppo riprende immediatamente.
E non c’è altra sosta fino a Radicofani, dove si arriva alle 11 di notte, il papa, partito già
sofferente, dopo 19 ore di viaggio in una giornata afosissima, è affranto. Radet che lo osserva se ne
accorge, ma non prende neppure l’iniziativa di fargli trovar pronto un buon letto, e scende alla locanda
di Radicofani senza aver dato alcun avviso, come guidasse la più improvvisata gita turistica. Lo
racconta lui stesso, tranquillamente: «Appena ivi giunto, mandai a chiedere delle camere per due
150
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cardinali e loro seguito. Intanto la mia scorta si avvicina e fa evacuare l’atrio dell’albergo. La carrozza
entra sino alla porta della cucina, la porta grande si chiude dietro di noi, scendo e porgo la mano al
Capo supremo della Chiesa per montare la scala313». Ben si capisce come il cardinale Pacca
(l’ecclesiastico che accompagna il papa) debba lui stesso «in rocchetto e mozzetta» aiutare la serva a
preparare il giaciglio, dove tuttavia Pio VII non potrà collocarsi che vestito, per avere lasciato Roma
senza prendere assolutamente nulla con sé314.
In realtà, tanta furia alla partenza e in viaggio aveva un motivo: passare assolutamente prima che
la voce si spargesse, per evitare assembramenti e tumulti. Questo fu ottenuto il primo giorno, ma non
il secondo. Il papa si rifiutò fermamente di proseguire oltre Radicofani se non arrivavano i domestici
autorizzati ad accompagnarlo, con un minimo di necessario, e il Radet non ebbe l’animo di
contraddirlo benché stesse sulle spine: «Io spesso guardavo dalla finestra, la quale sporge sulla strada
di Roma, che di là si scuopre alla distanza di quattro leghe e più. Verso le 3 veggo in lontananza due
carrozze: tutto allegro corro a darne l’avviso a Sua Santità». Partire da Radicofani solo nel pomeriggio
significò trovare in ogni borgo, in ogni villaggio, una gran folla eccitata.
………………………………
Pag. 222 e segg.
Ultimi turbamenti del periodo napoleonico. Il papa ancora una a Firenze.
……………………………………………………………………………………………….
Genova, secondo gli originari disegni, fu la residenza papale sebbene per pochissimo perché il
29 maggio Pio VII passava nuovamente per Firenze, di ritorno: Il Murat infatti affrontato dagli
Austriaci in Emilia, s’era messo in ritirata, senza più soste fino a Napoli, perdendo la guerra e il regno.
Quando il papa tornava a Firenze l’armistizio che segnava la fine della potenza murattiana era ormai
firmato: egli poté quindi raggiungere la sua sede con tranquillità e sicurezza, e dando questa volta
tempo alle popolazioni di organizzare feste e cerimonie d’omaggio. Le cronache delle accoglienze al
papa tra Firenze e Roma dal 2 al 7 giugno descrivono prevalentemente manifestazioni fatte secondo
gli schemi ufficiali la cui rievocazione non presenta molto interesse. Di nuovo genere, e perciò da
notare, è un episodio riferito dal cardinale Pacca, che riguarda la sosta a Radicofani, il 4 giugno. Nel
borgo solitario ed alpestre, animato quel giorno da una moltitudine accorsa dai monti e dalle
campagne all’intorno, il papa ricordò con commozione l’affannoso viaggio fatto sotto la scorta del
generale Radet e volle visitare la locanda dove era stato sistemato. In essa lavorava ancora la serva
che quella sera del 1809 aveva preparato alla meglio per due sconosciuti e stanchissimi prelati capitati
tanto all’improvviso; e d’ordine di Pio VII le fu dato un regalo315.
…………………………………………………………………………………………………..
………………………………………… Uno era Fesch, il cardinale trovatosi a dover
rappresentare gli interessi francesi contro la Chiesa, ma rimasto in ogni circostanza deferente col
papa; l’altra era Letizia Bonaparte, sempre volutamente nell’ombra, benché madre di un onnipotente:
«non lei di Cesare il raggio precinse», dirà il Poeta. Eppure il loro inatteso arrivo a Siena (è lì che
compaiono sulla «via romana») mise a disagio le autorità locali e soprattutto il prefetto Bianchi.
……………………………………………………………………………………………………..Nei
suoi appunti il cardinale scriveva: «Sono partito da Siena il 13 agosto alle 8 del mattino dopo aver
detto messa. La notte l’abbiamo trascorsa a Radicofani, da dove siamo partiti alle 7 del 14. …».
313
Cfr. la relazione del generale Radet sul viaggio di Pio VII riportata in appendice a PACCA B.: Memorie Storiche,
Pesaro 1830, pag. 202. Al ritorno da Parigi Pio VII venne da Firenze a Roma (10-15 maggio 1805) passando per ArezzoPerugia-Nepi-Monterosi-La Storta, senza toccare la montagna di Viterbo. Passò invece all’andata.
314
Cfr. il racconto del cardinale Pacca, nell’opera citata nella nota sopra (pag. 126.
315
PACCA B.: Relazione del viaggio di Pio VII a Genova nella primavera dell’anno 1815 e del suo ritorno a Roma,
Orvieto 1844, pag. 21 e segg.
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Libri su Radicofani
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Madama Letizia e il cardinale Fesch, peregrinanti tra Firenze e Roma, si muovono come dei
sopravvissuti. Siamo ormai in nuovo clima storico, quello della restaurazione.
La strada imperiale: manutenzione e lavori particolari.
……………………………………………………………………………………………………
…………………………………………………………………………………………………………
Una novità generale la strada Firenze-Roma l’ha negli anni in cui tutta, di fatto, è sottoposta al
governo francese, e precisamente nel 1811 quando Napoleone emana l’atto fondamentale in materia
di strade, il «Règlement pour l’administration et l’entretien des routes» datato 16 dicembre, e
pubblicato nel «Moniteur» il 21 dello stesso mese. Il documento reca in allegato l’elenco delle «strade
imperiali»; una di queste «de Paris à Rome et a Naples, par le Simplon et Milan» comprende tutta
intera la strada postale romana. Testualmente, il tracciato viene così riportato: Florence, San
Casciano, Tavernelle, Poggibonsi, Siena, P. d’Arbia, Saint Errico, La Scala, Radicofani, Poste,
Acquapendente, Bolsena, Viterbo, Ronciglione, Settevene, Orte, Storta, Rome. Per le strade imperiali
il «Règlement» stabilisce costruzione e mantenimento a carico del tesoro
pubblico………...............................
Il diretto dominio che anche dopo la formale ricostituzione del granducato Napoleone esercitò
sulla Toscana e sul Lazio rendeva effettivamente possibile l’applicazione di questo Regolamento
all’intera Firenze-Roma, che acquistava così il vantaggio di essere amministrata da un capo all’altro
secondo le stesse norme, e norme veramente moderne.
Passaggi e avvenimenti dell’età risorgimentale. Milleottocentodiciannove Francesco I viaggia da padrone.
Pag. 252
Il congresso di Vienna chiudendo il periodo delle guerre napoleoniche ripristinò in Italia il
predominio austriaco, anzi lo rafforzò grandemente. ……………………A pochi anni dal celebre
congresso, quando nessun sussulto rivoluzionario aveva ancora turbato l’ordine da esso stabilito, si
svolge il viaggio nella penisola di Francesco I, viaggio lunghissimo, durante il
quale……………………Con Francesco I (imperatore d’Austria e fratello del granduca di
Toscana) viaggiavano la moglie, il granduca e l’arciduchessa Carolina…………………….quello
stesso pomeriggio (31 marzo 1819) viaggiatori di gran rango raggiunsero Siena per la « strada
romana »: precisamente il principe Antonio di Sassonia con moglie e nipoti. Ripassò da Siena anche
il granduca, congedandosi dall’imperiale fratello a Radicofani. Il 2 a mezzogiorno, egli rientrava a
Firenze quando già era partito per fare il cammino inverso, a Roma anche lui, l’erede al trono,
Leopoldo316.
Gli austriaci, i re delle due Sicilie, il granduca e infine lo zar.
……………………………………………………………………………………………………
……………………………………………………………………Lungo la strada Firenze-Roma, che
accoglie il regolare e anonimo movimento dei periodi tranquilli, le novità che fanno epoca tornano
ad essere, quasi come alla fine del Settecento, i passaggi dei sovrani e dei principi in viaggio per
motivi di Stato o familiari. Tra questi viaggiatori si mobilitano le poste e i curiosi d’ogni grado sociale,
ritroviamo subito il Re delle due Sicilie, ……. Francesco I, …………………….1829. E con il re,
buona parte della corte, perché egli accompagna la figlia che va sposa, una circostanza in cui conviene
compagnia splendida e vistosa. Francesco I, la regina, la principessa Maria Cristina e un altro figlio
di due anni appena, il fratello del re principe di Salerno con la principessa e una figlia e inoltre
«numeroso e nobile seguito» fecero la tappa Roma-Firenze del loro viaggio da Napoli alla Spagna
316
Cfr. «Gazzetta di Firenze» a. 1819 n. 40 e 41.
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Renato Magi
(Maria Cristina sposava il re di Spagna, appunto) tra il 6 e il 10 ottobre. La famiglia del principe di
Salerno viaggiava sola e avanti agli altri: infatti nel pomeriggio del 7 era a Siena, dove il re non entrò
che due giorni più tardi, alle nove. Da Firenze s’erano già mossi l’incaricato d’affari napoletano e il
commendator Paver, soprintendente delle poste granducali, per ricevere gli ospiti a Radicofani.
……………………………………………………………………………………………………
…………………………Quiete e tranquillità opportunissime presenta dunque la Firenze-Roma nel
dicembre dell’anno 1845, quando per essa transita un personaggio più d’ogni altro forse insofferente
di qualsiasi irregolarità e contrasto. «Questa mattina alle ore cinque e venti minuti è arrivato in questa
capitale, proveniente da Roma, S.M. Niccolò I, imperatore di tutte le Russie, sotto il nome di generale
Romanoff in compagnia dei suoi aiutanti Generali, il conte ed il principe Mentschikoff e con
numeroso seguito, prendendo alloggio alla locanda d’Italia che da tre giorni era ritenuta a sua
disposizione, ove era stata impostata una guardia d’onore……».
Dato che lo zar viaggiava in incognito, e aveva anche rifiutato l’offerta d’essere ospite alla reggia,
Leopoldo II aveva potuto risparmiarsi di andare a prendere freddo a Siena, o peggio che mai, a
Radicofani, mandando al suo posto il gran ciambellano.
Manutenzione o lavori sulla Firenze-Roma dalla Restaurazione all’unità d’Italia. Settore toscano.
…………………………………………………………………..Per il mantenimento sono
particolarmente indicativi gli anni tra il 1825 e il 1835, quando cioè esso viene dapprima curato dai
nuovi organismi responsabili, il Corpo degli ingegneri e la Direzione di Acque e Strade.
……………………………………………………………………………………………………
……………….il cantone di Ricorsi, fino a tutto il 1834 a G. Coli, che lo aveva dal 1817: gli era stato
rinnovato per mancanza di disdetta. Tratto brevissimo di due miglia e mezzo per l’importo di 1.535
lire: dopo il ’34 sarà tenuto per un anno «a nota» e poi compreso in un nuovo appalto nel 1836. Il
cantone del Rigo, il più lungo di tutti e forse il più difficile (miglia 10,30; 6573 lire annue di
mantenimento) nel ’35 è ………………….
Per i cantoni del Compartimento senese il «concorso» ebbe luogo la mattina del 10 novembre
1855 e diede il seguente esito: …………………………………………; tredicesimo, di Radicofani,
miglia 4,80, a C. Madioni per 2924 lire; quattordicesimo, di Novella e Rigo, miglia 8,19 a D. Madioni
per 4.185 lire.
……………………………………………………………..Durante il quinquennio 1827-1831,
nella
parte
della
nostra
strada
sottoposta
al
granduca,
vennero
eseguiti:
…………………………………., il restauro del ponte dell’Orcia, una protezione lungo il Formone,
lo « sbassamento » di un tratto della salita di Radicofani e restauri diversi attorno al Rigo.
…………………………………. Riparazioni ai ponti del Formone e dell’Orcia
Altro periodo denso di lavori, il 1835-1837. Il tratto interessato è specialmente quello tra S.
Quirico e Radicofani: nuovo ponte a tre arcate sul Vellora (perizia 32.200 lire), ………….riparazioni
ai ponti del Formone e dell’Orcia………
………………………………………………………………..Altro lavoro di quest’epoca
(1840-1850): la rettificazione della salita di San Francesco a Radicofani lavoro di consistenza (600
metri, 7648 lire) ma soprattutto d’utilità. Infatti la salita eliminata, venendo subito dopo la posta,
creava infiniti inconvenienti, perché i cavalli « a petto diaccio » spesso ricusavano di partire.
Dopo queste opere del decennio 1840-50, non ne risultano, sempre sul tratto toscano, altre di pari
impegno. …………………………………………………………………………………… Sarà per
restaurare la platea del ponte del Formone (4000 lire), per risanare avvallamenti a Casa al Sarti e
Baccanello ………………………………………….per rifare le due « serre sotto corrente del ponte
delle Salsole e del Ponte Torto » di là da Radicofani……………………………………..
153
Libri su Radicofani
Personaggi nati a R.
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LA POSTA DI RADICOFANI – a cura di Leonardo Carandini – estratto da
“L’UNIVERSO” rivista bimestrale dell’Istituto Geografico Militare – Anno
XLIV – N. 1 – Gennaio- Febbraio 1964 – Fatto Ristampare a cura del Comune
di Radicofani dalla tipografia Cantagalli – Siena.
(Da questo articolo del Carandini prendiamo soltanto i nomi dei personaggi che
sono passati dalla Posta di Radicofani anche se molti di essi danno del posto
un’interpretazione alquanto negativa e poco rassicurante. Bisogna però dire che
questi personaggi molto spesso avevano a che fare con il freddo e con la furia del
vento che in questo posto, essendo a 814 mt. sul livello del mare, tira abbastanza
forte!)
L’articolo comincia con la descrizione del posto e dell’edificio della Posta (Questa
Posta, costituita da un grande edificio-albergo eretto dai Medici verso la fine del Cinquecento,
costituì, per tutta l’epoca della carrozza, cioè per circa trecent’anni, una delle più importanti e
pittoresche tappe del viaggio a Roma. Ivi si mutavano i cavalli, si pagavano i dazii, si pranzava, si
pernottava, si trovava conforto e riparo dalle intemperie. È proprio di questa Posta, che, alla luce delle
descrizioni lasciateci dagli antichi viaggiatori, vogliamo qui parlare. Fra il XVI ed il XIX secolo, sono
poche le «guide», gli «itinerari», le descrizioni di viaggi attraverso l’Italia, che non menzionavano
questa importante tappa situata in uno dei tratti maggiormente disagevoli della via più diretta che dal
Nord conduceva a Roma ed all’Italia meridionale.)
Prima di Radicofani è nominata Mala Mulier o Mulier Mala da documenti del 1071
e del 1107 e dall’Abate Thingoerense nel 1151 e il grande castello che dominava le
Valli della Paglia e dell’Orcia già dava il nome al passo fin dal 1191 che viene
ricordato dal re di Francia Filippo Augusto.
Il Carandini nel suo articolo ricorda ancora il viaggiatore P.G. Grosley il quale
diceva che ancora non era stata riparata la strada dopo lo scoppio della polveriera
(1735), lui passava da Radicofani nel 1740, così Leandro Alberti (L. ALBERTI –
Descrizione di tutta Italia – Venezia, 1553) parlava dell’asprezza dell’itinerario ed infine
di Montaigne che passò da Radicofani nel 1581 meravigliandosi per il grande
traffico di viaggiatori incontrato lassù, aveva scritto: «Le strade erano state riparate
in quell’anno stesso per ordine del Duca di Toscana e si tratta di una gran bell’opera,
molto utile per il pubblico. Dio lo rimeriti perché queste strade un tempo tanto cattive,
sono ora comodissime e molto sgombre, quasi come quelle di una città». (MONTAIGNE
– Journal du voyage en Italie en 1580 – 1. Paris, 1774). Nella metà del secolo successivo
Martin Zeiller rilevava che andando verso Roma, dopo Radicofani, la strada
peggiorasse sensibilmente, fangosa e faticosissima per i cavalli, mentre «fino a
Radicofani sono tutte lastricate e coperte di grosse pietre cosicché visi può viaggiare
come in una città» (MARTIN ZEILLER- Itinerarium Italiae – Franckfurt, 1640). Il Carandini
ricorda poi nel 1786 il memorialista lombardo Gorani, il quale s’era dovuto fermare
per due giorni a Centeno perché il ponte era stato distrutto da una piena (G. GORANI
– Dal dispotismo illuminato alla rivoluzione – Milano, 1942). Il Carandini parla poi del
viaggiatore inglese Moryson Fynes (Moryson Fynes – An itinerary. London, 1617) che
passò per Radicofani nel 1584 e s’era fermato in un’osteria di campagna perché
ancora non c’era l’Osteria Grossa. Il racconto segue con S. Corradus che passa per
Radicofani nel 1589 e già pernottava nel magnifico edificio «extructum a Ferdinando duce
commodo viatorum» (Sebastiano Corradus – Itinerarium Italiae totius. Coloniae, 1602).
L’Osteria Grossa fu edificata dal Granduca Ferdinando I che costruì pure la bella
fontana per abbeverare i cavalli e l’edificio fu costruito vicino all’edificio della fabbrica
del salnitro e lo Zeiller nel suo nominato scritto ci dice che il granduca lo eresse per
154
Libri su Radicofani
Personaggi nati a R.
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alloggiare i viaggiatori che non volevano o non potevano salire al villaggio, infatti
l’edificio si trova a circa 500 mt. sotto il paese. Il racconto continua con il nominare il
viaggiatore Evelyn che passa nel 1644 dicendo praticamente le stesse cose dello
Zeiller (Evelyn – Diary. London, 1906). Nel 1609 si era fermato nell’albergo Vincenzo
Imperiali il quale dice che si è fermato all’albergo e ha fatto «una buonissima cena» e
pernottandovi «ponendo rimedio a tutti i mali che di giorno s’eran passati» L’Imperiali, (G.V.
Imperiali – Viaggi. Atti Soc. Ligure di Storia Patria. Genova, 1898) come il Walpole (H.
WALPOLE, Letters. Oxford, 1903) scrisse dopo che gli era capitato un incidente «I miei
bagagli, i miei cofani, avevano l’inchino al loro Re al Re di Cofani» e il Walpole immaginava
che questo re di cofani fosse uno dei Re Magi, provvisto di oro, incenso e mirra e si
chiedeva «Dove Diavolo li avrà mai trovati, dato che tutt’intorno non vi è nulla che possa valere
qualcosa?» «L’Hôtellerie des Grands Ducs», come la chiamava il viaggiatore Lassels che vi
ha pernottato nel 1640 (LASSELS, voyage d’Italie. Paris, 1682). In una camera del grande
albergo nella notte di Natale del 1675, il Duca di St. Aignan, doveva tenere
l’inchiostro per scrivere vicino al fuoco! (SAINT AIGNAN, - Relation du marquis de XXX
pendant son voyage en Italie. Paris, 1672). Della tappa di Radicofani ci parlano il viaggiatore
Monconys (MONCONYS – Journal de voyages. Lyon, 1665» che, nel 1666, s’era imbattuto
per la strada con il cardinale Grimaldi, e così Spon (J. SPON, - Voyages d’Italie. Bonn,
1672), che credeva di essere su una delle più alte montagne d’Italia. Si fermarono a
Radicofani il Duca di Bouillon (BOUILLON, - Les beautés de l’Italie. Paris, 1673) nel 1670
e, nello stesso anno, Larchier (LARCHIER, - Voyage d’un homme de qualité, Lyon, 1681).
Nel 1671 dormì nell’albergo dei Granduchi il figlio di Colbert, il marchese di
Seignelay (SEIGNELAY, - L’Italie en 1671. Paris, 1876) e Radicofani è anche ricordato
da Jouvin de Rochefort nel 1680. (JOUVIN DE ROCHEFORT, - Voyage de France,
d’Italie et de Malthe. – Paris, 1682). Vi pernottò nel 1688 il viaggiatore Misson Maximilien
e verso la fine del secolo, Addison (MISSON, - Nouveau voyage d’Italie. Utrecht, 1722.
ADDISON, - Remarques sur divers endroits de l’Italie. Utrecht 1722). Nel febbraio del 1700,
Radicofani venne danneggiata da un violentissimo terremoto. Il benedettino Bernard
de Mountfaucon, che era passato di lì pochi giorni dopo, descriveva le case crollate
e l’albergo mediceo quasi completamente distrutto (B.DE MOUNTFAUCON, - Diarium
Italicum. Pariisis, 1702). Non nuova a terremoti, la zona di Radicofani ebbe proprio nel
XVIII secolo la serie di peggiori calamità. Così nel 1726, nel 1741 e specialmente tra
il 1776 ed il 1778 il paese subì un intenso periodo sismico. Nel 1777 la quasi totalità
delle sue case venne seriamente lesionata. L’Osteria Grossa, più tardi chiamata
Posta, e prima ancora era una casa per la caccia di Federico I, venne ricostruita dopo
il 1700 ed era tanto frequentata che spesso era insufficiente ad accogliere tutti i
viaggiatori perché per la via Francesca il traffico era molto grande. Il presidente De
Brosses che vi giunse nel 1739, dovette apprendere, costernato, che un principe di
Sassonia con il seguito di cinquanta cavalieri, aveva occupato l’intero edificio
facendosi riservare tutti i viveri disponibili. Per non rimanere per la strada il povero
viaggiatore francese e i suoi amici avevan di buon grado accettata l’offerta di spartire
la cella di un generoso frate del vicino convento dei Cappuccini. (Ch. DE BROSSES, Lettres historiquesnet critiques sur l’Italie. Paris, 1799).
Walpole vi si fermò con Gray nel 1740. Walpole chiamò osteria l’albergo e brutta
fortezza quella di Radicofani! Non l’avrebbe certo disprezzata se avesse saputo che
a fortificarla fu Adriano IV, l’unico papa inglese della storia della Chiesa Cattolica! E
anche Gray parlò male dell’Osteria Grossa (Th. GRAY, - The correspondence. Oxford,
1935). La strada era sempre affollata e l’Albergo della Posta, come ricordava il
Keysler nel 1756, era sempre pieno di gente (J.G. KEYSLER, - Travels. London 1757).
Nel 1765 sostava in quest’albergo il viaggiatore Tobias Smollet (T. SMOLLET, The
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Libri su Radicofani
Personaggi nati a R.
Renato Magi
lettres, Cambridge, 1926) lamentandosi così come Lady Miller (A. MILLER, Lettre from
Italy, London, 1776),
Dutens (L. DUTENS, Mémoires d’un voyageur qui se repose, Londres, 1807) ci parla di
un curioso incontro in quest’albergo fra l’Imperatore Giuseppe II ed un barone
tedesco.
Il letterato inglese William Beckford (W. BECKFORD, Italy, Paris, 1835) ci fa una
descrizione dell’albergo da brivido, invece più fortunato di lui fu il Gran Maresciallo
svedese Axel von Fersen, il quale asseriva che nell’albergo era riuscito a vedere,
era il 1780, un autentico fantasma! (A.J. HARE, Cities of Central Italy, London, 1884).
Verso la fine del XVIII secolo il Baldassarri, che, In compagnia del Papa Angelo
Braschi, vi pernottò il 24 febbraio 1798, mentre Pio VI era condotto prigioniero in
Francia (P.BARDASSARRI, Relazioni delle avversità e patimenti del glorioso Papa Pio VI.
Roma, 1889) «Tutti alloggiammo all’osteria della Posta. Pio VI ……..».
Nei primi del Settecento, e precisamente 1715 il Conte di Caylus passava per
Radicofani e lodava la cura con cui veniva mantenuta quella via (CAYLUS, Voyage en
Italie en 1714-15. Paris, 1915). Tre anni dopo Labat (LABAT, Voyage en Espagne et en Italie.
Amsterdam, 1731) notava come questa fosse ottima. Nel 1739 il De Brosses (op. cit.)
definiva la tappa di Radicofani come la più spregevole; così come il barone di
Pollnitz che vi passò nel 1740 (POLLNITZ, Lettres et mémoires. London, 1741) Al contrario
di Lady Miller l’Abbé Richard (L’ABBÉ RICHARD, Description historique et critique de
l’Italie. Dijon, 1756) notava che gli abitanti assomigliavano più a Savoiardi che a
Italiani. Il Coyer (COYER, Voyage d’Italie et d’Hollande. Paris, 1775) nel 1763 si era dovuto
fermare, con molti altri, ad Acquapendente a causa della neve che ostruiva la strada
per Radicofani. Nel 1757 Madame du Bocage (DU BOCAGE, Recueil des œuvres. Lyon,
1762) parlava di un viaggio terribile così come si è già parlato o di Smollet (op. cit.) e
ancora il Grosley (op. cit.) che ci passarono nel 1765. Ma nel 1769 la strada era
ritornata bella e ce lo dice M.L. Duteus (M.L. DUTENS. Itinèraire des routes les plus
fréquentées. Paris, 1787), ma già nel 1777 era ridotta in pessimo stato e se ne lamentano
nel 1770 il Casanova e più tardi il citato William Bekford. Nel 1785 si lamentava
della strada e della natura Mercier Dupaty (MERCIER DUPATY, Lettres sur l’Italie en
1785. Lyon, 1786). Nel 1801 si narrava che erano stati assassinati due corrieri postali
e ce lo narra Creuzé de Lasser (M. CREUZÈ DE LESSER, Voyages en Italie et en Sicile.
Paris, 1806). Anche Forsyth (J. FORSYTH, Remarcks. London, 1813) che era passato a
Radicofani nel 1802 racconta che un brigante assassinava avendo sulla mano destra
una pistola e sulla sinistra un rosario!
Nei primi del XIX secolo lo Chateaubriand (CHATEAUBRIAND, Mémoires d’autre
tombe. Paris, 1952) racconta la sua impressione su Radicofani definendo «lunare» il suo
paesaggio. Nel 1804 Madame de la Recke ( M. DE LA RECKE, Voyage en Allemagne
et en Italie. Paris, 1819) aveva incontrato degli sbirri che l’avevano avvisata che il papa
Pio VII sarebbe passato di lì e che il suo seguito aveva occupato tutte le stanze
dell’albergo di Radicofani; tra le descrizioni dell’albergo della posta di Radicofani ci
rimane quella del luogotenente generale di gendarmeria che accompagnava: il papa
il barone Radet (RADET, Relazione esatta e circostanziata del violento trasporto del Papa Pio
VII. Milano, 1809); il quale doveva portarlo a Parigi per incoronare Bonaparte, e quando
il papa ritornò nel 1814 a Roma si fermò ancora nell’albergo di Radicofani e volle
dormire nella stanza dove aveva dormito prigioniero e ricompensare coloro che nella
sfortuna lo avevano assistito.
Nel 1817 Stendhal (STENDHAL, Rome, Naples e Florence. Paris, 1955), il quale per le
cattive condizioni della strada la carrozza si era guastata. Nel 1811 il viaggiatore
Petit-Radel (P.PETIT RADEL, Voyages dans les principales villes d’Italie. Paris, 1815) vi
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Libri su Radicofani
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passò e dovette farsi aiutare da una coppia di buoi per arrivare a Radicofani. E
Prunetti (M. PRUNETTI, Viaggio pittorico antiquario d’Italia e di Sicilia. Roma, 1820) nel 1820
raccomandava ai viaggiatori che bisognava guadare i torrenti solamente quando
questi erano rientrati nel solito letto. A Radicofani continuava ad essere mantenuta
la dogana ma ovunque i doganieri erano corruttibili; John Bramsen nel 1815 (J.
BRAMSEN, Travels. London, 1820) li aveva trovati gentili e premurosi. Anche il De
Montulé nel 1817 (DE MONTULÉ, en Amerique et en Italie. Paris, 1821) narrava di aver
evitato la noia dei doganieri con un po’ di denaro, e si stupì della facilità con cui erano
disposti ad accettarlo. Il francese Sismond vi era giunto nel 1818 (L. SISMOND,
Voyage en Italie et en Sicile. Paris, 1820) e vi parla molto bene dell’albergo e della vista
“bellissima” che da esso si godeva. Pochi giorni dopo, nel 1823 passava dall’albergo
la viaggiatrice Lady Blessington (BLESSINGTON, The idler in Italy. London, 1839), la
quale si lamentava del freddo che aveva sofferto in luglio. Anche un ufficiale
dell’Imperiale Regia Truppa Austriaca si era preoccupato di pubblicare in Siena una
diligente «Descrizione della montagna e del paese di Radicofani» (L.DE PEDROTTI, Siena, 1823).
Ancora nel 1825 un’altra viaggiatrice inglese Mrs. Jameson, era contenta, scriveva
di essere nell’albergo e non fuori dove c’era molto vento (A. JAMESON, The diary of an
ennuyée. Boston, 1887). Per chi veniva dallo stato della Chiesa molti viaggiatori, sovente,
vedevano che rientravano nella civiltà e ciò ce lo fa notare Valery (M. VALERY,
Voyages litteraires, historiques et critiques en Italie. Paris, 1838), mentre non era dello stesso
parere l’inglese Evans (V. D. EVANS, The new classical tour through Italy. London, 1830) il
quale apparteneva a quel tipo di viaggiatori che il Toppfer (R. TOPPFER, Premiers
voyages en zig-zag. Paris, 1903) definiva «no-no», quelli cioè per i quali in Italia nulla
andava bene.
Anche al De Mengin-Fondragon (C.DE MENGIN-FONDRAGON, Nouveau voyage en
Italie. Paris, 1933) non era piaciuta la zona di Radicofani e così il conte di Chambord
(CHAMBORD D’ARTOIS, Voyage en Italie en 1839-40. Paris, 1933) il quale, però, doveva
convenire che, inoltratosi negli stati della Chiesa, aveva lasciato alle spalle la civiltà,
Tre viaggiatori Boyd (W. BOYD, A guide though Italy. London, 1833), Poujoulat (M.
POUJOULAT, Toscane et Rome. Bruxelles, 1840) e Taylor (C. TAYLOR, Letters from Italy to
a younger sister. London, 1840) dicevano che l’albergo era sempre molto frequentato e si
era rivelato molto confortevole.
Nel 1840 anche John Ruskin aveva annotato che l’albergo d’aspetto
malinconico era confortevolissimo (J. RUSKIN, The diaries. Oxford, 1956), anche se ci
ripensò un anno dopo.
Alcuni anni dopo un celebre inglese, Charles Dickens passava per Radicofani e
anche lui non ne ha avuto una buona impressione (CH. DICKENS, Pictures from Italy.
London, 1889) così come Nathaniel Hawthorne (N. HAWTHORNE, Passages from the
French and Italian notebooks. London, 1883) asserisce che fra tutti gli alberghi da lui
frequentati nella sua vita quello di Radicofani è il più desolato.
Qui voglio ricordare, visto che non lo ricorda il Carandini, il grande Vittorio
Alfieri che passa da Radicofani a dicembre del 1766 e il suo cameriere si ruppe un
braccio ed è costrette a chiedere aiuto ad un chirurgo di Radicofani che dichiarò che
il braccio era perfettamente messo a posto sì come lo aveva messo il cameriere da
solo! (V. ALFIERI, Vita (scritta da esso). Salani Editore. 1964).
Viaggiatori stranieri in terra di Siena – a cura di Attilio BRILLI –
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Personaggi nati a R.
Renato Magi
Stampato a cura del Monte dei Paschi di Siena da De Luca Editore, s.r.l., Roma
–
Nell’anno 1986.
Questo libro, che riporta le testimonianze dei viaggiatori stranieri in terra di Siena,
è interessante per quanto riguarda tutto ciò che allora era considerato civile e quanto
non lo era, anche se molte cose di cui si racconta vanno prese con le molle
specialmente quelle raccontate dalle viaggiatrici britanniche. Le parti scritte fra
parentesi sono quelle riportate nel libro.
Una cosa da tenere presente che nelle carte del XVIII secolo la Posta di Radicofani
era messa come fosse un’altra località a sé stante!
L’Albergo “Osteria Grossa” ovvero la Posta nel libro suddetto viene, a parte le
citazioni piccole nella prima parte del libro, citata con criticità, che più sotto
riporteremo, a partire dalla pagina 170 e segg. quando John Evelyn (1620-1706),
scrittore inglese, si ferma alla Posta di Radicofani:
……finché non fummo saliti alla locanda di Radicofani costruita dal Granduca Ferdinando per
il ristoro dei viaggiatori in un luogo così inospitale. ……………………………Questa è stata una
delle più piacevoli, nuove e straordinariamente sorprendenti vedute che abbia mai scorto.
Sulla sommità di questa orrida roccia (perché tale è) s’erge un poderoso fortino ……………..
……..Proprio di fronte alla locanda sgorgava una copiosissima ed utile fontana che riversa la
propria acqua su un grande truogolo di pietra con lo stemma del duca di Toscana.
A pag. 174 arriva a Radicofani Richard Lassels (1603? - 1668) sacerdote di
religione cattolica che compì diversi viaggi in diversi paesi dell’Europa:
………………………… e quindi a Radicofino, possente castello su un alto colle, costruito da
Desiderio re dei Longobardi. Questo è l’ultimo luogo dello stato fiorentino, ma non il meno
importante per la forza.
Dopo aver pranzato alla locanda del Granduca ai piedi della collina, ci recammo a prendere
alloggio a Acquapendente….
Sempre nella stessa pagina racconta lo scrittore e viaggiatore francese François
Maximilien Misson (1650? – 1722):
……ai piedi della montagna di Radicofani che dà il nome al borgo ed alla cittadella, avvolti dalle
nubi per gran parte dell’anno e situati in cima alla vetta. Costretti a fermarci là a dormire da un
violento temporale, ci è sembrato che per tutta la notte i tuoni brontolassero sotto i nostri piedi.
Lasciata Radicofani alla volta di Siena, si incontrano soltanto montagne spoglie o quasi del tutto
sterili. (Bisogna capire che durante i secoli precedenti tutte le terre vicine, soprattutto
quelle dove c’era la strada che percorrevano i viaggiatori, e da quella partivano le
altre strade, erano state disboscate fin dal medioevo. Già nello Statuto del 1441, si
parla di una contesa fra Radicofani ed Abbadia S. Salvatore per una macchia situata
a ridosso del Formone, quindi dopo tre secoli figuriamoci come doveva essere il
paesaggio intorno!)
A pag. 177 a Radicofani passa lo scrittore inglese Joseph Addison (1672 – 1719)
che ci racconta, io non sono assolutamente d’accordo con tutto quello che scrive ma
solo in parte:
Il castello di frontiera di Radicofani s’erge sulla montagna più alta della contrada ed è ben
fortificato, come consente la configurazione del luogo. Vi scoprimmo un ben diverso volto della
natura, rispetto a quello che ci aveva intrattenuto nei domini papali. Infatti al posto delle molte e belle
scene di verdi montagne (mi viene da pensare che questi personaggi non vedessero fino
in fondo il paesaggio dato che, benché effettivamente intorno a Radicofani fosse tutto
spoglio e pieno di rocce brulle, ciò era dovuto anche al fatto che le fortezze dovevano
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Libri su Radicofani
Personaggi nati a R.
Renato Magi
essere sgombre da qualsiasi cosa che avesse impedito la visualità, ma non credo che
l’Amiata e il Cetona apparissero nudi!) e di fruttifere valli, che ci avevano accompagnato per
diversi giorni, ora non c’era dato scorgere altro che la vista nuda e selvaggia di rocce brulle colline
scavate da ogni parte da canaloni e rigagnoli, e non un albero, un cespuglio che ci venisse incontro
nell’ampio giro d’orizzonte di miglia e miglia. Questo scenario mi riportò alla mente un proverbio
secondo il quale, dell’Italia “Il Papa ha la ciccia e il Granduca le ossa”.
In questa vasta estensione di montagne desolate, scorsi un unico appezzamento coltivato sul
quale si levava un convento (questo pezzo mi fa venire in mente il convento di monache di
cui si parla nello Statuto del 1441 alla rubrica 39 a pag. 132e che ho già citato)
A pag. 183 e 184 parla Charles De Brosses (1709 – 1777) magistrato e scrittore
francese che dice:
… arrivammo a notte fonda a Radicofani, più sinistro di quanto fu mai Croupillac, nota a tutti i
viaggiatori come il rifugio più detestabile d’Italia.
Un attimo prima di noi era giunto là anche il principe di Sassonia, figlio primogenito del re di
Polonia, la cui carrozza era tirata da cinquanta cavalli, particolare commovente per persone abituate
a dieci cavalli. Ma la disgrazia più grande non fu sapere che aveva fatto fermare là, oltre i propri
cavalli, anche tutti quelli delle poste successive che li avrebbero sostituiti; dovemmo sopportare che
occupasse, per sé e per il suo seguito, tutti gli alloggi di quel misero buco, e peggio ancora, venimmo
a sapere che aveva consumato tutti i viveri, senza risparmiare neppure una briciola di pane. Restammo
dunque una mezz’ora in strada, senza andare né avanti né indietro, nel pietoso stato che vi
immaginate. La nostra sorte non poteva essere più penosa; la fortuna ci riservava il punto più basso
della sua ruota e, sapendo come vanno le cose umane, la nostra situazione non poteva che migliorare;
così fu. Il primo astro che rischiarò ai nostri occhi quella tempesta fu un frate cappuccino che,
commosso dalle nostre miserie, si offrì di distendere dei materassi nella sua cella per farci dormire.
Venne poi un contadino, disposto ad accendere un fuoco nella sua cantina per farci asciugare. Ma
tutti quei deboli palliativi non servivano a calmare la crisi del mio stomaco. Decisi perciò di entrare
nella locanda in cui il principe stava cenando e di chiedergli se sarebbe stato così crudele da
continuare a gozzovigliare mentre io stavo morendo di fame. In cima alle scale incontrai un lacchè,
o meglio un angelo custode, a cui dissi di essere un povero gentiluomo della Savoia a digiuno da otto
giorni. Se avesse potuto procurarmi gli avanzi dei piatti, gli avrei giurato eterna riconoscenza. E feci
scivolare nella sua mano un mezzo-luigi. L’uomo partì come un fulmine; lo seguii con la coda
dell’occhio fino alla tavola. Mai si era visto un lacchè tanto rapido nello sparecchiare i piatti e tanto
servizievole nei confronti del capocameriere. Lo vidi tornare con una prima pietanza eccellente e
pressoché intatta, quattro pani ed una grande bottiglia. Portammo tutto velocemente in cantina, dove
il bravo lacchè fece addirittura sei viaggi recando ogni volta un nuovo piatto. Facemmo una cena
davvero regale e, per colmo di fortuna, verso la fine ci avvertirono che i cuochi del principe si erano
alzati per andare a preparare il pranzo dell’indomani. Se lo desideravamo, i loro letti erano ancora
caldi. Non ce lo facemmo ripetere due volte; il cappuccino aveva fatto inutilmente i suoi preparativi
e noi aspettammo tranquilli che i cavalli fossero in grado di condurci là.
Alla pag. 187 troviamo il racconto di Thomas Gray (1716 – 1771) e del suo arrivo
a Radicofani:
……..appare la campagna prima di giungere al monte di Radicofani, una terribile, nera collina a
sommo della quale avremmo dovuto pernottare. È proprio una collina altissima e difficile a salire.
Ai suoi piedi restammo assai imbarazzati dal vedere stramazzare uno dei poveri ronzini che ci
trainavano. L’incidente costrinse un’altra carrozza che stava scendendo dal monte a fermarsi. Dallo
sportello fece capolino una figura dal mantello rosso, con un fazzoletto avvolto attorno alla testa la
quale, dalla voce e dal modo di gestire, sembrava una donna grassa. Ma quando uscì, si rivelò essere
Senesino (Francesco Bernardi cosi chiamato era il celebre cantante lirico castrato Siena 31/10/1686 Siena- 27/11/1758) che tornava da Napoli a Siena, città dov’era nato e
dove risiedeva.
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Libri su Radicofani
Personaggi nati a R.
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Sulla parte più alta del monte c’è una vecchia fortezza e vicino ad essa un edificio costruito da
uno dei granduchi con funzioni di casino da caccia, ma oggi mutata in locanda. Da fuori è un grande
edificio, ma che interno, che stanze, che sistemazione! Al suo confronto la tua cantina è un palazzo!
Inoltre, essendo la vigilia di qualche santo, da mangiare non c’erano che uova. Divorammo il magro
pasto e, dopo aver tappato le finestre con le coperte che avevamo con noi, ci sdraiammo sulla paglia
completamente vestiti. Son questi gli inconvenienti di una strada che viene considerata, per così dire,
la più importante arteria del mondo intero.
Alla pag. 190 parla il Sig. Alban Butler (1711 – 1773) sacerdote inglese il quale
è autore di varie opere religiose:
Da Siena a Roma, attraverso Radicofani, Acquapendente e Viterbo, ci sono tredici poste italiane
ad una distanza di circa centodieci miglia di strada, parte buona e parte, specie al confine della
Toscana, brutta e accidentata. Partimmo tardi da Siena, e passando da Lucignano, Buo-convento, San
Quirico ecc. arrivammo a Scala, una misera casa che funge da posta ai piedi del monte di Radicofani.
Walpole preferì sostare qui, senza alcuna effettiva sistemazione, piuttosto che arrischiarsi a risalire
ad ora tarda questa tremenda, scabra rupe. Noi invece proseguimmo e giungemmo sani e salvi, e in
breve tempo, a sommo di questo squallido monte la cui ascesa copre una posta di otto miglia. A
Radicofani trovammo ambienti migliori di quelli di sotto e una sistemazione passabile, per una
località così derelitta. Questa è l’ultima terra toscana e il granduca ha qui un castello per sorvegliare
il passo. Vicino a Radicofani, su di un alto colle, si leva Chiusi, l’antico Elisium, capitale del re
Porsenna, re degli Etruschi o Toscani; e più in alto c’è Montepulciano, moderna cittadina fortificata
che sovrasta una dolce e fertile pianura; e al di là ………………
Continuando nella lettura a pag. 197 il Sig. Jean Pierre Grosley (1718 – 1785)
uomo politico e studioso di leggi, storia e costumi ci informa:
Radicofani, che è ora la prima posta in territorio toscano, appartenne per lungo tempo al papa. È
una montagna immensa e maestosa con in cima una cittadella che, vista dal di sotto, sembra un
paesino. Si dice che la cittadella sua stata costruita dai Longobardi ed è stata riattata, con spese ingenti,
da Adriano IV. Anche i duchi di Toscana, oltre a migliorare i vecchi edifici, ne hanno aggiunti di
nuovi. Ma intorno al 1740 gran parte delle costruzioni venne distrutta dal fuoco e non è stata ancora
ricostruita del tutto.
Verso mezzogiorno, Radicofani offre la vista del mare e degli stati dei Presidi; a settentrione dà
verso l’antica Clusium e verso quella parte della Toscana che è più famosa nella storia romana. La
fortezza di Radicofani fu teatro della curiosa avventura accaduta ad un abate di Cluny che da Roma
si recava a Siena per rimettersi in salute. Essa costituisce materia della novella novantaduesima del
Boccaccio che la narrò con tutta la naturale piacevolezza per cui è rinomato.
A pag. 200 vi è il racconto di Tobias Smollett (1721 – 1771) scrittore scozzese,
che ci racconta:
Trascorremmo la notte in un posto detto Radicofani, un villaggio e un fortino posti a sommo di
un’altissima montagna. La locanda si trova ancora più in basso del paese. Essa è stata costruita su
finanziamento dell’ultimo granduca di Toscana; è una stamberga immensa, freddissima e quanto mai
scomoda. Verrebbe da pensare che sia stata costruita a bella posta per essere gelida, se non fosse a
questa altitudine, tanto è vero che anche nel cuore dell’estate i viaggiatori sarebbero ben felici di
avere un bel fuoco nelle loro stanze. Ma ce ne sono ben poche o nessuna che hanno il camino, e non
ci sono letti che abbiano il baldacchino o almeno la testata. La campagna tutto intorno è squallida e
spoglia.
La nostra lettura arriva fino a pag. 222 e qui ascoltiamo cosa dice Marquis De
Sade che passa per Radicofani nel 1775 (Donatien-Alphonse-François De Sade 1740
– 1814) scrittore francese, esponente per antonomasia del più sfrenato erotismo a cui
dedicò una decina di romanzi:
Da San Chirico arrivammo per pranzare a Radicofani, estremo baluardo della Toscana. La strada
continua sempre a salire, ma è comunque agevole e ben tenuta. Radicofani possiede una fortezza
apparentemente imprendibile. Sembra confermarlo la stessa posizione. Si dice che si trovi sul punto
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Libri su Radicofani
Personaggi nati a R.
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più alto dell’Appennino. Il paese, vecchio e mal costruito, è situato sullo stesso sperone roccioso della
fortezza, ma a mezz’altezza. Non è possibile giungervi in carrozza. La locanda, posta lungo la strada
proprio di fronte al paese, è proprietà del granduca che vi abita quando si reca a visitare le frontiere.
Il figlio ha portato a termine quello che il padre aveva cominciato, smantellando completamente la
fortezza, al punto che si dice che non sia stato risparmiato neppure un fucile. Guardando però la
situazione politica dell’Italia, sembra che essa potrebbe essergli un giorno di grande utilità. Ma basta
con queste riflessioni che son proprie di un semplice osservatore. La cittadella della fortezza è stata
abbattuta facendo ricorso alla polvere da sparo. Contro di essa fece fuoco un ufficiale invidioso per
non aver ottenuto il comando. Era provveditore o generale, fratello del cardinal Pietri, ed il tutto
avvenne trentasette anni fa. (Non date retta a questo proposito all’abate Richard). Il comandante morì
seppellito sotto le pietre che si vedono lungo la strada e che hanno tanto infastidito il signor Richard.
Non sono altro che rovine, a testimonianza di quel terribile disastro.
Andando avanti nella lettura di questo libro arriviamo a pag. 226 e 227 con lo
scrittore inglese William Beckford di Fonthill (1759 – 1844) che passa da
Radicofani nel 1780 e che racconta:
…..Dopo essere stati sbatacchiati ben bene e scossi a non finire nelle peggiori strade che mai
abbiamo avuto l’ardire di portare questo nome, ci ritrovammo sotto le scabre montagne vicino a
Radicofani che saranno state le sette di una serata gelida e desolata. Prendemmo a salire faticosamente
per un’erta rocciosa e scoscesa, e alla fine raggiungemmo la locanda che si trova in cima. Mi venne
meno il cuore quando feci il mio ingresso in una serie di ambienti dagli alti soffitti anneriti che un
tempo fungevano da casa di caccia del Granduca, mentre ora hanno un aspetto squallido e derelitto.
Poiché s’era levato il vento, le porte presero a scuotere e le tavole che fungevano da imposte a
sbattere; era come se la suprema Possa che dimora sul picco più alto di Radicofani stesse per far
visita, come dicono gli esperti di mitologia del villaggio, ai suoi domìni. L’unico incantesimo a cui
potevo ricorrere per tenerlo a distanza, era di accendere un gran fuoco i cui bagliori caritatevoli
fossero in grado di sollevare lo spirito e di conferirgli più vivaci guizzi. Ciò malgrado, per alcuni
minuti non smisi di guardarmi attorno, ora a destra, ora a sinistra, ora in alto alle oscure travi, ora in
basso ai lunghi corridoi ove il piantito sconnesso in più punti e la terra rimossa da poco sembravano
far supporre che là sotto fosse celato qualcosa di orribile. Una tetra congrega di gatti cominciò a
gironzolare avanti e indietro in questi anditi desolati che mi immagino costituiscano, in certi periodi,
una scena analoga a quella del sabba delle streghe. Ma non mi avventurai a esplorarli, anzi chiusi a
chiave la porta, piazzai il letto proprio davanti al focolare riverberante pe’ carboni ardenti e mi
introdussi fra le coperte senza però arrischiarmi a dormire per paura di essere ridestato da un
improvviso barbaglio di torce ed essere assai più a fondo iniziato nei misteri del luogo. M’ero appena
sistemato, allorché entrarono da un’apertura sotto la porta due o tre membri della suddetta accolta.
Imposi loro di andarsene più in fretta di come erano entrati, temendo che in breve potessero mutarsi
in maghi; ma quando venne la mezzanotte restai sorpreso di non udire null’altro che i loro miagolii
abbastanza lamentosi ed echeggiati dalle cave pareti delle volte.
Radicofani, 28 ottobre
Comincio a disperare di poter vivere avventure magiche, dal momento che nulla si è verificato a
Radicofani, un luogo che sembra essere abbandonato dalla natura. Non un albero, non un acro di terra
ha essa voluto elargire ai suoi abitanti, i quali avrebbero avuto, più d’ogni altro, attenuanti per
praticare quelle arti magiche. Ero assai felice di lasciare le loro nere colline e quella desolazione
petrosa, e di entrare nei territori del Papa e scorgere da lontano qualche cespuglio……………….
Come si può vedere sia De Sade che Beckford de Fonthill passano da Radicofani
in ottobre e quindi è capibile il freddo che vi hanno trovato; ma passiamo alla pagina
251 dove troviamo il racconto di Samuel Rogers (1763 – 1855) poeta e letterato
inglese che passa da Radicofani nel marzo 1814 e scrive:
Mercoledì, 29 marzo. La montagna. Radicofani sulla sommità. Le allodole che cantano. Vista
desolata da un lato e dall’altro. Proceduto con i muli; discesa graduale in un passaggio più morbido
161
Libri su Radicofani
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Renato Magi
– incontrata una fila di soldati e successivamente il corriere del Granduca, tutti a domandare le ultime
notizie.
Continuando a sfogliare il libro arriviamo alla pag. 256 dove racconta il signor
Joseph Woods (1776 – 1864), architetto inglese, durante la sua venuta in Italia nel
1817:
…………….attraverso una campagna squallida, simile alla peggiore del giorno prima, fino a
Radicofani. Il villaggio si leva su un poggio e la locanda di posta si trova ai piedi di una massa
vulcanica di tufo che corona una alta collina di creta senese. Questo gruppo di monti è del tutto
separato dagli appennini e si leva come un’isola fra l’Arno, il Tevere e il mare. Una ripida discesa
sulla medesima creta desolata, ci condusse a Torricelli …………………………
Seguitando a ricercare tutti coloro che sono passati da Radicofani a pag. 262
troviamo la descrizione che fa Marianna Starke (1762 – 1838), scrittrice inglese,
nel 1818:
Vicino alla montagna di Radicofani il terreno è vulcanico, mentre la campagna assume un aspetto
selvaggio e desolato; la strada comunque è proprio buona. La salita è di cinque miglia e la discesa è
uguale. Radicofani, che si leva a duemilaquattrocentottanta piedi d’altezza sul livello del mare,
ostenta alla sommità cumuli enormi di pietre che si crede siano la bocca di un vulcano spento. La
posta, che non è distante da questo luogo, ha una buona locanda. Il fortino che si trova vicino ad essa
era un tempo ritenuto inespugnabile, anche se oggi sta cadendo in rovina. Qui si trova il confine della
Toscana; e ai piedi della montagna, sulla via che porta a Torricelli, si traversa un torrente che talora,
dopo le piogge, diventa pericoloso. Oltre Torricelli, si trova Ponte Centino……
Come si vede le notizie che ci danno i viaggiatori sono frammentarie e alcune
fuorvianti o addirittura false soprattutto quelle dell’architetto. Continuando si trova il
racconto che ne fa nel 1823 Lady Blessington (Margaret Power, contessa di
Blessington, fu uno degli astri dell’aristocrazia londinese della prima metà
dell’ottocento (1788 – 1849), a pag. 268 e 269:
Radicofani, 3 luglio. Non c’è nulla di più triste e monotono della strada che conduce da Siena a
questo posto, a meno che non sia Radicofani stessa, una località così sterile e cupa, quale mai
viaggiatore fu condannato a contemplare. I segni della terra vulcanica, sparsi tutti attorno in massi
enormi ed informi di roccia, lo scuro e arido succedersi di groppe fin nelle più remote lontananze,
danno al luogo un’aria di desolazione che opprime l’animo di coloro che vi volgono lo sguardo. E la
locanda si armonizza bene con questo scenario selvaggio, poiché è squallida al di là di ogni
descrizione! Qui il clima stesso partecipa al grigiore della gelida influenza del paesaggio; ed io,
avvolta in uno scialle indiano ed in una mantella di folta pelliccia, siedo senza alcun conforto in questa
stamberga che nemmeno una catasta di legno potrebbe riscaldare, e aspetto e mi chiedo se possa
essere davvero questa l’Italia. Solo ieri, crogiolandosi al sole, sentivamo caldo oppressivo e ora
sperimentiamo il freddo di un inverno nordico. Quanto sarebbe arduo sopportare un così repentino
cambiamento di clima per un malato spedito qui dall’Inghilterra – paese colmo di surrogati che creano
una atmosfera piacevole – a cercare il beneficio di un clima mite. In queste circostanze, pochi
potrebbero sfuggire all’influenza nociva di Radicofani.
Nel corso del viaggio siamo passati da Buon Convento, un luogo tanto squallido, quanto il gesto
che vi fu commesso e che ne ha tramandato il nome ai posteri. Mi riferisco all’avvelenamento
dell’imperatore Arrigo VII a mezzo del sacramento amministratogli da un frate domenicano. Le
riflessioni che un crimine così oscuro, messo in atto da un furfante della peggior specie, solleva sono
rese ancor più tenebrose dalla vista e dall’aspetto sterile selvaggio dello scenario in cui fu consumato
il fatto. Questo aspetto selvaggio pervade l’intero tratto di strada che mena da Buon Convento a
Radicofani, un tratto che sembra esser stato fatto apposta per i briganti.
Oggi cosa direbbe Lady Blessington di Radicofani inserito nel patrimonio
mondiale dell’Unesco con tutta la Val d’Orcia? Certamente non è più come lo vide lei
ed è meno spoglio di prima.
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Dopo la versione che ne dà la Lady Blessington, che mi sembra alquanto
pessimistica, per non dire peggio, troviamo la lunga descrizione che ne fa il signor
William Hazlitt (1778 – 1830) saggista e critico inglese nell’anno 1825, siamo alle
pagg. 271 e 272:
Con l’aiuto della tenebra circostante, avvolti come in un sudario dalle folate di bruma (tali erano
mentre passavamo), gettano la mente indietro nel tempo in uno stato d’ipnosi, e dalle mura cadenti
s’ode il grido del festino di mezzanotte, del delitto di mezzanotte. Il ponte romantico e il villaggio
sotto di loro segnano l’inizio della salita di Radicofani. La vasta rovina che si trova sulla vetta ti si
presenta alla vista e scampare più volte nel corso della lunga, tortuosa, estenuante ascesa. Sopra una
terribile vallata sulla sinistra, scorgemmo i lontani colli di Perugia coperti di neve (veramente
quelli che William vede sono i lontani Appennini con il Gran Sasso e la Maiella!), scuriti
dalla nuvolaglia, mentre la pioggia gelata cadeva attorno. Quando ci dissero che la locanda di posta
si trovava dall’altra parte del forte (ad un’altezza di duemilaquattrocento piedi sul mare), e che
avremmo dovuto trascorrerci la notte, avemmo un sobbalzo. Era come essere alloggiati in una nuvola:
sembrava proprio la cuna delle bufere e delle tempeste. Nel momento di svoltare ai suoi piedi, fummo
sollevati dall’oppressione. Si trattava di una fortezza costruita dalla più strenua violenza, e la si
sarebbe potuta dire in grado di sfidare il mondo sottostante e di dare un sicuro ricetto a quanti si
fossero trovati nei paraggi. Possenti cumuli di pietre rotonde, ruvide come se fossero state di ferro,
capaci, a vederle, di fracassare i piedi che si fossero avventurati fra di loro, erano rotolate sullo spiazzo
fra il colle e la strada. La torretta principale, o di mezzo, che si levava fra le altre due, costituiva al
momento un riferimento prospettico grazie alla nebbia; sotto ad essa si trovava un brandello di cinta
muraria, semi coperto dall’edera; accanto poi c’era il campanile di una vecchia cappella costruito con
mattoni rossi e un villaggio minuscolo appollaiato fra i bastioni. Il suo aspetto imbronciato e la sua
forza preternaturale mi fecero venire in mente il castello del Gigante Disperato nel Viaggio del
pellegrino (Si tratta della celebre opera del puritano John Bunyan, The Pilgrim’s Progress (1684)).
Si sarebbe potuta avere l’impressione che lo spirito oscuro e deciso d’altri tempi si fosse annidato in
questo suo ultimo ricetto; si fosse affacciato e avesse irriso a botri e bufere, nonché ai gracili assalti
di bande ostili: e appoggiandosi al rosso braccio destro si fosse lasciato andare in malora, per mera
inazione e disuso, nella sua inavvicinabile solitudine e nella sua barbara desolazione. Non ho mai
visto alcunché di così aspro e imponente, di così formidabile, in altri tempi, e di così negletto all’oggi.
Era l’ombra maestosa di un possente passato sospesa in un’altra regione, appartenente ad un’altra
epoca. Avrei potuto congedarmene con le parole del vecchio Burnet (G. Burnet, Some Letters (1686)
relative al viaggio in Italia) il cui latino riverbera fra questi gelidi colli, Vale augusta sedes, digna
rege; vale augusta rupes, semper mihi memoranda! Facemmo il nostro ingresso nel cortile della
locanda che aveva tutto l’aspetto (come accade con la gran parte delle locande fuori mano) di una
caserma, con le varie stanze simili a camerate d’ospedale e le enormi stamberghe concepite per
raccogliere uomini d’armi, ora vuote, tetre, senza alcun mobile; ad ogni modo trovammo qui un
benvenuto davvero ospitale, e con l’aggiunta di una doppia mancia ai camerieri tutto filò per il meglio.
La prima cosa da fare era procurarsi del latte per il nostro tè (ne avevamo portato un tipo buono,
comperato dal signor Pippini a Firenze) e quindi metterne da parte il necessario per il resto della
giornata. Non ci dispiaceva trascorrere la notte a duemilaquattrocento piedi sul livello del mare e alla
base della celebre fortezza. I venti “mugghiavano attraverso le vuote guardiole e le sale deserte” del
nostro ostello, la neve scendeva a larghe falde e copriva le valli; ma Radicofani apparve immutabile,
il mattino seguente, quando guardammo dai finestrini della carrozza, vecchia, bigia, tetra,
abbandonata, come se fosse sopravvissuta a “mille bufere e mille inverni” – col solito contadino che
arrancava su per i solchi e il solito viandante che sollevava lo sguardo per osservare i suoi bastioni –
ma lassù non avrebbero più scintillato né lancia, né l’ascia, non si sarebbe più visto fluttuare al vento
il vessillo, non si sarebbe più udito nel rotolare veloce e sempiterno degli anni il clamore della
battaglia – essa guardava indietro ad altri tempi così come noi ci voltavamo a guardar lei, e
troneggiava sulla sua decadenza ammiccando alla requie eterna! Qui come in altre parti d’Italia, la
strada venne progettata, e di fatto costruita in origine per il transito degli eserciti. Invece di strisciare
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sul fondo valle, essa percorre i profili delle colline al fine di prevenire le imboscate o per tener
d’occhio i movimenti del nemico, pertanto essa controlla un’estesa superficie di territorio.
Fu molto prima che scendessimo, un tornante dopo l’altro, nella vallata, che perdemmo di vista
l’ostello della nostra ultima notte.
Subito dopo il racconto del signor Hazlitt, a pag. 275 e a pag. 277 e segg. ci narra
la sua avventura a Radicofani il signor John Ruskin (1819 – 1900) critico d’arte,
moralista e saggista inglese che vi passò nel 1840:
25 Novembre. Radicofani. Ho dato uno sguardo curioso, dalla finestra del nostro brutto salottino
a Siena, alle numerose case di mattoni, variate da finestre ad arco e da enormi pilastri e ad una torre
ottagonale dal tetto piatto. (Ora, ditemi voi, questo saggista inglese ha il coraggio di
parlare male di Siena!) In lontananza una pianura e gli Appennini. Situata su un’erta collina,
Siena è visibile con perfetta chiarezza a dodici miglia di distanza. La campagna è un’unica estensione
di fanghiglia chiara a strati sottili, in gran parte erosa e segnata dall’acqua, ridotta a singolari alture e
crinali simili ad enormi ammassi di fango che rendono la strada un perpetuo Sali e scendi; davvero
squallida,
poco
adatta
alla
coltivazione
e
ancor
più
desolata
data
la
stagione…………………………………………………………………..
La strada era troncata da una catena di montagne appena spruzzate di neve; il sole tramontava
dietro le nuvole grigie che coprivano, grevi, i colli verso destra. Nel punto in cui penetravano le nubi,
le montagne gettavano un’ombra di un azzurro cupo sulla superficie sottostante, mentre tutto il resto
si tingeva di un cremisi fiammeggiante. La porzione di cielo più in basso era color ambra e ricopriva
una catena di bei colli aguzzi con uno splendore ancora più duro e intenso, che catturava le torri di
Radicofani di fronte a noi, sgradevoli costruzioni in mattoni rossi, ma tanto più calde, che si ergevano
su di una massa di basalto e lava scagliata lungo il fianco della montagna. La locanda è malinconica
all’apparenza ma assai confortevole, ed io sto scrivendo in una stanza dall’aspetto molto civile con
un tappeto sontuoso e un camino di legno lustro, mentre il vento ulula nel corridoio esterno ed
attraverso cinquanta serrature, in modo tanto furioso che mai ne ho udito l’uguale, né al Grimsel, né
al Gran San Bernardo. Oggi la campagna è stata detestabile e del tutto deludente.
27 Novembre. Viterbo. Alba selvaggia su Radicofani; un vento terribile e nuvole scure e
minacciose che frammentano la luce. Quando siamo partiti il freddo era intenso e il vento tagliente
come una lama. La grande locanda, fronteggiata da una doppia fila d’archi, appariva tetra alla luce
del mattino. Siamo discesi fino al piano per una collina tanto orribile come mai ricordo di aver
percorso in una vettura decente, tutta sali e scendi……………………………
Alle pagg. 282 e 283 troviamo il racconto che ne fa Charles Dickens (1812 –
1870) narratore fra i maggiori di ogni tempo, il quale vi passa nel 1846:
Quando lasciammo questo posto era una brutta mattinata e per dodici miglia procedemmo su una
campagna sterile, petrosa e selvaggia come la Cornovaglia in Inghilterra, sinché giungemmo a
Radicofani, dove c’è una locanda spettrale, fatta per i folletti; un tempo era stato un casino di caccia
dei Granduchi di Toscana. È talmente un succedersi di anditi storti e di nude stamberghe, che
quell’unica dimora può aver dato origine a tutti i racconti di fantasmi e di assassini che sono stati
scritti. A Genova ci sono alcuni orrendi, vetusti palazzi, uno in particolare non dissimile da questo,
almeno fuori; ma qui, in questa locanda di Radicofani, c’è un tal frusciar di vento, un cigolio continuo,
un brulichio, un crepitio, un aprirsi di porte, uno scalpitio per le scale, quale non ho udito in alcun
posto. La cittadina, così com’è, sovrasta la casa dal fianco della collina di fronte. Quelli del posto
sono tutti mendicanti e non appena scorgono una carrozza che s’avvicina, gli calano attorno come
uccelli da preda.
Quando raggiungemmo il passo montano, che si trova oltre quel luogo, il vento (come ci avevano
avvertito giù alla locanda) era così tremendo che fummo costretti a far sortire l’altra “metà” dalla
carrozza, per evitare che ella fosse portata via dal vento, carrozza e tutto, e ad appenderci a
quest’ultima, dalla parte investita dal vento (e nel migliore dei modi, risa permettendo) per non farla
rotolare Dio sa dove. Quanto a vento, quella bufera di terra avrebbe potuto competere con una
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tempesta dell’Atlantico con ottima possibilità di riuscire vittoriosa. Il vento gelido scendeva
spazzando enormi botri in una catena di monti sulla destra; così che guardammo con effettivo
spavento ad un vasto acquitrino a manca e ci accorgemmo che non c’era il minimo cespuglio, non un
arbusto a cui afferrarsi. Era come se, una volta sollevati dal vento, dovessimo essere trasportati al
mare a nell’etere. C’era la neve e c’erano la grandine, la pioggia, i lampi e i tuoni; c’erano masse
rotolanti di bruma che veleggiavano a velocità incredibili. Era buio, spaventoso, solitario al massimo
grado; c’erano montagne su montagne, velate da colleriche nubi; e c’era ovunque una tale foga piena
d’ira, rapida, violenta, tumultuosa, da rendere la scena indicibilmente grandiosa ed eccitante.
Malgrado ciò, fu un sollievo sortirne e attraversare la pur squallida frontiera pontificia.
Come accennato sopra, in questo libro vi sono altri accenni a Radicofani nelle
pagg. 39 – 93 – nelle note di pag. 112 – 117 – 118 – 119 – 124 – nelle note a pag.
142 – 160 – 162. Tutti gli altri personaggi che ho già descritto a proposito del libro
del Carandini, pur se passati per Radicofani, in questo libro non vi sono le loro
descrizioni in quanto c’è la sola descrizione della città di Siena, del resto come ci dice
il titolo del libro.
A questo punto bisogna descrivere sia l’importanza della Cassia che la
ricostruzione della Fortezza dopo la pace di Cateau Cambrésis, ricordando però
quanto descritto nel libro dello Sterpos del quale abbiamo già parlato.
I MEDICI E LO STATO SENESE
1555 – 1609 STORIA E TERRRITORIO
(A cura di Leonardo Rombai – De Luca Editore –Roma – 1980)
Autori Vari
La Fortezza di Radicofani (A cura di Carmen Borsarelli)
Pag. 133
I motivi che spinsero Cosimo I al totale restauro della fortezza di Radicofani, duramente colpita
negli anni della guerra di Siena, furono dettati particolarmente da un’esigenza di sicurezza,
continuando ad essere quel luogo «sentinella avanzata del granducato di Toscana verso gli stati del
Pontefice».317 La direzione dei lavori ed il disegno delle nuove mura furono affidati ad uno dei più
valenti ingegneri militari del tempo, Baldassarre Lanci da Urbino, al servizio del duca fino dal
1559.318 A partire dal 1564 si hanno alcune sue lettere che informano il duca che il principe reggente
Francesco dei lavori che egli dirigeva non solo alla fortezza di Radicofani, ma anche a Bagni San
Filippo e al Ponte d’Arbia, lavori che, insieme ad altri eseguiti negli anni successivi, rispondevano ad
un preciso disegno politico del principato, promossi, come erano, in funzione dello sviluppo della
vita economica nello stato di Siena.
L’assolutismo che Cosimo I ed i suoi figli instaurarono, seppure con le dovute precauzioni, nei
territori a loro infeudati, finiva per soffocare ogni autentica autonomia locale e per creare appunto un
accentramento di potere nelle mani del principe. Niente poteva esser fatto senza un suo rescritto
personale; sia riguardo a lavori necessari in molte località dello stato senese sia riguardo all’elezione
di capitani, vicari, podestà del dominio, per la quale ogni decisione finale spettava al sovrano,
limitandosi il governatore a compilare una lista di uomini di sua fiducia.319
L.CARANDINI, La Posta di Radicofani, «L’Universo», XLIV, n. 1, 1964, pag. 159 e A.S.F., Mediceo, f. 503, c. 288,
Angelo Niccolini al duca Cosimo, Siena, 26-1-1564.
318
Ibidem, f. 503, c. 288, lett. Cit. e Capitani di Parte, numeri neri, f. 708, c. 223, Francesco dei Medici a Cosimo I,
Firenze 11-1-1560. In essa si parla della provvisione di quattro mesi, da pagare al Lanci, per i servizi da lui prestati.
319
A.S.F., Mediceo, f. 1872, c. 112, «Liste e relazioni dei cittadini senesi che hanno fatto richiesta a S. A. dei capitani di
questo stato».
317
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Così, quando il capitano di Radicofani doveva riferire sulle necessità della fortezza e, in seguito,
sullo svolgimento dei lavori per essa comandati, ne informava il governatore di Siena che, a sua volta,
non mancava mai di inviare al duca dettagliate relazioni in proposito.320 Spesso era lo stesso Lanci
che provvedeva a mettere al corrente di ogni cosa il sovrano, sia a voce sia per lettera. Il Lanci,
rispettando le modifiche che si richiedevano nella struttura architettonica delle fortezze, in seguito
all’introduzione dell’artiglieria, alle vecchie mura medievali che circondavano il maschio, addossava
i nuovi baluardi che, adattati al terreno montuoso, presentavano un andamento spezzato con una
rientranza a V, nel lato rivolto verso lo stato pontificio. La piazza di Radicofani era divisa in quattro
parti: Castel Morro, la parte più vicina al paese, formata da tre cortine e quattro baluardi dei quali
due, per un lato, si attaccavano alla fortezza; la Fortezza, detta anche fortezza nuova o fortezza di
sopra, circondata da cinque baluardi irregolari e cinque cortine di diversa grandezza, il Maschio o
fortezza vecchia, posto nel punto più alto della montagna e incorporato nella precedente; più basso il
Borgo, le cui mura si congiungevano, da una parte con la fortezza e dall’altra con Castel Morro.
Fin dall’agosto del 1563 il capitano riferiva ampiamente sulle condizioni disagevoli dei soldati
per essere gli alloggiamenti quasi tutti in rovina, sul cattivo stato delle mura cadute in più parti, sulle
porte facili ad aprirsi e sul maschio ormai completamente scoperto321. Così, data l’importanza di quel
luogo come punto di difesa e di controllo della strada romana verso lo stato Pontificio, lo stesso duca,
nel gennaio del 1564, deliberava di fortificare Radicofani.322 Nei mesi seguenti si assisteva a tutta una
serie di preparativi in vista dei lavori che iniziarono nel luglio di quello stesso anno,323 per protrarsi
fino al novembre del 1577.324
Il sistema usato per reperire la mano d’opera necessaria all’esecuzione di tali lavori era quello
delle comandate, cioè l’obbligo da parte dei contadini di prestare servizio ogni volta che le autorità
lo ordinavano. Tale sistema di lavoro coatto, di fronte alla molteplicità di fortificazioni e costruzioni
di ogni genere eseguite durante il governo dei primi tre granduchi di Toscana, diventava una prassi
comune al fine di assicurarsi la forza lavoro, sulla cui disponibilità gravavano anche le necessità
militari. I contadini erano iscritti in un elenco, nel loro comune, compilato dagli stessi rettori del
luogo; da esso, ogniqualvolta le necessità lo esigevano, erano ricavate liste di uomini atti al lavoro, il
cui numero variava a seconda del bisogno richiesto dall’ingegnere325 che, a sua volta, non poteva
ordinare la comandata senza un’apposita patente rilasciatagli da magistrato dei Capitani di Parte.326
Le prestazioni di tali servizi non erano gratuite ma, essendo il salario molto basso (circa otto soldi ),
spesso gravosi i disagi da affrontare per la lontananza dei luoghi nei quali i contadini erano obbligati
ad andare e gravose le conseguenze per essi se erano chiamati a prestare la loro opera nella stagione
dei lavori agricoli, sottraendo braccia ed animali nel periodo in cui ce ne sarebbe stato più bisogno, è
facile comprendere come molto spesso i contadini cercassero di sfuggire alle comandate. 327 Tali
disubbidienze impedivano il normale svolgersi dei lavori ed erano causa di lunghi ritardi.328 I Medici,
d’altra parte, facevano gravare l’onere delle opere pubbliche, per quanto era possibile, sulle stesse
320
Nei primi anni dei lavori a Radicofani capitano di quella fortezza e banda era Mastio Bosci da Cortona, cfr. Ibidem, f.
216, c. 169 e 172 t., Cosimo I al suddetto capitano, Pisa, 29/30-12-1562.
321
Ibidem, f. 501, c. 75, Mastio Bosci a Cosimo I, Radicofani, 6-8-1563.
322
Ibidem, f. 503, c. 288; lett. cit. e f. 219, c. 259 t., Cosimo I ad Angelo Niccolini, Livorno, 18-1-1564.
323
Ibidem, f. 503, c. 510, Angelo Niccolini a Cosimo I, Siena, 6-2-1564 e f. 503°, c. 936, idem, 26-2-1564. Si era
convenuta coi «fornaciari» la quantità di 1150 moggia di calcina, ritenute sufficienti, per ora, dal Lanci, « a tre carlini al
moggio ». Cfr. anche f. 508, c. 400, B. Lanci a Cosimo I, Radicofani, 10-7-1564.
324
Ibidem, f. 704, c. 230, Simone Genga a Francesco I, Grosseto, 24-11-1577.
325
Ibidem, f. 519, c. 670, B. Lanci al principe Francesco, Firenze 12-3-1567.
326
Questa magistratura si occupava di controversie fra privati in fatto di confini o di acque, dei beni confiscati a ribelli e
banditi e soprattutto di lavori pubblici.
327
Ibidem, f. 515°, c. 700, B. Lanci al principe Francesco, Siena, 10-5-1565 e f. 519, c. 670, lett. cit. Per Radicofani erano
comandati uomini di Arezzo, Cortona e Montepulciano. Cfr, A.S.F., Capitani di Parte, numeri neri, f. 716, c. 65 Luca
Fabbroni al principe Francesco, Firenze, 26-6-1564.
328
Spesso, soprattutto al tempo della mietitura, risulta assai numeroso l’impiego di mano d’opera femminile «che si»
trova «di ogni tempo che venga a lavorare». Cfr. A.S.F., Mediceo, f. 522, c. 391, B. Lanci al principe Francesco, Siena,
7-8-1566 e f. 574, c. 311, M. Lanci al principe Francesco, Grosseto, 30-5-1572.
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comunità. Quando si decideva di costruire una fortezza toccava agli abitanti del luogo supplire alle
spese, quasi che fosse esclusivamente a loro beneficio.329 A Radicofani erano trasferite dal Lanci,
alternativamente, le stesse maestranze che stavano ultimando la fortezza di Siena330 e fra gli operai
erano distinguibili diverse categorie, ciascuna specializzata in un particolare lavoro: marraioli,
guastatori, scarpellini, picconieri, spianatori.331 Per le difficoltà che si presentavano nella stagione
invernale a causa del freddo e della neve e per i molteplici lavori condotti in altre parti dello «Stato
nuovo» (Siena, Grosseto, Ponte d’Arbia, ecc.), si lavorava a Radicofani in genere d’estate e nei primi
mesi d’autunno. Il reperimento dei materiali da costruzione (pietre, rena, legname) non costituiva
gravi difficoltà. Infatti quel luogo è ricoperto di pietre basaltiche e non molto lontano scorre il fiume
Paglia da cui potevano essere tratti la rena e i cottoli. Il legname, che rivestiva un’importanza
fondamentale non solo per la costruzione di ogni edificio ma anche quale insostituibile fonte di calore
per le fornaci, era reperito nella zona di Sarteano, «più comoda di tutte le altre».332
Morto il Lanci nel 1571 la direzione dei lavori alla fortezza di Radicofani fu affidata al figlio
Marino, che già negli anni precedenti era stato collaboratore del padre, soprattutto per il restauro delle
terme di San Filippo. Il compimento ultimo dei lavori, in seguito alla morte di Marino avvenuta il 6
novembre 1574,333 fu affidato ad un altro ingegnere marchigiano, anch’egli al diretto servizio del
duca, Simone Genga che sovrintendeva allora alle fortezze di Terra del Sole, del Sasso di Simone e
di San Martino al Mugello.334
I lavori alla fortezza di Castel Morro
Il Lanci, dopo aver dato ordine nell’inverno del 1564 che fossero preparati gli «ammanini»335
necessari per i lavori alla fortezza, vi si recava ai primi di luglio di quello stesso anno, dopo aver
comandato gli uomini del capitanato di Arezzo, Cortona o Montepulciano.336 Secondo il suo progetto
era prevista la fortificazione del Borgo e di Castel Morro, dando la precedenza a quest’ultimo, dietro
ordine del duca che, per rendersi conto direttamente dell’entità dell’opera, si era recato con lo stesso
Lanci sul posto.337 Nei registri del duca Cosimo raramente si fa riferimento a Radicofani. Il fatto che
lo stesso Lanci e il governatore di Siena, Federigo da Montauto, si rivolgessero, per trattare qualsiasi
affare relativo ai lavori da condursi a Radicofani al principe reggente, dimostra come Cosimo, anche
se gradualmente, aveva lasciato libera iniziativa al figlio nello Stato senese.338 D’altra parte, sebbene
ufficialmente ritiratosi dalla vita pubblica, Cosimo I non trascurava di ingerirsi negli affari che gli
stavano maggiormente a cuore, restando sempre una delle più lucide e lungimiranti menti politiche
del suo tempo.
Durante i lavori del fosso attorno alla fortezza di Castel Morro, s’era proposto di pagare i picconieri col pane della
comunità di Radicofani, essendo quest’ultima a godere della fortezza. Cfr. Ibidem, f. 229, c. 42, il principe Francesco a
Federigo da Montauto, Firenze 2-11-1567 s f. 553, c. 178, Federigo da Montauto al principe Francesco, Siena, 10-1-1568.
330
Ibidem, f. 510, c. 175, B. Lanci al principe Francesco, Ponte d’Arbia, 16-9-1564 e f. 222 c. 105, il principe Francesco
a B. Lanci, Poggio a Caiano, 21-9-1564.
331
I marraioli erano una specie di guastatori atti a scavare, come quest’ultimi, trincee o a spianare strade. Talvolta erano
pure addetti a fare calcina; gli scarpellini lavoravano le pietre, i picconieri erano addetti a rompere i sassi ed a eseguire
lavori in pietra; gli spianatori a dare la forma ai mattoni.
332
Ibidem, f. 503a, c. 936, lett. cit. In seguito si parla pure della bandita di Celle, come riserva di legname da utilizzare
per i lavori alla fortezza. La suddetta bandita, di proprietà della comunità di Radicofani, doveva risultare naturalmente
molto più comoda di quella di Sarteano. Cfr. Ibidem, f. 229, c. 42, lett. cit.
333
Ibidem, f. 1872, c. 165, F. da Montauto a B. Concino, Siena, 6-11-1574.
334
Ibidem, f.700, c. 277, Simone Genga a Francesco I, San Martino in Mugello, 14-7-1577.
335
Ibidem, f. 503a, c. 936, lett. cit.
336
A.S.F., Capitani di Parte, numeri neri, f. 716, c. 65, lett. cit.
337
A.S.F., Mediceo, f. 530, c. 481, B. Lanci al principe Francesco, Radicofani, 28-8-1567. Il duca era infatti a Radicofani
nell’inverno del 1561 (Cfr. Ibidem, f. 214, c. 55 t., Cosimo I a Flaminio Nelli, Radicofani, 2-1-1561) e probabilmente il
progetto di quella fortezza risale a quel periodo.
338
G. SPINI, Cosimo I de’ Medici, Firenze, 1940, p. 194.
329
167
Libri su Radicofani
Personaggi nati a R.
Renato Magi
Durante il primo anno i lavori si protrassero per poco più di due mesi, dal luglio al settembre del
1564, e durante questo periodo, eseguiti gli scavi per le fondamenta, si cominciarono ad alzare le
cortine.339 Per l’anno successivo non si hanno notizie riguardanti Castel Morro, ma solo di lavori
compiuti alla torre dove si era soliti tenere le munizioni, la quale, essendo mal ridotta, minacciava di
cadere e quindi di recare gravi danni alla rocca e agli alloggiamenti dei soldati. 340 Questi lavori
dovevano essere condotti parallelamente a quelli, iniziati l’anno precedente, di Castel Morro, dato
che di questi ultimi si ha documentazione nei registri della dogana, riportanti le spese fatte nel 1565
per la «fabrica et muraglia di Radicofani».341 A partire dal maggio 1566 il Lanci informa il principe
dell’ordine dato di fare calcine da utilizzare, non solo per la continuazione dei lavori a Radicofani,
ma anche per quelli di San Filippo, per i quali aveva già avuto «commissione da Sua Eccellenza
Ill.ma» l’anno precedente.342 A Castel Morro restava ancora da fare il mezzo baluardo vicino alla
porta del castello, da completare lo scavo del fosso e le mura delle cortine che univano un baluardo
all’altro. Per la continuazione di questi lavori il Lanci era costretto a servirsi di opere volontarie;
infatti, in quell’anno, i Capitani di Parte gli avevano revocato la licenza per le comandate, per non
volere troppo sacrificare le popolazioni «sul colmo delle faccende».343 D’altra parte il regime,
approfittando della miseria della popolazione, finiva per sfruttare le opere volontarie più di quanto
non lo fossero già gli uomini delle comandate.344 Dal luglio 1567 a tutto agosto dello stesso anno, si
portava a termine il circuito di Castel Morro, al quale il Lanci aveva lavorato con l’aiuto del figlio
Marino, fin dall’inverno suo collaboratore anche nei lavori alla fortezza di Siena. Tracciato il fossato
nella parte occidentale ed in quella settentrionale del circuito, la cui lunghezza complessiva era
rispettivamente di centoottanta e centocinquanta braccia restava ancora da scavare in profondità,
dall’una e dall’altra parte, rispettivamente sette e quattro braccia di terra.345 Ma non trovando persone
a cui dare in cottimo i lavori e, tra l’altro, non potendo fissarne il costo preciso, per la troppa varietà
del terreno, se ne rimandava l’esecuzione assieme alla costruzione di una cisterna, della cui necessità
il Lanci aveva già informato il principe.346 All’interno del circuito di Castel Morro vi abitavano
quaranta uomini «da factione»,347 dei quali sette erano soldati della banda del luogo; in tutto vi erano
trentotto case ed una di esse, distante dalla porta di Castel Morro un cento braccia circa, era stata
scelta dal Lanci quale abitazione del capitano. In seguito, quando si decise di provvedere anche
all’ingrandimento della «Fortezza di Sopra» ed al restauro del maschio,348 si preferì riservare al
capitano una sistemazione nella torre maestra.
Fortezza Nuova e Borgo (1568-1577)
La fortificazione di Castel Morro, sebbene Radicofani fosse situato in un luogo per sua natura
difficilmente accessibile, non poteva essere sufficiente a rendere la rocca nel suo complesso sicura.
Per questo Federigo da Montauto, premettendo la sua capacità di giudizio in fatto di costruzioni
339
A.S.F., Mediceo, f. 508, c.400, lett. cit. e f. 510, c. 175, lett. cit.
Ibidem, f. 513, c. 207 Lorenzo Albizi a Cosimo I, Siena, 15-1-1565 e f. 521a, c. 589, Lanci al principe Francesco,
Siena, 14-5-1566.
341
A.S.S., Dogana, f. 1150, c. 11 e segg., c. 9 e segg. Le spese qui riportate riguardano i mesi di luglio, agosto e settembre.
342
A.S.F., Mediceo, f. 521a, c. 658, B. Lanci al principe Francesco, Siena, 18-5-1566.
343
Ibidem, f. 227, c. 114 t., il principe Francesco a B. Lanci, Firenze, 9-8-1566.
344
Ibidem, f. 572 c. 74, M. Lanci al principe Francesco, Grosseto,31-3-1572. Si sollecita da parte del principe l’impiego
di opere volontarie e c. 215, ibidem, 26-3-1572, si rassicura il principe che i prezzi dei «manifattori» saranno limitati al
massimo. Cfr. pure la c. 7, ibidem, Siena, 8-3-1572 e f. 239, c. 60, il principe Francesco a M. Lanci, Firenze, 8-4—
1572.
345
Ibidem, f. 530a, c. 548; diversamente nel 1746 il fosso girava intorno al circuito nella parte settentrionale ed orientale.
Cfr. A.S.F., Fabbriche Granducati, f. 565, ins. XIV, «Ragionamento dei lavori, dell’artiglieria e fortificazione di
Radicofani», 1746. Un braccio equivale a m. 0,583.
346
A.S.F., Mediceo, f. 530 c. 294, B. Lanci al principe Francesco, Radicofani, 18-8-1567.
347
Cioè uomini atti a combattere. Ibidem, f. 530a, c 548, lett. cit.
348
Si spendevano per esso venti scudi. Cfr. Ibidem, f. 538, c. 337, Mastio Bosci al principe Francesco, Radicofani, 27-81568.
340
168
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Personaggi nati a R.
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militari, insisteva col principe, non solo sul pericolo a cui era soggetto Castel Morro se non si fosse
provveduto al più presto a fortificare il Borgo, ma anche sulla necessità di rendere la fortezza,
allargandola, molto più capace di soldati e di munizioni.349 Secondo quanto progettato si sarebbe
dovuto provvedere alla fortificazione del Borgo contemporaneamente a quella della fortezza Nuova.
Ad essa si accedeva tramite una porta situata nella parte superiore di Castel Morro, lungo la cortina
settentrionale della suddetta fortezza. Quest’ultima era circondata da cinque baluardi irregolari con
cinque cortine di diversa grandezza: ai due bastioni che guardavano verso lo stato Pontificio venivano
eliminati i fianchi e la cortina che li univa, ricavandone una fronte tanagliata. Altre due cortine
venivano ridotte di lunghezza ed il grosso baluardo posto fra esse veniva diviso in due da una tanaglia.
Il Warren riporta i nome di cinque baluardi della fortezza di Radicofani che girano intorno ad essa
verso est erano: il bastione di Santa Maria, di San Giovanni Battista (detto della Chiocciola), il
bastione di San Pietro (detto del Casino di mezzo), il bastione di San Rocco (detto del Torchio), il
bastione di Sant’Andrea (detto Capannaccia).350 A ponente della fortezza vi era un’opera a corno
detta Girone alla quale si accedeva tramite una porta situata, sempre sulla stessa linea, dalla parte
opposta alla porta della fortezza.351 Da quest’ultima, invece, si accedeva al Girone solo attraverso una
galleria sotterranea (contramina) che da «sotto il magazzino a polvere», (probabilmente situato nel
bastione di San Giovanni Battista o nel vicino di San Pietro352 «va ad una porta segreta che riesce
fuori dell’opera suddetta»353.
Durante il primo anno (1568) i lavori, iniziati più tardi del solito (24-8) e protrattisi fino al 20
settembre, resi difficili dalla cattiva stagione, continuavano ad esser diretti dal Lanci, il quale poi, a
partire dal luglio dell’anno successivo, impegnato alla fortezza di San Martino al Mugello, ne lasciava
la direzione al figlio Marino.354 Iniziati dal padre i due baluardi di San Giovanni Battista e di Santa
Maria e la cortina che li congiungeva, l’anno seguente Marino Lanci faceva, agli uni e all’altra, il
cordone dopo averli ulteriormente alzati. Alla fine di settembre (24-9-1569) erano gettate le
fondamenta della parte sud della fortezza e alzate le mura fino a sei, otto braccia circa. Solo nella
parete settentrionale, verso Castel Morro uno «scoglio» impediva di scavare le fondamenta di quella
cortina che avrebbe dovuto unire il baluardo di Santa Maria al mezzo baluardo di Sant’Andrea. Infatti,
pur lavorando in questo anno con un gran numero di opere, fra volontari e comandati (quattrocento
marraioli, cinquanta muratori e venticinque scalpellini), non si aveva a disposizione i picconieri
necessari per rimuovere l’ostacolo incontrato.355 Nell’ottobre del 1570 le mura della fortezza, eccetto
nel lato rivolto a settentrione, erano già all’altezza del parapetto; quest’ultimo era stato fatto ai
baluardi di Santa Maria e di San Giovanni Battista e alla cortina tra essi compresa (a quel lato cioè
che guardava verso Siena ed il Monte Amiata): In quell’anno si lavorava pure alle sei cannoniere.356
Di esse, per quello che si può vedere dalla pianta del De Marchi, solo una era casamattata; le altre,
semplicemente, con la piazzola di sparo a cielo aperto. Attualmente risulta visibile, seppure molto
rovinato, il bastione casamattato di Santa Maria. Inoltre, in corrispondenza del baluardo di San
Giovanni Battista, vi è tuttora una contramina, in direzione, sembra, del baluardo di San Pietro e
349
Il Lanci prevedeva, per i lavori alla fortezza Nuova una spesa di scudi 1.500. Cfr. Ibidem, f. 532 c. 425, F. da Montauto
al principe Francesco, Siena, 31-10-1567.
350
Cfr. A.S.F., Segreteria di Gabinetto, f. 695, «Raccolta di piante delle principali città e fortezze del granducato di
Toscana… » (fondo Warren), 1749 e Fabbriche Granducali, f. 565, ins, XIV, cit.
351
Di questa porta non fa cenno il Warren, ma se ne ha notizia nella f. 565 del fondo Fabbriche Granducali, ins, XIV,
cit.
352
Questi due bastioni erano, infatti, comunicanti, per mezzo della stessa contramina che conduceva al Girone.
Attualmente sono ancora visibili le tracce di tale galleria.
353
Ibidem, f. 565 ins. XIV, cit.
354
Si ha infatti, una lettera del Lanci del 15-7-1569 dalla fortezza di San Martino al Mugello, Cfr. A.S.F., Mediceo, f.
542a, c. 744.
355
Ibidem, f. 543, c. 260, M. Lanci al principe Francesco, Radicofani, 16-8-1569.
356
Ibidem, f. 554 c. 84, M. Lanci al principe Francesco, Siena, 10-10-1570. Il numero delle cannoniere si può rilevare
dalla pianta del Warren, mentre da quella del De Marchi appare più chiara la loro struttura. DE MARCHI, Piante di
fortezze italiane e straniere, ms. sec. XVI della B.N.C.F., Magl. II, I, 281.
169
Libri su Radicofani
Personaggi nati a R.
Renato Magi
l’apertura (attualmente murata) di un’altra contramina, in direzione della fortezza vecchia. Nel loro
punto di incontro (proprio all’interno del baluardo di San Giovanni Battista) vi è un arco a botte. Ora,
poiché le cannoniere (qui del tipo con la piazzola di sparo a cielo aperto) erano spesso completate da
un sistema di fuciliere, poste sotto le cannoniere, si può ritenere quell’arco a botte corrispondere ad
una delle fuciliere della fortezza, a sua volta comunicante, da un lato, con la fortezza vecchia,
dall’altro, probabilmente, con un’altra fuciliera incorporata nel bastione contiguo di San Pietro.
L’anno successivo (1571) si portava a compimento il Girone, finito il quale si iniziavano gli
alloggiamenti per i soldati, le cisterne e le porte.357 Il Girone a ponente della fortezza, in buona parte
difeso da enormi pietre basaltiche a picco verso il Borgo e sul versante ovest che guarda il Monte
Amiata, non doveva sembrare abbastanza sicuro se, data la sua importanza quale magazzino per le
vettovaglie, si riteneva opportuno alzare ulteriormente le sue mura.358 Nel 1572 i lavori, iniziati nella
metà di aprile359 e condotti con l’impiego di opere volontarie e di numerosa mano d’opera
femminile,360 dovevano interrompersi quasi del tutto durante il periodo della mietitura a causa della
scarsità di lavoranti.361 Sempre in questo anno era iniziata la fortificazione del Borgo: si gettavano le
fondamenta di uno dei due baluardi (che avrebbero dovuto essere parte integrante di essa) e se ne
alzavano le mura fino a dieci braccia dal piano del fosso;362 parallelamente era portata avanti la
costruzione della cisterna all’interno del circuito della fortezza Nuova.363
Nel 1573, nonostante la «munizione» di calcina, fatta fin dal mese di aprile di quell’anno, non si
lavorava a Radicofani. La ragione di ciò si può, sì, attribuire alla mancanza di mano d’opera e agli
scarsi raccolti di quell’anno ma anche, e soprattutto, alla trascuratezza del governo al quale lo stesso
Federigo rimproverava l’intenzione manifestata di voler fortificare Sovana, quando a mala pena si
riusciva a completare i lavori iniziati lì da anni.364
Ugualmente è probabile che si avesse una sospensione dei lavori anche nel 1574; di questo anno,
infatti, si ha una sola lettera di Marino Lanci riguardo alle necessità della fortezza senza alcun cenno
a lavori effettivamente eseguiti.365 Tali necessità si riferiscono non solo al completamento della
fortificazione del Borgo, iniziata qualche anno addietro, ma pure al restauro del Maschio, al quale
non erano mai stati compiuti radicali restauri. Fin dal 1569, infatti, notate le carenze che esso
presentava, si erano proposte alcune riparazioni e solo nel 1572 si dava inizio ai restauri, senza però
condurli a termine.366 Il Maschio, costituito da una torre quadrata, era circondato tutt’intorno da mura,
le quali, nel lato rivolto verso lo stato Pontificio, si congiungevano, tramite una torretta, alle mura
della fortezza Nuova. Due corridoi, che «ad uso di stella si vengono a far fianco l’uno all’altro»367
nella torretta, erano di grande importanza perché al loro capo (da una parte verso il bastione di
Sant’Andrea, dall’altra verso quello di San Rocco) due torri permettevano ai soldati di avere sotto
tiro tutta la vallata sottostante. Questa è l’ultima notizia riferita da Marino Lanci che, morendo a Siena
357
Ibidem, Mediceo, f. 563 c. 284, M. Lanci al principe Francesco, Montalcino, 10-7-1571.
Queste, nel punto più alto, misuravano otto braccia e si volevano alzare ancora fino a undici, dodici braccia. Cfr.
Ibidem, f. 2134, c. 107. Tali lavori si eseguivano con ogni probabilità nel 1581. Cfr. f. 1875, c. 207, F. da Montauto a
Francesco I, Siena, 7-4-1581. All’interno del Girone vi doveva essere pure una cisterna, dato che nel memoriale citato si
propone di farne una seconda.
359
Ibidem, f. 572, c. 74, lett. cit.
360
Ibidem, f. 574, c. 211, M. Lanci al principe Francesco, Grosseto, 30-5-1572.
361
Ibidem, f. 577, c. 70, M. Lanci al principe Francesco, Siena, 6-7-1572.
362
Ibidem, f. 578, c. 94, M. Lanci al principe Francesco, Radicofani, 18-8-1572 e f. 2134, c. 391, M. Lanci a Francesco
I, Siena 14-7-1574.
363
Ibidem, f. 579, c. 7, F. da Montauto a B. Concino, Siena.
364
Ibidem, f. 596, c. 54, F. da Montauto a B. Concino, Siena, 20-1-1574.
365
Ibidem, f. 2134, c. 393 e c. 107.
366
Ibidem, f. 2134, c. 363 t., Lorenzo Albizi a B. Concino, Siena, 30-6-1569 e c. 391 lett. cit.
367
Ibidem, f. 2134, c. 391, lett. cit. Diversamente da quanto proponeva il Lanci, si sarebbe voluto eliminare quei due
corridoi ed unire con una cortina unica il baluardo di Sant’Andrea a quello di San Rocco, di modo che « la fortezza
vecchia rimarrebbe spicata e più sicura ». Cfr. c. 107, lett. cit.
358
170
Libri su Radicofani
Personaggi nati a R.
Renato Magi
nel novembre del 1574, lasciava un modello a gesso di Radicofani ad altri di alcune fortezze di sua
competenza.368
Nel 1575, dopo due anni di interruzione, i lavori riprendevano sotto la direzione del Genga, le
cui presenze a Radicofani, molto rare, dovevano avere pure un carattere sbrigativo e si riducevano
nel fissare i lavori necessari e nel dare ordini relativamente ad essi.369 Per quell’anno, come per il
successivo, non si hanno documenti precisi sul proseguimento delle attività; sappiamo solo che nel
1576 si era finalmente eliminato quell’ostacolo che sul lato settentrionale della fortezza aveva
impedito il completamento delle mura.370 È probabile che in questi anni (1575-76) fossero condotti
lavori al Maschio, della cui necessità Marino Lanci aveva già parlato con il granduca fin dal luglio
1574, ed anche portati avanti i lavori alla cisterna della fortezza nuova e alle mura che dovevano
congiungere lateralmente Castel Morro a quest’ultima e al Girone.371 Gli alloggiamenti dei soldati, la
cisterna della fortezza, alla quale si lavorava fin dal 1572, le casematte le strade e i parapetti, già
iniziati dal Lanci, venivano portati a termine nel 1577.372 L’anno successivo si riforniva la fortezza
di vettovaglie e munizioni e si finivano di pagare quei «cottimatori» che avevano cavato alcuni massi
sparsi qua e là per la fortificazione.373 Il costo complessivo, da quando il Genga ne aveva cura,
ammontava a tremilatrecento scudi374 ma ne sarebbero occorsi ancora perché nel 1578 (ad un solo
anno dalla chiusura dei lavori) Federigo da Montauto, durante una sua visita a Radicofani, notava
molte carenze nella fortezza: il bastione di San Rocco minacciava rovina, la fortificazione del Borgo
non era stata completata e le mura del Girone occorreva che fossero ulteriormente alzate.375 Tuttavia,
a parte qualche sporadico intervento, Francesco I, una volta chiusi i lavori a Radicofani, poco si
interessò del mantenimento di quella fortificazione, la quale, del resto, continuò ad essere trascurata
anche dal suo successore Ferdinando I, perché ormai Radicofani, grazie alla strada romana, diveniva
esclusivamente un centro commerciale.376
Radicofani: centro commerciale
Sulla via Cassia e la sua Posta
Durante gli ultimi anni del principato di Francesco I, Radicofani veniva ad assumere sempre
crescente fortuna come ziona di traffico commerciale, perdendo nel contempo ogni importanza
militare. Situata lungo la via Cassia a metà strada tra Firenze e Roma vedeva sempre di più dipendere
la sua fortuna dalle cure prestate dai Medici alla strada romana.
Comunque è bene a questo punto ricordare che, se oggi per la via Cassia si intende quella che da
Roma, per Viterbo, Montefiascone, Acquapendente, Buonconvento e Siena, porta a Firenze, nelle
varie epoche, a partire da quella etrusca, essa subì molteplici cambiamenti.377 Prima che i Senesi
368
Ibidem, f. 667, c. 55, Andrea Bonciani, capitano a Francesco I, Grosseto, 10-11-1574. Per la morte del Lanci, anche
se si è voluto sospettare un avvelenamento da parte di un servo (f. 666, c. 125, Alberto Albertani, depositario, a B.
Concino, Siena, 31-10-1574) causa furono sicuramente le febbri malariche contratte in Grosseto e dalle quali era stato
colpito fin dal 1572 (cfr. f. 579, c. 7, lett. cit.).
369
Ibidem, f. 677, c. 446, Simone Genga a Francesco I, Sasso di Simone, 10-9-1575.
370
Ibidem, f. 700, c. 277, lett. Cit.
371
Ibidem, f. 2134 c. 391 e c. 107, lett. cit.
372
Ibidem, f. 529, c. 7 e f. 704, c. 230, lett. cit.
373
Ibidem, f. 704, c. 230 e c. 714, c. 270, lett. cit.
374
Ibidem, f. 2134, c. 462, «Ragguaglio sulle varie fortezze dello stato di competenza del Genga», senza data ma
attribuibile al 1578.
375
Ibidem, f. 1873a, c. 118t., F. da Montauto a Francesco I, Monte Oliveto, 20-9-1578 e f. 1874 c. 83.
376
Ibidem, f. 2010, c. 529, Il Vescovo di Pistoia a Francesco I, Siena, 29-11-1582. Nel 1584 Alessandro Guidotti, capitano
di Radicofani scriveva al granduca delle necessità della fortezza (f. 770, c. 690, Radicofani, 12-12-1584). Nelle filze
successive, fino alla morte di Francesco I (1587), non si hanno notizie di particolari lavori eseguiti alla fortezza di
Radicofani. Nel 1592 le sue mura erano «vecchie e sottili». Cfr. Ibidem, f. 2015, c. 52 t., «Visite allo stato di Siena;
Ristretto delle entrate e spese pubbliche dello stato di Siena a seguito della visita di Francesco Rasi, 1592».
377
A questo proposito si ha una storia abbastanza particolareggiata e documentata da una laboriosa ricerca d’archivio in
D. STERPOS, Comunicazioni stradali attraverso i tempi: Firenze – Roma, Novara, 1964 (vedi in questo libro).
171
Libri su Radicofani
Personaggi nati a R.
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conquistassero Radicofani (1411), il tracciato della strada romana, seguendo il corso del Paglia,
passava ad occidente di quel monte, risaliva il Formone e, valicando l’Orcia presso Spedaletto,
arrivava a Bagni Vignone e a S. Quirico.378 (Anche questa affermazione non è del tutto vera
perché gli studi attuali hanno rivelato diversi tracciati della “Via Francigena”, come
si vede dagli articoli inseriti in questo libro. Leggere soprattutto l’articolo di C.
Wickham da pag. 34 a pag. 47 di questo libro). La fortuna di questo itinerario nel tratto tra
la val di Paglia e l’Orcia fu legata per molti secoli a quella della florida abbazia di San Salvatore.
(Anche questa affermazione non è del tutto vera, i motivi della fortuna di questo
itinerario è dovuta ad una miriade di fattori, non ultimo la fortezza di Radicofani). Col
declino di quest’ultima la strada fra l’Orcia e il Paglia divenne malsicura, cosicché i Senesi, quando
conquistarono Radicofani, decisero di abbandonare il tratto della strada romana che da Ponte al Rigo
portava a Ricorsi sostituendolo con uno nuovo che, benché più lungo, aveva però il vantaggio di
passare per Radicofani. In seguito, anche se non si può precisare quando, la strada continuò a seguire
l’antico tracciato, fino al 1581. Di questo anno, infatti, si ha una lettera dell’abate di Abbadia San
Salvatore, don Pietro, indirizzata al cardinale dei Medici, riguardo non solo al danno che si recava a
quella comunità col voltare nuovamente la strada verso il monte di Radicofani, ma pure riguardo alle
difficoltà che i viandanti avrebbero dovuto affrontare sulle «dieci miglia di salita» per arrivare fin
lassù.379
(Come si vede anche in questa richiesta non vi è tutta la verità perché, altrimenti,
non si spiegano né i quattro ospedali che esistevano a Radicofani né gli articoli che
nello Statuto del 1255 riguardavano le norme di come si dovevano trattare i pellegrini
ed i visitatori in genere né di come mai nel seicento, quindi venti anni dopo questa
lettera Ferdinando I fece costruire l’Osteria Grossa, o Posta, a Radicofani al posto
della residenza di caccia dei Medici.).
Comunque, nonostante i motivi a svantaggio di questo tracciato addotti dai monaci di Abbadia,
la strada tornava a passare sotto il borgo di Radicofani e per questo si rendeva necessaria la
costruzione di un’osteria per il ricovero dei cavalli e dei viandanti.380 Nello stesso anno in cui era
ripreso l’antico tracciato per Radicofani, Montaigne, partendo da Firenze, percorreva tutta la strada
romana lasciandoci una relazione del viaggio capace di darci un quadro abbastanza chiaro delle varie
tappe toccate lungo il percorso e delle condizioni di esso. Nei pressi di San Quirico non mancava di
notare l’ottimo stato della via percorsa: «Tutte queste strade sono state assettate per ordine del duca
di Toscana: la quale opera è molto bella, e profittevole al servizio del pubblico. Dio glielo rimeriti
perché le vie difficilissime sono per questo mezzo speditevoli e commode come vie d’una città». E
la cura delle strade era compensata dall’afflusso del traffico: «era cosa stupenda – scrive ancora
Montaigne riferendosi a quel tronco – di sentire il numero infinito di gente che andava a Roma».381
Il tratto da San Quirico a Radicofani ed oltre non doveva aver fatto molta impressione al Montaigne
che ne notava appena le asperità della strada, montuosa e sassosa, la quale d’altra parte, deviata verso
Radicofani, non doveva essere ancora nell’ottimo stato dell’itinerario precedente.382 Già Cosimo
aveva prestato le dovute cure alla strada romana; di esse ne è prova il fitto carteggio tra il duca ed il
378
A questo proposito cfr. il tracciato della strada riportato da G. FATINI, Un tratto della via Francesca e la Badia di
San Salvatore nell’Amiata, «Bullettino senese di storia patria», Siena, 1922, n. 3, p. 345.
379
A.S.F., Mediceo, f. 748, c. 249, l’abbate don Pietro al cardinale dei Medici, Monastero di Abbadia San Salvatore, 176-1581 e f. 746, c. 32, Paolo del Bufalo a Francesco I, Roma, 4-4-1581. Tale percorso, oggi ancora abbastanza
praticabile, da Ponte a Rigo sale, fiancheggiando per un tratto il torrente omonimo, fino alla Novella e Baccanello; da
questo punto, abbandonato il corso del torrente suddetto, piega verso nord-ovest, fino ad arrivare a Radicofani.
380
Ibidem, f. 1875, c. 160, F. da Montauto a Francesco I, Siena, 16-1-1581.
381
A. D’ANCONA, L’Italia alla fine del secolo XVI, Giornale del viaggio di Michele Montaigne in Italia, 1580-1581,
Città di Castello, 1895, p. 534.
382
Il Montaigne ricordava nel tratto sotto Radicofani un piccolo villaggio, il Paglia, di cinque o sei case ai piedi di
montagne sterili. Cfr. A. D’ANCONA. Op. cit. p. 188.
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Lanci relativamente ai lavori al ponte d’Arbia. Ma soprattutto con Francesco e Ferdinando veniva
prestata un’attenzione particolare al tratto di strada compreso tra il ponte Centeno e Radicofani.
L’osteria, che appariva indispensabile costruire sul nuovo tratto della strada romana presso
Radicofani, nonostante le frequenti lettere a questo riguardo, durante il principato di Francesco non
era stata neppure iniziata.383 Intorno al 1583 esisteva, comunque, una pianta di quella che doveva
essere la «osteria grossa» o la Posta, edificata dal Buontalenti e dallo stesso Genga384 e per la quale
era stato scelto il luogo, ritenuto più opportuno, dove edificarla.385 Addirittura si parla, nei primi mesi
del 1584, di materiali già preparati per l’inizio dei lavori, senza poi, in seguito trovarne più notizia.
Comunque in quegli anni doveva già esistere una fontana nel tratto di strada sotto il borgo di
Radicofani, dato che ad essa si accenna in una lettera dei Deputati di Balia e Provveditori sopra le
strade della città di Siena, a proposito di uno stemma mediceo fatto fare dagli stessi per essere posto
a Centeno. In seguito però, nel timore di suscitare discordie, essendo quel luogo a confine con lo stato
Pontificio e non avendo a disposizione nessuna scrittura che determinasse una linea precisa di confine
(tranne una pubblica voce che la faceva coincidere con lo stesso fiume), si proponeva di «stabilirlo
sopra la fontana della nuova strada di Radicofani», senza però che questa deliberazione trovasse
consenso presso il granduca.386
Quello stemma, con al centro l’arma dei Medici ed a lato due figure che l’abbracciavano,
raffiguranti la Giustizia e l’Abbondanza, era lasciato per il momento inutilizzato con la tavola per
l’iscrizione, ancora in bianco, nell’attesa di una delibera da parte della casa granducale.
Corrispondendo la descrizione in tutto e per tutto all’attuale stemma che è collocato sulla fontana di
fronte alla posta di Radicofani, è da ritenere che quello, eseguito nel luglio del 1583, fosse utilizzato
solo molti anni dopo (1603) allorché Ferdinando I deliberò di porlo sulla fontana, da lui fatta costruire
in quel tratto di strada.387
È probabile che i lavori alla posta di Radicofani, a parte problemi di ordine tecnico che potevano
essere sorti, subissero una sosta a causa del riacutizzarsi del brigantaggio, di cui sono testimonianza
le lettere scritte al granduca dal 1584 fino alla sua morte. Anche in precedenza questo si era dimostrato
una grave piaga in tutto lo stato senese. Risale non a caso agli inizi del governo di Ferdinando (10
giugno 1588) l’istituzione di un nuovo capitanato ad Arcidosso con giurisdizione criminale e civile,
nei paesi di Castel del Piano, Montelaterone, Seggiano, Monticello e Potentino,388 necessario per
arginare il più possibile il moltiplicarsi impressionante dei delitti e per amministrare la giustizia in
maniera più diretta.
Cenni sulle comunità del contado Senese dopo la conquista medicea. (A cura di Lucia
Bonelli Conenna)
Pag. 225 (nota a pag. 230)
Fin dal 1578, in occasione dell’inizio dei lavori al ponte del Paglia, presso Acquapendente, ad opera di Gregorio XIII,
si proponeva di «voltare …..la Strada Romana da Radicofani, dove già passava e se ne vedono li vestigli delle selcie, che
faria bisogno di rassettare. Et ancora ….. da quella comunità si scomodassino nella terra terra o fora …. Delle osterie
capaci, con che verria augumentare tanto più l’entrate sue a servitio di V. A.» cfr. A.S.F., Mediceo, f. 1874, c. 76, F. da
Montauto a Francesco I, Siena, 20-10-1578.
384
Ibidem, f. 261, c. 44 t., Francesco I a Girolamo Seriacopi, provveditore della fortezza di Siena, 22-7-1583.
385
Ibidem, f. 766, c. 237, Girolamo Seriacopi a Francesco I. Siena, 7-3-1584 e f. 261, c. 187 t., Francesco I al Seriacopi,
12-3-1584.
386
Ibidem, f. 762, c. 111, Deputati di Balia e Provveditori sopra le strade della città di Siena a Francesco I, Siena, 22-71583 e f. 261, c. 42 t., Francesco I a F. da Montauto, 26-7-1583.
387
Oltre allo stemma dei Medici, in questa fontana vi è pure quello di Siena e quello di Radicofani. Cfr. A. MARIOTTI,
Le armi dei municipi toscani, Firenze, 1864, p. 237. La tavoletta sotto lo stemma mediceo reca la scritta: «Ferdinandus
Medices Mag. Dux Hetruriœ III Viatorũ Comoditatĩ A. S. CIOIOCIII» (1603)
388
G. A. PECCI, Memorie storiche delle città, terra e castella dello stato di Siena, sec. XVIII, tomo V, c. 411. Prima
dell’istituzione del nuovo capitanato, in questa zona ne esistevano solo due quello di Radicofani e di Sovana.
383
173
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Nota n. 24.
Per ogni località citata abbiamo fornito, ove reperibili, i dati demografici relativi all’anno 1640, la
variazione % della consistenza della popolazione tra il 1595 e il 1640, l’ammontare dell’entrata relativa alle
Comunità, quella dei Luoghi Pii (Pievi, Cappelle, Ospedali e simili), della Religioni (Conventi etc.), le botteghe
esistenti, il numero delle famiglie con oltre 100 scudi d’entrata, e la diocesi di appartenenza. Tali dati sono
stati elaborati dalle notizie contenute in A.S.S., Ms. D. 91, e Quattro Conservatori, 1759; BIBLIOTECA
COMUNALE DI SIENA, Ms. A.IV.4; ARCHIVIO SI STATO DI FIRENZE, Mediceo, 2064 e Strozziane, I,
24. Oltre alle tabelle relative ai proventi delle Comunità, tra XVI e XVII secolo, e alle cartografie a queste
relative ……………………………….
Conforme a questa nota presentiamo la nostra località nell’anno 1603:
Radicofani. Capitanato, vi risiedono il capitano di giustizia, il giudice, il notaio, un caporale e 2
famigli «con cavalcatura». 1705 abitanti (-24, 62). Entrata della Comunità scudi 1307; Entrata dei
Luoghi Pii scudi 325; Entrata delle Religioni scudi 303. 3 calzolerie, 1 concia, 3 fabbriche, 2 botteghe
di panni e merci, 1 spezieria, 4 pizzicherie, 1 mulino, 3 forni, 1 osteria, 2 macelli, 3 canove. Famiglie
con oltre 100 scudi d’entrata n° 24 per scudi 4310. (Chiusi).
La via Cassia. La più importante arteria commerciale dello stato Senese e gli interventi
Medicei. (A cura di Maria Paola Rossignoli)
Per avere ancora più notizie dell’importanza della Via Francigena o della Cassia,
come si chiamerà nel XIX secolo, quindi per capire ancora più approfonditamente
questa importanza, dopo ciò che ha scritto lo Sterpos, continuiamo con l’articolo sotto
riportato e quindi avremo una situazione più completa che oggi (2015) dopo la
costruzione dell’A1 (Autostrada A1 Roma-Milano) e dopo la costruzione del foro sulla
Valle del Paglia il nostro paese ha ricevuto economicamente un colpo assai grosso
che oggi si cerca di supplire tramite la “FORESTALE” le industrie della valle del
Paglia, la pastorizia con i sardi e il turismo con gli agriturismi dell’ultimo secolo; ma,
per avere un’idea del colpo subito da Radicofani dal 1964 ad oggi, ricordiamo la
popolazione che nel 1964-65 era di 2850 cittadini ed oggi (2015) con l’immigrazione
dei sardi e i nati in questo periodo non raggiunge le 1300 unità.
Pag. 283 e segg.
Premesse storiche
L’itinerario della via Cassia nel tratto da Siena al confine con lo Stato Pontificio, nel XVI secolo
era rimasto pressoché inalterato rispetto al percorso descritto circa quattro secoli prima da Sigerico,
Arcivescovo di Canterbury,389 che partendo da Roma si diresse al nord verso la sua sede episcopale
facendo la strada passante per Sutri, Viterbo e Siena. Va precisato che questa arteria era una
modificazione del percorso originario della via Cassia,390 che partendo da Roma attraversava Bolsena,
Orvieto e per la Val di Chiana, Chiusi e Arezzo, scendendo nel Valdarno si dirigeva a Firenze,
proseguendo poi per il nord. Questa strada di notevole importanza nell’ambito delle comunicazioni
tra Roma, i centri dell’antica Etruria e il nord, intorno all’anno 1000 ebbe una modificazione di
389
390
W. STUBBS (a cura di), Rerum Britannicorum Medii Aevi Scriptores, vol. LXIII, London, 1874.
Tabula Peutingeriana (Bibl. Naz. Di Vienna).
174
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itinerario e, pur rimanendo inalterato il tratto fino a Bolsena, fu da lì deviata ad ovest e creata l’arteria
passante per il Senese.391
Nel ‘500 questo divenne il sistema di comunicazione più utilizzato per il transito e il
collegamento tra Roma, l’Italia settentrionale e i centri dell’Europa, considerando che la strada per la
Val di Chiana, in quegli anni, era impraticabile a causa dell’impaludamento del territorio che
attraversava; anche l’Aurelia, antica via consolare, per lo stesso motivo era danneggiata in alcuni
tratti prossimi al litorale tirrenico392 ed era altresì poco sicura per gli assalti pirateschi, allora frequenti
in quel tratto di costa. Fu ad ogni modo il problema dell’impaludamento della Val di Chiana393 e della
costa tirrenica che portò ad abbandonare quegli antichi tracciati, privilegiando l’itinerario senese che
pur avendo temporanei impedimenti, non aveva interruzioni del suo percorso.
La cartografia cinquecentesca394 descrive la strada che lascia il territorio laziale ad
Acquapendente, entra nel territorio senese a Centeno incontrando Radicofani, La Scala, S. Quirico,
Torrenieri, Buonconvento, Lucignano, Siena e, scendendo nella Val d’Elsa, si collega con Firenze.
Questa arteria, che alla metà del secolo fu danneggiata dal passaggio dell’esercito imperiale395 e delle
truppe fiorentine, dopo il trattato di Cateau Cambrèsis, tornò ad essere normalmente frequentata e
transitata da viaggiatori, soprattutto stranieri, diretti a Roma. La casa Medici con Cosimo prima, con
Francesco e Ferdinando poi, pose infatti molte attenzioni al mantenimento di quella strada, interessata
come era acciocché i commerci si svolgessero nel proprio territorio.
Lavori sulla strada romana
Nel ‘500 gli ostacoli frequenti per la viabilità erano rappresentati da problemi di natura
idrografica, e nel caso della Cassia il danno maggiore era costituito dallo straripamento delle acque
dei fiumi. La strada, nel tratto senese, incontra l’Arbia a pochi chilometri da Siena, l’Asso presso
Torrenieri, l’Orcia al bivio di Bagni Vignone, sotto Radicofani il Rigo e l’Elvella a Centeno. Sebbene
questi corsi d’acqua non avessero la portata del Paglia, che è il fiume più grande che la Cassia incontra
nel territorio laziale e soggetto spesso a straripamento, erano ricorrenti i lavori da eseguire ai ponti
per i danni che le acque provocavano.
Con particolare riguardo Cosimo I fece eseguire lavori all’Arbia, che minacciava seri danni agli
argini del fiume e al ponte, «…. non si potendo … senza quello usare la strada tanto frequente per
Roma …».396 Fin dal 1562 fu infatti denunciato lo stato deplorevole di quel fiume 397 ma i lavori
iniziarono nel 1564, poco prima di dar inizio a quelli della fortezza di Radicofani.
Riguardo alla struttura del ponte non si hanno piante e disegni dell’epoca, ma attraverso i
documenti dei lavori per le strutture rovinate, si può, in generale, ricostruire la ossatura. Nel 1563,
Angelo Niccolini informa il Granduca delle precarie condizioni di un arco e dei danni provocati dalle
acque ad un altro.398 Nel 1564 viene data mano alle fondazioni, consolidandole per maggior sicurezza
con grossi pali «ficcati nel letto del fiume» e chiamati in termine tecnico «palafitte».399
391
Per un approfondimento sulla viabilità si consiglia: D. STERPOS, Comunicazioni stradali attraverso i tempi, Novara,
1964; E. MARTINORI, Le vie maestre d’Italia – Via Cassia, Roma, MCMXXX; A. TRACCHI, Alla ricerca della via
Cassia, nel tratto Chiusi-Firenze, «L’Universo», n. 4, 1964.
392
G.TARGIONI TOZZETTI, Relazioni d’alcuni viaggi fatti in diverse parti della Toscana, ediz. anast., Bologna, 1972,
vol. IX, pp. 228-251.
393
V. FOSSOMBRONI, Memorie idraulico storiche sopra la Val di Chiana, Bologna, 1978, p. XX.
394
Carta di L. Pindemonte, Bibl. Moreniana di Firenze, Fondo Palagi, Mappe 29.
395
A. VERDIANI BANDI, I castelli della Val d’Orcia e la Repubblica di Siena, cit., ediz. anast., Montepulciano, 1973,
p. 101.
396
A.S.F., Mediceo, Carteggio Universale, f. 500, c. 94, Angelo Niccolini, al Duca Cosimo, Siena 6 giugno 1563.
397
A.S.F., Mediceo, Registri, f. 217, c. 133, il Duca Cosimo ad Angelo Niccolini, S. Marcello, 15 giugno 1562; Mediceo,
Carteggio Universale, f. 494, c. 159, Angelo Niccolini al Duca Cosimo, Siena, 12 luglio 1562.
398
Ibidem, f. 500, c. 94 lett. cit.
399
C. BORSARELLI, Le fortificazioni nello Stato di Siena al tempo dei Granduchi Cosimo e Francesco de’ Medici
(1559-1587), tesi di laurea della Facoltà di Magistero dell’Università di Firenze, a. a. 1972-73 (relatore G. Spini).
175
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Baldassarre Lanci, architetto soprattutto militare, nel 1564 suggeriva di restaurare le «platee»
assai danneggiate, ma il Principe Francesco sconsigliava di iniziare il restauro in quel periodo, poiché
le acque cominciavano già ad ingrossare. Il Lanci, in quell’anno, si limitò a rinforzare le steccate 400
per impedire che gli argini del fiume venissero rovinati. Solo nell’inverno del 1567 veniva ricostruita
la «platea», lunga 60 braccia e larga 25401 e contemporaneamente venivano rinforzate le fondamenta
per assicurare una maggiore stabilità.
Negli anni seguenti il ponte fu spesso consolidato, poiché nonostante i continui lavori la struttura
continuava ad essere in condizioni non eccellenti, come si rileva dalla perizia fatta da Luigi Nasini
nel 1568402 e negli anni successivi, dai registri delle spese.403 Anche altri ponti sulla strada romana si
trovavano in precarie condizioni verso la fine del ‘500; a Buonconvento il ponte riceveva grave danno
in un fianco, minacciando di cadere se non vi «si fosse provveduto» al più presto. Il ponte sull’Asso
presso Torrenieri era in costruzione e il ponte sull’Orcia era rovinato.
Il reperimento della mano d’opera era fatto di solito col sistema delle comandate, anche se spesso
erano gli stessi abitanti dei centri attraversati dalla strada a prestare lavoro gratuitamente. 404 I costi
non irrilevanti delle riparazioni sulla strada erano spesso a carico della popolazione: di volta in volta
si stabiliva gli oneri da addebitare. Per questo il magistrato dei Quattro Conservatori poteva
riscuotere, dalle comunità tassate, i denari impiegati per i lavori, poiché queste erano considerate
«opere di pubblica utilità».405
Lo stesso procedimento veniva adottato per le numerose locande che sorgevano sulla Cassia. Da
Siena a Centeno ve ne erano molte, in ogni centro abitato, ed i proprietari venivano tassati per il
mantenimento delle strade, per l’ottimo motivo che il traffico permetteva loro di ricavarne profitti.
Oltre ai lavori per i ponti, i più frequenti ed urgenti da eseguire per garantire la continuità del
percorso, negli stessi anni veniva data mano ad altre costruzioni. In una lettera del 2 maggio 1564
Baldassarre Lanci chiese al Granduca Cosimo che si «possa costruire un mulino al ponte d’Arbia»,
poiché la popolazione doveva recarsi a circa 10 miglia per macinare il grano.406 Nello stesso anno
venne informato il Granduca, che erano necessarie riparazioni ad alcuni mulini danneggiati, tra cui il
Lanci segnalava particolarmente quello del Buonconvento.407
Si ritenevano indispensabili anche lavori di riparazione al manto stradale: in una lettera dell’8
novembre 1595 il Governatore Tommaso Malaspina chiese al Duca Ferdinando. «… che si
racconcino alcuni passi della strada romana …».408 Che questa strada stesse molto a cuore alla casa
Medici è documentato, oltre dai lavori eseguiti, anche dal «Bando et Ordine che le strade sieno
conservate in buono stato»409 emesso sotto governo di Francesco I, secondo Granduca di Toscana.
Lavori di riassetto furono fatti nel tratto terminale della strada romana in prossimità del confine
meridionale con lo Stato Pontificio, cioè sotto la fortezza di Radicofani. Questo percorso, che fu
costruito dalla Repubblica senese nel 1442 apportando una modifica al tratto originariamente passante
da Ricorsi,410 Nel 1555 era stato quasi distrutto dal Vitelli, generale di Cosimo I, quando per lungo
tempo e inutilmente assediò la fortezza di Radicofani. Che questi lavori furono realmente eseguiti è
400
A.S.F., Mediceo, Carteggio Universale, f. 523, c. 9, Baldassarre Lanci al Principe Francesco, Siena, 22 ottobre 1566.
Ibidem, f. 528, c. 274, Baldassarre Lanci al Principe Francesco, Siena 21 aprile 1567.
402
Ibidem, f. 543, c. 17, Luigi Nasini al Principe Francesco, Ponte d’Arbia, 2 agosto 1568.
403
A.S.S., Governatore, f. 1042, Ordini relativi al Magistrato delle strade (1563-1773), Baldassarre Lanci al Duca
Cosimo, Siena 2 maggio 1564.
404
A.S.F., Mediceo, Carteggio Universale, f. 529a, c. 310, e f. 505, c. 311; Baldassarre Lanci al Duca Cosimo, Siena, 11
aprile 1564.
405
D. STERPOS, op. cit.
406
A.S.F., Mediceo, Carteggio Universale, f. 528, c. 374, Baldassarre Lanci al Principe Francesco, Siena, 21 aprile 1567;
f. 525a, c. 810 e Mediceo, Registri, f. 228, c. 220, Il Principe Francesco a Baldassarre Lanci, Firenze, 22 luglio 1567.
407
A.S.S., Governatore, f. 1042, cart. Cit.
408
Ibidem, Tommaso Malaspina al Duca Ferdinando, Siena, 8 novembre 1595.
409
Bando et Ordine, Palatino c. 9 3, PO XXXVII, presso la Bibl. Naz. di Firenze.
410
L. CARANDINI, La posta di Radicofani, cit., «L’Universo» n. 1, anno XLIV, 1969, p 156. (pagg. 155-157)
401
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documentato dalla relazione del viaggiatore Montaigne che transitò sulla strada nel 1581, cioè un
anno dopo l’emissione del bando sulla manutenzione delle strade.411
Pure il viaggiatore Martin Zeiller rilevava che le strade «… sono tutte lastricate e coperte con
grosse pietre cosicché vi si può viaggiare come in una città e per questo si deve lodare la cura del
Granducato».412 Ma sempre lo Zeiller annotava come la strada andando verso Roma, dopo
Radicofani peggiorasse molto, diventando «… fangosa e faticosa per i cavalli …».
È da notare però che, nonostante la mole dei lavori eseguiti ad alcuni tratti della strada per
migliorarne le condizioni, i Granduchi non si preoccuparono mai di far fare riparazioni al ponte sul
fiume Elvella, ubicato a pochi chilometri dal confine del territorio senese con lo Stato Pontificio.
Questo ponte in legno, indispensabile per la continuità del transito, era spesso di difficile
attraversamento perché le acque ingrossandosi, soprattutto d’inverno, lo rendevano pericoloso.
Tra l’altro, Papa Gregorio XIII, nel 1580, aveva fatto costruire un ponte sul Paglia, fiume che
rappresentava l’ostacolo maggiore per il transito della Cassia. Questo fa pensare che i Medici
volessero rendere non facile l’accesso a Radicofani, dove a partire dal 1564 erano iniziati i lavori alla
fortezza, che era l’ultimo baluardo mediceo sul confine senese.
Aspetti economici della viabilità
Il cinquecento fu un periodo di floridezza economica per i commerci e l’espansione produttiva,
per cui il potenziamento della viabilità avrebbe contribuito ad agevolare i traffici e gli scambi oltre i
confini statali.413 In questo periodo si registrano significativi progressi negli studi teorici concernenti
le costruzioni stradali. Verso la fine del secolo Guido Toglietta, in un suo trattato, consigliava di
«…utilizzare uno strato impermeabile composto di pietra, sabbia e calce …»414, che rispetto agli
acciottolati medievali, e alle pesanti strade romane, consentiva di ottenere risultati di gran lunga
superiori. La validità di questo trattato, i cui suggerimenti potevano essere preziosi per la viabilità di
quel secolo, non fu in realtà riconosciuta, e quegli studi furono privi di attuazione. Dovranno passare
ancora alcuni secoli prima che quelle tecniche vengano impiegate.
Per la Toscana la situazione viaria, affidata soprattutto alla Cassia, avrebbe potuto «… avvicinare
la redditività dell’agricoltura, a quelle del commercio e dell’attività manifatturiera, permettendo nuovi
e più economici sbocchi …»,415 ma non sembra che i Medici avessero realmente questo tipo di
interesse. Erano gli stessi bandi emanati dai tre Granduchi a controllare la circolazione delle merci.
Così il Daca Ferdinando il 30giugno 1589 fece emettere una «Provisione, e Bando delle denunzie dei
Grani, Con la Prohibitione del portarsi Grano da Corte all’altra Corte, per benefitio, e comodo
universale».416 Alcuni anni prima, l’Arcivescovo di Vescovado, chiedeva al Duca Cosimo che
«…fossero conservati al suo feudo i privilegi, e segnatamente di poter prendere il sale a Siena».417
Ma il duca con rescritto dello stesso anno ordinava «…l’opportuna numerazione delle bocche …»,
stabilendo con questo, una calmierazione acciocché il sale servisse strettamente al «…fabbisogno
degli abitanti …». Questa limitazione commerciale fu indubbiamente una barriera per il progresso
economico, soprattutto interno, considerando anche che alcune parti del territorio erano tra di loro
mal collegate, con strade accidentate e sentieri impervi, cui i Medici non dedicarono mai molta
attenzione. Infatti quasi tutti i lavori relativi alla viabilità, eccetto alcune migliorie apportate a luoghi
da bonificare, riguardano la Cassia.
411
M. MONTAIGNE, Journal du voyage en Italy en 1581-1581, Paris, 1774, pp.105-110.
MARTIN ZEILLER, Itinerarium Italie, Francoforte, 1640, p. 92.
413
A. BORGI, La rete stradale della Toscana nei suoi caratteri attuali, nella sua evoluzione storica, nelle sue esigenze
di sviluppo, Firenze, 1977.
414
F. SCHEIDER, L’ordinamento pubblico nella Toscana medievale, Firenze, 1957.
415
A. BORGI, op. cit.
416
A.S.F., Mediceo, Carteggio Universale, f. 1881, c. 228, Provisioni e Bando delle denunzie de i Grani.
417
N. MENGOZZI, Il feudo del Vescovado di Siena, Siena, 1911, pp. 109-110.
412
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Servizi postali lungo la Cassia
Sulla Cassia i Medici fecero erigere una locanda, o Osteria Grossa, presso Radicofani, che ebbe
molta importanza per il transito sulla strada romana e che fu spesso citata nelle relazioni dei
viaggiatori. Questa locanda fu fatta costruire da Ferdinando I tra il 1587 e il 1589, utilizzando
parzialmente la casa di caccia che Francesco I aveva fatto erigere qualche anno prima. A questo
edificio, Ferdinando fece aggiungere, frontalmente, nel 1603, una fontana per l’abbeveraggio dei
cavalli, e sulla quale tuttora compare lo stemma mediceo. La locanda «…atta a ricevere qualunque
personaggio e gran quantità di gente e di cavalli …», 418 faceva parte del più vasto sistema di edifici,
ubicati soprattutto sulla Cassia, adibiti per la sosta dei viaggiatori e per il cambio dei cavalli. A tali
costruzioni era spesso deputata la funzione di stazioni postali, che a partire dalla fine del ‘500
iniziarono da avere un certo rilievo per le comunicazioni commerciali ed epistolari. Nel Settecento il
Pecci lodava i pregi e i vantaggi dell’albergo mediceo di Radicofani.419 (Ciò che dice il Pecci, che
non era mai stato a Radicofani, sono le stesse parole che scrive il Gherardini nella
sua visita al paese!).
Il documento più antico in cui venivano stabilite le modalità del servizio postale venne stampato
a Venezia nel 1560, ma questo era di origine assai più remota.420 Alla fine del ‘500 sorsero dei veri e
propri compendi o guide sulle poste, di grande utilità per chi spediva missive o mercanzia e per chi
era addetto a recapitarle nei vari luoghi.421 Nel 1608 sappiamo che nel Senese esistevano poste: «una
a Siena città», altre a Lucignano, Buonconvento, Torrenieri, S. Quirico, La Scala, Radicofani,
Centeno, Pienza, Pitigliano e Sovana.422
Dalla dislocazione del territorio si nota come queste ricalcassero la viabilità più utilizzata,
essendo per lo più disposte lungo la Cassia. Per agevolare il servizio, nei compendi, venivano dati
suggerimenti per la spedizione, precisando che la corrispondenza «…conviene mandarla…» o
consegnarla ove «…havevano bellissima comodità di fruire ...». Il sistema postale fu soprattutto
istituito per «… dare maggior comodità alle persone che negoziano, più che a beneficio dei principi,
Duchi, Re, Imperatori e Papi …»,423 poiché la posta diplomatica poteva permettersi il lusso di corrieri
straordinari o privati. La corrispondenza veniva affidata dagli ufficiali di posta i quali, tra l’altro,
avevano diversi incarichi e ruoli. «Il corriero maggiore avendo ricevuto questo incarico dal Principe
o dal Duca, Re, Imperatore o Papa, per gratitudine o per affitto, ne può cavare tutti quei leciti fitti di
poste …», ma era obbligato a occuparsi della manutenzione dell’ufficio. Altri addetti a questo lavoro
erano i Luogotenenti, Cancellieri, Maestri delle poste, Ordinari e Precacci.
La corrispondenza deve essere segreta, per cui «… tutti i Principi sogliono volere che si vada in
un sol posto con le lettere e anche a levarle …. per questo fan bandi strettissimi …». Anche il secondo
Granduca si prodigò per l’emissione di un bando che vincolava la segretezza delle cose spedite e dei
«plichi». Nel 1574 venne stampato un «Bando che’ vetturini non possino fare Compagnia con
Albergatori», e come sottotitolo «Ne vetturino con altro vetturino, et Ordine fra Procacci, et
Vetturini».424 Infatti nei compendi sulle poste, viene spiegato che le cose spedite possono anche non
arrivare a destinazione, sia per la «disonestà» dell’uomo delle poste, sia per gli assalti dei briganti che
popolavano le zone boschive e poco frequentate.
418
MARTIN ZEILLER, op. cit.
Bibl, Moreniana di Firenze, Ms., G.A. Pecci, Memorie storiche delle città, terre, castelli dello Stato di Siena. (Chi
scrive ne ha trascritto, stampato e pubblicato il Manoscritto preso all’A.S. di Siena).
420
Poste per le diverse parti del mondo col Viaggio di Galizia, e di Gerusalemme… in L. Piloni, Bibliografia della posta
e filatelia Italiane, Firenze, MCMLIX, p. 30.
421
O. CODOGNO, Compendio delle poste per Tutte le Parti del Mondo, Milano, 1608, p. 371. Di questo libro esistono
varie edizioni: nella Bibl. Comunale di Siena è depositata quella del 1608, ma la più antica risale al 1603.
422
Ibidem.
423
Ibidem.
424
L. PILONI, op. cit., p. 96 bis, tav. VIII.
419
178
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Il problema del brigantaggio nel ‘500
Il banditismo si sviluppò in Toscana, come in altre parti d’Italia, verso la fine del cinquecento, in
corrispondenza della carestia.425 Il Granduca Francesco I, nel 1574, emise bandi severissimi contro i
briganti, e nominò Ambrogio Colombani funzionario nello Stato senese, perché prendesse
provvedimenti. Aveva stretto accordi con il Papa Gregorio XIII,426 per contrastare le incursioni molto
frequenti che questi facevano nel suo territorio. I briganti formavano spesso bande numerose,
«composte da 150 uomini ciascuna»427 e nel territorio senese agivano soprattutto in Maremma e in
zone montane, assalendo i viaggiatori, incendiando e saccheggiando. Impedivano anche che il
commercio si svolgesse e paralizzavano la pubblica amministrazione.
Francesco I nel 1586428 emanò due bandi, sollevando il popolo contro i briganti, e strinse alleanze
con gli stati confinanti, tra cui quello Pontificio, ove era Papa in quegli anni Sisto V, ben noto per le
sue iniziative repressive contro i briganti. Un ostacolo per debellare il banditismo, era la protezione
che questi ricevevano nei numerosi feudi esistenti nella Toscana meridionale. Al riguardo, Francesco
I ordinò che non fosse concessa dai feudatari, protezione o asilo politico, impartendo, per questo,
minacce di pene severissime per i trasgressori.
Ma lo Stato senese era un territorio propizio per i briganti. Tra questi vi erano anche dei feudatari
come Alfonso Piccolomini, Duca di Montemarciano e signore di Camporsevoli, che chiese poi
appoggio e protezione a Sisto V dichiarandosi suddito della sede Apostolica. Un altro rifugio per i
banditi, era lo Stato dei Presidi, rimasto agli spagnoli con il trattato di Cateau Cambrésis.
Il problema del banditismo fu affrontato sia da Francesco che da Ferdinando, intenzionati
entrambi a sconfiggere questo fenomeno che toccò i suoi apici nel 1590, e cominciò progressivamente
a scomparire sotto il regno di Ferdinando, anche per l’incisività delle sue operazioni repressive. Il
brigantaggio, comunque, se nel granducato rappresentò una difficoltà notevole per i commerci e per
l’approvvigionamento dei generi alimentari, rimase un fatto circoscritto ad un breve periodo, cosa
che invece non si verificò per lo Stato Pontificio e per i domini italiani della Spagna, dove continuò
a permanere ancora per anni.
Per avere più notizie sulla “Via Francigena” indico, per coloro che volessero
arricchire le conoscenze, qui sotto altri libri:
La via Francigena (Una strada europea nell’Italia del Medioevo) – Editrice Le
Lettere 1996 Firenze - Renato Stopani.
Guida ai percorsi della Via Francigena in Toscana – Editrice Le Lettere 1995
Firenze – Renato Stopani.
Storia della Via Francigena (Dai Longobardi ai Giubilei) – Editrice Il Leccio 1998
Siena – Mario Bezzini.
Strada Francigena-Romea (Con particolare riferimento ai percorsi Siena-Roma)
Editrice Il Leccio 1996 Siena – Mario Bezzini.
Dal primo libro citato del Bezzini mi sono piaciuti i tre tragitti che lui fa della Via
Francigena man mano che arrivava al tragitto definitivo. Il Bezzini ricorda prima di
tutto che Bolsena era l’antica Volsinnii, nel Medioevo è ricordata però con il nome
della martire che è sepolta a Bolsena: Santa Cristina. Sempre per ricordare i posti
vicino a noi esisteva S. Pietro in Paglia che oggi non esiste più.
425
A. VANZULLI, Il banditismo, in G. SPINI (a cura di), Architettura e politica da Cosimo I a Ferdinando I, Firenze,
1976, pp. 441,455.
426
L. CANTINI, Legislazione Toscana, vol. VIII, Firenze, 1800-08, pp. 277-283.
427
A. VANZULLI, op. cit.
428
L. CANTINI, Legislazione Toscana, cit., vol. XI, p. 378.
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Libri su Radicofani
Personaggi nati a R.
Renato Magi
Bezzini chiama la via Francigena del percorso di Sigerico “Francigena maestra”
e ricorda che, dopo Torrenieri i viandanti avevano a disposizione un altro percorso,
detto in generale Francigena dei “Baptisteria” che era quello che toccava tutte le
chiese battesimali che risalgono ai primi secoli di libertà del cristianesimo. Questo
percorso toccava le chiese di S. Vito e Modesto in Rutiliano, detto poi Corsignano,
e dopo il progetto del Rossellino, comandato da Pio II si chiamò Pienza.
La strada dopo questa località arrivava a Monticchiello dove troviamo il
baptisterium di Santa Monica e tre ospitali gestiti da religiosi, poi Chianciano
Terme con il castellare di Sillena e vicino le chiese dei santi Cosma e Damiano,
più oltre si arrivava quindi a Sarteano dove era il baptisterium di S. Cesareo dove
i conti di Sarteano e Chiusi fondarono nel 1084 la bella abbazia di Spineto dedicata
alla SS. Trinità e a S. Maria e anche a Sarteano troviamo tre ospitali.
Il Bezzini ci ricorda che gli ospitali religiosi non erano soli ma vi erano anche
strutture ricettive gestite da privati a scopo di lucro.
Superato Sarteano la strada si dirigeva a Cetona e poi a San Casciano Bagni
e questa strada ha resistito fino a pochi anni fa, a Cetona vi era la chiesa battesimale
paleocristiana dedicata a Giovanni Battista. Dopo S. Casciano dei Bagni si dirigeva
sul sito Ospizio dove troviamo la chiesa battesimale paleocristiana di S. Maria
della Colonna. Presso tale pieve (prima chiamata baptisterium) esisteva un
importante ospizio.
La strada proseguiva poi per Trevinano e da qui (prima Centeno) presso il ponte
gregoriano entrava nella Francigena maestra.
Questa strada alternativa, sopra ricordata, fu anch’essa chiamata Francigena o
Romea o Romana. Infatti, in vari ordinamenti della Repubblica di Siena è fra quelle
chiamate Francigena o Romana.
I motivi per cui vari viandanti preferivano quelle strade possono essere vari, ma
il più importante era la pericolosità che la strada maestra, in particolare il tratto fra
S. Quirico d’Orcia e Ponte al Rigo. Secondo molti studiosi il percorso trattato sopra,
specie nel trecento, fu frequentato più di ogni altro tracciato da banditi e persone di
malaffare.
Un altro percorso, nella stessa zona era quello ad est della Francigena maestra,
molto più vicino a Radicofani. Tale percorso lasciava la Francigena poco prima di
attraversare l’Orcia ed arrivava a Spedaletto, dove era il piccolo ospitale di S.
Nicola, dopo di che arrivava a S. Pietro in Campo ed andava a raggiungere
Clemenziano (oggi La Palazzina) (veramente il Borgo di Clemenzano era molto più
grande e vi era la chiesa di San Lorenzo e il cinvento privato di S. Quirico di
Clemenzano n.d.A.) e Celle sul Rigo e dopo Cammattole e si ricongiungeva alla via
maestra presso Torricella.
Il terzo percorso importante è quello che dopo l’attraversamento dell’Orcia verso
ovest e che passava per Castiglione d’Orcia e poi per Vivo d’Orcia, ove troviamo
un romitorio e un’abbazia camaldolesi, abbazia dedicata a S. Romualdo. Da Vico
d’Orcia si arrivava poi ad Abbadia S. Salvatore, che tanta importanza ebbe per la
Francigena, poi Piancastagnaio e scendeva per ricongiungersi con la Francigena a
Ponte al Rigo.
Però il più importante percorso rimane quello che si formò nel XII secolo e che
passava per Radicofani il quale piano piano soppiantò, in parte, l’itinerario fatto da
Sigerico.
A questo proposito si consiglia rivedere l’articolo a pagina 33 «Paesaggi sepolti:
insediamento e incastellamento sull’Amiata, 750 – 1250 di Chris Wickham».
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Libri su Radicofani
Personaggi nati a R.
Renato Magi
Da Internet su Google Libri dal titolo “Divagazioni su Radicofani nelle fonti
odeporiche” che vuol dire, secondo il vocabolario: «che è proprio di un viaggio, che
riguarda un viaggio: narrazione odeporica, descrizione di un viaggio, resoconto di
notizie, esperienze e simili raccolte durante un viaggio…». Questo libro “on line” a
cura di Fabrizio Vanni il quale attraverso i resoconti che ci hanno lasciato coloro
che viaggiavano per la “Via Francigena” e che attraversavano il Paglia o Radicofani,
il Vanni si è cimentato a trovare il motivo per cui affermare che coloro che
attraversavano la Val di Paglia avevano molta fretta di arrivare a destinazione e
quelli che salivano a Radicofani erano i viaggiatori più ricchi, più esigenti, i nobili, i
militari ecc. i quali trovavano un’assistenza adeguata che non avrebbero trovavato
negli ospizi della valle del Paglia, i poveri (e non tutti) e coloro che si arrangiavano e
che non avevano paura a rischiare la vita per colpa dei banditi né del posto mal
frequentato e meno attrezzato. Ebbene in questo libro nella nota n. 3 abbiamo la
spiegazione “Toponomastica” del termine: Radicofani che qui sotto riportiamo.
Divagazioni su Radicofani nelle fonti odeporiche
A cura di Fabrizio Vanni
Abbiamo estrapolato dalla nota n. 3 il significato della toponomastica del termine
Radicofani.
Nella «Toponomastica della Toscana Meridionale ecc.» (Siena: Accademia degli Intronati,
1969) il Pieri ci propone Radicofani, Radicofano, Radicophani, Radicofini, Radicofanum e
Radecofini, che non esauriscono certamente le varianti che si incontrano nelle fonti. Anche per
l’etimologia del toponimo il Pieri si mostra stranamente prudente, limitandosi a interpretare la prima
parte del nome come abbreviazione di Radipert o Radicauso (a cui non potremmo non aggiungere
Ratchis, visto che si trattava di beni regi). Utile infine, anche se non risolutivo, l’elenco degli altri
toponimi con l’identica componente: due Radi a Monteroni d’Arbia e a Sovicille (Siena),
Radicondoli (-), Radipopoli (Castell’Azzara di Grosseto) e Radicagnoli (Pomarance di Pisa). –
Scilicet, p. 158.
Il Kurze nel Codex Amiatinus aggiunge anche la voce Radicophino. Cfr. anche “Minute nel fondo
del monastero di S. Salvatore al Monte Amiata” / Wilhelm Kurze. – In: «Scritti di storia toscana» /
Wilhelm Kurze; a cura di Mario Marronchi. – Pistoia: Società Pistoiese di Storia Patria, 2008. –
Scilicet, p. 256.
Nei Monumenta Germaniae Historica (d’ora in poi MGH) s’incontrano anche Radicofono,
Radicofoni e Radicofino.
Le molte varianti del toponimo sembrano, da un lato, non deporre a favore di una diffusa e
coerente frequentazione della località, anzi ne suggeriscono l’occasionalità percettiva non degna di
approfondimento.
D’altro lato, quando si passa a formulare ipotesi sul significato del nostro toponimo, composto
da due parti ben distinte, appare evidente, dalle molte grafie sopra esposte, che si è persa ben presto
la cognizione di entrambi i termini che compongono il toponimo e che ne dovrebbero spiegare il
senso: il nome proprio è scomparso dall’antroponimia, e il nome comune, che potrebbe comunque
ricordare, nella lingua alto-tedesca, o meglio ancora alto-bavarese, un oggetto, la kofenna, che è un
contenitore, una gerla, un corbello di vimini, ora detto Tragkorb. Cfr. «Althochdeutsches
Wörterbuch»: 5. überarbeitete und erweiterte Auflage / Rudolf Schützeichel. – Tübingen: Max
Niemeyer Verlag, 1995. – Ad vocem.
Sulle terminazioni in –kofen di toponimi bavaresi e della Svizzera orientale, cfr. «Archiv für das
Studium der neueren Sprachen und Literaturen»: XVIV Jahrgang, 34. Band / herausgegeben von
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Libri su Radicofani
Personaggi nati a R.
Renato Magi
Ludwig Herring. – Braunschweig: Druck und Verlag von George Westermann, 1863. – Scilicet, S.
468-469. “Charakteristisch für Baiern sind die Ortsnamen auf -kofen. In Altbaiern ist ein Mengkofen,
Teutenkofen, Zaizkofen, und auch Köfering wird in die Verwandtschaft gehören. In der Ostschweiz
finden sich die Ortschaftsnamen Böttigkofen, Dotzikofen, Dettigkofen, Heschikofen, Göttikofen,
Latigkofen, Zollikofen, und eine große Anzahl von Ortschaftsnamen auf kon, welches aus kofen
zusammengezogen, nicht etwa aus der lateinischen Endung cum entstanden ist.ʺ Disponibile su
Google Libri.
In italiano rimane soltanto il vocabolo cofano e il dialettale cofana, che esprime un contenitore
concavo e capiente, specialmente di cibo, mentre, dalle parti di Roma, esprime anche, forse un traslato
del primo senso, la crocchia raccolta sul capo dei capelli delle donne (fonte: Anna Marchesini del
disciolto trio comico Lopez, Marchesini, Solenghi) a ricordarci il lontano uso di tale termine.
Non escluderei, anche se è lectio difficillima, che la coniazione di quell’espressione presumibile
«Ratchis-kofen» potesse avere una base metaforica, dove il colle di Radicofani per la sua forma, che
appare ben distinguibile anche a distanza, quasi una catinella rovesciata, assume il senso ironico di
“corbello o cofano di Ratchis o anche cappello di Ratchis” o, ancora più comico, “crocchia o catinella
di Ratchis”, titolare, all’epoca della nascita del toponimo, del luogo e delle terre demaniali che
circondano l’altura. Tra tutte queste, prediligo “cappello di Ratchis” perché a un grande re si addice
un grosso cappello. Ma si tratta, ovviamente, di inferenze non dimostrabili, poco più di una serie di
boutades.
Dopo tutto, se il romantico William Hazlitt descrisse la notte passata a Radicofani “come essere
alloggiati in una nuvola: sembrava proprio la cuna delle bufere e delle tempeste”, penso che anche
l’interpretazione qui proposta abbia anch’essa una sua dignità immaginifica.
Dal libro “Radicofani e il suo Statuto del 1441”, più volte citato, a cura di Beatrice
Magi abbiamo altre spiegazioni della toponomastica del nome:
Secondo quanto narra il Vilifranchi, che fu medico condotto intorno al 1830, esso fu un tempo
chiamato “castello di San Pietro” a cui la terra è dedicata e sotto il cui titolo è dedicata la Chiesa
arcipretale.429
Tanto questo scrittore, quanto l’illustre storico Muratori ritengono che abbia poi ricevuto il nome
di Radicofani per essere situato alle radici di uno scoglio il quale, avendo la figura di un grande
cestone (quasi) rettangolare, fu detto per questo Montecofano (Radicofani)430.
In tempi più vicini a noi e quindi successivamente il parroco di Radicofani, appassionato
storico locale431, sostenne che il nome significava: “possedimenti del re Rachis”, derivando dalla
congiunzione dei due termini tedeschi “Rachis” e “hoffen =terre”: la sua tesi è avvalorata
dall’esistenza, ancor oggi, di località nel letto dell’Orcia dal nome: Terra del re, Terra della regina,
Pian del re (Planum regis, negli antichi contratti)432. Bisogna sottolineare, infatti, che quasi tutti i
territori di Radicofani erano di proprietà regia o imperiale.
Un’altra teoria è stata elaborata da Arturo Santioli433, per il quale “Radicophanum”
deriverebbe da due radici, una etrusca: rat (cima o punta) ed una latina: phanum (tempio o sacro).
Anche questa teoria sembra essere una spiegazione verosimile avvalorata dal fatto
che alla fine dell’Ottocento, vicino all’abitato, furono trovate 92 statuette votive
etrusche, oggi al Museo Etrusco di Firenze; ancora nel bosco “Isabella” si è trovata
una costruzione quadrangolare che sembra sia stata fatta dagli etruschi; inoltre, ed
il sito viene ricordato anche nello Statuto di Radicofani del 1255, vicino al Borgo
Castelmorro vi era un sito nominato “Viclano o Viclanus”. Tutto ciò può aver fatto
VILIFRANCHI, Lettera al Prof. Studiati, “Nuovo giornale pisano dei Letterati”, Anno 1832.
L. A. Muratori, Storia del Medio evo., Vol. IV, Dissert. 50, p. 567.
431
F. M. MAGRINI, La verità storica su Ghino di Tacco, cit., Rimini, 1987.
432
A. VERDIANI-BANDI, i CASTELLI DELLA Val d’Orcia e la Repubblica di Siena, cit., ristampa anastatica della II
Edizione, Montepulciano, 1973, p. 25.
433
A. SANTIOLI, L’Amiata-turismo storia e arte, Siena, 1984, p. 14.
429
430
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Libri su Radicofani
Personaggi nati a R.
Renato Magi
venire al Santioli la radice etrusca “rat”, il vocabolo latino “phanum” fa venire in mente
le statuine votive etrusche.
Visto che abbiamo parlato del bosco, non possiamo tacere il “Quaderno
dell’Archivio n. 3 – 1993” dell’Archivio Italiano dell’arte dei giardini del comune di San
Quirico d’Orcia:
IL BOSCO ISABELLA A RADICOFANI
(Un bosco tardoromantico)
A cura di Maria Mangiavacchi e Ettore Pacini
Editoriale donchisciotte
(finito di Stampare nel mese di Febbraio 1994 presso
Ed. Grafica l’Etruria Cortona – AR –
Odoardo Luchini, del quale parleremo più avanti in occasione dei personaggi nati
a Radicofani, volle fortemente la realizzazione del Bosco, in posizione dominante a ridosso
del paese a valle della casa padronale e del giardino di famiglia…………il bosco può in un certo
senso collegarsi agli ideali liberali del suo ideatore.
Da segnalare inoltre un ideale di solidarietà massonica che sottende la costruzione a confermare
l’alleanza tra antica aristocrazia locale e nuova classe borghese emergente…………….
Il bosco è un luogo in cui viene riproposto il gusto di una libera natura e svincolata da ogni
legame con l’uomo…… È stato creato artificialmente un ambiente naturale «organizzato» e
«migliorando» le realtà presenti sul luogo sul luogo che più incidevano sul paesaggio……
Caratteristico è soprattutto l’uso dei numerosi massi basaltici presenti sul terreno, molto spesso
lasciati così come sono o usati per erigere muretti a secco a sottolineare pendenze per costruire
gradinate. …. In tutto ben si inseriscono le rovine della fortezza di Radicofani distrutta nel 1555 dalle
truppe imperiali.
Le grotte inoltre, disseminate lungo i percorsi, sembrano antri naturali inserendosi perfettamente
nel paesaggio.
Vi è la costruzione della piramide dal significato chiaramente massonico, e la
costruzione rettangolare con grossi blocchi lunga 16 metri e larga 6 che sembra
essere una costruzione etrusca e di cui abbiamo accennato sopra. Poi vi è un grosso
masso che è chiamato «sasso bulletta» messo al centro di una conca sottolineata da
muretti e da un ponticello a secco e scalette dalle quali ci si arriva accanto. Prima
all’inizio di ogni vialetto vi era una grossa pietra a piramide sempre a ricordo del
simbolismo massonico.
Il Bosco per iniziativa di Matilde Luchini è stato dichiarato di notevole interesse
pubblico in base alla legge 11.06.1922 n. 778 art. 2 fin dal 1929. Veniva aperto al
pubblico in occasione di solennità patriottiche, come ricorda Alberto Luchini nel libro
citato sopra.
In base alla legge 1497 del 1939 è stato classificato con D.M. 23.05.1972 (G.U. 17.01.1973) fra
le bellezze naturali. È stato acquistato dal comune di Radicofani nel 1983 (atto di vendita in data 24
ottobre) per adibirlo a parco pubblico e nell’atto di vendita è fatta menzione che il nome di «Bosco
Isabella» venga conservato in perpetuo.
Il fatto che il comune abbia preso il bosco, secondo me, è stato l’inizio della sua
lenta ma inesorabile fine. Sono, infatti, cadute diverse piante, la forestale che ogni
tanto viene a ripulirlo, non taglia l’edera che strozza le piante e non fa nessuna
azione a che venga mantenuto com’è. Tutto quello che viene dato o venduto alla “cosa
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Libri su Radicofani
Personaggi nati a R.
Renato Magi
pubblica”, purtroppo, in Italia, con il tempo o muore o cambia destinazione; se non si
prendono i provvedimenti che esistono in altri paesi europei!
Nella penultima parte del libro vi si parla di: ipotesi di conservazione e restauro.
Ebbene a tutt’oggi non è stato fatto quasi nulla e in questa parte si parla delle cure
che questo tipo di strutture necessitano per essere mantenute ideali, ma fino ad oggi,
e sono passati vent’anni dalla pubblicazione del libro, è stato fatto ben poco delle
cose che elencate qui sotto!
Nel nostro caso è fatta salva l’integrità dell’intero complesso, che non ha subito grossi interventi
e rimaneggiamenti se non il taglio di alcune piante morte. L’edera poi ha coperto larga parte della
piramide, in molte zone ha coperto il terreno e le pietre a forma conica o prismatica che delimitano i
vialetti. La lettura del luogo viene compromessa e vengono nascosti alcuni degli elementi decorativi.
…………………La prima cosa è quella di tagliare gli alberi morti o quelli segnati da competizione.
Tagliare inoltre le robinie che si trovano nella parte bassa. Ripulire periodicamente dall’edera tutti i
sassi, le pietre e i manufatti che hanno funzione decorativa.
Qui sotto inserisco alcuni documenti di cui sono venuto in possesso e che, credo,
possono essere interessanti per avere un quadro più particolareggiato sul tema di cui
trattano.
Documenti che spiegano ancora di più quanto scritto sopra in riferimento alla chiesa di
Sant’Agata.
Questi documenti portano la firma di Nicoletta Innocenti datate 24 giugno 1996 e
che riguardano notizie intorno alla congregazione di Sant’Agata.
La tradizione orale, supportata recentemente da uno studio condotto da Don Ferruccio Marcello
Magrini, attribuisce la ragione della costituzione della Confraternita di Sant’Agata ad una regione
precipua.
Il XVIII sec. Fu per Radicofani un secolo particolarmente funesto a causa di numerosi e
violentissimi terremoti. Il primo si manifestò nei primi anni del 1700 per poi ripetersi con maggiore
virulenza nel 1727, nel 1740, nel 1764, nel 1776. I danni arrecati all’abitato di Radicofani durante il
terremoto del 1727 risultarono in gran parte irreversibili. Infatti, la primitiva struttura urbanistica
medievale risulterà, dopo la ricostruzione, fortemente modificata.
Era allora patrono di Radicofani, dal 1647, San Saturnino, protettore delle messi e dei raccolti,
ma evidentemente gli eventi luttuosi che avevano colpito Radicofani in occasione dei recenti
terremoti indussero la popolazione a chiedere la protezione della Santa di Catania. Fu così che il a
Agosto dell’anno 1727 nella Chiesa di San Pietro fu indetta un’assemblea generale, presieduta dal
Gonfaloniere e dal clero locale, nella quale fu stabilito che una rappresentanza di cittadini si sarebbe
recata in Sicilia per chiedere di poter ottenere una reliquia contenente un frammento delle ossa di
Sant’Agata. Il gruppo di uomini designati dall’assemblea, dopo aver ottenuto dal Vescovo di Chiusi
Monsignor Giustino Bagnesi un salvacondotto per l’attraversamento dello Stato Pontificio e del
Regno delle Due Sicilie, alla guida del Reverendo Giovanni Pompilio Bonamici, partì da Radicofani
il giorno della festa dell’Assunta nell’anno 1727.
(Archivio della Curia Vescovile di Chiusi – Filza 94B inserto I).
Cominciò cosi il culto di Sant’Agata che divenne patrona e protettrice della Comunità di
Radicofani particolarmente venerata per tutto il XVIII sec.
Per ottenere ulteriori informazioni intorno alla Compagnia di Sant’Agata occorre recarsi
all’Archivio della Curia Vescovile di Chiusi dove, all’interno dello “Indice Generale degli atti relativi
alla Pievania di Radicofani” troviamo un “Indice Cronologico della Cartella I – Congregazione di
Sant’Agata e San Saturnino” redatta alla fine degli anni Ottanta da Don Marcello Ferruccio Magrini.
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Libri su Radicofani
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Renato Magi
Ne pubblichiamo la parte relativa alla Congregazione di Sant’Agata.
ATTI RELATIVI ALLA PIEVANIA DI RADICOFANI.
INDICE CRONOLOGICO DELLA CARTELLA N° 1 – CONGREGAZIONE DI
SANT’AGATA E SAN SATURNINO.
Anni 1556-1612 – Memorie della Chiesa di San Lorenzo e del Convento dei Minori Conventuali.
Anno 1792 – Erezione della Via Crucis nella Chiesa di San Lorenzo Martire.
Anno 1793 – Dopo la soppressione della Chiesa e Convento Francescano per ordine del
Granduca Pietro Leopoldo di Toscana, la chiesa di San Lorenzo viene affidata alla Congregazione di
Sant’Agata eretta con Sovrano Rescritto in data 27 Marzo 1793.
La nuova Congregazione, composta da settantadue fratelli, redige un proprio STATUTO, nel
Maggio 1793, costituito da XX Capitoli.
Anno 1794 – Solo un anno dopo anche la Congregazione di Sant’Agata verrà soppressa dal
governo Granducale. Il popolo di Radicofani invia una supplica al Granduca e al Vescovo di Chiusi,
Mons. Giuseppe PANNILINI, chiedendo il ripristino della Congregazione. La domanda sarà accolta.
Anno 1799 – Benedetto TRONI di Pistoia venne incaricato dalla Congregazione di costruire un
nuovo organo per la Chiesa di Sant’Agata. Il costo è di 150 scudi d’argento fiorentini.
Anno 1800 – Angelo FONDI-UGURGERI, nobile senese proprietario della Villa dei PianiFondi, dona alla Chiesa di Sant’Agata un casalino, utilizzato come fienile e posto davanti alla chiesa
di Sant’Agata. Il casalino viene demolito per dare spazio e maggiore visibilità alla facciata.
Anno 1802 – Con l’autorizzazione del Vicario dell’Ordine dei Dominicani, viene eretta nella
chiesa di Sant’Agata la Confraternita del SS. Rosario, con obbligo di celebrare la Festa della prima
domenica di Ottobre.
Anno 1806 – Il Vescovo Giuseppe PANNILINI ordina con Decreto di trasferire l’Urna e la
reliquia di San Saturnino dalla Chiesa di Santa Maria Assunta alla Chiesa di Sant’Agata. Da un
documento originale del 1627 risulta che il Rev.mo Padre Maestro Giovanni PELLEI di Radicofani,
benemerito della Patria, aveva fatto dono ai suoi concittadini del Corpo di San Saturnino Martire
stabilendo che fosse conservato nella Chiesa di Santa Maria Assunta. Il Vescovo PANNILINI dispose
tale trasferimento perché il Consiglio della Compagnia dell’Assunta si era reso responsabile d’”
incuria e negligenza” nella custodia delle Sacre Reliquie. Durante la Visita Pastorale compiuta a
Radicofani il 13 Maggio 1804, il Vescovo PANNILINI dispose che la Reliquia in argento di
Sant’Agata, unitamente alla Statuetta e all’Urna di San Saturnino, venissero cancellate dall’Inventario
della Pieve di San Pietro e trasferite in quello della Congregazione di Sant’Agata. Nella stessa
circostanza, Mons. PANNILINI confermò la licenza di continuare nella Chiesa di Sant’Agata la
Novena del Santo Natale, da tenersi all’Alba, per comodità dei coloni residenti in campagna. Ancora
il 13 Maggio 1804, Mons. PANNILINI, su richiesta del Consiglio della Congregazione, accordò di
spostare alla seconda Domenica dopo Pasqua la festa anniversaria della Consacrazione dell’antica
Chiesa di San Lorenzo avvenuta il 6 Febbraio dell’anno 1557, perché coincideva con la Festa annuale
della Patrona di Radicofani.
Anno 1807 – Contrasti insorti fra il Pievano di San Pietro e il Direttivo della Congregazione di
Sant’Agata per la celebrazione di alcune Festività. Il Vescovo stabilisce per ciascuno dei contendenti
l’assegnazione delle rispettive Feste e Funzioni Sacre. Nello stesso anno 1807 vennero commissionati
agli artigiani Antonio ROSI e al figlio Eustachio nuovi candelieri di legno dorato con Crocefisso,
Carte Gloria, Scaletta per Massaie, Vasi da fiori, per un importo di scudi fiorentini Novanta.
Anno 1811 – L’Imperatore Napoleone Bonaparte ordina la soppressione di numerose comunità
religiose, fra le quali il Convento dei frati Cappuccini di Radicofani. Poiché in questo Convento si
teneva ogni anno per la Settimana Santa l’Esposizione del Sepolcro, il Direttivo della Congregazione
di Sant’Agata chiede ed ottiene dal Vescovo diocesano la facoltà di poter trasferire nella loro Chiesa
il Sepolcro del Giovedì Santo.
Anno 1814 – Quando il Granduca Pietro Leopoldo di Lorena espulse da Radicofani i Minori
Conventuali, il fabbricato adiacente alla Chiesa dell’ex Convento con l’annesso orto fu assegnato
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Libri su Radicofani
Personaggi nati a R.
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all’Arcipretura di San Pietro perché servisse come Casa Canonica del Parroco che, dopo i terremoti
del Settecento, era rimasto privo di una propria abitazione. Il Direttivo della Congregazione di
Sant’Agata reclamava i propri diritti sul fabbricato e sull’orto. L’Arciprete GORGONI fece ricorso
al Vescovo che obbligò il Direttivo a consegnare le chiavi al Parroco.
Anno 1817 – L’Oratorio della Madonna delle Nevi, annesso all’antico Spedale dei Pellegrini
ubicato all’inizio della strada che conduce alla Fortezza, apparteneva per diritto di Patronato al Regio
Ospedale di Santa Maria della Scala in Siena. A seguito della chiusura dello Spedale di Radicofani,
l’Oratorio delle Nevi venne abbandonato e minacciava rovina. In occasione della visita pastorale che
si ripeteva ogni tre anni, il Vescovo PANNILINI dette incarico a un sacerdote di Radicofani, Don
Paolo ROSSINI, di redigere una perizia per eventuali riparazioni. Risultata la spesa troppo onerosa e
non essendo più necessario al Popolo per la vicinanza del paese, l’Oratorio venne dissacrato ed il
titolo trasferito nella Chiesa di Sant’Agata con tutti gli arredi sacri e con obblighi di una messa ogni
Sabato e la celebrazione della Festa annuale nella ricorrenza del 5 Agosto. Il Decreto Vescovile fu
ratificato dal Cancelliere comunale Tommaso MAGNANI il 27 Gennaio 1817.
Anno 1827 – Il rettore pro-tempore della Congregazione di Sant’Agata, Don Francesco
MAGRINI, espose al Vescovo che a seguito della accresciuta popolazione e della domanda dei
cittadini che vogliono entrare a far parte della Congregazione, sarebbe opportuno elevare il numero
dei fratelli, fino ad allora circoscritto a settantadue membri, portandolo a cento. Si sarebbe in tal modo
evitato malcontento e rimostranze da parte degli esclusi. Il Vescovo Giacinto PIPPI accordò tale
richiesta ed aumentò il numero dei Fratelli in data 7 Luglio 1827.
Anno 1836 – L’Arciprete Don Giuseppe GORGONI fa presente al Vescovo che la Chiesa di
Sant’Agata, Patrona del Paese, è molto frequentata da parte dei Fedeli. Sarebbe pertanto desiderabile
che l’unico Altare esistente in questa Chiesa venisse insignito del titolo “Privilegiato”. Tale richiesta
venne concessa il 17 Dicembre 1836.
Anno 1868 – Domanda presentata nella consueta Adunanza generale della Congregazione che si
teneva ogni anno il 19 Marzo, festa di San Giuseppe. Angelo INSELMINI chiede di essere ammesso
a far parte della Congregazione prendendo il posto del padre defunto. L’INSELMINI, in caso di
elezione, s’impegna, nella sua qualità di muratore, a riparare gratuitamente il tetto della Chiesa ogni
qual volta ve ne sia bisogno.
Anno 1915 – Elenco e stima delle proprietà della Congregazione, già appartenenti al soppresso
Convento dei Frati Minori Francescani: Podere MARRANO (casa colonica di due vani con orto e
aia); Puntone delle PIANINI; Puntone delle CHIAVI; Assolata e PAICCIA; due vigne in PERTIME;
quindici pecore.
Totale della stima Lit. 327
Per ultimo aggiungiamo della Storia di Radicofani l’ultimo capitolo che è la storia
dell’ultima guerra mondiale e che il passaggio del fronte da Radicofani dette l’ultima
battaglia che si ricordi; aggiungiamo le fotografie del Cimitero Militare della località
“La Mossa”. Il 17 giugno a ricordo di questi eventi il Comune di Radicofani con altre
Associazioni Combattentiche dei Partigiani e Militari dei Carabinieri e con
Combattenti della Legione Straniera, venuti dalla Francia e dall’Italia fa una grande
manifestazione ripresa anche da gioirnali a livello locale e Nazionale.
BATTAGLIA DI RADICOFANI – (morte di Tassi e Magi)
Mentre accadeva che in tutta Italia i giovani si arruolavano con i Partigiani, anche Radicofani
veniva investito dall’incalzare della lotta ed il gruppo dislocato, al comando del carabiniere Vittorio
Tassi, aveva intensificate le proprie azioni in esecuzione dell’ordine trasmesso al comando.
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Libri su Radicofani
Personaggi nati a R.
Renato Magi
La reazione tedesca fu molto cruenta sia per l’importanza strategica del contrafforte sulle vallate
verso Siena, per il collegamento della Cassia, nonché per la possibilità di facile spostamento di mezzi
motorizzati che l’andamento del territorio consentiva a differenza degli altri nostri capisaldi.
Quindi quando la battaglia infuriava verso la Nuta e sul monte Cetona, divenne impossibile per
questo gruppo riunirsi agli altri.
Fu così che dopo varie azioni portate a compimento vennero catturati dei prigionieri fra i quali
il comandante Vittorio Tassi e Renato Magi i quali, trasportati a valle davanti alle Nute. Località Pian
del Re, dove infuocato si svolgeva lo scontro, il 16 giugno (il 17 giugno n.d.t.) stesso venivano qui
fucilati.
Il periodico “IL CARABINIERE” (aprile 1976 n. 4 XXIX°) così la descrive:
“quando il Tassi ed i suoi partigiani, dal loro osservatorio, avvistano in lontananza le colonne
tedesche che affrontano lentamente la ripida salita, ne danno immediata comunicazione al comando
Simar. Quest’ultimo avverte a sua volta il Comando Alleato che può così sviluppare le azioni dei
cacciabombardieri proprio mentre le unità germaniche percorrono il tratto più tortuoso della strada.
Terminata l’offensiva aerea, le forze partigiane di Tassi attaccano tempestivamente i Nazisti,
sorprendendoli nel momento più critico. Il puntuale rapporto fra i bombardieri e le azioni di guerriglia
causa al nemico perdite sensibili e continue. Per non far rilevare il dispositivo di resistenza, gli
attacchi vengono svolti in località sempre diverse e anche lontane da Radicofani.
Ma i tedeschi riescono ad individuare ugualmente la dislocazione dei Patrioti e decidono di
intervenire. Vogliono assolutamente neutralizzare la resistenza partigiana nella zona, sorprendendone
i componenti con un’azione concentrica. Alle ore 15 del 15 giugno 1944 consistenti formazioni
naziste, dotate anche di mezzi cingolati, attuano un massiccio rastrellamento nell’area compresa fra
Poggio al Fibbia e Poggio Casano. Tutte le case coloniche sono sistematicamente ispezionate, gli
abitanti perseguiti ed interrogati.
Ma il grosso delle forze germaniche punta minaccioso sul podere “Sterposi”. Il carabiniere
Tassi decide allora di impegnare col fuoco il nemico, onde permettere ai componenti della sua
formazione di sganciarsi. L’ azione si accende violenta, con ostinata durezza da entrambe le parti.
Tuttavia, di fronte alla superiorità in uomini e mezzi dei nazisti, Tassi è costretto ad ordinare il
ripiegamento: mentre egli con cinque volontari, tra cui il giovane Magi fronteggia coraggiosamente i
tedeschi, i suoi compagni riescono a disimpegnarsi infine e a sfuggire all’accerchiamento.
Successivamente sopraffatto e catturato insieme ai suoi, viene condotto a Poggio Casano. Sede
del comando germanico. Qui i prigionieri sono sottoposti a torture e a lunghi interrogatori. I nazisti,
minacciandoli di morte, vogliono assolutamente notizie sulla composizione e sulla dislocazione delle
bande partigiane operanti nella zona. Ma i patrioti rimangono sul diniego più deciso. Il carabiniere
Tassi, tuttavia, percepisce la gravità del momento: i suoi compagni per la loro giovane età, sono
particolarmente esposti al pericolo di crollare sotto le sevizie; un attimo di debolezza può comportare
la fine per i suoi compagni e l’annientamento della Simar. Allora, con piena consapevolezza della
sorte cui va incontro, dopo un ulteriore lungo interrogatorio, afferma che gli uomini catturati non
appartengono ad organizzazioni partigiane e rivendica soltanto a se la responsabilità delle azioni
compiute contro le unità germaniche. Riesce però, solo in parte a convincere i tedeschi, che caricano
su un camion gli altri patrioti per imprigionarli nelle carceri di Siena e trattengono lui e il Magi.
Il 17 giugno 1944 i nazisti, ormai convinti che i due prigionieri non parleranno, li conducono
in località Pian del Re, in Val d’Orcia. Qui fanno scavare loro una fossa. Quindi li legano insieme ad
un albero. Una squadra di SS li abbatte con scariche di mitra.
Dopo la ritirata delle truppe germaniche, gli abitanti di Radicofani recupereranno le salme e le
seppelliranno degnamente nel cimitero cittadino.
Alla memoria del carabiniere Tassi verrà concessa la medaglia d’oro al valore militare. Al
giovane Magi, che con tanto generoso coraggio aveva voluto seguire il Tassi, verrà concessa la
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Libri su Radicofani
Personaggi nati a R.
Renato Magi
medaglia di bronzo al valore militare. Costoro, assistiti negli ultimi istanti da un cappellano militare,
ebbero modo di scrivere ai propri famigliari il loro tragico destino.
Contemporaneamente alla battaglia sul monte Cetona, sul versante più a sud (verso l’Amiata)
reparti francesi tentavano di attestarsi su Radicofani dove si ebbero durissimi scontri.
Qui avanzava la 13^ semibrigata della Leg. Straniera, anch’essa facente parte della div. Francia
Libera, che trovò un’accesa resistenza prima di poter accedere alla imponente rocca di Gino di Tacco.
Dice il diario di guerra francese:
“La 1^ D.F.M. era bloccata sulle alture a due Km. Da Radicofani (in codice quota 896). La 1^
brigata riuscì a distruggere 3 carri Tigre. La 4^ brigata occupava S. Casciano”.
“Solo al mattino del giorno 18 veniva sferrato l’attacco a Radicofani con durissimi scontri strada
per strada. In questa lotta cadeva il Col. Laurent Champrassey Comandante il 1° R.A.D. Nella lotta i
tedeschi contrattaccarono con carri armati e la lotta si fece più serrata. Alla fine 90 soldati e due
ufficiali tedeschi restarono prigionieri delle truppe francesi” (Rif. a pag. 37 – I francesi a Siena).
Avevano resistito all’attacco reparti del 67° Panzer Granadier Regiment ed al Maggiore
Radgens comandante della piazza era stato ordinato di “battersi fino all’ultima cartuccia”.
Tuttavia i reparti francesi. Altrettanto determinati, dopo aver distrutto i mezzi corazzati, come
avevamo avvisato dalle nostre postazioni del Cetona, presero d’assalto il paese con scontri condotti
casa per casa e quindi gli ultimi superstiti si arresero consentendo la totale occupazione del cocuzzolo
e del castello il pomeriggio del 18 giugno 1944. il maggiore Radgens anziché arrendersi preferì
suicidarsi.
Anche la cronaca raccolta da Claudio Biscarini su “Vicende belliche in terra di Siena 19431944” così la descrive:
“Dalla valle del Paglia verso Radicofani, la divisione motorizzata di Brosset stava conducendo
un’accanita battaglia con gli uomini della 26^ Panzer di Crasemann. L’avanzata di Brosset era iniziata
il 15 giugno quando alcuni elementi blindati avevano raggiunto e sorpassato il Paglia ed erano arrivati
a lambire la rotabile Radicofani. San Casciano Bagni. La cittadina di Radicofani, con la sua
imponente rocca, dominava all’epoca, il passo omonimo sulla Cassia. Come ricorderemo, la 1^
divisione, era suddivisa in due raggruppamenti detti Est e Ovest. La resistenza dei granatieri
germanici era fortissima. I due raggruppamenti incontrarono sulla loro strada anche elementi dell’11°
Reggimento, 4^ divisione Paracadutisti; li ritroveremo più avanti. L’avanzata procedeva con
difficoltà fra i campi di mine, interruzioni stradali e sotto i tiri della onnipresente artiglieria avversaria.
Il 16 giugno il Raggruppamento Est (4^ Brigata) progettava un’azione su Celle sul Rigo e S. Casciano
Bagni che avrebbe viste impegnate alcune unità del battaglione di fanti di Marina del Pacifico e del
21° Battaglione di marcia raggiungeva Celle sul Rigo e si attestava a difesa. Elementi della
ricognizione venivano presi sotto il tiro degli 88 mm. tedeschi.
L’artiglieria tedesca attivissima, batteva anche la Cassia infliggendo perdite al 2° battaglione
della Legione Straniera. Il 17 giugno vedeva le unità di ricognizione del raggruppamento Ovest
arrancare per tre ore sulla Cassia onde raggiungere le posizioni d’attacco. La 1^ Brigata arrivava a 2
km a sud di Radicofani. Gli avversari erano ben trincerati. L’aereo di appoggio all’artiglieria alleata
comunicava che erano appostati, verso Radicofani, ben tre carri Tigre. Alcuni Tank Destroyer dell’8°
Reggimento Cacciatori d’Africa li distruggevano su segnalazione dell’aereo.
Spesso saranno proprio questi piccoli velivoli, artiglierie flieger come li chiamavano i tedeschi,
onnipresenti in cielo a risolvere critiche situazioni. Il raggruppamento Est iniziava ad avanzare su S.
Casciano. La cittadina venne presa alle 7:00 del 17/6/1944 dal Battaglione di Fanti di Marina del
Pacifico che si spingeva fino a Poggio Crispino catturando alcuni mezzi e non poche armi
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Libri su Radicofani
Personaggi nati a R.
Renato Magi
abbandonate dai tedeschi. A sera tutti gli obbiettivi erano stati raggiunti e il servizio informazioni
francese rilevava, pericolosissimi, alcuni carri pantera. Erano stati respinti, l’avversario concentrava
le sue forze in alcuni punti riuscendo a conquistare monte Calcinaio che veniva però ripreso
successivamente nel contrattacco.
Il 24° battaglione di marcia raggiungeva a sera, Fontevetriana. Dall’alto di Radicofani e di
monte Calcinaio i francesi potevano scorgere la piana dell’Orcia ma, oramai, il tempo della divisione
di Bosset era finito. Stavano arrivando i marocchini della 2^ divisione di André Dody e sarebbero
stati loro ad attaccare la Frieda. I tedeschi segnalavano: sulla Cassia forte movimento di mezzi
motorizzati in direzione nord.
Le forche caudine erano passate.
EPOPEA DELLA 13^ D.B.L.E. – CAMPAGNA D’ITALIA
(Demi …. Lègionaire Etrangère)
La 13^ ha ricevuto l’ordine di aprire la via alle truppe alleate dirette a Nord.
Il 17 giugno 1944 il 1° B.L.E. arriva nelle vicinanze di Radicofani, davanti a Torre Colle (Tre
Colle?) porta d’ingresso in Toscana. Nel corso della giornata, i Legionari, hanno i primi
combattimenti durante i quali catturano 10 soldati nemici.
Radicofani 18 giugno 1944.
Il Comune di Radicofani è presidiato da elementi del 26° e 29° Panzer grenadiere Divisionen e
del 3° Reg. Paracadutisti.
La difesa del Borgo è ben organizzata, soprattutto all’entrata nel grande Palazzo del “Podestà” e
nel Torrione che domina tutta la pianura circostante dall’alto dei suoi 896 mt. Il Palazzo del Podestà
costituisce un primo importante osservatorio per il Maggiore RADGENS che comanda il presidio;
dispone di 12 mitragliatrici e di due cannoni da 75 PAC e di 3 carri armati Panzer come artiglieria.
Forze alleate di appoggio cominciano l’accerchiamento della Zona da Est. Il 1° Batt: L.E. si avvia
il villaggio. Sono le ore 09,00 del 18/6/44. Il Comandante De Serigné dovrebbe essere appoggiato da
carri armati e dall’artiglieria Divisionale. La foschia mattutina favorisce il dispiegamento della 2^ e
3^ Cia che procedono in testa. Ma la manovra di avvicinamento del Gruppo blindato dell’8° Reg. dei
Cacciatori d’Africa è ostacolato. I carri armati non possono lasciare la strada senza il pericolo di
impantanarsi e non possono procedere sulla stessa che è completamente minata e battuta
dall’Artiglieria nemica.
Il fuoco nutrito di armi automatiche blocca completamente la colonna blindata a trecento metri
dalla casa del Podestà.
Alle ore 09.00 esatte. I Legionari attaccano. Il tiro delle mitragliatrici Breda impedisce alla 3^
Cia di avanzare.
Il suo comandante, il Cap. De LUSANCAY è ferito al braccio, Bisogna, assolutamente, ad ogni
costo, neutralizzare 4 nidi di mitragliatrici da 20 mm che difendono il Fortino.
Il S/Ten POIREL, dando prova di audacia, con 6 Legionari, tenta di introdursi nella casa
fortificata. Il movimento del Commando sfugge alla sorveglianza dei difensori. I Legionari riescono
ad introdursi nella fortificazione ed occupano tutta la casa. In pochi minuti la Guarnigione, valutata
a più di 100 nemici si arrende. Il Maggiore RADGENS non sopporta questa umiliante sconfitta. Verrà
trovato suicida, nella soffitta, con una pallottola in testa.
Questo magnifico colpo di mano permette alla 2^ Cia di attaccare, frontalmente, il Villaggio.
A sua volta, nel primo pomeriggio, il S/Ten. JULLIAN, il cui coraggio temerario è già leggenda,
si impadronisce del Torrione. Infatti scala, con i suoi Legionari, lo stretto sentiero roccioso che parte
dal Borgo. Con la sua consueta foga non esita ad entrare da solo nella Torre che espugna con le bombe
a mano. Durante l’azione si trova faccia a faccia con 7 soldati nemici che cattura. Alle 17.00 non c’è
più resistenza.
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Libri su Radicofani
Personaggi nati a R.
Renato Magi
Questi combattimenti furiosi sono costati cari al nemico che, oltre i morti, lascia sul terreno anche
115 prigionieri.
Dura, ma gloriosa giornata per il 1° Batt. della 13^. D.B.L.E. Le azioni eroiche si sono succedute
a ritmo incalzante.
I Legionari, sempre degni dei loro energici ed intrepidi Comandanti hanno rivaleggiato d’audacia.
La loro tradizionale disciplina al fuoco ha contribuito, in maniera decisiva, a scardinare la difesa di
Radicofani ed aprire, così, la via alle truppe alleate in marcia verso nord.
RENATO MAGI
Di anni 18 – muratore – (aveva fatto domanda di entrare nei corpo dei carabinieri aiutato, forse
dal suo amico Vittorio Tassi) nato a Radicofani l’8 settembre 1925 -. Dai primi di marzo appartenente
alla formazione operante, sotto il comando di Vittorio Tassi, nella zona di Radicofani -. Sorpreso il
15 giugno 1944 da pattuglia tedesca e trovato armato di bombe a mano -. Condotto nei pressi della
cantoniera detta “Vittoria”, lungo la strada Radicofani-Chianciano -. Fucilato da plotone tedesco, alle
ore 7 del 17 giugno 1944, con Vittorio Tassi.
Questa la lettera scritta, prima di morire, inserita nelle lettere dei condannati a morte della
resistenza europea e nel libro di esempio di lettere di MARINO MORETTI – DOMENICO
CONSONNI “LINGUA MADRE” Grammatica Italiana moderna per le scuole Medie – Società
Editrice Internazionale – Torino – Ristampa Ottobre 1957 – Pag. 333.
Nel libro sopradescritto viene presentata con questa dicitura: lettera alla mamma scritta pochi
minuti prima di morire. È necessario dirti che non vuol essere solo un esempio di lettera?
Strada Radicofani-Chianciano, 17 giugno 1944.
Cara mamma,
Oggi 17 alle ore 7, fucilati innocenti. La mia salma si trova di qua dalla scuola cantoniera dove
sta Albegno, di qua dal ponte. Potete venire subito a prendermi.
Mi sono tanto raccomandato, ma è stato impossibile intenerire questi cuori. Mammina, pregate
per me, dite ai miei fratelli che siano buoni, che io sono innocente. Mentre scrivo ho il cuore secco,
mamma e babbino cari, venite subito a prendermi.
Dite alla cara Maria che sia buona, che io la ho voluto tanto bene e che si ricordi di me. Abbiamo
dieci minuti ancora.
Baci, a tutti per sempre. Sono il primo. L’anello datelo alla mia Maria che lo tenga per ricordo.
VITTORIO TASSI
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Libri su Radicofani
Personaggi nati a R.
Renato Magi
Di anni 41 – carabiniere – nato a Radicofani (Siena) il 1° maggio 1903 – comandante di una
formazione partigiana operante nella zona di Radicofani, sulle montagne di Cetona e lungo la via
Cassia, effettua colpi di mano su colonne tedesche – In seguito alla cattura, da parte di una pattuglia
tedesca, di Renato Magi, partigiano nella stessa formazione, si espone, nel tentativo di scagionarlo,
al punto di scoprire le proprie responsabilità -. Condotto nei pressi della cantoniera della Vittoria,
lungo la strada Radicofani – Chianciano -. Fucilato da plotone tedesco, alle ore 7 del 17 giugno 1944,
con Renato Magi -. Medaglia d’oro al valor militare.
Cara Olga,
oggi 17 alle ore 7 fucilati innocenti la mia salma si trova di qua dalla scuola o cantoniera dove
sta Albegno.
Cara Olga Ti raccomando i nostri figli confortali e vogliagli bene quanto gliene volevo io secondo
mio ultimo desiderio io direi di non risposarti più però fai secondo di come saranno le tue possibilità
finanziarie.
Come ti ripeto tu puoi prendere la mia salma anche a mezzogiorno di quest’oggi stesso, io mi
sono tanto raccomandato ma è stato impossibile intenerire questo cuori. Perdonami se qualche volta
sono stato cattivo con te ma ti faccio presente che ti ho sempre voluto bene.
Cara Mamma,
Vi raccomando di aiutare mia moglie e i miei figli quanto più potete, perdonatemi di tutto, Vi
bacio.
Vostro Vittorio morto innocente
Cari suoceri anche voi aiutate e sorvegliate i miei figli e specie oggi in questo giorno difficile.
Mia cara Olga avrei tante cose da dirti ma non posso più scrivere perché ho il cuore secco. Dirai
a tutti perché sono morto se Iddio vuole ci rivedremo in cielo e di lì non ci separeremo più.
Caro Ercole sii buono e ubbidiente e ricorda spesso il tuo babbo.
E tu cara Anita sii buona a fai la ragazzina per bene che Iddio ti aiuterà.
Vi bacio tutti per l’ultima volta.
Vostro Vittorio che muore innocente
detti orologio e portafoglio a Beppino
gli stivali li lascio a Ercole
dirai a Remo che muoio io e Renato soli con il nostro segreto.
Tutte e due le lettere sono state pubblicate sia sulle “Lettere dei condannati a morte della
Resistenza” sia sui Condannati a morte della Resistenza Europea.
Qui sotto le foto del cippo della Legione Straniera e il cippo dove furono fucilati i
partigiani:
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Personaggi nati a R.
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Renato Magi
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Personaggi nati a R.
Renato Magi
LO STATUTO
DEL COMUNE DI RADICOFANI DELL’ANNO 1255
“Bullettino Senese di Storia Patria”, 42 (1935).
La traduzione dal latino di questo statuto è stata curata da Don Ferruccio
Marcello Magrini, che conosciamo per i libri che ha scritto su Ghino di Tacco, grazie
ai documenti del Cecchini che gli fece avere l’autore del presente libro, il quale ha
curato le aggiunte in corsivo, con questo carattere e sottolineato. Si riporta, qui di
seguito, sia l’originale che la traduzione.
Prima, però, di riportare lo statuto riportiamo anche le considerazioni che il Piattoli
ha fatto in prefazione nel suo articolo sul “Bullettino Senese di Storia Patria” dove è
stato edito:
Il possesso del castello di Radicofani rimase incontrastato alla badia di S. Salvatore
dell’Amiata434 fino al momento in cui cominciò a divenire sensibile l’influenza del comune di Siena,
forte della donazione della sesta parte del castello (e del borgo) fattagli nel marzo 1138 dal conte
Manente di Pepone435. Ma la non lieta avventura dell’abate Ranieri, subita nel luglio 1145 sotto la
pressione dell’esercito senese, per cui in certo modo egli dovette riconoscere la supremazia di Siena
su Radicofani436, agevolò la cessione della metà del paese a papa Eugenio III nel maggio 1153437.
Così ad un vecchio padrone vacillante e ad un padrone probabile assai prossimo si sostituiva una
potenza lontana e spesso immersa in faccende che la tenevano distratta dal pensare al piccolo
possesso, favorendo lo sviluppo di un’organizzazione comunale.
Nel 1256 Radicofani con Proceno ed Acquapendente dipendeva da un castellano sottoposto al rettore
del patrimonio di San Pietro (alla metà del XIV° sec. Il castellano era Dino da Radicofani)
in Toscana438. La sua giurisdizione non si limitava alle fortificazioni, comprendendo tutti i diritti sui
territori, ma siccome Radicofani allora era retta da un podestà coadiuvato da un consiglio e agente
secondo una carta statutaria redatta dai rappresentanti dei comunisti, ne indurremo che il castellano
deteneva i diritti feudali e fors’anche nominava i podestà nei centri che avevano ottenuto dal pontefice
un’autonomia amministrativa.
Ignoriamo quando in Radicofani cominciarono a vivere organismi che preludessero al Comune; ad
ogni modo nei frammenti che studieremo si parla di un privilegio pontificio, che concedeva agli
abitanti di non essere convenuti fuori dal territorio. Di quì la concessione legittima di uno statuto e
del suo esecutore, il podestà. Pertanto non anteriormente al 1153 si sarà costituito il Comune, il che
coincide con la caduta dei poteri diretti dell’abate Amiatino.
Il più antico statuto intiero della comunità di Radicofani pervenutoci appartiene al 1397 (1441),
quando il castello, pur rimanendo nel patrimonio pontificio, era sottoposto alla protezione di Siena439.
Riescono quindi interessanti, ed occupano un posto non disprezzabile nelle redazioni statutarie dei
comuni Toscani i frammenti che noi abbiamo rintracciato mentre costituivano la guardia di un codice
della Biblioteca Forteguerriana in Pistoia440, e che appartengono al 5 novembre 1255.
Le più complete notizie intorno alla località si trovano, oltre che nell’opera fondamentale di A. VERDIANI BANDI,
i Castelli Della Val d’Orcia e la Repubblica di Siena, II ed. Siena, 1927, presso il Dizionario geografico, fisico, storico
della Toscana di E. REPETTI, IV, pag. 709 sgg. e presso O. BICCHI, Radicofani, in «Bull. Senese di Storia Patria»,
cit., XIX (1912), pag. 123 e sgg.
435
Il Caleffo Vecchio del Comune di Siena, a cura di G. CECCHINI, I, pag. 34 n. 34. – Egli era dei Manenti visconti di
Campiglia: cfr. VERDIANI-BANDI, pag. 34 e 36.
436
Il Caleffo Vecchio cit., pag. 57, n. 42. – Cfr. anche VERDIANI-BANDI, PAGG. 36-37.
437
KEHR, Regesta Pontificum Romanorum, III, pag. 241, n. 14. – anche VERDIANI-BANDI, pag. 37.
438
REPETTI, IV, pagg.710-11.
439
ARCHIVIO DI STATO IN SIENA, Statuti, n. 104.
440
Porta la numerazione D-310.
434
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Libri su Radicofani
Personaggi nati a R.
Renato Magi
L’opera a cui i frammenti trovansi uniti sono le «Sententiae» di S. Bonaventura, in origine distribuite
in quattro volumi; ed è il quarto che li contiene, in fine. Le carte di guardia al principio del detto
codice e dell’altro volume rimasto furono sottratte in epoca non troppo remota; cosa per noi dannosa,
in quanto non improbabilmente contenevano altre parti dello statuto. Ne possiamo dedurre che l’opera
giunse al convento Francescano di Giaccherino presso Pistoia, donde alla soppressione napoleonica
fu tolta, da Siena o dal territorio Senese, se pure non ebbe la prima sede nel convento dei frati Minori
di Radicofani. Né è da dimenticare che i frati di S. Francesco furono in diversi centri i depositari
delle carte comunali.
I frammenti sono contenuti in due carte, che costituivano il primo foglio dell’ultimo quaderno, - in
senso lato, - dello statuto. Non essendo le rubriche numerate, è impossibile arguire il numero dei fogli
deperiti del quaderno. La scrittura è a piena pagina; i titoli delle rubriche, in inchiostro rosso, furono
collocati dove tornava meglio rispetto allo spazio disponibile. In inchiostro rosso sono pure le lettere
iniziali di ogni singola rubrica, ed il notaio che scrisse il testo segnò all’estremità del margine di
sinistra tali lettere per ricordarsene nel porle a suo luogo in inchiostro rosso.
Per comodità degli studiosi abbiamo dato in parentesi quadra una numerazione progressiva alle
rubriche giunteci intere o frammentarie sia per la mancanza degli altri fogli, sia perché, per adattarla
al codice, la pergamena fu tagliata nella parte inferiore asportando l’ultima linea di scrittura nella
prima carta : nella seconda il danno è stato insussistente, essendo mancante solo il margine, ma in
questa ha reso lacunoso il testo in qualche parte lo strappo di una sottile striscia di membrana al centro
della metà inferiore della carta.
Sono sopravvissuti 68 paragrafi dello statuto, un complesso quindi non indifferente di disposizioni.
Da esse si trae qualche notizia sull’assetto burocratico del piccolo Comune. Al suo vertice stava la
curia comunis presieduta dal podestà, dal giudice e dal camarlingo, con a disposizione uno o più
messi. Gli abitanti esprimevano la loro opinione attraverso il consiglio ed il parlamento. Vigilavano
l’osservanza dello statuto nelle campagne sei campari. Per la dispersione degli uomini del comune in
centri diversi (Borgo Maggiore, Castello, Castelmorro, Bonmigliaccio), in ognuno di questi erano
stretti in societates con a capo dei suprastantes. Noi dubitiamo che l’ambito dei gruppi di società
fosse limitato alla parrocchia; e che ognuno rappresentasse un piccolo comune entro il più grande
retto dal podestà. Certamente le societates preesistettero al grande comune, ma dovettero essere pochi
i loro gruppi, non più di quattro. Infatti tre sole chiese a Radicofani ricordano le liste delle decime
ecclesiastiche del 1275-76: la pieve di S. Giovanni (Battista) e le chiese di S. Andrea e di S.
Pietro441. Ora, se S. Andrea esercitava i ministeri parrocchiali per gli uomini di Castelmorro, e S.
Pietro per quelli di Borgo Maggiore442, ne rimane che la pieve era situata al Castello443. Però lo statuto
al modo che ricorda i suprastantes di Bonmigliaccio, così dispone anche la costruzione di una chiesa
in quella località, cosa che al 1276 ancora non era realizzata e forse non lo fu mai. (Invece nello
statuto del 1441 la chiesa di S. Giovanni era stata costruita e lo si ricorda quando si
parla dell’elezione dei sacrestani nelle principali chiese del Comune)444.
Sorto in un mondo schiettamente feudale, ed intralciato dai diritti feudali spartiti tra la badia di S.
Salvatore, il Comune di Siena, la Chiesa Romana, e anche qualche stirpe di signori, il Comune di
Radicofani non potette esplicare azione durevole sui territori circostanti né prosperare
rigogliosamente liberandosi dei legami che lo avvincevano. Rimane il ricordo di un patto con la
abbazia di S. Piero in Campo dagli abitanti di Radicofani rappresentati da Avveduto notaio: non
erreremo ponendolo intorno al 1235, anno in cui il medesimo Avveduto stipulò un accordo con il
441
Cfr. Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV, I, Tuscia, a cura di P. GUIDI, Città del Vaticano, pagg. 122,
125, 127, 128 e 129.
442 REPETTI, IV, pag. 710.
443
REPETTI, IV, pag. 711, sembra identificare la chiesa di S. Pietro con la pieve di S. Giovanni, ma, come abbiamo
visto, nel sec. XIII erano due enti distinti. La seconda alla sua soppressione, - che non ci risulta in qual epoca avvenisse
– fu trasferita nella prima.
444
B. MAGI Radicofani e il suo statuto del 1441, E. Cantagalli, Siena 2004, Rubrica 8, pag. 91 (Nota aggiunta
dall’A.).
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sindaco di Siena in occasione dei danni riportati dagli uomini del suo comune da parte dei fuorusciti
di Montepulciano uniti ad alcuni masnadieri senesi445.
Termineremo questa nostra breve disamina accennando al numero rilevante di ospedali sparsi nel suo
territorio: allo spedale di Spineta dell’omonima badia446 e a quello di Fonte Cecola si
accompagnavano gli spedali di S. Maria e di Bonagiunta. Ciò si spiega con il passaggio per la zona
dell’antica via Francesca: ivi riposavano i viandanti e i pellegrini stanchi, portando i fermenti delle
idee nuove, i cui rappresentanti maggiori, i frati di S. Francesco, avevano creduto opportuno anche
fermarsi447. Così accanto alle vecchie badie ricchissime, e di contro ad esse, si posarono i poverissimi,
tentando di farle crollare. Insieme sorse dai fedeli dei feudatari, dai liberi, una classe nuova conscia
della sua cultura e della sua forza. E noi additiamo l’esponente massimo che essa ebbe in Radicofani
in uno degli estensori del nostro statuto, messer Guasta, i cui nepoti omonimi si coprirono di fama
servendo l’uno armato, il comune di Firenze, impadronendosi l’altro della signoria della propria
patria448, sì da occuparvi il posto un giorno tenuto dal dantesco Ghino di Tacco.
R. PIATTOLI
[I].
…………………poterit, teneatur potestas manum percussoris cum qua dapnum, percussionem vel
feritam dederit, facere amputari, exceptis minoribus, xiiii. annis, qui pro malefitiis puniantur arbitrio
consilii, nisi quis talia fecerit ad sui defensionem.
Articolo 1°
………Il Podestà è tenuto ad ordinare l’amputazione della mano di ogni persona responsabile di aver
recato un danno, una percossa o una ferita, a meno che l’offesa sia stata compiuta per legittima difesa.
I minori di quattordici anni saranno esentati dal taglio della mano, e la loro condanna verrà stabilita
ad arbitrio del Consiglio.
[II].
De pena malifitiorum commissorum (a)449 in curia et certis locis.
Quicumque aliquod malifitium commiserit in curia comunis Radicofani coram potestate vel iudice et
camerario, vel in parlamento, consilio, nuptiis (b), vel ad murtuum (c) seu ostem vel cavalcamento
(c), penam dupli solvere teneatur pro maleficio commisso et declarato per capitula costituti, nisi hoc
fecerit ad sui defensionem. Et si dictam penam solvere non possit, amputetur ei caput.
Articolo 2°
Titolo: Pena per i crimini commessi nella Curia (Palazzo Pretorio) e in altri luoghi adibiti a pubbliche
adunanze. (La pena per crimini commessi nella Curia e in certi luoghi)
Chiunque avrà commesso una qualsiasi violenza nella Curia del Comune di Radicofani alla presenza
del Podestà, del giudice e del Camarlingo (amministratore), oppure durante il Parlamento, il
Consiglio, la celebrazione di un matrimonio o di un funerale, o anche in una osteria o sulla pubblica
strada, dovrà risarcire il doppio del danno arrecato e riconosciuto dai capitoli dello Statuto, purché
non si tratti di legittima difesa personale.
445
BICCHI, PAG. 132.
Dalle rubr. XL e LVI sembra sorgesse nel Borgo Maggiore.
447
La rubr. XLII parla del luogo dei frati Minori; pertanto la data 1257, desunta dal REPETTI, IV, pag. 713, da una
lapide sulla facciata di S. Agnese, più che all’edificazione del convento, va attribuita ad un’ampliazione o ad un
rifacimento.
448
REPETTI, IV, pag. 713; BICCHI, pagg. 140-41, 172; VERDIANI-BANDI, pag. 74.
449
- a) commissis. – b) così A, per numptii – nunzi, messi, - c) così A. –
446
195
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Nel caso che il condannato si trovi nell’impossibilità di pagare la multa assegnata dal Giudice, gli
sarà tagliata la testa.
[III].
De percussione cum manibus et spentis et eorum pena.
Quicumque alicui dederit alapam, boccatam vel pugillum, si sanguis exierit, pro pena .x. libras, et si
sanguis non exierit, .c. soldos; et si ceperit eum per capillos iniuriose, solvat pro pena .c. soldos; et si
dederit spentam et non ceciderit, solvat .xx. soldos, et si ex predictis percussionibus et iniuriis
ceciderit in terram, solvat pro pena .c. soldos ; et si post casum molestaverit eum faciendo plus iniurie,
solvat pro pena .x. libras.
Et hec locum non habeant inter patrem et filium, dominum et servientem, inter frates carnales et
personas coniuntas hunius (c) familie vel divise.
Articolo 3°
Titolo: Percosse arrecate con l’uso delle mani o spingendo a terra l’avversario. Elenco delle pene.
Chiunque avrà dato uno schiaffo, o inferto un pugno sulla bocca ad altra persona, incorrerà nelle
seguenti ammende: se si produce un’emorragia, si dovranno pagare 10 libbre (moneta di rame); se
invece non consegue spargimento di sangue, la pena sarà ridotta a 100 soldi.
Qualora una persona venga gettata per terra, il responsabile della spinta dovrà pagare 100 soldi.
Se una donna insulterà la sua nemica afferrandola per i capelli, la pena stabilita sarà anche in questo
caso di 100 soldi.
Nell’eventualità che le ingiurie e le percosse risultino cumulative, l’ammenda complessiva
assommerà a 10 libbre.
Le pene sopra descritte non verranno applicate nel caso che la lite o le percosse avvengano tra padre
e figlio, tra il padrone e il suo servitore, come pure tra persone appartenenti alla stessa famiglia.
[IV].
De assalimento et eorum (d)450 pena.
Si quis aliquem assaliverit iniuriose cum armis ad domum suam, solvat .x. libras pro pena, et omnibus
et singulis cum (e) ipso euntibus tollantur .c. soldi. Et si alibi assaliverit, perdat .xx. soldos, si clarum
fuerit, et si asque armis assaliverit, solvat .x. soldos, et totidem solvat quilibet qui cum eo iverit.
Articolo 4°
Titolo: Violazione di domicilio e pene rispettive.
Chiunque si renda colpevole di violazione di domicilio, penetrando armato nell’abitazione altrui,
dovrà pagare un’ammenda di 10 libbre.
Se la violazione verrà compiuta da più persone insieme, ciascuna di esse è tenuta a versare la somma
di 100 soldi.
La pena è ridotta nel caso che la violazione a mano armata si verifichi in luogo diverso dall’abitazione.
(E se l’assalto viene fatto in un altro luogo, la pena sia di 20 soldi, se tutto è stato
manifestato chiaramente, e senza le armi, e 10 soldi ciascuno quando sono più
persone).
[V].
De evaginazione (a2) armorum et eorum pena.
450
- d) evidentemente, il pronome si riferisce ai possibili delinquenti. – e) segue espunto eo. – a2) evaginatione. -
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Si quis contra aliquem iniuriose evaginaverit spatam, falgonem, cultellum, aut ceperit lanceam seu
spedum, mazam aut alia arma malitiosa, perdat .xx. soldos, si clarum fuerit, et si asque armis
ammenaverit manu, perdat .x. soldos.
Articolo 5°
Titolo: uso illegale delle armi e relative pene.
Se qualcuno minaccerà altra persona sfoderando la spada, afferrando un coltello, impugnando una
falce, una mazza o qualsiasi altro strumento offensivo, dovrà pagare 20 soldi.
Nel caso che la minaccia sia portata senza armi, la pena sarà ridotta a 10 soldi equivalenti alla metà.
[VI].
De pena intrature domus alterius.
Quicumque malitiose vel furtive intraverit de notte domum alterius vel sine licentia domini domus ,
solvat pro pena, .xxv. libras, et si de die .x. libras, et restituat quod ecceperit vel astulerit. Quam
penam si solvere non poterit, puniatur arbitrio potestatis, si capi poterit, alias autem exbanniatur.
Articolo 6°
Titolo: Pena per furto perpetrato in casa altrui. (Punizione per essere entrato nella casa
altrui).
Chiunque s’introduca di notte nella casa di altri in maniera furtiva e senza l’autorizzazione del
proprietario allo scopo di rubare denaro o altri oggetti, dovrà restituire tutto ciò di cui si è
impossessato ed in più pagare un indennizzo di 25 libbre, Se il fatto è successo di giorno oltre
a restituire, come sopra, tutto ciò di cui si è impossessato, dovrà pagare un
indennizzo di 10 libbre.
Se il ladro non è in grado di pagare la forte somma dovuta, il podestà può permutare la cifra con altra
pena proporzionata, e qualora si renda latitante verrà bandito dal territorio del Comune.
[VII].
De intratura vinee, orti et capanne, et pena eorum.
Quicumque fregerit vel malitiose intraverit capannam 451(b), ortum aut vineam alterius causa tollendi
inde aliquid invito domino, perdat de note (c) .x. libras et de die .c. soldos. Idem intelligatur de
posticiis. Et penam solvat qualibet vice et da(n)num emendet ; et stetur exinde dicto et iuramento
denuntiantis cum unico teste, exceptis .vi. campariis, quorum cuilibet eorum denuntiationi credatur
sine aliquo teste.
Articolo 7°
Titolo: Pena per furto commesso in una vigna, in un orto o in una capanna. (Punizione di chi entra
nelle vigne, negli orti e capanne e relative pene).
Chiunque penetri deliberatamente dentro il recinto di una vigna, di un orto, o scardini la porta di una
capanna con l’intenzione di asportare qualcosa contro la volontà del padrone, sarà punito con una
pena di libbre 10 se l’infrazione sia compiuta di notte e con 100 soldi se il furto avvenga di giorno.
La stessa pena verrà applicata nel caso che risulti forzato l’ingresso posteriore.
451
- b) capanna. – c) così A. –
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La denunzia al giudice dovrà essere convalidata dal giuramento di un unico testimone. Se invece la
denuncia venga presentata da uno dei sei campari (Vigili preposti all’osservanza dello Statuto nelle
campagne), non occorre la deposizione di alcun testimone.
[VIII].
De pena furti animalium.
Si quis rapuerit vel furtive astulerit equm, iumentum, somarium, somariam, bovem, baccam vel
aliquam bestiam grossam, .xx. libras pro pena solvat pro qualibet bestia et plus arbitrio potestatis, et
restituat furtum. Et si restituere non poterit, et si captus fuerit et dictam penam solvere non poterit,
eruantur ei oculi de capite.
Articolo 8°
Titolo: Pena per furto di animali domestici.
Se qualcuno s’impossesserà furtivamente e porterà via un cavallo, (una bestia da soma), un
somaro, un bue, una mucca o qualsiasi altro animale domestico di grossa taglia, dovrà pagare una
pena di 20 libbre, ed in più restituire la bestia rubata. Nel caso che il responsabile, dopo essere stato
scoperto e arrestato, non sia in grado di restituire il mal tolto, verrà accecato demandando al boia di
strappargli gli occhi da ambedue le orbite.
[IX].
De pena massaritiarum alterius.
Item si quis astulerit aliquam massaritiam (d)452 laboratoris de campo alterius, solvat .v. soldos pro
pena et rem restituat et dapnum emendet passo ad suum dictum tantum sine alia probatione.
Articolo 9°
Titolo: pena per furto delle masserizie altrui.
Parimente, se qualcuno si approprierà di qualche utensile appartenente a un agricoltore, pagherà la
pena di cinque (5) soldi e sarà inoltre tenuto alla restituzione dell’oggetto rubato.
Per la denunzia, basta soltanto il riconoscimento dell’attrezzo agricolo da parte del proprietario, senza
alcun’altra prova.
[X].
De pena bladi, messi et lini alterius.
Qiucumque furtive astulerit bladum, messum vel linum de campo alterius vel area aut maceratorio,
solvat .x. libras nomine pene, et restituat bladum seu linum; et hoc in messo, blado et lino ronco. Et
si penam non solveret et caperetur, fustigetur cuto ad collum. In blado vero vel messo et lino non
ronco si quis predicta fecerit, de notte solvat . xx . soldos, de die . x . soldos, et linum et blandum
redat in duplum.
Articolo 10°
452
- d) massaratiam. -
198
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Titolo: pena per il furto del grano, della biada e del lino.
Chiunque si renda responsabile del taglio di grano e di biada (e del lino) nel campo altrui, oppure di
sottrazione di lino dalla fossa adibita a maceratoio, dovrà pagare 10 libbre, oltre la restituzione dei
foraggi indebitamente appropriati. E se non potrà corrispondere la multa stabilita, il colpevole sarà
fustigato sulla pelle del collo.
La pena è ridotta a 20 soldi nel caso che i foraggi si trovino ancora in pianta prima della mietitura (e
se la sottrazione è effettuata di notte la pena è di 20 soldi mentre se è effettuata di
giorno la pena è di 10 soldi). (Per quanto riguarda il lino e la biada la pena è il doppio).
[XI].
De pena furti minutarum bestiarum.
Quicumque furtive astulerit aut contrasserit pecudem, capram, porcum vel aliquam bestiam
minutam, et clarum fuerit, solvat pro pena . c . soldos et da(n)num emendet in duplum sacramento
illius cuius fuerit, et si non solverit et capietur, puniatur arbitrio potestatis. Et quicumque astulerit
ocam vel pullum solvat . xl . soldos.
Articolo 11°
Titolo: pena per il furto di animali minuti e da cortile.
Chiunque porterà via di nascosto e condurrà nella propria stalla una pecora, una capra, un suino o
altro animale minuto, dopo essere stato scoperto e identificato, dovrà pagare come pena 100 soldi e
inoltre è tenuto a risarcire il legittimo proprietario restituendo il doppio con deposito giudiziario.
E se non ha la possibilità di (restituire quanto dovuto) restituzione, sarà punito ad arbitrio del
Podestà. Il furto di un pollo e di un’oca comporta una multa di 10 (40) soldi.
[XII].
De pena interfectionis bestiarum.
Si quis interfecerit equum, iumentum, mulum aut aliquam bestiam crossam (a)453 alterius, solvat pro
pena , x . libras et dapnum in dupplo emendet. Et si aliquam bestiam crossam percusserit, solvat pro
pena . xx . soldos et (b) emendando dannum in duplum ad pactum et defendimentum domini bestie.
De bestiis autem minutis, si aliquam interfecerit, solvat . v . soldos pro pena et da(n)num emended.
Articolo 12°
Titolo: pena per l’uccisione di animali domestici.
Se qualcuno si renderà colpevole dell’uccisione di un cavallo, di un mulo o di ogni altra bestia da
soma (grossa), è tenuto a pagare una pena di 10 libbre e a risarcire il doppio del danno arrecato al
legittimo proprietario.
Nel caso di percosse o altri maltrattamenti agli animali (di taglia grossa), la pena prevista
consisterà nel pagamento di 20 soldi, (e risarcire il doppio del danno arrecato al legittimo
proprietario).
Se qualcuno ucciderà delle bestie minute dovrà pagare una pena di 5 soldi e risarcire
il danno al legittimo proprietario.
[XIII].
De pena ignis immissi in bonis alterius.
453
- a) così A. – b) segue espunto h con a principale. – c) inciserit. -
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Quicumque immiserit ignem in domo, capanna, blado seu molendino alterius, aut inceserit (c) vel
devastaverit vineam, solvat pro pena . xx . libras, semper da(n)num emendando.
Articolo 13°
Titolo: pena per aver procurato un incendio nella proprietà altrui.
Chiunque si renda responsabile di aver appiccato il fuoco intenzionalmente a una casa, capanna,
mulino, oppure a una messe di grano o di biada, a una vigna, pagherà come pena 20 libbre, oltre al
risarcimento del danno procurato.
[XIV].
De pena palee et feni alterius.
Si quis astulerit vel auferri fecerit paleam seu fenum de pallareo alterius asque licentia domini, solvat
de nocte pro pena .xx . soldos et de die . x . soldos.
Articolo 14°
Titolo: pena per furto di paglia o di fieno.
Chiunque s’impossessi e porti via dal pagliaio o dal fienile, senza autorizzazione del padrone, un
certo quantitativo di paglia o di fieno, pagherà come pena 20 soldi se il furto è avvenuto di notte,
ridotta a 10 soldi se invece il furto si è verificato durante il giorno.
[XV].
De pena exfortiamenti mulierum.
Quicumque exfortiaverit aliquam femminam nuptam, vel vim intulerit causa iacendi cum ea, solvat
pro pena . xxv . libras. Si autem ipsa femmina non fuerit nutta, solvat malefactor . x . libras. Si autem
non poterit solvere (d)454 dictam penam, multetur in manu vel pede, salvo quod si infra . xv . dies a
die violentie commisse voluerit eam recipere in ussorem, nulla pena auferatur eidem.
Articolo 15°
Titolo: pena per violenza carnale contro le donne.
Chiunque si renda colpevole di stupro a danno di una donna sposata e non consenziente, pagherà
come pena 25 libbre. Nel caso che si tratti di una ragazza nubile, la pena è ridotta a 10 libbre. Se
l’aggressore non possiede denari sufficienti per compensare l’oltraggio, sarà mutilato con il taglio di
una mano o di un piede, salvo che, entro 15 giorni dalla violenza commessa, vorrà riparare con la
celebrazione del matrimonio.
[XVI].
De malefitio commisso a filio familias (a).
Si quis filius familias malefitium commiserit, de quo dapnum sit espressum per capitulum costituti,
et penam non solveret, cogatur pater assignare potestati vel iudici aut camerario pro comuni
madietatem omnium suorum bonorum, et medietas ipsorum bonorum detur patri et alia medietas inter
filios divitatur, et pena detur in partem filii delinquentis. Et si pars eius non esset ad penam sufficiens,
pro redio (b) sit perpetuo extra exbannitus.
454
- d) solvare. – a) familiax. – b) intendasi residuo.
200
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Articolo 16°
Titolo: responsabilità paterna per crimini compiuti da figli minorenni.
Quando la trasgressione della legge venga compiuta da un giovane minorenne e questi non abbia la
disponibilità per risarcire il danno arrecato, il Podestà o il giudice procederanno al pignoramento fino
alla metà dei beni patrimoniali posseduti dal padre del minore, lasciando l’altra metà per il
mantenimento della famiglia. E se i beni sequestrati non siano sufficienti al compenso per i danni, il
responsabile del crimine verrà bandito in perpetuo dal territorio del Comune come persona
insolvibile.
[XVII].
De pena filii verberantis patrem.
Si quis patrem ceperit per capillos aut aliter vulneraverit seu matrem, primo Dei maledictionem
incurrat, et, si capi poterit, mictatur in catena, et in ea triduo teneatur ad minus, et postmodum puniatur
arbitrio potestatis, nisi ante quam hoc fiat pro pena solverit . x . libras. Et quilibet filius (c)455 teneatur
alere patrem et matrem si eis placuerit.
Articolo 17°
Titolo: pena per il figlio che percuote i propri genitori.
Se qualcuno è così snaturato da insultare, percuotere e arrecare ferite al padre, o afferrare per i capelli
la madre, incorrerà anzitutto nella maledizione di Dio, e inoltre sarà arrestato e posto in catene,
rimanendo in prigione per almeno tre giorni e poi condannato ad arbitrio del Podestà, (eccetto che
per la pena paghi 10 libbre.). Il figlio è comunque obbligato a mantenere a sue spese i propri
genitori quando divengono anziani e non hanno più la capacità di lavorare.
[XVIII].
De pena ludi ad azara et maledictione sanctorum.
Nulla persona ludat ad ludum, in quo denarii possent perdi, in aliqua ecclesia, nec maledicat Deum
vel matrem eius sanctam Mariam virginem aut suos sanctos benedictos, nec ludat ad azara in aliquo
loco. Et qui contra fecerit . xx . soldos pro pena qualibet vice solvat, de qua pena sit medietas
accusantis; et totidem perdat habitator domus, in qua ludetur, et ille qui ad ludum denarios vel pignus
mutuabit, et credatur dicto denuntiatoris.
Articolo 18°
Titolo: pene per la profanazione di un luogo sacro, per la bestemmia e per il gioco d’azzardo.
Nessuna persona ardisca profanare una chiesa e qualsiasi altro luogo adibito al culto, o pronunziare
maledizioni contro il nome di Dio, della sua santa Madre la Vergine Maria e dei (suoi) Santi.
È inoltre severamente vietato praticare in qualsiasi luogo, sia pubblico che privato, il gioco dei dadi
nel quale si rischiano forti perdite di denaro. Il proprietario in cui si tiene abusivamente il gioco della
Zara (nel quale erano usati tre dadi) sarà multato di 20 soldi, metà dei quali andranno a beneficio di
colui che avrà denunziato il fatto alle autorità del Comune.
[XIX].
De pena proiectionis lapidum.
455
– c) segue espunto fa con m principiata.
201
Libri su Radicofani
Personaggi nati a R.
Renato Magi
Si quis maior, . xiiii . annis malitiose vel furtive proiecerit lapides (d)456 supra domum alterius, solvat
. xl . soldos, si querimonia inde fuerit, singulis vicibus, et dapnum emendet ad estimationem domini
domus. Et maior . vi . annis solvat .xx . soldos, si querimonia inde fuerit.
Articolo 19°
Titolo: pena per il lancio di pietre.
Se qualcuno, maggiore di quattordici anni, con intenzione malevola e di nascosto, scaglierà sassi
contro una casa altrui, pagherà 10 (40) soldi ogni volta che sarà colto sul fatto, e risarcirà il danno
arrecato secondo la stima fatta dal proprietario dell’abitazione.
Nel caso che la sassaiola sia compiuta da un adulto, la pena è elevata a 20 soldi. (E se la sassaiola
è compiuta da uno maggiore di 6 anni la pena è diminuita a 20 soldi, dopo la
lagnanza alle autorità da parte del proprietario).
[XX].
De pena incisionis arborum.
Quicumque inciserit arborem domesticum in vinea, orto aut meratorio (e)457 alicuius et in campo
alterius, perdat . x . libras pro pena et dampnum emendet, exceptis arboribus stantibus in silvis,
maghiis (a) et fossatis, de quibus salvatur pena . v . soldorum tantum.
Articolo 20°
Titolo: pena per il taglio di alberi.
Chiunque si renderà colpevole del taglio di piante da frutto in una vigna, orto, maceratoio o campo
altrui, pagherà 10 libbre di multa e risarcirà al proprietario il danno causato.
La pena è ridotta a soli 5 soldi se le piante tagliate si trovano nei boschi, nelle macchie o lungo gli
argini dei fossi.
[XXI].
De pena tenute et possessionis.
Si quis aliquem de tenuta et possesione rei immobilis estrasserit aut occupaverit, . x . soldos nomine
pene solvat et tenutam restituat. Cultus antem non computetur (b) pro re immobili. Et si de tenuta
cultus quis (c) aliquem estrasserit, solvat . v . soldos. Etiam si quis tenuta rei mobilis alium privaverit,
solvat . x . soldos et omnino tenutam restituat.
Articolo 21°
Titolo: pena per illegittima occupazione di un podere o di un immobile.
Chiunque abbia estromesso da un podere o da un immobile il legittimo proprietario, occupando un
bene che non gli appartiene, sarà punito con una multa di 10 soldi e con la pronta restituzione di
quanto ha indebitamente occupato. Il prodotto delle messi dei campi non è equiparato ad un bene
immobile (ma è punito con la pena di 5 soldi). (Ancora, chi abbia privato di cose mobili,
la tenuta, o il podere, sia condannato a pagare 10 soldi oltre a restituire totalmente
tutto ciò di cui si è appropriato).
[XXII].
456
457
- d) corretta su s. - e) maceratorio. – a) volgare macchie. – b) coputetur. – c) così A.
202
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De pena illius qui pignus et tenutam (d)458 contenserit balitori.
Quicumque conteserit balitori comunis seu nuntio dare tenutam, aut non permiserit ipsam dari, solvat
pro pena . v . soldos. Et si post datam tenutam ipsum molestaverit, aut ipsa usus fuerit contra
voluntatem habentis, solvat pro pena . xx . soldos et restituat tenutam. Et si quis de manu (e) balitoris
……….
Articolo 22°
Titolo: pena da comminare a colui che impedisce al pubblico banditore di esigere pegni o depositi
cauzionali.
Chiunque avrà impedito al Banditore del Comune o all’Esattore di esigere un deposito in qualità di
garanzia o caparra, sarà punito con un’ammenda che oscilla tra i 5 e i 20 soldi, secondo la gravità di
ogni singola circostanza…………
[XXIII].
De pena turpitudinis ad fenestram.
Nemo proiciat vel proici faciat turpitudinem de fenestra contra domum alterius vel in via publica, et
contra faciens . x . soldos pro pena solvere compellatur. Et hoc publice banniatur.
Articolo 23°
Titolo: pena per coloro che gettano dalla finestra le immondizie domestiche.
Coloro che trasgrediscono le norme concernenti la pulizia del paese, gettando dalle finestre rifiuti
solidi o liquidi (verso la casa altrui e) sulla pubblica via, andranno incontro a una multa di 10
soldi. Questa norma sarà notificata alla popolazione con pubblico bando.
[XXIV].
De pena iniuriarum verborum.
Quicumque alicui desserit (f)459 mentiris, periurum sive cornutum, latronem vel bozam, et mulieri
lerciam vel fuiam460, aut aliquod verbum iniuriosum, coram curia, solvat pro pena . xx . soldos, alibi
. x . soldos, si querimonia inde fuerit. Et si renvoltaverit iniuriam quam ab alico (g) substinuisset, si
coram curia . xl . soldos, si alibi . xx . soldos, si querimonia inde fuerit.
Articolo 24°
Titolo: pene per ingiurie verbali.
Chiunque offenda altra persona usando male parole o offese del genere: spergiuro, cornuto, ladro,
bastardo e se rivolga a una donna insulti come: sudicia, bugiarda, puttana, sarà punito, a seguito di
querela da parte dell’offeso, con una multa di 20 soldi, (10 soldi se chi offende si pente).
Se l’offesa è fatta, in qualche modo alla presenza di persone della (Curia) la multa
sarà di 40 soldi, se chi ingiuria si pente la pena è ridotta a 20 soldi).
458
– d) tenuta - e) lettura probabile, essendo tagliata la pergamena.
459
- f) così A per dixerit. – g) così A per aliquo. - Notisi il valore generico assegnato all’aggettivo dantesco di fronte al significato specifico di ladra.
460
203
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Personaggi nati a R.
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[XXV].
De sindicaria offitiarum facienda.
Teneatur potestas infra . ii . menses a principio sui domminatus sindicare omnes offitiales de
Radicofano, qui fuerunt pro anno proxime preterito, per iuramenta comunis hominum de Radicofano,
si aliquid ipsis offitialibus dederunt contra formam constituti aut consilii. Et si aliquis corum inventus
fuerit contra predicta aliquid accepisse, in duplum reddere compellatur.
Articolo 25°
Titolo: controlli sulla correttezza e onestà dei pubblici funzionari.
Il Podestà, entro i primi due mesi dall’inizio del suo incarico, è tenuto a controllare il comportamento
dei funzionari del Comune di Radicofani rimasti in carica durante l’anno precedente alla sua nomina.
E se qualcuno di essi sarà trovato in difetto per aver trascurato l’esatta applicazione degli Statuti o
per aver approfittato di denaro o vantaggi a suo favore, sarà obbligato a restituire il doppio dei profitti
illeciti percepiti.
[XXVI].
De pace facta pro malefitio infra certum tempus.
De omni malefitio personali commisso inter aliquas personas, et omnibus et singulis verbis iniuriosis
seu malefitiis persone, de quibus pena imponitur per constitutum, possit et liciat fieri pax et concordia
infra . xv . dies a die commissi malefitii in antea. Et si facta fuerit infra dictum tempus, ex tunc nulla
pena auferatur exinde non obstante aliquo capitulo costituti, excepto furto et intrata domus alterius de
nocte et de die.
Articolo 26°
Titolo: condono della pena per avvenuta pacificazione entro il tempo stabilito.
Per ogni violazione della legge verificatasi nel corso di contrasti tra due o più persone, ovvero per
qualsiasi offesa verbale punita dagli articoli dello Statuto, sarà possibile beneficiare di un condono a
condizione che sia ristabilita la pace e la concordia entro 15 giorni a decorrere dal momento in cui
accaddero i fatti incriminati.
Il condono comunque non potrà essere concesso per quanto riguarda i furti e la violazione di
domicilio, verificatasi sia di giorno sia di notte.
[XXVII].
De pena spinarum.
Si quis spinas alterius mandrie, vinee vel orti seu campi estrasserit vel inciserit, . x . soldos pro pena
solvat.
Articolo 27°
Titolo: pena per il taglio o l’abbattimento di una recinzione della proprietà privata,
Se qualcuno aprirà dolosamente un varco nella siepe o nel muro che recinge un ovile, una vigna, un
orto, un campo, dovrà pagare una pena di 10 soldi.
[XXVIII].
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De pena aiutorii asgarano.
Quicumque de Radicofano dederit consilium, autorium vel iuvamen alicui asscarano traneunti vel
stanti per Radicofanum vel etiam Radicofani cum furto, preda rapina, .c. soldos pro pena solvat.
Articolo 28°
Titolo: pena per colui che presta aiuto a un ricercato.
Qualsiasi abitante di Radicofani che fornirà informazioni, protezione o aiuto di ogni genere ad un
evaso o fuoruscito, responsabile di omicidio, violenza, furto o rapina, e che si trovi a passare per
Radicofani, oppure che si nasconda dentro il paese o nei suoi dintorni, sarà tenuto a pagare una pena
di 100 soldi.
[XXIX].
De pena putredinis proiecte in viis Radicofani.
Nulla persona proiciat vel proici faciat in muris castelli vel burgorum Radicofani, vel in fossis nec a
fossis intus versus terram, letamen, fecciam, vinacciam seu spazaturam (a)461 aut palglarum, nec in
viis publicis nec infra muros predictos, et contra faciens solvat pro pena . x . soldos. Et hoc publice
banniatur.
Articolo 29°
Titolo: pena per coloro che scaricano rifiuti nelle vie del paese.
Nessuna persona scaricherà rifiuti all’interno delle mura del Castello o dei Borghi di Radicofani,
evitando di ingombrare le pubbliche vie con scarichi di terra, letame, feccia delle botti, vinaccia,
spazzatura, paglia delle stalle e simili; i trasgressori saranno puniti con una pena di 10 soldi.
Quest’ordine sarà reso di pubblico dominio dal banditore comunale.
[XXX].
De pena impedimenti domus et platee mercati.
Nulla persona faciat vel costruat aliquod edifitium propter quod impediatur vel minuatur platea
comunis sive mercati. Contra faciens solvat pro pena . lx . soldos, et teneatur insuper quicquid
edificatum fuerit elevare.
Articolo 30°
Titolo: pena per coloro che costruiscono (abusivamente presso le piazze ed i mercati) con
costruzioni abusive le piazze e i mercati.
Nessun cittadino costruirà qualsiasi edificio privato nelle aree riservate alle pubbliche piazze e ai
mercati, impedendo il libero esercizio della vita sociale ed economica. I trasgressori pagheranno 10
(60) soldi di multa e saranno costretti a demolire a proprie spese l’edificio arbitrariamente costruito.
[XXXI].
De penitentia danda ospiti et eius pena.
Ordinamus quod quicumque non fecerit dari penitentiam ospiti suo petenti, et fraudem commisserit
quod non recipiat penitentiam, solvat pro pena . x . libras.
461
- a) segue espunta una s.
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Articolo 31°
Titolo: Divieto di imporre una tassa di soggiorno ai forestieri.
Ordiniamo che nessuno pretenda di imporre una tassa ai viaggiatori in transito per Radicofani. Chi
ricorrerà alla frode, sarà punito con un’ammenda di 10 libbre.
[XXXII].
De pena portantis panem et vinum ante ostium alterius.
Nemo burgiensium portet vel mictat vinum seu panem ante ostium alterius ad vendendum
transeuntibus, vel mensuram aliquam. Contra faciens singulis vicibus solvat . v . soldos, ecceptis
(a)462 personis que publice vadunt ad vendendum panem per Radicofanum. Et nemo portet panem vel
vinum seu aliqua victualia ad stratam de suttus ad bannum . c . soldorum.
Articolo 32°
Titolo: pena per coloro che vendono pane e vino davanti alla porta delle abitazioni altrui.
Nessun abitante dei Borghi di Radicofani potrà erigere bancarelle per la vendita del pane e del vino
ai forestieri di passaggio, impedendo l’accesso alle case degli altri cittadini. Coloro che violeranno
questa norma dovranno pagare ogni volta 5 soldi.
La proibizione non concerne i fornai che si recano per le case di Radicofani a vendere il pane.
È inoltre proibito alle persone non autorizzate recarsi lungo la strada che passa a valle (di sotto) per
vendere pane, vino o altri generi commestibili ai viandanti, pena una multa di 100 soldi.
[XXXIII].
De non recipiendo rem prede et furti.
Ordinamus quod nullus scienter emat vel receptet studiose ab aliquo rem prede vel furti sine parabola
illius cuius fuerit. Et si quis contra fecerit, solvat pro pena qualibet vice . lx . soldos et restituat rem
eptam (b)463 sine pretio domino rei, salvo quod liceat hominibus de Radicofano rem abblatam pro
comuni et a comuni vel ab alio, qui licentiam habuerit, sine pena emere.
Articolo 33°
Titolo: pena per i ricettatori di oggetti rubati.
Ordiniamo che nessuno compri o rivenda consapevolmente oggetti provenienti da furti o da sequestri.
Coloro che non rispetteranno quest’ordine, saranno puniti ogni volta con una multa di 10 soldi. (60
soldi e dovranno restituire la cosa rubata o sequestrata). È però consentito ai cittadini di
Radicofani acquistare oggetti confiscati dalle autorità comunali.
[XXXIV].
De facienda scaraguaita.
Si qua persona non fecerit custodiam terre seu scaraguaitam de die et da nocte, sicut ei iniuntum
fuerit, solvat curie singulis vicibus . v . soldos pro pena.
Articolo 34°
462
463
- a) così A. - b) così A per emptam.
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Titolo: pena per coloro che si rifiutano di fare il turno di guardia.
Se un cittadino si rifiuterà di compiere l’obbligo che stabilisce di effettuare periodicamente il turno
di ronda all’interno delle mura, durante il giorno o durante la notte, allo scopo di sorvegliare sul
rispetto dell’ordine pubblico, dovrà ogni volta pagare alla Curia una pena di 5 soldi.
[XXXV].
De sellis et de frenis iumentum et aliis armis emendis.
Potestas teneatur omnes et singulis habentes iumenta emere sellas, frenos bonos et ydoneos, et
spatam, lanceam. cervelleriam et kalcarea, et hec usque ad kalendas martii, ita quod quelibet sella
valeat . xx . soldos: et ita per totum annum tenere. Et potestas vel iudex teneatur duabus vicibus in
anno facere eas demostrari, et sacramento (c) comunis interrogens si sella, quam ostendit, sit
assignantis. Et contra faciens in quolibet capitulo . x . soldos pro pena solvat, et insuper habere et
assignare predicta teneatur. Et hoc intelligatur de illis qui non habent predicta, et salvo quod sit in
arbitrio potestatis de illis iumentis que videbuntur (d)464 eidem convenientia habere predicta.
Articolo 35°
Titolo: obbligo di tenere sempre a disposizione la sella, il freno, le briglie e le armi per chi possiede
un cavallo.
Il Podestà è tenuto a controllare che tutti i singoli possessori di cavalli si riforniscano di sella, delle
briglie, della lancia, elmo e calzari entro il primo giorno di marzo, al prezzo complessivo di 20 soldi;
(e in tal maniera tenere tutto l’anno). Il Podestà ed il Giudice hanno altresì l’obbligo di
verificare due volte l’anno che tutti i cavalieri dispongano costantemente di quest’attrezzatura
completa, sotto pena di pagare 10 soldi per ogni arredo che risulti mancante. (E ciò comprende
anche coloro che non hanno le cose suddette e coloro che, per arbitrio del Podestà,
hanno bestie da soma che hanno convenienza ad avere le cose sopra elencate).
[XXXVI].
De citinis non faciendis in certis locis.
Item nulla persona faciat nec fieri faciat aliquam citinam a Montelupone illuc sicut mittit per podium
Calcinarie, et mictit ad fossatum Nebiaiole, et redit ad Umbricianum, et mittit ad podium Clantine et
Faggeta superius, Contra faciens singulis vicibus solvat . xl . soldos pro pena.
Articolo 36°
Titolo: divieto di costruire recinti in alcune località.
Nessun proprietario potrà recintare riserve di caccia privata nella zona di Montelupo
(Montelupone), nel poggio del Calcinaio, lungo il fosso dei Nibbiali, e nei pressi della strada che
da Umbriciano conduce alla Faggeta superiore (nel sito di Umbriciano, nel poggio di Clantina
e Faggeta Superiore). I trasgressori saranno multati di 10 soldi. (Coloro che trasgrediscono
questo divieto dovranno pagare 40 soldi come pena).
[XXXVII].
De roketo fontis Santesis.
464
-c) sacremento – d) vedebentur.
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Teneatur potestas in principio sui domminatus facere banniri rocketum contra fontem Santesem465
per totum annum. Et si quis inciserit arbores in eadem, vel avellanas collegerit in eadem usque ad
festum Sancte Marie de agusto tam in dicto rocketo quam in aliis, solvat pro pena . x . soldos.
Articolo 37°
Titolo: norme per la macchia della Fonte del Santese (oggi Fonte Antese). (Macchia di Fonte del
Santese).
Il Podestà è obbligato, all’inizio del suo mandato, di emettere un bando, valido per tutto l’anno,
sull’uso della macchia (Macchion Grosso) che si estende intorno alla Fonte del Santese (Il vocabolo
antico “Santese” significa: Sagrestano, oppure Amministratore laico di una chiesa).
Se qualcuno andrà a fare legna, tagliando le piante che si trovano in detta macchia, oppure a
raccogliere nocciole dopo la festa di Santa Maria di agosto, sia nella stessa macchia come nelle altre
vicine, sarà punito con una multa di 10 soldi.
[XXXVIII].
Qualiter mulieres et homines vadant post mortum.
Nulla mulier presummat ire vel vadat ad foveam, ad quam corpus defunti seppelliri (a) 466 debet, nec
exeat de ecclesia causa eundi ad foveam cum eodem, set corpore sepulto exeant de ecclesia et
revertantur domum non faciendo moram aliquam supra foveam. Contra faciens pro qualibet vice
solvat . v . soldos, excepta femmina penitentie, que possit ire; et adito (b) quod homines primo iusta
mortuum et femmine post homines vadat.
Articolo 38°
Titolo: norme per gli uomini e per le donne che partecipano a un funerale.
Nessuna donna potrà essere presente mentre il corpo del defunto viene calato nella fossa (sia che il
defunto venga seppellito in chiesa che fuori) per non disturbare con il pianto lo svolgimento
del rito. Non appena sia stata compiuta la tumulazione, le donne usciranno dalla chiesa per far ritorno
a casa. Coloro che non rispetteranno questa disposizione, saranno punite con una multa di 5 soldi.
Durante il trasporto dalla casa del defunto alla chiesa, verrà osservato l’ordine che segue: precederà
il Clero, poi il feretro, dietro gli uomini e per ultime le donne.
[XXXIX].
Quod mulieres non vadant per pennam.
Nulla mulier presummat ire per Radicofanum causa acquirendi pennam, linum sive bladum per se vel
eius nomine. Contra faciens solvat . xx . soldos nomine pene, si inventa fuerit.
Articolo 39°
Titolo: Norme supplementari per le donne. (Affinché le donne non vadano per piume).
Nessuna donna potrà percorrere le vie del paese (andare per Radicofani allo scopo di
acquisire piume o lino per se stesse o in nome di altre persone ) e recarsi nelle case altrui
allo scopo di raccogliere piume per fare cuscini, materassi o acquistare lino da tessere.
Coloro che saranno colte sul fatto, pagheranno 20 soldi di multa.
465
466
Oggi Fonte Antese.
- a) suppelliri. – b) così A per addito.
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[XL].
De ortis non faciendis in certis locis.
Item nulla persona presummat facere aliquem ortum in carbonariis Burgi Maioris, Castelli et
Castrimurri infra os fines: in Burgo a cantone cellarii Bonagratie Iuvannutii usque ad rocketum
positum supra ospitale de Spinetis. Idem dicimus de carbonariis Castelmorri. Et si quem factum esset
et inveniretur infra dictos fines, infra unum mensem a principio sui domminatus potestas faciat
dissipari, et puniatur in . v . soldis (c)467, et dissipet quicquid fecerit, excepto orto filiorum Richi
Malentrata.
Articolo 40
Titolo: Divieto di coltivare orti in determinati luoghi.
Nessuna persona potrà impiantare e coltivare un orto privato nelle carbonaie di Borgo Maggiore, del
Castello e di Castelmorro, all’interno della cinta delle mura. Dentro Borgo Maggiore, la proibizione
si estende dalle cantine di Buonagrazia di Giovannuzzo fino alla macchia che circonda lo Spedale di
Spineta (fino alla macchia posta sopra allo Spedale di Spineta). Lo stesso divieto è valido
anche per le carbonaie di Castelmorro. Il Podestà, nel primo mese della sua carica, dovrà punire i
trasgressori per l’importo di 10 (5 soldi) soldi, imporre la distruzione degli orti abusivi, fatta soltanto
eccezione per l’orto che appartiene ai figli di Arrigo Malentrata.
[XLI].
De rocketo supra ospitale de Spineto.
Nemo rumpat petras in fossato seu rocketo quod est supra ospitale de Spinetis ab ipso ospitali usque
ad viam Castellanam, et contra faciens . c . soldos singulis vicibus nomune pene perdat.
Articolo 41°
Titolo: Vincolo per la macchia che appartiene allo Spedale di Spineta.
Nessuno potrà spaccare le pietre da costruzione nella macchia di proprietà dell’Ospedale di Spineta,
a iniziare dallo stesso Spedale fino a tutta la Via Castellana. Chi trasgredisce questo vincolo, pagherà
ogni volta 100 soldi. – (Questo Spedale, fatto costruire dall’Abbazia di Spineta all’inizio della strada
che conduce alla Fortezza, assunse in seguito il titolo di “Spedale dei Pellegrini” e successivamente
quello di “Spedale di San Pietro”. (Fu soppresso nel 1782 dal granduca Pietro Leopoldo di Lorena, e
la sua esistenza è attestata nella toponomastica attuale con la “Via dello Spedale”).
[XLII].
De rocketo circa locum fratrum.
Nemo rumpat petras seu incidat arbores vel frasscas in rocketo circa Bo(n)miliaccium, quod est a
cisterna usque ad petram Grossam a capanna que fuit Intende Baldini. Et nemo incidat arborem vel
frasscas, aut faciat ligna im rocketo circa fratum Minorum. Contra faciens . lx . soldos solvat singulis
vicibus. Et nemo incidat arbores seu frasscas, nec incidat seu rumpat petras in rocketo de muro
Bo(n)miliaccii foras usque ad locum ubi est capanna Burnetti Godinelli, usque ad domum
Fighinensium, et contra faciens . x . soldos qualibet vice solvat.
Articolo 42°
467
- c) sottinteso quilibet contra faciens.
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Titolo: Vincolo per la macchia di Bonmigliaccio e per quella che appartiene al Convento dei Frati
Minori (San Francesco Vecchio). – (La macchia vicino ai frati).
Nessuno potrà spaccare le pietre da costruzione o tagliare alberi e frasche nella macchia che si estende
intorno a Bonmigliaccio e che confina con la cisterna fino al Sasso Grosso e alla capanna (che fu)
dell’Intendente Baldini. Parimente, è vietato tagliare alberi e frasche, o raccogliere legna nella
macchia che circonda la proprietà dei Frati Minori Conventuali. Per i trasgressori sarà comminata una
multa di 10 soldi (60 soldi) ogni volta. (E nessuno tagli alberi o frasche, ne spacchi pietre
nella macchia vicino al Roccheto e muro di Bonmigliaccio fuori dal luogo dove è la
capanna di Burnetti Golinelli e vicino alla casa di Fighinesio, per i trasgressori verrà
comminata una multa di 10 soldi ogni volta)
[XLIII].
De spatio dimittendo pro edifitiis.
Quicumque voluerit facere aliquod hedifitium iusta viam pubblicam dimitat solium et spatium . vi .
brachiorum ad brachium canne senensis pro via inter rem suam et rem sui convicini; et si erit in strata,
dimitat per . ii . cannas proud videbitur potestati sive iudici: et si erit in retto vicinali, dimictat per .
viii . pedes, et, si minus esset via ibi et si plus esset, plus dimictat. Contra faciens . xx . soldos pro
pena sol[vat et ] (a)468 dissipet quicquid ultra hedificaverit. Et hoc intelligatur in Radicofano usque
ad ospitale fontis Cecule, usque ad ospitale de Sancta [Maria] ……….(a).
Articolo 43°
Titolo: distanze da mantenere nella costruzione di edifici privati.
Chiunque vorrà edificare una casa privata lungo la via pubblica, dovrà lasciare una distanza di sei
braccia di Canna senese tra l’edificio da costruire, (e se sarà costruito sulla strada libera per
due (2) canne, può costruire con licenza del Podestà o del Giudice, se è dietro ad un
vicino può costruire a 8 piedi e se la distanza è minore deve distanziarsi di tanto), la
strada e le case dei vicini.
Queste distanze dovranno essere osservate anche intorno allo Spedale di Fonte Cecola (acqua
salmastra) e allo Spedale di Santa Maria.
Chi non rispetterà queste norme, dovrà pagare 20 soldi oltre alla demolizione dell’edificio.
[XLIV].
Questo aticolo manca di titolo perché la pergamena è stat parzialmente tagliata.
….sursum et citinell(is) intus, a meratorio Proventiani sursum, ab ospitale Bonaionte sursum, a petra
Posatoria intus, a cerreto Guilielmi intus, a petra Pintiuta sursum, a postitiis sursum debeat et teneatur
ponere vineam ad unum starium semente ad maiorem starium Radicofani usque ad festum omnium
sanctorum, et ponere similiter in dicta quantitate terreni usque ad . xv . plantones (b)469 cuiuslibet
arboris domestice et fructus afferentis. Et quicumque ad dictum terminum non fecerit, . lx . soldos
nomine pene solvat. Et potestas teneatur super hoc videndo ponere . iii . bonos homines ad sciendum
si facta (c) erunt. Ei hoc capitulum teneantur potestas et camerarius facere poni de costituto in
costituto.
Articolo 44°
Questo articolo manca di titolo perché la pergamena è stata parzialmente tagliata.
468
469
- a) tagliata la pergamena.
– b) plantonis. – c) segue una p. – a2) Leggasi Sinibardi.
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Personaggi nati a R.
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L’argomento tattato riguarda l’impianto di nuove vigne.
………. (al di sopra e in prossimità , entro il negozio di Provenzani, sopra lo Spedale
di Bonagiunta, entro la pietra Posatoria, entro il cerreto di Guglielmi, sopra la pietra
Pinzuta, e dopo tutto questo chiunque …) Chiunque vorrà piantare nuove vigne nella
campagna di Radicofani, dovrà occupare al minimo la superficie equivalente a uno staio di semente
e intramezzare i filari con almeno quindici piante domestiche e da frutto. Il periodo stabilito per la
messa a dimora dei vitigni non dovrà oltrepassare la festa di tutti i Santi (mese di Novembre). (Chi
non rispetterà questi detti termini dovrà pagare la somma do 60 soldi di multa). Il
Podestà assumerà tre sorveglianti esperti per controllare che le norme siano rispettate. (E questo
capitolo [oggi diremmo articolo] sia mantenuto dal Podestà in modo che il ministro
futuro sia tenuto a portarlo da Statuto a Statuto).
[XLV].
De confinibus vinearum non intradis cum bestiis.
Ordinamus quod a festo sancte Marie de agusto usque ad perfectas vendemias nulla pecura transeat
a strata ospitalis Bonaionte usque ad podium Sassete, et a Mattonasria sicut mittit via que venit ad
citinas, et vadit per fossatum Melanensem ad podium Trifolli, et a fornace Ioannis Sinbardi (a2) intus,
a Petriscaia intus, a podium Scolculi intus, a strata de Sturtis intus usque ad fossarellam campi Iannini
et redit in fossato Voltiole et redit ad rigum, ad vadum Cellensem usque ad Cotone, et mittit per
fossatum Fagelle, et mittit per fossatum Melglani ad podium Trifolli. Et qui contra fecerit pro qualibet
foccla solvat . xx . soldos.
Articolo 45°
Titolo: Costruzione di siepi per impedire agli animali di penetrare all’interno delle vigne.
Ordiniamo che dalla festa di Santa Maria di agosto fino al termine della vendemmia, nessun gregge
di pecore transiti per la strada che conduce dallo Spedale di Bonagiunta fino a Poggio Sasseta, e
inoltre dalla strada che va dalla Mattonaia (così come s’immetta nella via prossima, e vada
per il) al fosso della Milanese, come pure dall’altra strada che congiunge il poggio di Trecolle (o
Piantrafolla?) (dentro) alla fornace di Giovanni di Sinibaldo, (dentro a Pietreta, al poggio
Scolculi, alla strada di Sturtis e al fossatello del campo di Iannini e passare per il
fosso di Voltole e toccare il Rigo) dal fiume Rigo al fosso di Voltole, dal guado di Celle al
Cotone, (lasciare per il fossato Fagelle, e lasciare per il fossato Melano al poggio
Trecolle [o Piantrafolla?]).
Chi trasgredirà queste proibizioni sarà multato di 20 soldi.
[XLVI].
De toto costituto legendo.
Teneatur iudex totum statutum legere, ita quod omnis homo sit certus de hiis que in eo continentur.
Articolo 46°
Titolo: pubblica lettura dello Statuto.
Il giudice del Comune di Radicofani è tenuto a leggere nella pubblica piazza dei Borghi tutti i capitoli
di questo Statuto, affinché ogni cittadino sia a perfetta conoscenza dei suoi contenuti. La legge non
ammette ignoranza.
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[XLVII].
De non ocellando cum panno rubeo.
Nullus ocellator vadat ad oscellandum cum panno rubeo per terram Radicofani ad bannum . xl .
soldorum, medietatem cuius banni sit accusantis, et ei qui astulerit non detur (b)470 bannum.
Articolo 47°
Titolo: Divieto di uccellagione con telo rosso.
Nessuno può catturare uccelli usando il panno rosso. Questa proibizione è valida per tutto il territorio
di Radicofani. I cacciatori che non rispetteranno questo divieto dovranno pagare una multa di 10 soldi
(40 soldi), metà dei quali andranno a beneficio di colui che avrà sporto la denuncia.
[XLVIII].
De via a fossato de Spissis.
Item ordinamus quod via comunis a fossato de Spissis usque ad portas Radicofani actetur trainaria,
ubi actata non est, ad dictum Serafini Romani et Terrisii, et totum comune Radicofani intersit et faciat
per totum mensem madii.
Articolo 48°
Titolo: ampliamento della strada che proviene dal fosso di Spineta.
Ordiniamo che la strada comunale che proviene dal fosso di Spineta (Ponte sul fiume Orcia) e conduce
alla Porta di Radicofani sia ampliata allo scopo di permettere il transito dei carri.
Il lavoro è stato appaltato (Il Comune di Radicofani l’ha appaltato) a Serafino di Romano e al
capomastro Terzilio, con l’obbligo che l’ampliamento sia portato a termine entro il mese di Maggio.
[XLIX].
De via Corvarie.
Item Attettur via de Corvaria per totum comune Radicofani, ubi actata non est, a colle Olivoli usque
ad Radicofanum ad dictum Serafyni Romi (c) et Terrisii per totum mensem aprelis.
Articolo 49°
Titolo: ampliamento della strada di Corvaia.
Parimente verrà ingrandita la strada comunale che da Corvaia e dal poggio dell’Oliveto conduce fino
al paese di Radicofani.
Anche questi lavori sono stati affidati a Serafino di Romano e a Terzilio e dovranno essere completati
entro il mese di Aprile.
[L].
De macinis et eorum pretio.
Quicumque magister da Radicofano sciverit facere macinas, et fecerit, teneatur illas vendere
Radicofanensibus parium silicet pro . lx . soldis, et non plus (d), et universis molendinis abatis de
470
- b) qui ei …..det. Si sottindenda ei dopo astulerit. - (a2) leggasi Sinibaldi.
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Calemala471. Et si pro dicto pretio non dederit Radicofanensibus, aliis non vendat. Et qui contra fecerit
solvat pro pena . lx . soldos.
Articolo 50°
Titolo: Costruzione di macine da mulino e loro prezzo.
Ogni maestro scalpellino di Radicofani che sia capace di eseguire macine da mulino dovrà venderle
ai mugnai di Radicofani al prezzo fisso di soldi 10 (60), senza maggiorazioni. Sono inoltre tenuti a
fornire di macine i mulini di Callemala che sono di proprietà dell’Abbazia di San Salvatore.
Se non verrà rispettato il calmiere stabilito, dovranno subire una pena di 10 (60) soldi.
(Le macine da mulino di Radicofani erano molto ricercate per la durezza e la resistenza della lava
rossastra con cui venivano eseguite) Di quest’attività di cui parla pure il Gherardini nella
sua venuta a Radicofani nel 1676, non siamo riusciti, per ricordala, visto che è durata
circa 8 secoli, a farci nemmeno il Palio che era previsto nello Statuto e, quindi, non
abbiamo nulla che ci possa ricordare questa importante attività durata tanto tempo.
[LI].
De via de molinis.
Item via de molendinis de Perticariis actetur ab agro domini Guaste de podio de Scolculo usque
Radicofanum per homines Burgi ad dictum Tancredi domine472 (a) Guilie per totum mensem madii.
Articolo 51°
Titolo: Manutenzione della strada che conduce ai Mulini.
Agli uomini che abitano Borgo Maggiore (?) spetta il compito di mantenere in efficienza la strada
che porta al Mulino dei Perticari, attraverso i campi di proprietà del Signor Guasta. I lavori di
manutenzione dovranno essere eseguiti entro il mese di Maggio.
[LII].
De vie masse Score.
Attetur et arrenetur silice, ubi actata non est, a massa Scole usque ad ospitale Fontis Ceculi (b)473 per
totum mensem agusti per homines Castelli, Castri Murri et Bo(n)miliacii ad dictum Iohannis
Sinibardi.
Articolo 52°
Titolo: manutenzione della strada che conduce allo Spedale di Fonte Cecula.
Agli uomini che abitano i Borghi del Castello, di Castelmorro e di Bon Migliaccio spetta il
mantenimento della strada che porta allo Spedale di Fonte Cecula. La fornitura e lo spargimento della
ghiaia sulla carreggiata saranno effettuati nel mese di Agosto dal predetto Giovanni di Sinibaldo.
c) così A per Romani. – d) plux.
471
Intendi: i mulini a Callimala dell’abate di S. Salvatore. cfr, REPETTI, IV, pag. 710. Per i possessi della badia in
quella località. – tra cui la chiesa dedicata a S. Cristina, - cfr VERSIANI –BANDI, pag. 27. Alla bontà della lava
rossastra di Radicofani per costruire macine da mulini accenna pure il REPETTI, IV, pag. 714.
472
) a) segue espunto Guaste.
473
– b) eu aggiunto nell’interlinea.
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Personaggi nati a R.
Renato Magi
[LIII].
De offitio scandali.
Nemo prestet impedimentum offitio scandali ad bannum . v . soldorum, et una sit regula pro quolibet
populo comunis et non ultra. Et si aliquis puer faceret aliam, solvat . v . soldos.
Articolo 53°
Titolo: pena che verrà comminata a coloro che non rispettano le servitù.
Se gli abitanti delle quattro contrade che compongono il Comune di Radicofani si rifiutano di
assolvere gli oneri connessi agli obblighi di servizio ad essi spettanti, andranno incontro ad una pena
di 5 soldi “pro capite”. (Nessuno sia di ostacolo ai doveri che ciascun [cittadino] del
popolo del comune deve avere per regola, e colui o coloro che non li rispettano
dovranno pagare per ammenda 5 soldi. E, la stessa cosa, vale anche per i ragazzi.
Anch’essi paghino 5 soldi se non rispettano gli obblighi dello Statuto).
[LIV].
De requisitione fornariorum.
Iudex comunis teneatur ter in anno inquirere fornarias si bene faciunt suum offitium, et si aliquam
invenerit474 (c) contra facientem, solvat . x . soldos pro pena.
Articolo 54°
Titolo: controlli periodici per i fornai.
Il Giudice del Comune di Radicofani è tenuto a verificare tre volte l’anno l’attività dei responsabili
che gestiscono i forni; e qualora si riscontri qualche irregolarità o trascuratezza per quanto concerne
la qualità della farina e la cottura del pane, sarà applicata l’ammenda di 10 soldi.
[LV].
De observando contractum cum abate Santi Petri in Campo.
Potestas et totum comune Radicofani iuramento teneatur observare et facere observari contractum
factum inter Avidutum notarium, sindicum comunis, et do(m)num Jacobum abatem Sancti Petri in
Campo et Bartholomeum sindicum eiusdem ecclesie ex altera, sicut plene continetur in istrumento
facto manu Benvenuti notarii. Et hoc, capitulum de costituto in costituto ponatur.
Articolo 55°
Titolo: obbligo di osservare il contratto con l’Abate di San Piero in Campo.
Il Podestà e i Magistrati del Comune di Radicofani sono tenuti sotto giuramento a osservare e a far
rispettare il contratto stipulato, tramite il notaio Avveduto rappresentante del Comune di Radicofani,
con il signor Giacomo, abate dell’Abbazia di San Piero in Campo (Valdorcia), rappresentato dal suo
amministratore Bartolomeo incaricato da quell’Abbazia, come chiaramente è contenuto nel contratto
scritto per mano del notaio Benvenuto.
Questo capitolo sarà ripetuto anche negli Statuti successivi.
[LVI].
474
- c) inverit.
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Renato Magi
De complendo murum post domus Ranerii castaldi.
Potestas sive camerarius teneatur cogere suprastantes sotietatum Burgi Maioris facere fieri per
homines ipsius Burgi murum cum pettoralibus et merlis inceptum post domum Ranerii castaldi usque
ad cantum domini Iacobi Vendibovis iuxsta viam qua itur ad fontem usque ad kalendas ottubris
proxime venturas. Et potestas cogat abbatem de Spinetis et ospitalarios facere et complere presam
que remansit anno preterito, et iuvare suprastantes ad alias presas faciendas, sicut placuerit
suprastantibus; et si nollet facere, potestas et iudex faciant fieri de bonis eorum. Et fiant in dicto muro
due cocle, una inter domum Iacobi et Ildebrandi Legesis, et alia inter domum Rola(m) (a) 475 et domum
ospitalis. Et hec fiant ad dictum et voluntatem Ranerii castaldi et Borgarelli, qui sun(t supr)states ad
dictus opus faciendum.
Articolo 56°
Titolo: completamento del muro di sostegno che si trova sotto la casa del Castaldo (vocabolo di
origine longobarda che significa: amministratore) Ranieri.
Il Podestà ha il dovere di imporre ai Governatori che presiedono la popolazione di Borgo Maggiore
a far erigere dagli uomini dello stesso Borgo un muro completo di parapetto e di merli sotto la casa
del castaldo Ranieri fino al cantone dell’abitazione del signor Giacomo Vendibovi, lungo la strada
che conduce a Fonte Grande; Il lavoro dovrà essere ultimato per il 1° di ottobre prossimo venturo.
Inoltre il Podestà dovrà costringere l’Abate di Spineta e gli amministratori che dirigono l’ospedale
che appartiene all’Abbazia a completare i lavori rimasti sospesi lo scorso anno. In caso contrario, il
Podestà (e il Giudice) provvederà (provvederanno) al completamento di detti lavori,
addebitandone il costo all’Abbazia. (E questo sia fatto per ciò che ha detto e per la volontà
del castaldo Ranieri e Borgarelli, che sono i suprastantes dell’opera che sarà fatta).
[LVII].
De istrumentis inveniendis.
Teneatur potestas infra unum mensem a principio sui domminatus invenire omnia [instrument]a
comunis, et specialiter et nominatim instrumentum sive licteram papalem, in qua continetur quod
aliquis (b)476 non possit extra Radicofanum conveniri, et dep(onan)tur apud quemdam bonum
massarium eleptum per consilium.
Articolo 57°
Titolo: conservazione dei documenti pubbici (che riguardano il Comune).
Il Podestà, nel primo mese dall’inizio del suo incarico, dovrà ottenere tutti i documenti che
legalizzano la sua nomina, e in particolare gli atti notarili, le Bolle pontificie e gli attestati che
comprovano la sua origine non radicofanese, essendo il Podestà di regola forestiero.
Tali documenti saranno raccolti e conservati nell’Archivio del Comune.
[LVIII].
De via fontis Pergule.
Actetur et silicetur et arenetur via de fontis Pergula ab orto Ioannis [….]zuculi usque ad plebem
Viclani per homines Castelli et Castelmorri per totum mensem aprelis ad dictum Rai[neri]i
475
476
- a) rola(n)[di]? - b) aliqui. -
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Personaggi nati a R.
Renato Magi
Baroncelli, et fiat ponticellus a Mattonaria, et aqua de fonte Pergula curat infra rem domine Sapie et
rem Rollandi Vegnentri.
Articolo 58°
Titolo: strada che conduce a Fonte Pergola.
Dovrà essere mantenuta in efficienza la strada di Fonte Pergola con regolari lavori di manutenzione,
utilizzando ghiaia e sabbia di fiume (?). Il tracciato di questa strada inizia dall’orto di Giovanni Zucoli
e termina alla Pieve di Castelmorro (la via di Fonte Pergola dall’orto di Giovanni …Zucoli
fino alla plebe di Viclano e ci devono lavorare gli uomini di del Castello e quelli di
Castelmorro)477. È affidato l’incarico a Ranieri di Baroncello per far costruire entro il mese di
aprile un piccolo ponte alla Mattonaia, permettendo all’acqua che sgorga da Fonte Pergola di scorrere
attraverso i campi di proprietà del signor Sapia e di Rolando Vegnantri.
[LIX].
De [via] de Agiano facienda.
Attetur478 c), silicetur et arenetur via ab Incarerata usque ad apparitori[un de Spi]netis per homines
Burgi Maioris usque et per totum mensem maii ad dictum et ad mandatum Michaelis Fylippi.
Articolo 59°
Titolo: costruzione della strada di Agiano.
Gli operai di Borgo Maggiore apriranno una nuova strada che dall’incarcerata condurrà fino
all’Apparitoia di Spineta. L’esecuzione dei lavori sarà affidata a Michele di Filippo e si protrarranno
per tutto il mese di Maggio con l’impiego di sabbia e di ghiaia estratta dal fosso dell’Orcia (dove
l’ha trovato il fosso dell’Orcia, anche se ci sta bene?).
[LX].
De via de molinis.
Atetur (d), silicetur et arrenetur via de molendinis de Calemala a campo Ber[tolin]i de Ioiannis usque
ad silvam de Planis per totum mensem maii et per totum comune ad dictum Iohannis Iannis.
Articolo 60°
Titolo: manutenzione della strada che porta ai mulini del Paglia.
Anche questa importante strada che inizia dal campo di Bertolino (di Giovanni) e, attraverso la
Selva del Piano (Cerreto Piano?) raggiunge i mulini di Callemala sarà mantenuta in ordine con
nuovi rifornimenti di sabbia e ghiaia per riparare l’erosione delle piogge invernali. (e, per tutto il
comune, dal detto Giovanni di Nanni. La parte di sotto vale soltanto per i lavori).
I lavori saranno diretti da Giovanni di Nanni e verranno effettuati nel mese di Maggio.
[LXI].
De via a molinis.
- Antico insediamento, quasi certamente di origine Etrusca, che era situato dove o nei pressi di
Castelmorro. Si ciamava, in latino “Viclanus”.
478
c ) la a ripetuta. - d) notare come cominciano i capitoli e la differenza che c’è fra i verbi iniziali del capitolo! 477
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Personaggi nati a R.
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Attetur, silicetur et arrenetur via de molinis a porta de Cresscis usque ad [viam] que venit de
Bo(n)miliaccio per totum mensem maii et per totum comune ad dictum Iacobi Bontalenti.
Articolo 61°
Titolo: manutenzione della strada del Mulino di Cresci (?).
È affidata a Jacopo Buontalenti la fornitura di sabbia e di ghiaia per la manutenzione della strada che
dalla porta del mulino del Cresci imbocca nella strada che scende dal Borgo di Bonmigliaccio. Anche
questi lavori saranno fatti per tutto il mese di Maggio.
[LXII].
De via Bo(n)miliacii.
Attetur via a cantone domus Iacobi Carnevecha usque 479(a) ad portam domus B[….]tis per totum
mensem martii, et silicetur de lapidibus rossis480 de Castello per homines Bo(n)miliacii ad dictum
Fede Smoche.
Articolo 62°
Titolo: manutenzione della strada di Bonmigliaccio.
Gli operai del Borgo di Bonmigliaccio, sotto la direzione di Fede Smoche, cureranno la manutenzione
della strada che dalla casa di Giacomo Carnevecchia conduce fino alla porta della casa di Battista. I
lavori saranno eseguiti nel mese di marzo; ma per la pavimentazione, anziché adoperare la sabbia e
la ghiaia di fiume, sarà utilizzata la pietra rossa (pepa) (io penso quella pietra rossa più
compatta e più dura, data la pendenza della strada!) estratta dalla cava del Castello.
[LXIII].
De via Storte [a] domo Melani.
Item attetur via de Storta a casa Melano usque ad exitum cerreti, et sil(ice)tur et stirpetur per homines
Burgi Maioris ad dictum Benencase Tornensis.
Articolo 63°
Titolo: manutenzione della strada di Casa Melano.
Gli operai di Borgo Maggiore, sotto la direzione di Benincasa Tornensi, ripareranno la strada che
dalla Storta conduce a Casa di Melano fino al termine del Cerreto, liberando la carreggiata dagli sterpi
e spargendo sopra un nuovo manto di ghiaia.
[LXIV].
De ecclesia Bo(n)miliaccii et eius aiutorium faciendo.
Omnes homines qui habitant estra portam Novam de Castromurro usque ad por[tam] Ormanni, et
extra portam Bo(n)miliacci, teneantur iuvare omnes alios de Bo(n)miliaccio et esse cum eis ad
hedificandam ecclesiam de Bo(n)miliaccio, ad [om]nia opera et expensas pro ipsa ecclesia. Et
potestas cogat eos ad hoc ad (b) voluntatem soprastantium Bo(n)miliacii qui nunc sunt et in antea
erunt; et si quis esset nollet etstare, puniatur a . xx . soldis et nichillominus stet cum eis.
479
480
- a) ausque. - b) segue espunto deu[m].
- vedi nota nell’art.( L).
217
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Personaggi nati a R.
Renato Magi
Articolo 64°
Titolo: costruzione della Chiesa di San Giovanni Battista nel Borgo di Bonmigliaccio.
Tutti gli uomini che abitano al di fuori della Porta Nuova di Castel Morro (Oggi Porta del Vento) e
fino a Porta Ormanno, e quelli che risiedono fuori della Porta di Bonmigliaccio, sono tenuti a prestare
aiuto agli abitanti del Borgo di Bonmigliaccio e a collaborare con essi per l’edificazione della nuova
Chiesa intitolata a San Giovanni Battista (dove ha trovato San Giovanni Battista? Però
risulta vero.), partecipando a tutta l’opera e alle spese per la costruzione dell’edificio sacro. Il
Podestà s’impegna a soddisfare il desiderio degli attuali Governatori di Bonmigliaccio di avere una
propria Chiesa, e a tale scopo ordina che vengano puniti con una pena di 20 soldi tutti coloro che si
rifiuteranno di prestare il loro contributo all’edificazione e al completamento della detta Chiesa.
[LXV].
De domo Petri Tinacii habenda pro comuni et domo comunis.
Statuimus et ordinamus comuni concordia, quod potestas vel consilium iuramento teneantur per totum
mensem ianuarii convocare consiluim481 (c) Radicofani, et in ipso consilio et cum ipso consilio
teneatur hemere domum Petri Tinacci et fratruum, (d) que est ad caput Burgi Maioris, pro domo
comunis pretio . cc . librarum et abinde infra, si aberi poterit abinde infra.
Articolo 65°
Titolo: acquisto della sede del Comune.
Stabiliamo e ordiniamo con il consenso di tutto il popolo che il podestà (e il giuramento del
consiglio) indica(no) per il mese di Gennaio la convocazione plenaria del Consiglio (di
Radicofani) allo scopo di ratificare l’acquisto dell’abitazione di Pietro Tinacci e dei suoi fratelli,
che si trova da capo al Borgo Maggiore (oggi Palazzo Pretorio) e che d’ora in poi dovrà servire come
residenza ufficiale del Comune di Radicofani. Il prezzo pattuito per l’acquisto è di 200 libbre.
[LXVI].
Qualiter libra fieri debeat, et per quos, et eius modo et ordine.
Potestas de mense aprelis teneatur convocare consilium et in ipso consilio eligere et facere eligi . x .
bonos homines per contratas, silicet . ii . de Castello, . ii . de Castromurro et . ii . de Bo(n)miliaccio
et . iii . de Burgo Maiori, qui . x . iurent ad santa Dei evangelia allibrare omnes homines de Radicofano
sicut eis videbitur; et ad libram quam ipsi facient datium colligatur, et bona illorum . x . allibrentur
per consilium.
Articolo 66°
Titolo: imposizione e ripartizione delle tasse comunali.
Entro il mese di Aprile, il Podestà farà convocare il Consiglio, nel corso del quale saranno eletti (10)
dieci Probiviri così ripartiti per le quattro contrade del Comune di Radicofani: due Probiviri per la
contrada del Castello, due per quella di Bonmigliaccio, due per quella di Castel Morro e quattro per
la contrada di Borgo Maggiore.
I nuovi eletti presteranno giuramento sul Libro dei Santi Evangeli per dare garanzia di imporre una
tassa su tutte le famiglie del Comune secondo giustizia, tenendo conto dei beni e delle proprietà
possedute da ciascuna di esse.
481
- c) cosilium. – d) così A (ausque).
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Renato Magi
[LXVII].
De ortis et capannis supra ospitale Sancte Marie.
Liceat unicuique volenti facere ortum et capannam in territorio abatie Sancti Salvatoris supra ospitale
Sancte Marie iusta viam Castellanam, facere libere ad voluntatem abbatis et suorum nuntiorum, tracto
rocketo.
Articolo 67°
Titolo: regolamentazione (ordinamento) degli orti e delle capanne che si trovano sopra l’ospedale
di Santa Maria.
Sarà consentito a chiunque lo desideri costruire orti e capanne nel terreno che appartiene all’Abbazia
di San Salvatore e che si estende sopra lo Spedale di Santa Maria (poi denominato dei Pellegrini e
successivamente di San Pietro) (io, invece, penso che lo Spedale di Santa Maria che
apparteneva all’Abbazia di San Salvatore fosse e insisteva nel territorio di
Castelmorro il quale dipendeva tutto da quell’Abbazia)482, lungo la via Castellana
(corrispondente all’attuale Ripa con Via della Fortezza oggi Via Baldassarre Lanciarchitetto, costruttore della Fortezza-).
Per i contratti d’affitto, gli interessati dovranno inoltrare domanda direttamente all’Abate oppure ai
suoi amministratori.
[LXVIII].
De pretio lapidum.
Teneatur potestas cogere et cogi facere omnes illos qui faciunt lapides et soliti sunt facere, dare
centonarium lapidum pro . viii .soldis tantum cum . iiii . cantonibus per centonarium. Et si nollent
facere, potestas cogat eos facere, et qui contra faceret . x . soldos qualibet vice solvat. Similiter
cogantur illi qui faciunt mattones dare . c . mattonum pro . xxv . soldis tantum et non ultra ad bannum
. xx . soldorum.
Finitum, completum et correttum hoc costitutum per costitutarios comunis, videlicet dominum
Guastam, Olverium Presbiteri, Bernardinum Pepi Iamnini, Baldictionem notarium et Petrum de
Brigottis, et ab eis (a)483approbatum per singula, non cancellatum, non interlinatum nec vitiatum in
aliqua parte, anno Domini millesimo, . CC . . LV ., indictione . XIII ., tempore Alessandri pape quarti,
mense novembris die . V . intrante.
Articolo 68°
Titolo: prezzo per la fornitura di materiale da costruzione (Prezzo delle pietre).
Il Podestà è tenuto a imporre un tariffario per gli scalpellini che squadrano le pietre, fissando un costo
di (otto) 8 soldi per ogni quantitativo di cento pietre conce, ivi comprese quattro pietre da cantonate.
Parimente, coloro che lavorano nelle fornaci riscoteranno 25 soldi per ogni cento mattoni.
Chi non rispetta queste tariffe pagherà una multa di 10 soldi per la maggiorazione delle pietre, e 20
soldi per quella dei mattoni.
482
Infatti guardando le denominazioni dei Bastioni della Fortezza che sono nominati in base alle chiese dove essi erano
rivolti, il Bastione di Santa Maria è subito dopo quello di Sam’Andrea, e prima di quello di San Giovanni (n.d.a.).
483
- a) e corretta su a . –
219
Libri su Radicofani
Personaggi nati a R.
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Questo statuto è stato redatto, completato e corretto dai Costituenti del Comune di Radicofani, e
precisamente dal signor Guasta, dal sacerdote Oliviero, da Bernardino di Peppe Giammini e da Pietro
del Brigotti, fungendo da notaio Baldizione.
Lo statuto ha ricevuto l’approvazione per ogni singolo articolo, senza cancellature né correzioni in
qualunque sua parte, nell’anno del Signore 1255. Indizione XIII, al tempo di Papa Alessandro IV, il
giorno 5 del mese di Novembre (entrante).
Radicofani, 15 luglio 1988
Radicofani, lì 3 Marzo 2014
PERSONAGGI ILLUSTRI NATI A RADICOFANI
A nessuno prima delle mie pubblicazioni su “Amiata Storia e Territorio” e su
“Centritalia” era venuto in mente di raccogliere in un unico articolo i personaggi
illustri o meno cui ha dato i natali la terra di Radicofani, fatta eccezione del Pecci nel
XVIII sec. e del Bicchi nel XIX sec. (In modo incompleto).
Questi personaggi con il passare del tempo sono stati dimenticati dalla gente di
Radicofani e anche da coloro, cultori di storia patria, che avrebbero dovuto ricordarli
molto più di Ghino di Tacco, che non era di Radicofani, e che nel nostro paese è
restato soltanto tre anni, con qualche sparuta visita poco tempo prima per assoldare
i suoi famosi masnadieri per depredare i viandanti sulla via Francigena.
Di parere molto più negativo, per ciò che riguarda Ghino di Tacco, Alberto Luchini
il quale nel suo “Radicofani” Scandicci 1970 nelle pagg.47 e 48 così recita: «Sembra vietato
nominare Radicofani, senza che Ghino di Tacco non venga subito tirato fuori. Personaggio con
connotati psicofisici, nel Duecento e Trecento senesi, abbastanza consueti e grossolani……;
beneficiò da morto, d’una quaterna di fortune letterarie punto meritate. A) Dell’inserzione in un verso
della Commedia di Dante ……… B) Della promozione a medico dilettante e umorista, mercé
Boccaccio. C) Del pittoresco-medioevale che, in lui, vollero trovare i romanzieri e memorialisti
italiani………………i surricordati Guerrazzi e d’Azzeglio, fruirono dei loro bravi decenni di voga,
non sempre gratuita, presso il pubblico leggente connazionale, durante il Risorgimento. D) Del
fascino esercitato, ancora nel 1939 su uno dei più patriottici ed educativi scrittori nostri per
l’adolescenza. Ci riferiamo a Yambo e al suo romanzo «Il falco della Val d’Orcia» incardinato
interamente sulle gesta cavalleresche brillanti, da lui regalate al rapace figlio di Tacco.
……………………………………… Sennonché, e a prescindere da codeste constatazioni, la realtà
è, che l’intruso valdichianino Ghino di Tacco, quassù, fu, a malapena, un’apparizione episodica,
incapace di metter radici e di lasciar strascichi».
Il Mazzuoli nel suo “Pensione Vertunno e dintorni” Abbadia S.S. 2001 - non lo smentisce
ma è più moderato affermando: «La grandinata di miliardi, caduta sui restauri del castello,
potrebbe costituire l’indispensabile miracolo, per agevolare l’ascesa del “bel Masnadiero” alla gloria
degli altari, e non sarebbe fuori luogo nominarlo patrono onorario di Radicofani, con tanto di
cerimonia solenne nella Chiesa Parrocchiale, ormai abituata a vederne di tutti i colori.
Fin qui fatti e opinioni.
220
Libri su Radicofani
Personaggi nati a R.
Renato Magi
Come sia possibile, poi, estromettere dalla storia di Radicofani un protagonista, realmente
esistito, autore d’un gran numero di prodezze di ogni genere, passando da una serie di delitti
all’amicizia con sua Santità, è un altro paio di maniche. Lo stesso Dante. Senza sbilanciarsi, lo ricorda
come giustiziere (o assassino a seconda dei punti di vista) di Benincasa, aretino di nascita e cittadino
romano per ragioni d’ufficio.»
Come si vede anche fra i radicofanesi colti c’è differenza di opinioni, ma fino ad
oggi nessuno ha preso in considerazione gli uomini illustri ai quali ha dato i natali il
nostro paese.
Vale la pena, quindi, ricordare in queste pagine personaggi importanti nati in
questa Terra (come la chiamano Gherardini e Pecci), che con le loro opere o imprese
hanno dato lustro al paese di Radicofani484.
Più volte in passato e al presente ho cercato di attrarre l’attenzione delle
Istituzioni raccontando quello che si conosce su questi personaggi, ultimamente devo
dire che qualche cosa, per me ancora poco, è stato fatto.
Forse intestando loro qualche via e a lato farne una descrizione più minuziosa
possibile potremmo far conoscere alla popolazione questi personaggi e chissà che con
il passare del tempo la gente non li senta più vicini a sé. Non è giusto che Radicofani
lasci nel dimenticatoio tutti questi personaggi che in passato hanno onorato la storia
del paese.
A onor del vero il Pecci ricorda «Se non sono i Radicofanesi molto facoltosi, non vi è però
alcuno, che non possieda qualche poca vigna, non abbia bestiami e non faccia qualche poca di
sementa, e non poche famiglie vi sono antiche e civili. ......Radicofani, in ogni età ha mantenuto
giovani a studiare nell’Università più culte e molti d’essi sono, in ogni facoltà, divenuti dottori, altri
impiegati ne’ governi politici, e altri hanno seguito la milizia…»485
Vito Mazzuoli nel suo libro dichiara:
Chi non onora la memoria dei morti, dà un pessimo esempio ai vivi.
Ricordo le parole, che oggi mi sembrano profetiche di Luis Buñuel: «Un popolo se
non ha memoria del proprio passato è come un albero senza radici, al primo soffio di vento rischia di
cadere», ed io credo che se non ricorderemo le nostre vere radici rischiamo di fare la
fine dell’albero.
Quest’articolo li vuole ricordare tutti quelli di cui sono venuto a conoscenza fino
al più internazionale che è tuttora vivente!
In primo luogo va ricordata la famiglia GUASTA (uno di questi è il primo firmatario
dello “Statuto di Radicofani del 1255” sopra riportato!), la quale ha dato diversi
uomini illustri ed è stata, per antonomasia, la vera famiglia nobile di RADICOFANI486.
Anche loro, come Ghino di Tacco, discendenti da un ramo dei Cacciaconti. Tutte le
notizie riportate in corsivo-grassetto dei vari personaggi sono state riprese dal ms.
del Pecci ricordato nella nota n. 485.
Le descrizioni sono state riprese da “La terra di Radicofani” da “Memorie storiche, politiche,
civili e naturali delle città, terre e castella che sono e sono state suddite della città di Siena.” ms. D71 di G. A.
Pecci, cc. 409-453 dell’A.S.S.
485
Opera già citata nella nota n. 1 pag. 453.
486
Chiamati anche DEL GUASTA vedi Cammarosano P. e Passeri V., I castelli del senese.
Repertorio delle strutture fortificate dell’area senese-grossetana. Siena 1976, rist. 1985
484
221
Libri su Radicofani
Personaggi nati a R.
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BEATO GUGLIELMO
Frate francescano che visse quasi tutta la sua vita religiosa sul monte della Verna. Uomo di
preghiera e di ascesi, è ricordato di Lui un episodio particolare, che mentre era assorto nell'orazione
gli fu visto ardere sul capo una fiamma. Morì in odore di santità nel 1270. (Secondo il Pecci Beato
Guglielmo minor conventuale, che, con gran concetto di santità passò all'eterno riposo li quattro
dicembre 1270, del quale con stima, e venerazione ne trattarono non pochi scrittori di quella
religione.)487
487 Dal
libro " LA FRANCESCHINA" Vol. II – Firenze – MCMXXXI – testo volgare-umbro
del secolo XV scritto dal P. Giacomo Oddi di Perugia, edito per la prima volta nella
sua integrità dal P. Nicola Cavanna O.J.M. – A PAG. 26-27 leggiamo:
"Anche in questa medesima provincia (parla della provincia di Siena dalla quale proveniva il
frate di cui aveva parlato precedentemente n.d.t.) et nel loco de la Verna se reposa uno santo frate,
chiamato FRATE GUGLIELMO da Radecofano. Quisto homa de Dio avea singularmente la
virtù de la oratione, nella quale tucto era absorto. Unde che fo veduto una fiata, stando esso in
oratione, uno grande fuoco descendere da cielo sopra lo suo capo. (nel libro c'è anche un disegno
la fig.65 n.d.t.), demonstrando quanto erano le suoe oratione infocate de l'amore de Dio. Amen.
Nella nota in fondo alla pagina: Pisano, AF IV. pag. 254; Chron. 24 gen. p. 286; Cater.
p.15. DAL LIBRO «IL MONTE DELLA VERNA» DI PADRE MARINO BERNARDO
BARFUCCI – Firenze - 1993
Sotto un disegno che raffigura il Beato Guglielmo e porta il n. 9, non so dire se è
del medesimo libro di cui sopra si legge:"B. Guglielmo de Radicofano, mire sanctitatis, orans
ignis maximus super caput eius est; in monte hoc sacro in pace requiescit". Più sotto ancora
sempre contrassegnato con il numero 9 c'è scritto: " B. GUGLIELMO, laico, da
Radicofani († 1270) – Trascorse quasi tutta la sua vita sul monte della Verna. Mariano
scrive:"Frate Guglielmo da Radicofani el quale orando gli fu veduto sopra el capo discendere
un grande fuocho". Il Martirologio francescano lo ricorda il 4 dicembre.
Un medaglione in affresco che si trova (il disegno di cui ho parlato sopra n.d.t.) al santuario
della Verna nel corridoio del dormitorio sopra la porta di una cella: Il beato Guglielmo prega
e sul suo capo si posa un globo di fuoco.
AFH 2 (1909) 458; 4 (1911) 549; AF, IV, 254 E 519; AM, IV, 358; Franceschina, II, 26.
Dal libro "MISCELLANEA FRANCESCANA DI STORIA, LETTERE, DI ARTI" diretta dai
frati minori conventuali di San Francesco – Nuova serie – Volume XXXII – Roma –
1982 – a pag. 109 leggiamo:
" 19 – B. Guglielmo da Radicofani – Spira divozione in ogni sua parte il Monte della Verna, ove
il Serafico Padre S. Francesco ricevé da Cristo nostro Signore le Sacrate Stimmate. E perciò
molti Servi di Dio l'hanno volentieri eletto per loro abitazione, come luogo attissimo per la vita
contemplativa.
Quivi fiorì il B. Guglielmo da Radicofani, Laico, il quale con tanto fervore di spirito
attendeva alla santa orazione, che più volte, mentre orava, fu dai Frati veduta una rilucente
fiamma di fuoco sopra il suo capo.
Visse vita esemplarissima, e colmo di meriti in quel sacro monte riposò in pace circa l'anno
1270.
Nella nota c'è scritto: WADD. an. 1270, p. 21 (II ediz. 26). L'ARTURO lo pone al 4
dicembre.
222
Libri su Radicofani
Personaggi nati a R.
Renato Magi
GUASTA DI MESSER IACOMINO
Castellano di Radicofani, condottiero famoso ardito ed abile. Nel 1311 Capitano del popolo a
Firenze nel 1325 Generale in capo delle forze armate fiorentine.
(Secondo il Pecci nel 1311 fu Capitano del popolo della città di Firenze, conforme scrive
l'Ammannati, e resosi Signore della propria Patria (era Capitano del popolo anche a Radicofani),
attendendo il mestiero dell'armi, passando di grado in grado, pervenne a' supremi onori della
milizia, perché fu Conestabile (grado di comando nell'antica milizia) di 50 lancie per i senesi
contro gli aretini circa l'anno 1314. Rotta poi la guerra tra Castruccio (Castracani) signore di
Lucca Capo de' Ghibellini, e i fiorentini, Guasta si avanzò maggiormente, perché ridotti i fiorentini
a strettissime angustie, crearono loro Capitano di guerra Oddo da Perugia, e consegnarono
l'assoluta custodia della città loro a Guasta, che colà si ritrovava coll' armi ausiliarie de' senesi,
conforme scrive Giovanni Villani, ed esso coraggiosamente la difese e preservò. Per una tal
valorosa pruova salì Guasta a tanta riputazione, che i "Guelfi di Toscana" lo dichiararono loro
Capitano Generale, (o come altri dicono) a Priore della Taglia, cioè della Lega Toscana, nella qual
carica andò sempre più agumentandosi onore, e riputazione, di mode che l'anno 1328 fu eletto
Governatore di Fuligno, conforme scrive Jacobilli, e altre cariche si può supporre, che esercitasse,
ma, in verità, più oltre non se n'ha certezza).
Nel suo libro, - Radicofani – a cura di Alberto Luchini – Editrice Industria grafica l’Impronta
S.p.A. –Scandicci (FI) –Luglio 1970, - l’autore dichiara a pag. 149: Nel Secolo XIV, il
condottiero Guasta manovrò con abilità tale, anche axtra-militarmente, che il Comune di Firenze,
forse il più diffidente dell’universo, gli conferì, nel 1311, il grado di Capitano del popolo; e la
Signoria, nel 1325, quello di Generale in capo delle forze armate fiorentine, quando Castruccio
Castracani ebbe inflitta loro una batosta memorabile.
Su internet in un libro su google-libri in pdf- La cronaca anni 1326 -1350 – a pag. 29
dell’anno 1326 troviamo scritto:
Morte di messer Guasta da Radicofani (1326)
Il 3 settembre vengono tumulate ai Frati Minori le spoglie mortali di Guasta da Radicofani,
Capitano di guerra di Bologna, qui giunto agli inizi di aprile. Egli lascia uno splendido ricordo
di sé:
«avè lo maore honore vivo e morto che regedore ch’avesse may Bononia, e fo capetanio de guerra
et avè le chiave delle porti». Il suo comando viene assunto dal fratello, messer Ranieri da
Radicofani. Nota 145 (Rerum Bononiensis, p. 370 e Cr. Vill., p. 374 e 375.)
Sempre a proposito di Guasta da Radicofani troviamo su Internet a “Capitani di
Ventura” un’ampia cronologia delle sue azioni e battaglie.
MONALDO DA RADICOFANI
Podestà di Foligno nel 1323.
(Secondo il Pecci l'anno 1325, anch'egli [come Guasta di messer Iacomino] fu podestà,
e governatore di Fuligno, come dal catalogo del Jacobilli, e come altro Cartolario riportato nella
"Storia di mezza età" del Muratori488 si raccoglie, dove è descritto podestà di Fuligno ancora
nell'anno 1323).
488
Muratori – Storia di mezza età, Tomo IV, Repert. 46, 146.
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Libri su Radicofani
Personaggi nati a R.
Renato Magi
PONE DI GUASTA E SUO FIGLIO GUASTA
Nel libro "La città fortificata di Radicofani – Nuova immagine editrice – Siena 1998 – AA.VV."
Angela Lanconelli nelle pagg. 93-94 a proposito delle famiglie nobili di questi luoghi
dichiara:
«È significativa, al riguardo, la vicenda di Pone di Guasta e di suo figlio Guasta. Troviamo Pone
nel giugno 1340 alla guida dell'esercito pontificio nella spedizione contro Todi che si era ribellata
alla Chiesa; riconquistata Todi, Pone fu incaricato di presidiarla e nel settembre dello stesso anno
guidò una nuova operazione militare per la conquista di Onano. Dopo qualche mese, tuttavia, i servigi
da lui resi al Papato non gli impedirono di impadronirsi di Radicofani, insieme con Giovanni di
Monaldo, ma il tentativo non durò a lungo: i due ribelli furono catturati dal rettore della provincia,
Bernardo di Lago, e Pone morì poco dopo (prima del novembre 1341) ucciso, insieme con suo
fratello, dallo stesso Giovanni di Monaldo489. Dieci anni dopo il figlio Guasta riprendeva l'opera del
padre occupando alla fine del 1352 Radicofani e sottomettendosi nell'ottobre dello stesso anno a
Siena, ma all'arrivo dell'Albornoz fu catturato e imprigionato a sua volta nel carcere della Curia
provinciale. Nel corso di quel secolo, dunque, mentre aumentavano le tensioni all'interno del castello,
il controllo papale andò progressivamente allentandosi, fino al definitivo passaggio di Radicofani
sotto il dominio del Comune di Siena».
Sempre su internet su google-libri nel libro – La cronaca anni 1326 – 1350 a pag
708 dell’anno 1340 troviamo:
Ribellione di Amelia ( 1340)
In giugno si combatte sotto le mura di Amelia. Nel corso del 1339 vi è stato un forte
movimento di ribellione in tutta la regione, rivolte in qualche modo fomentate dall’eresia nata
con la nomina dell’antipapa del Bavaro. Todi si è sollevata in armi e, nell’aprile 1339, ha
minacciato Alviano, Narni, Amelia e San Gemini. Amelia è caduta nelle mani dei ribelli e il
rettore ha inviato ora, nel giugno del ’40, il nobile Pone di Guasta da Radicofani ad espugnare
l’alta città dove si sono arroccati gli eretici. L’esercito pontificio ha ricevuto rinforzi da
Perugia e da Orvieto. Guasta mette balestrieri a Foce, 3 miglia a nord est di Amelia, un
naturale antemurale della città, e riesce a espugnare Civitella. La situazione degli assediati in
pochi giorni diventa critica e il rettore invia Manfredo Vitelleschi a negoziare la capitolazione
dei ribelli. Ottenutala, l’esercito pontificio si installa in città e Pone di Guasta di Radicofani lo
governa per qualche tempo. L’esercito del Patrimonio deve ora rivolgere le armi contro la vicina
Terni, la quale, a sua volta, si è ribellata, ma questa città oppone una resistenza ben più
forte di quella degli Amerini.106
106 ANTONELLI, Patrimonio, p. 299, molto diffuso CESSI, Una relazione, p. 169-175.
DINO DI PONE DI GUASTA DI IACOMINO DA RADICOFANI
Dino di Pone di Guasta da Radicofani, da Belisario Bulgarini nell'albero Genealogico tenuto
dalla Famiglia de' Visconti da Campiglia, siccome padre Ugurgieri nelle "Pompe Sanesi",
all'opposto dell'Ughelli, che lo crede della famiglia di Ghino di Tacco, né io sarei lontano
489
Sulle vicende di Pone vedi M. ANTONELLI, Vicende della dominazione pontificia nel Patrimonio di S.
Pietro in Tuscia dalla traslazione sede alla restaurazione dell'Albornoz, in "Archivio della Società romana di
storia patria", XXV (1902), pagg. 355-395, XXVI (1903), pagg. 249-341, XXVII (1904), pagg. 109-146 e 313349; La dominazione pontificia nel Patrimonio negli ultimi venti anni del periodo avignonese, ivi, XXX
(1907), pp. 269-332, XXXI (1908), pp. .121-168 e 315-355; Nuove ricerche per la storia del Patrimonio dal
MCCCXXI al MCCCXLI, ivi, LVIII (1935), pp. 119-151.
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appigliarmi a quest’ultimo, ma però considero, che Ghino di Tacco fosse de' Cacciaconti signori
della Scialenga, e un ramo de' Manenti signori di Sarteano, e Chianciano. Fu dunque Dino
Patriarca d'Alessandria, poi Arcivescovo di Genova, e il 29 ottobre 1342 trasferito alla
Metropolitana di Pisa, e morì nel 1349, conforme scrivono l'Ughelli, il padre Orlandi nel "Mondo
sacro, e profano" 490. Dal libro, - Radicofani – a Cura di Alberto Luchini – Editrice Industria grafica
l’Impronta – Scandicci (FI) Luglio 1970, l’autore dichiara a pag. 149: in un giro d’anni subito
consecutivo (secolo XIV° anni succitati), un Dino da Radicofani, ecclesiastico, fu Arcivescovo, prima
di Genova, quindi di Pisa, e spiegò, a parere d’esperti in Storia della Chiesa, una perizia straordinaria.
Per una più corretta biografia di Dino da Radicofani, così come è conosciuto in
Italia, qui sotto presentiamo, ripresa da Internet la biografia dello storica pisana
Daniela Stiaffini:
DINO da Radicofani
Dizionario Biografico degli Italiani - Treccani – Vol. 40 (1991).
di Daniela Stiaffini
DINO da Radicofani. –
Nacque alla fine del sec. XIII a Radicofani (prov. Siena), dove risiedeva la famiglia. Era nipote
di Simone Albo, conte di Radicofani e di Acquapendente, e zio di Guasta da Radicofani, visconte di
Montevaso.
La sua famiglia apparteneva alla piccola nobiltà feudale toscana e con il titolo comitale deteneva
diritti signorili e giurisdizionali sul castello di Radicofani e sul suo circondario fino a comprendere la
rocca di Acquapendente. Essa traeva il cognome dal luogo stesso su cui aveva la signoria. Il diritto
signorile della famiglia di D. sul castello di Radicofani è testimoniato da una bolla di papa Innocenzo
III dell'8 maggio 1200, ma fu sempre contrastato dai monaci del convento di S. Salvatore del Monte
Amiata, i quali avevano detenuto l'assoluto potere signorile e giurisdizionale sul castello fino alla
metà del sec. XIII quando ne avevano ceduto la metà alla S. Sede nella persona di papa Eugenio III.
La prima notizia a noi nota relativa alla residenza della famiglia di D. a Radicofani è contenuta in un
atto relativamente tardo, del 2 genn. 1282, in cui si menziona il palazzo dei conti di Radicofani posto
nel castello. Sono probabilmente da rifiutare, come prive di fondamento, le affermazioni fatte
Dal libro "IL CAMMINO DELLA CHIESA GENOVESE - “dalle origini ai nostri giorni" –
a cura di Dino Puncuh – Genova MCMXCIX – Nella sede della società ligure di storia patria –
Palazzo ducale – Piazza Matteotti, 5 – p. illeggibile – leggiamo:
" ..... in questo sfondo papa Benedetto XII, alla morte di Bartolomeo da Reggio, rinnova
immediatamente la riserva sulle nomine vescovili dell'intera Liguria, riguardo a Genova con
studiata diplomazia attende la rinuncia del neoarcivescovo Goffredo Spinola, arcidiacono di
San Lorenzo, eletto nel frattempo dal capitolo. Soltanto nel gennaio del 1337, dopo più di un
anno di sede vacante, il papa procede alla nomina di Dino da Radicofani, uditore delle cause
apostoliche in Avignone e cappellano pontificio, mentre nell'anno seguente è assegnata allo
Spinola la cattedra vescovile di Mantova.
490
Per quanto riguarda Dino da Radicofani – senese e discendente da famiglia di origine ................... la
recente pubblicazione dell'annuario del monastero urbano di S. Siro rivela un dato interessante: egli nel
1303 risiede a Genova e in qualità di vicario dell'arcivescovo Porchetto presenzia alla lunga e laboriosa
elezione dell'abate. In seguito, alla fine del 1332, rinunzia al canonicato dell'antica pieve di Rapallo per
assumere il patriarcato di Grado. Alti incarichi e connessi trasferimenti segnano la vita di Dino da
Radicofani e anche l'esperienza genovese non si rivela duratura: nel 1342, per volontà di Clemente VI,
è trasferito alla sede metropolitana di Pisa dove resta fino alla morte avvenuta agli inizi del '48. (il Pecci
ci dice che è morto nel 1349)..........................il nuovo incarico pisano di Dino da Radicofani va inquadrato
nel nuovo corso di rapporti instauratisi fra Genova e Pisa con il trattato del giugno 1341, i cui obiettivi
riflettono da parte delle due secolari rivali prove di notevole pragmatismo politico".
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dall'Ughelli e dall'Ugurgieri Azzolini secondo le quali D. sarebbe stato imparentato con Ghino di
Tacco; sono altresì da rifiutare quelle del Tronci, secondo il quale il D. sarebbe stato un suo antenato
in quanto un ramo dei Tronci, prima di stabilirsi a Pisa, avrebbero abitato nel contado senese.
D. venne destinato dalla famiglia alla carriera ecclesiastica che percorse con soddisfacenti
risultati lontano dalla sua patria di origine. Ricevuta l'ordinazione sacerdotale, D., dopo avere
conseguito il titolo di doctor decretorum, divenne preposito della Chiesa genovese. Sotto il pontificato
di Giovanni XXII divenne cappellano del sommo pontefice. Si distinse in tale carica tanto che il 6
nov. 1332 il pontefice lo nominò patriarca di Grado in sostituzione del patriarca Domenico morto in
quell'anno (D. fu consacrato tra il 12 febbraio e il 2 ott. 1333). Anche sotto il pontificato di Benedetto
XII D. godette di grande considerazione. Già il 26 giugno 1336 fu incaricato da quel pontefice di
condurre una missione di pace da eseguire per conto della Sede apostolica in Francia: doveva
comporre la controversia sorta fra Oddone IV duca di Borgogna, da una parte, e Henri de Montfaucon
e Giovanni da Cabillono (l'odierna Chálons-sur-Saône) dall'altra. La sua condotta in questo incarico
fu prudente e improntata a molta saggezza: dopo tale missione la fiducia nei suoi confronti da parte
degli ambienti curiali contribuì ad indurre il papa Benedetto XII a trasferirlo all'arciepiscopato di
Genova come successore di Bartolomeo da Reggio, morto il 13 dic. 1335, nomina che venne ratificata
con una bolla del 24 genn. 1337 dopo il rifiuto opposto da Gottifredo di Spinola, diacono genovese,
a ricoprire tale carica.
Le spiccate attitudini diplomatiche di D. non mancarono di manifestarsi anche nel suo governo
episcopale. Il nuovo presule, infatti, ebbe un posto di rilievo nel processo svoltosi il 17 genn. 1340
contro il decano Teodorico ed i canonici della Chiesa di Worms, accusati di avere eletto a loro
vescovo - dopo la morte di Conone - Gerlasco detto Pincerna, e, dopo la morte di quest'ultimo,
Salamanno, preposito della chiesa di S. Stefano di Magonza, senza aver chiesto ed ottenuto la ratifica
papale. D., nominato dal pontefice giudice di questo processo, condannò Teodorico ed i canonici di
Worms a dieci anni di scomunica. Pochi anni dopo, morto l'arcivescovo di Pisa Simone Saltarelli (24
sett. 1342), il governo di quella città fece pressioni sul pontefice perché designasse come successore
del presule scomparso il frate domenicano Marco Roncioni, priore del convento di S. Caterina di Pisa,
appartenente ad una delle più influenti e nobili famiglie cittadine: tali preghiere non ottennero l'effetto
desiderato, perché il pontefice aveva già deciso di conferire a D. l'importante sede toscana. D. venne
eletto infatti arcivescovo di Pisa con una bolla del 7 ott. 1342.
Lasciata Genova, tuttavia, il presule non raggiunse subito la sua nuova sede e preferì recarsi ad
Avignone dove si trattenne parecchi mesi. La sua permanenza ad Avignone dovette forse prolungarsi
più del previsto, perché D. dapprima chiese una sovvenzione in denaro agli abati dei monasteri pisani
di S. Vito, di S. Paolo a Ripa d'Arno e di S. Savino per il suo soggiorno avignonese e poi, in novembre,
decise di eleggere un suo vicario che governasse la diocesi pisana nella persona di Guidone Sette,
arcidiacono della Chiesa genovese. A Pisa D. giunse soltanto all'inizio del mese di febbraio del 1343
proveniente da Livorno dove era sbarcato da una nave che veniva dalla Francia.
D. amministrò la Chiesa pisana con molta oculatezza e prudenza. Il suo primo atto in veste di
arcivescovo fu quello di chiedere per lo Studio pisano l'autorizzazione papale a conferire il dottorato
in sacra pagina, in iure canonico et civile e in medicina: la grazia fu concessa, e dette nuovo impulso
alla nascente università pisana. L'anno successivo D. rese di pubblico dominio una lettera del 27
maggio 1344, indirizzata dal pontefice al vescovo di Genova: essa aveva come tema principale la
ricerca di una soluzione di compromesso fra il governo pisano e il duca di Milano in lite ormai da
diverso tempo.
Notevole fu l'attività di D. nella amministrazione dei beni fondiari spettanti alla mensa
arcivescovile pisana. Nel 1344 D. elesse il nuovo camerario della mensa arcivescovile pisana nella
persona di Peretto di Cognanuti da Val di Tana e, con la sua assistenza, procedette alla vendita, alla
permuta o all'acquisto di molti beni fondiari posti nei dintorni di Pisa, fino a comprendere le località
di Chianni e San Luce. Il 30 sett. 1344 ricevette il giuramento di fedeltà dagli abitanti di San Michele
di Meli di Riparbella, già ribelli al potere di Guasta da Radicofani visconte di Montevaso e nipote di
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D.: nell'accettarlo, concesse il suo perdono per la sommossa organizzata contro il nipote e nello stesso
tempo confermò i suoi diritti feudali e giurisdizionali sull'abitato e il contado di Meli di Riparbella.
Anche in questo periodo D. alternò l'attività pastorale con quelle mansioni diplomatiche che il
nuovo pontefice, Clemente VI, come già i suoi predecessori, gli affidò periodicamente. Il 28 ag. 1344,
ad esempio, si recò insieme al legato della Sede apostolica, Aimerico, a Napoli; e nel giugno dell'anno
seguente si dovette occupare, sempre per incarico del papa, della situazione che si era venuta a creare
in Corsica con la morte del vescovo Pagano. Nella sua funzione di primate di Corsica, D. affidò la
sede vescovile vacante a fra' Bernardo dell'Ordine dei minori, assicurandogli la sua assistenza morale
e pastorale. Il 23 sett. 1347, poi, ricevette l'incarico dal pontefice di recarsi insieme con i vescovi di
Perugia, di Siena e di Firenze in Sicilia, dove con l'assistenza dei rappresentanti dei governi di
Genova, di Siena e di Firenze ebbe il compito di prestare tutto l'appoggio possibile al governo locale.
D. morì a Pisa nel 1348.
L'Ughelli e gli autori che muovono da esso affermano invece che D. morì a Pisa l'anno
successivo. L'esame della documentazione dimostra, al di là di ogni dubbio, che D. era sicuramente
morto nel mese di ottobre del 1348, anche se il suo successore - Giovanni Scarlatti - fu eletto
arcivescovo di Pisa solo con una bolla del 27 giugno 1349: esiste infatti un documento del 14 ott.
1348 con il quale il pontefice ordinò ad Andrea da Tuderto di recarsi a Pisa per redigere l'inventario
dei beni mobili del defunto arcivescovo: Andrea doveva tra l'altro farsi consegnare gli oggetti
personali da questo posseduti.
Fonti e Bibl.: Pisa, Arch. della Mensa arcivescovile, Diplomatico, nn. 29, 704, 631, 683, 703, 760,
765, 733, 715, 747; Ibid., Acta extraordinaria ab anno 1325, n. 1, c. 8rv; Ibid., Apographorum, VIII,
nn. 1683, 1685, 1752; Arch. di Stato di Lucca, Cronaca pisana di autore anonimo contenuta nel codice
54, c. 17; Cronica antiqua conventus S. Catharinae de Pisis, in Arch. stor. ital., VI (1845), 2, pp. 519
s.; Benoit XII (1334-1342). Léttres comMunes, a cura di J.-M. Vidal, I, Paris 1902, nn. 3977 s., 4050,
4077, 4098; II, ibid. 1904, nn. 7934, 8147; Jean XXII (1316-1334). Lettres communes, a cura di G.
Mollat, VIII, Paris 1924, nn. 47214, 48538, 49065; XI, ibid. 1929, nn. 56521 s.; XII, ibid. 1932, nn.
58750, 59207, 59314, 59592; XIII, ibid. 1933, nn. 61625 s.; Clément VI (1342-1352). Lettres closes,
patentes et curiales, a cura di E. Déprez-M-G. Mollat, I, Paris 1960, n. 1728; II, ibid. 1958, n. 3473;
I. Ugurgieri Azzolini, Le pompe sanesi ovvero relazioni delli huomini e donne illustri di Siena e suo
Stato, I, Pistoia 1649, p. 110; F. Ughelli-N. Coleti, Italia sacra, III, Venetiis 1718, col. 457, n. LVIII;
IV, ibid. 1719, col. 889, n. XXXVII; V, ibid 11720, coll. 1149 s., n. LII; S.M. Fabbruccio, Excursio
historica, I, De prima dote Pisani publici Gymnasi, eiusdemque privilegiis, in Raccolta di opuscoli
scientifici e filologici, a cura di A. Calogerà, XXIII, Venezia 1741, pp. 6-11; A. F. Mattei, Ecclesiae
Pisanae historia, II, Lucae 1752, pp. 60 ss., 82-87; P. Tronci, Annali pisani, III, Lucca 1829, pp. 171,
197; G. Volpini, Storia del monastero e del paese di Abbadia San Salvatore, s.l. 1966, p. 162; N.
Zucchelli, Cronotassi dei vescovi e arcivescovi di Pisa, Pisa 1907, pp. 132-135; C. Eubel, Hierarchia
catholica... ab anno 1198, I, Monasterii 1913, pp. 266, 281, 400.
Abbiamo riportato tutto l’articolo, consultabile su “internet”, perché è molto più
esaustivo e perché abbiamo una più ampia visibilità dell’importanza del personaggio
Dino; senza dubbio il più importante personaggio cui abbia dato i natali Radicofani
e a Radicofani nessuno lo conosceva!
FRA LEONE DA RADICOFANI
(Sec. XVI) In gran favore presso i Granduchi. (Secondo il Pecci Fra Leone da
Radicofani Minor Conventuale fu molto favorito da' Gran Duchi di Toscana, mentre fu Inquisitore
a Siena, morì nella carica, e Padre Ugurgieri nelle sue "Pompe Sanesi" asserisce, che morì lì 14.
d'ottobre 1576., ma nelle costituzioni del Collegio dei Teologi di Siena si legge morisse nel 1564).
227
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Su Internet vi è un racconto intitolato:
La pozione di mastro solene di teodato tintore senese
Causa d'imputazione di Malìe contro Mastro Solene di Teodato tintore senese.
Anno domini 1574. Indizione 2. Martedì 30 Marzo.
Mastro Sebastiano di Ottaviano Menicucci da San Gimignano habitante et accasato in Siena
constituito dinanzi alli Probi Rev.di Vicario di Mons. Arcivescovo di Siena et a Mastro Leone da
Radicofani del Ordine minore di S.Francesco di Giussano Inquisitore del Heresie……….
Sempre su Internet su Ereticopedia troviamo gli inquisitori di Siena:


Leone da Radicofani OFMConv (1575–1577)
Giovanni Pelleri da Radicofani OFMConv (1656–1664)
DON NICCOLO’ MIGLIORI
Monaco Certosino, compose a requisizione del B. Giovanni Colombini di lui amico, e
contemporaneo un’opera, che ha per titolo “Mistica Teologica”, che si conserva scritta a mano
nella Libraria de’ Padri Serviti di Siena.
Questo Certosino crederei, che fusse della famiglia Migliori del Sig.re Dott. Jacono Paolo,
oriunda dalla terra di Chianciano, e stabilita poi a Radicofani, perché si prova concludentemente
la di lui discendenza da quella terra dal 1287. in qua, come si può riconoscere dallo Statuto antico
di Chianciano, compilato in detto anno, dove, fra gli altri Statuenti, si leggono Nos Minus Monaldi,
Cenne Melioris, Finus Berighieri, Statutarj communis Clanciani.
PIETRO MAZZANTE
(Il Pecci lo chiama Pietro Mazzantes)
Professore ed Astrologo all'Università di Padova, vissuto nella seconda metà del
1600.
(Secondo il Pecci, nativo dei questa terra fu bravo professore, e intendente di Astrologia, come
molto bene lo dimostra, perché diede alle stampe in Siena l’anno 1600. molte testimonianze di
Prognostici, che in gran parte si avverarono).
Su Internet sul sito books-google, it si trova un libro “ Collezione degli uomini e donne
illustri della Toscana da ……. “ e al nome di Mazzantes Pietro recita: Mazzantes Pietro da
Radicofani nel Senese fu valente intendente di astrologia; diede in luce molte prove de’ suoi
pronostici in detta scienza. Vedi Ugurgieri pompe senesi par. 1 tit. 21.
GIOVANNI PELLEI
Vissuto tra la prima e la seconda metà del 1600. Frate minore conventuale, fu
inquisitore, guardiano del conventi di S. Croce a Firenze. Ispettore dei conventi
francescani in Toscana e Sardegna ed infine Vescovo di Grosseto. E' ricordato in una
lapide della Basilica di S. Francesco a Siena ed è raffigurato in un quadro all'interno
della chiesa di S. Agata.
(Secondo il Pecci fu religioso dell'ordine dei minori conventuali, dichiarato in Bologna
Maestro, e dopo aver sostenuto l'officio di Guardiano di più conventi, fu eletto Inquisitore di
Belluno nel 1656, poi di Trevigi (Treviso), e dopo di Siena. Vacata la chiesa vescovile di Grosseto,
il pontefice Alessandro VII gliela conferì nel 1664, ma, senza vederla, mentre per la strada s'
incamminava a quella volta, gli otto di giugno del medesimo anno 1664 morì in Radicofani sua
Patria, e il cadavere, conforme a quanto aveva disposto, fu trasportato a Siena a seppellire nella
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chiesa di S. Francesco alla quale era cotanto affezionato, che per mantenimento di quella fabrica
lasciò un pingue capitale, co' frutti del quale, amministrati da quattro depotati, eletti dalla Balìa si
supplisce a tutto il bisognevole.).
FRA ARCANGIOLO MARIA RADI
(Secolo XVII) Teologo e matematico.
(Secondo il Pecci religioso domenicano teologo, filosofo, eccellente mattematico, ritruovò col
di lui altissimo ingegno un Oriolo a sole portatile [che fu il primo in questa invenzione, dilatata
poi a tempi nostri universalmente], senza l'uso della calamita, meraviglioso assai, e in modo di due
tavolette, che si chiudono co' loro gnomoni, spiegato in tre faccie, una servendo per la de' raggi
del nostro Zenit, l'altra per l'approssimazione ad essa, e la terza per gli Equinozii, ritruovandosi
per mezzo di questo, senza fatica, la linea meridionale, e di più può servire comodamente per
istrumento a comporre gli Oriuoli, dimostrare l'ore Babiloniche, Astronomiche, e Italiane, e in
qual segno il Sole si Truovi, e in quai gradi. Oltre a ciò diede alle stampe "Lunare deliquium Senis
observatum die 25 Junii 1657 etc...", di poi si portò nell'Umbria, colà chiamato per levare, e
disegnare le piante di tutte quelle Città, ed io ho veduto quella della Città di Narni, e se altre ne
compilasse non mi è noto, ma crederei, che l'avesse eseguite).
Su Internet a proposito del nostro ho trovato le seguenti notizie:
books.google.it - Altre edizioni
Bollettino della Società geografica italiana: Volume 46,Parte 2
Società geografica italiana - 1909 - Visualizzazione snippet
A quest'epoca deve evidentemente riportarsi la pianta topografica di Fra Arcangelo Maria Radi,
sopracitata. Dalla serie dei vescovi narnesi, stampata dall' Eroli nel suo libro Descrizione delle chiese
di Narni e suoi dintorni — Narni, ...
Italianistica: Volume 25
1996 - Visualizzazione snippet
Infine, vanno anche ricordate le osservazioni fatte da altri due illustri autori che si sono occupati
di orologi: Anton Francesco Doni e Arcangelo Maria Radi. Il Doni, nell'opera del quale si ravvisano
elementi già presenti nel testo di ...
Physis; rivista internazionale di storia della scienza: Volume 10
1968 - Visualizzazione snippet
1665 Arcangelo Maria RADI Nvova Scienza di Horologi a Polvere che mostrano, e' suonano
distintamente tutte l'hore Del P. Maestro F. Archangelo Maria Radi de Predicatori Professore di
Matematiche, e' Teologo dell'Emin"° S. Card: Facheti ...
Filologia e critica: Volume 21
1996 - Visualizzazione snippet
Bonito, per giungere a capo del problema, non esita a chiamare in causa i testi scientifici
dell'epoca (poniamo, La nuova scienza di orologi a polvere di Arcangelo Maria Radi, gli Orologi
elementari di Domenico Maria Martinelli, ...
Mappe e letture: studi in onore di Ezio Raimondi
Ezio Raimondi, Andrea Battistini - 1994 - 483 pagine - Visualizzazione snippet
Il testo maggiormente legato, per argomento e affinità meccaniche, agli Orologi elementari è la
Nuova scienza di orologi a polvere" di Arcangelo Maria Radi ...
Bullettino senese di storia patria: Volume 19
Nessuna immagine di copertina R. Accademia dei Rozzi, R. Accademia dei Rozzi (Siena, Italy),
R. Accademia dei Rozzi. Commissione senese di storia patria - 1912 - Visualizzazione snippet
Fra Arcangelo Maria Radi, Domenicano, teologo, filosofo ed eccellente matematico ; inventò un
orologio a sole, portatile, che gli scrittori del tempo chiamano meraviglioso. ...
A philosophical and mathematical dictionary: containing an ...: Volume 1 - Pagina 327
229
Libri su Radicofani
Personaggi nati a R.
Renato Magi
Charles Hutton - 1815 - 41 pagine - Consultazione completa
There is likewise a treatise on Hour- Glasses by Arcangelo Maria Radi, called Nova Scienzade
Horologi Polvere. See also the Tcchnica Curiosa of Gasper Schottus ;• and Amontons Remarques et
Experiences Physiques sur la Construction d'une ...
GIOVANNI DOMENICO PARRACCIANI
Ogniuno sa, dice il Pecci, perché son fatti freschi de’ tempi nostri, che la famiglia Parracciani
è originaria da questa terra, e che da essa, benché nato a Roma, ne derivò L’Eminentissimo
Signore Cardinal Giovanni Domenico di tal cognome, promosso alla Porpora dal pontefice
Clemente xi., nel 1706., e morto in Roma nel 1721.
( Per più approfondite notizie vedi di F.M. Magrini, I Parroci di Radicofani, Edizioni Cantagalli
– Siena – 1983 –Pagg. 15 e16).
Su internet troviamo a « Sant’Anastasia (titolo cardinalizio) »
Sant'Anastasia è un titolo cardinalizio istituito da papa Evaristo intorno al 105. In seguito, fu
inserito tra quelli del sinodo romano del 1º marzo 499. La chiesa alla quale si ispira è sita ai piedi del
monte Palatino. Tale posizione costituisce un'eccezione dato che tutti i 24 titoli esistenti al tempo di
papa Marcello I erano fuori dalla cinta muraria di Roma, mentre le diaconie si trovavano al suo
interno. In base al catalogo di Pietro Mallio, compilato durante il pontificato di Alessandro III, il titolo
era collegato alla Basilica di San Pietro e i suoi sacerdoti vi celebravano Messa a turno.
Fra i titolari troviamo:
Giovanni Domenico Parracciani (1706 – 1721).
JACONO PAOLO MIGLIORI
(Sec. XVIII) - Medico- Fisico.
(Secondo il Pecci - Medico Fisico vivente, che l'anno 1729 diede alle Stampe in Siena un'opera,
intitolata "De lesa digestione dissertatio". Avea ancora antecedentemente nell'anno 1726 scritta
la "Storia delle febbri maligne epidemiche occorse in Sarteano per il mal vapore d'una quantità di
quoia imputridite, e corrotte", che si ha manoscritta). Il Pecci parla anche di molte altre opere
del Migliori e della sua erudizione.
Su Internet è consultabile un libretto intitolato: “Apologia del Dottor Giacomo
Migliori di Radicofani – Filosofo, e medico – alla Critica del Marchese ….” Siena 1752.
ALCEO GESTRI
Alceo Gestri è stato «il più eccezionale sindaco di quella che sarebbe stata la loro storia futura:
notabile locale e uomo di classe dalla testa ai piedi491». Questo sindaco, nato a Pienza, in
pratica ha costruito Radicofani con tutti i servizi come lo si trova ancora oggi! Per
l'esattezza elencherò tuttele sue opere:
il "Maccione" (gli attuali giardini pubblici) era una discarica e concimaia abusiva
a cielo aperto, le scuole pubbliche, le fogne, la pavimentazione di tutto il paese, la
restaurazione della torre dell'orologio, e, a quanto sembra, il desiderio di realizzare
l'acquedotto per portare l'acqua nelle case, infine, un lotto di loculi nel cimitero del
paese492.
491
492
Vedi di V. Mazzuoli "Pensione Vertunno e dintorni" – Il Riccio – Abbadia S.S. – 2001 – pag. 45.
Per altre notizie su Alceo Gestri rimandiamo al libro della nota precedente alle pagg. 45 – 49.
230
Libri su Radicofani
Personaggi nati a R.
Renato Magi
Alceo Gestri era sposato con Giulia Brugi che morì il 25/11/1875 non ancora
trentenne! Nella chiesetta adiacente al podere "Colombaiolo" c'è ancora la pietra
tombale (2014) del nostro che recita:
«La religione dei sepolcri qui raccolse le spoglie mortali – del Cav. Alceo Gestri – ebbe animo
integro e generoso culto e versatile ingegno – Governatore della Misericordia – e sindaco di
Radicofani per cinque trienni – ornò il paese di pubblici edifizi e ne migliorò le finanze – la madre,
il figlio, i parenti e quanti lo conobbero – piangono inconsolabili la perdita d'una sì cara esistenza
– morì il 29 settembre 1881».
LUCIANO BANCHI
Luciano Banchi nacque a Radicofani il 27 dicembre 1837 alle ore 21, da Luigi e
da Barbera Modesti, radicofanese figlia di: Pasquale Modesti e Francesca Angeli.
Compì i suoi studi presso il regio collegio Tolomei a Siena, conseguì la laurea alla
facoltà di giurisprudenza all’Università di Siena.
Valente archivista, letterato e filologo, cultore dell’arte ed appassionato Sindaco,
Luciano Banchi ha senza dubbio lasciato tracce indelebili del suo operato nella Siena
postunitaria. Altissimo senso di responsabilità ed amore per lo studio furono le doti
che gli consentirono di diventare un personaggio eminente sulla scena cittadina e
nazionale della seconda metà dell’Ottocento493.
Nella sua vita ha ricoperto, oltre che la carica di Sindaco di Siena più volte dal
1870 al 1887, quella di archivista, direttore dell’Archivio di Stato, vice-presidente del
consiglio provinciale, presidente del reale orfanotrofio ,presidente dell’Istituto
provinciale delle Belle Arti, presidente della Società di esecutori di Pie Disposizioni,
presidente della reale Accademia dei Fisiocratici, presidente della reale Accademia
dei Rozzi, deputato del Monte dei Paschi di Siena, Presidente della stessa
deputazione, scrittore e poeta. Amico intimo di Giosuè Carducci, il quale gli dedica
anche una poesia (tratto da AA.VV. – Ricordi di Luciano Banchi s.e., s.l. – 1888).
ODOARDO LUCHINI
Odoardo Luchini nasce a Radicofani l'11 giugno 1844 , insigne giurista, si laurea all'Università
di Pisa a 20 anni in scienze politico-amministrative di cui si ricorda una commedia "Il galante per
l'industria" . A 22 anni pubblicò uno studio "La pena di morte e la Storia" e poco più tardi un altro
studio sull'opera di G. Vico "De universi juris uno principio et fine uno". Dal 1879 al 1892 fece parte
della Camera dei Deputati per il collegio di Montepulciano, tornò nuovamente alla Camera nel 1897
nel collegio di Montalcino. Fu eletto senatore nel 1900 e cinque anni dopo, il 17 gennaio 1905, morì
per emorragia cerebrale. Fra le altre cose si interessò dell'emancipazione della donna, e dato il suo
amore per le civiltà anglosassoni (aveva visitato molto sia l'America che l'Inghilterra) portò in Italia
la "festa degli alberi", che un altro parlamentare gli rubò. Il "bosco Isabella" (giardino romantico
costruito dal 1904 da Odoardo e dalla figlia Matilde catalogato dalla Sovrintendenza
come giardino monumentale, del quale abbiamo parlato più sopra)494.
Su Internet vi sono due siti su Odoardo Luchini: Scheda Senatore Odoardo
Luchini e Odoardo Luchini – Portale Storico – Camera dei Deputati.
Giulia Barbarulli, Luciano Banchi – Uno storico al Governo di Siena dell’Ottocento, Industria Grafica
Pistoleri per conto dell’Archivio Storico del Comune di Siena, 2002.
494
Vedi V. Mazzuoli “Pensione Vertunno e dintorni” Ed. Il Riccio – Abbadia S.S, - 2001 – pagg. 148 –
149. Di questo giardino ne abbiamo parlato sopra nel libro “Bosco Isabella”.
493
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Libri su Radicofani
Personaggi nati a R.
Renato Magi
COSTANTINO COSTANTINI
Costantino Costantini nacque a Radicofani l'11 dicembre 1860 ed è deceduto a Chiusi il 1° marzo
1948. Maestro e compositore di musica. Vinse un concorso internazionale e diventò “Direttore della
Filarmonica di Odessa” con la quale girò la maggior parte delle capitali europee 495. Emigrato a
Cetona il 13 marzo 1931 ritornato a Radicofani il 18 ottobre 1933 emigrò a Chiusi il 15 aprile 1942.
Costantini vinse il concorso sotto il governo dell’ultimo Zar di Russia Nicola II e rimase Direttore
della Filarmonica di Odessa fino al 1917, anno della rivoluzione bolscevica.
Al ricordo del prof. Costantini, non è stata dedicata una via, un’aula, una piazza. Male.
Chi non onora la memoria dei morti, dà un pessimo esempio ai vivi!
(Oggi nel 2014 a Costantini , grazie alle mie ricerche, è stato dedicato il teatro di
Radicofani! Prima di questa dedica si chiamava semplicemente “Teatro Comunale” e
nel ‘800 sembra si chiamasse “Teatro dell’Etruria”).
MATILDE LUCHINI
Matilde Luchini nacque a Firenze e proprio qui trascorse la sua giovinezza. Figlia
del deputato Odoardo Luchini si trasferì a Radicofani nel "ventennio fascista" e
proprio in questo periodo istituì la pensione "Vertunno" nella casa paterna, pensione
che per un ventennio divenne il crocevia di artisti di vario genere i quali, attirati dalla
padrona di casa, valente pittrice e con una solida cultura, vennero volentieri a
passare le loro giornate fra le bellezze della Val d'Orcia con le tante personalità che
frequentavano la pensione. A questo proposito è bene leggere il libro di Vito Mazzuoli
“Pensione Vertunno e dintorni” citato nelle note.
Su internet alla voce Matilde Luchini leggiamo:
Firenze (1874 – 1948 )
Allieva di F. Simi, ne rifletté i caratteri formali depurandoli di certe accezioni dialettali connesse
con i temi pateticamente popolari a da boudoir tipici del maestro. Studiò poi anche con C. Ciani .
Appartenente alla buona borghesia, ebbe committenti nel suo ambiente, eseguendo ritratti e anche
acquarelli e pastelli di fiori. Esordì a Firenze presentando quattro ritratti alla Promotrice del 18911892 e nel 1892 partecipò alla Mostra del ritratto a San Remo. Prese parte in seguito alle mostre di
Firenze (1896-1897), di Milano (1900), e di Roma (1904). A Firenze tenne una rinomata scuola di
pittura ed ebbe fra i suoi allievi anche G. Severini, uno dei più grandi pittori del novecento.
Da ricordare che la Luchini fu molto amica di Ada Negri, alla quale fece pure un
ritratto.
FRA ACCURSIO DA RADICOFANI
Frate cappuccino al secolo Salvatore Rasi, nato nel 1890 e morto nel 1950.
Fondatore e primo superiore delle missioni cappuccine in Australia. Fondò chiese,
collegi, scuole, missioni ed ospizi in U.S.A e in Australia che ancora oggi portano il
suo nome. P. Accursio – sacerdote missionario – al secolo Rasi Salvatore di Domenico
(fratello della nonna paterna di chi scrive), vestì l'abito il 14 marzo 1906, dec. il
21/02/1950496. P. Accursio – sacerdote missionario –In fondo alla pieve di S. Pietro,
Notizie riprese dal libro sopra citato pagg.148 – 149.
Notizia ripresa dal "L'ex convento dei cappuccini di Radicofani" – Talete Tapperi – 1931 –
Dattiloscritto.
495
496
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Libri su Radicofani
Personaggi nati a R.
Renato Magi
a destra, quando si esce, a ricordo di P. Accursio vi è una lapide in sua memoria che
ricordando la sua vita così recita:
«In memoria del M. Rev. Padre Accursio Rasi – Radicofani 12.11.1890 – Passaic –New Jersey
21.2.1950 – Fondatore e primo superiore della missione di cappuccini in Australia – Per venti anni
fecondo apostolo della dottrina di Cristo nella comunità di Orange – New Jersey fondando chiese,
collegi, scuole, ospizi, Cavaliere della Corona d' Italia per meriti di apostolato cattolico e
d'italianità, soccorritore volontario in Estremo Oriente dei prigionieri italiani di guerra.
Iddio lo chiamò a se mentre la sua opera di carità continuava nella Parrocchia di Sant'Antonio
in Passaic, dalle autorità civili degli Stati Uniti onorato quale uomo che dette tutto se stesso alla
chiesa e alla comunità.
Aveva sessant'anni e stava per tornare a salutare la sua patria e i suoi congiunti.
Il fratello e le sorelle lo ricordano.
Q.M.P.»
Notizie della missione in Australia si possono trovare nella rivista “Fra Noi” –
Pagine informative dei Cappuccini Toscani – Anno XIII – Dicembre 1996 – n. 4 – Firenze; in cui
si raccontano i sacrifici che dovevano affrontare i frati che andavano nelle missioni
in Australia, e quelli fatti da padre Accursio ancora oggi poco riconosciuti.
Da questa rivista pubblichiamo la lettera che scrisse p. Silvio, al quale gli
hanno dato tutti gli onori della missione e nulla, o poco, hanno dato al Rasi. Padre
Silvio con questa lettera riconosce l’opera svolta da p. Accursio.
La lettera costituisce un vero documento storico sul ruolo svolto da p. Accursio
in quei primi anni della missione.
Due giorni fa, ho ricevuto una lettera del P. Rasi, in cui mi comunicava la nomina dei nuovi
superiori e l’ordine a lui di ritornare in America. Non può immaginare come un tale ordine dei
superiori di Roma ci abbia altamente sorpresi ed anche moralmente annientati.
Per noi P. Rasi era tutto: l’animatore, l’organizzatore e il direttore.
In tutti i nostri complicati problemi si aveva solo da scrivere a lui e si era sicuri di avere
consigli e direttive ottime, e perciò io considero la sua partenza una vera catastrofe per la nuova
missione ………(Non possiamo dire che l’opera di p. Accursio in Australia abbia avuto fino ad oggi
il dovuto riconoscimento storico. Quando, nel settembre 1981, fu eretta la Provincia australiana dei
cappuccini, negli atti, nei proclami, nelle allocuzioni anche ufficiali, nelle omelie ecc. ..furono
ricordati nomi di vari confratelli, ma non fu menzionato, neppure dal Ministro Generale, quello di p.
Accursio, a cui la storia non può negare il merito di aver guidato i passi del nuovo cammino
dell’Ordine cappuccino in Australia e di averne assicurato l’avvenire su solide basi organizzative.
Anche nella recente celebrazione del 50° della presenza dei cappuccini in Australia (9-13 Ottobre
1995), il ruolo da lui svolto non è stato sottolineato con criteri critico-storici adeguati, ma soltanto
cronachisticamente ricordato (Cf. «Province of the Assumption, Golden Jubi lee, Mid-Term Assembly
October 9-13 1995», Plumpton, Australia, pag. 38-45).
Finché non sarà studiata criticamente la copiosa documentazione archivistica ed
oggettivamente ripresentata, anche se non con molto onore delle gerarchie dell’Ordine, p. Accursio
Rasi sarà sempre creditore nei riguardi della storia dei cappuccini in Australia. Quell’infausto ordine
di ritornare in America sembra ancora allungare la sua ombra sulla virtù dovettero del religioso
ubbidiente, anche se il tempo ed anche i superiori del tempo dovettero riconoscere la rettitudine, la
sincerità e la validità oggettiva delle sue osservazioni.
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Libri su Radicofani
Personaggi nati a R.
Renato Magi
RINO RAPPUOLI
Nato nel 1952 (il 4 agosto) a Radicofani in provincia di Siena, Rino Rappuoli si
è laureato nel 1976 in Scienze Biologiche all’Università di Siena. Ha poi consolidato
la sua esperienza di ricerca nel campo dei vaccini durante la permanenza in
prestigiose istituzioni accademiche degli Stati Uniti, come la Harvard Medical School
di Boston e la Rockefeller University di New York, dove si è principalmente dedicato
alla patogenesi batterica e allo studio del batterio responsabile della difterite.
Nel 1978 entra a far parte del Centro Ricerche dell’Istituto Sclavo di Siena, la
principale azienda italiana produttrice di vaccini. Da allora, la sua carriera
professionale progredisce rapidamente e nel 1988 è nominato direttore della
Divisione Ricerca e Sviluppo Vaccini.
In seguito all’acquisizione nel 1992 da parte dell’azienda biotenologica
statunitense Chiron dell’Istituto Sclavo e alla nascita di Chiron Vaccines, ricopre
diverse posizioni di responsabilità, fino alla nomina di Chief Scientific Officer della
Chiron Corporation quando lo scorso 20 aprile, l’azienda è stata acquisita dal gruppo
elvetico Novartis, ha preso la Responsabilità globale della Ricerca Vaccini di Novartis.
Da sempre impegnato nel campo dell’immunologia e dello sviluppo di vaccini
contro gravi malattie
di origine virale o batterica, Rino Rappuoli è uno dei fondatori della
microbiologia cellulare, disciplina che unisce biologia cellulare e microbiologia, ed è
fra i pionieri della cosiddetta reverse vaccinology, tecnica innovativa che consente di
produrre vaccini partendo dal genoma, una tecnologia che ha permesso di sviluppare
vaccini che non è possibile sviluppare con le metodiche classiche. Tra i numerosi
successi, quelli più rilevanti sono il vaccino influenzale adiuvato, quello coniugato
contro la meningite di tipo C, e il primo vaccino ricombinante contro la pertosse.
Ad oggi Rino Rappuoli ha pubblicato oltre 400 lavori scientifici originali ed è
stato autore di diversi libri; fa, inoltre, parte del comitato scientifico di autorevoli
riviste di settore ed è membro di diversi comitati e organizzazioni internazionali, quali
l’European Molecular Biology Organization (EMBO).
Insignito di numerose onorificenze nazionali e internazionali, tra i più recenti
riconoscimenti da lui ricevuti c’è la prestigiosa Medaglia d’Oro al Merito della Sanità
Pubblica, che viene assegnata ogni anno agli scienziati italiani che hanno
maggiormente contribuito al miglioramento della salute pubblica.
Nel 2005 il premio è stato conferito a Rappuoli dal Presidente della Repubblica
Italiana Carlo Azeglio Ciampi per i suoi studi pionieristici dedicati allo sviluppo di un
vaccino in grado di proteggere da una pandemia di influenza.
A coronamento del suo impegno nella ricerca sui vaccini, che ne ha fatto uno
dei maggiori punti di riferimento nel panorama scientifico internazionale nel settore
dell’immunologia, nel 2006 Rappuoli è stato infine eletto membro della National
Academy of Science (NAS) statunitense, entrando così a far parte della limitata rosa
di scienziati italiani, tra cui il premio Nobel Rita Levi Montalcini, presenti all’interno
della più antica e autorevole istituzione scientifica degli Stati Uniti.
«Occupandomi di biotecnologia – racconta – mi ero trovato subito di fronte al mito americano.
Mi era stato detto che se volevo avere successo avrei dovuto recarmi negli Stati Uniti, dove i grandi
cervelli italiani riescono ad esprimersi e ad avere successo».
Tutto quanto sopra, tolto il racconto del nostro, è la biografia della “Novartis” che
si trova su Internet al nome “Rino Rappuoli”.
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Libri su Radicofani
Personaggi nati a R.
Renato Magi
GIUSEPPE LENCI
Giuseppe Lenci nacque a Radicofani il primo aprile 1830 e morì nel febbraio 1873
a Firenze. Figlio del cancelliere Carlo Lenci e da Fine Del Nero.
A soli quarantatre anni aveva raggiunto la carica di Cav. Avv. Sostituto Procurator
Generale della Regia Corte D’Appello della città di Firenze, quindi il nostro paese ha
dato i natali pure ad un magistrato regio!
Il Lenci è ricordato in una biografia del 1874 Edita dalla Tipografia Bencini di
Firenze firmata A.G.R. (Avvocatura Generale Regia?).
FRANCESCO CANINI
“Omesso dalla letteratura antica e moderna, dobbiamo la sua conoscenza ai contributi
di Laura Martini e agli arricchimenti documentari di Roberto Longhi, Stelvio Mambrini e
Salvatore Di Salvo.
Il Canini fu sicuramente dimenticato per non aver lavorato a Siena. La sua attività si
concentrò quasi esclusivamente sull’Amiata e Sinalunga, dove si trasferì nel 1629 per
rimanervi fino alla morte”. Così comincia il libro a cura di M. Ciampolini – Pittori Senesi
del Seicento – Nuova immagine – Provincia di Siena.
Si deve però a Stelvio Mambrini e alla sua ricerca pubblicata su “Amiata Storia e
Territorio” n. 35 del 2000 la notizia che il Canini era di Radicofani (risulta dall’Archivio
Vescovile di Chiusi, Parrocchia di Santa Croce di Abbadia San Salvatore – Atti di
Battesimo), infatti viene definito “pittore da Radicofani” luogo dove sembra sia nato intorno
al 1580 e morto a Sinalunga nel 1643.
Fra la sue opere ricordiamo un’“ultima cena”, olio su tela di cm. 200 per 510 sito
nel convento di S. Bernardino a Sinalunga datato nel 1629; sempre a Sinalunga in
San Pietro ad Mensulas la tela con Gesù che consegna le chiavi a San Pietro datato
1636 e la decollazione del Battita; nella collegiata di Sinalunga ha lavorato a tre tele
compresa un’ Annunciazione che sembra la meglio riuscita. Ha lavorato a Gresseto
dov’è esposta al Museo d’Arte Sacra delle diocesi di Grosseto una “Crocifissione con
le Marie e San Giovanni”. È stato presente dal 1616 al 1622 ad Abbadia San
Salvatore.
LEOPOLDO MAZZEI
Leopoldo Mazzei (Radicofani 1819 – Pistoia 1901)
Leopolso Mazzei, laureato in medicina a Pisa negli anni 1841-42, di ideali
mazziniani, si iscrisse alla “Giovine Italia” e partecipò attivamente a vari circoli
politici locali di ispirazione unitaria quali la “Società degli amici del popolo di Pistoia”
e la sezione locale della “Società Nazionale” e l’Associazione pistoiese pe l’Unità
d’Italia. Il culmine della sua attività “rivoluzionaria” si ebbe nella sua adesione ai
fatti del 1848 che tra l’altro lo viderto volontario nella prima guerra di indipendenza
a Montanara. Questa sua attività gli costò nel 1849 l’arresto per qualche mese.
Tornato libero inizia la sua attività di medico presso gli Ospedali Riuniti di Pistoia che
lo vedranno percorrere tutta la gerarchia fino al ruolo di direttore che terrà fin quasi
alla morte. Questo non gli impedì di essere ufficiale medico della Guardia nazionale
dal 1859 al 1866 e quindi membro del Consiglio sanitario circondariale di Pistoia dal
1866 al 1888. L’unità d’Italia, vede un sostanziale distacco di Leopoldo Mazzei dalla
politica attiva e la sua iscrizione alla massoneria. Questi brevi tratti servono ad
illuminare gli interssi e le attività che emergono dalle carte d’archivio. Dalle radici
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Libri su Radicofani
Personaggi nati a R.
Renato Magi
mazziniane e dall’esperienza massone nasce la sua attenzione per le classi popolari,
dalla sua attività di medico i suoi studi di carattere “scientifico”, dalla sua passione
civile, deriva la sua produzione letteraria e la sua attività di pubblicista che lo vide
tra i collaboratori de «La Nazione».
Dagli strumenti di ricerca: Paolo Franzese, Inventario del Fondo Carte Mazzei.
Per finire non posso non ricordare il maestro Millo (Giovanni Magrini del 1916) il
quale fu, per diverso tempo giornalista della “NAZIONE”, dedicò un articolo a
Radicofani che amava profondamente e che riporto qui sotto.
RADICOFANI
PAESE NATO DALL’ESTRO
DI UN VULCANO
Una rupe scarna, di colore rossigno, spavaldamente impennata nel cielo, con una lunga
striscia di case distese lungo il fianco a sole, e una torre emergente dalla sommità, immalinconita
in un distaccato sogno di memorie.
Sensazione di sperdimento in un silenzio remoto.
Radicofani appare al viandante della Cassia con la esasperata concisione di un quadro
tirato a pennellate violente, senza respiro di sfumature.
Una cert’aria scanzonata, in tanta drammaticità, e la posa aristocratica del torrione,
incoronato dalla nobile merlatura guelfa, sono intimamente collegate al privilegio commesso a
questa rocca di far gli onori di casa a chi, venendo da Roma per l’antica via Francigena, entra in
terra Toscana.
Presentazione alla buona, senza finezze, da vecchio armigero indurito nella consegna di
vegliare sulle sorti di una gloriosa repubblica e assuefatto assai più a sbrigarsela con bande di
predoni e lanzichenecchi che a far cerimonia a carovane di turisti.
All’immaginifico, che cantando le laudi della terra modulò la dolcezza della Toscana per
le sue colline Inghirlandate di ulivi, andò a genio l’aspra premessa della rupe di Radicofani che
gli si rivelò dominatrice del paesaggio più virile d’Italia, modellato dal fuoco e dal travaglio
immane della natura.
Figura di nobile ribelle, che alla gravità senatoriale dei monti che gli stanno intorno
impone il suo atteggiamento spregiudicato di picco maledetto.
Immagine selvaggia e spiritata, concepita in un attimo di allucinazione, emergente da una
campagna aspra e avara, marcata dalle tetre fenditure che tagliano le crete e sembrano colpi di
spada avventati alla cieca da un dio cieco di rabbia.
Le genti che abitarono intorno a Radicofani, tormentate dalla stizza d’avere davanti ai
loro sguardi la sua sconsacrata irrisione e rabbia d’esser tenute a bada da un Cavaliere di gran
cuore che soccorre i miseri e spuntava le unghie ai furfanti, dissero che* questo picco era un
parto del diavolo.
Ma, se ci fermiamo in intimità col silenzio della rocca, nel distacco della sua altezza,
dove si è liberi dalla sensazione di disagio creata dall’asprezza del paesaggio, si arriva
naturalmente al senso più aderente e più reale di Dio.
Questa solitudine aerea stabilisce un distacco dal resto del mondo e si è presi dalla
magica attrazione delle mura sgretolate che evocano il fantastico e tormentato intreccio delle
passate avventure ed esprimono il travaglio degli uomini che arroccandosi quassù vissero la loro
fugace illusione di titanismo.
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Libri su Radicofani
Personaggi nati a R.
Renato Magi
Ansiti di lotte feroci e figure fascinose di uomini da leggenda che suscitarono fiammate
di odio e di ammirazione, sorgono da questa tessitura imponente di mura che il tempo, sornione e
indifferente, inghiotte con lenta pazienza.
All’improvviso un grido guerriero frange il silenzio. Un falco piomba dal vuoto del cielo
incontro alla cima della grande torre; quando è prossimo alla merlatura e si è presi dallo
sgomento per l’urto che spezzerà il suo volo temerario, scivola d’ala, caracolla un attimo e si
butta, come scagliato da una fionda, dietro un moncone di muro.
Per alcuni attimi si ode il suo grido acuto di voluttà rabbiosa. E poi che la voce si spegne,
restiamo sospesi nell’attesa che essa torni a rompere il silenzio che cenobio (vita comune) che
regola il passo delle ore, quassù, dove il tempo si rivela nella cruda realtà di dominatore
invincibile, indice spietato del precipitare delle immortali costruzioni degli uomini e delle loro
titaniche illusioni.
Gm (Giovanni Magrini da tutti chiamato Maestro Millo)
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