Sergio Chiatto
(Deputazione di Storia Patria per la Calabria)
“Amantea nel catasto onciario del 1754”
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Ringrazio vivamente la Deputazione di Storia Patria per la Calabria (alla quale mi onoro di
appartenere), nella persona soprattutto del suo Presidente, il prof. Giuseppe Caridi, per avermi
invitato a partecipare attivamente a questo importante Convegno di Studi. A lui, agli illustri relatori
che mi hanno preceduto e che mi seguiranno ed a voi tutti va il mio saluto più cordiale.
La mia relazione verterà sull’economia e la società della città Amantea nella seconda metà del
Settecento, fondandosi su documentazione coeva : soprattutto su quella catastale (della riforma c.d.
“carolina” per intenderci) e su quella notarile, congiuntamente a quella bibliografica naturalmente,
con riferimento ai contributi degli studiosi che a quella comunità ed alla sua storia hanno dedicato
pregevolissimi lavori. A partire da Gabriele Turchi che, per primo, ha dato alle stampe un organica
monografia sulle passate vicende locali e comprensoriali 1 .
Vi chiederò, perciò,
di “accompagnarmi” attraverso la realtà amanteana qual era
duecentocinquantaquattro anni addietro, premettendo un rapido e forzatamente sintetico resoconto
dei principali avvenimenti della città, sino agli anni che prelusero all’eroica resistenza all’assedio
napoleonico che tanto lustro diede a quell’amena località del basso Tirreno cosentino, anche
attraverso gli studi di storici insigni del “decennio francese” o i racconti di fini narratori del passato
come i cosentini Luigi Maria Greco e Nicola Misasi.
La città nella storia
Le origini di Amantea si perdono, come sul dirsi, nel buio dei tempi remoti. Certo non può negarsi che
nel suo territorio vi furono insediamenti umani sin dall’antichità, come hanno ampiamente dimostrato
gli ultimi ritrovamenti archeologici.
1
G.Turchi – “Storia di Amantea”, Cosenza 1981 e 2002. Oltre alla fondamentale opera del Turchi, si segnalano
particolarmente i seguenti volumi :
E.Fera - “Amantea.La terra, gli uomini, i saperi”, Cosenza, 2000;
M.T. Florio in De Luca – “Amantea.Tradizioni e folklore”, Cosenza, 1972;
S.Miceli – “Amantea sul finire del Settecento. Uomini, natura, società”, Cosenza, 1996;
R.Musì – “Memorie storiche amanteane per saggi cronologicamente disposti”, 1^Ed. La raccolta contiene saggi apparsi,
tra il 1976 ed il 1989, su “Calabria Letteraria” (Longobardi, CS) e, ultimo in ordine di tempo, sul Bollettino dell’Istituto
Calabrese per la Storia dell’Antifascismo (Cosenza, giugno 1990, n.1);
F.Policicchio – “San Pietro in Amantea e dintorni nell’800”, Cosenza, 1997;
A.Savaglio - “Il Regio Castello di Amantea”, Cosenza, 2002;
A.Savaglio – “Vita claustrale nella Calabria moderna. Le Clarisse di Amantea (1603-1810)”, Soveria M. (CZ), 2007;
A.Savaglio – “Il Collegio dei Gesuiti di Amantea. Aspetti religiosi e culturali tra Sei e Settecento”, Soveria M. (CZ), 2007;
A.Savaglio, E.Mazzei – “San Bernardino d’Amantea”, O.M.C. di Calabria e Arciconfr.dell’Immacolata di Amantea, s.d.
V.Segreti – “Storia e tradizioni marinare di Amantea”, Reggio Calabria, 1992;
V.Segreti – “I Cappuccini di Amantea.La Confraternita dell’Addolorata”, Soveria M. (CZ), 1994;
V.Segreti – “Amantea nella storia della medicina calabrese”, Cosenza, 2004;
G.Valente - “Il Dizionario bibliografico biografico geografico storico della Calabria”, Vol. I, alla voce, Soveria M., 2004;
G.Valente – “I Calabresi nella battaglia di Lepanto”, Cosenza, 1984.
1
Il comprensorio vide certamente la nascita di “Clampetia”, colonia crotoniate. Posta in prossimità dei
promontori Tyllesius e Linus che si ritengono essere gli attuali “Coraca” e “Capo Verre”, essa
parteggiò per Annibale durante la seconda guerra punica, cedendo, nell’estate dell'anno 204 a.C., dopo
strenua resistenza, alle truppe del console romano Gneo Servilio Cepione.
Clampetia fu centro commerciale importante, ben collegata alla via Traianea che costeggiava il mare
e, come porto di mare, fu aperta all'influsso dei molti culti orientali, come il Mitraismo ed il
Cristianesimo. Gli scavi operati nel complesso monumentale del San Bernardino e la stessa testa litica
raggiata del dio Sole ivi rinvenuta, fanno ragionevolmente ritenere che molto probabilmente sotto
l'attuale chiesa insistono i resti di un tempio mitraico. Distrutta nel luglio del 365 d.C. a causa di un
maremoto che sconvolse tutto il bacino del Mediterraneo, sulle sue rovine sorse “Nepetia” che,
occupata dai Goti, fu liberata nel 536 da Belisario e divenne città fortificata dei Bizantini, sede di
uno Stradigòs ed estremo loro baluardo contro gli sconfinamenti dei Longobardi del Ducato di
Benevento. Attorno all' 846 essa fu espugnata dagli Arabi, divenendo sede di Emirato e fu detta Al
- Mantiah : la rocca, da cui probabilmente origina il suo attuale nome.
Liberata nell’anno 883, la città fu elevata a sede vescovile in sostituzione di quella di “Temesa” con
l'intento di recuperare alla fede cristiana la popolazione residente nel suo territorio, ma nel 976 fu
rioccupata dagli Arabi. Fu definitivamente liberata nel 1031.
Sotto i Normanni, che com’è noto procedettero alla latinizzazione dell’Italia meridionale, la sua diocesi
di rito bizantino che si estendeva da “Terina” (l’attuale Capo Suvero) a “Malpertuso”, presso San
Lucido, fu soppressa ed aggregata a quella latina di Tropea. La chiesa cattedrale fu quella della “Pinta"
(da una possibile “icona picta”), probabilmente ubicata proprio là dove perdura il toponimo “Pinta”,
appunto. Il luogo è caratterizzato da un ampia parete rocciosa sulla quale sono ben evidenti tracce di
alloggiamenti di travi e di coppi che fanno pensare ad un inglobamento della stessa nel probabile
edificio di culto.
Restando in tema, si tramanda che, nel 1216, il Beato Pietro Catin, discepolo di San Francesco
d’Assisi, procedette alla trasformazione dell'antica chiesa greca di San Basilio, con l’annesso cenobio
basiliano, in convento francescano. Più tardi sorsero : San Bernardino, la Chiesa ed il monastero delle
Clarisse, il Collegio dei Padri Gesuiti, il convento dei Cappuccini, la chiesa del Carmine con l'annesso
cenobio e quella di San Giuseppe edificata, quest’ultima, nel 1728. Altre antiche chiese furono quelle
di San Nicola “del Rio” (dal sottostante corso d’acqua, altrimenti detta “del fiume” o “sopra il mare”) e
di Santa Maria la Campana, quest’ultima a lungo chiesa parrocchiale dell’omonimo rione, ed altre
ancora, disseminate nella campagna attorno alla città.
L'attuale chiesa matrice dedicata a San Biagio, di fondazione seicentesca, si eleva invece nei pressi
dell'antica chiesa greca di San Pantaleo (o di San Pantaleone), da cui la denominazione di “Pantalìa”
che caratterizza tuttora la zona circostante.
Amantea rifiorì sotto gli Svevi e, con l'avvento degli Angioini, parteggiò per Corradino.
Nella primavera del 1269, subì un durissimo assedio da parte di Pietro Ruffo conte di Catanzaro e fu
severamente punita da Carlo I° d'Angiò. Per tenerla a bada, gli Angioini costruirono nel suo territorio il
Castello di Belmonte. Giacomo d’Aragona la conquistò nel 1284 ma dopo il 1288 tornò agli Angioini.
Nel periodo aragonese, Amantea prosperò grazie soprattutto ai suoi commerci ed ai suoi traffici
marittimi con la Sicilia, con le isole Eolie, la Campania ed i porti adriatici. Difatti, l’attività marittima
coinvolse spesso gran parte della sua popolazione e costituì un’importante fonte di ricchezza per i suoi
residenti.
Dai sovrani aragonesi, Amantea ottenne numerosi privilegi e l’attributo di ”città fedelissima”,
mostrandosi sempre gelosa custode delle sue libertà comunali. Anche quando la sua castellanìa fu
venduta da Renato d’Angiò alla Marchesa di Crotone, Margherita di Poitieres, che, osteggiata dalla
popolazione, fu prudentemente trasferita nel castello di Rende, feudo degli Adorno.
Nel 1495, con la discesa di Carlo di Valois in Italia, Amantea si mantenne fedele agli Aragonesi; anche
quando Carlo VIII° la infeudò al conte Guglielmo du Precy, gentiluomo francese. Una delegazione di
cittadini guidata dal sindaco della città, Nicola Baldacchini, si recò con un vascello carico di doni
all’isola d’Ischia, dove si era rifugiato Ferrante d’Aragona, presentando al sovrano “l’omaggio ed il
2
giuramento di fedeltà”. Commosso, quel monarca confermò ad Amantea tutti i privilegi, tra cui quello
di rimanere città libera e che nessun Re potesse venderla o darla in feudo e che, se ciò fosse avvenuto, i
suoi abitanti avrebbero potuto difendere la loro libertà con le armi, senza incorrere nel reato di
ribellione.
Nel 1500, con la discesa di Luigi XII° e la spartizione del Regno di Napoli tra questi ed il Re di
Spagna, Amantea parteggiò per gli iberici e le sue milizie, prima contrastarono il passo al conte di
Mileto che cercava di portare rinforzi ai francesi (i quali avevano occupato Cosenza), liberando, poi,
dall’assedio degli stessi transalpini il castello della città bruzia, al cui interno si era asserragliato un
presidio spagnolo al comando di Paolo Siscar, conte di Aiello.
Nel 1528, in occasione della spedizione di Lautrec contro il Regno di Napoli, Amantea subì l’assedio
dell’esercito di Simone Tebaldi, fornendo prova di eroico attaccamento alla corona spagnola che,
riconquistate le originarie posizioni, non esitò a elargire alla città altri privilegi e a ripararne le mura.
Tra i primi, si ricorda l’autorizzazione a tenere fiera nel proprio territorio (l’appuntamento è oggi noto
come ”fiera dei morti” o “di Ognissanti”, giacché spostata in coincidenza di tali ricorrenze), conferita
il 31 gennaio 1529 da Filiberto d’Orange a nome dell’Imperatore Carlo V.
Qualche anno dopo, nel 1549 per l’esattezza, Amantea subì le scorrerie organizzate del vicino barone
di Belmonte, Galeazzo di Tarsia (il noto poeta) e dei suoi fratelli, Cola Francesco e Tiberio.
Città marinara, Amantea prese parte alla memorabile battaglia navale di Lepanto del 7 ottobre 1571. Il
patrizio Scipione Cavallo, che già aveva partecipato a varie imprese contro i Turchi, assoldò trenta
fanti, imbarcandosi con loro sulla galea detta “La luna de Napoles”, posta al comando del capitano
Matteo Ventura, anch’egli di origini amanteane.
Nel 1630 Amantea ebbe a subire l’onta della vendita (la transazione comprese anche l’alienazione del
suo “casale” di San Pietro) per sessantamila ducati. L’acquirente fu Giovanbattista Ravaschieri,
l’odiato Principe di Belmonte, il quale agì su sollecitazione del Viceré in persona, intenzionato a
reperire fondi utili a finanziare le interminabili guerre spagnole. Ma gli amanteoti, forti delle loro
prerogative, chiusero le porte della città al nuovo feudatario. Una loro delegazione, capeggiata da
Orazio Baldacchini, si recò a Madrid e fu ricevuta dal Re al quale fu promesso il pagamento della
somma versata dal compratore in cambio dell’annullamento della vendita.
Nel marzo del 1633, Amantea ritornò libera, non riuscendo però a riscattare il suo “casale”, che rimase
al signore belmontese sino al 1710.
Nei secoli XVI e XVII, in Amantea si ebbero contrasti sociali tra il ceto dei nobili, che deteneva tutte le
cariche del potere amministrativo, e quelli del popolo e degli onorati comprendente quest’ultimo i
professionisti ed i commercianti del luogo. L’antica nobiltà cittadina, ascritta al Sedile chiuso di San
Basilio, le cui adunanze si tenevano nell’antico quartiere di “Catocastro”, era rappresentata da nove
famiglie : Amato, Baldacchini, Carratelli, Cavallo, Fava, Gioele, Gracchi, Mirabelli e Lauro. A queste
si aggiunsero in seguito i Cozza ed i De Martino.
La lunga lotta tra nobili ed onorati, nella quale s’inserì astutamente Daniele Ravaschieri, secondo
Principe di Belmonte, terminò nel 1683 con l’aggregazione al Sedile del patriziato locale di cinque
famiglie della borghesia professionistica e mercantile : gli Augurati, i Iacuzzi, i Mileti, i Picicci ed i
Ranieri.
Sono gli anni in cui i Padri Gesuiti, insediatisi nel Collegio fatto costruire per lascito dell’amanteota,
dottor Fulvio Verdiano, medico dell’Ordine in Napoli, non solo assicureranno l’istruzione dei giovani
del luogo, ma fungeranno anche da guida spirituale e morale delle due Confraternite maggiori : quella
dei nobili, intitolata all’Immacolata Concezione, e quella dei pescatori, della Madonna del Rosario.
Proprio ai seguaci di Sant’Ignazio di Lojola, pare possa attribuirsi, altresì, il merito della fondazione e
dell’attiva frequentazione dell’Accademia detta “degli Arrischiati”, istituita in Amantea nella seconda
metà del secolo XVII e particolarmente vivace a quanto pare nel 1688.
Nel febbraio del 1799 anche in Amantea fu innalzato l’ albero della libertà con la formazione di un
governo composto interamente da rappresentanti della borghesia e degli onorati, con l’estromissione
quindi dei nobili. Ma, nel marzo successivo, una colonna sanfedista al comando del capitano Giuseppe
Mazza, emissario del cardinale Fabrizio Ruffo, sbarcò in Amantea e, con l’abbattimento di
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quell’albero, ebbe inizio un periodo di disordini e di vendette che si protrasse sostanzialmente sino al
1806.
Infatti, con la venuta nel Regno di Napoli delle truppe napoleoniche, coloro i quali, intellettuali e
professionisti, non avevano esitato ad abbracciare le nuove idee progressiste d’Oltralpe, pagarono con
la vita nei massacri del 1806 commessi dal popolo, schieratosi invece dalla parte dei sanfedisti e dei
conservatori legittimisti.
L’assedio, il “memorando assedio”, infine : ovvero quella accanita resistenza e la ineluttabile
capitolazione ai napoleonici del febbraio del 1807. Quell’episodio la cui più attenta rilettura, la cui
rivisitazione operata da più parti nella ricorrenza del bicentenario 2 , può ora far trarre il
convincimento che i patimenti, e le morti, inflitti agli amanteani dell’epoca furono cagionati più da
coloro i quali (massisti e/o briganti che fossero), ad Amantea, avevano trovato protezione e
rifugio, che non agli assedianti veri e propri, nei confronti dei quali, inutile nasconderselo, non ci si
sarebbe potuti opporre a lungo. Forse, gli occupanti commisero l’errore di sottostimare il valore
degli assediati (e prim’ancora la solidità delle strutture murarie poste a protezione della città),
attaccando e poi ritirandosi, e illudendoli probabilmente. Ciò nondimeno, se quei “patrioti” non
avessero operato perché non si desse ascolto al mitico comandante della piazzaforte (quel Ridolfo
Mirabelli che, saggiamente, aveva intravisto il triste epilogo di quella contrapposizione, strenua ed
eroica quanto si vuole, tuttavia drammaticamente impari e quindi inutile), se ci si fosse arresi per
tempo alle soverchie forze nemiche, molte vite umane sarebbero state risparmiate!
2
Si citano particolarmente i seguenti contributi apparsi proprio in tale coincidenza :
- V.Segreti – “Amantea fra fine ‘700 e inizi ‘800. Società, movimento rivoluzionario, reazione sanfedista,
assedio francese”, Cosenza, settembre 2006;
- F.Volpe (a cura) – “L’assedio di Amantea nella storia del Mezzogiorno” (Atti della prima Giornata di Studi
Storici organizzata dal Rotary Club di Amantea nell’anno sociale 1993/94)”, Castrovillari (CS), febbraio 2007;
“I Luoghi della memoria” (è il titolo della mia relazione pronunciata nell’ambito del convegno di studi e della
mostra fotografica promossi dall’Associazione “Prospettive” di Amantea nell’agosto del 2006, riproposta
ampliata e pubblicata a cura della stessa Associazione nel marzo del 2008 col patrocinio dell’Amministrazione
Provinciale di Cosenza, pp. 7-49);
- A.Savaglio (a cura) – “Amantea eroica. Fatti e personaggi di Amantea durante l’antico regime e il decennio
napoleonico” (Atti del convegno di studi nella ricorrenza del bicentenario dell’assedio, Amantea, agosto
2007), Quaderni dell’Arciconfraternita dell’Immacolata di Amantea, N.2, Castrovillari, luglio 2008;
- S.Chiatto (a cura) – “Invasione e resistenza. I napoleonici a Lago e nel comprensorio di Amantea” (Atti del
convegno di studi nella ricorrenza del bicentenario dell’invasione napoleonica, Lago, agosto 2007),
Amministrazione Comunale di Lago (CS), Castrovillari, luglio 2008.
4
La città nell’onciario 3 del 1754
Ma veniamo all’argomento assegnatomi. E’ giunto il momento di dire della società amanteana di metà
settecento e il rischio è quello che da parte mia vi venga fornita una serie di dati numerici, difficili da
cogliere nella loro essenza, anche perché non comparabili immediatamente e forse pure parziali :
perché più o meno parziali, più o meno cristalline, è altamente probabile che fossero (come sanno
bene gli irriducibili studiosi degli onciari) tanto le rese dichiarazioni dei rivelanti, quanto le verifiche
delle stesse da parte di coloro ai quali quel compito era demandato. Arduo, certamente, quando
trattavasi di controllare le partite dei notabili, molto meno quando i controlli attenevano ai cespiti dei
3
Così detto dall’antica unità di peso e moneta di conto, l’oncia appunto, esso, più che ad un catasto nel senso corrente
del termine, va assimilato ad un censimento : non fosse altro perché contiene una serie di informazioni del tutto simili
alle dichiarazioni da noi rese sul noto modello 730 per la determinazione dell’imposta sul reddito delle persone fisiche.
Ciò posto, rimandando ai fondamentali studi del “Centro Antonio Genovesi” a lungo diretto dal compianto prof.
Augusto Placanica e pubblicati dall’ateneo salernitano (*) e, quindi, fra i numerosi altri, ai contributi del prof.
Francesco Barra e della Prof.ssa Mirella V. Mafrici; del prof. Pasquale Villani, generalmente considerato fra gli
studiosi più insigni della catastazione borbonica e, non ultimo, del prof. Giuseppe Caridi che, da un ventennio almeno,
si occupa meritoriamente di economia e società calabrese e meridionale in Età Moderna, accenno solamente al
documento catastale redatto nel 1754 (da me consultato presso il “Grande Archivio” di Napoli : ASNA – onciari –
vol.5916-9) con la premessa che Amantea fu tra le numerose Università ritardatarie nella realizzazione del censimento,
il che, probabilmente, fu la causa dell’approssimata compilazione del documento finale che si presenta appunto
lacunoso in più parti e zeppo d’errori. Avverto, inoltre, che nel voluminoso carteggio dell’onciario amanteano di metà
‘700 non v’è traccia di schede (od altro) comunque riconducibili ai casalini di San Pietro. Per contro, numerosi atti
pertinenti ad Amantea sono stati da me rinvenuti nel documento redatto per l’Università di Aiello (ASNA – onciari –
voll.5922-5), grazie alla cortese segnalazione del prof. Fausto Cozzetto che come dirò in seguito ha avuto modo
d’indagare utilmente quella comunità.
La struttura del Catasto (la cui formazione ben s’inquadra nella riforma tributaria voluta dal Re Carlo di Borbone e
perciò detta “carolina”) è la seguente : il libro dell’apprezzo (strumento utilissimo per lo studio del paesaggio agrario),
le rivele (distinte in quelle dei cittadini e dei forestieri, degli ecclesiastici e dei luoghi pii, contenenti preziose notizie,
spesso omesse nel documento finale solo perché ritenute non rilevanti ai fini fiscali, sulla composizione della famiglia,
sulla proprietà o meno della casa di abitazione e sulla sua ubicazione), lo spoglio, allegato alle rivele (ove erano
annotate le osservazioni di coloro i quali erano preposti alla verifica delle rese dichiarazioni) e, infine, l’onciario
propriamente detto, ove, nella prima e più consistente parte, erano raccolte, in ordine alfabetico per nome di battesimo
della persona (uomo, o donna, o ecclesiastico, persona fisica o giuridica, che fosse) posta a capo del fuoco, le cosiddette
partite catastali e, nella seconda, dati aventi carattere squisitamente fiscale (come nella conclusiva collettiva del
resto). L’ammontare delle tasse che colpivano la rendita era fissato negli atti preliminari. A titolo solo esemplificativo
si consideri che agli addetti all’agricoltura in genere si caricavano 12 once; 14 invece, agli occupati nelle arti, nei
mestieri e nel commercio; 16 infine, ad altre categorie come agli “speziali di medicina” (gli odierni farmacisti) i quali
venivano distinti da quelli c.d. “manuali” (ch’erano invece dei droghieri) tassati alla guisa dei bottegari. Il tutto non
senza dire che la “tassa per l’industria” colpiva i componenti maschi solo a partire da 14 anni e, da 14 a 16, per metà. I
nobili, ovvero i “nobilmente viventi”, i “dottori di legge”, i “dottori fisici” (gli odierni medici), i notai, non erano invece
soggetti a tassazione, secondo un principio che il prof.Villani ha opportunamente ricordato essere “teologico”, “in
quanto” – cito testualmente – “si riteneva che i guadagni dei professionisti provenissero “dall’intelletto che è grazia
divina e non si poteva certo tassare la grazia divina” (P. Villani – “Mezzogiorno tra riforme e rivoluzione”, Bari 1977,
p.118/n). Erano poi tassati, solo in parte però, gli ecclesiastici (e qui sta la vera novità introdotta dalla riforma) i quali,
prima completamente esenti da ogni onere tributario, furono chiamati a pagare per metà sui beni posseduti prima del
Concordato del 1741 e, per l’intero, per i beni acquisiti successivamente.
Va detto, inoltre, che, mentre nell’apprezzo, nelle rivele e negli spogli i valori erano espressi in ducati ed in frazione di
ducati, nel Catasto essi erano tradotti in once, con l’oncia intesa di sei ducati (un ducato era pari a dieci carlini od anche
a cinque tarì, con il tarì di due carlini, e una tomolata, o moggiata, era corrispondente ad Ha. 0,3387).
Ricordo che fuoco sta per focolare o per famiglia, entità fiscale di derivazione aragonese corrispondente a 4-5 individui,
quasi sempre consanguinei, abitanti sotto lo stesso tetto e, inoltre, che le occupazioni domestiche femminili furono
completamente ignorate da quella riforma tributaria, tranne che per il lavoro (di servitù, soprattutto) prestato in casa
d’altri o presso istituzioni ecclesiastiche.
(*) Si vedano : “Il Mezzogiorno settecentesco attraverso i catasti onciari”, Vol. I, “Aspetti e problemi della catastazione borbonica”
(Atti del seminario di studi 1979-1983) , Napoli, 1983 ; “Il Mezzogiorno settecentesco attraverso i catasti onciari”, Vol. II,
“Territorio e società” (Atti del Convegno di studi, Salerno 10-12 aprile 1984), , Napoli, 1986, nonché : “Istituzioni e società nel
Mezzogiorno tra età moderna e contemporanea”, Napoli 1990. Segnalo inoltre gli utili apporti del prof. Fausto Cozzetto, con
particolare riferimento al suo “Lo Stato di Aiello – Feudo, istituzioni e società nel Mezzogiorno moderno”, Napoli, 2001.
5
meno abbienti. Perché la tentazione di “evadere” era forte e c’era chi, come oggi, quell’anelito poteva
mettere in atto e chi no, o non del tutto.
Ma l’onciario è pieno di risorse inaspettate, imprevedibili sotto certi aspetti, le quali, se
adeguatamente indagate unitamente ad altre fonti esenziali : quali i coetanei atti notarili e
parrocchiali, consentono, quelle sì, di fare chiarezza e di restituire, sebbene a posteriori e solo in
parte, quella giustizia a chi giustizia fu negata.
Mi riferisco alle rivele soprattutto, ma pure agli squarciafogli : questi ultimi per la campagna 4 ,
prodighi entrambi di preziose informazioni, quasi mai integralmente riportate nel documento finale
(perché taluna di quelle ritenuta irrilevante a fini impositivi, tal’altra per altri scopi facili ad
immaginarsi), essenziali invece per la ricostruzione del tessuto economico-sociale e del paesaggio
urbano e rurale della comunità studiata.
E come fare, se non “ridisegnando”, attraverso quelle fonti appunto, una sorta di fogli di mappa di
coltivazioni ed abitati dell’epoca, immaginando di essere lì e d’incontrare questo o quel
personaggio, conosciuto solo attraverso la lettura dei documenti, sull’uscio di casa o intento alle sue
“normali” occupazioni ?
Io ho “viaggiato” attraverso l’Amantea del 1754 e quel “viaggio”, breve e necessariamente parziale
: per la brevità dello spazio assegnatomi, lo propongo ora a voi. “Visiteremo” perciò solo un
segmento per ciascun ambito, ma darà l’idea. Almeno spero.
Iniziamo, allora, la nostra “passeggiata” attraverso l'Amantea rurale ed urbana che quella
documentazione ci consegna (mi rendo conto che chi conosce Amantea avrà contezza dei luoghi
descritti; gli altri, se saranno invogliati a farvi visita, allora, paradossalmente, sarà merito proprio
del vituperato onciario…), partendo da Poliano che, quell’anno, è propaggine estrema, a monte, del
territorio amanteano (il luogo oggi ricade nella giurisdizione del Comune di Belmonte Calabro).
Da Poliano 5 , quindi, da dove già scorgiamo il poderoso castello nella sommità della rupe che
sovrasta Amantea e tutta l’area della “civita”.
4
Con l’avvertenza che le colture erbacee, quasi sempre promiscue a quelle arboree, non erano oggetto di descrizione
perché ritenute ininfluenti ai fini della determinazione del più probabile valore di mercato dei fondi stimati.
5
“Pogliano”, erroneamente, nella Carta dell’I.G.M. (F°236 della Carta d’Italia).
6
I.G.M. – F° 236 della Carta d’Italia – Amantea (stralcio)
A Poliano era sorto il Convento di Santa Maria di Loreto, officiato dai “terziari regolari” sino alla
sua soppressione stabilita nel 1652 nelle note costituzioni innocenziane 6 .
Il segmento ("Catocastro”, per brevità, dal nome del fiume che l’attraversa 7 e che la dice lunga sui
“reletti” della dominazione bizantina nell’onomastica calabrese acutamente colti dal prof. Mosino 8 )
che, dal limite di cui sopra, porta al luogo detto "Aricella", ospita, come si noterà, 4 nuclei
familiari, con 20 componenti (di cui, 12 maschi e 8 femmine : con una densità demografica di
0,05 abitanti per tomolata), compresi i capifuoco, i quali hanno un'età media di 41 anni e,
mediamente, contano su un reddito netto di 35,36 once. Il terreno inventariato, piuttosto
parcellizzato, specie nelle parti di maggior valore per unità di superficie, ascende a 384,88
tomolate (con una estensione media, per i 79 “possessori” 9 , di 4,87 moggi ed un valore medio di
4,02 ducati per tomolata) prevalentemente, ma di poco, coltivate a gelso. Infatti, altre essenze,
quali il fico e l'ulivo, sono anch’esse massicciamente presenti (tabella n.1).
6
Cfr. F.Russo – “Regesto Vaticano per la Calabria”, Roma 1983, Vol. VII, p.296, N.36847, 24 ottobre 1652 (Vd. pure
il mio “Storia di Lago e Laghitello attraverso le locali istituzioni ecclesiastiche”, Cosenza, 1992, p.134). Il toponimo
sopravvivrà a tale soppressione, giacché nel 1680 si scriverà delle opposte “macchie” (terre irrigue) “del destro” e “del
manco” di Santa Maria di Loreto (Notar Carvano Natale, f.50 r. e v. , in Archivio di Stato di Cosenza : d’ora in poi
ASCS). Sulla prima, ubicata sulla sponda destra del fiume Catocastro, saranno ancora evidenti, almeno sino al 1732, i
ruderi della chiesa annessa a quel monastero (ASCS – Notai - Ferraro Saverio, a.1732, f.84 r.).
7
A monte di Poliano, il medesimo fiume assume la denominazione di “Eliceto” (o di “Licetto”).
8
Cfr.F.Mosino – “Storia linguistica della Calabria”, Rovito (CS), 1987, p.59.
9
Sull’uso del temine (“possesso”), anteposto a quello di “proprietà”, essendo il possesso, appunto, “l’unica realtà
rapidamente e agevolmente accertabile, ..…, generalmente nota alla comunità”, si veda l’interessante lavoro di P. Cuoco
dal titolo “La funzione del catasto onciario attraverso la sua disciplina giuridica”, in “Il Mezzogiorno settecentesco
attraverso i catasti onciari”, Vol. I (…), cit., pp.157-161.
7
I luoghi fertili più rimarchevoli sono, nel comprensorio, a Poliano stesso (e Monaco), Chiorio
(anche per “Chiorio” 10 , naturalmente, vale quanto detto per “Catocastro”) e Santa Maria de lo Reto
ove, oltre all'orto del dott. Bonifacio Brancati - che è contiguo al mulino ("feudale" e, perciò, non
considerato) del Principe di Belmonte ed alle possessioni dello stesso dott. Brancati e del dott.
Gennaro Posa, degne di nota sono le masserie (confinanti, in parte) dei conventi di Lago, di "Santa
Maria degli Angeli" e di "Santa Maria del Soccorso", tenuti, rispettivamente, dai padri agostiniani e
dai francescani del terz'Ordine 11 , i quali, questi ultimi, fruiscono, a Castelluccio, di altro cespite
immobiliare, destinato al pascolo. A Chiorio, c’è il podere di don Domenico Antonio Cavallo, con
torre 12 "per comodo del giardiniere", non abitata se non nel periodo estivo.
Sulla sponda opposta, c’è Pantana con le masserie di don Filippo Di Lauro, di don Domenico
Antonio Cavallo, di don Michele Mirabelli e quella più significativa, giacché estesa ben 43
moggiate, di don Gregorio Carratelli, la quale in parte è aratoria e boscosa.
Il luogo, detto anche li Pantani, molto probabilmente ospitò l'antica chiesa di "San Pietro delli
Pantani" notata già nel corso del XV secolo 13 .
Possessioni minori a Attorre, lambito dalla "via reggia", con la masseria del chierico Don Raffaele
Mirabelli e l'altra, limitrofa alla prima, del notaio Marco Antonio Palmieri.
A Rava (detto anche Schiavizzi), degno di menzione è il podere del sacerdote Don Giulio Mileti,
aratorio in parte, con torre anche qui per i coloni.
A San Sospirato, limitrofo alla strada che, da Amantea, conduce al suo "casale" di San Pietro (ed
oggi noto come Sperato), insiste invece la masseria del notaio Domenico Antonio Gagliardi. A
Pallice, prossimo al fiume, il podere con la torre di proprietà e di abitazione di Marco Altomare.
Imbocchiamo ora le terre della Fiumara propriamente detta, dall'alto valore unitario di stima per la
feracità dei molti poderi che ivi insistono, ma pure dall'alto rischio d'inondazioni a causa della
impetuosità del corso d'acqua che tali terre attraversa.
Sono circa 120 moggiate coltivate a gelso prevalentemente e, in subordine, ad olivo ed a fico.
Irrilevante, invece, l'agrumeto come coltura prevalente, che, però, quando presente, fa letteralmente
schizzare verso l'alto il valore del sito.
La Fiumara è culla di operosità e insieme di spiritualità per Amantea.
Da essa, tutta la città ed i suoi abitanti, di ogni condizione, attingono la linfa del loro quotidiano
barcamenarsi fra le vicende terrene, traendone anche nutrimenti per lo spirito.
Sulla Fiumara, insistono i tre mulini “feudali” del barone Fava, condotti in fitto da Ignazio
Cicerello 14 ; le torri di abitazione di Giovanni e Martino Di Carlo, coloni delle masserie di don
Francesco Maria Amato; quella di Vito Politano nella masseria di don Scipione Di Lauro; i poderi,
anch'essi rilevanti in quanto ad estensione, dei Signori Mirabelli (don Alanio e don Nicola), di don
Gregorio Carratelli, di don Pietro Picicci, di don Carlo Ranieri (il quale deve periodicamente
provvedere all’acconcio di mura per arginare gli straripamenti del fiume) e di don Francesco Mileti
(quest'ultimo, nella parte detta Vallone di Sant'Ippolito). L'acquedotto, finitimo alla possessione di
don Giovanni Battista Cavallo, che alimenta il mulino della Mensa Vescovile di Tropea a
Paraporto e, probabilmente, riempie il vicino fossato. Il mulino dei signori Mileti.
Ai margini della Fiumara, vi sono pure : una fontana, prossima al mulino di don Alanio Mirabelli
(più unica che rara in verità : una delle più facoltose famiglie amanteane si avvale di una "serva per
10
Cfr. F.Mosino, op. (e pag.) cit.
Sui due conventi laghitani, cfr. i miei : “Storia di Lago e Laghitello…”, cit., pp.115-146 e “Lago, 1753. Ricchezze e
povertà delle locali famiglie nel catasto carolino o ‘onciario’ ”, Cosenza, 1993, pp.330-333.
12
Casa colonica, umile casa di campagna quasi sempre isolata, raramente in muratura in quei torni di tempo.
13
Allorquando risultava provvista a Giovannello Cavallo per rinuncia del precedente beneficiato, Ruggero Cavallo,
chierici, entrambi, della Diocesi di Tropea (F.Russo – “Regesto … “ cit., Vol. II, p. 190, N. 9774, 5 marzo 1427).La
chiesa (o cappella) in questione era ancora attiva nel 1646 dato che nel luglio di quell’anno risultava retta da Antonio
Barone, succeduto, nell’ordine, a Francesco ed a Giuseppe Barone (ivi, Vol. VII, p.139, N. 34985).
14
Per il canone di 12 tomoli di grano, in ragione di 10 carlini per tomolo (ricordo che il tomolo, come misura di
capacità, era pari a litri 55,545).
11
8
portar acqua" 15 a riprova della drammatica penuria del prezioso liquido) e più di un luogo di culto
: come abbiamo visto sopra e come vedremo ancora, secondo la consuetudine cristiana ricordata
dal prof. De Leo di far sorgere le chiese presso sorgenti e fiumi, "data la fondamentale importanza
che l'acqua assume nella liturgia battesimale, eucaristica e penitenziale", come egli ha tenuto a
sottolineare 16 .
Vi è pure un “Ospedale”, nel senso di ricovero per i viandanti, nel luogo, che alla Fiumara è
afferente, detto appunto Spitale 17 .
Vanno qui comprese pure le possessioni ulivetate di Francesco Ombres , di Don Nicola Greco
(attraversata dall'acquedotto del citato mulino di don Alanio Mirabelli) e di Don Francesco
Pellegrino, nel posto denominato li Chimenti.
L’ Aricella, infine, con i suoi piccoli ma preziosi orti per la prossimità alla città.
Anche questo sito - che molto probabilmente comprese la seicentesca Chiesa della SS.
Annunziata 18 (altrimenti detta, e non a caso, “del fiume”), risulta prevalentemente coltivato a
gelso. E ciò nonostante che, come aveva avvertito uno dei detentori del posto 19 , il prodotto di tale
coltura : la fronda, necessaria al nutrimento del baco da seta per la produzione di quella preziosa
fibra che fà fiorenti e redditizi tanto l’industria quanto il commercio che ne discendono, risultasse
seriamente minacciato dalla "provenza seu libicciate", ovvero dalla veemenza dei venti di libeccio.
^^^^^^^^^^^^^
Siamo così giunti nei pressi del ponte detto di “Catocastro” : dall’omonimo nucleo urbano,
prim’ancora che dal sottostante corso d’acqua (nella parte opposta alla città, se ne avessimo il
tempo, incontreremmo il ponte di “Paraporto”: anche lì per il secondo e più vasto quartiere
amanteano), lo percorriamo, lasciando sotto di noi il già notato mulino, con l'orticello contiguo, di
don Francesco e di Don Giulio Mileti e, alle nostre spalle, nell’altra sponda, la suggestiva chiesetta
votiva di San Giuseppe. Accediamo dunque all’abitato varcandone le porte, per notare, sopra di
quelle, la casa abitata dal maestro muratore Francesco Sances con le sorelle, Antonia e Cassandra,
di 27 e 25 anni, entrambe in capillis, due giovani nubili che, in segno di illibatezza, secondo l’uso
del tempo, portano i capelli raccolti per non scioglierli che il giorno del matrimonio.
15
Maria (Di) Mundo, alle dipendenze di Don Carlo Cavallo.
P.De Leo – “… sicut aqua decurrit …, vivere tra fiumi e fiumare in Calabria in età medievale”, in “Le vie dell’acqua
in Calabria e Basilicata”, Carical, Cassa di Risparmio di Calabria e di Lucania S.p.A. , Cosenza, 1995, p. 200.
17
Il luogo, detto “Ospedale della fiumara” è menzionato già nel 1689, in relazione all’acquisizione, da parte del
canonico della chiesa metropolitana cosentina, Don Ignazio De Augurato di Amantea, di un podere esteso quindici
tomolate “con mulino ed altre comodità” ubicato proprio in quel sito e limitrofo al “fiume corrente”ed alle possessioni
dei signori Raniero e Amato. L’Augurato (o De Augurato) acquistò tali beni dal sig. Ludovico Mirabello “della città di
Catanzaro”, tramite il di lui fratello e speciale procuratore Dottor Giovanni Battista Augurato, per il pattuito prezzo di
1.200 ducati (ASCS – Notai – Carvano Natale, 5 agosto 1689, f.33).
Si noti che un “Hospitale”, ovviamente nella evidenziata destinazione di ricovero per i pellegrini di passaggio, era
notato già nel 1608 e risultava condotto dalla famiglia Amato, con l’economo Giovanni Bernardino (ASCS – Notai – De
Arriotta Orazio – 7 marzo 1608 – f.45). V’è poi da far menzione di una chiesa di “Santa Maria dell’Ospedale” di
Amantea, attiva nel lontano 1498, ove figurava beneficiato (benché “porzionario”) altro Amato (o De Amato),
Giovanni Francesco nella circostanza (F.Russo – “Regesto…”, cit. , Vol. III, p.121, 6 ottobre 1498, N.14086).
18
Essa risultava provvista, nel 1673, al rev. Don Stefano Moccia di Tropea (ASCS – Notai – Carvano Natale – 25 aprile
1673 – ff.164-165). Ne ha fatto menzione anche P. Francesco Russo (“Regesto…” cit. – Vol. VII, p.357, N.37511, 4
giugno 1655), il quale però ha attribuito al Don Stefano di cui innanzi il cognome “Macrino” ed al suo immediato
predecessore, Ambrogio, quello di “Morcino” (Moccia, entrambi, a parer mio).
19
Tale don Pietro Picicci (sua rivela).
16
9
Il rione che ci apprestiamo a “visitare”, che qui assume la denominazione di “quartiere delle porte”
per la presenza appunto di quei varchi e, un po’ più avanti, di “Santa Maria la Campana”
(dall’edificio di culto che contrassegna l’ambito di riferimento almeno dal XV secolo 20 ), conta
complessivamente 65 fuochi e una popolazione di 296 abitanti, pressoché equamente ripartiti tra
maschi (149) e femmine(147). Solo il 44,90 % dei 49 capifuoco appartenenti alla categoria dei
“cittadini” (che qui hanno un’età media di 42 anni), abita casa propria. Il resto è in fitto con esborsi
medi per la pigione di 33,60 carlini annui, in linea sostanzialmente con quelli praticati in tutto il
“Catocastro” che mediamente sono di 33,42 carlini per anno (tabella n.5). In quanto all’attività
economica esercitata dai medesimi, esclusi gli 8 capifamiglia “nobilmente viventi”, si segnala una
netta prevalenza di addetti all’agricoltura (15) - come nell’intero abitato (tabella n.2) - e, in ordine
decrescente, alle arti e mestieri (11), ai trasporti (8) ed al commercio (3). Due sono i capifuoco
applicati nelle libere professioni e altrettanti nelle attività marinare o pescherecce. Degli altri 16
capifamiglia presenti nel contesto, 11 appartengono alla categoria degli “ecclesiastici secolari” e 5 a
quella delle “vedove e vergini”. Sono poi presenti in zona due “luoghi pii” di patronato laico.
In merito alla distribuzione del reddito, esso, per i “cittadini” capifuoco, è mediamente di 70,27
once. Solo quattro di loro, tutti appartenenti al ceto nobiliare, contano su un reddito netto
eccedente, per ciascuno, le 200 once. Altri undici, invece, non superano ognuno le 12 once.
Aerofotogrammetria di Amantea
(stralcio con modifiche)
Legenda delle aree cerchiate in prossimità dei manufatti corrispondenti a :
1. Il mulino Mileti - 2. Le porte della città - 3. La casa Sances - 4. La chiesetta di San Giovannello - 5. Il palazzo
Mileti - 6. Il palazzo Grilluzzi – 7. La chiesa parrocchiale di S.M. la Campana – 8. Il palazzo Fava – 9. Il palazzo
Amato – (10 – Il chiostro e il monastero di S.Chiara) - 11. Un tratto delle mura di cinta e del cammino di ronda.
20
Cfr. F.Russo – “Regesto …”, cit., Vol.II, p.340, 12 dicembre 1454, n.11353
10
Siamo dunque entrati in città e, subito, c’imbattiamo nella chiesetta di San Giovanni, altrimenti
detta di “San Giovannello”, di diritto di patronato della famiglia Amato, cui spetta appunto il Jus
Conferendi. L’attuale beneficiato è il Reverendo Abate Don Tommaso Amato che abita poco
lontano e sul quale avremo ancora modo di intrattenerci.
Volgiamo ora il nostro sguardo alla casa su tre livelli, con oratorio di famiglia al suo interno e
frantoio oleario al piano terra, abitata dai fratelli don Francesco e Don Giulio Mileti. Il primo, a
capo di una famiglia comprendente ben diciotto individui. Il secondo, sacerdote secolare, con
propria posizione (o fuoco) ed unico suo membro.
Don Francesco è ammogliato con donna Caterina Maradei. I due hanno avuto sei figli. Il
primogenito, don Giovanni Battista, studia a Napoli, dove dimora pure, sebbene di tanto in tanto,
“per affari di casa”, don Saverio, fratello del capofuoco. Il resto della famiglia è composto da altri
quattro tra fratelli e sorelle dello stesso don Francesco. Completano il gruppo i domestici, volante
compreso, il quale precede la carrozza o la portantina del padrone per sgombrargli o solo per
rischiarargli la strada.
Un po’ più avanti, la casa, con sei camere e magazzini sottostanti, abitata dalla famiglia di don
Pietro Picicci che, coniugato con donna Teresa Morelli di Fiumefreddo 21 , ha procreato cinque figli,
fra i quali : don Antonio che è “al servizio di S.M. (D.G.)”, e il secondogenito, don Tommaso, che
ha sposato donna Agnese Quinziani, al momento senza prole.
L’abitazione che ora ci viene davanti è quella di don Orazio Iacuzzi. Il suo palazzo confina proprio
con la suddetta dimora di don Pietro Picicci (al quale egli è imparentato trasversalmente, avendo
una Iacuzzi, Barbara per l’esattezza, sposato un Quinziani) e, oltre al capofamiglia, ospita le di lui
sorelle e la comune zia di costoro. Non manca naturalmente la “donna di casa”.
Ci troviamo ora nel pieno del quartiere detto di “Santa Maria la Campana” (per la già menzionata
chiesa parrocchiale, retta da qualche anno da Don Carlo Gracco 22 ed ove è innalzato l’altro
beneficio laicale sotto il titolo di San Giovanni Battista, di patronato della famiglia Mirabelli), per
notare l’abitazione dei fratelli Grilluzzi : Don Vito Antonio , sacerdote secolare, a capo di fuoco
proprio fra gli ecclesiastici secolari e il barone e dottor di leggi don Diego, coniuge di donna
Carmela Sirgiovanni, originaria della città di Monteleone 23 , dalla quale ha avuto quattro figli.
Coabitano con loro, la comune madre, donna Dianora Pagliuso, proveniente da Majone, 24 e le tre
sorelle di entrambi, ancora in “capillis”, come le due Sances incontrate prima.
Su don Diego grava l’onere del mantenimento della cappella della SS. Annunziata di patronato
della sua famiglia ed eretta dentro la stessa Chiesa parrocchiale di Santa Maria la Campana (che è
prossima alla sua dimora e “sotto le case” del barone Fava, per l’esattezza, che incontreremo di qui
a poco).
Indi la casa “palaziata” 25 , cortile compreso, ove insiste “la fossa per stipar grano” del sacerdote
Don Saverio Servellicchia e quella (confinante) abitata da Nicola Ruggiero, che di mestiere fa lo
“speziale manuale”, il quale però manipola le “robbe” (ovvero le droghe) "di Padron Serafino Di
Positano e di Padron Serafino Di Pace" (ambedue forestieri ed estranei al censimento), dunque per
conto terzi.
Altro “speziale manuale” operante in zona, stavolta in proprio però, è Nunziato Perciavalle che
annualmente investe nella sua attività 30 ducati in merci, traendone la rendita di 7 ducati annui
(pari al 23 % ca. del capitale impiegato), i quali compensano, pressoché interamente, l’annualità di
21
L’attuale Fiumefreddo Bruzio, in Provincia di Cosenza.
Cfr. Notar Ferraro Saverio, 14 gennaio 1749, f.4 (in ASCS – Notai).
23
L’odierna Vibo Valentia, capoluogo dell’omonima Provincia.
24
Frazione dell’attuale Comune di Altilia, in Provincia di Cosenza.
25
Di più piani e vani, i cui “bassi” (unici vani a piano terra) ed i “mezanili” (unici vani seminterrati), venivano quasi
sempre concessi in locazione al personale di servizio occupato alle dipendenze dei proprietari degli immobili e/o a
famiglie fra le meno abbienti del luogo (che non potevano certo permettersi esborsi elevati per la pigione).
22
11
80 carlini dovuta dal capofuoco al locale Monastero di Santa Chiara per il concessogli prestito di
100 ducati. 26
Proseguiamo ora il nostro cammino per imbatterci nello stabile, notevole per dimensioni e pregio,
abitato dal barone don Francesco Fava e dal di lui fratello, il Reverendo Abate Don Bartolomeo
Fava, del clero secolare, il quale è provvisto del beneficio sotto il titolo di Santa Maria degli Angeli
di patronato dei Cozza, altra famiglia patrizia del periodo, che non faremo in tempo ad “incontrare”
però.
Don Francesco è a capo di un fuoco di ben quattordici individui. Fuori da quello, vi è altro Fava, il
Molto Reverendo Padre Francesco, Maestro ed ex Guardiano del locale monastero di San Francesco
d’Assisi, nonché ex Provinciale dell’Ordine.
Don Francesco Fava, vedovo di donna Lucrezia Camaldi, è un signore di 66 anni ed ha con sé il
figlio primogenito, don Daniele, sindaco del ceto nobile della città e dottor di leggi, il
secondogenito, don Matteo, e la sorella, donna Diana.
Don Daniele è ammogliato con donna Candida Ferrari, patrizia cosentina, dalla quale ha avuto sette
figli, tutti in tenera età. Non mancano naturalmente i collaboratori domestici, di ambo i sessi.
Superata poi la casa dei signori Cordone, don Gaetano con la moglie Serafina Palmieri, e Don
Gioacchino, sacerdote secolare, notiamo il palazzo di proprietà di Domenico Antonio Gagliardi
che di professione fa il notaio regio ed ha a carico cinque figli. Tra i quali, Tommaso che studia a
Napoli e Francesco Saverio, dottor di leggi, coniuge della napoletana Barbara Pirozzi. Altro figlio
del capofamiglia, il sacerdote Don Giovanni, abita per sé. Come altrove dimora il servitore di
livrea di casa, tale Vincenzo Guadagnuolo.
Il nostro percorso in questo segmento dell’antico quartiere di Catocastro va completandosi con la
visione delle case “palaziate” di don Tommaso Carratelli, “Rettore e Governatore” della locale
confraternita del SS. Rosario, notoriamente operante all’interno della chiesa del convento di San
Francesco d’Assisi, e di don Carlo Ranieri.
Don Tommaso, abita con la domestica le stanze al piano superiore, essendo quelle inferiori e la
stalla affittati ad altri. Il Ranieri, invece, col fratello e la sorella, piuttosto comodamente v’è da
ritenere : componendosi la sua casa di ben 12 membri (o vani).
Attigua al palazzo di don Tommaso Carratelli (e alla dimora di Antonio Vairo, che fa il barbiere),
c’è l’abitazione del sacerdote secolare Don Saverio Pirillo (quest’ultimo, regolarmente stipendiato
dal locale Collegio dei Padri Gesuiti con 20 ducati annui, tenendovi scuola in favore dei fanciulli
della città e celebrandovi la messa domenicale e festiva) e, nei pressi di quella, la casa “in più
membri”, di un altro ecclesiastico, il sacerdote Don Diego Simari, il quale coabita con la madre e
due sorelle. Sotto a questa, il basso abitato dal vaticale 27 Natale Vasquez, “per carità” dello stesso
Don Simari.
Superata poi la casa e la bottega “lorda”, ove si pratica il commercio di “robbe commestibili”, 28
condotta da Bonaventura Miraglia, siamo ormai al cospetto del palazzo della famiglia che fa capo a
don Francesco Maria Amato, ove risiede pure il reverendo sacerdote Don Tommaso Amato.
Il posto dove dimorano i fratelli Amato è noto come “sotto il sedile”, essendo ubicato appunto al di
sotto di quel luogo fisico dove un gruppo di nobili oligarchi decide delle sorti della città.
Don Francesco Maria ha con sé la moglie, donna Raffaella Carratelli di 14 anni più giovane. Hanno
una figlia, Emilia, di appena un anno di età, accudita dalla nutrice.
26
Il che è coerente coi tassi (compresi, appunto, tre il 7 e l’8% del capitale mutuato, o dato a “censo”) praticati ad
Amantea dagli enti ecclesiastici e/o da facoltosi cittadini del luogo (sul tema, si veda l’importante testo del Placanica :
“Moneta Prestiti Usure nel Mezzogiorno Moderno”, Napoli, 1982 e, per quel che concerne particolarmente il Monastero
amanteano delle Clarisse, il capitolo III : “Attività economiche e vita spirituale tra Sei e Settecento”, del già citato
volume del Savaglio, a p.91 e segg). Così come risponde perfettamente a criteri di ordinarietà la percentuale attribuita
alla rendita tratta in loco dagli esercenti l’attività commerciale sui capitali investiti “in negozio” (ovvero in merci),
aggiratesi appunto attorno al 20 % o poco più.
27
Mulattiere, vetturale.
28
O di generi per l’alimentazione.
12
Completano il nucleo familiare due figlie di primo letto del capofamiglia, il molto Reverendo Padre
Vincenzo Maria Amato, Lettore dei Padri Predicatori e Priore del Convento dell’Ordine in Cosenza,
la zia, donna Cinzia Percacciante ed i domestici.
L’Abate Don Tommaso Amato, nel quale ci siamo imbattuti in prossimità delle porte della città,
nella prospiciente chiesetta di San Giovannello per l’esattezza, costituisce fuoco a sé stante. Egli è
il parroco della locale chiesa di San Pietro 29 oltre che “confessore e governatore” nel Monastero di
Santa Chiara limitrofo alla sua abitazione. E non è tutto, perché lo stesso Don Tommaso si fregia
pure di essere “Ministro e Luogotenente” del vescovo di Tropea, mons. Felice de Paù, la cui
Mensa, in città e dintorni, possiede taluni cespiti tra i quali, oltre al già notato mulino con tutti “li
jussi” di normanna concessione, va ricordata l’esazione della decima di mare (o del pesce) per la
pesca praticata nei giorni di festa.
^^^^^^^^^^^^^
Sono costretto a fermarmi qui. Era solo un saggio come avevo avvertito, o, se volete, solo uno dei
modi possibili di utilizzare la fonte catastale per l’approccio alla realtà amanteana di metà
Settecento, della quale non potevo far altro che fornirvi uno “spaccato” come suol dirsi.
Abbiamo “percorso” solo 385 delle ca. 4.750 tomolate di terra fertile inventariata, “incontrando”
solo 20 dei complessivi 331 abitanti presenti nella parte rustica, i quali invece sono corrispondenti
al 17% circa della complessiva popolazione censita (che, ecclesiastici regolari compresi, è di 1955
individui 30 : tabella n.3). Abbiamo colto, lì, la prevalenza della coltura gelsicola, il che si
conferma nell’intero comparto, ove notasi pure una notevole presenza del ficheto, il cui prodotto
secco si commercia sui mercati dell’entroterra e della stessa capitale del Regno. L’una e l’altra
coltura occupano, assieme, il 53,41 % della superficie totale (tabella n.4).
Siamo “entrati” in città, “visitando” solo una parte del “Catocastro”, nemmeno considerando perciò,
né l’altro quartiere (più popolato ed economicamente più florido del precedente : tabella n.5) detto
“Paraporto”, né tanto meno quello ancora in via di formazione della “Marina”, ove non vi sono che
11 fuochi. Abbiamo “incontrato”, di conseguenza, solo 296 residenti di quelli inurbati in una
Amantea che è cresciuta caoticamente, presentandosi estremamente compressa all’interno della sua
cinta urbica e dell’ampio cammino di ronda ancora intatti, con una scarsa offerta, quindi, di case (e
di botteghe), la proprietà delle quali è in poche mani. Similmente a quanto abbiamo colto per la
proprietà terriera, del resto (tabella n.6).
Abbiamo intravisto quanto impari fosse la distribuzione del reddito (tabella n.7) e come e da chi
venisse esercitata l’attività creditizia. Abbiamo parlato di servi, di volanti, di servitori di livrea, di
nutrici, cogliendo anche qui l’alto tenore di vita degli abbienti, intenti a sollazzarsi nelle loro sale
illuminate o a conversare e banchettare lautamente, e la condizione abitativa (e non solo !) di quei
29
Il cui titolo è annesso alla parrocchiale chiesa di San Biagio, a Paraporto.
I dati numerici riportati in questa e nelle altre tabelle (e nel testo, naturalmente) devono intendersi finali giacché
frutto di calcoli da me operati sull’intero documento catastale, quindi anche su quelle parti (su tutte) inspiegabilmente
inserite nell’onciario pertinente ad Aiello e da lì estrapolate, come già detto, grazie alla cortese segnalazione del prof.
Fausto Cozzetto. Eventuali piccoli scostamenti degli stessi (nella stragrande maggioranza dei casi, solo di qualche
decimale) rispetto a quelli forniti nella mia relazione (“Amantea prima dell’assedio napoleonico”, pubblicata a cura di
A. Savaglio in “Amantea eroica. Fatti e …”, cit, fra le pp.9 e 28) pronunciata nell’agosto del 2007, sono dovuti perciò
alla parzialità degli elementi all’epoca in mio possesso. Peraltro, mi preme rammentare che, nel corso del mio
intervento, risalente, lo ripeto, all’agosto del 2007, avevo avuto l’accortezza di chiarire che i dati da me forniti erano la
conseguenza di mie elaborazioni “ad oggi”, ovvero a quel momento (cfr. “Amantea eroica. Fatti e …”, cit., p.21).
Sottolineo, benché superfluo, che l’assoluta irrilevanza di tali scostamenti (quando presenti), non solo non inficia ma
nemmeno scalfisce, perciò, i concetti da me espressi in quella circostanza, né riforma, nemmeno in minima parte, le
conclusioni da me tratte nell’occasione medesima e riportate nelle pagine 18 e segg. del volume sopra citato, nella parte
che a me compete. Gli uni e le altre, dunque, si confermano qui nella loro interezza.
30
13
sottoposti, occupanti (nemmeno gratis peraltro) i “bassi” ed i “mezanili” dei palazzi dei loro
padroni.
Abbiamo capito, io credo, quanto fosse disuguale la società amanteana dell’epoca, con pochi
individui presso i quali erano concentrati i mezzi di produzione e la stragrande maggioranza di
quelli che viveva invece ai limiti della pura sussistenza, o giù di lì (ivi).
Ce l’aspettavamo in verità !
Ma altre categorie, altri personaggi stanno pian piano venendo su : già ne percepiamo il peso
economico ed il ruolo che vanno assumendo nell’Amantea del tempo. Assistiamo di già ad una
crescente scolarizzazione dell’infanzia che con gradualità andrà a lenire il diffuso analfabetismo
dell’epoca (tabelle nn.2, 5 e 7) ed al sorgere, qua e là, di altre case “palaziate”.
Nel “Catocastro”, quelle del medico, don Giuseppe Vecchi, del dottor di leggi, don Diego Grilluzzi
e del notaio don Domenico Antonio Gagliardi. Nel “Paraporto”, quelle dei possidenti, don Giuseppe
Belverio e don Giovanni Tommaso Pellegrino; del sacerdote Don Francesco Veltri, cappellano del
regio castello; di don Bonifacio Brancati, anch’egli dottor di leggi, e di Teresa Pagliaro, moglie
dell’assente don Antonio Metallo, ufficiale dell’esercito di S.M. (“D.G.”). Un ceto emergente, col
quale la locale nobiltà dovrà giocoforza fare i suoi conti e che finirà con l’eroderle gran parte dei
privilegi goduti e, perciò, l’influenza e il prestigio conquistati nel tempo. 31
Infatti, giova rammentarlo, corre il 1754 e, come altri hanno giustamente sostenuto, “l’anno zero
del processo di dissoluzione delle strutture economiche del feudalesimo nel Mezzogiorno” è ormai
trascorso da un pezzo. 32 Siamo nel pieno di quella singolare stagione di riforme che si completerà,
è vero, col “decennio francese”, ma che, per dirla col prof. Villani, lascerà comunque, anche in
Calabria, anche ad Amantea, “un felice ricordo del regno di Carlo di Borbone” 33 .
Reggio Calabria, 30 ottobre 2008
Sergio Chiatto
31
E’ quanto ho già avuto modo di sottolineare nell’ambito del convegno di studi tenutosi ad Amantea lo scorso mese di
agosto (2008) ad iniziativa dell’Arciconfraternita dell’Immacolata Concezione, con argomento : “Sviluppo urbano e
residenze nobiliari ad Amantea tra Medioevo ed Età Moderna”, concludendo il mio intervento vertente appunto sulle
caratteristiche abitative della nobiltà amanteana nel Settecento. Gli atti di quell’incontro saranno pubblicati quanto
prima nei “Quaderni” della medesima Congrega, solitamente curati dal suo priore, Gregorio Carratelli, e da Antonello
Savaglio ed Elisabetta Mazzei.
32
P.Arlacchi – “Classi sociali, sviluppo economico e questione contadina in Calabria tra la seconda metà del Settecento
e il 1848”, in P. Arlacchi (a cura) – “Territorio e Società – Calabria 1750-1950”, Cosenza, 1978, p.17.
33
Ivi. Inutile dire che, sull’argomento, esistono tesi ampiamente consonanti, su vari testi bibliografici. Fra tutti, mi
piace qui ricordare il denso volume di Ilaria Zilli (“Carlo di Borbone e la rinascita del Regno di Napoli. Le finanze
pubbliche 1734-1742”, Napoli, 1990), presentato dal prof. Luigi De Rosa.
14
Tabella n.1
I COMPRENSORIO
“CATOCASTRO”
ARICELLA
ATTORRE
CASTELLUCCIO
CHIMENTI (LI)
FIUMARA*
PALLICE*
PANTANI
Gelso
(tom.)
3,88
Olivo
(tom.)
Bosco/
Pasc.
(tom.)
Vite
(tom.)
Agrumi
(tom.)
Non
indic.
1,00
25,00
40,00
68,50
44,00
POLIANO (CON :
CANNAMASCHITA
CHIORIO
MONACO
S.M. DE LO RETO E
VALL.DELLO RANGO)
RAVA
S. SOSPIRATO
TOTALE
Fico
(tom.)
116,38
13,25
10,00
10,00
6,00
21,50
16,00
101,75
3,50
22,00
1,00
7,50
5,00
16,00
39,50
3,50
25,00
2,75
82,00
43,75
7,50
5,00
28,50
Totale
tomol.
4,88
25,00
40,00
3,50
120,75
10,00
95,00
45,50
24,25
16,00
384,88
* : luogo con abitazioni di “cittadini” di Amantea
15
Tabella n.2
LA POPOLAZIONE MASCHILE E FEMMINILE ATTIVA DISTINTA PER SETTORE
SETTORE DI
MASCHI
MASCHI
DONNE
TOTALE
%
ATTIVITA’
CAPIFUOCO NON CAPIF. NON CAPIF.
AGRICOLTURA
121
53
174
25,44
ALTRI
8
56
57
121
17,69
(SERVI/E,CAMERIERI/E,
NUTRICI, ETC)
PESCA
ARTI E MESTIERI
ECCL.REGOLARI
ECCL.SECOLARI
52
56
TRASPORTI
COMMERCIO
28
45
31
26
SCOLARI/STUDENTI
LIB.PROFESSIONI
10
NOBILI VIVENTI
SOLDATI
ORD.SERVIENTE (*)
CORRIERI (**)
LUNARI (***)
VEDOVE E VERGINI
L. PII DEL PAESE
L. PII FORESTIERI
TOTALE FUOCHI
26
11
3
24
5
3
1
1
FUNZIONARI REGI
TOTALE
DECREPITI (°)
12
6
28
19
379
5
26
20
5
435
1
1
222
6
83
64
62
54
47
45
42
29
24
15
3
1
1
1
1
684
9,36
9,06
7,89
6,87
6,58
6,14
4,24
3,50
2,19
0,44
0,15
0,15
0,15
0,15
100,00
(*) Una sorta di messo comunale dei giorni nostri. Nel caso di specie, colui , tale Saverio Pasca, era analfabeta.
(**) Incaricato del trasporto della corrispondenza pubblica; addetto a recapitare messaggi, messaggero, portaordini.
(***) Astrologo.
(°) Inabili al lavoro
Tabella n.3
LA POPOLAZIONE CENSITA DISTINTA PER AMBITO TERRITORIALE DI RIFERIMENTO
AMBITO T. DI RIFERIMENTO
FUOCHI MASCHI
FEMMINE
TOTALE
%
PARAPORTO
194
450
447
897
46
CATOCASTRO
137
296
298
594
30
CAMPAGNA
64
166
165
331
17
MARINA
11
35
23
58
3
LUOGHI PII DEL PAESE
20
24
35
59
3
NON INDIV.
4
11
5
16
1
TOTALE
430
982
973
1.955 100
LUOGHI PII FORESTIERI
5
TOTALE FUOCHI
435
16
Tabella n.4
LA CAMPAGNA DI AMANTEA DI META’ ‘700 DIST.PER COLTURE ARB. PREVALENTI
Fico
Olivo Bosco/ Semin. Vite Agrumi Non ind. Totale
CAMPAGNA Gelso
(tom.)
(tom.)
(tom.) Pascolo (tom.) (tom.) (tom.)
(tom.)
tomol.
(tom.)
Comprensori
(I – IX)
1.284,76
Altri (*)
TOTALE
61,00
929,75 579,55 278,00 201.50 20.25
783,00 1.206,25
1.345,76 1.187,75 621,80 296,00 204,00 61,75
9,00 1.017,75 4.743,81
(28,37)
42,25
(25,04) (13,11)
18,00
234,75 3.537,56
2,50 41,50
(%)
258,00
9.00
(6,24)
(4,30) (1,30)
(0,19)
(21,45) (100,00)
(*) Possessioni di “cittadini” di Amantea “li quali non anno (sic) voluto fare le di loro rivele e si sono appurate col libro
dell’Apprezzo” (f.216 e segg. dell’Onciario) più altre rivelate (e appurate) di “cittadini” di Lago e Serra (d’Aiello)
“bonatenenti” (detentori di beni) nel territorio di Amantea (ivi, ff.225-241)
Tabella n.5
IL REDDITO NETTO MEDIO DEI CAPIFUOCO DISTINTO PER AMBITI TERRITORIALI DI RIFERIMENTO
AMBITO T. DI
RIFERIMENTO
PARAPORTO
CATOCASTRO
CAMPAGNA
MARINA
TOTALE
NON INDIV.
L. PII DEL PAESE
L. PII FORESTIERI
TOTALE FUOCHI
N. FUOCHI
194
137
64
11
406
4
20
5
435
ETA’ M
DEL C.F.
41
44
43
41
ALFAB.
%
28
40
2
COMPOSIZ.
MEDIA DEL
FUOCO
CASA
PROPRIA
%
5
4
5
5
34
47
19
CANONE
M. PER
L’ABITAZ.
40,42
33,42
28,80
REDDITO
M. DEL
C.F.
100,60
69,06
35,64
19,23
17
Tabella n.6
LA DISTRIBUZIONE DELLA PROPRIETA’ TERRIERA PER CTG ECONOMICHE
ESTENSIONE (IN TOMOLATE)
CATEGORIE ECON.
%
NOBILI VIVENTI
2.197,08
46,32
ECCLESIASTICI SECOLARI
449,80
9,48
LUOGHI PII
242,50
5,11
LIBERI PROFESSIONISTI
162,50
3,43
ADDETTI AL COMMERCIO
57,50
1,21
ALTRI
1.634,43
34,45
TOTALE
4.743,81
100,00
Tabella n.7
LA DISTRIBUZIONE DEL REDDITO DEI C.F. PER SETTORE DI ATTIVITA’ ECONOMICA
MASCHI
ETA’ M
ALFAB.
COMPOSIZ.
CASA
CANONE REDDITO
SETTORE DI
CAPIFUOCO
DEL C.F.
MEDIA DEL PROPRIA
M. PER
M. DEL
%
ATTIVITA’
FUOCO
%
L’ABITAZ.
C.F.
NOBILI VIVENTI
45
45
98
8
91
106,67 335,99
LIBERE PROF.
10
50
100
8
90
150,00 104,29
COMMERCIO
26
42
15
4
23
88,44
86,96
ECCL.SECOLARI
28
45
100
1
89
72,70
58,04
TRASPORTI
31
39
10
5
16
39,96
33,56
AGRICOLTURA
121
42
2
5
20
27,55
28,64
ARTI E MEST.
56
40
30
5
29
40,55
25,86
PESCA
52
39
4
17
24,41
21,05
ALTRI (SERVI/E,
10
43
10
4
10
20,70
14,02
CAMERIERI/E,ETC) *
DECREPITI (°)
TOTALE
VEDOVE E VERGINI
L. PII DEL PAESE
L. PII FORESTIERI
TOTALE FUOCHI
5
384
26
20
5
435
54
46
8
4
20
21,75
3,80
3
31
24,75
18,04
* Ivi compresi il “corriere” e l’ “ordinario serviente” c.f.
(°) Inabili al lavoro
18
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I centri storici calabresi: politica, territorio, società