IL GRAN PREMIO D’ITALIA DEL 1952
Oggi come cinquant’anni fa…un trionfo Ferrari
Si sa, la F1 non è più come una volta. 221 punti conquistati da una sola squadra, nel
Campionato 2002, sui 442 complessivamente in palio. 15 gare vinte dalla stessa
squadra, la Ferrari, sulle 16 in calendario. 144 punti e 11 vittorie, conseguiti dallo
stesso pilota, Michael Schumacher. 53 le gare consecutive in cui qualche pilota della
Ferrari finisce sul podio. Di che giustificare la richiesta di qualcuno del circus di
zavorrare le vetture, di cambiare ad ogni gara i piloti, di costringere la Ferrari a
fermate supplementari, insomma qualsiasi cosa, anche demenziale, pur di tornare alla
F1 di una volta, quando lo spettacolo era avvincente, la suspense assicurata. O no?
Forse no. Prendiamo una gara di cinquant’anni fa, il XXIII Gran Premio d’Italia del
1952. Fu la gara conclusiva di un Campionato contrassegnato da un’assoluta
supremazia dei colori italiani, con qualche tonalità diversa e sorprendenti somiglianze
rispetto ad oggi. La Ferrari, sempre lei, saldamente in vetta, con una regolarità da
computer (prima al Gran Premio di Svizzera, del Belgio, di Francia, d’Inghilterra, di
Germania, d’Olanda) si aggiudicò anche quest’ultimo gran premio, per un totale di
sette vittorie su otto gare (compresa Indianapolis). Per il vincitore Alberto Ascari si
trattò della sesta affermazione consecutiva. L’unico dettaglio diverso rispetto ad oggi
era la Maserati in netta crescita, e l’Osca in ascesa, tanto da far dire ad un cronista
all’indomani del Gran Premio d’Italia “Se Ferrari ha vinto, Maserati non ha perduto
e Osca ha molto promesso”. Avere tre marche italiane alla ribalta del circus di F1
pareva un risultato sorprendente, tanto più che la Lancia aveva avuto un ottimo inizio
stagione nella categoria sport, la Fiat, sia pure presente soltanto in forma privata, si
era fatta onore in più occasioni, e che fino all’anno precedente l’Alfa Romeo era stata
assoluta dominatrice della scena sportiva. Insomma, un panorama più che roseo per
lo sport automobilistico italiano.
Ciò che accomuna le due stagioni è l’incontentabilità dell’italiano medio: se oggi ci si
lamenta che le corse di F1 non sono poi così divertenti, tanto si sa che terminano
sempre con una o l’altra delle vetture di Maranello al primo posto, altrettanto ci si
lamentava allora (salvo poi pentirsene quando arrivano anni magri). Commentando la
gara di Monza, il giornalista Franco degli Uberti su Auto Italiana scriveva: “Da
qualche anno a questa parte …abbiamo sempre ritenuto veramente ingrato il
compito affidatoci dal direttore in occasione delle corse a Monza: la cronaca delle
gare. Una cronaca presuppone una descrizione di fatti, ma qual cronaca si può
imbastire quando i fatti non si verificano? Qual cronaca può stendersi quando in una
corsa tutto si svolge con la cosiddetta regolare amministrazione, senza alcun
imprevisto, e quando l’andamento della stessa si ripete pedissequamente di gara in
gara con una monotonia esasperante?”
Pensare che la serie ininterrotta di successi dell’Alfa Romeo 159, Campione del
Mondo con Farina nel 1950 e con Fangio nel 1951 e vincitrice di ventotto Gran
Premi, sembrava finalmente conclusa con l’arrivo della Ferrari da quattro litri e
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mezzo, che quasi stava per aggiudicarsi il Campionato 1951 se non ci fosse stato al
Gran Premio di Spagna un grave errore nella scelta delle gomme. L’anno successivo
però il duello tra queste due macchine, che avrebbe sicuramente infuocato
l’atmosfera, non avvenne. L’Alfa Romeo, all’apice della sua gloria sportiva, ma
anche conscia che le sue otto cilindri progettate nel 1938 avrebbero faticato troppo
nell’opporsi alla potenza emergente della Ferrari, si ritirò dalle corse di F1. Poteva
costituire un temibile avversario la B.R.M., marca britannica molto agguerrita, ma
anch’essa si ritirò. A questo punto agli organizzatori non rimaneva che far slittare la
F1 nella F2 (che prevedeva 500 cc per i motori con compressore e 2000 cc per quelli
aspirati, perciò un rapporto tra propulsori sovralimentati e atmosferici di 1:4 anziché
di 1:3 come per la F1), pena la scomparsa del campionato: e così successe. Fu però
presto evidente che il quadro non cambiava granché. La Ferrari, con lungimiranza,
aveva pronta la quattro cilindri 2500 cc che fu presto adattata ai nuovi regolamenti. E
chi pensava che con la trasformazione in F2 le gare avrebbero riacquistato
brillantezza e suspense si sbagliava grossolanamente. E’ vero, non vi furono più le
processioni di Alfa Romeo al traguardo; si registrarono però velocità più basse e al
traguardo si formarono cortei di Ferrari. La superiorità di quest’ultima fu contrastata
soltanto dalla sei cilindri Maserati, che per un pelo non si affermò proprio a Monza, e
dalla Gordini anch’essa a sei cilindri che, dopo aver superato alcuni problemi di
trasmissione, si rivelò straordinariamente veloce, soprattutto sui circuiti con lunghi
rettilinei. Si impose infatti al Gran Premio di Rheims con Behra, unica prova del
1952 non vinta da una Ferrari (ma non valevole per il Campionato); deluse invece a
Monza, dove non riuscì ad inserirsi nel duello tra Gonzalez (Maserati) e Ascari
(Ferrari).
Ma torniamo a quella bella domenica d’inizio settembre, al circuito di Monza. La
regolamentazione del XXIII Gran Premio d’Italia prevedeva per la prima volta una
preventiva selezione tra i 35 iscritti, in lizza per 9 marche diverse. La selezione, che
doveva restringere il campo a 24 concorrenti, fu molto interessante perché diede
risultati inaspettati. Nomi noti come Stuck, Whitehead, Macklin, De Graffenried
furono eliminati, e così l’intera squadra inglese della H.M.W; allo stesso tempo,
furono registrati tempi davvero sorprendenti. 23 dei 24 qualificati compirono il giro
con un tempo inferiore di due secondi al record del 1949 stabilito da Fangio al Gran
Premio dell’Autodromo, che si svolgeva a primavera sempre su 504 km. Il pilota
argentino, con la Ferrari 12 cilindri, aveva segnato il giro più veloce con il tempo di
2’17” (165 km/h). Nel 1950 Villoresi, al Gran Premio dell’Autodromo (quell’anno
dimezzato, ossia di 40 giri anziché 80), aveva stabilito un primato sul giro di 2’15”,
corrispondente a 168 km/h. Nel 1951 Ascari aveva dominato con una media
sostanzialmente identica a quella di Villoresi, raggiungendo la velocità di 167,7
km/h. Nel 1952, al Gran Premio di Monza di giugno, Farina aveva portato il record
del giro a 2’06”2 (179,196 km/h); al Gran Premio d’Italia di settembre Ascari e
Gonzalez lo migliorano ulteriormente, segnando entrambi 2’06”1, pari ad una
velocità di 179, 857 km/h. Può essere istruttivo anche un confronto tra tempi finali
complessivi dei Gran Premi d’Italia del 1951 e del 1952. Ascari nel 1951, con la 4
litri e mezzo, impiegò 2 ore, 42 minuti 39 secondi e 3 decimi (media di 185,9 km/h) e
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nel 1952, con la due litri F2, 2 ore, 50 minuti, 45 secondi 6 centesimi (media di 177
km/h), ossia otto minuti in più disponendo di una vettura con meno della metà della
cilindrata. Rispetto poi al 1948 il risultato è ancora più eclatante: Ascari impiega
soltanto un secondo e 4/10 in più rispetto a Wimille su Alfa Romeo, che all’epoca a
Monza aveva impiegato 2 ore 50’44” (177,115 km/h).
Al via è la Maserati di Gonzalez a scattare in testa, seguita da Ascari e dal terzetto
della Gordini. Fino a un terzo della corsa, gli episodi più di rilievo sono una ripetuta
inversione di posizione tra Ascari e Villoresi, una discesa al quarto posto per
Gonzalez, costretto al rifornimento, e il suo lento risalire nuovamente alla seconda
posizione favorito anche dall’imprevista per quanto ridottissima sosta di Villoresi al
61° giro per fissare il tappo del serbatoio. Con la seconda Maserati, intanto, Bonetto
si alterna al quarto posto con Manzon su Gordini e Farina su Ferrari. Taruffi (su
Ferrari), dopo aver duellato con Bonetto e Simon (suo compagno di squadra) è
costretto ad una sosta ai box al 18° per un guasto all’acceleratore, precipitando così
dal 7° al 16° posto. Ma non demorde, risale costantemente e ritorna ad occupare il
settimo posto, con cui chiuderà la gara. Almeno quattro vetture, comunque, riescono
agevolmente a toccare e mantenere una velocità di oltre 250 km/h, per le meno sul
rettilineo davanti alle tribune. E se la tensione cala, ci pensa lo scatenato Bonetto a
farla risalire. Non solo combatte alla disperata per chiudere quinto, ad un solo giro
dal vincitore, ma, dopo una sosta ai box al 34° per rifornimento, ormai doppiato, non
esita a attaccare chiunque gli venga accanto. E non per onore di firma: il duello con
Ascari, per esempio, che lo precede di un giro, si prolunga dal 50° al 70° giro, sino a
quando Bonetto deve fermarsi una seconda volta ai box per rifornimento. “Avevamo
l’impressione di vedere in Ascari – scrive un cronista – uno di quei grossi impassibili
cani, alani o danesi che siano, ed in Bonetto uno di quei piccoli vivacissimi botoli che
con tutti i mezzi cercano di attirare nel loro gioco l’impassibile collega.” Si misero in
luce anche due giovanissimi, gli inglesi Stirling Moss su Connaught e Mike
Hawthorn su Cooper Bristol. Di quest’ultimo resta memorabile il suo rimettersi in
gara dopo essere stato fermo dal 2° al 41° giro, scatenandosi in una gara tanto
forsennata quanto inutile poiché il ritardo accumulato era sicuramente incolmabile.
Ad un certo punto presero a superarsi tra di loro, sembrò prevalere Moss fino al 74°
giro, per poi ritirarsi e lasciare campo libero al connazionale (che comunque non
compì il numero minimo di giri per essere ammesso in classifica).
Non furono molti i ritiri, meno del previsto. Il francese Bayol al volante della
nuovissima Osca a 6 cilindri di due litri fu il primo, seguito dallo svizzero Fischer, su
Ferrari, dalla Gordini di Trintignant, dal compagno di squadra Behra; al 24° giro si
ritirò il terzo pilota della Maserati, Rol, insieme al compagno Bianco e quasi in finale
di gara, Moss, sulla Connaught. Quando Alberto Ascari taglia il traguardo, soltanto
Gonzalez, Villoresi e Farina non sono stati doppiati, mentre il distacco tra il primo e
l’ultimo arrivato è di addirittura dodici giri.
Il motore della Ferrari era sicuramente il più potente fra quelli in gara, ed erogava una
potenza specifica di oltre 90 HP per litro. Per raggiungere con sicurezza tali risultati,
il carburante aveva una forte base alcolica e questo spiega anche i consumi specifici
davvero rilevanti, che costrinsero queste macchine a partire con serbatoi di 160 litri.
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Tutta la strategia della corsa si concentrò proprio nell’organizzazione dei
rifornimenti. La Ferrari decise che non ce ne sarebbero dovuti essere in corsa, e
affrontò con determinazione il rischio di appesantire le vetture. Effettivamente, la
relativa lentezza di Ascari e Villoresi nella prima parte della gara sembrò a molti il
risultato di una strategia di attesa; in realtà, entrambi i piloti si stavano impegnando al
massimo ma le prestazioni risentivano fortemente delle condizioni di assetto
condizionate dal sovraccarico di carburante. Man mano che la gara procedeva e le
vetture si alleggerivano del carburante consumato, le prestazioni migliorarono
considerevolmente. Le due Maserati di Gonzalez e Bonetto, invece, persero perché,
pur mantenendo un gran ritmo, furono costrette ad una fermata ai box. Una gran bella
prova, comunque, per il debutto di un motore a doppia accensione di potenza tra i 170
e i 180 HP, montato su una vettura indovinata sia per il peso, sia per l’ottima linea
aerodinamica e maneggevole. Pur tirate allo spasimo, entrambe le vetture arrivarono
in ottime condizioni al traguardo, classificandosi seconda e quinta. Ed essersela
giocata alla pari con la Ferrari, per Orsi e i suoi collaboratori, costituì già un motivo
di soddisfazione. Ma Monza costituì anche banco di prova per la nuova Osca F2,
costruita con immensa passione dai Fratelli Maserati. Non tanto per quel che successe
in gara (come si è visto, la vettura fu costretta al ritiro al primo giro per una banale
rottura del cambio) o per il tempo realizzato nelle qualificazioni (un migliorabile
2’10”6) quanto per le potenzialità espresse, che facevano presagire un ottimo
avvenire.
Alla fine della corsa, con il defluire del pubblico, si formò il solito spaventoso
ingorgo. Ma la giornata era stata di festa, e poco importa se si erano pagate 700 lire
per accedere al prato, o che addirittura per un piatto di risotto e sei panini al
prosciutto (menu da famiglia numerosa e da padre – padrone) si fosse spesa la
spaventosa cifra di 7.200 lire (il che corrisponde circa a un centinaio di euro di oggi).
La Ferrari aveva vinto il Gran Premio e contemporaneamente il Campionato, che
volere di più?
LE PRIME VENTIDUE EDIZIONI
Il I° Gran Premio d’Italia venne disputato nel 1921 sul circuito di Montichiari (vedi
Auto d’Epoca di maggio 2001), su iniziativa di quell’Arturo Mercanti che l’anno
successivo promosse la costruzione, in soli cento giorni, dell’Autodromo di Monza.
La corsa, cui dovevano partecipare più di venti macchine, rappresentò una delusione,
poiché le partenti furono sei in tutto: tre Ballot, pilotate da Goux, De Palma e
Chassagne, e tre Fiat, guidate da Bordino, Sivocci e Wagner. Bordino, dopo essere
stato in testa per 15 giri, fu costretto al ritiro; altrettanto accadde a Sivocci; Wagner
fu terzo e la vittoria spettò a Goux.
L’anno dopo, sul nuovo circuito di Monza, la sconfitta della Fiat fu ampiamente
riscattata. Di fronte ad un pubblico entusiasta e strabordante, presero il via in otto (su
38 iscritti!): tre Fiat con Bordino, Nazzaro e Giaccone, due Diatto con Alfieri
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Maserati e Meregalli, una Bugatti con De Vizcaya, due Heim con Heim e Munz.
Vinsero le Fiat dimostrando una superiorità schiacciante.
Durante le prove del III G.P.d’Italia (per quell’anno anche G.P.d’Europa) si verificò
un incidente mortale. Una ruota della Fiat su cui si trovavano Bordino e Giaccone si
sfilò dal mozzo e la macchina si capovolse, provocando la morte di Giaccone. Questo
tremendo incidente condizionò le prestazioni di Bordino che volle ugualmente
presentarsi in gara ma che fu costretto al ritiro, per sfinimento. Anche Nazzaro, che lo
sostituì, patì quasi un martirio perché la macchina aveva una perdita d’olio che gli
finiva direttamente su un piede, e dovette a sua volta ritirarsi, dopo aver stoicamente
sopportato un’atroce sofferenza. Vinse Salamano, che mantenne alti i colori della
Fiat.
Al IV G.P.d’Italia, corso il 19 ottobre 1924, dunque a stagione già molto avanzata,
la vittoria fu tutta dell’Alfa Romeo, con nell’ordine Ascari, Wagner, Campari e
Minoia.
Nel 1925 si affermò di nuovo l’Alfa Romeo, che occupò i primi due posti con Brilli
Peri e Campari, mentre terzo si classificò Costantini su Bugatti.
Il Gran Premio del 1926, che vide l’assenza dell’Alfa Romeo, e che si disputò su
600 km, si concluse a favore della Bugatti con Charavel e Costantini; nel 1927 (di
nuovo assente l’Alfa Romeo) trionfò la Delage di Benoist, davanti alla O.M. di
Morandi e all’americana Miller di Kreis. Anche in questo caso i partenti furono
pochi, appena sei nonostante la prova valesse anche come Gran Premio d’Europa,
come l’anno successivo, nel 1928. Stavolta i concorrenti erano molti di più, e il
pubblico folto e appassionato, ma purtroppo si verificò un incidente gravissimo. La
Talbot di Materassi, mentre stava superando la Bugatti di Foresti, proprio sul
rettilineo d’arrivo di fronte alla tribuna centrale, uscì di pista e, mentre Materassi
veniva proiettato in aria, la sua macchina piombava sul pubblico assiepato accanto
alla rete che divideva il prato dalla pista. I morti furono parecchi, i feriti decine.
Nonostante questo, la corsa continuò e si risolse con la vittoria di Chiron su Bugatti,
che precedette Varzi su Alfa Romeo e Nuvolari suo compagno di squadra.
Nel 1929 il G.P.d’Italia non si disputò. L’anno successivo si corse invece su un
circuito rallentato da alcune chicanes e che passarono sotto il nome di “raccordo
Florio”. Furono organizzate numerose eliminatorie per diverse categorie di macchine;
le Alfa Romeo dovettero ritirarsi dalla finale per molteplici incidenti di gomme e le
Maserati, guidate da Varzi, Arcangeli ed Ernesto Maserati, occuparono i primi tre
posti.
Nel 1931 venne lanciata per il X G.P.d’Italia una nuova formula di gara, e la corsa si
svolse in maggio. La nuova formula prevedeva una gara di dieci ore, al cui termine si
poté assistere al trionfo dell’Alfa Romeo con le coppie Campari Nuvolari al primo e
Minoia – Borzacchini al secondo posto, mentre al terzo si classificarono Divo –
Bouriat su Bugatti.
Nel 1932 la durata della corsa, che si svolse in giugno sul vecchio circuito di dieci
chilometri, fu ridotta a cinque ore. La lotta si restrinse tra l’Alfa Romeo e la Maserati
e la palma spettò a Nuvolari su Alfa Romeo, il secondo posto a Fagioli, su Maserati e
il terzo a Borzacchini, di nuovo su Alfa Romeo.
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Nel 1933 si ritornò al G.P.d’Italia su distanza prestabilita, ossia ai 500 km, e allo
svolgimento in settembre. L’Alfa Romeo rinnovò il successo dell’anno precedente,
aggiudicandosi i primi due posti con Fagioli e Nuvolari, mentre il terzo venne
occupato da Zehender, su Maserati. Da ricordare, purtroppo, l’immane tragedia che
funestò il Gran Premio Monza, svoltosi lo stesso giorno, durante la quale persero la
vita Campari e Borzacchini.
Questo succedersi di incidenti mortali indusse a optare per circuiti lenti, o rallentati;
nel 1934, dunque, si ritornò ad un percorso con chicanes. Stavolta però, sui 116 giri
del circuito di 4 chilometri, si imposero Fagioli – Caracciola su Mercedes, davanti
all’Auto Union di Stuck – Leiningen. Terzo arrivato fu Trossi su Alfa Romeo. La
media oraria scese, in questa edizione, a 105 km/h.
L’anno dopo, stesse chicanes e stessa vittoria tedesca. Stavolta toccò all’Auto Union
con Stuck, che precedette il generoso e sfortunato Nuvolari su Alfa Romeo. Questi
però ebbe la soddisfazione di imporsi almeno sul secondo pilota Auto Union, Pietsch.
L’Auto Union vinse anche nel 1936, con Rosemeyer; Nuvolari fu nuovamente
secondo davanti a von Delius, anch’egli su Auto Union.
Nel 1937 il XVI G.P.d’Italia si corse a Livorno, e si concluse con una schiacciante
vittoria delle macchine tedesche. Si impose Caracciola su Mercedes, davanti a Lang
suo compagno di squadra e a Rosemeyer su Auto Union.
Nel 1938 si ritornò a Monza e al solito percorso Florio con chicanes. Dei sedici
partenti, soltanto sei arrivarono al traguardo e la vittoria arrise ancora una volta ad
una vettura tedesca, l’Auto Union, guidata da Nuvolari. Il secondo posto spettò a
Farina, su Alfa Romeo, e il terzo a Caracciola, su Mercedes.
Dal 1938 saltiamo al 1947, anno in cui il Gran Premio d’Italia dovette essere
disputato a Milano, su un circuito cittadino di 3,447 km che si snodava nel quartiere
della Fiera Campionaria, per una lunghezza complessiva di 345 km. Si impose Carlo
Felice Trossi, su Alfa Romeo, alla media di 113,197 km/h, seguito dai compagni di
squadra Achille Varzi e Consalvo Sanesi. Nel 1948, il XIX G.P.d’Italia si corse sul
circuito del Valentino, a Torino, e vide il trionfo di Wimille su Alfa Romeo davanti a
Trossi e Sommer. Nel 1949 il ventesimo G.P.d’Italia, quell’anno anche Gran Premio
d’Europa, tornò a Monza, sul nuovo circuito di 6,3 chilometri. Si misurarono le
Ferrari con le Talbot e le Maserati, assenti invece le Alfa Romeo. Vinse Alberto
Ascari, precedendo Etancelin su Talbot e Bira su Maserati.
Nel 1950 la vittoria fu colta da Nino Farina, su Alfa Romeo, che precedette la coppia
Serafini – Ascari su Ferrari e Fagioli, su Alfa Romeo, alle media di 176 km/h.
L’ultimo Gran Premio d’Italia prima dell’edizione di cui parliamo più diffusamente
fu appannaggio di Alberto Ascari su Ferrari, che raggiunse la media di 185 km/h,
davanti a Gonzalez su Ferrari e a Bonetto, su Alfa Romeo.
Il XXIII Gran Premio d´Italia si disputò sull´Autodromo di Monza il 7 settembre
1952 alle ore 15. La lunghezza del circuito era di km 6,3; i 24 concorrenti ammessi
dovevano coprire 80 giri per un totale di 504 km. La prova era valevole per il
Campionato del Mondo, che imponeva una distanza minima di km 300 o una durata
di almeno 3 ore, per il Campionato italiano assoluto conduttori e per il Campionato
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F2. Come da regolamento stabilito dalla CSI – Commissione Sportiva Internazionale
- erano ammesse: vetture con compressore di cilindrata pari a 500 cc; vetture senza
compressore con cilindrata fino a 2000 cc, con un rapporto tra motori sovralimentati
e motori aspirati di 1:4 (per questo motivo tutti i costruttori scelsero motori non
sovralimentati, abbandonando l’altra opzione in quanto troppo costosa). Non era
previsto alcun vincolo né sul peso né sul carburante.
I colori nazionali delle vetture erano determinati dalla nazionalità del concorrente e
prevedevano: blu (carrozzeria) giallo (cofano) e nero (telaio) per l´Argentina; blu
(carrozzeria e cofano) e bianco (telaio) per l´Austria; giallo per il Belgio; giallo
chiaro (carrozzeria e cofano) e verde (telaio) per il Brasile; blu per la Francia; bianco
per la Germania; verde per l´Inghilterra; rosso per l´Italia; bianco (carrozzeria e
cofano) e blu (telaio) per gli Stati Uniti; bianco (cofano) e rosso (carrozzeria) per
la Svizzera. I premi prevedevano 1 milione di lire per il primo classificato; 600.000
lire per il secondo; 500.000 per il terzo; 400.000 per il quarto; 250.000 per il quinto;
150.000 per il sesto. Erano anche in lizza premi speciali per le due giornate di prove.
Presero il via, in prima fila: Trintignant su Gordini (4); Farina su Ferrari (10);
Villoresi su Ferrari (16); Ascari su Ferrari (12); in seconda fila: Simon su Ferrari (8);
Manzon su Gordini (2); Taruffi su Ferrari (14); Gonzalez su Maserati (26); in terza
fila Hawthorn su Cooper Bristol (42); Behra su Gordini (6); Bayol su Osca (34);
Moss su Connaught (32); in quarta fila Rol su Maserati (24); Wharton su Cooper
Bristol (40); Fischer su Ferrari (18); Bonetto su Maserati (22); in quinta fila Brandon
su Cooper Bristol(36); Poore su Connaught (30); Landi su Maserati (48); Rosier su
Ferrari (62); in sesta fila Bianco su Maserati (46); Cantoni su Maserati (50); Mc
Alpine su Connaught (28); Brown su Cooper Bristol (38).
Classifica
I.
Ascari
II.
Gonzalez
III. Villoresi
IV. Bonetto
VI. Simon
VII. Taruffi
VIII. Landi
IX. Wharton
X.
Rosier
XI. Cantoni
XII. Poore
XIII. Brandon
XIV. Manzon
XV. Brown
finale:
ore 2.50’45” 6/10 alla media di 177,090 km/h
ore
2.51’47”
4/10
ore
2.52’42”8
ore
2.51’46”3
(79
giri)
ore
2.52’18”
(79
giri)
ore
2.51’47”8
(77
giri)
ore
2.51’04”5
(76
giri)
ore
2.52’33”3
(76
giri)
ore
2.51’53”5
(75
giri)
ore
2.52’26”6
(75
giri)
ore
2.51’56”5
(74
giri)
ore
2.52’04”8
(73
giri)
ore 2.52’53”6 (69 giri)
ore 2.52’16”2 (68 giri)
Donatella Biffignandi
Centro di Documentazione del Museo Nazionale dell’Automobile di Torino
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