60 — cose di musica
Massimo Mila
e il «Conservatorio
delle Alpi»
la Columbia i suoi canti, quasi tutti rigorosamente a orecchio, compresa quella «Montanara» di Ortelli. Ne rimase
impressionato Luigi Dallapiccola. Certamente il giovane
Mila si accorse di quella musicalità spontanea così inedita nell’invenzione di armonie non banali, di fraseggi ricchi di fantasia e di poesia. Già nelle registrazioni del 1935
molti furono i canti armonizzati da Luigi Pigarelli – madi Piero De Martini
gistrato trentino, musicologo, ricercatore e compositore
– e da Antonio Pedrotti, che sarà grande direttore d’ormolti ricordano quel simpatico gruppo
chestra. Entrò allora nel repertorio anche un candi “dolomitici” – Prati, Videsott,
to piemontese, «La sposa morta», tratto dalla
Miori, Ortelli – che sotto i porraccolta del Sinigallia, e armonizzato dal
tici di piazza Carlo Felice, davanti alla CaPedrotti (omonimia con i quattro fraMassimo Mila (1910-1988) è
sa del Caffè, tutti i giorni dall’una altelli fondatori).
stato un illustre musicologo e critico mule due iniziavano i rustici alpinisti toNel 1937 e 1938 il coro sat fu insicale italiano. Tra i suoi variegati ed eterogenei
rinesi ai dolci segreti del canto cointeressi si inserisce anche la passione per il canto corale alla “trentina”; poi alla domevitato a Torino al Conservatorio
nica andavano a cercarsi un fac- rale, come testimonia – nel centenario della nascita del- «Giuseppe Verdi», ma a Massimo
simile, riveduto e peggiorato in lo scrittore – questo intervento di Piero De Martini, au- Mila non fu possibile ascoltarli:
quanto a qualità della roccia, del- tore del bel libro Il Conservatorio delle Alpi (Bruno era già nel carcere di Regina Coele loro montagne». Così Massi- Mondadori, Milano 2009), recensito qualche tempo fa li, condannato a sette anni per anmo Mila ricorda – certamente il su queste pagine da Giuseppina La Face Bianconi (cfr. tifascismo. Verrà liberato nel ’40.
ragazzino torinese, già innamo- VMeD n. 33, p. 54). Lo stesso Martini il 27 giu- Intanto l’Italia era entrata nel tungno scorso ha parlato del rapporto tra Mila e la sat
rato della montagna e della musinel della guerra. I giovani del coro
ca, era presente a quegli eventi quone vennero coinvolti. Enrico e Alal festival LetterAltura di Verbania, all’intertidiani, verso gli anni venticinque del
do Pedrotti entrarono nelle formaziono di un ciclo curato insieme ad Andrea
secolo scorso – nel suo scritto I cento anni partigiane, vennero incarcerati e riGherzi e intitolato «Le stagioni di
ni del cai, Club Alpino Italiano 1963, riedischiarono la vita. Non sappiamo se anche
Massimo Mila».
questa fratellanza di ideali contribuì ad avvito in occasione del centenario della sua nascicinare il torinese Mila ai quattro fratelli trentini:
ta da Vivalda editore con il titolo L’altra faccia delMila non accenna mai nei suoi scritti all’esperienza parla mia persona.
tigiana e anche questo corrisponde alla sua proverbiaOrtelli era proprio il Toni Ortelli autore della «Montale discrezione.
nara», che nasceva allora durante le escursioni sulle monIl 24 ottobre 1948 esce sull’«Unità» (edizione piemontetagne piemontesi. Era studente universitario emigrato
se) un articolo a firma di Massimo Mila: Canzoni di montaall’ateneo torinese al pari degli altri tre: facevano parte
gna. Nell’occasione della pubblicazione del volume Candi quel gruppo di ragazzi che, attorno ai fratelli Pedrotti di Montagna edito dai fratelli Pedrotti, con le armonizti di Trento, avevano incominciato a cantare in un modo
zazioni di molti altri canti a opera di Pigarelli e Pedrotti
tutto loro, assolutamente originale, sottovoce, i canti poe corredato da un imponente apparato fotografico tratetici della loro terra, che narrano di pastori, di angioline,
to dalla loro attività, Mila inaugura i suoi numerosi interdi villanelle, ma anche della fatica del lavoro e delle pene
venti sul coro. È la sensibilità del frequentatore di rifudella guerra. Sensibilità care a Mila. Stava per nascere il
gi alpini quella che si riscontra in questo bellissimo scritCoro della sat: ufficialmente il 25 maggio 1926, con il mito: si apre infatti con la descrizione di un evento cui oggi
tico primo concerto a Trento nel castello
è ormai raro assistere. Alcuni giovani attorno a un tavodel Buonconsiglio.
lo accordano le voci. Inizia il canto. Il silenzio attorno è
Certamente il giovanissimo Mila
assoluto. È un canto sommesso, educato, frutto di studio
ne rimase incantato. Non dimene dedizione. Sono alcuni appartenenti al coro sat o loro
ticò più quelle emozioni: divenne amico del coro trentino e lo
emuli. E qui è il musicologo che traspare con la sua attenfu fino alla fine dei suoi giorni.
zione discreta ma infallibile. Alla fine Mila così risponNe scrisse a più riprese, in artide all’amico Pavese che probabilmente, a voce o in qualcoli e recensioni, su giornali e riche scritto che non sono riuscito a rintracciare (in quel
viste, sempre senza tradire un apmomento Pavese si dedicava allo studio dell’espressione
proccio serio e schietto, scevro da
popolare), verosimilmente aveva criticato la stima per il
piaggeria o esaltazioni acritiche o
coro sat, non ritenendolo adeguato alla purezza filologienfasi esagerata, così come era nel
ca che le sue ricerche esigevano: «Sono un mezzo, queste
suo carattere di instancabile frecanzoni, d’incontrare il nostro popolo e di scoprire noi
quentatore di montagne e di mustessi, e di conoscere attraverso questo gradino aspetti
sicologo rigoroso, esente da reeterni ed elementari dell’uomo. E se è giusto prestare attorica inutile, dotato di ironia
tenzione alle primitive leggende dei Bantù e dei Beciuae leggerezza.
na dell’Africa equatoriale, come recentemente ci esortava
Il Coro della sat (sosat alloa fare l’amico Pavese, non è male riconoscere l’importanza di espressioni che, per essere più storicamente formate
ra, sezione operaia della sat,
e situate in un costume che ci tocca più da vicino, non la
ma per poco: il nuovo regime
cedono in freschezza primitiva alle favole sconclusionate
non tollerò quell’aggettivo)
di quei lontani selvaggi.
nel 1933 iniziò a registrare per
E
cose di musica
«...
cose di musica — 61
In mezzo al prato
gh’è tre sorelle
una di quelle
mi voi sposar;
no l’è la prima
nè la seconda
ma l’è la bionda
che mi ha ferì.
cose di musica
Abbi pazienza, caro Pavese, ma tutte le storie dei Boscimani e degli Ottentotti (pitture rupestri comprese) te le
cedo volentieri per il geniale traslato di quella rima che,
esaltata da uno slancio della melodia, improvvisamente
ti sostituisce all’astratta numerazione la concretezza sostanziosa di quella “bionda” in mezzo al prato».
Stupenda prosa, impareggiabile ironia.
Lo stesso scritto verrà ripreso ed ampliato il 30 marzo del 1954 sulla rivista «Lo Smeraldo» di Sigurtà farmaceutica, a commento della terza edizione del volume sat
con le foto dei fratelli Pedrotti. E anche Mila qui si pone
in contrasto con gli estremisti della filologia, con coloro
che vorrebbero che i canti venissero proposti «come erano veramente all’origine». E qui ci dona un aforisma in-
Cantare in montagna , «Lo Smeraldo», 1954).
Dalla prima recensione di un concerto al Conservatorio
torinese sull’«l’Unità» del 29 aprile 1950 all’ultima sulla
«Stampa» del 12 ottobre 1986 per il concerto del sessantesimo del coro – in tutto furono dodici i concerti della sat
a Torino cui Mila potè assistere – la sua attenzione si trasferì impercettibilmente dall’universo montano a quello
musicale: da un gruppo di alpinisti straordinari cantori,
quasi per caso su un palcoscenico di città, a un fenomeno musicale di primaria importanza, come lui stesso riconosce. In una lettera all’amico Silvio Pedrotti (per cinquant’anni direttore del coro) del 24 agosto 1972 infatti scrive: «Siete sempre i più bravi, occorre dirlo? Ma soprattutto state veleggiando verso una classicità magistrale e siete ormai maturi per qualunque interpretazione rigorosa di canti popolari. Rileggendo quelle righe mie che
avete voluto riportare nelle testimonianze – sulla copertina del disco Sui monti Scarpazi che i Pedrotti gli avevano
inviato in omaggio, nda – mi accorgo che ora siete andati
molto oltre lo stadio che in quelle righe si riflette».
Il concerto al Conservatorio «Giuseppe Verdi» del primo dicembre 1956 fu molto importante: per la prima volta vennero eseguite alcune novità che destarono l’attenzione del critico. Mila affidò all’«L’Unità» del 2 dicembre
dimenticabile: «Tra una canzone cantata dalla sat e la lezione folcloristicamente “pura” di quella medesima canzone, c’è la stessa differenza che passa tra una bella farfalla che vola sui prati del Pordoi e la stessa farfalla morta, infilzata nell’album di un entomologo».
L’interesse per il coro della sat è trait-d’union tra i due
mondi di Massimo Mila, ambedue frequentati con identica passione, competenza e serietà: sono queste le qualità che riconosce in quel gruppo di ragazzi che negli anni cinquanta iniziavano a riempire i teatri e a vincere concorsi internazionali. Il loro successo risiedeva in quel modo di cantare, dove la bellezza e l’emozione delle esecuzioni scaturiva dalla serietà, dalla disciplina, che imbrigliavano la naturale spontaneità, la impagabile fantasia.
In quei ragazzi, in gran parte suoi coetanei, studenti, operai, impiegati, artigiani, si rispecchiava per il rigore con
il quale l’alpinista affronta le sue scalate o il musicista le
difficili partiture, senza il quale un momentaneo successo non può che rivelarsi effimero, non raggiunge alcuna meta duratura. «Il modo di cantare della sat è il modo di cantare di una generazione la quale ha appreso che
la spontaneità è una bella cosa, sì, ma senza la disciplina
conclude poco: è un modo di cantare da alpinisti: di gente, cioè, che sa il peso dei propri atti e ne assume la responsabilità. [...] Gente che l’improvvisazione la tiene a
freno e la governa, pur senza soffocarla» (Massimo Mila,
una lunga recensione: «Il concerto di ieri sera [...] presentava [...] anche alcune novità. Tra queste le armonizzazioni di due celebri canzoni valdostane, fatte da Teo Usuelli per la colonna sonora del film Italia K 2, e sei armonizzazioni di canti piemontesi, lombardi e trentini, dovute
nientemeno che ad Arturo Benedetti Michelangeli: uno
appunto di quei musicisti d’altissima statura che seguono
con interesse il lavoro del coro trentino. Queste armonizzazioni del famoso pianista sono senz’altro dei ghiottissimi bocconcini, pieni di particolari preziosi e condotti con
rara raffinatezza. Una, quella della “Pastora e il lupo”, è
un piccolo capolavoro: un poemetto pieno di gusto, dove
si rispecchiano gli aspetti medioevali del nostro Piemonte. Nell’esecuzione di ogni numero il coro ha tirato fuori
tutti i segreti del suo virtuosismo (che è stato acquistato e
vien mantenuto a costo di una esemplare disciplina di lavoro artistico, rubando le ore allo svago, e magari perfino
al sonno, per le settimanali sedute di studio a Trento ogni
sabato sera): sonorità organistiche di prolungate note basse, accordi strappati come di chitarra, pizzicato di celli e
bassi, anticipi, ritardi, contrattempi, giochetti di bravura
A fronte, in basso: Massimo Mila.
Sopra: Il Coro della sat. Concerto al Teatro dell’Arte
del 26 settembre 1964: i quattro fratelli Pedrotti sono il primo, il
secondo, il terzo e il settimo da destra (foto di Rolly Marchi).
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che infiorano i canti più lievi; mentre quelli di maggior sostanza musicale vengono giustamente eseguiti nel rispetto della loro linea più pura». Quei «giochetti di bravura» il
critico della «Stampa» li avrà certamente notati nell’esecuzione senza partitura scritta – cosa che il coro sat non faceva mai in concerto: il rigore del direttore Silvio Pedrotti
non lo permetteva – di una marcetta degli alpini, «LaMorena», imparata da ragazzi nel primo dopoguerra e cantata fuori concerto con virtuosistiche imitazioni degli strumenti della banda. Ci fu un bis di quella serata e ci è pervenuta la registrazione amatoriale. Credo sia stata una delle
pochissime esecuzioni in concerto, se non l’unica, in tutta la storia del coro.
Nel maggio del ’57 Mila invia ai fratelli Pedrotti la rarissima raccolta dei canti popolari piemontesi di Costantino
Nigra che Silvio Pedrotti avrebbe gelosamente conservato nella raccolta del suo archivio. Per il Natale ’59 è lo stesso Pedrotti che gli invia un
pacco di dischi sat. Mila risponde, il
22 dicembre: «Caro Pedrotti [...] è
un Natale memorabile, questo,
che passiamo in compagnia
di voi altri. Anche mia moglie, che è una vostra fanatica ammiratrice, è felice del superbo regalo e
si unisce a me per dirle la nostra vivissima
gratitudine». Mila ringrazia anche inviando una delle prime
copie del suo nuovo
libro Cronache musicali, 1955-1959 (Einaudi
1959). Il libro, con dedica ai fratelli Pedrotti, raccoglie circa 150
articoli scritti per il settimanale «L’Espresso»
con un excursus attraverso tutta la storia della musica, da Gesualdo da Venosa
alla musica elettronica. È questo un atto di stima cui i destinatari non rimangono indifferenti:
«Carissimo Maestro [...] non le possiamo nascondere che siamo orgogliosi della sua amicizia».
Nel 1972 il coro sat mette in cantiere un volume di cinquanta armonizzazioni inedite, illustrate dalle consuete
stupende foto dei Fratelli Pedrotti. Il titolo è quello dell’ultima armonizzazione di Antonio Pedrotti, Sui monti Scarpazi, già sulla copertina del disco rca appena uscito e inviato
come dono all’amico torinese. In seguito alle entusiastiche
parole di ringraziamento, Silvio chiede a Massimo Mila di
redigere la prefazione del nuovo libro. È il 14 ottobre 1972.
Mila accetta. Nei mesi successivi è tutto un andirivieni tra
Trento e Torino di bozze, modifiche, consigli, anche scomodi. Come quello del 18 Aprile 1973: «Carissimo Silvio,
tre mesi per rispondere alla tua del 20 gennaio. Soltanto
ora ho potuto guardare i cinque canti armonizzati da Arturo Benedetti Michelangeli (Uno, molto bene: “Che fai
bella pastora”. Uno con straordinaria raffinatezza: “Serafin”. Uno con una semplicità a dir poco sconcertante: “La
figlia di Ulalia”). Ho ritoccato un poco il mio testo per nominarli, almeno quelli trentini. Ho taciuto dei due lombardi, dei quali, quando tu mi scrivevi, era ancora incerta la
disponibilità (della Ricordi, nda). Se anche non te li concedesse, non mi sembra che sarebbe una gran perdita. Sono
così ravviati, così ben educati, così “romanza da salotto”,
che non mi sembra si addicano molto a una raccolta che è
in prevalenza di cose originali ed insolite». I canti cui fa riferimento sono «Io vorrei» e «I lamenti di una fanciulla».
Sincerità disarmante. Ma non per i Pedrotti, che tirarono
diritto. Ricordi diede il permesso. I due canti entrarono nel
repertorio pubblicato e in seguito registrato.
È questo l’intervento di Mila attinente al coro sat, qui definito «Il conservatorio delle Alpi», più importante musicalmente, frutto di lunga e minuziosa elaborazione: «Non
ci sono più confini alla bravura del coro sat, e la ricercatezza delle armonizzazioni contenute in questo
volume prova che, se volesse, potrebbe cimentarsi con la grande polifonia classica (si vedano, per esempio, le difficoltà di ritmo e d’intonazione di
“Ama chi t’ama”, con le sue entrate distanziate, ed i suoi intervalli tutt’altro che comodi: oppure la preziosissima e ardua realizzazione
di “Serafin”. La grande
ombra di Brahms è evocata nell’ultimo canto della raccolta, il goliardico “Gaudeamus
igitur”, che fa le spese
dell’“Ouverture Accademica”. Un accostamento illuminante: per
un banale divario di
mezzo secolo la Storia
della Musica ha perduto
un incontro che sarebbe
stato fecondo. Se Brahms
avesse potuto ascoltare il
coro della sat, lo avrebbe aggiunto al numero delle gioie artistiche che gli dava l’Italia: il coro
avrebbe arricchito la galleria dei suoi
ammiratori illustri, e ci avrebbe sicuramente rimediato qualche preziosa armonizzazione delle canzoni austriache che il compositore amburghese andava amorevolmente raccogliendo». (E forse, chissà, come Mila a più riprese, Johannes sarebbe stato raggiunto da una graditissima cassetta di Teroldego inviatagli come ringraziamento da Aldo, il più giovane dei Pedrotti, che, oltre a essere bravissimo fotografo e basso fenomenale del coro, era un vero esperto del
settore).
Nel 1976 viene pubblicata dalle Arti Grafiche Saturnia
di Trento una ricerca di Silvio Pedrotti realizzata nelle valli del trentino, con il titolo Canti popolari trentini raccolti da
Silvio Pedrotti. Il frutto di questa indagine, condotta alla fiConcerto al Teatro Nazionale di Praga del 12 marzo 2007
(foto di Luca Pedrotti).
Tutte le immagini sono tratte da: Piero De Martini, Il Conservatorio
delle Alpi, Bruno Mondadori, Milano 2009.
cose di musica — 63
L’età psicologica
e le scelte musicali
L
di Cecilia Dolcetti
’età psicologica può essere definita come l’età desunta dal comportamento del soggetto a prescindere da quella anagrafica. È usuale definire «vecchio» chi si atteggia come tale, pur avendo un’età non ancora elevata. Esiste una differenza fondamentale tra vecchio e anziano: «vecchio» è colui che ha un modo di agire
e di pensare corrispondente a un’età avanzata mentre anche un anziano può essere considerato psicologicamente «giovane», perché ragiona e si comporta come se avesse ancora molti anni davanti a sé.
Spesso la nostra mente e il nostro corpo sono in conflitto tra loro, ci sono situazioni nelle quali ci troviamo implicati e coinvolti in una condizione che non riusciamo ad
accettare proprio perché non la sentiamo corrispondente
al nostro modo di vivere. Da qui nascono molti contrasti
che spesso sfociano anche in gravi patologie. Il rimedio
può essere trovato cercando di compiere un compromesso, una progressiva distinzione tra corpo – che inesorabilmente decade – e mente che, in alcuni casi, può mantenersi più giovane. L’amore per la vita, lo slancio verso gli
altri, l’attrazione nei confronti delle novità, ma soprattutto la curiosità, la voglia di conoscere, sono l’alimento necessario e indispensabile per tenere in allenamento e viva la mente, mentre il corpo deve soggiacere a una legge
biologica dalla quale è impossibile sottrarsi.
La frase «ai miei tempi» può sembrare del tutto normale in una persona in avanti con gli anni, ma se la si analizza bene, scopriamo che rivela anche un parziale rifiuto
del tempo attuale e delle evoluzioni tecnologiche e sociali che negli anni sono avvenute. Consideriamo ad esempio il «fenomeno internet»: molti lo hanno rifiutato per
un blocco psicologico, altri lo hanno accettato solamente per lavoro, altri ancora lo utilizzano divertendosi e lo
usano nella sua piena potenzialità.
Le innovazioni tecnologiche sono entrate a far parte
dell’uso comune, destinate alle grandi masse, sono un indice eloquente per datare l’età psicologica di un individuo. Sono sfide alla mente che, se vuole mantenersi giovane, deve adeguarsi con impegno e curiosità a queste continue «provocazioni» che la mettono a dura prova.
L’utilizzo del navigatore satellitare, del cellulare con tutte le sue
funzioni, di skipe, del digitale terrestre ecc, rendono la vita di un individuo più facile
e divertente, o estremamenTiziano Vecellio,
Le tre età
dell'uomo
(particolare,
c. 1512,
National Gallery
of Scotland,
Edinburgh;
www.wga.hu).
cose di musica
ne degli anni cinquanta con l’aiuto di un registratore, sta
in una serie di nastri, oggi riversati su compact disc, dai
quali il direttore del coro sat trasse le melodie dei canti riprodotte, con i testi, sulla pubblicazione. Alcune di queste melodie successivamente furono affidate ai musicisti
Michelangeli e Dionisi perché venissero armonizzate, ed
entrarono nel repertorio del coro. Massimo Mila fece una
recensione di quella interessante pubblicazione che uscì
sulla «Nuova rivista musicale Italiana» edita da eri – Edizioni Rai Radiotelevisione Italiana nello stesso 1976. Così
si conclude, dopo una disamina dotta sulla ricerca etnomusicologica e la dialettalità dei testi: «L’insieme costituisce un panorama incantevole di vita e cultura popolare:
il carattere di una regione, nei suoi tratti scherzosi, tragici, appassionati e candidi, il tutto gustosamente assecondato dalle riproduzioni di antiche stampe locali che ornano il volume». Silvio Pedrotti ringraziò con una lettera da
Trento, il primo novembre, di cui conserviamo la minuta: «Carissimo (Massimo – cancellato e sostituito come
sempre da:) Maestro, [...] non ti nascondo di aver provato
un piacere particolare, misto a una punta di orgoglio, nel
vedermi “criticato” in una pubblicazione così specializzata e da una firma come la tua. Ti sono infinitamente riconoscente per quanto hai scritto ma anche per l’affetto
che ancora una volta mi hai dimostrato. Grazie, grazie».
Questi erano i rapporti tra il direttore del coro sat e Massimo Mila. Per Silvio, che adottò ben presto l’amichevole
e ricambiato «tu», Mila rimase sempre il «caro Maestro».
Ancora una volta il nome di Brahms compare nell’ultimo scritto di Mila che ci è pervenuto sul coro sat: la
presentazione del libretto del sessantesimo del complesso trentino, nel 1986. Brahms gli è fratello anche per la
costanza con cui arranca sulle montagne, dell’Austria o
dell’Oberland bernese, da vero Wanderer: Brahms dei ghiacciai, così intitola uno dei suoi Scritti di montagna (Einaudi,
1992). Non casualmente qui citato assieme a Schubert:
«E adesso [...] la civiltà musicale [...] di Schubert e Brahms
rifluiva sulle naturali attitudini canore della popolazione,
trasformandone le abitudini ed insegnando, a un popolo
di cantori da melodramma, le virtù della musica da camera: l’equilibrio, la disciplina, l’omogeneità, il senso collettivo del canto corale nella rinuncia alla sopraffazione individualistica per amore del risultato di assieme».
L’ultimo concerto del coro cui Mila fu presente nella
sua Torino fu quello dell’11 ottobre 1986. Ne redasse una breve nota sulla «Stampa» del 12 ottobre: «L’università del canto popolare. È il coro
alpino che ha ottenuto l’ammirazione di musicisti come Dallapiccola e Benedetti Michelangeli. Torino li ha accolti con gioia e li ha
avvolti in un affettuoso arrivederci».
L’archivio di Silvio Pedrotti dedicato a Mila si ferma qui. L’anziano direttore Silvio lascerà il suo
compito qualche tempo dopo
la morte dell’amico Massimo.
Uno straordinario rapporto
umano fatto di consonanze e affinità si chiuse, lasciando in eredità quelle ultime parole certamente condivise: equilibrio, disciplina, amore del risultato d’assieme. ◼
cose di musica
64 — cose di musica
te più complicata, dipende sempre dall’età psicologica che
ha, dalla sua capacità di superare , o no, quel «blocco» che
rifiuta l’innovazione e quindi fa invecchiare.
L’Architettura, l’Arte, il Teatro e, naturalmente, la Musica sono molto significativi per datare psicologicamente un individuo. Ci sono appassionati di musica classica o
lirica che non seguono l’evolversi che la musica ha avuto
nell’ultimo secolo. Non la conoscono neppure, perché non
accettano di ascoltarla, di comprendere il messaggio che
vuol comunicare. Alcuni suoni sembrano stridenti, metallici, molto diversi e lontani dalle melodie che normalmente
conosciamo. Possono sicuramente non piacere, ma chi ha
la curiosità di ascoltarli, chi cerca di coglierne il significato,
a volte riesce ad apprezzarli, anche
ad appassionarsi, superando l’ostilità
che «il nuovo» sempre rappresenta.
La musica del ventesimo secolo è
in genere vissuta con diffidenza mista a disagio. Eppure qualunque musica agisce sugli ascoltatori attraverso le medesime leggi acustiche: facendo vibrare l’aria e suscitando forti sensazioni. Il significato musicale è vago, mutevole, personale, bisogna poterlo cogliere con predisposizione, quasi con umiltà perché possa
essere apprezzato.
In un secolo di grandi eventi, come è stato il ventesimo, quale sia la
reale influenza della storia sulla musica credo sia motivo di acceso dibattito. Tuttavia, anche se la storia
non potrà mai spiegarci esattamente il senso della musica, quest’ultima
è sicuramente in grado di dirci qualcosa della storia perché ne è effetto e
conseguenza.
La musica del ventesimo secolo per
alcuni è solamente «rumore», riempie di sconforto un pubblico «vecchio» con un impatto quasi impercettibile sul
mondo esterno. Per altri questa musica assomiglia al «rumore» proprio perché è volutamente rumore, non suono
armonioso e armonico.
M artina aveva vent’anni quando Dario le chiese di entrare a far parte della Sound Machine. Non aveva mai cantato Rythm and Blues, ma accettò questa proposta come
una sfida su se stessa in un momento particolarmente difficile della vita. La incuriosiva l’idea di sperimentare pezzi «vecchi», ma nuovi per lei, così diversi, così lontani dalla musica ossessiva e battente che era abituata ad ascoltare e ad accompagnare, cantando tra amici o in discoteca.
Guardava Dario mentre suonava il sax ed era affascinata
dalla precisione e, nello stesso tempo, dalla passione che
emetteva il suo strumento.
«Ho scoperto vecchie canzoni, autori oggi un po’ dimenticati, ma che hanno saputo scrivere parole e note capaci di farmi sentire meno sola, meno “unica” nel provare certi turbamenti. Mi sono chiesta come fosse possibile provare oggi le stesse sensazioni di tanto tempo fa. Ho
capito che, anche se il tempo passa, la musica, può rappresentare e far condividere certi stati d’animo perché
possiede un linguaggio universale, capace di dare risposte a domande anche quando è difficile fornire solamen-
te un vago parere. È stato rassicurante per me scoprire
che le stesse“prove”, le stesse difficoltà esistono da sempre,
le canzoni di quell’epoca mi hanno aiutata a risolverle, o
quantomeno ad accettarle cercando di superarle».
Paolo, da sempre appassionato di musica lirica, non ha
mai mancato di ascoltare le opere, quando se ne presentava l’occasione e la possibilità. Verdi soprattutto è il suo prediletto, perché la sua forza, la sua passionalità ben si addicono al temperamento di Paolo, vigoroso e audace come
l’esaltazione e l’entusiasmo che trapelano nelle opere del
grande compositore. La sua passione lo ha portato a specializzarsi, fino a diventare uno stimato intenditore, inter-
pellato anche come critico ed esperto.
Paolo, nei suoi anni giovanili, ha fatto la resistenza in
trincea, ha vissuto i drammi della fine del periodo fascista e della guerra, e ha ancora nelle orecchie gli scoppi delle bombe e i fischi delle sirene che incutevano terrore e
annunciavano sempre una perdita, un lutto, spesso una
strage.
Nessuno dei suoi familiari e amici poteva comprendere
come Paolo si appassionasse sempre più alla musica contemporanea. Il perché si commuovesse con la stessa partecipazione, ascoltando Verdi oppure Schoenberg, o Nono.
Quella musica nuova non gli piaceva, ma lo emozionava
moltissimo. Quel rumore, quei suoni metallici, quei sibili, così diversi, così in antitesi con le melodie alle quali era
abituato erano però capaci di suscitare sentimenti rimossi,
di rievocare sensazioni che non poteva aver dimenticato.
Si ascolta musica non solo per deliziarsi del piacere del
suono, ma anche per Ri-trovare qualcosa. Per Con-vivere e Ri-vivere emozioni e turbamenti. Tutto ciò che è sentimento è vita. L’amore per gli altri, per qualche interesse, per qualcuno in particolare, possiede la formula magica della longevità (almeno di quella della mente). ◼
Valentin de Boulogne, Le quattro età dell'uomo (1626-1628 olio su
tela, 96 x 134 cm, National Gallery, London; www.wga.hu).
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Cose di musica - Euterpe Venezia