CENTRI DIURNI E DISABILITA’: PENSARE FUTURO” San Secondo di Pinerolo - 21 e 22 Novembre 2013 Rappresentanti del gruppo di studio Roberta Crippa – Cooperativa “P.G. Frassati”, responsabile d’Area complessa Guido Bodda - Cooperativa “Il Sogno di una cosa” , socio “La Bottega del possibile” 1 IL GRUPPO DI STUDIO Che cos’è oggi il centro diurno per disabili? E’ opportuno pensare che le difficoltà che incontriamo nella quotidianità siano dovute, oltre che alla crisi economica, ad una crisi della “progettualità”? Quale futuro ci attende? Quali sono le strategie più interessanti ed innovative per far fronte alla crisi e per continuare a far evolvere il progetto del Centro diurno? La relazione che segue è il risultato di un gruppo di lavoro avviato oltre un anno fa da LA BOTTEGA DEL POSSIBILE, a partire da queste domande. 2 IL GRUPPO DI STUDIO Le realtà contattate sono state circa una trentina. Un gruppo ristretto si è trovato, con cadenza mensile, per circa un anno e mezzo, allo scopo di raccogliere ed elaborare il materiale pervenuto e coordinare il lavoro. Inoltre il gruppo ha avviato tre ulteriori impegni: • mantenere il collegamento con le realtà regionali oggi presenti qui, proponendo loro l’utilizzo di alcuni strumenti di analisi della loro realtà; • raccogliere la situazione della normativa nazionale e regionale sui C.D. (che trovate in cartellina); • aggiornare la bibliografia sull’argomento (in cartellina). 3 IL GRUPPO DI STUDIO Il gruppo è costituito da operatori di servizi diversi appartenenti al Pubblico e al Privato Sociale e collocati in territori differenti. Abbiamo lavorato su due ambiti, avvalendosi anche della collaborazione del Coordinamento C.D. della Cintura di Torino: 1. utilizzando la ‘griglia delle criticità’ si sono individuati gli aspetti ‘deboli’ del servizio evidenziando, dove possibile, le cause di tale situazione; 2. utilizzando la ‘griglia delle esperienze innovative e delle buone prassi’ si sono censite situazioni particolarmente significative. 4 IL GRUPPO DI STUDIO Queste sono le tematiche sulle quali abbiamo concentrato la nostra attenzione 1.Il Mandato 2.Le Normative 3.I Modelli 4.Fare sistema 5.Progetto 6.Famiglie al centro 7.L’Operatore sociale 5 1. IL MANDATO Qual è il mandato istituzionale che il Centro Diurno ha oggi? Qual è il mandato “percepito” e messo in atto dagli operatori? All’interno della documentazione raccolta questo punto non viene analizzato in maniera esplicita, emerge fra le righe nei racconti di ciò che si fa, nella quotidianità della prassi di lavoro. Proviamo a ricavare la sua definizione a due livelli: A.Cosa ci dice in proposito la “ riflessione teorica”; B.Come ci sembra funzioni nella prassi. 6 IL MANDATO A. Cosa ci dice in proposito la “riflessione teorica” Spunti tratti da: “Produrre servizi”, F.Olivetti Manoukian, Il Mulino 1998. • I Servizi operano sulla base di un mandato, un incarico ad agire per conto dello Stato o dell'Ente Locale, i quali a loro volta hanno avuto un mandato di governo da parte dei cittadini; si potrebbe dire un incarico generico di occuparsi di un'area di problemi; 7 IL MANDATO A. Cosa ci dice in proposito la “riflessione teorica” • E’ Difficile tenere insieme mandato ampio e contenuti specifici. Il mandato ha carattere vincolante per i suoi aspetti formali ma al tempo stesso per essere attuato va interpretato e può essere interpretato variamente grazie alla fiducia che il mandante accorda a chi affida, "dà in mano“; 8 IL MANDATO A. Cosa ci dice in proposito la “riflessione teorica” • I Servizi si trovano spesso costretti tra l'imperativo di rispondere al mandato e l'impossibilità di disporre di risorse adeguate per un'utenza che aumenta nel numero e che pone domande crescenti; • Se riescono a non essere eccessivamente vittime di questo meccanismo, i servizi possono investire nel ricercare: ricercare quello che è meno visibile, sia rispetto ai problemi che rispetto alle risorse per affrontarli. 9 IL MANDATO B. Nella prassi • Per quanto riguarda le cooperative sociali, il mandato coincide con il capitolato d’appalto; • Molto dipende dallo “stile” e dalle priorità dei diversi Comuni/Consorzi/ASL; • Un elemento innovativo comune è certamente la proiezione del centro diurno verso l’esterno, verso il contesto nel quale è collocato. L’investimento verso la costruzione di una cultura territoriale; • Il centro diurno è strumento principe per il sostegno alla 10 domiciliarità. 2. LE NORMATIVE Rispetto al rapporto con le attuali normative sui C.D., il gruppo ha cercato di riflettere su: • quanto queste favoriscono o al contrario inibiscono lo sviluppo di buone prassi e di iniziative innovative; • in che modo è possibile pensare che le normative future possano recepire ed integrare al loro interno gli spunti derivanti dalle buone prassi. 11 LE NORMATIVE E’ difficile fare un confronto tra le varie regioni, l’unica normativa nazionale (DM n.308, maggio 2001), in applicazione della LN 328/2000, è molto generica e rimanda alle regole regionali. 12 LE NORMATIVE Negli anni più recenti le regole imposte dalle normative sui LEA e dagli accreditamenti rischiano di irrigidire il lavoro degli operatori. In diversi contributi emerge come il minutaggio, presente ad esempio nella normativa del Piemonte (D.G.R. 230/97), sia di ostacolo alla creatività progettuale e alla necessaria flessibilità. Spesso non è considerato oppure è scarso il tempo per le riunioni, per la supervisione, per la progettazione. 13 LE NORMATIVE Come far fronte all'aumento delle richieste (ICF, sicurezza, qualità, privacy, dell’HACCP, etc) avendo sempre lo stesso tempo a disposizione o anche ridotto in alcuni casi? 14 LE NORMATIVE Infine un discorso a parte, ma che incide fortemente sull’organizzazione, ci pare essere quello della temporalità limitata della prospettiva di lavoro delle cooperative per servizi in gara d’appalto (prospettiva di 1, 2, 3, 5 anni) che, pur con la supervisione dell’ente pubblico, non permettono una progettualità a lungo termine. 15 3. “ MODELLI” Andrea Canevaro giustamente rileva: “La dizione “centro diurno” non ha una sola interpretazione per tutto il territorio della Repubblica. Ci si può domandare se questo è un limite o una ricchezza. Sosteniamo che può essere una ricchezza nella misura in cui agisce ed interagisce con la comunità territoriale e gli altri attori della vita sociale, rifiutando il modello di un ambiente strutturale e culturale chiuso ed autocentrato, a favore di una operatività inclusiva ed integrata.” 16 “ MODELLI” Vorremmo riflettere con voi, più che sulle diverse tipologie di Centro diurno presenti oggi, sulle diverse “direzioni progettuali” verso le quale ci sembra si stia andando, prendiamo in considerazione tre “Variabili”: 1.Gravità della disabilità; 2.Età dell’utenza; 3.Collocazione logistica del centro. 17 “ MODELLI” 1. Gravità della disabilità • I nuovi inserimenti, in tempi di crisi, nei centri diurni sono prevalentemente di persone con disabilità grave o gravissima. Viene evidenziata la necessità di una formazione specifica e di un rapporto educativo adeguato; • Sono soprattutto i cosiddetti “servizi leggeri” e gli interventi “collaterali “ ad aver risentito della crisi; • l‘ ”eterogeneità” dell'utenza (rispetto alla gravità e alla tipologia della disabilità) è in gran parte dei casi la norma. In alcuni casi tale eterogeneità viene segnalata come un problema, in altri come risorsa; per molti ciò dipende da quanto sia grande questa eterogeneità, dalla “compatibilità” e dalle risorse messe in campo. 18 “ MODELLI” 2. Età dell’Utenza •Anche in questo caso l’eterogeneità è la norma, all’interno dei centri diurni di solito ci sono persone con età e bisogni molto diversi; •Occorrerebbe evitare che si entri in un centro dopo la scuola e si esca all'età della pensione. 19 “ MODELLI” 3. Collocazione logistica del centro • In linea generale, i centri diurni collocati in zone "centrali" sono facilitati rispetto al lavoro di integrazione con il territorio e di socializzazione; • I centri che hanno nelle immediate vicinanze una struttura residenziale a loro collegata invece sono avvantaggiati rispetto alla possibilità di lavorare adeguatamente e in tempo per il progetto di vita degli ospiti. 20 “ MODELLI” ALCUNI ESEMPI: SERVIZI DESTINATI ESCLUSIVAMENTE AD UTENZA CON DISABILITÀ GRAVE/GRAVISSIMA. Di solito ospitano al massimo 10 utenti ed hanno un rapporto educativo un po’ più alto (anche un rapporto 1:2). VANTAGGI SVANTAGGI RAPPORTO EDUCATIVO FAVOREVOLE RISCHIO “GHETTIZZAZIONE” RISCHIO ULTERIORE “CRONICIZZAZIONE” DELL’UTENZA UTENZA CON CARATTERISTICHE OMOGENEE POSIBILITA’ DI SVILUPPARE PROGETTUALITA’ SPECIFICA RISCHIO SCARSA CREATIVITA’ PROGETTUALE DIFFICOLTA’ A SVILUPPARE PROGETTI FINALIZZATI ALL’INTEGRAZIONE, IN PARTICOLARE CON ATTIVITA’ INTERNE AL SERVIZIO ALTO STRESS DEGLI OPERATORI CON CONSGUENTE INCREMENTO BURN OUT 21 “ MODELLI” ALCUNI ESEMPI: CENTRI DIURNI DIFFERENZIATI IN BASE ALL’ETA’: L’unico caso (almeno in Piemonte) da noi conosciuto di centro diurno che da “mandato” ospita persone di una specifica fascia di età è quello della RAF diurna di Via Nizza 151 di Torino, destinata ad ospiti disabili ultraquarantenni. VANTAGGI MAGGIOR OMOGENEITA’ DI BISOGNI, RITMI DI VITA E ABITUDINI MAGGIOR IDENTIFICAZIONE DEGLI OSPITI CON IL GRUPPO DI PARI SVANTAGGI RISCHIO, SE NON SUSSISTE UNA PROGETTUALITA’ ADEGUATA, DI PERDERE IL PUNTO DI VISTA “EVOLUTIVO” SULLA PERSONA POSSIBILITA SVILUPPO PROGETTUALITA’ SPECIFICA, MAGGIORMENTE ALLA SOCIALIZZAZIONE E ALL’INTEGRAZIONE CON IL TERRITORIO 22 “ MODELLI” ALCUNI ESEMPI: CENTRI DIURNI ADIACENTI A STRUTTURE RESIDENZIALI E’ un “modello” che si sta affermando nell’ultimo periodo. VANTAGGI POSSIBILITA’ SINERGIE PROGETTUALI E OTTIMIZZAZIONE DELLE RISORSE POSSIBILITA’ DI MAGGIOR APERTURA DEGLI SPAZI DEL CENTRO DIURNO AL TERRITORIO POSSIBILITA’ DI PRESA IN CARICO DELLA PERSONA IN MANIERA GLOBALE POSSIBILITA’ DI LAVORARE PER IL PROGETTO DI VITA DELLA PERSONA IN MANIERA PIU’ ORGANICA E PROGRAMMATA, AD ESEMPIO ATTRAVERSO IL SERVIZIO DI “SOLLIEVO” SVANTAGGI RISCHIO DI MAGGIOR “ISTITUZIONALIZZAZIONE” RISCHIO DI UNA REALTA’ CHIUSA IN SE STESSA RISCHIO STIGMATIZZAZIONE DA PARTE DEL TERRITORIO RISCHIO DELEGA DELLA RESPONSABILITA’, RISPETTO AL PROGETTO DI VITA DEGLI OSPITI, DA PARTE DEI SERVIZI SOCIALI 23 “ MODELLI” ALCUNI ESEMPI: CENTRI DIURNI MOLTO INTEGRATI CON IL TERRITORIO. Ovviamente è un obiettivo comune a tutti i centri diurni quello di favorire l’integrazione con il territorio; prendiamo in esame quelle realtà dove l’aspetto dell’integrazione con il territorio è preponderante e il servizio ne è condizionato anche “strutturalmente”. VANTAGGI CENTRALITA’ DELL’INTEGRAZIONE SVILUPPO DI UN RUOLO ATTIVO DELLE PERSONE DISABILI ALL’INTERNO DEL TERRITORIO PROMOZIONE DI UN NUOVO MODO DI VEDERE LE PERSONE DISABILI NEL TERRITORIO MAGGIORE INFORMALITA’ E CREATIVITA’ PROGETTUALE SVANTAGGI DIFFICOLTA’ AD ADERIRE AGLI SANDARD NORMATIVI DIPENDENZA PROGETTUALE DALLA MOTIVAZIONE DEGLI OPERATORI E (IN ALCUNI CASI) DAL VOLONTARIATO 24 4. FARE SISTEMA Ormai sembra assodato che “fare sistema” è uno dei modi più efficace per i C.D. per perseguire obiettivi di qualità e contenere gli effetti della crisi. “Fare sistema” significa attribuire centralità alle relazioni che si instaurano tra diversi partner, decisi ad unirsi per incrementare il valore delle proprie attività. La scommessa è imparare a “far sistema” senza che questa unione (o riorganizzazione) comporti la perdita delle caratteristiche peculiari che ciascun centro diurno ha maturato negli anni, costruendo la sua storia e la sua identità. 25 FARE SISTEMA Abbiamo individuato alcuni modelli di “far sistema”. Modello 1 LONGITUDINALE •Cabina di regia fra diversi servizi che seguono la persona nelle diverse fasi di vita; •gruppi di lavoro formati da operatori di diversi servizi che vanno a comporre il progetto individuale, coordinamento tra servizi diversi; •modello facilitato dall’essere unico gestore (cooperativa, consorzio, ente); •difficile la concertazione e la tenuta del progetto nel tempo. 26 FARE SISTEMA Modello 2 CARPE DIEM •Modello più diffuso, prevede scambi di varia natura col territorio; •si realizzano attività svariate, sia all’interno del centro che sul territorio, gestite o in collaborazione con altre realtà (laboratori, mercati, scuole, biblioteche, Unitre, etc.) spesso già sensibilizzate, disponibili e recettive; •spesso sono attività a costo zero, frequente l’apporto di volontari; •ricchezza è l’accessibilità e la creatività che vengono messe in campo, adottando una funzionalità “carpe diem”; •limite è che difficilmente sono programmabili a lungo tempo, né possono rappresentare funzione di sistema. 27 FARE SISTEMA Modello 3 CENTRO SATELLITARE •Si compone di servizi di diversa tipologia, diurni e residenziali, che funzionano in stretta sinergia; •persone possono transitare tra i diversi servizi, anche con modalità temporanee (sollievo) •facilitato dall’essere gestiti da un’unica cooperativa •il sollievo diventa intervento di collegamento tra servizi diurni e residenziali e permette di lavorare nel qui ed ora sul dopo di noi; •rischio di chiusura in un microcosmo già articolato, che va bilanciato da un consistente lavoro di rete con il territorio; 28 FARE SISTEMA Modello 4 CENTRO POLIVALENTE •C.D. collocato all’interno di un centro polivalente o centro servizi; •la collocazione diventa fattore favorente la rete e gli scambi, si creano collaborazioni organiche con altre realtà associative, anche non riconducibili al socio-assistenziale-educativo; •vantaggio è la possibilità di fornire, oltre ai servizi previsti dagli standard regionali, anche offerte aggiuntive erogate da altri o dal C.D. stesso con l’apporto delle altre realtà presenti; •il C.D. perde l’aspetto stigmatizzante e diventa “vetrina di cittadinanza”; •faticoso perché necessita di condivisione di linguaggio comune; •può risultare difficoltosa la regia 29 FARE SISTEMA Per “far sistema” occorrono alcune condizioni: •un comune orientamento al creare sistema fra sistemi; •una regia pubblica, che garantisca progettazione e gestione nel lungo periodo; •la collocazione prossimale è strategica; •guardare non solo ai benefici per l’utenza: la rete fa bene anche agli operatori; •agire non solo fra le risorse, ma anche con le risorse in un’ottica bidirezionale; •coinvolgere le realtà già presenti e riconoscibili, far crescere quelle già sensibilizzate e promuovere nuove forme di partecipazione e coordinamento anche con attori che poco o nulla sanno di disabilità (es: ricerca effettuata dalle tirocinanti di Servizio Sociale e di Psicologia nei confronti di soggetti "non sensibili"). 30 5. IL PROGETTO Innanzitutto per progetto intendiamo “Progetto del servizio”, cornice contestuale in cui si inserisce l’operatività quotidiana. MISSION Il Centro diurno accoglie utenti ultra‐sedicenni ed offre interventi assistenziali, educativi, riabilitativi, organizza laboratori ed attività di vario genere, tenendo conto delle caratteristiche e dei tempi di ciascuno. La frequenza del servizio diurno, basata sul progetto individuale, è parte integrante degli interventi di supporto attivati al fine di garantire un sostegno alla persona disabile ed al proprio nucleo famigliare. Intende occuparsi e prendere in cura l’ospite integrando tutti gli aspetti dell’evoluzione psicofisica e raccogliendo i bisogni espressi dagli ospiti e dalle rispettive famiglie, coerentemente con il proprio mandato e le proprie possibilità organizzative. 31 IL PROGETTO VISION Il progetto del centro si proietta su di uno scenario futuro a largo respiro, rispecchiando valori, ideali ed aspirazioni, che prova ad immaginare, stabilendo concretamente attraverso quali azioni, nuove fattezze del Centro Diurno all’interno di un tessuto sociale capace di promuovere nuove forme di partecipazione e di collegamento nuove culture di imprenditoria sociale. 32 IL PROGETTO IL PROGETTO EDUCATIVO INDIVIDUALE (PEI) VISION MISSION OSPITI 33 IL PEI •Sintetizza osservazioni e informazioni raccolte dal contesto di vita dell’ospite, in termini clinici ed esperienziali. Per poi elaborare una programmazione di attività, proposte ed interventi, in linea con il mandato e le possibilità operative della struttura. •Si pone l’attenzione sulle peculiarità di ciascun progetto perché costruito sul quel specifico soggetto, per cui si possano individuare specifici obiettivi e metodi, espressione di priorità individuate, che contenga gli strumenti e indicatori di verifica, che permetta di riprogettare l’intervento nel tempo. •E’ un patto, una dichiarazione di intenti, una forma di contratto che lega l’operato del centro al soggetto e alla sua famiglia. 34 IL PEI E IL PROGETTO DI VITA Per progetto di vita si intende una visione ampia delle prospettive di vita, espressione di bisogni e tendenze di autorealizzazione e individuazione di un proprio posto nel mondo. In tale senso l’inserimento all’interno del centro diurno rappresenterebbe, se pur una parte significativa di esso per tutto ciò che tale esperienza veicola, sicuramente non l’unica degna di interesse. Nelle slides successive riportiamo l’analisi delle criticità e delle buone prassi, estrapolate dal materiale perventutoci. 35 IL PEI E IL PROGETTO DI VITA Criticità: • Ripiegamento assistenziali; in maniera esclusiva sugli aspetti • Centro diurno come unico intervento attivato, soprattutto in casi di estrema gravità della disabilità; riduzione di possibilità di accesso per nuovi utenti; • Chi fa la regia? • Difficoltà ad avere un unico linguaggio nel dialogo tra professionalità diverse; • Difficoltà nelle fasi di passaggio, da scuola a centro diurno, tra centro e centro, dal centro ad una realtà residenziale. 36 IL PEI E IL PROGETTO DI VITA Buone prassi: •Mantenere viva l'ottica del “prendersi cura”. Il concetto di cura guarda al soggetto alla sua totalità ed integrità, raccogliendo la sfida di interrogarsi sulle aspirazioni e sulla presenza nel mondo anche con soggetti gravemente disabili. Come fare a promuovere l'autonomia e l'autodeterminazione delle persone disabili? Come progettare nuove forme di “vita adulta”. •A detta di molti l’ ICF (Classificazione Internazionale del Funzionamento della Disabilità e della Salute) è un possibile strumento di comunicazione interdisciplinare, l’utilizzo dell’ICF rende più chiara la comunicazione fra i soggetti coinvolti e facilita la definizione di un progetto individualizzato che identifichi gli obiettivi conseguibili e le risorse certe e attivabili” ma ad oggi nelle mani di pochi. 37 IL PEI E IL PROGETTO DI VITA Buone prassi: •Coprogettazione con gli ospiti •Continuità progettuale tra diurno e residenziale (come citato in precedenza); •Continuità progettuale tra diurni diversi; •Continuità progettuale tra scuole superiori e centro diurno; •Associazioni che utilizzano il contributo degli ospiti del centro per le attività culturali e di promozione della cittadinanza. 38 6.LE FAMIGLIE AL CENTRO FAMIGLIA VISION MISSION OSPITI 39 6.LE FAMIGLIE AL CENTRO Il modo di descrivere il ruolo che i famigliari rivestono all’interno delle esperienze del centro, quanto incidono e quanto sono in grado di proiettarsi progettualmente al futuro può essere riassunto in polarità di significati, spettri all’interno dei quali si collocano in maniera più prossima a un polo più che all’altro, le diverse realtà che si sono presentate. 40 LE FAMIGLIE AL CENTRO BISOGNO FAMIGLIA FAMIGLIE PARTECIPATIVE FAMIGLIE ORGANIZZATE BUONI RAPPORTI BISOGNO UTENZA FAMIGLIE DELEGANTI FAMIGLIE NON ORGANIZZATE CATTIVI RAPPORTI 41 LE FAMIGLIE AL CENTRO COSA SENTE E CERCA L’OPERATORE Bisogno di tempo differenziato da dedicare ai progetti per condividerli (qualcuno ne ha più bisogno), minore burocratizzazione dei tempi e delle comunicazioni; Che il rapporto sia mediato e condiviso con gli operatori del territorio (condivisione delle responsabilità e dei percorsi di cura); Bisogno di chiedere l’intervento di un esperto (psicologo) per riflettere su temi caldi. 42 LE FAMIGLIE AL CENTRO BUONE PRASSI: • Promuovere la partecipazione, coprogettazione, costituzione di organi di rappresentanza; • Compartecipazione dei famigliari alla gestione degli spazi operativi; • Formazione ai care giver, formazione tra pari. 43 LE FAMIGLIE AL CENTRO DOPO DI NOI: •Il pensiero viene rimandato, quasi rimosso; •Le famiglie si organizzano in gruppi di auto- mutuo aiuto per affrontare i temi e ragionare sugli scenari (concettuale più che operativo); •Raccordo con le strutture residenziali che operativamente sono già interconnesse con i servizi diurni, strada più facilmente percorribile per le cooperative che gestiscono entrambe le realtà. 44 7.L’OPERATORE SOCIALE FAMIGLIA VISION OSPITI MISSION GLI OPERATORI 45 L’OPERATORE SOCIALE CHI E’ •Nella maggior parte dei casi donna; •Sta invecchiando, con limitazioni lavorative, non si muove attraverso i diversi servizi; •Vi sono differenze anagrafiche con l’utenza; •Vi sono differenze formative ed anagrafiche tra i membri dell’equipe; •Si dota di strumenti di lavoro ma è in difficoltà a condividere con i colleghi metodologia comune e capacità attuative; •Precario a scavallo su diversi servizi per completare le ore; •Ha paura del futuro, talvolta è scontento ma non persegue il cambiamento per ragioni economiche. 46 L’OPERATORE SOCIALE COSA FA •Collabora con operatori territoriali e famiglie; •Cura la comunicazione, fa riunioni, progetta e verifica, ma il tempo dedicato è sempre minore; •Adempie alle proprie mansioni tradizionali, ma si fa carico anche di quelle attività che storicamente erano specialisticheconsulenziali; •Si forma su propria iniziativa (fa impresa su di sé), anche se in maniera sempre più ridotta; •Attento a non fare straordinario; •Passa da una mansione all’altra afflitto dal minutaggio; •Organizza eventi, a fronte della crisi raccoglie denaro per cause significative alla vita del centro. 47 L’OPERATORE SOCIALE COME SI SENTE •Usato e sfruttato e abbandonato dai servizi; •Misconosciuto come patner nella rete dei servizi; •Poco visibile all’esterno a fronte di un aumento dei piani operativi; •Deluso e sconfitto, a rischio di usura , di stress e perdita di creatività; •Schiacciato dalla burocrazia; •Appesantito dalla formazione che non si armonizza con i turni di lavoro; •Spaventato dalla responsabilità (omessa custodia); •Capri espiatori delle rabbie e frustrazioni dei genitori: poco spontaneo e ambivalente nei confronti dei famigliari. 48 L’OPERATORE SOCIALE Educatore e OSS, spesso con poca distinzione di contenuti e metodi di lavoro (lo stesso mansionario), appiattito o flessibile? GLI OSS hanno un carico assistenziale molto alto, ma al contempo la propensione all’utilizzo dello spazio ”laboratorio” chiede di mettere in campo altre capacità tecniche. Lavorare con la disabilità all’interno dello spazio del centro chiede “sensibilità educative”. GLI EDUCATORI devono dare coerenza e integrare vari spazi di azione all’interno del quotidiano che tenga conto della progettazione, dare visibilità alla propria presenza tra minutaggi, che non contemplano lo spazio di pensiero e riflessione, e il loro” impiego” in attività di assistenza e cura degli spazi. 49 L’OPERATORE SOCIALE ASPETTI POSITIVI ASPETTI NEGATIVI Motivante dal punto di vista professionale, versatilità e adattamento; Fatica, burn-out; Rompe le stereotipie (rispecchiamento con l’utenza). Lavoro assistenziale superficiale; progettazione e realizzazione superficiale; Conflitto tra figure professionali. 50 IL NUOVO OPERATORE “MULTIFUNZIONALE e IMPRENDITIVO” • Si muove sul territorio per cercare nuove collaborazioni; • Promuove iniziativi sulla base delle proprie esperienze personali; • Investe le sue competenze per orientare il servizio su proposte; • Si prende la responsabilità di immettere risorse interne a fronte dello scarseggiare di quelle istituzionali. 51 IL NUOVO OPERATORE “MULTIFUNZIONALE e IMPRENDITIVO” ASPETTI POSITIVI ASPETTI NEGATIVI Mette qualcosa di sé, si riconosce in quello che fa; E’ sfumato, senza identità; Investe su un suo sapere e produce ricchezza (in un sistema crea qualcosa che non c’era). Sfruttato (si appoggia su base volontaria) e bruciato dalle continue richieste; Personalizza il servizio (senza di lui l’attività non va avanti?). 52 NOTA FINALE All’inizio del nostro percorso come gruppo di lavoro eravamo molto titubanti e temevamo di doverci rassegnare al classico “muro del pianto”. I contributi raccolti in questi mesi sintetizzati nella relazione presentata oggi testimoniano invece che l’ideale originale del Centro diurno è ancora vivo. Dobbiamo però, a nostro avviso: •vigilare per poter continuare ad offrire un servizio così importante, mantenendolo al passo con i tempi; •condividere le nostre esperienze, per utili ed arricchenti confronti fra realtà diverse; •coinvolgere gli operatori di contesti a noi “vicini” (scuola, sanità ..) e le realtà che non hanno direttamente a che fare con il comparto sociale o con la disabilità. GRAZIE PER L’ATTENZIONE 53