CENTRI DIURNI E DISABILITA’:
PENSARE FUTURO”
San Secondo di Pinerolo - 21 e 22 Novembre 2013
Rappresentanti del gruppo di studio
Roberta Crippa – Cooperativa “P.G. Frassati”, responsabile d’Area complessa
Guido Bodda - Cooperativa “Il Sogno di una cosa” , socio “La Bottega del possibile”
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IL GRUPPO DI STUDIO
Che cos’è oggi il centro diurno per disabili?
E’ opportuno pensare che le difficoltà che incontriamo
nella quotidianità siano dovute, oltre che alla crisi
economica, ad una crisi della “progettualità”?
Quale futuro ci attende?
Quali sono le strategie più interessanti ed innovative per
far fronte alla crisi e per continuare a far evolvere il
progetto del Centro diurno?
La relazione che segue è il risultato di un gruppo di lavoro
avviato oltre un anno fa da LA BOTTEGA DEL
POSSIBILE, a partire da queste domande.
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IL GRUPPO DI STUDIO
Le realtà contattate sono state circa una trentina.
Un gruppo ristretto si è trovato, con cadenza mensile, per circa
un anno e mezzo, allo scopo di raccogliere ed elaborare il
materiale pervenuto e coordinare il lavoro.
Inoltre il gruppo ha avviato tre ulteriori impegni:
• mantenere il collegamento con le realtà regionali oggi presenti
qui, proponendo loro l’utilizzo di alcuni strumenti di analisi della
loro realtà;
• raccogliere la situazione della normativa nazionale e regionale
sui C.D. (che trovate in cartellina);
• aggiornare la bibliografia sull’argomento (in cartellina).
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IL GRUPPO DI STUDIO
Il gruppo è costituito da operatori di servizi diversi
appartenenti al Pubblico e al Privato Sociale e collocati in
territori differenti.
Abbiamo lavorato su due ambiti, avvalendosi anche della
collaborazione del Coordinamento C.D. della Cintura di
Torino:
1. utilizzando la ‘griglia delle criticità’ si sono individuati gli
aspetti ‘deboli’ del servizio evidenziando, dove possibile, le
cause di tale situazione;
2. utilizzando la ‘griglia delle esperienze innovative e
delle buone prassi’ si sono censite situazioni
particolarmente significative.
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IL GRUPPO DI STUDIO
Queste sono le tematiche sulle quali abbiamo
concentrato la nostra attenzione
1.Il Mandato
2.Le Normative
3.I Modelli
4.Fare sistema
5.Progetto
6.Famiglie al centro
7.L’Operatore sociale
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1. IL MANDATO
Qual è il mandato istituzionale che il Centro Diurno ha
oggi?
Qual è il mandato “percepito” e messo in atto dagli
operatori?
All’interno della documentazione raccolta questo punto
non viene analizzato in maniera esplicita, emerge fra le
righe nei racconti di ciò che si fa, nella quotidianità della
prassi di lavoro.
Proviamo a ricavare la sua definizione a due livelli:
A.Cosa ci dice in proposito la “ riflessione teorica”;
B.Come ci sembra funzioni nella prassi.
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IL MANDATO
A. Cosa ci dice in proposito la “riflessione teorica”
Spunti tratti da: “Produrre servizi”, F.Olivetti Manoukian,
Il Mulino 1998.
•
I Servizi operano sulla base di un mandato, un
incarico ad agire per conto dello Stato o dell'Ente
Locale, i quali a loro volta hanno avuto un mandato di
governo da parte dei cittadini; si potrebbe dire un
incarico generico di occuparsi di un'area di
problemi;
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IL MANDATO
A. Cosa ci dice in proposito la “riflessione teorica”
•
E’ Difficile tenere insieme mandato ampio e
contenuti specifici. Il mandato ha carattere
vincolante per i suoi aspetti formali ma al tempo
stesso per essere attuato va interpretato e può essere
interpretato variamente grazie alla fiducia che il
mandante accorda a chi affida, "dà in mano“;
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IL MANDATO
A. Cosa ci dice in proposito la “riflessione teorica”
•
I Servizi si trovano spesso costretti tra l'imperativo di
rispondere al mandato e l'impossibilità di disporre di
risorse adeguate per un'utenza che aumenta nel numero
e che pone domande crescenti;
•
Se riescono a non essere eccessivamente vittime di
questo meccanismo, i servizi possono investire nel
ricercare: ricercare quello che è meno visibile, sia
rispetto ai problemi che rispetto alle risorse per affrontarli.
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IL MANDATO
B. Nella prassi
• Per quanto riguarda le cooperative sociali, il mandato
coincide con il capitolato d’appalto;
• Molto dipende dallo “stile” e dalle priorità dei diversi
Comuni/Consorzi/ASL;
• Un elemento innovativo comune è certamente la
proiezione del centro diurno verso l’esterno, verso il
contesto nel quale è collocato. L’investimento verso la
costruzione di una cultura territoriale;
• Il centro diurno è strumento principe per il sostegno alla
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domiciliarità.
2. LE NORMATIVE
Rispetto al rapporto con le attuali normative sui C.D.,
il gruppo ha cercato di riflettere su:
• quanto queste favoriscono o al contrario inibiscono lo
sviluppo di buone prassi e di iniziative innovative;
• in che modo è possibile pensare che le normative future
possano recepire ed integrare al loro interno gli spunti
derivanti dalle buone prassi.
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LE NORMATIVE
E’ difficile fare un confronto tra le varie regioni, l’unica
normativa nazionale (DM n.308, maggio 2001), in
applicazione della LN 328/2000, è molto generica e
rimanda alle regole regionali.
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LE NORMATIVE
Negli anni più recenti le regole imposte dalle normative
sui LEA e dagli accreditamenti rischiano di irrigidire il
lavoro degli operatori.
In diversi contributi emerge come il minutaggio, presente
ad esempio nella normativa del Piemonte (D.G.R. 230/97),
sia di ostacolo alla creatività progettuale e alla
necessaria flessibilità.
Spesso non è considerato oppure è scarso il tempo per le
riunioni, per la supervisione, per la progettazione.
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LE NORMATIVE
Come far fronte all'aumento delle richieste (ICF,
sicurezza, qualità, privacy, dell’HACCP, etc) avendo
sempre lo stesso tempo a disposizione o anche ridotto in
alcuni casi?
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LE NORMATIVE
Infine un discorso a parte, ma che incide fortemente
sull’organizzazione, ci pare essere quello della temporalità
limitata della prospettiva di lavoro delle cooperative per
servizi in gara d’appalto (prospettiva di 1, 2, 3, 5 anni) che,
pur con la supervisione dell’ente pubblico, non permettono
una progettualità a lungo termine.
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3. “ MODELLI”
Andrea Canevaro giustamente rileva:
“La dizione “centro diurno” non ha una sola
interpretazione per tutto il territorio della Repubblica. Ci
si può domandare se questo è un limite o una
ricchezza. Sosteniamo che può essere una ricchezza
nella misura in cui agisce ed interagisce con la
comunità territoriale e gli altri attori della vita sociale,
rifiutando il modello di un ambiente strutturale e
culturale chiuso ed autocentrato, a favore di una
operatività inclusiva ed integrata.”
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“ MODELLI”
Vorremmo riflettere con voi, più che sulle diverse
tipologie di Centro diurno presenti oggi, sulle diverse
“direzioni progettuali” verso le quale ci sembra si stia
andando, prendiamo in considerazione tre “Variabili”:
1.Gravità della disabilità;
2.Età dell’utenza;
3.Collocazione logistica del centro.
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“ MODELLI”
1. Gravità della disabilità
•
I nuovi inserimenti, in tempi di crisi, nei centri diurni sono
prevalentemente di persone con disabilità grave o gravissima.
Viene evidenziata la necessità di una formazione specifica e
di un rapporto educativo adeguato;
•
Sono soprattutto i cosiddetti “servizi leggeri” e gli interventi
“collaterali “ ad aver risentito della crisi;
•
l‘ ”eterogeneità” dell'utenza (rispetto alla gravità e alla
tipologia della disabilità) è in gran parte dei casi la norma. In
alcuni casi tale eterogeneità viene segnalata come un
problema, in altri come risorsa; per molti ciò dipende da
quanto sia grande questa eterogeneità, dalla “compatibilità” e
dalle risorse messe in campo.
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“ MODELLI”
2.
Età dell’Utenza
•Anche in questo caso l’eterogeneità è la norma,
all’interno dei centri diurni di solito ci sono persone con
età e bisogni molto diversi;
•Occorrerebbe evitare che si entri in un centro dopo
la scuola e si esca all'età della pensione.
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“ MODELLI”
3. Collocazione logistica del centro
•
In linea generale, i centri diurni collocati in zone
"centrali" sono facilitati rispetto al lavoro di
integrazione
con
il
territorio
e
di
socializzazione;
•
I centri che hanno nelle immediate vicinanze
una struttura residenziale a loro collegata
invece sono avvantaggiati rispetto alla possibilità
di lavorare adeguatamente e in tempo per il
progetto di vita degli ospiti.
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“ MODELLI”
ALCUNI ESEMPI: SERVIZI DESTINATI ESCLUSIVAMENTE AD
UTENZA CON DISABILITÀ GRAVE/GRAVISSIMA.
Di solito ospitano al massimo 10 utenti ed hanno un rapporto
educativo un po’ più alto (anche un rapporto 1:2).
VANTAGGI
SVANTAGGI
RAPPORTO EDUCATIVO
FAVOREVOLE
RISCHIO “GHETTIZZAZIONE”
RISCHIO ULTERIORE “CRONICIZZAZIONE” DELL’UTENZA
UTENZA CON CARATTERISTICHE
OMOGENEE
POSIBILITA’ DI SVILUPPARE
PROGETTUALITA’ SPECIFICA
RISCHIO SCARSA CREATIVITA’ PROGETTUALE
DIFFICOLTA’ A SVILUPPARE PROGETTI FINALIZZATI
ALL’INTEGRAZIONE, IN PARTICOLARE CON ATTIVITA’
INTERNE AL SERVIZIO
ALTO STRESS DEGLI OPERATORI CON CONSGUENTE
INCREMENTO BURN OUT
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“ MODELLI”
ALCUNI ESEMPI: CENTRI DIURNI DIFFERENZIATI IN BASE ALL’ETA’:
L’unico caso (almeno in Piemonte) da noi conosciuto di centro diurno che
da “mandato” ospita persone di una specifica fascia di età è quello della
RAF diurna di Via Nizza 151 di Torino, destinata ad ospiti disabili
ultraquarantenni.
VANTAGGI
MAGGIOR OMOGENEITA’ DI BISOGNI, RITMI DI
VITA E ABITUDINI
MAGGIOR IDENTIFICAZIONE DEGLI OSPITI CON IL
GRUPPO DI PARI
SVANTAGGI
RISCHIO, SE NON SUSSISTE UNA
PROGETTUALITA’ ADEGUATA, DI
PERDERE IL PUNTO DI VISTA “EVOLUTIVO”
SULLA PERSONA
POSSIBILITA SVILUPPO PROGETTUALITA’
SPECIFICA, MAGGIORMENTE ALLA
SOCIALIZZAZIONE E ALL’INTEGRAZIONE CON IL
TERRITORIO
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“ MODELLI”
ALCUNI ESEMPI: CENTRI DIURNI ADIACENTI A STRUTTURE
RESIDENZIALI
E’ un “modello” che si sta affermando nell’ultimo periodo.
VANTAGGI
POSSIBILITA’ SINERGIE PROGETTUALI E
OTTIMIZZAZIONE DELLE RISORSE
POSSIBILITA’ DI MAGGIOR APERTURA DEGLI
SPAZI DEL CENTRO DIURNO AL TERRITORIO
POSSIBILITA’ DI PRESA IN CARICO DELLA
PERSONA IN MANIERA GLOBALE
POSSIBILITA’ DI LAVORARE PER IL
PROGETTO DI VITA DELLA PERSONA IN
MANIERA PIU’ ORGANICA E PROGRAMMATA,
AD ESEMPIO ATTRAVERSO IL SERVIZIO DI
“SOLLIEVO”
SVANTAGGI
RISCHIO DI MAGGIOR “ISTITUZIONALIZZAZIONE”
RISCHIO DI
UNA REALTA’ CHIUSA IN SE STESSA
RISCHIO STIGMATIZZAZIONE DA PARTE DEL
TERRITORIO
RISCHIO DELEGA DELLA RESPONSABILITA’,
RISPETTO AL PROGETTO DI VITA DEGLI OSPITI,
DA PARTE DEI SERVIZI SOCIALI
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“ MODELLI”
ALCUNI ESEMPI: CENTRI DIURNI MOLTO INTEGRATI CON IL
TERRITORIO. Ovviamente è un obiettivo comune a tutti i centri diurni
quello di favorire l’integrazione con il territorio; prendiamo in esame quelle
realtà dove l’aspetto dell’integrazione con il territorio è preponderante e il
servizio ne è condizionato anche “strutturalmente”.
VANTAGGI
CENTRALITA’ DELL’INTEGRAZIONE
SVILUPPO DI UN RUOLO ATTIVO DELLE PERSONE
DISABILI ALL’INTERNO DEL TERRITORIO
PROMOZIONE DI UN NUOVO MODO DI VEDERE LE
PERSONE DISABILI NEL TERRITORIO
MAGGIORE INFORMALITA’ E CREATIVITA’
PROGETTUALE
SVANTAGGI
DIFFICOLTA’ AD ADERIRE AGLI SANDARD
NORMATIVI
DIPENDENZA PROGETTUALE DALLA
MOTIVAZIONE DEGLI OPERATORI E (IN ALCUNI
CASI) DAL VOLONTARIATO
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4. FARE SISTEMA
Ormai sembra assodato che “fare sistema” è uno dei modi
più efficace per i C.D. per perseguire obiettivi di qualità e
contenere gli effetti della crisi.
“Fare sistema” significa attribuire centralità alle relazioni
che si instaurano tra diversi partner, decisi ad unirsi per
incrementare il valore delle proprie attività.
La scommessa è imparare a “far sistema” senza che questa
unione (o riorganizzazione) comporti la perdita delle
caratteristiche peculiari che ciascun centro diurno ha
maturato negli anni, costruendo la sua storia e la sua identità.
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FARE SISTEMA
Abbiamo individuato alcuni modelli di “far sistema”.
Modello 1
LONGITUDINALE
•Cabina di regia fra diversi servizi che seguono la persona nelle
diverse fasi di vita;
•gruppi di lavoro formati da operatori di diversi servizi che vanno a
comporre il progetto individuale, coordinamento tra servizi diversi;
•modello facilitato dall’essere unico gestore (cooperativa,
consorzio, ente);
•difficile la concertazione e la tenuta del progetto nel tempo.
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FARE SISTEMA
Modello 2
CARPE DIEM
•Modello più diffuso, prevede scambi di varia natura col territorio;
•si realizzano attività svariate, sia all’interno del centro che sul
territorio, gestite o in collaborazione con altre realtà (laboratori,
mercati, scuole, biblioteche, Unitre, etc.) spesso già sensibilizzate,
disponibili e recettive;
•spesso sono attività a costo zero, frequente l’apporto di volontari;
•ricchezza è l’accessibilità e la creatività che vengono messe in
campo, adottando una funzionalità “carpe diem”;
•limite è che difficilmente sono programmabili a lungo tempo, né
possono rappresentare funzione di sistema.
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FARE SISTEMA
Modello 3
CENTRO SATELLITARE
•Si compone di servizi di diversa tipologia, diurni e residenziali, che
funzionano in stretta sinergia;
•persone possono transitare tra i diversi servizi, anche con
modalità temporanee (sollievo)
•facilitato dall’essere gestiti da un’unica cooperativa
•il sollievo diventa intervento di collegamento tra servizi diurni e
residenziali e permette di lavorare nel qui ed ora sul dopo di noi;
•rischio di chiusura in un microcosmo già articolato, che va
bilanciato da un consistente lavoro di rete con il territorio;
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FARE SISTEMA
Modello 4
CENTRO POLIVALENTE
•C.D. collocato all’interno di un centro polivalente o centro servizi;
•la collocazione diventa fattore favorente la rete e gli scambi, si
creano collaborazioni organiche con altre realtà associative, anche
non riconducibili al socio-assistenziale-educativo;
•vantaggio è la possibilità di fornire, oltre ai servizi previsti dagli
standard regionali, anche offerte aggiuntive erogate da altri o dal
C.D. stesso con l’apporto delle altre realtà presenti;
•il C.D. perde l’aspetto stigmatizzante e diventa “vetrina di
cittadinanza”;
•faticoso perché necessita di condivisione di linguaggio comune;
•può risultare difficoltosa la regia
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FARE SISTEMA
Per “far sistema” occorrono alcune condizioni:
•un comune orientamento al creare sistema fra sistemi;
•una regia pubblica, che garantisca progettazione e gestione nel
lungo periodo;
•la collocazione prossimale è strategica;
•guardare non solo ai benefici per l’utenza: la rete fa bene anche
agli operatori;
•agire non solo fra le risorse, ma anche con le risorse in un’ottica
bidirezionale;
•coinvolgere le realtà già presenti e riconoscibili, far crescere
quelle già sensibilizzate e promuovere nuove forme di
partecipazione e coordinamento anche con attori che poco o nulla
sanno di disabilità (es: ricerca effettuata dalle tirocinanti di Servizio Sociale e
di Psicologia nei confronti di soggetti "non sensibili").
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5. IL PROGETTO
Innanzitutto per progetto intendiamo “Progetto del servizio”,
cornice contestuale in cui si inserisce l’operatività quotidiana.
MISSION
Il Centro diurno accoglie utenti ultra‐sedicenni ed offre
interventi assistenziali, educativi, riabilitativi, organizza
laboratori ed attività di vario genere, tenendo conto delle
caratteristiche e dei tempi di ciascuno.
La frequenza del servizio diurno, basata sul progetto
individuale, è parte integrante degli interventi di supporto
attivati al fine di garantire un sostegno alla persona disabile ed
al proprio nucleo famigliare. Intende occuparsi e prendere in
cura l’ospite integrando tutti gli aspetti dell’evoluzione
psicofisica e raccogliendo i bisogni espressi dagli ospiti e dalle
rispettive famiglie, coerentemente con il proprio mandato e le
proprie possibilità organizzative.
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IL PROGETTO
VISION
Il progetto del centro si proietta su di uno scenario futuro a
largo respiro, rispecchiando valori, ideali ed aspirazioni,
che prova ad immaginare, stabilendo concretamente
attraverso quali azioni, nuove fattezze del Centro Diurno
all’interno di un tessuto sociale capace di promuovere
nuove forme di partecipazione e di collegamento nuove
culture di imprenditoria sociale.
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IL PROGETTO
IL PROGETTO EDUCATIVO INDIVIDUALE (PEI)
VISION
MISSION
OSPITI
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IL PEI
•Sintetizza osservazioni e informazioni raccolte dal contesto di
vita dell’ospite, in termini clinici ed esperienziali. Per poi elaborare
una programmazione di attività, proposte ed interventi, in linea
con il mandato e le possibilità operative della struttura.
•Si pone l’attenzione sulle peculiarità di ciascun progetto perché
costruito sul quel specifico soggetto, per cui si possano
individuare specifici obiettivi e metodi, espressione di priorità
individuate, che contenga gli strumenti e indicatori di verifica, che
permetta di riprogettare l’intervento nel tempo.
•E’ un patto, una dichiarazione di intenti, una forma di
contratto che lega l’operato del centro al soggetto e alla sua
famiglia.
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IL PEI E IL PROGETTO DI VITA
Per progetto di vita si intende una visione ampia delle
prospettive di vita, espressione di bisogni e tendenze di
autorealizzazione e individuazione di un proprio posto
nel mondo.
In tale senso l’inserimento all’interno del centro diurno
rappresenterebbe, se pur una parte significativa di esso
per tutto ciò che tale esperienza veicola, sicuramente
non l’unica degna di interesse.
Nelle slides successive riportiamo l’analisi delle criticità
e delle buone prassi, estrapolate dal materiale
perventutoci.
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IL PEI E IL PROGETTO DI VITA
Criticità:
• Ripiegamento
assistenziali;
in
maniera
esclusiva
sugli
aspetti
• Centro diurno come unico intervento attivato, soprattutto
in casi di estrema gravità della disabilità; riduzione di
possibilità di accesso per nuovi utenti;
• Chi fa la regia?
• Difficoltà ad avere un unico linguaggio nel dialogo tra
professionalità diverse;
• Difficoltà nelle fasi di passaggio, da scuola a centro
diurno, tra centro e centro, dal centro ad una realtà
residenziale.
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IL PEI E IL PROGETTO DI VITA
Buone prassi:
•Mantenere viva l'ottica del “prendersi cura”. Il concetto di cura
guarda al soggetto alla sua totalità ed integrità, raccogliendo la sfida
di interrogarsi sulle aspirazioni e sulla presenza nel mondo anche
con soggetti gravemente disabili. Come fare a promuovere
l'autonomia e l'autodeterminazione delle persone disabili? Come
progettare nuove forme di “vita adulta”.
•A detta di molti l’ ICF (Classificazione Internazionale del
Funzionamento della Disabilità e della Salute) è un possibile
strumento di comunicazione interdisciplinare, l’utilizzo dell’ICF
rende più chiara la comunicazione fra i soggetti coinvolti e facilita la
definizione di un progetto individualizzato che identifichi gli obiettivi
conseguibili e le risorse certe e attivabili” ma ad oggi nelle mani di
pochi.
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IL PEI E IL PROGETTO DI VITA
Buone prassi:
•Coprogettazione con gli ospiti
•Continuità progettuale tra diurno e residenziale (come
citato in precedenza);
•Continuità progettuale tra diurni diversi;
•Continuità progettuale tra scuole superiori e centro
diurno;
•Associazioni che utilizzano il contributo degli ospiti del
centro per le attività culturali e di promozione della
cittadinanza.
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6.LE FAMIGLIE AL CENTRO
FAMIGLIA
VISION
MISSION
OSPITI
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6.LE FAMIGLIE AL CENTRO
Il modo di descrivere il ruolo che i famigliari rivestono
all’interno delle esperienze del centro, quanto incidono e
quanto sono in grado di proiettarsi progettualmente al
futuro può essere riassunto in polarità di significati, spettri
all’interno dei quali si collocano in maniera più prossima a
un polo più che all’altro, le diverse realtà che si sono
presentate.
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LE FAMIGLIE AL CENTRO
BISOGNO FAMIGLIA
FAMIGLIE PARTECIPATIVE
FAMIGLIE ORGANIZZATE
BUONI RAPPORTI
BISOGNO UTENZA
FAMIGLIE DELEGANTI
FAMIGLIE NON ORGANIZZATE
CATTIVI RAPPORTI
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LE FAMIGLIE AL CENTRO
COSA SENTE E CERCA L’OPERATORE
Bisogno di tempo differenziato da dedicare ai progetti per
condividerli (qualcuno ne ha più bisogno), minore
burocratizzazione dei tempi e delle comunicazioni;
Che il rapporto sia mediato e condiviso con gli operatori
del territorio (condivisione delle responsabilità e dei
percorsi di cura);
Bisogno di chiedere l’intervento di un esperto (psicologo)
per riflettere su temi caldi.
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LE FAMIGLIE AL CENTRO
BUONE PRASSI:
• Promuovere
la partecipazione, coprogettazione,
costituzione di organi di rappresentanza;
• Compartecipazione dei famigliari alla gestione degli
spazi operativi;
• Formazione ai care giver, formazione tra pari.
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LE FAMIGLIE AL CENTRO
DOPO DI NOI:
•Il pensiero viene rimandato, quasi rimosso;
•Le famiglie si organizzano in gruppi di auto- mutuo
aiuto per affrontare i temi e ragionare sugli scenari
(concettuale più che operativo);
•Raccordo con le strutture residenziali che
operativamente sono già interconnesse con i servizi
diurni, strada più facilmente percorribile per le
cooperative che gestiscono entrambe le realtà.
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7.L’OPERATORE SOCIALE
FAMIGLIA
VISION
OSPITI
MISSION
GLI
OPERATORI
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L’OPERATORE SOCIALE
CHI E’
•Nella maggior parte dei casi donna;
•Sta invecchiando, con limitazioni lavorative, non si muove
attraverso i diversi servizi;
•Vi sono differenze anagrafiche con l’utenza;
•Vi sono differenze formative ed anagrafiche tra i membri
dell’equipe;
•Si dota di strumenti di lavoro ma è in difficoltà a condividere con i
colleghi metodologia comune e capacità attuative;
•Precario a scavallo su diversi servizi per completare le ore;
•Ha paura del futuro, talvolta è scontento ma non persegue il
cambiamento per ragioni economiche.
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L’OPERATORE SOCIALE
COSA FA
•Collabora con operatori territoriali e famiglie;
•Cura la comunicazione, fa riunioni, progetta e verifica, ma il
tempo dedicato è sempre minore;
•Adempie alle proprie mansioni tradizionali, ma si fa carico anche
di quelle attività che storicamente erano specialisticheconsulenziali;
•Si forma su propria iniziativa (fa impresa su di sé), anche se in
maniera sempre più ridotta;
•Attento a non fare straordinario;
•Passa da una mansione all’altra afflitto dal minutaggio;
•Organizza eventi, a fronte della crisi raccoglie denaro per cause
significative alla vita del centro.
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L’OPERATORE SOCIALE
COME SI SENTE
•Usato e sfruttato e abbandonato dai servizi;
•Misconosciuto come patner nella rete dei servizi;
•Poco visibile all’esterno a fronte di un aumento dei piani operativi;
•Deluso e sconfitto, a rischio di usura , di stress e perdita di
creatività;
•Schiacciato dalla burocrazia;
•Appesantito dalla formazione che non si armonizza con i turni di
lavoro;
•Spaventato dalla responsabilità (omessa custodia);
•Capri espiatori delle rabbie e frustrazioni dei genitori: poco
spontaneo e ambivalente nei confronti dei famigliari.
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L’OPERATORE SOCIALE
Educatore e OSS, spesso con poca distinzione di contenuti
e metodi di lavoro (lo stesso mansionario), appiattito o
flessibile?
GLI OSS hanno un carico
assistenziale molto alto, ma
al contempo la propensione
all’utilizzo
dello
spazio
”laboratorio” chiede
di
mettere in campo altre
capacità tecniche.
Lavorare con la disabilità
all’interno dello spazio del
centro chiede “sensibilità
educative”.
GLI EDUCATORI devono
dare coerenza e integrare vari
spazi di azione all’interno del
quotidiano che tenga conto
della
progettazione,
dare
visibilità alla propria presenza
tra
minutaggi,
che
non
contemplano lo spazio di
pensiero e riflessione, e il loro”
impiego”
in
attività
di
assistenza e cura degli spazi.
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L’OPERATORE SOCIALE
ASPETTI POSITIVI
ASPETTI NEGATIVI
Motivante dal punto di
vista professionale,
versatilità e adattamento;
Fatica, burn-out;
Rompe le stereotipie
(rispecchiamento con
l’utenza).
Lavoro assistenziale
superficiale;
progettazione e realizzazione
superficiale;
Conflitto tra figure professionali.
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IL NUOVO OPERATORE
“MULTIFUNZIONALE e IMPRENDITIVO”
• Si muove sul territorio per cercare nuove collaborazioni;
• Promuove iniziativi sulla base delle proprie esperienze
personali;
• Investe le sue competenze per orientare il servizio su
proposte;
• Si prende la responsabilità di immettere risorse interne a
fronte dello scarseggiare di quelle istituzionali.
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IL NUOVO OPERATORE
“MULTIFUNZIONALE e IMPRENDITIVO”
ASPETTI POSITIVI
ASPETTI NEGATIVI
Mette qualcosa di sé, si
riconosce in quello che fa;
E’ sfumato, senza identità;
Investe su un suo sapere e
produce ricchezza (in un
sistema crea qualcosa che
non c’era).
Sfruttato (si appoggia su base
volontaria) e bruciato dalle
continue richieste;
Personalizza il servizio (senza
di lui l’attività non va avanti?).
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NOTA FINALE
All’inizio del nostro percorso come gruppo di lavoro eravamo molto
titubanti e temevamo di doverci rassegnare al classico “muro del
pianto”. I contributi raccolti in questi mesi sintetizzati nella relazione
presentata oggi testimoniano invece che l’ideale originale del Centro
diurno è ancora vivo. Dobbiamo però, a nostro avviso:
•vigilare per poter continuare ad offrire un servizio così importante,
mantenendolo al passo con i tempi;
•condividere le nostre esperienze, per utili ed arricchenti confronti fra
realtà diverse;
•coinvolgere gli operatori di contesti a noi “vicini” (scuola, sanità ..)
e le realtà che non hanno direttamente a che fare con il comparto
sociale o con la disabilità.
GRAZIE PER L’ATTENZIONE
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Centri diurni e disabilità: pensare futuro