Studi osservazionali
Infezione da Chlamydia pneumoniae
e da Helicobacter pylori nell’infarto
miocardico acuto
Giuseppe Di Tano, Isa Picerno*, Maria Luisa Calisto*, Santi Antonino Delia*,
Pasqualina Laganà*, Pasquale Spataro*
Divisione di Cardiologia, Azienda Ospedale Piemonte, Messina, *Dipartimento di Igiene e Medicina Preventiva,
Università degli Studi, Messina
Key words:
Acute myocardial
infarction;
Chlamydia pneumoniae;
Helicobacter pylori.
Background. Increasing evidence suggests an acute or chronic linkage between infection and acute
coronary syndromes. The aim of this study was to assess the frequency of Chlamydia pneumoniae (CP)
and Helicobacter pylori (HP) antibodies in patients with angiographically defined acute myocardial
infarction and in population controls. Case patients and controls were drawn from the same geographic area (city of Messina and its province).
Methods. Blood samples were collected in 206 incident cases of acute myocardial infarction presenting to the Coronary Care Unit (196 men, 10 women, mean age 58 ± 7 years) in the period from
March 1997 to June 1999. Case patients were selected if they were non-smokers, non-diabetic and if
they had no history of hypertension. The control group consisted of 142 healthy subjects, without a
known history of smoking, diabetes, and hypertension. Controls were matched to acute myocardial
infarction patients for age, sex and socio-economic status. Commercial ELISA assay was used to measure IgG antibody to HP (positive titer > 8 IU/ml) and indirect immunofluorescence method was used
to assess IgG antibody anti-CP (IgG titer > 1:64 was considered a marker of chronic infection).
Results. No significant difference was observed in the frequency of HP antibodies in acute myocardial infarction patients and in the control group (43.3 vs 41.5%, p = NS, odds ratio-OR 1, 95%
confidence interval-CI 0.7-1.6). On the contrary, CP titers were increased in 83% of acute myocardial
infarction patients, and in 57% of control subjects (p < 0.001, OR 3.6, 95% CI 2.2-5.7). In acute myocardial infarction patients seropositivity for CP was associated with increased basal fibrinogen levels (539 vs 445 mg/dl). No correlation was found between seropositivity to CP and C-reactive protein,
and with total or fractionated cholesterol and triglyceride concentrations.
Conclusions. The present data indicate that, in our sample, acute myocardial infarction was associated with an increased frequency of CP seropositivity. The presence of CP antibodies was not associated with elevated levels of C-reactive protein. Our data support the need for controlled studies to
investigate the role of these infective agents as a trigger of acute coronary syndromes.
(Ital Heart J Suppl 2000; 1 (12): 1576-1581)
Ricevuto il 24 maggio
2000; nuova stesura il
26 luglio 2000; accettato
l’1 agosto 2000.
Introduzione
Per la corrispondenza:
Dr. Giuseppe Di Tano
Via Consolare Pompea, 283/C
98168 Messina
E-mail: [email protected]
Numerosi studi epidemiologici, anatomo-patologici e clinici hanno riportato
l’esistenza di un’associazione positiva tra
una pregressa infezione e l’insorgenza di
cardiopatia ischemica1-3. Tale evidenza,
anche se proveniente da ricerche abbastanza eterogenee tra loro, ha riguardato
soprattutto la Chlamydia pneumoniae
(CP) e l’Helicobacter pylori (HP) che risultano tra i principali agenti infettivi sospettati di essere coinvolti nel determinismo dell’aterosclerosi e di avere un ruolo
scatenante nell’instabilizzazione della
cardiopatia ischemica1-4. Comunque, nonostante l’associazione sia stata confer1576
mata in popolazioni diverse, si registrano
alcune discrepanze derivanti sia dai differenti disegni degli studi che dai differenti
approcci metodologici applicati nella determinazione o nel dosaggio degli anticorpi. In particolare, ampie discordanze esistono sulla definizione di sieropositività e
quindi sui livelli sierologici anticorpali
specifici considerati positivi per infezione
pregressa da CP2. Inoltre è opportuno tenere presente che questo tipo di infezioni
sono oramai “comuni” e una sieropositività nei loro confronti, largamente presente in ampie fasce di età e più diffusamente
oltre i 50 anni1,2,4, è spesso associata ad altri fattori convenzionali di rischio coronarico quali il sesso, l’età, il fumo di sigaret-
G Di Tano et al - Infezioni ed infarto miocardico acuto
te, il diabete mellito, l’ipertensione arteriosa o la classe sociale4-9.
In questo studio caso-controllo si è valutata la frequenza di anticorpi anti-CP (> 1:64) ed anti-HP in un
gruppo di pazienti con infarto miocardico acuto e coronaropatia accertata, privi di alcuni tra i principali fattori di rischio coronarico ed in un gruppo di controlli sani, provenienti dallo stesso bacino geografico, appaiati
per sesso, età e status socio-economico.
indiretta (IF Test Kit, LabSystem OY, Helsinki, Finlandia) considerando preventivamente suggestivo di infezione un titolo anticorpale > 1:64. Per la ricerca degli
anticorpi anti-HP è stato utilizzato il metodo ELISA
(ELISA Kit, Genesis Diagnostic, Little Port, UK) considerando positivo un titolo > 8 UI/ml. La determinazione
dei titoli anticorpali è stata effettuata da un operatore all’oscuro dell’origine di appartenenza del prelievo.
I livelli di colesterolemia totale e frazionata e la trigliceridemia sono stati determinati con il metodo enzimatico standard; i valori di fibrinogeno basale sono stati misurati in accordo con il metodo di Clauss e i valori
di proteina C reattiva con il metodo nefelometrico.
Materiali e metodi
Oggetto dello studio sono stati i sieri di 206 pazienti, di età ≤ 65 anni (età media 58 ± 7 anni), 196 di sesso maschile e 10 di sesso femminile, ricoverati consecutivamente nella nostra Unità di Terapia Intensiva Coronarica (UTIC) nel periodo compreso tra marzo 1997
e giugno 1999, affetti da infarto miocardico acuto diagnosticato secondo i criteri convenzionali, con coronaropatia angiograficamente accertata durante il ricovero,
e quelli di 142 controlli, selezionati tra il personale sanitario e parasanitario sottoposti a periodici screening
preventivi per la sicurezza sul luogo di lavoro. I controlli, apparentemente sani ed esenti da recenti infezioni indagate anamnesticamente, appaiati per sesso, età e
status socio-economico (scolarità) provenivano, come i
casi, dallo stesso bacino geografico d’utenza (Messina
e provincia). Tra i casi e tra i controlli, criterio di esclusione era la concomitante anamnesi positiva per ipertensione arteriosa, diabete mellito e fumo di sigarette.
L’analisi sierologica è stata eseguita su un campione basale prelevato all’ingresso in UTIC per i casi e al
mattino, a digiuno, per i controlli. Nel prelievo all’ingresso dei casi è stato anche dosato immediatamente il
fibrinogeno, la colesterolemia totale e frazionata, la trigliceridemia e i valori di proteina C reattiva.
La ricerca degli anticorpi anti-CP (IgG) è stata effettuata mediante la tecnica dell’immunofluorescenza
Analisi statistica. Le frequenze anticorpali nei casi e
nei controlli sono state confrontate utilizzato il test 2.
I valori di proteina C reattiva, di colesterolemia, totale
e frazionata, di trigliceridemia e di fibrinogenemia sono stati confrontati nei casi per mezzo del test t di Student. L’associazione tra anticorpi CP e HP ed infarto
del miocardio è stata misurata tramite il calcolo degli
odds ratio (OR) ed i relativi intervalli di confidenza al
95% (IC 95%) sono stati calcolati utilizzando l’approssimazione di Cornfield. Il livello di significatività statistica era determinato allo 0.05.
Risultati
La frequenza di sieropositività per HP nella popolazione globale è stata del 42.5%, rispettivamente del
43.3% tra i casi infartuati e del 41.5% tra i controlli, con
differenza non significativa (OR 1, IC 95% 0.7-1.6)
(Tab. I).
Un elevato titolo anti-CP è stato evidenziato nel
72% della casistica globale ed in particolare nell’83%
dei pazienti con infarto miocardico acuto e nel 57% dei
controlli. Tale differenza era statisticamente significativa (p < 0.001, OR 3.6, IC 95% 2.2-5.7) (Tab. II).
Tabella I. Frequenza di sieropositività per Helicobacter pylori.
Soggetti sieropositivi
Soggetti sieronegativi
Soggetti
con IMA
Controlli
OR
IC 95%
p
89 (43.3%)
117 (56.7%)
59 (41.5%)
83 (58.5%)
1
0.7-1.6
NS
IC = intervallo di confidenza; IMA = infarto miocardico acuto; OR = odds ratio.
Tabella II. Frequenza di sieropositività per Chlamydia pneumoniae.
Soggetti sieropositivi
Soggetti sieronegativi
Soggetti
con IMA
Controlli
OR
IC 95%
p
170 (83%)
36 (17%)
81 (57%)
61 (43%)
3.6
2.2-5.7
< 0.001
Abbreviazioni come in tabella I.
1577
Ital Heart J Suppl Vol 1 Dicembre 2000
I valori all’ingresso di proteina C reattiva, della colesterolemia totale e frazionata, e della trigliceridemia
non presentavano differenze significative tra i casi sieropositivi e sieronegativi per CP (Figg. 1 e 2). Di contro, i pazienti sieropositivi presentavano valori medi più
elevati di fibrinogenemia rispetto ai sieronegativi (539
vs 445 mg/d, p < 0.001) (Fig. 3).
Discussione
mg/L
La possibilità che un’infezione pregressa da CP o da
HP possa rappresentare un fattore di rischio per l’aterosclerosi e/o un trigger per un’imprevedibile instabilizzazione della cardiopatia ischemica rappresenta
un’ipotesi affascinante che ha coinvolto numerosi ricercatori che hanno affrontato negli ultimi anni tale
problematica sia dal punto di vista strettamente istologico con la ricerca dell’agente infettivo nella placca e
sia siero-epidemiologico1-4.
Per quanto riguarda la CP, sin dalla prima evidenza
finlandese di Saikku et al.10 nel 1988, oltre 20 studi che
hanno coinvolto circa 2700 pazienti, più una metanalisi1, hanno confermato una consistente correlazione tra
sieropositività per CP e sindrome coronarica. Queste
conclusioni vengono rafforzate da un’altra recente metanalisi11 incentrata sui risultati di 16 studi che, con tecniche diverse (microscopia elettronica, immunoistochimica, biologia molecolare, culture microbiologiche),
hanno dimostrato la presenza di CP in un’elevata percentuale di placche aterosclerotiche di sede vascolare
diversa.
Di contro, due rilevanti studi di dimensioni sostanzialmente simili, uno inglese12 e uno americano5, entrambi studi nidificati caso-controllo di larghi studi
prospettici, hanno però messo in discussione l’esistenza dell’associazione tra sieropositività ed eventi coronarici acuti.
Queste discrepanze, legate in parte ai differenti disegni degli studi clinici, dipendono anche dalle difficoltà metodologiche e dai limiti connessi con la valutazione sierologica dell’infezione da CP. Tra i motivi fortemente limitanti vanno considerati la definizione stessa di sieropositività e la difficoltà tecnica di discriminare tra un’infezione acuta, cronica o una semplice esposizione pregressa e le rispettive loro implicazioni1,2,4,13.
Inoltre bisogna tenere presente, oltre all’elevata prevalenza di sieropositività alla CP nella popolazione generale1,2,4, che la prevalenza di specifiche IgG anti-CP
incrementa con l’età, e che più del 50% della popolazione di mezza età ha specifici anticorpi anti-CP nel
siero che probabilmente riflettono una duratura risposta
anticorpale all’infezione2,13.
Nel nostro studio si è cercato di ridurre al minimo i
bias legati al disegno caso-controllo14 evitando il disturbo di più potenziali fattori confondenti, arruolando
una popolazione appartenente allo stesso bacino geografico ed escludendo a priori soggetti fumatori, diabetici ed ipertesi, tutti elementi per i quali è stata riportata un’associazione con un’infezione pregressa alla CP5-9.
Inoltre, l’appaiamento tra casi e controlli effettuato per
sesso, età e stato socio-economico, ha consentito di ammortizzare ulteriori influenze confondenti4,9,13,15 ottimizzando le possibilità di confronto.
La determinazione anticorpale è stata effettuata con
il metodo dell’immunofluorescenza indiretta, ampiamente considerato il gold standard per la determina-
Figura 1. Concentrazione serica di proteina C reattiva (mg/l) nei pazienti con infarto miocardico acuto sieropositivi e sieronegativi per
Chlamydia pneumoniae.
Figura 2. Concentrazione di colesterolo totale e frazionato (mg/dl) e di
trigliceridi (mg/dl) nei pazienti con infarto miocardico acuto sieropositivi e sieronegativi per Chlamydia pneumoniae.
Figura 3. Valori di fibrinogenemia (mg/dl) nei pazienti con infarto miocardico acuto sieropositivi e sieronegativi per Chlamydia pneumoniae.
* p < 0.001.
1578
Ital Heart J Suppl Vol 1 Dicembre 2000
G Di Tano et al - Infezioni ed infarto miocardico acuto
positività ad entrambi provocava un innalzamento dei
livelli di proteina C reattiva. Queste ultime conclusioni sono confermate da autori italiani26 che osservarono come è l’associazione tra più infezioni oltre a quella per CP (ad esempio per il Cytomegalovirus) a collegarsi ad un aumento significativo dei valori di proteina C reattiva, aumentando il rischio di quasi 12 volte rispetto ai non infetti e di 5 volte rispetto ai portatori di una singola infezione.
Va comunque tenuto in considerazione che un elevato titolo anticorpale può indicare sia un’infezione in
fase attiva ma anche una cronica, o riflettere una precedente esposizione alla CP2. È probabile che a tali differenti condizioni corrisponda un diverso grado di risposta infiammatoria e quindi un contributo diverso all’instabilizzazione clinica.
Infine, l’associazione tra elevati livelli di fibrinogeno e sieropositività alla CP nei pazienti infartuati, conferma altre osservazioni simili e suggerisce un ultimo
elemento di riflessione.
Una correlazione tra persistente infezione da CP e
elevati valori di fibrinogenemia in pazienti con sindrome coronarica acuta è stata riportata indipendentemente da altri fattori di rischio valutati27. Il fibrinogeno oltre che un fattore fondamentale della cascata emocoagulativa è un indice di fase acuta che risulta normalmente elevato in corso di infezione28 e potrebbe esprimere anch’esso attivazione infiammatoria. Recentemente è stato riportato29 come il trattamento antibiotico
con claritromicina riduceva i livelli elevati di fibrinogeno specie tra i soggetti sieropositivi alla CP e all’HP
confermando l’interazione tra infezione, fibrinogeno e
cardiopatia coronarica.
Per quanto riguarda il ruolo di una pregressa infezione da HP, i nostri dati confermano quelli provenienti da una serie di recenti report che hanno ridimensionato l’importanza di questa associazione12,30,31. Non vi
è stata alcuna differenza tra controlli e casi riguardo alla frequenza di sieropositività (rispettivamente 41.5 vs
43.3%) con un OR simile a quello dello studio di Danesh et al.12, una volta aggiustato per vari fattori
confondenti.
Inoltre, i risultati di un ampio studio caso-controllo
tedesco32 su pazienti con coronaropatia stabile, mostrano soltanto una moderata associazione tra sieropositività al ceppo più virulento dell’HP e la presenza di coronaropatia, e l’associazione non risultava più statisticamente significativa dopo che l’analisi venne aggiustata per potenziali confondenti.
In conclusione, i nostri risultati, con i limiti insiti in
uno studio caso-controllo, indicano che una vasta maggioranza di pazienti con infarto miocardico acuto è stata esposta all’infezione da CP, anche se la sieropositività a questo agente infettivo non si associava ad una
condizione di attivazione infiammatoria sistemica segnalata da elevati valori di proteina C reattiva e supportano la necessità di ulteriori studi controllati e più estesi per far luce sul ruolo della CP e dell’HP come trigger
zione del titolo anticorpale anti-CP16, valutando il livello anticorpale IgG (e non delle IgA o IgM rivelatisi non
correlati con la presenza di CP ritrovata nelle coronarie
umane17) che è il marker utilizzato dalla maggioranza
degli studi e rappresenta il criterio di eleggibilità utilizzato dai trial di antibioticoterapia18,19. Anche se non è
noto se un titolo di 1:64 indica un maggior rischio rispetto a titoli più bassi20, l’aver preventivamente considerato positivo per infezione soltanto questo valore o
suoi superiori dovrebbe aver ulteriormente contribuito
a meglio caratterizzare la popolazione esaminata.
Nel nostro campione di soggetti normali la frequenza di sieropositivi per CP è risultata pari al 57% leggermente superiore a quella osservata in altre popolazioni1 e regioni italiane21,22. Il dato più significativo è
che anche tra la nostra casistica, costituita da casi tutti
con coronaropatia angiograficamente accertata, vi è
una “forte” correlazione tra sieropositività per CP e incidenza di infarto miocardico acuto (83 vs 57%, OR
3.6).
Per quanto riguarda le eventuali correlazioni con altri fattori di rischio, il profilo lipidico appare sostanzialmente immodificato rispetto alla sieropositività, nonostante sia stato evidenziato uno stretto legame tra CP
e profilo lipidico, considerando quest’ultimo uno dei
terminali su cui l’agente infettivo interverrebbe nella
patogenesi dell’aterosclerosi3,23. È probabile che l’analisi del profilo lipidico globale rappresenti una valutazione estremamente grossolana in quanto è stato recentemente osservato come un’infezione cronica da CP aumenti l’effetto proaterogeno delle lipoproteine(a) tramite la formazione di immunocomplessi circolanti contenenti specifici anticorpi anti-CP, in assenza di un’evidente associazione tra sieropositività e aumentato rischio di infarto miocardico6.
Inoltre nessuna correlazione è stata trovata tra i valori di proteina C reattiva basali e la sieropositività verso la CP. Di conseguenza, anche dai nostri dati e, come
sottolineato recentemente anche nello studio già citato
di Ridker et al.5, la dimostrazione di infezione non sembra tradursi in una risposta infiammatoria sistemica
quanto meno deducibile dagli elevati valori di proteina
C reattiva24.
Una marcata attivazione infiammatoria dovrebbe
rappresentare infatti la risposta evocata dallo stimolo
infettivo e il meccanismo principale con cui si innesca
il processo o la progressione dell’aterosclerosi e delle
sue complicanze4,22. Tale relazione non è stata però
confermata neanche da uno studio di Anderson et al.25
disegnato appositamente per correlare la proteina C
reattiva come marker di infiammazione con la sieropositività ad alcuni agenti infettivi tra i quali la CP e
l’HP. Infatti, se il significato di elevati livelli di proteina C reattiva come fattore di rischio per malattia coronarica venne ulteriormente confermato, di contro
non fu osservata alcuna associazione tra questo
marker e la presenza di una pregressa, singola, infezione da CP e HP: soltanto una contemporanea siero1579
Ital Heart J Suppl Vol 1 Dicembre 2000
nelle sindromi ischemiche acute. È da considerare comunque che la semplice presenza di anticorpi anti-CP
potrebbe, da sola, non spiegare il ruolo della CP nella
malattia coronarica, visto che gli studi siero-epidemiologici mostrano soltanto una possibilità di associazione
più che suggerire un preciso ruolo causale. Saranno
probabilmente i trial di prevenzione secondaria più
estesi tuttora in corso (WIZARD, MARBLE, ACES) a
meglio definire il ruolo della CP nella malattia coronarica33.
gioranza di pazienti con infarto miocardico acuto è stata esposta all’infezione cronica da CP anche se la sieropositività a questo agente infettivo non si è associata
ad una condizione di attivazione infiammatoria sistemica segnalata da elevati valori di proteina C reattiva e
supportano la necessità di ulteriori studi controllati e
più estesi per far luce sul ruolo della CP e dell’HP come trigger nelle sindromi ischemiche acute.
Parole chiave: Infarto miocardico acuto; Chlamydia
pneumoniae; Helicobacter pylori.
Riassunto
Bibliografia
Razionale. I risultati di numerosi studi epidemiologici, anatomo-patologici e clinici, concordano nell’indicare che una pregressa infezione, e la conseguente risposta infiammatoria indotta, possa avere un ruolo nella patogenesi delle sindromi coronariche acute. Scopo
di questo studio caso-controllo è stato valutare la frequenza di anticorpi anti-Chlamydia pneumoniae (CP)
ed anti-Helicobacter pylori (HP) in pazienti colpiti da
infarto miocardico acuto con riscontro angiografico di
coronaropatia.
Materiali e metodi. Sono stati esaminati i sieri prelevati all’ingresso in Unità di Terapia Intensiva Coronarica di 206 pazienti di età ≤ 65 anni (età media 58 ±
7 anni, 196 uomini e 10 donne, non fumatori, né diabetici o ipertesi) consecutivamente ricoverati per infarto
miocardico acuto dal marzo 1997 al giugno 1999 e confrontati con quelli appartenenti a 142 soggetti di controllo normali (non fumatori né diabetici o ipertesi), appaiati per età, sesso e status socio-economico e provenienti dalla stessa area geografica dei casi (Messina e
provincia). Tutti i campioni sono stati testati per gli anticorpi anti-CP, mediante la tecnica dell’immunofluorescenza indiretta, e per gli anticorpi anti-HP, tramite il
metodo ELISA considerando positivo un titolo > 8
UI/ml. Marker di infezione cronica per la CP è stato
preventivamente considerato un titolo di IgG > 1:64.
Risultati. Il 72% della popolazione totale è risultato
sieropositivo alla CP e il 42.5% all’HP. L’infarto non
era associato ad infezione da HP (43.3 vs 41.5%, p =
NS, odds ratio-OR 1, intervallo di confidenza-IC 95%
0.7-1.6). Al contrario un titolo anti-CP elevato è stato
evidenziato in 170 pazienti (83%) con infarto miocardico acuto e nel 57% dei controlli con una differenza
statisticamente significativa (p < 0.001, OR 3.6, IC
95% 2.2-5.7). La sieropositività per CP era associata
nei pazienti con infarto ad elevati valori basali di fibrinogeno (539 vs 445 mg/dl) mentre il profilo lipidico
(colesterolemia totale e frazionata e trigliceridemia) risultava sovrapponibile. Nessuna correlazione è stata
trovata con i valori di proteina C reattiva che rappresenta un marker altamente attendibile di infiammazione sistemica.
Conclusioni. Questi risultati, con i limiti insiti in
uno studio caso-controllo, indicano che una vasta mag-
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Studi osservazionali Infezione da Chlamydia pneumoniae e da