IL DEFICIT VISIVO PROGRESSIVO: ORIENTAMENTO AD UNA DIAGNOSI
DIFFERENZIALE COMPLESSA
Livello intermedio
Direttore: S. Bianchi Marzoli
Istruttori: Stefania Bianchi Marzoli, Arturo Carta, , Paola Ciasca, Barbara Giambene, Gemma
Tremolada
Introduzione
Nella pratica clinica l’oftalmologo spesso deve gestire problematiche di difficile inquadramento
clinico-diagnostico poiché molte condizioni patologiche presentano aspetti clinici simili.
Pertano è fondamentale impostare un corretto iter diagnostico che consenta in primo luogo di
eseguire un accurato esame neuroftalmologico e successivamente di mirare la richiesta di esami
strumentali specifici, spesso molto indaginosi sia per tempo che costo.
Il corso ha come scopo quello di fornire gli elementi clinici di base per potere formulare delle
ipotesi diagnostiche e per la differenziazione tra le diverse patologie di pertinenza
neuroftalmologica e retinica, responsabili di deficit visivo progressivo, attraverso l’ illustrazione di
vari quadri clinici.
Neuropatie ottiche compressive o glaucoma?
Esistono forme di neuropatia ottica secondarie alla presenza di processi occupanti spazio che
comprimono e inducono sofferenza delle fibre del nervo ottico. Sono per lo più forme tumorali, che
possono svilupparsi dagli elementi stessi del nervo ottico oppure da strutture ad esso adiacenti.
Tuttavia esistono anche forme secondarie ad anomalie vascolari o a fenomeni infiltrativi cronici di
origine infiammatoria.
Clinicamente si caratterizza da un progressivo deficit della funzione visiva, con calo dell'acuità
visiva, deficit della percezione dei colori (discromatopsia) e pattern perimetrici spesso
patognomonici di lesione posteriore intracranica quando estesi con rispetto del meridiano verticle.
Possono associarsi deficit della motilità oculare estrinseca e, quando la lesione è intraorbitaria,
esoftalmo e segni di congestione orbitaria. L'aspetto oftalmoscopico del disco ottico può essere
diverso a seconda della sede della compressione del nervo; qualora questa sia anteriore si può
sviluppare edema del disco ottico, mentre se si tratta di una compressione posteriore, il nervo ottico
mostrerà, almeno nelle fasi iniziali, un aspetto normale. Nelle fasi tardive, indipendentemente dalla
sede della lesione, il nervo apparirà pallido, fino all'atrofia diffusa, con spesso associato un aumento
dell’ escavazione.
A fronte di un sospetto clinico l'esame clinico prevede un accurata raccolta anamnestica e un
accurato esame obiettivo neuroftalmologico completo di diagnostica strumentale quale la perimetria
computerizzata (SAP) e l’ esame OCT RNFL e GCC (SD-OCT); da eseguire in seguito uno studio
neuroradiologico mediante risonanza magnetica con Gadolinio mirata alla valutazione del nervo
ottico in tutto il suo decorso, intraorbitario e intracranico.
La TC può essere considerata un esame complementare alla RM, in grado di fornire informazioni
aggiuntive e a volte dirimente nei casi di dubbio diagnostico, in grado di identificare la presenza di
calcificazioni periottiche tipiche in caso di meningioma del nervo ottico; recentemente anche la
PET si è dimostrata indicata nello studio dei meningiomi della guaina del nervo ottico.
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La prognosi oltre ad essere funzione della causa determinante la neuropatia, è strettamente correlata
alla durata e all'entità della compressione.
I tumori primitivi del nervo ottico sono rappresentati dai gliomi e dai meningiomi. Le forme
secondarie sono quelle che coinvolgono il nervo ottico provenendo da localizzazioni adiacenti e
comprendono i glioblastomi, i meningiomi di origine intracranica, i retinoblastomi e le neoplasie
metastatiche.
I gliomi del nervo ottico costituiscono la più frequente causa di neuropatia ottica compressiva nel
bambino e sono spesso associati a neurofibromatosi di tipo I; determinano riduzione della funzione
visiva ed esoftalmo, mostrano lenta progressione e impongono trattamento chirurgico quando hanno
tendenza allo sviluppo verso il canale ottico e il distretto intracranico.
I meningiomi del nervo ottico originano dal rivestimento meningeo del nervo; si manifestano
tipicamente con deficit della funzione visiva, atrofia ottica e shunt ottico-ciliari (vasi collaterali che
drenano il sangue venoso dalla retina alla coroide). Come per i gliomi, il trattamento chirurgico è
indicato solo quando mostrano tendenza alla crescita intracanalicolare o intracranica; allo stato
attuale una valida alternativa è costituita dal trattamento radiante mediante radioterapia
stereotassica frazionata.
Anche le neoplasie a partenza della regione sellare (adenomi ipofisari, meningiomi del tubercolo
sellare) possono determinare compressione a livello del tratto intracranico del nervo ottico.
Accanto alle forme tumorali, vanno ricordate le forme vascolari, in particolare gli aneurismi (più
frequenti quelli della arteria cerebrale anteriore, comunicante anteriore ed oftalmica) e le
malformazioni vascolari del nervo ottico (emangiomi capillari, cavernosi e racemosi).
Da menzionare la neuropatia ottica compressiva secondaria a conflitto neurovascolare il cui
sospetto diagnostico è confermato mediante imaging neuroradiologico di RM.
Anche l'orbitopatia tiroidea può determinare, nelle sue fasi più avanzate, una neuropatia ottica
compressiva secondaria all'ispessimento dei muscoli extraoculari a livello dell'apice orbitario.
La neuropatia ottica glaucomatosa tipicamente associata ad ipertensione intraoculare o le forme di
glaucoma a tensione normale possono entrare in diagnosi differenziale sia per le modalità di
presentazione clinica che decorso.
Da ricordare anche la neuropatia ottica vascolare cronica spesso associata ad un condizione di
ipoperfusione a carico delle strutture nervose del nervo ottico che osserviamo nei pazienti con una
condizione clinicamente dimostrata, mediante esame Holter pressorio, di una brusca ipotensione
notturna.
Neuropatie ottiche ereditarie
Le neuropatie ottiche eredodegenerative comprendono un gruppo eterogeneo di atrofie ottiche su
base ereditaria nelle quali è costantemente presente un marcato deficit funzionale del nervo ottico.
Le modalità di trasmissione sono diverse. Ricordiamo qui di seguito le principali.
Neuropatia ottica autosomica dominante (ADOA). E’ la forma più comune; si caratterizza per un
deficit visivo che insorge nella prima infanzia e mostra un carattere lentamente progressivo, con
stabilizzazione del quadro intorno ai 10 anni. Sono tuttavia possibili casi ad esordio tardivo dopo i
40 anni. La compromissione visiva è bilaterale, anche se può essere asimmetrica, con scotoma
centrale e deficit della percezione dei colori (discromatopsia). L'esame del fondo oculare mostra un
pallore del disco ottico ed aumento dell'escavazione tipicamente temporale, con assottigliamento
dello strato delle fibre nervose specie a carico del fascio papillo-maculare. L’esame OCT RNFL e
GCC mostra quasi sempre un precocissimo e selettivo danno a carico del complesso ganglionare
retinico.
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Solitamente questa forma di neuropatia eredodegenerativa è isolata e i pazienti godono di buona
salute generale; tuttavia sono stati segnalati casi associati a ritardo mentale, sordità, polineuropatia
periferica.
Nella maggior parte dei casi è secondaria alla mutazione a carico del gene OPA1 che codifica per
una proteina della membrana mitocondriale interna.
Neuropatia ottica autosomica recessiva Si tratta di un’ affezione estremamente rara, che si
manifesta alla nascita (congenita) oppure nei primi anni di vita (infantile) con grave riduzione
bilaterale dell'acuità visiva, fino alla cecità, ed è associata quasi sempre a nistagmo. L'esame del
fondo oculare mostra una marcata atrofia ottica associata ad accentuazione dell’ escavazione del
nervo ottico. A fronte di un sospetto clinico, è sempre indicato eseguire uno studio neuroradiologico
mediante risonanza magnetica, al fine di escludere lesioni compressive intracraniche.
Esistono forme associate a deficit neurologici importanti (atassie ereditarie) o quadri clinici
complessi (diabete insipido centrale, diabete mellito, sordità, ritardo mentale come nella sindrome
di Wolfram).
Neuropatia ottica ereditaria di Leber (LHON). Si manifesta in giovani adulti, (ma possibile a
qualsiasi età) prevalentemente di sesso maschile (può manifestarsi anche in soggetti di sesso
femminile); è determinata da mutazioni puntiformi a carico del DNA mitocondriale trasmesse per
via maternolineare. L'entità del deficit visivo sembra essere correlata alla percentuale di mitocondri
che presentano la mutazione e alla eventuale presenza di fattori epigenetici scatenanti (abuso di
alcool o fumo) e/o alla prresenza di deficit metabolici (Vit B12 e/o Folati).
La sintomatologia è caratterizzata da riduzione dell'acuità visiva acuta o subacuta, monolaterale o
bilaterale, rapidamente progressiva; se si presenta monolateralmente, il coinvolgimento dell'occhio
controlaterale può verificarsi in un intervallo variabile, ma solitamente da qualche settimana a
qualche mese. Il campo visivo mostra un profondo scotoma centrale. L'esame oftalmoscopico può
mostrare in fase acuta un nervo ottico iperemico a margini sfumati (pseudoedema) con
microteleangectasie (dilatazioni e tortuosità) dei vasi paripapillari; nelle fasi croniche appare
evidente una atrofia settoriale a carico del settore temporale del disco ottico ed una perdita delle
fibre nervose del fascio papillomaculare. L’esame OCT RNFL e GCC mostra quasi sempre un
precocissimo e selettivo danno a carico del complesso ganglionare retinico.
Il sospetto diagnostico può essere confermato dallo studio del DNA mitocondriale: in particolare
circa il 90% dei casi di LHON è secondario ad una della tre mutazioni del DNA mitocondriale
geneticamente determinate, 3460G>A, 11778G>A, 14484T>C che coinvolgono il complesso della
catena respiratoria mitocondriale. Si tratta solitamente di una forma isolata, tuttavia in alcuni casi si
può associare a coinvolgimento del sistema nervoso centrale (Leber plus) . La prognosi è variabile,
potendosi anche verificare un miglioramento spontaneo. E' importante evitare il consumo di alcool
e di fumo e associare una terapia di supporto con Vit B 12 e Folati.
La terapia medica con Idebenone si è dimostrata una potenziale strategia terapeutica in grado di
migliorare l’ entità del deficit visivo in termini di recupero dell’ AV nel 45% dei pazienti entro sei
mesi dall’inizio della stessa; il trattamento si è inoltre dimostrato privo di effetti collaterali e ben
tollerato.
Distrofie retiniche occulte
Le retinopatie centrali o generalizzate hanno caratteristiche cliniche che spesso possono essere
confuse o entrare in diagnosi differenziale con le neuropatie ottiche. Questo soprattutto quando si
considerano le forme di retinopatia occulta, per definizione difficilmente diagnosticabili alla sola
esplorazione del fundus, poiché la retina può apparire di aspetto normale.
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Presentazione comune alle due patologie è proprio un calo progressivo della funzione visiva che
presenta caratteristiche confondenti: riduzione dell’acuità visiva centrale, discromatopsia, scotoma
centrale, fotofobia, difetti perimetrici sovrapponibili, nonostante esistano segni clinici caratteristici
che aiutano a differenziarle o quanto meno indirizzano il sospetto diagnostico.
Nella fase diagnostica gli strumenti che possono aiutare un corretto orientamento sono sicuramente
una attenta anamnesi ed un esame neuroftalmologico completo, ma la diagnosi di retinopatia non
può prescindere da indagini strumentali fondamentali quali:
1) Esami elettrofisiologici (ERG full field, PERG, PEV): sono in grado di dimostrare l’alterata
risposta dei fotorecettori, discriminando tra disfunzione che può interessare esclusivamente i
bastoncelli, i coni od entrambi. Nel sospetto di retinopatia centrale occulta che quindi coinvolge
prevalentemente il sistema dei coni, tramite l’elettroretinogramma multifocale (ERGmf) è inoltre
possibile individuare l’entità del danno e localizzare topograficamente i settori maculari coinvolti
2) analisi SD-OCT: fornisce informazioni ultrastrutturali della retina e dei suoi segmenti ( strati
retinici interni e strati retinici interni) attualmente con una alta risoluzione, fondamentali nella fase
di diagnosi di retinopatia, e soprattutto di ausilio in corso di diagnosi differenziale. Sono infatti noti
e descritti pattern tomografici tipici per diverse distrofie retiniche centrali e generalizzate.
3) Analisi in Autofluorescenza e Infrarosso: le immagini della retina ottenute tramite questa
indagine forniscono informazioni di ordine metabolico che riguardano l’epitelio pigmentato retinico
e quindi le strutture fotorecettoriali sovrastanti importanti non solo per il valore diagnostico ma
anche prognostico in corso di retinopatia.
Le retinopatie, soprattutto quelle occulte, esordiscono in modo non omogeneo manifestandosi con
difetti strutturali anche in presenza di una funzione retinica normale, o con un difetto funzionale
anche in assenza di danno ultrastrutturale. Questo rende ragione della necessità di effettuare tutte le
indagini strumentali descritte per un corretto e precoce inquadramento.
L’insieme delle informazioni cliniche/strumentali ci permettono infine di orientarci anche nella
determinazione della possibile patogenesi.
Le retinopatie, e soprattutto quelle definite ‘occulte’ riconoscono genesi diverse tra le quali citiamo
distrofie retiniche centrali/generalizzate
1. geneticamente codificate: retinopatie di carattere eredo familiare, per alcune delle quali sono note
mutazioni genetiche specifiche
2. di natura autoimmune: processi degenerativi della retina innescati dalla presenza di Ab antiretina
3. paraneoplastiche: retinopatie secondarie alla presenza di neoplasie tra le quali il melanoma (
MAR: melanoma-associated retinopathy) o cancro che può interessare diversi organi (CAR: cancer
associated retinopathy)
Spesso il processo di diagnosi diventa quindi multidisciplinare prevedendo la collaborazione con
altri specialisti ( genetista, internista, oncologo…) per raggiungere una definizione.
Deficit di origine non organica
La diagnosi di questa entità clinica richiede un’ accuratezza di indagini atte ad escludere la natura
organica del disturbo visivo. Spesso alla base di questa patologia esiste un tratto psicologico
patologico o, in altri casi, aspetti legali spesso secondari a traumi.
Si tratta di una condizione patologica in cui il dato soggettivo inerente i sintomi visivi lamentati dal
paziente non trova nessun corrispettivo con il dato oggettivo inerente sia l’esame obiettivo
neuroftalmologico che la diagnostica strumentale. L’esaminatore spesso denota un particolare
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atteggiamento del paziente nel corso della visita, così come utilizza strategie di esame utili a
smascherarlo.
Nella maggior parte dei casi il paziente lamenta una perdita della visione, intesa sia come ridotta
acuità visiva che come perdita del campo visivo mono o bilaterale.
Non esiste un pattern perimetrico tipico in quanto questa categoria di pazienti è in grado di simulare
difetti del campo visivo assolutamente variabili, anche se quello maggiormente riprodotto, nella
pratica clinica, risulta essere il restringimento concentrico o a spirale delle isoptere ed il
restringimento a quadrifoglio; la peculiarità consiste nella scarsa ripetibilità dell’esame.
Proprio per questa tipicità di pattern perimetrico questa patologia può entrare in diagnosi
differenziale con varie forme di retinopatia sia eredo-degenerativa che paraneoplastica (CAR).
Diversi termini clinici sono stati utilizzati, in passato, per classificare questa entità patologica quali
ambliopia psicogena, ambliopia isterica o cecità isterica.
L’iter clinico diagnostico deve necessariamente escludere tutte le cause di patologia e quindi deve
essere completo di diagnostica strumentale quale perimetria computerizzata, OCT (RNFL e GCC),
esami elettrofisiologici (PEV, PERG ed ERG) e diagnostica neuroradiologica.
Il percorso diagnostico e terapeutico è multidisciplinare e richiede spesso l’integrazione del quadro
obiettivo neuroftalmologico con una valutazione psicologica e/o psichiatrica di supporto.
Particolare attenzione va dedicata all’approccio terapeutico-psicologico nei confronti di questa
categoria di pazienti.
Una volta ipotizzata e confermata la natura del disturbo visivo lamentato dal paziente il clinico deve
avere la massima attenzione a rassicurare il paziente sulla normalità dell’ esame obiettivo, sulla
negatività delle indagini eseguite e sulla reversibilità e temporaneità del quadro clinico patologico.
Spesso il paziente viene indirizzato ad una valutazione psicologica specialistica di supporto che
mira ad identificare la causa scatenante il disturbo visivo.
Deficit di origine chiasmatica e retro chiasmatica
Le lesioni primitive e secondarie del chiasma determinano il pattern perimetrico tipico bitemporale.
Le patologie a carico delle vie ottiche retro chiasmatiche sono spesso caratterizzate da pattern
perimetrici patognomonici ed in alcuni casi si associano ad altri sintomi neurologici.
Il chiasma ottico è una struttura a localizzazione intracranica che nasce dall'unione dei due nervi
ottici e dà origine posteriormente ai tratti ottici; è alloggiato al di sopra della sella turcica dell'osso
sfenoide, che contiene il corpo della ghiandola ipofisaria, ed è in stretto rapporto con i vasi del
circolo di Willis.
La disposizione delle fibre nervose del chiasma è tale da spiegare i difetti perimetrici secondari a
lesioni di questa struttura, siano esse primitive o secondarie. All'interno del chiasma ottico si
uniscono le fibre visive che provengono da ciascun nervo ottico; le fibre temporali hanno un
decorso diretto e si portano al tratto ottico dello stesso lato, mentre le fibre nasali decussano e si
portano al tratto ottico controlaterale. La manifestazione più caratteristica di danno del chiasma
ottico è un difetto del campo visivo bilaterale dell'emicampo temporale che corrisponde a
sofferenza delle fibre nasali crociate.
La funzione del chiasma ottico può essere alterata (sindrome chiasmatica) dalla presenza di processi
patologici primitivamente a carico del chiasma stesso, come neoplasie (gliomi) o lesioni
infiammatorie-demielinizzanti (sarcoidosi , sclerosi multipla), oppure che interessano le strutture
endocraniche adiacenti, come neoplasie endo e perisellari (adenoma ipofisario, craniofaringioma,
mengioma dello sfenoide), malformazioni arterovenose (aneurismi del circolo di Willis) o processi
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flogistici meningei della base. Gli adenomi ipofisari sono la causa più frequente di sindrome
chiasmatica.
Nella sindrome chiasmatica in fase iniziale il deficit campimetrico è bilaterale, ma spesso
asimmetrico, e corrisponde ad una qudrantanopsia o emianopsia bitemporale. L'acuità visiva è
solitamente normale, ma può andare incontro ad una compromissione di entità variabile al persistere
della noxa patogena. Può essere presente diplopia binoculare da paralisi dei nervi oculomotori III,
IV, VI, secondaria a compressione o invasione del seno cavernoso da parte della lesione. E'
possibile anche la comparsa di nevralgia trigeminale. Altri sintomi possono essere la cefalea e, nei
casi di adenoma ipofisario secernente, le disfunzioni endocrine variabili a seconda dell'ormone
prodotto.
Il sospetto diagnostico si fonda sul riscontro di pattern perimetrici patognomonici; l'aspetto
oftalmoscopico è spesso normale, potendo mostrare solo nelle fasi tardive un pallore settoriale o
diffuso della testa del nervo ottico (atrofia ottica). La diagnosi eziologia richiede uno studio
neuroradiologico mediante RM mirata allo studio della regione sellare.
La terapia è differenziata a seconda della causa determinante la sindrome chiasmatica. Il trattamento
degli adenomi ipofisari è prevalentemente chirurgico, con approccio per via transfenoidale o per via
transcranica nelle lesioni di maggiori dimensioni o con carattere infiltrativo. Le recidive o i residui
possono essere trattati con radiochirurgia stereotassica frazionata e in alcuni casi anche con
radioterapia convenzionale.
La prognosi visiva è generalmente buona nei casi diagnosticati precocemente ed è funzione del
danno causato dalla lesione, espressione dell'entità e della durata della compressione.
Le vie ottiche retrochiasmatiche (tratto ottico, corpo genicolato laterale, radiazione ottica e corteccia
occipitale) veicolano le fibre che originano dalla metà temporale della retina omolaterale e dalla
metà nasale della retina controlaterale, in modo tale che ogni via contenga le informazioni
provenienti dallo spazio visivo controlaterale. Questa distribuzione anatomica rende ragione del
difetto bilaterale omonimo (dello stesso lato) che si verifica nei casi di danno a carico delle vie
ottiche retrochiasmatiche. L'acuità visiva è solitamente conservata e l'aspetto del fondo oculare è
normale. Poiché spesso viene riferita una sensazione di calo visivo monolaterale, a carico
dell'occhio del quale è coinvolto l'emicampo temporale, solo un esame neuroftalmologico completo
consente di rivelare la presenza di un difetto del campo visivo suggestivo di patologia del sistema
nervoso centrale.
Il danno delle vie ottiche retrochiasmatiche che si trovano nei lobi temporale e parietale è quasi
sempre associato ad altri sintomi neurologici diversamente da quello che coinvolge la porzione più
posteriore che si trova nel lobo occipitale esclusivamente dedicato alla visione. Le cause più
frequenti di danno delle vie ottiche retrochiasmatiche sono di origine ischemica, neoplastica,
congenita-malformativa, infiammatoria e infiltrativa.
La corretta gestione del paziente in cui si sospetta un danno delle vie ottiche retrochiasmatiche, oltre
ad una valutazione neurologica, richiede uno studio neuroradiologico completo mirato a valutare la
presenza e la natura della lesione. La prognosi visiva è funzione del meccanismo patogenetico della
lesione, dell'entità e della durata del danno, e dall'eventuale possibilità di eliminare la causa
determinante.
In base alla sede anatomica della lesione possiamo avere pattern perimetrici e quadri clinici
peculiari:
Lesioni del Tratto ottico
I tratti ottici originano posteriormente al chiasma, si dirigono posteriormente e lateralmente,
circondando i peduncoli cerebrali per terminare principalmente a livello del corpo genicolato
laterale. Una lesione del tratto ottico isolata è piuttosto rara e solitamente è determinata da patologie
che coinvolgono anche il chiasma ed eventualmente i nervi ottici; l'emianospia è in questo caso
caratterizzata da una forte incongruità. Tipicamente si osserva una anomala reazione pupillare,
chiamata difetto pupillare relativo afferente, che localizza la lesione a livello del tratto ottico
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controlaterale all'occhio che mostra tale riflesso. Nelle fasi croniche si può riscontrare
oftalmoscopicamente un pallore settoriale della papilla ottica, secondario alla degenerazione
retrograda delle fibre nervose e cellule ganglionari.
Lesioni del Corpo genicolato laterale
Il corpo genicolato laterale si trova a livello talamico ed è la sede in cui le fibre visive che originano
dalle cellule ganglionari retiniche entrano in sinapsi con i neuroni i cui assoni andranno a costituire
le radiazioni ottiche. Una lesione isolata del corpo genicolato è rara. In questi casi non sono presenti
alterazioni della funzionalità pupillare né modificazioni dell'aspetto del disco ottico. Il difetto
perimetrico, omonimo, è a spicchi o a clessidra secondo la peculiare distribuzione retinotopica
delle cellule neuronali.
Lesioni della Radiazione ottica
Dal corpo genicolato laterale origina la radiazione ottica, le cui fibre superiori (che veicolano
informazioni relative all'emicampo inferiore) si dirigono direttamente verso la corteccia occipitale
attraverso il lobo parietale, mentre le fibre inferiori (che portano informazioni provenienti
dall'emicampo superiore) formano un'ansa intorno al sistema ventricolare a livello del lobo
temporale (ansa di Mayer) prima di raggiungere la corteccia occipitale. Una lesione che interessa il
lobo parietale provocherà di conseguenza un difetto omonimo dell'emicampo inferiore
controlaterale (quadrantopsia omonima inferiore), mentre una lesione del lobo temporale,
provocherà pertanto un difetto nel quadrante superiore (quadrantopsia omonima superiore). Spesso i
sintomi visivi si associano a disturbi neurologici, quali emiplegia, afasia, agnosia, allucinazioni,
epilessia.
Lesioni della Corteccia visiva
La corteccia visiva primaria è localizzata a livello del lobo occipitale, e comprende un'area visiva
primaria (corteccia striata), situata superiormente e inferiormente alla scissura calcarina, e due aree
associative (corteccia parastriata e peristriata). La maggior parte dell'area visiva primaria è deputata
alla visione maculare (porzione posterolaterale); mentre al livello della corteccia che si trova lungo
la fessura intraemisferica è rappresentato il campo visivo perifericoIl quadro clinico delle lesioni
occipitali è caratterizzato dalla congruità del difetto omonimo del campo visivo, che può presentarsi
anche sottoforma di scotomi e quandrantopsie. Tipico delle lesioni occipitali è il risparmio
maculare, che si caratterizza per la conservazione dei 5-10° centrali, funzione della duplice
vascolarizzazione del polo occipitale e della rappresentazione bilaterale della regione maculare.
Quando la lesione si localizza bilateralmente nelle vie ottiche retrogenicolate o alla corteccia striata
si parla di cecità corticale, che prevede il deficit completo delle funzioni visive, con riflessi pupillari
conservati e normale aspetto del fondo oculare. Segni neurologici associati, indice di estensione alle
aree visive adiacenti e alle vie di associazione, sono rappresentati da allucinazioni visive e
anosognosia visiva (il paziente non riconosce la propria cecità). Le patologie responsabili di questo
quadro clinico sono di natura vascolare ischemica, meno frequentemente di origine infettiva o
tossica (da monossido di carbonio).
In molti casi oltre alla RM encefalo può essere utilizzata anche la SPECT cerebrale in grado di
rilevare fini alterazioni a carico del metabolismo tissutale cerebrale nelle patologie cerebrovascolari
ed in quelle indotte da agenti tossici.
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