Matteo Bandello La novellistica in Italia Si affermò nel ‘300 e poi decaduta nel ‘400 : ormai si scrivevano le novelle solo occasionalmente in forma di spicciolate. Nel ‘500 ritorna in uso quella struttura più complessa introdotta da Boccaccio nel Decameron. Perché la novella riacquista il suo valore? Il Decameron viene eletto da Bembo il modello della lingua per la prosa. Il pubblico si estende alla borghesia, che preferisce un racconto breve,piacevole,realistico e con dei tratti comici. È un punto di incontro tra letteratura alta (per pochi) e letteratura d’ intrattenimento (lettori più numerosi). Si sviluppano due linee diverse : novella municipale novella cortigiana Si ispira alla cronaca cittadina e segue l’esempio di Boccaccio Soprattutto in Toscana Esempi : Firenzuola, Grazzini è più autonoma e si ispira più che altro a vicende storiche nel settentrione esempi : Bandello, Straparola Bandello e la novellistica cortigiana Matteo Bandello si può dire che sia stato il maggior novelliere del ‘500. Come gli altri autori settentrionali risponde ad un gusto cortigiano, tratta di vicende storiche e problematiche intellettuali. Scrive novelle soprattutto di carattere tragico, comico, orroroso e anche erotico. Funzione giornalistica data dal suo realismo spregiudicato poiché i racconti non sono sempre veri ma anche inventati. Egli non idealizza la realtà e nemmeno assume una misura di perfezione della realtà, né esalta il potere dell’azione umana La vita Matteo Bandello, proveniente da una famiglia nobile ma decaduta, nacque nel 1485 a Castelnuovo Scrivia che all’ epoca apparteneva al ducato di Milano. Studiò a Milano e successivamente all’ Università di Pavia infine divenne frate domenicano a Genova. Visitò le più importanti città italiane accompagnato dallo zio, alla sua morte prestò servizio a corte come segretario presso gli Sforza fino al 1515, quando i Francesi occuparono Milano ed egli si rifugiò a Mantova sotto Francesco Gonzaga. Nel 1526 seguì Federico Gonzaga nell’ impresa della Lega di Cognac, durante conobbe il capitano Cesare Fregoso un veneziano. Verso il 1536 si recò in Francia e conobbe Margherita di Navarra. Ritornato a Mantova incontrò Lucrezia Gonzaga della quale si innamorò. Nel 1541 Carlo V fece assassinare Cesare Fregoso e Bandello si trasferì a Bassens nella sua villa, venne anche ordinato vescovo di Agen. Nel 1554 furono pubblicati i primi tre volumi dei Quattro libri delle novelle mentre il quarto uscì nel 1573. L’opera riscontro molto successo: tradotta in francese e diffusa in Inghilterra ed ispirò molti autori europei, tra cui Shakespeare nelle commedie Molto rumore per nulla e La dodicesima notte, ma soprattutto nella tragedia Romeo e Giulietta originariamente scritta da Luigi Da Porto. Morì nel 1561 ad Agen. Le opere Scritta nel 1504 Beati fratris Joannis Baptistae Cattanei Vita a ricordo di un confratello, conosciuto nel convento di S. Domenico a Genova. 1509 Titi Romani Aegisippique Atheniensis amicorum historia in latinum versa , traduzione della novella X, 8 del Decameron. Parentalis oratio pro clarissimo imperatore Francisco Gonzaga Marchione Mantuae quarto, pronunciata a Mantova il 20 marzo 1520, primo anniversario della morte di Gianfrancesco marchese di Mantova. Le tre Parche, scritte nel 1531 a Verona per la nascita di Giano Fregoso, dedicate a Guido Rangone e pubblicate ad Agen nel 1545. La traduzione dell’Ecuba di Euripide dedicata a Margherita di Navarra (1538). Canti XI, poema in ottave in lode di Lucrezia Gonzaga di Gazzuolo, dedicato a Luigi Gonzaga, scritto a Castel Goffredo fra il 1538 e il 1540 e pubblicato ad Agen 1545. Alcuni fragmenti de le Rime, pubblicati da L. Costa nel 1816. Altre rime furono scoperte e pubblicate successivamente. I quattro libri delle novelle La struttura: una raccolta di 214 novelle in quattro libri, i primi tre pubblicati nel 1554 e l’ultimo nel 1573. Volutamente manca una struttura organica per rappresentare il caos del mondo a causa del periodo di crisi politica. Ogni novella è introdotta da una lettera dedicatoria a un importante personaggio del tempo. L’autore può così presentare l’ argomento, narrare i ricordi della propria vita cortigiana e storicizzare le novelle, inserite in situazioni reali e raccontate da illustri personaggi. Il fine: Bandello vuole “giovare altrui e dilettare” ossia mescolare l’utile al dilettevole; è fondamentale scegliere una storia interessante in sé, che possieda qualcosa di “mirabile”. La sua lezione: poiché ciò che accade non dipende solo dalla fortuna, ma anche dalle passioni umane bisogna imparare a temperarle con la ragione. La lingua: passa in secondo piano, non deve essere necessariamente il fiorentino volgare come suggeriva Bembo, ma Bandello dichiara di non poter usare una lingua che non gli appartiene, essendo lombardo preferisce servirsi di un toscano arricchito con alcune espressioni del proprio volgare. Una soluzione anticlassicista e affine alla tesi “cortigiana” di Castiglione. I temi: le novelle sono di carattere erotico, comico ed anche tragico, ma narra sempre episodi storici o avvenimenti di cronaca La novella di Giulia Di Gazuolo che,violentata, si suicida gettandosi nel fiume Oglio Lettera dedicatoria: IL BANDELLO A L’ILLUSTRISSIMO E REVERENDISSIMO SIGNORE MONSIGNOR PIRRO GONZAGA CARDINALE […] io porto ferma openione che l'età nostra non sarebbe meno da esser lodata di quelle antiche, le quali tanto gli scrittori lodano e commendano. Che se vorremo per la pittura e scultura discorrere, se i nostri pittori e scultori non sono da esser a quei tanto celebrati preposti, gli resteranno almeno uguali'". Le buone lettere a' nostri dì non credo io che punto agli antichi oratori, ai poeti, ai filosofi ed agli altri scrittori così latini come greci debbianno cedere, che a par di loro non possano vedersi. […] Ma il male è che ai nostri tempi non v'è chi si diletti di scriver ciò che a la giornata avviene; onde perdiamo molti belli ed acuti detti, o molti generosi e memorandi fatti restano sepolti nel fondo de l'oscura oblivione. E pure tutto il dì avvengono bellissime cose, che sono degne d'esser a la memoria de la posterità consacrate. Onde per ora ne scieglierò una avvenuta questi anni passati a Gazuolo. [...] Presentazione di Giulia: […] Giulia, figliuola d’un poverissimo uomo di questa terra, di nazione umilissima, che altro non aveva che con le braccia tutto il dì lavorando ed affaticandosi guadagnar il vivere per sé, per la moglie e due figliuole, senza più. La moglie anco, che era buona femina, s'affaticava in guadagnar qualche cosa filando ed altri simili servigi donneschi facendo. Questa Giulia era molto bella e di leggiadri costumi dotata, e molto più leggiadra che a si basso sangue non conveniva. Ella ora con la madre ed ora con altre donne andava in campagna a zappare e far altri essercizi, secondo che bisognava. […] La parte centrale della novella: […] II cameriero, spiando di continuo ciò che ella faceva, intese un dì che ella tutta sola usciva di Gazuolo. Onde, chiamato lo staffiero, là se n'andò ove ella faceva non so che in certo campo. Quivi giunto, cominciò come era consueto a pregarla che omai volesse di lui aver pietate. Ella, veggendosi sola, pregò il giovine che non le desse più fastidio, e dubitando di qualche male se ne venne verso Gazuolo.Il giovine, non volendo che la preda gli uscisse di mano, finse col compagno di volerle far compagnia, tuttavia con umili ed amorevoli parole affettuosamente pregandola che avesse de le sue pene pietà. Ella, messasi la via fra' piedi, frettolosamente verso casa se n'andava. E caminando senza dar risposta a cosa che il giovine dicesse, pervennero ad un gran campo di grano che bisognava attraversare. Era il penultimo giorno di maggio e poteva quasi esser mezzo dì, e il sole era secondo la stagione forte caldo, e il campo assai rimoto da ogni abitazione. Come furono nel campo entrati, il giovine, poste le braccia al collo a Giulia, la volle basciare; ma ella, volendo fuggire e gridando aita, fu da lo staffiero presa e gettata in terra, il quale subito le mise in bocca uno sbadaglio a ciò non potesse gridare, e tutti dui la levarono di peso e per viva forza la portarono un pezzo lungi dal sentiero che il campo attraversa; e quivi, tenendole le mani lo staffiero, lo sfrenato giovine lei, che sbadagliata era e non poteva far contesa, sverginò. La miserella amaramente piangeva e con gemiti e singhiozzi la sua inestimabil pena manifestava. II crudel cameriero un'altra volta, a mal grado di lei, amorosamente seco si giacque, prendendone tutto quel diletto che volle. Dapoi la fece disbadagliare, e cominciò con molte amorevoli parole a volerla rappacificare, promettendole che mai non l'abbandonaria e che l'aiuteria a maritare, di modo che starebbe bene. Ella altro non diceva, se non che la liberassero e la lasciassero andar a casa, tuttavia amaramente piangendo. Tentò di nuovo il giovine con dolci parole, con larghe promesse e con volerle alora dar danari di rachetarla. Ma il tutto era cantare a' sordi, e quanto più egli si sforzava consolarla ella più dirottamente piangeva. E veggendo pur che egli in parole multiplicava, gli disse: - Giovine, tu hai di me fatto ogni tua voglia e il tuo disonesto appetito saziato. Io ti prego, di grazia, che omai tu mi liberi e mi lasci andare. Ti basti quanto hai fatto, che pur è stato troppo. - L'amante, dubitando che per dirotto pianto che Giulia faceva non fosse discoperto, poi che vide che indarno s'affaticava, deliberò di lasciarla e di partirsi col suo compagno; e così fece. Giulia, dopo l'aver amaramente buona pezza pianto la violata verginità, racconciatasi in capo i suoi disciolti pannicelli e a la meglio che puoté rasciugatosi gli occhi, se ne venne tosto a Gazuolo e a casa sua se n'andò. Quivi non era né il padre néla madre di lei; v’era solamente in quel ppunto una sua sorella d’età di dieci in undeci anni, che per esser alquanto inferma non era potuta andar fuori. Giunta che fu Giulia in casa, ella aperse un suo forsiero, ove teneva le sue cosette. Dapoi, rispogliatasi tutti quei vestimenti che indosso aveva, prese una camicia di bucato e se la mise. Poi si vestì il suo valescio di beccaccino bianco come neve ed una gorgiera di velo candido lavorato, con uno grembiale di vel bianco, che ella solamente soleva portar le feste. Così anco si messe un paio di calzette di saia bianca e di scarpette rosse. Conciassi poi la testa più vagamente che puoté, ed al collo si avvolse una filza d’ambre gialle. Insomma ella s’adornò con le più belle cosette che si ritrovò avere, come se fosse voluta ire a far la mostra su la più solenne festa di Gazuolo.