Gli attori antichi: maschere e costumi Calice-cratere lucano, ca. 400 a. C. Cleveland Museum of Art 91.1 Medea si allontana sul carro volante dopo aver ucciso i figli. Nei vasi dell’Italia meridionale intorno al 400 a. C. le rappresentazioni di Medea si fanno frequenti e di chiara ispirazione teatrale, rivelata in questo caso dal motivo del carro, di probabile invenzione euripidea, e dalle vesti dei personaggi, che sono costumi di scena. Si osservi rispetto al finale della Medea l’importante differenza consistente nel fatto che i corpi dei figli sono lasciati a terra, e pianti dalla Nutrice, mentre in Euripide essi sono trasportati via dalla madre che li seppellirà nel santuario di Hera. Le origini Dioniso è un dio che ha forti connessioni con la vegetazione con i suoi ritmi, e ci sono testimonianze che ci parlano di una sua connessione specifica con la vendemmia e il vino. In tali contesti si venerava in Atene Dioniso Morychos, cioè “imbrattato”, nel senso che il viso del dio veniva imbrattato della feccia di vino. La cosa è rilevante se si tiene presente che alcune testimonianze relative a Tespi ci dicono che gli attori usavano lo stesso materiale per mascherarsi. Esistono inoltre numerose pitture vascolari dalle quali risulta che nel culto il dio era rappresentato da un albero cui veniva appesa una maschera. Coppa a figure rosse da Vulci, attribuita al pittore Makron, Berlin F 2290, 490-480a.C. circa Scena di rito dionisiaco. Le Menadi, munite di tirso e accompagnate da una flautista, danzano davanti a una statua di Dioniso posta al centro del lato B. La statua è semplicemente una maschera posta su un palo e vestita con chitone e mantello. In basso c’è un piccolo altare decorato con una figura maschile seduta, forse Dioniso stesso . Chous da Anavyssos, 450-400 a. C. circa Attribuito al Pittore di Eretria Atene, Museo Nazionale, VS318 Il vaso raffigura i preparativi per una cerimonia in onore di Dioniso. Su un tavolo sta appoggiata una maschera del dio, che appare incoronato e avvolto d’edera, con folta capigliatura e barba, tratti del viso naturali. Cratere Apulo a figure rosse, autore anonimo, ca. 410-390 a.C. New York. Metropolitan Museum Dioniso è rappresentato con una maschera in mano, mentre il dio Pan attinge con una oinochoe da un cratere posto tra i due. Chous a figure rosse da Eleusi, 420 a. C. circa Museo di Eleusi. Un bambino spaventa un altro bimbo mostrandogli una maschera. La raffigurazione ricorda ciò che Aristofane dice a proposito delle maschere paurose dette mormolykeia, che raffiguravano Mormo, una specie di orco o “babau “che si evocava per spaventare i bambini. La maschera tragica Mosaico da Pompei Napoli, Museo Nazionale Maschera tragica. La maschera mostra tratti del viso esasperati, con occhi sbarrati, orbite scavate, bocca molto grande e spalancata, e una grande massa di capelli accumulati sulla fronte (il cosiddetto onkos). Questa tipologia di maschera, a noi resa familiare dall’iconografia ellenistica e romana, non corrisponde all’aspetto della maschera tragica del V secolo a. C. Frammento di oinochoe a figure rosse da Atene, 470-460 a. C Atene, Agorà P 11810. Le maschere tragiche del tempo di Eschilo dovevano apparire simili a quella raffigurata in questo frammento di vaso, risalente al 470-460 a. C. La maschera rappresenta un personaggio femminile, la cui pelle come di consueto è bianca, ad indicare la non esposizione al sole di chi vive nell’ambito della casa. Si noti la semplicità dell’acconciatura, trattenuta da una fascia. Il materiale delle costruzioni era in origine biacca, poi lino, cartapesta e cuoio. Non risulta che le maschere fossero standardizzate in tipi, e abbiamo molti indizi nei testi che rivelano l’esistenza di maschere realizzate ad hoc per personaggi particolari. Pelike da Cerveteri, attribuita al pittore della Phiale 475-425 a. C. circa Boston (MA), Museum of Fine Arts, 98.883 Due giovani, probabilmente coreuti, indossano costumi da teatro, evidentemente femminili. Il personaggio di sinistra ha già indossato la maschera e i calzari, quello di desta sta calzando gli stivali e ha la maschera appoggiata a terra. Le maschere hanno tratti abbastanza naturali, bocca piccola, naso regolare e capigliatura acconciata semplicemente con una fascia. Si noti come il giovane a destra abbia fermato i propri capelli con una fascia per poter indossare più comodamente la maschera. Frammento di cratere attico da Taranto, 400 a.C. circa Martin von Wagner Museum der Universität Würzburg, H 4781 Il vaso raffigura un gruppo di donne abbigliate come coreute, alcune delle quali hanno tra le mani le maschere, una delle quali è ben visibile, ed è quella raffigurata nel particolare. La maschera ha tratti abbastanza naturali, bocca aperta non molto grande, folta capigliatura ricciola. L’ “Attore di Taranto” Frammento di cratere da Gnathia, Taranto, prima metà del IV secolo a.C. Questa bella immagine, sulla quale ritorneremo a proposito del costume, raffigura un attore del IV secolo a.C., che sta per completare il suo abbigliamento di scena indossando la maschera di un vecchio, e sembra contemplarla per ispirarsi nella resa del personaggio (secondo altri interpreti invece l’attore ha finito di recitare e si è appena tolto la maschera). La maschera ha tratti naturalistici, e come spesso accade nei dipinti vascolari, ha qualche somiglianza con il viso dell’attore. Si noti la capigliatura corta dell’attore, che facilitava l’atto di indossare la maschera. A quest’epoca le maschere tragiche vanno standardizzandosi in tipi, dei quali ci restano esempi nelle terrecotte liparesi, che riproducono la tipologia delle maschere tragiche del IV secolo. Un gruppo di attori si reca a portare un’offerta al dio del teatro Rilievo dal Pireo, 400 a. C. circa - Atene, Museo Archeologico Anfora attica a figure nere, probabilmente da Cere, 550 circa a. C. Berlin, Antikensammlung 1697 Gruppo di tre uomini in costume da cavalieri che cavalcano altri uomini barbati travestiti da cavalli, con l’accompagnamento di un flautista. Questa immagine precede di almeno cento anni i Cavalieri di Aristofane, nei quali si può immaginare che il Coro avesse un aspetto simile. Gli Ateniesi dovevano avere familiarità con questo tipo di mascherate animalesche. Il vaso di Pronomos: una compagnia di attori pronta per mettere in scena un dramma satiresco (fine V - inizio IV secolo a. C.) (Cratere a volute, Napoli 3240 - immagine sviluppata in piano) Questo celebre vaso raffigura un folto gruppo di personaggi in ambiente teatrale, disposti attorno alle figure divine di Dioniso e Arianna, sdraiati su un divano. La figura centrale in basso è il flautista Pronomos, che certamente il pittore vuol porre in evidenza. Si distinguono poi due figure, una seduta (il poeta Demetrio) e una in piedi con la cetra in mano (il citarista Carino). Dieci personaggi maschili sono vestiti da Satiri, con mutande ricoperte di pelo, coda e fallo. Essi portano in mano ciascuno la propria maschera, che solo uno ha già indossato (quello che accenna un passo di danza). In basso a destra si distingue un personaggio vestito, anch’esso con maschera in mano: si ritiene sia il Corifeo. Nella fila superiore un attore dal viso barbuto, vestito con un costume irto di ciuffi di pelo bianco, con pelle di leopardo, tiene in mano una maschera di Satiro vecchio: è il Papposileno, capo dei satiri. Alla sua sinistra si distingue Eracle, con pelle di leone e clava, e alla sinistra di Eracle un attore che ha in mano una maschera femminile. A sinistra di Dioniso, un altro attore con elaborato costume tiene in mano una maschera dai capelli ricciolie ispidi. Il contesto è quello di un dramma satiresco. Coppa attica a figure rosse con immagine di un Satiro appartenente a un coro di dramma satirsco. Si ditinguono bene la maschera barbuta indossata dal coreuta, il gonnellino maculato che rende l’idea del pelo animale, il fallo e la coda equina A partire dalla tarda età ellenistica, troviamo attestazioni iconografiche di maschere come quelle delle figure sottostanti. I tratti del viso si fanno assai più forzati, con occhi sbarrati, orbite scavate, sopracciglia inarcate, bocca molto grande e spalancata, e soprattutto una grande massa di capelli che si eleva considerevolmente sulla fronte (detta in greco onkos). È probabile che la maschera si evolva in questa direzione anche per rispondere alle modificazioni che si andavano realizzando negli edifici teatrali, all’interno dei quali la skene era cresciuta in altezza, fino ad assumere, nei teatri romani proporzioni monumentali. L’onkos, unito a calzari dalla suola molto alta, consentiva di dare all’attore una dimensione maggiore evitando che venisse schiacciato dalle proporzioni della scena. Mosaico da Pompei - Napoli, Museo Nazionale Maschera maschile, forse di tunisino di età romana Kunsthistorisches Museum re. - Mosaico Vienna, Una compagnia di attori si prepara alla rappresentazione Mosaico da Pompei, ca. 100-79 a. C. - Napoli, Museo Archeologico Atene, Museo Nazionale 382. Rilievo con sei maschere tragiche dal teatro di Dioniso, I-II secolo d. C. Si osservi in particolare la grandezza della bocca, la forzatura dell’espressione, e la capigliatura, che anche se parzialmente danneggiata, doveva essere in tutte le maschere piuttosto imponente sulla fronte. A sinistra, maschere monumentali di epoca romana rinvenute nel teatro di Atene (Atene, Museo Nazionale). A destra, disegni di maschere conservate al British Museum di Londra, quella di destra è una maschera tragica. Maschere tragiche dal teatro di Ostia La maschera comica: 1. La Commedia Antica Attori della commedia antica Figurine di terracotta da Atene, fine del V secolo a. C. New York, Metropolitan Museum of Art, 13. 225. 13, 18, 20 Queste statuette che rappresentano attori comici sono una preziosa testimonianza, poiché provengono da Atene e sono di epoca contemporanea alla maturità di Aristofane. Le maschere evidenziano caratteri grotteschi: accenno di calvizie, fronte schiacciata, naso camuso e larga bocca deformata. La maschera sembra voler rendere l’idea di una bruttezza ridicola, quella che trova corrispondenza anche in altri tratti fisici, come le imbottiture della pancia e del deretano. L’aspetto dell’attore comico corrisponde bene a quanto ci dice Aristotele nella Poetica 1449 a35:”Il ridicolo è un errore e una bruttezza ridicola che non causa danno, proprio come la maschera comica è qualcosa di brutto e stravolto senza sofferenza”. Attore comico che recita la parte di una vecchia. Statuetta di Terracotta, ca. 375-350 a. C. Provenienza: Grecia New York, Metropolitan Museum of Arts Questa maschera, corrispondente all’epoca della commedia di mezzo, pochi anni dopo la morte di Aristofane, mantiene ancora abbastanza i tratti di deformazione del viso che abbiamo osservato nelle statuette di Atene. La figurina è ancora caratterizzata anche dalla prominenza del ventre che sporge sotto la veste. Cratere a campana apulo, trovato a Ruvo nel 1880, 400-380 a. C. Milano, Museo Civico Archeologico, AO. 9. 284 Scena di commedia antica, detta dei “Mangiatori di Dolci”. Si notino i tratti delle due maschere maschili del vecchio e del servo, che coincidono bene con quelle delle statuette dell’immagine precedente. Anche la maschera femminile ha deglie videnti tratti di imbruttimento grottesco, e trova buona corrispondenza nella figura di vecchia dell’immagine precedente. Cratere a campana campano, 350-325 a. C. Melbourne, national gallery of Victoria, D14/1973 Scena di commedia antica, detta della “Flautista di Melbourne”. Anche in questo caso le due maschere del vecchio e dello schiavo mostrano tratti accentuati: naso e mascelle sporgentim fronte bassa, accdenno di calvizie. Würzburg, Martin von Wagner Museum der Universität Würzburg, H 5697 Cratere a campana apulo, 370 a. C. circa In questo vaso è notevole il fatto che la naschera del personaggio di destra, che è il parente di Euripide travestito da donna e rifugiato presso l’altare in parodia del Telefo di Euripide, ha dei segni sulla guancia che devono rendere l’idea della rasatura approssimativa che il Parente ha subito da parte di Euripide in una scena precedente della commedia, quando si travestiva da donna Il cratere di Malibu. Aristofane Uccelli o Nuvole? Cratere a campana apulo, 420-410 a. C. ca. Malibu, Paul Getty Museum, 82.AE.83 La maschera comica: 2. La commedia nuova In corrispondenza del processo di tipizzazione che sostituisce i personaggi comici individualizzati di Aristofane con rappresentanti di “tipi” umani (vecchio, giovane, cortigiana, ecc.) dalle precise caratteristiche psicologiche, anche le maschere della commedia nuova vanno incontro a un processo di standardizzazione che definisce una serie di tipi, dei quali Polluce ci ha conservato una dettagliata classificazione. Il catalogo di Polluce corrisponde piuttosto bene ai tipi che ci sono testimoniati da una ricca produzione iconografica che copre tutta l’età ellenistica Rilievo in marmo che mostra Menandro mentre tiene in mano la maschera di un giovane, con accanto un tavolo su cui si vedono la maschera di uno dei tipi di ragazza giovane e quella di un vecchio Princeton, Art Museum 51-1 (ex coll. Stroganoff) Mosaici dalla Casa delle Maschere a Delo, 120-80 a. C. A sinistra la maschera di uno dei tipi di vecchio, forse il cosiddetto Lykomedeios, a destra maschera di giovane, forse il cosidetto Primo episesistos (“con la chioma mossa”). I tratti grotteschi che caratterizzavano le maschere della commedia antica si attenuano molto, lasciando il posto a tratti più specifici, come la foggia della pettinatura, l’inarcamento o distensione delle sopracciglia, la presenza o meno di rughe sulla fronte, ecc. Particolarmente preziose per la conoscenza delle maschere della commedia nuova si rivelano le piccole maschere di terracotta ritrovate in gran quantità in tombe dell’isola di Lipari, studiate da L. Bernabò Brea. Circa 500 di esse, risalenti alla prima metà del III secolo a. C. riproducono maschere del teatro di Menandro, sostanzialmente corrispondenti ai tipi elencati da Polluce. Maschera di giovane n. 190 Lipari, Museo Archeologico Questa maschera trova buona corrispondenza con il tipo del cosiddetto “giovane scuro” di Polluce, descritto nell’immagine seguente. Alcuni esempi dei tipi di maschera della commedia nuova: i giovani Polluce:“Il Giovane Perfetto è rossiccio, atletico, abbronzato. Ha poche rughe sulla fronte e una corona di capelli; le sopracciglia sono inarcate” Terracotta di incerta provenienza Brussels A 302 Polluce: “il Giovane scuro è più giovane d’età (rispetto al Giovane perfetto), e le sopracciglia non sono aggrottate: ha aspetto piuttosto studioso che atletico.” Terracotta da Tebe, 325-250 a. C. Copenhagen NM 5390 Polluce: “Il Giovane riccioluto è ancora più giovane, di colorito rossastro, con la capigliatura corrispondente al suo nome. Ha sopracciglia aggrottate, e una ruga sulla fronte”. La maschera ha le sopracciglia piane. Oxford 1966. 673 Polluce: “Il Campagnolo è di pelle scura, e ha labbra spesse, naso schiacciato e capelli a corona” Terracotta dalla Beozia Paris, Louvre MNB 506 Maschere della commedia nuova: le donne giovani Polluce: “La prima falsa vergine ha pelle chiara, e la chioma legata sulla parte frontale della testa, ha l’aspetto di una giovane sposa”. Leipzig, Museum des Kunsthandwerks, 19.123 Polluce: “L’etera adulta ha un aspetto più rossiccio della Falsa Vergine, ed ha trecce ricciolute attorno alle orecchie” Maschera dall’agorà di Atene Atene, Museo nazionale 1751 Le maschere della commedia nuova: i vecchi Tre maschere di vecchi. A sinistra, il Vecchio dalla barba lunga e dai capelli mossi (“ha una corona di capelli sulla fronte, una folta barba e un aspetto torpido” Lipari, inv. 3072); al centro il Vecchio Licomedio (“ha chioma ricciola, barba lunga; ha il sopracciglio sollevato e suggerisce l’idea di un intrigante” Atene, Agorà T 213); a destra il vecchio Padrone di un Bordello (“per il resto somiglia al licomedio, ma ha le labbra atteggiate a sorriso e solleva entrambe le sopracciglia, è stempiato o calvo” Cairo 26771). Le maschere di schiavi continuano a mantenere i tratti sforzati che erano propri della commedia antica, ed in particolare la grandezza e deformità della bocca, che ritroviamo in numerosi esempi di maschere dell’età ellenistica, come queste due (una si trova al Museo Archeologico di Atene, l’altra a Vienna, Kunsthistorisches Museum) che rappresentano lo stesso tipo di personaggio, probabilmente il tipo dello Schiavo principale di Polluce: “Lo schiavo principale ha un rotolo di capelli rossi, le sopracciglia inarcate e corruga la fronte” Maschere della commedia nuova, mosaico conservato a Roma, Museo Capitolino. Epoca incerta, forse copia di età imperiale di un originale ellenistico. A sinistra la maschera femminile corrisponde al tipo della kore, la giovane vergine, rappresentata con viso pallido, sguardo serio, sopracciglia lievemente curve, e lunga chioma ricciola legata da un nastro (kekruphalos). A destra, maschera di schiavo corrispondente al tipo dello schiavo principale dalla chioma mossa (episeistos heghemòn). Statuetta in terractta raffigurante un attore comico nella parte di uno schiavo London, British Museum Si osservi la somiglianza della maschera con il disegno di un’altra maschera di schiavo conservata nello stesso Museo. Mosaico da una casa della città di Zeugma sull’Eufrate, in Turchia, raffigurante una scena della commedia perduta di Menandro Synaristosai “Le donne che pranzano assieme”. Il mosaico è firmato in basso dall’autore Zosimo. L’Edipo di Capodarso Calice-cratere siciliano, ca. 350-325 a. C. Siracusa, Museo Archeologico Regionale “P. Orsi”, 66557 In questo importante frammento di vaso siciliano si è potuta identificare con sicurezza una scena di tragedia. Si tratta della scnea dell’Edipo re in cui un Vecchio Messaggero comunica ad Edipo la morte del presunto padre, Polibo, ma poi gli rivela anche che Polibo e Merope non erano i suoi veri genitori. Giocasta, presente al racconto, capisce tutto ed esce in silenzio per uccidersi. Nel vaso si vede un personaggio barbato in veste regale, con accanto due bambine, che ascolta un vecchio in abiti da viandante. A destra un personaggio femminile si porta la mano al viso con un gesto di disperazione. L’abbigliamento dei personaggi è evidentemente ispirato al costume degli attori tragici. Il Messaggero indossa il chitone, e un tipo di stivale in pelle del tutto simili a quelli dell’attore di Taranto. Sopra il chitone il personaggio porta una clamide, ed ha nelle mani il bastone. Il personaggio regale indossa invece la veste lunga fino alle caviglie, e un himation o mantello. Il vaso di Pronomos: una compagnia di attori pronta per mettere in scena un dramma satiresco (fine V - inizio IV secolo a. C.) (Cratere a volute, Napoli 3240 - immagine sviluppata in piano) Questo celebre vaso raffigura un folto gruppo di personaggi in ambiente teatrale, disposti attorno alle figure divine di Dioniso e Arianna, sdraiati su un divano. La figura centrale in basso è il flautista Pronomos, che certamente il pittore vuol porre in evidenza. Si distinguono poi due figure, una seduta (il poeta Demetrio) e una in piedi con la cetra in mano (il citarista Carino). Dieci personaggi maschili sono vestiti da Satiri, con mutande ricoperte di pelo, coda e fallo. Essi portano in mano ciascuno la propria maschera, che solo uno ha già indossato (quello che accenna un passo di danza). In basso a destra si distingue un personaggio vestito, anch’esso con maschera in mano: si ritiene sia il Corifeo. Nella fila superiore un attore dal viso barbuto, vestito con un costume irto di ciuffi di pelo bianco, con pelle di leopardo, tiene in mano una maschera di Satiro vecchio: è il Papposileno, capo dei satiri. Alla sua sinistra si distingue Eracle, con pelle di leone e clava, e alla sinistra di Eracle un attore che ha in mano una maschera femminile. A sinistra di Dioniso, un altro attore con elaborato costume tiene in mano una maschera dai capelli ricciolie ispidi. Il contesto è quello di un dramma satiresco. Anfora apula, ca. 325 a. C. Malibu, J. Paul Getty Museum 84. Ae. 996 Il vaso rappresenta Andromeda legata ad una roccia di fronte al mare perché sia divorata da un mostro marino. Il mito era stato trattato da Euripide nella perduta Andromeda, e la raffigurazione si ispira forse a una scena euripidea. Si noti il costume molto ricco di decorazioni, comoposto da una veste lunga fino ai piedi sopra la quale la donna indossa una mantella semitrasparente Boston, Museum of Fine Arts, 69. 695 Cratere a campana apulo, ca. 370, cosiddetta “commedia dell’oca” New York, Metropolitan Museum of Arts, 24.97.104 Calice cratere apulo, forse da Taranto, ca. 400 a.C. (cosiddetta “commedia dell’oca”) Getty Museum, Malibu, 96.AE.114 Askos a figure rosse, Italia Meridionale, 360 - 350 B.C. Raffigurazione di attore comico (fliace?) caratterizzato dal costume con imbottitura, fallo in evidenza e gambe coperte dalla tunica che rappresenta la nudità scenica. Il personaggio è un vecchio che agita il bastone inseguendo qualcuno, probabilmente lo schiavo che è raffigurato sul lato opposto del vaso. Si tratta di una situazione comica di lunghissima tradizione, della quale già Aristofane nelle Rane parla come di un trito motivo di repertorio dei comici. London, British Museum F 151. Cratere a campana apulo, 380 a.C. circa New York. Metropolitan Museum of Arts, coll. Fleischmann F93 cratere a campana apulo, 400-380 a.C. circa Scena certamente teatrale, probabilmente di commedia. Un personaggio in costume tragico che porta il nome di Egisto sembra appena uscito da una porta e incontra sul palco dei personaggi comici. Quello al centro porta un nome da schiavo, Pirria, e sta sopra un canestro rovesciato in atteggiamento oratorio. Gli altri due, un vecchio e un giovane, sono denominati choregoi. Si tratta verosimilmente di una commedia basata sul contrasto fra genere tragico e comico, non identificabile. Würzburg, Martin von Wagner Museum der Universität Würzburg, H 5697 Cratere a campana apulo, 370 a. C. circa Il vaso rappresenta due personaggi comici. A destra il personaggio sull’altare tiene nella destra una spada e nella sinistra una sorta di indumento per bambini, con gambali e piedini. Si osservi che il personaggio ha maschera e vesti femminili, ma sotto la veste lunga indossa pamtaloni aderenti, e cioè il tipico costume maschile. Si tratta cioè di un uomo travestito da donna. La scena raffigurata è esattamente quella delle Tesmoforiazuse di Aristofane in cui il Parente di Euripide, parodiando il Telefo euripideo, minaccia di sgozzare i bambino preso in ostaggio. Al posto del bimbo c’è però un otre pieno di vino. La donna a sinistra accorre con un recipiente per poter almeno raccogliere il sangue versato. Cratere a campana apulo, ca. 370 a. C. Würzburg, Martin von Wagner Museum der Universität Würzburg, H 5697 Berlin F 3044 Calice cratere di Assteas, probabilmente proveniente da Nola • • • • Disegno ricavato dal lato A del vaso. Scena di commedia. Un povero vecchio, di nome Carino, è aggredito da due ladri che vogliono portare via il forziere su cui Carino si è sdraiato. Il ladro a destra, di nome Cosilo, afferra e strattona il mantello su cui è steso il vecchio, l’altro, di nome Gymnilos, afferra Carino per i piedi. Sulla destra uno schiavo imbelle di nome Carione osserva terrorizzato senza intervenire a favore del padrone. La scena è decorata con evidenti elementi teatrali, come le maschere femminili visibili al centro, e il palco sorretto da colonnine, con una porta sullo sfondo che rappresenta l’abitazione del vecchio Carino. Le commedie di Plauto presuppongono un palco e uno sfondo sostanzialmente simile a questo. Nel caso dei costumi di Menandro risultano di grande interesse alcuni mosaici che raffigurano scene delle sue commedie, identificate con precisione con i nomi dei personaggi e il numero dell’atto. Quello raffigurato (Arbitrato, atto secondo) viene da una ricca casa di Mitilene sull’isola di Lesbo, detta la casa di Menandro, e risale al III secolo d. C. La casa presenta raffigurazioni da altre sei commedie. Nonostante l’epoca tarda possiamo ritenere con buona sicurezza che l’immagine che viene presentata della scena di Menandro risalga assai più addietro, giacchè esistono altre copie di questi mosaici, di epoca diversa: ad esempio, a Pompei ci sono mosaici del I secolo d. C. che raffigurano le Synaristosai, presenti anche a Mitilene, che vedremo nell’immagine seguente. Probabilmente tutti i mosaici discendono da un originale famoso del III secolo a. C., dunque piuttosto vicino a Menandro. Dall’immagine si vede come i costumi fossero piuttosto vicini all’abbigliamento quotidiano degli Ateniesi. Il personaggio di sinistra porta l’abbigliamento dell’uomo di campagna (bisaccia, bastone, pelle di capra).