L’arte del viaggiare :
l’età della carrozza
Vittorio Zazzaretta
Istituzione Macerata Cultura - Biblioteca
e Musei
Giuliana Pascucci
Università di Macerata
FOCUS

Arte del viaggiare

Viaggiatori illustri
nelle Marche

La collezione del
Museo della Carrozza
di Macerata in mostra a
San Paolo.
ARTE DEL VIAGGIARE
“Non è forse l’Odissea il
mito d’ogni viaggio?”
… così come ancora per
noi ogni nostro viaggio,
piccolo o grande, è sempre
Odissea”
Italo Calvino
Viaggiare è conoscere come ci
comporteremo a confronto con la
diversità, che a volte ci angoscia
anche nei luoghi della nostra
esperienza.
Il più delle volte si parte con la
semplicità del “visitatore” che si
modella sullo stile del
frequentatore di musei,
immaginando il mondo come
una grande galleria all’aperto,
dove l’interesse si sofferma su ciò
che più seduce.
Quando nel 1759 l’affascinante
abate di Saint-Non parte per
l’Italia, conosce il giovane pittore
Jean-Honoré Fragonard e da
questo incontro nasce la nuova
scuola di paesaggisti francesi con
il fiorire di vedute e la descrizioni
di siti e scene di vita.
Per Saint-Non la nostra penisola
non era un grande museo, bensì
un luogo pieno di vita e
contraddittorio, dove magari le
donne stendevano la biancheria tra
le colonne di un tempio romano. E’
qui che Fragonard si poté scrollare
gli antichi insegnamenti e imparò
la felicità del mondo presente e il
lusso ordinato dei giardini di
Versailles divenne meno eccitante
della Villa d’Este, pur nel suo
abbandono.
Il viaggiatore dal XVIII secolo è un
pellegrino laico, che apre le porte
alla conoscenza e al nuovo sapere,
pur nella consapevolezza della fatica
e dei disagi che dovrà affrontare,
perché comunque “i giorni di
pioggia, gli albergatori rapaci, i
vetturini menzogneri, i pranzi
immangiabili, i letti che mandavano
via il sonno” non fanno che mettere
in evidenza nella memoria le ore di
sole.
“Crac, crac, crac; cric-crac, cric-crac helo!
Hola! Vite! Voleur! brigand! hi!hi!hi, en
route! Frusta; ruote, cocchiere, pietre,
mendicanti, bambini. Crac, crac crac,
helo! hola! La carità per amor di Dio!
Cric- crac, cric-crac, cric-crac, cric,cric,
cric, cric.Urto, balzo, crepitio,urto.criccrac. Curva, su per la strada angusta, giù
per la china selciata, nella cunetta; urto,
urto, balzo, sballottamento, cric, cric,
cric, crac, crac.Nelle vetrine a sinistra
della strada; prima di imboccare la
curva travolgente nell’arcata di legno,
sulla destra; fracasso, fracasso,fracasso,
strepito, strepito, strepito; cric, cric, cric.
Eccoci finalmente nel cortile dell’Hotel
de l’Ecù d’Or: la carrozza è consunta,
sfinita, fumante, malconcia, a pezzi;
tuttavia si agita con un falso sussulto,
senza che ne esca nulla, come un ultimo
fuoco d’artificio”
Charles Dickens
Il viaggio era un’esperienza
irripetibile, che richiedeva una
preparazione straordinaria; tutto
doveva essere calcolato, pensato e
la preparazione poteva anche
durare un anno: scelta del mezzo,
carpentieri, carrozzieri, fabbri
ferrai, tappezzieri, sellai ecc. e poi
la scelta oculata di ogni
strumento che potesse alleggerire
la scomodità del mezzo di
viaggio duramente provato dalle
asperità di un terreno
tremendamente sconnesso.
Se immaginiamo però che i moderni
camper o caravan siano rivoluzionari
per accessori, osservando il prototipo
di carrozza che la ditta Symons di
Bruxelles nel 1816 aveva progettato
per i viaggi di Napoleone Bonaparte,
dovremmo ampiamente ricrederci.
Soltanto una protuberanza la
distingueva da una carrozza inglese
da viaggio, che consentiva la
sistemazione di un lettino ed uno
stipetto, per il resto tutto identico, ma
la razionalizzazione dell’interno
consentiva la presenza di due settori,
che si trasformavano in cucina,
studiolo, dispensa e spogliatoio.
Nel poco spazio apparivano e sparivano
una miriade di oggetti collocati con
precisione millimetrica, cassetti che si
collocavano l’uno dentro l’altro, necessaire
d’ogni tipo apparivano e scomparivano per
fare posto ai più svariati confort da
viaggio: liquori, piatti d’argento, armi,
scrittoio portatile, armadietto per abiti,
uniforme e mantello imperiale compreso,
persino due materassi di lana merino. Le
signore erano accontentate con essenze
profumate, portagioie, ma ora provate a
cercare nei vostri stipetti, se possedete un
camper, difficilmente vi troverete ben
duemila napoleoni d’oro, lì c’erano, ma
non salvarono ugualmente Napoleone da
S. Elena, forse perché non poté usare la sua
straordinaria carrozza.
VIAGGIATORI ILLUSTRI NELLE MARCHE
Le Marche del XVIII secolo
rappresentavano nelle letteratura del
Grand Tour un territorio di
attraversamento sulla via verso
Roma.
Nonostante la forte attrattiva
devozionale ed economica di luoghi
come Loreto ed Ancona il territorio
marchigiano resta per lo più
sconosciuto.
Solitamente si entrava nelle Marche
attraverso il passo di Colfiorito e da
Serravalle verso Tolentino (altro
centro devozionale), Macerata,
Loreto, Ancona fino a Pesaro,
puntando poi sulla Romagna.
“A Roma si prende un vetturino per
Ancona, col patto di far sosta a Terni per
vedere le cascate più belle del mondo”
narra Stendhal “Ad Ancona si affitta un
domestico per un giorno, si visita San
Ciriaco, antico tempio di Venere, l’arco di
trionfo e molti bei quadri di scuola
bolognese”.
A ridosso dell’unità
d’Italia si manifesta la
prima e vera esplorazione
della nostra regione al di
fuori dei percorsi consueti
ed ormai stereotipati del
Grand Tour.
Thomas Adolphus Trollope,
scrittore e saggista
anglofiorentino, nel 1862
annotava che “non c’è terra
che sia stata visitata da un
così alto numero di forestieri
come l’Italia…eppure nessun
altro paese europeo è rimasto
profondamente sconosciuto e
negletto in tante sue parti” il
flusso di visitatori che
battono tutti il medesimo
percorso è solo paragonabile
a quello dei fedeli verso la
Mecca.
Naturalmente Trollope era
stato preceduto da storici
dell’arte e collezionisti (Sir
James Dennistoun nel
Montefeltro e
dall’archeologo Austen H.
Layard oltre ai vari
“emissari” inviati dai
musei britannici nelle
zone meno battute alla
ricerca di opere d’arte da
acquistare).
Se si esclude il percorso
lauretano, la bassa Marca
e i “dolci colli” che si
levano fra l’Appennino e
l’Adriatico restano una
terra incognita e
sconosciuta alla gran parte
dei visitatori stranieri.
Perché sia avvenuto questo,
nonostante le tante memorie
storiche e paesaggistiche, non è
di semplice interpretazione, ma
resta il fatto che ancora nel 1988
un viaggiatore statunitense
scriveva che Ascoli era una
tranquilla città in un angolo
remoto delle Marche, mentre
nel decennio precedente
un’importante guida londinese
lamentava le difficoltà per
raggiungere Jesi e Ascoli,
nonostante tutto questo non
fosse vero.
Le Marche di fatto non
hanno provveduto, come
altre regioni del centro, a
produrre le mappe delle
proprie bellezze naturali
ed artistiche per troppo
tempo, quindi ancora oggi
scontano i danni di una
politica municipalistica
insulare.
Nel 1886 Margaret Collier,
vissuta per anni nelle
Marche, ne parla come
“l’altra parta
dell’Italia”che comunque
affascinano per la loro
alterità soprattutto nei
confronti degli inglesi e
della rivoluzione
industriale.
Katherine Hooker, saggista
americana, agli albori del
novecento sosta a Macerata,
visita la biblioteca comunale e
si sofferma in davanti alla
Madonna del Crivelli e dice “ci
guardava con aria assorta
mentre piegava appena il capo
per ricevere la carezza del
bambino” la guarda a lungo
assorta, ma lo sguardo
sospettoso del bibliotecario per
la sua attenta osservazione la
costringe a desistere, si
accomiata e nota uno sguardo
di sollievo del troppo solerte e
sospettoso funzionario
evidentemente poco avvezzo
alle visite.
La sensibile visitatrice resta
affascinata dai nostri
panorami prodighi di
“vedute di vette
nevose”,”vecchi paesi
sfaccettati come diamanti”, il
tempo è burrascoso e con il
calare delle tenebre
s’innamora “dei picchi
salienti che si delineano aspri
contro il cielo, le valli si
colmano di un’oscurità
purpurea .-.mentre -s’avverte
un vago senso di nostalgia
dinanzi alla solitudine e al
silenzio che avvolge a
quest’ora la terra”.
A Trollope, con il suo saggio
alla scoperta delle Marche
pubblicato a Londra nel
1862, si deve una prima
descrizione di nuovi
paesaggi e diversi itinerari
per una migliore conoscenza
delle Marche.
Proprio lui elabora una delle
migliori descrizioni di
Macerata
L’arte del viaggio nel XVIII – XIX
secolo secolo richiedeva molto
denaro, un veicolo comodo ed adatto
alla stagione e lunghi periodi di
percorrenza in carrozza.
A questo manufatto dell’epoca
moderna abbiamo dedicato la
mostra “L’età della carrozza. Echi e
memorie di un tempo passato” che è
stata visitata da più di 14.000
visitatori italiani e stranieri
riscuotendo lusinghieri
apprezzamenti.
LA COLLEZIONE DEL MUSEO DELLA
CARROZZA DI MACERATA IN MOSTRA.
“L’Età della Carrozza. Echi e memorie
di un tempo passato” ha presentato al
grande pubblico alcuni veicoli
risalenti ad un periodo compreso tra
la fine del ‘700 e gli inizi del ‘900.
Le vetture esposte fanno parte della
collezione del Museo della Carrozza
di Macerata. Costituitosi nel 1962,
grazie alla donazione di carrozze ed
equipaggiamenti elargita dal Conte
Pier Alberto Conti con la mediazione
del Lions Club, si è in seguito
arricchito con altri preziosi elementi,
frutto di ulteriori donazione di nobili
famiglie locali.
La funzionalità, i servizi, le modalità di
viaggio, le soste, i cavalli, gli attacchi e i
finimenti vengono narrati tramite
l'esposizione di otto diversi modelli:
berlina trasform, berlina, landau, coupé,
mylord, break wagonette, louisiana e un
La funzionalità, i servizi, le
modalità di viaggio, le soste, i
cavalli, gli attacchi e i finimenti
sono stati narrati tramite
l'esposizione di otto diversi
modelli: berlina trasform,
berlina, landau, coupé, mylord,
break wagonette, louisiana e un
delizioso carrozzino da bambino.
È stato, inoltre, ricostruito un tiro
a quattro per una delle grandi
carrozze da viaggio.
L’esposizione è stata arricchita
da documenti e oggetti da
viaggio in uso a quel tempo.
Al pari di altri strumenti e oggetti d’uso,
una volta messa in esposizione, la
carrozza suscita nel visitatore due tipi di
curiosità: per gli aspetti tecnici di
fabbricazione e di funzionamento e per il
contesto in cui viene prodotta e
impiegata, con tutta la complessità dei
richiami culturali alle società del passato
cui appartiene.
Discendente del carro e figlia del cocchio
trainato dai cavalli nelle competizioni dei
gladiatori del Circo Massimo, essa è
abbinata all’immagine di un bene
prestigioso, inizialmente appannaggio di
nobili e sovrani che commissionano
modelli sempre più lussuosi.
Successivamente diviene emblema di
modernità e di crescita sociale per i ceti
medi.
E’ il Settecento il momento della piena
affermazione, quando l’uso della
carrozza assume la fisionomia che ancora
oggi riconosciamo, dettata da esigenze di
velocità e di praticità, dalla frequenza dei
lunghi spostamenti (come il Grand Tour,
lungo i principali collegamenti viari del
continente europeo, alla volta dei luoghi
d’arte e di cultura) ma anche dalle
necessità logistiche del vivere sociale, per
la villeggiatura e il teatro, le feste e i
cortei. Di proprietà o noleggiata, la
carrozza è spesso scortata per motivi di
sicurezza e la sua circolazione nei centri
abitati è sottoposta a rigide norme. Con
l’aumento dei veicoli crescono gli
incidenti e si vieta la guida alle donne ed
ai minori di diciotto anni.
Nell’Ottocento la popolarità del
mezzo, di cui già nei secoli
precedenti circolavano le prime
versioni per il servizio pubblico, si
estende al massimo in parallelo alla
creazione di moderne reti stradali. I
modelli si diversificano, aderendo a
tutte le esigenze della vita quotidiana
nei grandi agglomerati urbani e la
carrozza raggiunge l’acme della sua
versatilità.
Vi presento ora alcuni dei
modelli più interessanti in
mostra, la berlina e la
louisiana, oltre ad una delle
più particolari vetture da
viaggio, la wourche.
BERLINA
Carrozza di servizio a quattro posti.
Costruttore: ignoto, 1830 ca.
Donazione: Ceccaroni Morotti Cambi Voglia.
Macerata, Museo della Carrozza.
La Berlina esposta è un esemplare da viaggio, caratterizzato da una cassa di forma
rotonda “a barca”, sospesa su telaio con flèche in ferro e a forma di doppio collo di
cigno. Per salire in carrozza si utilizza una scaletta posta all’interno della cassa,
pieghevole verso l’esterno con telaio in ferro e gradini rivestiti in stoffa. La
tappezzeria interna, ripristinata, è composta da cuscini in seta e cotone di colore chiaro;
i fanali sono di forma quadrata, probabilmente non originali.
Non ci sono molte notizie sulla storia dei finimenti dal Cinquecento ad oggi; quelli
attualmente in uso non differiscono molto da quelli dell’Ottocento. La Berlina
abitualmente trainata da un tiro a quattro è attaccata ai cavalli mediante un timone. Gli
animali, bardati con finimenti, hanno al posto del pettorale la collana “inglese”
composta da uno scheletro di paglia, ricoperto di cuoio e sostenuta da maglie
metalliche sulle quali sono poste le chiavi (anelli) che permettono il passaggio delle
redini. Si posiziona il sellino, che nel tiro a quattro serve a sostenere i tiranti, cioè le
cinghie che consentono il tiro; si fa scivolare poi sul dorso del cavallo il resto del
finimento, infilando la groppiera (cinghia che congiunge il sellino al sottocoda). Dopo
aver sistemato il sottopancia, si imbriglia il cavallo e si fissano le redini passanti al di
sopra delle groppa del cavallo, connesse ad un morso che è in bocca all’animale.
Questi finimenti risalenti alla fine del diciannovesimo secolo si distinguono per la
ricercata decorazione con borchie applicate alla martingala (cinghia attaccata alla
briglia), ai paraocchi e al facciale. La vestizione del cavallo è quasi un rito che richiede
anche oggi grande maestria ed esperienza.
LOUISIANA ROCKAWAY
Carrozza sportiva e di servizio a sei posti.
Costruttore: ignoto, 1900 circa.
Donazione: Giuseppe Guarnieri Roberti, 1968.
Macerata, Museo della Carrozza.
.
La Louisiana Rockaway è un modello di origine americana che prende il
nome dallo Stato in cui si è diffuso. Come tutte le carrozze americane è
molto leggera malgrado le dimensioni. Per la costruzione viene utilizzato
il legno di hickory, leggero e robusto per rendere la vettura elegante,
adatta al passeggio.
Nella carrozza in mostra la cassa è chiusa da due portiere con vetri
discendenti e monogramma dell’antico proprietario. La serpa (sedile di
guida) si trova alla stessa altezza dei posti interni. E’ dotata di flèche
(congiunzione longitudinale dei due assali) e di ruote grandi e sottili.
L’interno è rivestito di cotone color panna e ha schienali trapuntati a
capitonné in modo da assicurare una migliore tenuta dell’imbottitura.
WOURCHE
Carrozza di servizio.
Costruttore: Vincenzo Pachielli - Macerata, 1850 circa.
Donazione: Marchese Filippo Castiglioni Pietramellara Grottaccia - Cingoli 1968.
Macerata, Museo della Carrozza.
È una carrozza trasformabile, provvista di un mantice di cuoio e di
un tettuccio ripiegabile. Adatta quindi ai viaggi con ogni tempo.
Nasce da un modello in uso nel nord della Francia alla fine del
XVIII secolo.
Si ha notizia che l’abate di Clary, vicario generale di Saint Flour,
abituato al rude clima dell’Auvergne, aveva per i suoi spostamenti
una carrozza detta “wourche”.
È questo uno dei modelli più prestigiosi della collezione maceratese
che necessita di un tempestivo restauro per entrare a pieno titolo
nella nuova esposizione in allestimento presso Palazzo
Buonaccorsi.
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L`età della carrozza - ROTARY CLUB MACERATA