Breve storia della lingua
italiana
Umanesimo e Rinascimento
Raffaele De Rosa
Unitre Soletta 28.11.2014
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Temi della lezione
• Francesco Petrarca (1304-1374)
• Giovanni Boccaccio (1321-1375)
• L’età dell’Umanesimo (XV sec.)
– Leon Battista Alberti (1404-1472)
• Il Rinascimento (XV-XVI sec.)
– Pietro Bembo 1470-1547
– Vincenzo Colli detto il Calmèta (1460-1508)
– Niccolò Machiavelli (1469-1527)
– Ludovico Arioso (1474-1533)
• Fiorentino oggi
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Francesco Petrarca
• Francesco Petrarca (Arezzo 1304 – Arquà Petrarca 1374) persegue
l'ideale di una lingua 'alta', raffinata, elitaria ed è alla ricerca della
lingua 'illustre', sia essa latino o volgare.
• Anche egli, come Dante Alighieri, utilizza il fiorentino eliminandone
ogni elemento che ritiene 'basso'.
• È uno dei primi sostenitori due movimenti linguistici:
– la riscoperta della classicità latina
– la valorizzazione della lingua vernacolare poetica italiana
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Francesco Petrarca
• L’opera principale di Francesco Petrarca è sicuramente il
Canzoniere (in latino Rerum vulgarium fragmenta «Frammenti di
cose volgari»). composto tra il 1366 e il 1374.
• Si tratta di una raccolta che comprende 366 (365, come i giorni
dell'anno, più uno introduttivo intitolato "Voi ch'ascoltate")
componimenti: 317 sonetti, 29 canzoni, 9 sestine, 7 ballate e 4
madrigali.
• L’opera è dedicata a Laura di Noves, una nobildonna italiana della
quale il poeta si è innamorato vanamente.
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Francesco Petrarca
• Nel Canzoniere viene raccontato in versi questo amore platonico.
• Si tratta quasi di un diario amoroso, che va dal sonetto iniziale, nel
quale si dichiara la vanità e l’inutilità delle passioni, che procurano
solo pentimento e vergogna, fino alla canzone finale alla Vergine, in
cui tutti i sentimenti umani e terreni si placano per sempre.
• Il lessico utilizzato nel Canzoniere è piuttosto ridotto rispetto alla
Divina Commedia, ca. 3275 parole in tutto.
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Francesco Petrarca
Canzone 2
Erano i capei d’oro a l’aura sparsi,
che 'n mille dolci nodi gli avolgea,
e 'l vago lume oltra misura ardea
di quei begli occhi, ch’or ne son sì scarsi;
e ‘l viso di pietosi color' farsi,
non so se vero o falso, mi parea:
i’ che l’ésca amorosa al petto avea,
qual meraviglia se di subito arsi?
Non era l’andar suo cosa mortale,
ma d'angelica forma; et le parole
sonavan altro, che pur voce humana.
Uno spirto celeste, un vivo sole
fu quel ch’ i’ vidi; et se non fosse or tale,
piagha per allentar d’arco non sana.
Raffaele De Rosa
I capelli biondi erano sparsi al vento,
che li avvolgeva in mille nodi dolci
e il seducente splendore di quegli occhi,
che ora si è offuscato, brillava oltremisura;
e mi sembrava che il viso di lei si tingesse di
atteggiamenti comprensivi,
ne so se questa mia impressione fosse vera o
falsa: io che avevo nel petto l'esca che
accende il fuoco della passione, c’è da
meravigliarsi se subito m’infiammai
d'amore?
Il suo incedere non era quello delle persone
mortali, ma quello degli spiriti angelici; e le sue
parole avevano un suono diverso da quello che
ha una voce soltanto umana: uno spirito celeste,
un sole splendente fu quello che vidi; e se anche
lei ora non fosse più come era allora, la ferita
non guarisce solo perché l'arco s'allenta (dopo il
lancio della freccia da cui la ferita stessa e stata
provocata).
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Francesco Petrarca
• La lingua poetica petrarchesca resterà, per più di cinque secoli, un
modello imitato continuamente. Fino agli inizi del Novecento, con
poche eccezioni, le parole scelte dai poeti italiani per i loro versi
continueranno a essere, come quelle di Petrarca, vaghe, astratte,
lontane dalla realtà concreta e quotidiana. Ecco alcuni esempi:
– Parole tipicamente poetiche: alma (anima), augello (uccello),
core (cuore), laude (lode), move (muove), opra (opera), spirto
(spirito)
– Scelte grammaticali: amaro (amarono), temero (temettero),
avrìa (avrei), sarìa (sarei), quindi (di qui), fia (sarà), fora
(sarebbe), giuso (giù), nosco (con noi), sentiro (sentirano)
– Arcaismi: affetto (sentimento), cura (preoccupazione, affanno),
desio (desiderio), mirare (guardare), rimembranza (ricordo),
speme (speranza).
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Giovanni Boccaccio
• Giovanni Boccaccio (Firenze 1321 – Firenze 1375) è il principale
creatore della lingua italiana in prosa usata in vari ambiti.
• La sua principale opera è il Decameron (greco antico δέκα, déka,
"dieci", ed ἡμερών, hēmeròn "giorni", con il significato di "[opera] di
dieci giorni").
• Si tratta di una raccolta di cento novelle scritta tra il 1351 e il 1354.
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Giovanni Boccaccio
• Il libro narra di un gruppo di giovani, sette donne e tre uomini, che
per quattordici giorni si trattengono fuori da Firenze per sfuggire alla
peste nera che in quel periodi imperversava nella città, e che a turno
si raccontano delle novelle (Il deca nel titolo allude ai dieci giorni
dedicati alle narrazioni, escludendo i quattro giorni dedicati al
riposo) di taglio spesso umoristico e con frequenti richiami
all'erotismo bucolico del tempo.
• Per quest'ultimo aspetto, il libro fu tacciato di immoralità o di
scandalo, e fu in molte epoche censurato.
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Giovanni Boccaccio
• Esempio di prosa/lingua ricercata: “Dico adunque che già erano
gli anni della fruttifera incarnazione del Figliuolo di Dio al numero
pervenuti di milletrecentoquarantotto, quando nella egregia città di
Fiorenza, oltre a ogn'altra italica bellissima, pervenne la mortifera
pestilenza: la quale, per operazion de' corpi superiori o per le nostre
inique opere da giusta ira di Dio a nostra correzione mandata sopra i
mortali, alquanti anni davanti nelle parti orientali incominciata, quelle
d'inumerabile quantità de' viventi avendo private, senza ristare d'un
luogo in uno altro continuandosi, verso l'Occidente miserabilmente
s'era ampliata.”(Decameron, Introduzione alla prima giornata).
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Giovanni Boccaccio
Esempio di lingua poco ricercata che si avvicina molto al parlato
(Chichibio e la Gru):
«Signor mio, le gru non hanno se non una coscia e una gamba».
Currado allora turbato disse: «Come diavol non hanno che una coscia
e una gamba? Non vid'io mai più gru che questa?»
«Assai bene potete, messer, vedere che ier sera vi dissi il vero, che le
gru non hanno se non una coscia e un piè, se voi riguardate a quelle
che colà stanno».
(Decameron, VI, 4).
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L’età dell’Umanesimo (XV sec.)
• L’Umanesimo è un movimento ideologico-culturale che afferma la
dignità degli esseri umani. Ebbe inizio nel XV secolo nell'Italia
rinascimentale (il centro maggiore fu Firenze) e si diffuse in tutta
l'Europa contemporanea.
• Esso mira al recupero della cultura classica, romana in particolare:
 esaltazione della civiltà degli antichi
 esaltazione della loro lingua, quindi il latino;
 il volgare fu giudicato uno strumento di comunicazione
insufficiente e primitivo.
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L’età dell’Umanesimo (XV sec.)
• L'Umanesimo spinge a una netta divaricazione negli usi:
 il latino doveva essere dedicato alla cultura, cioè a usi letterari e
paraletterari,
 il volgare doveva essere riservato alle scritture della vita pratica
come le lettere personali, i libri di famiglia, le cronache, i contratti,
ecc.
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L’età dell’Umanesimo (XV sec.)
Leon Battista Alberti
• Leon Battista Alberti (Genova 1404- Roma 1472): prevedeva per il
volgare un uso simile a quello del latino nell’antichità.
• Scrisse intorno al 1442 la prima Grammatica del toscano, basata
non su modelli del fiorentino trecentesco, ma sul fiorentino colto
dell’epoca.
• Il toscano su base fiorentina si dota così ben presto delle
caratteristiche fondamentali che fanno di una parlata una vera e
propria lingua.
• Gli umanisti spingono per una codificazione scritta del volgare.
• Nasce così il primo modello di italiano standard.
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L’età dell’Umanesimo (XV sec.)
Leon Battista Alberti
• La grammatica è l'insieme finito di regole necessarie alla
costruzione di frasi, sintagmi e parole di una determinata lingua
naturale.
• Il termine si riferisce anche allo studio di dette regole.
• Il termine grammatica significa letteralmente "arte (o tecnica) della
scrittura“ da greco grammatiké (sottinteso téchne);
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L’età dell’Umanesimo (XV sec.)
Leon Battista Alberti
• http://it.wikisource.org/wiki/Grammatica_della_lingua_toscana
• ORDINE DELLE LETTERE
i
r
t
d
m
p
q
g
x
z
l
s
b
c
f
v
e
ç
n
o
ch
u
a
gh
e̍
e̓
i
o
ô
• VOCALI
a
u
ę
ę coniunctio
e̍ verbum
e̓ articulus
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L’età dell’Umanesimo (XV sec.)
Leon Battista Alberti
• L’e aperta /ɛ/, in italiano, è un fonema distinto dall’e chiusa /e/: si
pensi a coppie minime come e /e/ (congiunzione) e è /ɛ/ (voce del
verbo essere), légge /e/ (sostantivo, "norma") e lègge /ɛ/ (dal verbo
leggere), pésca /e/ da pescare e pèsca /ɛ/ "frutto“.
• Accento acuto ´: pronuncia chiusa;
• Accento grave `: pronuncia aperta.
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L’età dell’Umanesimo (XV sec.)
Leon Battista Alberti
• Ogni parola e dizione toscana finisce in vocale.
• Le cose in molta parte hanno in lingua toscana que’ medesimi nomi
che in latino.
• Non hanno e’ Toscani fra e’ nomi altro che masculino e femminino.
• E’ neutri latini si fanno masculini.
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L’età dell’Umanesimo (XV sec.)
Leon Battista Alberti
http://it.wikisource.org/wiki/Grammatica_della_lingua_toscana
Masculini che cominciano da consonante:
Singulare: EL cielo
Plurale:
E’ cieli
Masculini che cominciano da vocale
Singulare: LO orizonte
Plurale:
GLI orizonti
E’ nomi masculini che cominciano da s preposta a una consonante
hanno articoli simili a quei che cominciano da vocale, e dicesi: LO
spedo, LO stocco, GLI spedi, e simile.
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L’età dell’Umanesimo (XV sec.)
Leon Battista Alberti
• L'ortografia italiana continua la scelta del sistema fiorentino di
evitare alcune lettere, come la 〈k〉 e la 〈x〉, ben vive nell'uso
medievale e frequentemente impiegate, fino a oggi, nella scrittura di
molti volgari prima e dialetti poi.
• l'uso di scrivere le preposizioni articolate come parole uniche si è
affermato invece alla fine del Cinquecento (quando della ha
cominciato a sostituire de la).
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L’età dell’Umanesimo (XV sec.)
• Quali sono le condizioni affinché una lingua sia considerata
standard?
– la codificazione: cioè, la lingua è dotata di una norma scritta ed
è fatta propria da istituzioni di livello nazionale – ad es. la scuola
– che la tramandono e che assicurano che la norma sia
rispettata;
– il riconosciuto prestigio: costituisce un modello da imitare in
quanto è considerato l’unico corretto;
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L’età dell’Umanesimo (XV sec.)
• Quali sono le condizioni affinché una lingua sia considerata
standard?
– la funzione unificatrice: svolge tale funzione tra parlanti di
varietà diverse, ad es. tra i parlanti di diverse varietà regionali di
italiano che grazie allo standard si sentono membri di una
comunità nazionale.
– la funzione separatrice: l’italiano standard si contrappone ad
altri standard nazionali e così adempie una funzione di simbolo
dell’identità nazionale.
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L’età dell’Umanesimo (XV sec.)
• La promozione a lingua nazionale del toscano su base fiorentina
porta a una diminuzione del prestigio delle altre parlate italiane,
usate invece nelle diverse circostanze della vita quotidiana.
• Le varietà locali per lungo tempo non conoscono fenomeni di
standardizzazione attraverso la codifica di grammatiche/dizionari
appositi e vengono usati quasi esclusivamente a livello orale o per
testi non necessariamente ufficiali.
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L’età dell’Umanesimo (XV sec.)
• Perché proprio il fiorentino?
• Le 'tre corone' (Dante, Petrarca, Boccaccio) hanno gettato le basi
culturali per l’affermazione del toscano come varietà-guida, almeno
per gli usi letterari/alti;
• le vicende economiche, culturali e sociali hanno completato l’opera
portando in primo piano il toscano anche per gli usi pratici della vita
quotidiana, per l’economia, la burocrazia e il diritto;
• Il centro più importante dell’umanesimo rinascimentale italiano fu
sicuramente Firenze.
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Il Rinascimento (XV-XVI sec.)
• Nel ‘500 confrontano principalmente tre posizioni, che sostengono
tre modelli diversi:
– la linea cortigiana e italianista;
– la linea dell’uso del fiorentino vivo;
– la linea del fiorentino letterario trecentesco.
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Il Rinascimento (XV-XVI sec.)
Pietro Bembo
• a) Il modeIlo trecentesco
– Il sostenitore più importante di tale posizione è il cardinale Pietro
Bembo (Venezia 1470- Roma1547) che propugna l'imitazione
del Petrarca per la poesia e del Boccaccio per la prosa (escluse
le parti del Decameron in cui prevalgono le varianti stilistiche più
'basse'), mentre esclude rigorosamente la lingua di Dante.
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Il Rinascimento (XV-XVI sec.)
Vincenzo Colli
• b) La lingua cortigiana
– Vincenzo Colli detto il Calmèta (Chio/Grecia 1460 – Roma
1508), pur accettando la base fiorentina trecentesca (soprattutto
Dante e Petrarca) rimette in gioco anche gli altri volgari italici da
usare prevalentemente al livello delle corti locali.
– Lui stesso collaborò con varie corti italiane come quelle di
Ludovico il Moro (Milano), Cesare Borgia (Romagna/Napoli) e
Ercole Pio (Urbino)
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Il Rinascimento (XV-XVI sec.)
Niccolò Machiavelli
• c) Il fiorentino parlato
– Tra i sostenitori di questa teoria c’è soprattutto Niccolò
Machiavelli (Firenze 1469 – Firenze 1527) che nel Discorso
intorno alla nostra lingua (1524) sostiene che la lingua della
Commedia è genuinamente fiorentina e che il fiorentino
cinquecentesco è la continuazione di quello del Trecento.
– L’aspetto più originale di questa teoria: la centralità della
distinzione fra parlato e scritto;
– Machiavelli mette in rilievo l'importanza del parlato 'popolare' al
quale attinge nelle sue opere.
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Il Rinascimento (XV-XVI sec.)
• Fra le tre teorie appena presentate prevale quella del Bembo, cioè
una concezione aristocratica della lingua che deve essere difesa da
un gruppo di intellettuali.
• Questa scelta bloccherà l'evoluzione della lingua scritta - almeno di
quella letteraria - 'ingessandola' per quasi quattro secoli.
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Il Rinascimento (XV-XVI sec.)
• Tra il 1540 e il 1570 nacquero le prime accademie linguistiche come
L‘Accademia Fiorentina o degli Umidi e L‘Accademia della Crusca.
• Gli Accademici della Crusca lavorarono per distinguere la parte
buona e pura della lingua (la farina) dalla parte cattiva ed impura
(appunto, la crusca).
• Lo stemma dell’Accademia della Crusca è un frullone o buratto
(strumento per setacciare la farina) con il motto petrarchesco Il più
bel fior ne coglie come insegna.
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Il Rinascimento (XV-XVI sec.)
Ludovico Ariosto
• Ludovico Ariosto (Reggio Emilia 1474- Ferrara 1533) sottopose il
suo famoso poema, l'Orlando furioso ad una revisione linguistica
eliminando progressivamente i tratti “padani” per avvicinarsi ancora
di più al fiorentino di Petrarca e di Boccaccio.
“…là veggo Pietro
Bembo, che 'l puro e dolce idioma nostro,
levato fuor del volgare uso tetro,
qual esser dee, ci ha col suo esempio mostro.”
Italiano moderno:
…là vedo Pietro Bembo,
che col suo esempio ci ha mostrato
quale deve essere la nostra dolce e
pura lingua liberata dall'oscuro uso volgare.
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Fiorentino oggi
• http://nonciclopedia.wikia.com/wiki/Dialetto_fiorentino
• Mi'a tutti sanno parlà i' fiorentino ammòdo. Fiurassi a scrì'ilo!
Parecchi penzano 'he ci si mangi sempre la C, e 'nvece 'un è mi'a
vero sempre. E' si mangia solo cande gl'è 'na C sola, e solo se
didre'o o se davanti c'ha du' vo'ali (ecco presempio: vo'ali).
• Eppoi nessuno s'è mai ammosca'o che a vorte e' ci si mangia anche
la T, che gl'è anche dimorto ma dimorto più sapori'a (ecco
pellappunto: sapori'a).
• Inortre bisogna abbadà ai' fatto che ni' fiorentino spesso la T la si
pronuncia co' 'n sòno simile ai' TH 'ngrese (lingua fra'denti), cande
la T la si tro'a 'n mezzo alle parole, presempio: gelatho, pathethi'o
ecc.
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Breve storia della lingua italiana III