393 Il terreno PRINCIPALI CICLI IN NATURA DEGLI ELEMENTI NUTRITIVI DELLE PIANTE Il ciclo di un elemento in un sistema ecologico indica il percorso che esso subisce attraverso i vari componenti viventi e non viventi. In un sistema ecologico si distinguono quattro componenti fondamentali: la materia non vivente, i produttori di sostanza organica (gli organismi autotrofi), i consumatori (gli organismi eterotrofi) ed i decompositori (gli organismi che degradano e mineralizzano la materia organica). Fra questi componenti si realizza una continua circolazione di materia. Questa diviene di volta in volta, alternativamente e ciclicamente, costituente dei sistemi viventi e non viventi, secondo dei cicli che sono chiamati biogeochimici. I più importanti cicli sono quelli del carbonio, dell’azoto, dell’acqua, dell’ossigeno e della maggior parte degli elementi minerali di cui si nutrono le piante. In generale, con la morte degli organismi terrestri, gli elementi sono nuovamente incorporati nel terreno, in prevalenza sotto forma organica e non sono direttamente utilizzabili dalle piante. Si deve alle attività biochimiche della flora e della fauna, microscopica e macroscopica, che si alimenta del materiale organico del suolo, se gli elementi necessari alla nutrizione delle piante sono riportati ad uno stato energetico e chimico che ne rende possibile l’assorbimento da parte delle radici. Si stabilisce, in tal modo, un’interdipendenza essenziale tra le piante e gli esseri viventi nel terreno, i microrganismi in particolare, che sta alla base dei cicli degli elementi nutritivi. Affinché il ciclo degli elementi non subisca interruzioni o circuitazioni è necessario che le piante, cui spetta la fase anabolica o costruttiva del processo, ed i microrganismi del terreno, cui compete la fase catabolica o demolitiva del ciclo, costituiscano un sistema perfettamente integrato che permetta la rapida circolazione degli elementi. Le velocità con le quali si completa un ciclo biogeochimico sono molto diverse. Si calcola che tutta l’acqua del globo terrestre è decomposta dalle piante e ricostruita dalle cellule vegetali ed animali, in media, ogni due milioni di anni. Il ciclo dell’ossigeno si calcola in appena 2.000 anni e quello dell’anidride carbonica in soli 300 anni. L’azione dell’uomo tende a ridurre la lunghezza dei cicli naturali degli elementi, poiché mira ad un immediato utilizzo dei materiali che gli pervengono per l’agricoltura e per l’industria. Questo cortocircuito del ciclo indotto dalle azioni antropiche non deve avvenire, altrimenti s’innescano processi aciclici che spesso si risolvono in uno sperpero delle risorse naturali. Sono descritti, di seguito, i cicli biogeochimici di alcuni elementi nutritivi delle piante, strettamente connessi con il terreno. Ciclo del carbonio Il carbonio, elemento non metallico del quarto gruppo della tavola periodica, costituisce lo 0,08% della crosta terrestre. Il carbonio è un elemento molto particolare, poiché la sua spiccata capacità di combinarsi con sé stesso, per formare catene più o meno lunghe e ramificate, ne fa l’elemento fondamentale di tutti i composti organici e biologici. Il ciclo del carbonio prende origine dall’anidride carbonica dell’aria, con l’organicazione del carbonio da parte degli organismi autotrofi, attraverso il processo di fotosintesi clorofilliana delle piante. L’anidride carbonica è immessa continuamente Fiume Francesco 394 nell’atmosfera a seguito della combustione del carbonio, o dei suoi composti, in eccesso di ossigeno, e della respirazione, aerobica o anaerobica (fermentazione) degli organismi viventi. Le piante trasformano, mediante la fotosintesi, il carbonio minerale della CO 2 in composti organici più o meno complessi, come gli zuccheri, le emicellulose, le pectine, la chitina, la lignina. I microrganismi del terreno, a loro volta, convertono il carbonio organico di tali composti in carbonio minerale che ritorna, come anidride carbonica, all’atmosfera. Ma non tutto il carbonio minerale ritorna nell’atmosfera, perché una certa parte va a costituire la frazione organica del suolo, l’humus, la cui mineralizzazione avviene ad una velocità relativamente bassa. L’insieme dei processi di fotosintesi e di respirazione costituisce il ciclo del carbonio (figura 102). Il contenuto di CO2 nell’atmosfera è 0,03%, con tendenza a salire a causa della crescente industrializzazione che determina un aumento della combustione. L’aumento di CO2, che sarebbe maggiore se buona parte di essa non si sciogliesse negli oceani, causa l’aumento della biomassa vegetale ed una diminuzione della trasparenza dell’atmosfera, con conseguente forte riduzione della dispersione del calore terrestre (effetto serra). ANIDRIDE CARBONICA DELL’ATMOSFERA Combustione del carbonio Respirazione degli animali FOTOSINTESI CLOROFILLIANA Respirazione delle piante Alimento Respirazione delle radici Respirazione della pedofauna e della pedoflora Decomposizione dei detriti organici e degli organismi morti Fig. 102 – Schema del ciclo del carbonio in natura. Il primo gradino del ciclo del carbonio è la fotosintesi per la quale le piante verdi catturano l’energia solare e la trasformano in energia chimica. Le piante ed i prodotti vegetali sono le principali fonti alimentari per tutti gli organismi viventi della terra. La massa totale di organismi viventi, la biosfera, è molto piccola rispetto alle parti non viventi del pianeta; infatti, la crosta terrestre (litosfera) pesa 1,5⋅1019 t, gli oceani (idrosfera) 1,4⋅1019 t, l’atmosfera 5,1⋅1015 t, mentre la biosfera 395 Il terreno ammonta soltanto a 1,2⋅1012 t (peso secco). Nonostante la notevole differenza di peso, le attività degli organismi della biosfera contribuiscono in modo notevole al mantenimento ed all’attività della litosfera, idrosfera ed atmosfera. La quantità globale di anidride carbonica fissata ogni anno sulla terraferma (149⋅106 km2) è poco più di 110⋅1012 t, mentre quella fissata ogni anno dall’idrosfera (oceani, laghi e fiumi, per una superficie di 361,2⋅106 km2) è di 29,3⋅1012 t, per un totale di 139,3⋅1012 t (stime di produttività, cioè quantità di carbonio assimilato in materiale vegetale meno la perdita di carbonio dovuta ai processi respiratori). Se si confronta la quantità di carbonio fissato annualmente dalle piante terrestri ed acquatiche con quella usata dall’uomo sotto forma di carbone, petrolio e gas naturale è necessario utilizzare per quest’ultima un coefficiente moltiplicatore di 105 per ottenere, all’incirca, l’uguaglianza delle cifre, dimostrando che la fotosintesi vegetale è una grossa industria naturale. Il processo di fotosintesi avviene in presenza di luce e quindi, per la massima parte, al di fuori del terreno. Nel suolo di realizza, invece, il successivo gradino del ciclo del carbonio, ovvero la demolizione delle sostanze organiche prodotte con la fotosintesi vegetale, una volta che hanno svolto la loro funzione. Al terreno giungono i detriti organici e gli organismi morti contenenti i composti del carbonio. Fra i più importanti si ricordano gli zuccheri semplici, l’amido, la cellulosa, le emicellulose, le pectine e la chitina che vanno incontro al processo di degradazione, corrispondente alla fase catabolica del metabolismo del carbonio (la fase anabolica è la fotosintesi). Il catabolismo del carbonio si conclude con la mineralizzazione, cioè con la trasformazione finale in anidride carbonica che in parte viene fissata nel terreno come carbonato ed in parte ritorna nell’aria tellurica ed soprattutto in quella atmosferica. DEGRADAZIONE DEGLI ZUCCHERI SEMPLICI Gli zuccheri semplici sono costituiti principalmente da triosi, pentosi, esosi, a seconda che possiedono tre, cinque, sei atomi di carbonio e sono caratterizzati dal gruppo aldeidico –CHO (aldosi, come il glucosio) o dal gruppo chetonico =CO (chetosi, come il fruttosio). Insieme agli aminoacidi ed agli acidi organici costituiscono i componenti solubili e rappresentano circa il 5-30% dei tessuti vegetali. Gli zuccheri semplici sono rapidamente metabolizzati dai batteri aerobi del suolo con produzione finale di acqua ed anidride carbonica, secondo la via biochimica della normale respirazione. I prodotti intermedi sono l’acido piruvico, lattico e acetico. I funghi aerobi danno luogo ad acido citrico, ossalico, fumarico e succinico. I batteri anaerobi determinano la fermentazione degli zuccheri con produzione di acidi volatili con uno fino a cinque atomi di carbonio, di acido lattico (fermentazione lattica), di idrogeno, metano ed anidride carbonica. I funghi anaerobi producono acido fumarico ed alcool (ad esempio, la fermentazione alcolica dei saccaromiceti). I microrganismi del suolo utilizzano come fonte energetica gli zuccheri semplici che sono degradati in composti a tre, quattro e cinque atomi di carbonio (ad esempio il ribosio ed il desossiribosio), a loro volta impiegati nei processi biosintetici Fiume Francesco 396 protoplasmatici, con formazione di DNA, RNA e proteine diverse. Gli zuccheri, pertanto, sono sottoposti ai processi anaerobi di fermentazione che determinano una incompleta mineralizzazione, in relazione al fatto che l’accettore finale è una molecola organica ed il prodotto di riduzione si accumula e contiene ancora elevata energia libera. I processi di fermentazione che avvengono nel terreno sono particolarmente favoriti dalla presenza di accettori inorganici di idrogeno come gli anioni nitrici, solforici e carbonici, i sali di ferro quelli del manganese. Gli zuccheri, in ambienti aerobi, soggiacciono alla respirazione in cui l’accettore finale è l’ossigeno dell’aria e la molecola organica viene via via frammentata, fino alla completa mineralizzazione, con produzione di H2O e CO2. Nella situazione reale di degradazione degli zuccheri nel terreno si realizzano una serie di casi intermedi che vanno dai processi respiratori a quelli fermentativi, in proporzioni variabili in relazione alla disponibilità di ossigeno, del tipo di meccanismo glicolitico prevalente e delle associazione e successioni di microrganismi che intervengono. La biochimica degli zuccheri esosi avviene via glicolisi secondo EmbdenMeyerhof, con i cicli dell’esoso-monofosfato o del pentosio-fosfato, secondo la via di Entner-Doudoroff. La glicolisi secondo Embden-Meyerhof parte dal glucosio che viene fosforilato dall’ATP a glucosio-6-fosfato (ad opera dell’esochinasi), isomerizzato a fruttosio-6fosfato (fosfoesochinasi) ed ulteriormente fosforilato, sempre da ATP, a fruttosio-1,6difosfato o estere di Harden e Young (fosfofruttochinasi). Questo viene scisso in fosfodiossiacetone ed aldeide 3-fosfoglicerica (aldolasi), in equilibrio statistico tra loro, ad opera della triosofosfatoisomerasi. Il processo continua a carico dell’aldeide 3fosfoglicerica e man mano che quest’ultima si trasforma, in quanto impiegata nel proseguimento delle reazioni, il fosfodiossiacetone si modifica nel suo isomero, l’aldeide 3-fosfoglicerica. Questa è fosforilata ed ossidata ad acido 1,3-difosfoglicerico (fosfogliceraldeide deidrogenasi) il quale è defosforilato ad acido 3-fosfoglicerico (fosfoglicerilchinasi) che dà acido 2-fosfoglicerico (fosfogliceromutasi), acido fosfoenolpiruvico (enolasi), quindi, acido piruvico (piruvato chinasi). L’acido piruvico si trasforma in anidride carbonica ed aldeide acetica e quest’ultima ridotta in alcool etilico nella fermentazione (anaerobica). Oppure l’acido piruvico è completamente ossidato ad acqua ed anidride carbonica nella respirazione (aerobica). Lo schema ora descritto è il seguente: CHO CHOH CHOH CHOH CHOH CH2OH Glucosio CHO CHOH Esochinasi CHOH ATP→ ADP → CHOH ← → CHOH CH2O-H2PO3 Glucosio6-fosfato CH2OH C=O Fosfofrutto CHOH chinasi ATP→ ADP CHOH → CHOH CH2O-H2PO3 Fruttosio6-fosfato CH2OH2PO3 CH2OH2PO3 C=O C=O CHOH Aldolasi CH2OH ↑ ↓ Isomerasi CHOH ← → CHO CHOH CHOH CH2O-H2PO3 CH2O-H2PO3 Estere di Harden e Young Fosfodiossiacetone + Aldeide 3fosfoglicerica 397 Il terreno CHO 2NAD+PPi→ 2NADH CHOH ↑↓ → CH2O-H2PO3 Fosfoglicealdeide deidrogenasi Aldeide 3fosfoglicerica Enolasi ← → ↑↓ H2O COO-H2PO3 CHOH CH2O-H2PO3 Fosfoglicerilchinasi ADP→ ATP → ↑ 2ADP Acido 1,3-difosfoglicerico COOH C-O- H2PO3 CH2 COOH Fosfogliceromutasi CHOH ←→ CH2O-H2PO3 Acido 3fosfoglicerico Piruvato chinasi ADP→ ATP → ↑ 2ADP Acido fosfoenol-piruvico COOH CHO- H2PO3 ↔ CH2OH Acido 2fosfoglicerico COOH C=O CH3 Acido piruvico Nella fermentazione, l’acido piruvico si trasforma in anidride carbonica ed aldeide acetica, per azione della piruvico deidrogenasi. L’aldeide acetica è ridotta ad alcool etilico. Ciò avviene per azione del NADH (NAD ridotto), che si trasforma in NAD+ (NAD ossidato), e dell’enzima alcool deidrogenasi. Lo schema è il seguente: COOH C=O CH3 Piruvico decarbossilasi → CO2 + CH3CHO Aldeide acetica Acido piruvico Alcool deidrogenasi CH3CHO + NADH + H+ → CH3-CH2OH + NAD+ Alcool etilico Nella respirazione, l’acido piruvico procede attraverso la via del ciclo di Krebs, che prevede la formazione di una serie intermedia di acidi bicarbossilici e tricarbossilici, consumati e riformati in una sequenza di reazioni che avvengono in modo ciclico e che portano alla formazione metabolica di anidride carbonica ed acqua. La reazione generale, catalizzata da un complesso enzimatico talvolta chiamato deidrogenasi piruvica, richiede l’intervento di parecchi coenzimi, compresi tra questi il NAD+ ed il coenzima A. Fiume Francesco 398 Lo schema può così semplificarsi: COOH C=O CH3 + + CoASH + NAD Deidrogenasi piruvica → CH3-CO-S-CoA + CO2 + NADH Acido piruvico Vi sono parecchie differenze tra la fermentazione e la respirazione. La fermentazione comporta una scissione soltanto parziale del glucosio (fino ad alcool etilico ed anidride carbonica) e la trasformazione netta di due sole molecole di ADP ad ATP e di due sole molecole di NAD ridotte a NADH 2, per ogni molecola di glucosio trasformata in due molecole di acido piruvico. La respirazione determina la completa ossidazione dell’acido piruvico ad anidride carbonica ed acqua, mentre è prodotto un numero di molecole di ATP più elevato. Esaminando lo schema della glicolisi, da un punto di vista energetico, si riscontra assorbimento d’energia per il trasferimento di un gruppo fosforico dall’ATP alla molecola di zucchero (un ATP per ogni reazione), fino alla formazione delle due molecole a tre atomi di carbonio. Nelle reazioni successive si ha produzione d’energia. Quando l’aldeide 3fosfoglicerica si trasforma in acido 1,3-difosfoglicerico due molecole di NAD (nicotinamideadenindinucleotide) sono ridotte a NADH2, accumulando parte dell’energia liberata nell’ossidazione dell’aldeide 3-fosfoglicerica. Nelle successive reazioni, dove indicato, l’ADP è fosforilato ad ATP, con immagazzinamento di parte dell’energia che si libera nelle trasformazioni. Il guadagno energetico che si ottiene nella conversione di una molecola di glucosio a due molecole di acido piruvico è costituito da due molecole di NADH2 e da due molecole di ATP e, se due moli di acido piruvico possiedono una quantità d’energia di 546 kcal ed in una mole di glucosio sono presenti 686 kcal, l’energia accumulata è pari a 140 kcal. Esiste un’altra via di degradazione degli zuccheri semplici, come il glucosio, ed è quella generalmente chiamata via del pentoso fosfato, detta anche via dell’esoso monofosfato o via dell’acido fosfogluconico. La via del pentoso fosfato ha un ruolo secondario nella trasformazione del glucosio, rispetto alla via glicolitica e numerose stime fanno ritenere percentuali variabili che vanno da valori molto bassi fino al 30% del glucosio trasformato. La differenza fondamentale tra la glicolisi di Embden-Meyerhof e la via del pentoso fosfato sta nel coenzima dell’ossidoriduzione: nella glicolisi è il NAD, mentre nella via del pentoso è il NADP (nicotinamide adenin dinucleotide fosfato). La via del pentoso fosfato parte dal glucosio che si trasforma in glucosio-6-fosfato (esochinasi ed ATP che si trasforma in ADP), poi in 6-fosfoglucono-δ-lattone (mentre il NADP si trasforma dalla forma ossidata a quella ridotta), poi acido 6-fosfogluconico, quindi, in ribulosio-5-fosfato (6-fosfogluconico deidrogenasi, riduzione del NAD e produzione d’anidride carbonica). 399 Il terreno HCOH HCOH O HOCH HCOH HC CH2OH Glucosio HCOH C=O COOH HCOH HCOH HCOH Glucosio-6-fosfato O O Esochinasi HOCH deidrogenasi HOCH Lattonasi HOCH + H2O ATP→ ADP NADP+ → NADPH HCOH HCOH → → ←→ ← → HCOH - H2O HC HC HCOH CH2O-H2PO3 CH2O-H2PO3 CH2O-H2PO3 Glucosio6-fosfato 6-fosfogluconoδ -lattone CH2OH C=O 6-fosfogluconico deidrogenasi HCOH NADP+ → NADPH HCOH → ↓ CO2 CH2O-H2PO3 Acido 6-fosfogluconico CHO Ribosofosfato HCOH isomerasi HCOH ← → HCOH CH2O-H2PO3 Ribulosio-5-fosfato Ribosio-5-fosfato Il ribulosio-5-fosfato, a seguito dell’ossidazione del gruppo alcolico primario e riduzione del gruppo chetonico, dà ribosio-5-fosfato, poi utilizzato per la sintesi dei nucleotidi. I due composti sono mantenuti in equilibrio dall’enzima riboso-fosfatoisomerasi che consente lo spostamento della reazione verso destra man mano che il ribosio è impiegato nella sintesi dei nucletidi o, in altre circostanze, verso sinistra, quando il ribulosio è utilizzato in sottocicli costituiti dalla reazione di epimerizzazione, da quella della transchetolasi e da quella della transaldolasi, con formazione di frammenti da 3 a 7 atomi di carbonio per le sintesi aromatiche. Sono riportate l’epimerizzazione del ribulosio-5-fosfato e le reazioni della transchetolasi e della transaldolasi: CH2OH C=O HCOH HCOH CH2O-H2PO3 Ribulosio-5-fosfato Ribulosio fosfato-3-epimerasi ←→ CH2OH C=O HOCH CHOH CH2O-H2PO3 Xilulosio-5-fosfato Fiume Francesco CH2OH C=O HOCH HCOH CH2O-H2PO3 + Xilulosio-5-fosfato CH2OH C=O HOCH HCOH + HCOH HCOH CH2O-H2PO3 Sedoeptulosio-7fosfato CHO HCOH HCOH HCOH CH2O-H2PO3 400 Transchetolasi ←→ Ribosio-5-fosfato CHO Transaldolasi HCOH ←→ CH2O-H2PO3 Aldeide 3fosfoglicerica CH2OH C=O HOCH HCOH + HCOH HCOH CH2O-H2PO3 CHO CHOH CH2O-H2PO3 Sedoeptulosio-7Aldeide 3fosfato fosfoglicerica CH2OH C=O HOCH HCOH HCOH CH2O-H2PO3 CHO HCOH HCOH CH2O-H2PO3 Fruttosio-5fosfato Eritrosio-4fosfato Le reazioni della transchetolasi e della transaldolasi non solo catalizzano la conversione di pentosi ed esosi per la successiva degradazione nella glicolisi e nel ciclo di Krebs, ma rendono anche possibile, con l’aiuto di enzimi della sequenza glicolitica, l’interconversione di zuccheri a tre, fino a sette atomi di carbonio, mediante il trasferimento reversibile di gruppi a due o a tre atomi di carbonio. Una delle reazioni più importanti catalizzata dalla transchetolasi è: transchetolasi xilulosio-5-fosfato + eritrosio-4-fosfato ←→ fruttosio-6-fosfato + aldeide-3- fosfoglicerica in cui due intermedi della via dell’acido fosfogluconico possono essere convertiti reversibilmente in due intermedi della via glicolitica. In molti microrganismi del suolo la via dell’acido fosfogluconico è utilizzata per catalizzare la degradazione fermentativa dei pentosi, con una via che inizia con l’enzima fosfochetolasi, catalizzante la seguente 401 Il terreno reazione: fosfochetolasi xilulosio-5-fosfato + –H2PO3 ←→ aldeide-3-fosfoglicerica + acetil fosfato + H2O Quindi, un’enorme varietà di reazioni ossidative e di riduzione di zuccheri semplici può avvenire per l’azione di enzimi della via dell’acido fosfogluconico che interagiscono indipendentemente o in connessione con altri enzimi della via glicolitica. La via dell’acido fosfogluconico non è quindi una sequenza ben definita che porta ad un singolo e specifico prodotto finale, ma una serie di vie divergenti che possiedono una grande flessibilità metabolica. Il metabolismo dei glucidi semplici nel terreno è ancora più complesso di quello dei singoli microrganismi, perché le proprietà colloidali del suolo interferiscono in maniera significativa, alla stessa stregua della natura e del tipo fisiologico della biomassa specifica dei microrganismi. DEGRADAZIONE DELL’AMIDO L’amido esiste nelle due forme di α-amilosio e di amilopectina. L’α-amilosio è formato da lunghe catene prive di ramificazioni, in cui tutte le unità di glucosio (lo zucchero semplice che per condensazione anidritica forma l’amido) sono unite in legame α(1→4). Le catene sono polidisperse e variano in peso molecolare da poche migliaia a 500.000 dalton (un dalton è la massa d’un atomo di idrogeno ed è uguale a 1,67⋅10-24 g). L’amilosio non è veramente solubile in acqua, ma forma delle micelle idratate, che danno una colorazione blu con iodo-ioduro di potassio. In queste micelle, la catena del polisaccaride è attorcigliata in un avvolgimento elicoidale. L’amilopectina possiede moltissime ramificazioni, ciascuna, mediamente, formata da 24-30 residui di glucosio, secondo la specie. Il legame glicosodico dello scheletro è α(1→4), ma i punti di ramificazione possiedono legami α(1→6). L’amilopectina forma delle soluzioni colloidali e si riconosce perché con lo iodio dà una colorazione rosso-violetta. Il suo peso può raggiungere i 100 milioni di dalton. L’amilosio può essere idrolizzato dall’α-amilasi che rompe a caso i legami α(1→4) formando una miscela di glucosio e maltosio (bisaccaride costituito da due molecole di glucosio). Quest’ultimo non è scisso dall’α-amilasi. L’amilosio può essere idrolizzato anche dalla β-amilasi, la quale stacca unità successive di maltosio, a partire dall’estremità non riducente. Ambedue le amilasi attaccano anche l’amilopectina. I polisaccaridi a lunghezza intermedia, che si formano dall’amido per azione delle amilasi, sono chiamati destrine. Le amilasi non possono idrolizzare i legami α(1→6) che si trovano ai punti di ramificazione dell’amilopectina e, pertanto, il prodotto finale della loro azione completa è un grosso nucleo completamente ramificato, detta destrina limite, perché rappresenta il Fiume Francesco 402 limite dell’attacco delle amilasi. L’enzima che idrolizza i legami α(1→6) dell’amilopectina è un’α(1→6)glucosidasi, prodotta da molti funghi che, insieme alle amilasi, può degradare completamente l’amilopectina a glucosio e maltosio. Le modalità di degradazione dell’amido nel terreno sono diverse e molti microrganismi lo idrolizzano parzialmente, lasciando come residui le destrine. I batteri, gli actinomiceti ed i funghi producono amilasi e soltanto i lieviti non sono amilolitici. Bacillus macerans, B. cereus e B. subtilis sono batteri aerobi facoltativi e stretti che attaccano l’amido; Azotobacter ed Endosporus filamentosus sono, oltre che proteolitici, azotofissatori e denitrificanti anche attivi amilolitici; Clostridium butyricum, C. perfrigens e C. amylolitycum sono batteri anaerobi, in grado di attaccare anche la cellulosa, oltre che l’amido. DEGRADAZIONE DELLA CELLULOSA La cellulosa rappresenta il polisaccaride della parete cellulare e della struttura extracellulare delle piante sicuramente più abbondante nel mondo vegetale. La cellulosa si trova anche in alcuni vertebrati inferiori. La degradazione della cellulosa è senz’altro un importante processo nella vita del terreno e nell’economia del carbonio in natura. L’unica differenza tra l’amido e la cellulosa, entrambi omopolisaccaridi del glucosio destrogiro (D-glucosio, che ruota a destra la luce polarizzata), è che l’amido ha legami α(1→4), mentre la cellulosa β(1→4). Si ricorda, a tal proposito, che le forme α e β del D-glucosio non sono strutture a catena aperta, ma strutture ad anello a sei atomi di carbonio, ottenute dalla reazione del gruppo alcolico secondario dell’atomo di carbonio 5 con il gruppo aldeidico del carbonio 1. Queste strutture ad anello sono chiamate piranosiche perché derivate dal composto eterociclico del pirano (si confronti la formula razionale del glucosio riportata nelle reazioni della glicolisi che è a catena aperta, con quella riportata nella via del pentoso fosfato che è una struttura piranosica). Orbene, la forma α del D-glucosio presenta l’ossidrile del carbonio 1 a destra nella formula di proiezione, mentre la forma β lo presenta a sinistra: HCOH HCOH O HOCH HCOH HC CH2OH α -D-glucosio o α -D-glucopiranosio HOCH HCOH O HOCH HCOH HC CH2OH β -D-glucosio o β -D-glucopiranosio Le forme isomere di monosaccaridi, che differiscono tra loro soltanto per la 403 Il terreno configurazione intorno all’atomo di carbonio carbonilico, sono dette anomeri e l’atomo di carbonio è chiamato carbonio anomerico. Naturalmente, le forme α e β presentano proprietà fisiche molto diverse: la prima devia il piano della luce polarizzata con un angolo di + 112,2°, ha un punto di fusione di 146 °C, una solubilità, in 100 mL d’acqua, di 82,5 g, una velocità relativa d’ossidazione da parte della glucosio-ossidasi pari a 100; la seconda ha una rotazione specifica di + 18,7°, fonde a 150 °C, ha una solubilità di 178 g, ha una velocità di ossidazione da parte dello stesso enzima inferiore all’unità. Queste differenze si ripercuotono profondamente e determinano le diversità tra l’amido e la cellulosa. Il peso molecolare minimo della cellulosa proveniente da fonti diverse è stato stimato tra 50.000 e 2.500.000 in specie diverse, equivalente (considerato che il peso molecolare del glucosio è 180) a 278-14.000 residui di glucosio. L’analisi della diffrazione ai raggi X indica una struttura fisica variabile, con catene elementari riunite in fibrille in cui si distinguono le maglie cristalline separate le une dalle altre da zone amorfe (figura 103). In corrispondenza delle maglie, le catene sono saldamente unite, probabilmente, dai ponti idrogeno e dalle forze di Van der Waals, mentre nelle zone amorfe i legami sono meno forti. Fig. 103 – Le pareti cellulari sono costituite da fili lunghi ed interconnessi, le microfibrille, abbastanza grandi da poter essere viste al microscopio elettronico. Le microfibrille sono costituite da micelle, ossia fasci di fili. Le micelle sono a loro volta formate da catene di cellulosa, chimicamente strutturate secondo la formula riportata in alto. Fiume Francesco Le fibrille hanno nella parete cellulare primaria un orientamento casuale, mentre in quella secondaria (figura 104) ogni strato è caratterizzato dal fatto che l’angolo, costituito dalla fibrilla e dall’asse principale della fibra di cellulosa, ha un valore costante e specifico e serve per la valutazione delle qualità meccaniche della cellulosa. Le catene di cellulosa delle membrane cellulari possono integrarsi ed associarsi con lignina, cere, resine, tannini e pigmenti, in rapporto al tessuto ed alla specie della pianta. Fig. 104 – Catene di cellulosa in strati successivi, in una tipica fibra con elevati depositi di parete secondaria (ben tre strati). Gli strati sono costituiti da molecole di cellulosa che avvolgono la cellula secondo anelli a spirale. Tali caratteristiche fisiche, chimiche, strutturali e la presenza d’altri componenti determinano anche il comportamento biologico della cellulosa. Nelle pareti cellulari delle piante, le fibrille di cellulosa sono stipate fittamente in fasci paralleli regolari intorno alla cellula (figura 104) e spesso sono sistemati in strati incrociati. Queste fibrille sono cementate tra loro da una matrice costituita da tre materiali polimerici: l’emicellulosa, la pectina e l’estensina. Il legno contiene un’altra sostanza polimerica, la lignina, che costituisce quasi il 25% del suo peso secco. Le cellulose naturali, non quelle ottenute con trattamenti meccanici e chimici (ad esempio la carta), rappresentano un substrato d’origine molto varia, in grado di dar luogo a risposte diverse alle azioni microbiche. La degradazione della cellulosa pura è molto più semplice di quella della cellulosa naturale, sia per la differente suscettibilità all’idrolisi della porzione cristallina rispetto all’amorfa, sia per la maggiore difficoltà di penetrazione degli enzimi, sia per il numero dei composti di sostituzione, sia per la natura degli stessi composti (effetti sterici). La composizione della matrice influenza altrettanto la suscettibilità della cellulosa naturale all’idrolisi: le emicellulose e le pectine rendono più facile la degradazione, mentre la lignina conferisce una maggiore resistenza. L’enzima in grado di attaccare la cellulosa è la cellulasi che è costituita da un complesso enzimatico, distinto in frazioni ad attività differenti. La cellulasi è in grado prima di attivare la cellulosa nativa, forse attraverso primi processi idrolitici e di ossidazione, poi di idrolizzare i legami β(1→4) delle sequenze di glucosio, producendo frammentazioni in unità sempre più piccole – tetrasaccaridiche (cellotetraosio), 404 405 Il terreno trisaccaridiche (cellotriosio), bisaccaridiche (cellobiosio) – ed infine, mediante un altro enzima costitutivo, la cellobiasi (che è una β-glucosidasi), di dar luogo alla produzione finale di glucosio. Le prime frazioni enzimatiche, quelle che danno luogo a cellobiosio, devono essere diffusibili, perché la cellulosa, pur avendo con l’acqua un’elevata affinità, è in essa completamente insolubile. Le stesse frazioni hanno un comportamento che allo stato delle cose rimane ancora inspiegabile, dato che i filtrati colturali di microrganismi cellulolitici sono assolutamente inattivi sulla cellulosa nativa. Una delle ipotesi avanzate è che questa frazione enzimatica sia molto diffusibile, ma soggetta, in vitro, a rapida inattivazione. Tale frazione sarebbe costituita da un enzima in grado di trasferire elettroni nei punti di attacco della cellulosa, mediante trasportatori del tipo delle flavine o dei citocromi, e da un altro enzima (precisamente un gruppo variabile d’isoenzimi) capace di attaccare le catene della cellulosa. L’attacco delle catene di glucosio avverrebbe inizialmente a caso, probabilmente in corrispondenza delle regioni amorfe, fino ad avere l’idrolisi in frammenti più o meno corti per attività endoglucanasica. Poi la cellobiasi agirebbe sui frammenti solubili per attività esoglucanasica, con liberazione di molecole di glucosio. Tab. 47 – Principali specie di microrganismi cellulolitici Generi e specie microbiche cellulolitiche Batteri aerobi Pseudomonadales Batteri anaerobi Funghi Clostridium omelianskii Chaetomium Vibrio Clostridium werneri Trichoderma Cellvibrio ochraceus Clostridium dissolvens Stachybotrys Cellvibrio flavescens Clostridium spumarum Botrytis Cellvibrio viridis Clostridium myxogenes Gliobotrys Cellvibrio mucosa Plectridium spp. Penicillium Cellvibrio fusca Caduceus spp. Simpodiella Cellvibrio rosea Terminosporus spp. Helicoma Cellfalcicula Endosporus spp. Desmatierella Eubacteriales Cellulomonas Bacillus Myxobacteriales Poria Termofili Terminosporus monocellus Terminosporus thermocellulolyticus Cytophaga hutchinsonii Cytophaga aurantiaca Del tubo digerente degli erbivori Cytophaga rubra Ruminobacter flavescens Cytophaga tenuissima Ruminococcus flavus Sporocytophaga myxococcoides Ruminococcus albus Sporocytophaga ellipsospora Sorangium cellulosum Cillobacterium cellulosolvens Fiume Francesco Esistono microrganismi cellulolitici autentici e dotati di un corredo enzimatico completo (endoglucanasi ed esoglucanasi), in grado di idrolizzare la cellulosa fino a glucosio. Esistono, poi, microrganismi (cellulolitici facoltativi e secondari) altamente cellulolitici e microrganismi meno attivi, capaci di esercitare una differente attività: i primi degradano in maniera incompleta la cellulosa, mentre i secondi utilizzano e degradano i frammenti man mano che si formano. Numerosissimi sono i microrganismi con attività cellulolitica: batteri, actinomiceti, funghi, protozoi. Essi possono essere aerobi (batteri e funghi), anaerobi (batteri), termofili (batteri e funghi) e possono vivere nel tubo digerente dei mammiferi (ruminobatteri). Nella tabella 47 sono riportate le principali specie di microrganismi cellulolitici. Tra queste specie si evidenziano quelle più importanti ai fini della degradazione della cellulosa. Il genere Cytophaga possiede al completo il complesso enzimatico cellulasico e, pertanto, può aggredire a fondo la cellulosa, mostrando grande attività perché capace di demolire 80-90% della cellulosa presente. La completa attività cellulolitica è dovuta al fatto che, essendo la cellulosa l’unica sorgente di carbonio, il genere Cytophaga è da considerarsi un cellulolitico obbligato. Le specie di questo genere utilizzano, come sorgente d’azoto, i sali ammoniacali ed i nitrati, mentre alcuni impiegano urea e qualche aminoacido (asparagina e acido aspartico). Nei riguardi della temperatura essi sono mesofili, mentre il pH favorevole è 6-8,5. Sono aerobi stretti, ma alcuni ceppi tollerano tensioni d’ossigeno più ridotte, rispetto a quelle normali. Questi batteri attaccano la cellulosa e formano una sostanza mucosa e viscosa detta gelatina citofagea, costituita da poliuronidi. I generi Cellvibrio e Cellfalcicula sono cellulolitici meno attivi, rispetto al genere Cytophaga. Attaccano solo il 20-30% della cellulosa presente e mostrano un’attività debole ed incompleta. Il genere Cellvibrio comprende batteri aerobi che si sviluppano anche in ambienti poveri di ossigeno, con un pH neutro o leggermente alcalino ed a temperatura di 28-30 °C. Alcune specie si riconoscono per il colore del pigmento formato su silico-gel alla carta filtro: giallo ocra in Cellvibrio ochraceus; giallo crema in C. flavescens; verde in C. viridis; rosa in C. rosea. I batteri anaerobi sono frequenti nel terreno, nel letame, nel tubo digerente d’alcuni animali e possono essere anaerobi stretti o anaerobi facoltativi. Gli anaerobi stretti svolgono attività cellulolitica soltanto in ambiente anaerobico. La temperatura ottimale di crescita è di 33-40 °C. Essi utilizzano azoto minerale o amminico ed hanno bisogno di fattori di crescita. Nella degradazione della cellulosa producono gas (anidride carbonica, idrogeno e metano), acidi organici (acido acetico, acido propionico, acido butirrico) ed alcoli (alcool etilico). I funghi completano l’attività cellulolitica dei batteri ed in alcuni casi, come nei terreni acidi, dove l’azione batterica è ridotta, essi svolgono un ruolo fondamentale. I funghi idrolizzano aerobicamente la cellulosa con formazione di zuccheri semplici. Mentre i batteri degradano la cellulosa a livello delle zone amorfe, ma non nel lume delle fibre, e prosegue fino alle lamelle e nella parte centrale della struttura molecolare, i funghi attraversano le pareti cellulari in corrispondenza di soluzioni di continuità e la degradazione della cellulosa parte dal lume, dall’interno, con successivo rigonfiamento delle fibre che si deformano e si modificano fisicamente e chimicamente, fino alla formazione di prodotti intermedi simili alle destrine. I fattori che agiscono sui rapporti fra le diverse popolazioni di microrganismi cellulolitici sono il potenziale di ossidoriduzione o rH, il pH e la temperatura del terreno. Si ricorda che l’ossidoriduzione è una reazione chimica in cui si ha trasferimento di elettroni da un donatore ad un accettore e che il potenziale di ossidoriduzione è una 406 407 Il terreno misura della tendenza di un sistema ad ossidare o ridurre determinate sostanze. Il valore di rH è molto legato al contenuto di ossigeno nel terreno ed alla quantità d’acqua in esso contenuta. La struttura del terreno ed il suo tasso d’umidità determinano i valori di rH. Più elevati sono l’umidità e la temperatura del suolo, più bassi risultano i valori di rH. In linea generale i batteri aerobi si trovano nella zona con rH superiore a 19, i batteri anaerobi permangono in zone con rH inferiore a 9,3. I funghi vivono in ambienti con un intervallo di rH molto più ampio, inferiore a 9 e superiore a 19. In un terreno saturo d’acqua ed alla temperatura di 30 °C, che fa registrare un valore di rH = 8, si evidenziano solo batteri anaerobi e funghi. Il pH agisce sull’equilibrio di una popolazione microbica. In linea generale, i batteri aerobi prevalgono in terreni ben aerati e neutri, i funghi predominano in suoli arieggiati ed acidi, i batteri anaerobi si sviluppano prevalentemente in terreni pesanti e non aerati. La disponibilità d’azoto gioca un ruolo importante nella cellulolisi. Per ogni 100 g di cellulosa decomposta sono necessari circa 3 g di azoto e se il rapporto tra cellulosa decomposta ed azoto assimilabile scende al disotto di 35:1, si ha un rallentamento del processo. Ogni anno, la quantità di residui vegetali che cade sul terreno varia tra 5 e 100 q/ha. L’ampiezza di tale intervallo è legata a fattori pedologici e climatici, alla copertura vegetale ed alla distribuzione stagionale di caduta dei materiali organici. L’attività cellulolitica su questa ingente massa di residui vegetali è in relazione alla composizione chimica ed alle fluttuazioni periodiche dell’attività dei microrganismi cellulolitici del terreno. La presenza di lignina nei residui vegetali rallenta la velocità di degradazione della cellulosa, non solo perché la lignina è lentamente degradata, ma anche perché l’idrolisi della cellulosa è tanto più lenta quanto più elevata è la quantità di lignina che ad essa si accompagna. L’eccesso d’acqua nel terreno si oppone alla circolazione dell’aria e riduce la quantità d’ossigeno disponibile e, di conseguenza, ostacola la cellulolisi aerobica. L’umidità ottimale, per la maggior parte delle attività microbiche nel suolo, corrisponde ad un contenuto idrico del 60-80% della capacità idrica e quando tale contenuto scende al disotto del 40% si ha un rallentamento, tanto più evidente quanto più scarsa è l’acqua esistente. Nei periodi siccitosi si verifica un arresto delle attività microbiche nello strato superficiale del terreno, proprio a causa della carenza idrica. DEGRADAZIONE DELLE EMICELLULOSE Le emicellulose non sono correlate strutturalmente alla cellulosa, ma sono polimeri pentosi, specialmente i D-xilani, polimeri di D-xilosio in legame β(1→4) con catene laterali di arabinosio e di altri zuccheri (mannosio, galattosio). Numerosi sono i microrganismi del terreno capaci di attaccare queste sostanze eterogenee denominate emicellulose. Tra i batteri aerobi si annoverano i generi Achromobacter, Pseudomonas, Sporocytophaga (S. myxococcoides) ed Azotobacter; quest’ultimo svolge un ruolo fondamentale non tanto nell’attacco diretto delle emicellulose, quanto nell’utilizzazione dei prodotti di demolizione. Tra i batteri anaerobi emicellulolitici prevale il genere Clostridium ed alcuni cellulolitici derivanti dal tubo digerente dei ruminanti; i prodotti di degradazione che si formano sono acido acetico, acido propionico, acido butirrico ed acido succinico. Tra gli actinomiceti prevalgono i generi Streptomyces e Micromonospora. Tra i funghi, i generi Penicillium, Aspergillus, Trichoderma e Rhizopus. Molti di questi Fiume Francesco microrganismi in grado di attaccare le emicellulose hanno anche buone capacità cellulolitiche. Numerosi sono gli enzimi che intervengono nei vari gradini del processo di degradazione delle emicellulose. Quello più conosciuto è la xilanasi, scoperto da Sörensen nel 1957. Molti di questi enzimi possono essere indotti ed attivati sotto l’influenza dello specifico substrato. Così, la carbossimetilcellulosa induce la sintesi di xilanasi, il mannano stimola la produzione del suo enzima, la mannanasi Molti enzimi hanno un’attività così ampia da degradare vari substrati. Così, la cellulasi di alcuni funghi idrolizza oltre che la cellulosa anche lo xilano; il filtrato colturale di Sporocytophaga determina anche l’idrolisi dello xilano, anche se questo genere di microrganismo non utilizza lo xilosio. In generale, un microrganismo in grado di attaccare le emicellulose è incapace di realizzare la cellulolisi, anche se la degradazione delle emicellulose e quella della cellulosa hanno molti punti in comune e diverse analogie. I due processi avvengono con intensità proporzionali alla disponibilità dei relativi substrati, anche se l’attività di degradazione delle emicellulose è molto più ampiamente rappresentata di quella di degradazione della cellulosa. DEGRADAZIONE DELLE PECTINE Le pectine sono esteri metilici dell’acido pectico il quale è a sua volta costituito da acido poligalatturonico, arabinosio e xilosio. I numerosi gruppi carbossilici conferiscono proprietà di complessare i cationi, di formare esteri metilici e di gelificare. Le pectine sono più omogenee delle emicellulose perché comprendono polimeri α(1→4) dell’acido D-galatturonico associato a pentosi ed esosi. La degradazione delle pectine avviene prima ad opera della pectina-metil-esterasi che induce una reazione di demetilazione, con formazione di acido pectico ed alcool metilico. Poi intervengono gli enzimi poligalatturonasi e polimetilgalatturonasi che causano l’idrolisi delle catene di acido pectico o della pectina. Quindi, per azione della pectina-transeliminasi si ottiene frammentazione, per trasferimento di protoni, fluidificazione del substrato e formazione di corte catene e di unità galatturoniche. Le sostanze polifenoliche ed i prodotti d’ossidazione possono inattivare gli enzimi pectici. Molto pochi sono i microrganismi pectinolitici del terreno. Tra i batteri aerobi si menziona il Bacillus subtilis, il Bacillus cirulans, l’Erwinia carotovora, molto attiva e patogena di vegetali. Tra gli anaerobi si ricorda il Plectridium pectinovorum, molto attivo perché in 24 ore demolisce tutta la pectina presente nel mezzo ed il P. virescens, abbastanza attivo, ma lento ed in grado di degradare 80% delle pectine. Tra gli anaerobi stretti si ricordano il Clostridium aurantium, C. butyricum, C. pectinolyticum, C. omnivorum. Il C. felsineum, C. maymonei, C. roseum e C. corallinum hanno proprietà pectinolitiche soltanto in vivo (nella macerazione) e perdono questa proprietà in coltura pura (in vitro). C. macerans, C. polymixa sono pectinolitici microaerofili capaci di utilizzare anche la cellulosa. Proprietà pectinolitiche molto attive sono possedute da alcuni funghi, spesse volte più attive dei batteri aerobici. Funghi pectinolitici molto attivi sono il genere Aspergillus, Penicillium, Cladosporium, Mucor, Sclerotinia, Rhizopus. La Pullularia pullulans è un fungo epifita componente la fillosfera che colonizza, prima fra tutti, le foglie morte e scompare rapidamente in presenza della microflora del terreno. 408 409 Il terreno DEGRADAZIONE DELLA CHITINA La chitina è un polisaccaride strutturale, presente nell’esoscheletro degli animali del phylum Uniramia e nelle pareti cellulari di molti funghi. Il componente principale della chitina è la glucosamina, un amino-zucchero in cui il gruppo alcolico secondario dell’atomo di carbonio 2 è sostituito da un gruppo ammininico. Specificatamente, la chitina è un omopolimero di N-acetil-D-glucosamina in legame β(1→4), contenente azoto (6,9% nella chitina pura). La chitina è presente nel terreno dove è apportata dalle spoglie di animali ad esoscheletro chitinoso e dalle membrane cellulari dei funghi. Difficilmente si trova da sola, ma spesso è associata a proteine, melanine, chitosani e poligalattosamina. Gli actinomiceti, fra questi Streptomyces antibioticus, ed alcuni batteri (Bacillus cereus) sono molto attivi nella degradazione della chitina, poiché essi producono alcuni enzimi, la chitinasi e la chitobiasi, in grado di spezzare le lunghe catene di amino-zuccheri in molecole più semplici di chitobiosio e chitotriosio, fino ad acetil-glucosamina. I prodotti finali, per deacetilazione, sono glucosamina, acido acetico, glucosio ed ammoniaca. Altri batteri sono in grado di idrolizzare la chitina soltanto quando convivono in associazione, poiché sviluppano azioni sinergiche. In particolare, alcune specie di batteri del genere Cytophaga ed Arthrobacter sono inattive sulla chitina in coltura pura, mentre diventano attivi chitinolitici quando sono coltivati insieme (cocoltivati). DEGRADAZIONE DELLA LIGNINA La lignina è un polimero aromatico che costituisce una porzione cospicua della parte legnosa delle piante e di molte altre biomolecole aromatiche, quali l’ubichinone ed il plastochinone. La parte aromatica della lignina è rappresentata da fenoli, acidi benzoici, cumarine, flavoni, antociani, oltre i fenoli semplici o condensati d’origine microbica come i pigmenti e gli antibiotici. La lignina, a differenza della cellulosa e degli altri costituenti delle membrane cellulari, non forma catene molecolari ed ai raggi X si presenta come una sostanza amorfa. Come colloide la lignina presenta una grande superficie, tanto che, si è calcolato, un grammo di lignina ha una superficie pari a circa 180 m2. La lignina è contenuta nei tessuti collenchimatici e sclerenchimatici delle piante, è parte integrante del legno e costituisce quasi il 25% del suo peso secco. La lignina è una delle sostanze più resistenti alla degradazione microbica. Di conseguenza diviene relativamente più abbondante nella sostanza organica residua in decomposizione e costituisce la principale sorgente del materiale umifero nel terreno. La decomposizione microbica della lignina riveste una particolare importanza nel processo d’umificazione, giacché esistono analogie chimiche e chimico-fisiche tra questo composto e le sostanze umiche. La composizione chimica della lignina è differente nei vari gruppi tassonomici di piante e, per questo motivo, è meglio parlare di lignine. Fra i costituenti fondamentali della lignina si ricordano due classi di composti, costituiti entrambi da un anello aromatico a cui è legata una catena alifatica costituita da un atomo di carbonio (vanillina) o da tre atomi di carbonio (alcool coniferilico, costituente la lignina delle gimnosperme; alcool sinapilico, costituente la lignina delle angiosperme; alcool cumarilico, presente, insieme agli altri due, nella lignina delle piante erbacee). L’attacco microbiologico della lignina libera questi composti e ne determina profonde trasformazioni. Così la vanillina, per ossidazione del gruppo aldeidico in carbossile, produce acido vanillico il quale, per Fiume Francesco demetilazione, dà luogo ad acido p-idrossibenzoico e poi ad acido protocatechico. Per ossidazione e decarbossilazione, l’acido protocatechico si trasforma in idrossi pbenzochinone o in acido carbossi-mucoico, privo di anello aromatico. L’idrossi pbenzochinone, per dimerizzazione, dà origine ad un diidrossi-difenil-dichinone e per polimerizzazione e policondensazione a sostanze complesse che, flocculate dai cationi calcio, magnesio, ferro, idrogeno ed altri, vanno a costituire l’humus. L’acido carbossimucoico per ulteriore ossidazione si mineralizza in anidride carbonica ed acqua. I microrganismi che provocano la degradazione della lignina sono essenzialmente fungini e sono la maggior parte di quelli precedentemente indicati a proposito della microflora del terreno. Essi svolgono attività ligninolitiche attraverso dei processi di marciume del legno a carico dei materiali della copertura morta e dei resti vegetali incorporati nel suolo. Si possono distinguere differenti processi di alterazione microbica che producono differenti tipi di marciume: a) i marciumi molli che consistono nella decomposizione dei costituenti glucidici, utilizzati come fonte di energia da parte dei funghi, con liberazione di lignina che si altera e si trasforma in una massa scura ed amorfa, con diminuzione di peso. b) i marciumi bruni che comportano una rapida decomposizione dei polisaccaridi con produzione di sostanza riducenti e profonda e varia modificazione della lignina. c) i marciumi bianchi che danno luogo alla contemporanea demolizione dei polisaccaridi e della lignina la quale diminuisce di peso, si decolora, diviene fragile e fibrosa, mantenendo la propria impalcatura fin quando non è degradata a prodotti cellulolici e sostanze fenoliche semplici. I prodotti della decomposizione fungina della lignina sono composti solubili nel caso dei marciumi bianchi e prodotti parzialmente alterati ed insolubili, di colore scuro, nel caso dei marciumi molli e bruni. I terreni agrari e quelli forestali contengono funghi basidiomiceti che sono gli agenti più attivi della ligninolisi, insieme con ascomiceti e deuteromiceti. Questi microrganismi producono enzimi esocellulari del tipo della laccasi e della perossidasi, nel caso dei marciumi bianchi. In altri casi l’attività enzimatica, dovuta alla laccasi ed alla tirosinasi, è di tipo endocellulare e l’azione di questi enzimi sul substrato è strettamente connessa alla morte dei microrganismi fungini ed alla demolizione delle pareti miceliari. Il ruolo degli enzimi ossidasici sembra fondamentale sia nella biosintesi della lignina, sia nella sua degradazione: nel primo caso le ossidasi trasformano i precursori della lignina in radicali liberi, senza intervenire nei processi di polimerizzazione e policondensazione; nel secondo caso le ossidasi rompono il polimero della lignina e lo trasformano in tanti dimeri del tipo dell’estere guaiacil-glicerol-βconiferilico che si scindono ulteriormente in unità di fenil-propano. Circa l’attività ligninolitica dei batteri, essi sembrano meno importanti dei funghi. I generi Pseudomonas ed Achromobacter sembrano capaci di ossidare la lignina ed è anche noto che la stessa è decomposta lentamente in anaerobiosi da specie batteriche anaerobie. La degradazione della lignina è favorita da temperature di 37-40 °C e dalla presenza d’ossigeno (in anaerobiosi la degradazione è lenta) ed è condizionata dalla specie vegetale da cui proviene e dall’età delle piante. UMIFICAZIONE E MINERALIZZAZIONE DEI COMPOSTI ORGANICI DEL CARBONIO Il processo di umificazione dei materiali organici comporta il passaggio attraverso tre stadi fondamentali: a) l’idrolisi enzimatica dei polimeri finora menzionati e di altri ancora, come le sostanze proteiche, componenti il substrato di partenza, fino alla 410 411 Il terreno formazione di composti semplici di natura variabile; b) la trasformazione, prevalentemente ossidativa, delle molecole ottenute e caratterizzate da un forte aumento della loro reattività chimica per l’enorme presenza di radicali liberi; c) la polimerizzazione e la policondensazione, in parte spontanea, di tali prodotti, i quali, in presenza dei diversi cationi del complesso di scambio del terreno, danno finalmente origine alle micelle umiche di dimensioni e caratteri colloidali. La decomposizione della sostanza organica del terreno (humus) e la conversione dei complessi organici fino allo stato di carbonio inorganico elementare, costituisce il processo di mineralizzazione. Questo processo porta alla produzione di anidride carbonica la cui quantità, che si evolve durante il processo di mineralizzazione delle molecole umiche, varia significativamente, in rapporto alle caratteristiche del terreno. In condizioni controllate ed alle temperature comprese tra 20 e 30 °C, la quantità di CO2 prodotta nelle 24 ore varia da 5 a 50 mg per chilogrammo di terreno, con massimi fino a 300 mg. In pieno campo, la quantità di CO2 prodotta nelle 24 ore è di 0,5-10 g/m2 di superficie, fino a rare punte di 25 g. L’anidride carbonica deriva dalla respirazione endogena del terreno e dai processi biologici e non biologici. La respirazione endogena del suolo è quella del terreno non arricchito e consiste nella perdita di CO2 derivata esclusivamente dalla mineralizzazione dell’humus. La quantità di carbonio presente nell’humus, che annualmente viene mineralizzata a CO2, varia dal 2 al 59%. Le condizioni pedoclimatiche influenzano molto questo dato e ciò non toglie che una gran quantità di carbonio umico è annualmente mineralizzata. Tale quantità persa, tuttavia, è generalmente compensata da un’attiva sintesi a partire dai residui organici vegetali ed animali. I processi biologici che portano alla formazione di CO2 sono determinati dalla respirazione degli organismi viventi nel suolo (le radici delle piante, la pedoflora e la pedofauna) e dalla decarbossilazione dei diversi substrati sotto l’azione degli enzimi del suolo (enzimi extracellulari, enzimi emessi dagli organismi viventi, enzimi intatti nei frammenti delle cellule morte, enzimi adsorbiti sui colloidi del terreno). I processi non biologici che causano produzione di CO2 consistono nella decarbossilazione chimica di una certa quantità di composti, nella decarbossilazione catalizzata dai diversi complessi organo-minerali e dai colloidi del terreno, nell’azione degli acidi del metabolismo microbico o apportati al suolo (ad esempio attraverso l’acqua meteorica) sui carbonati liberi del terreno. Tutti i composti organici del terreno sono in ogni caso completamente ossidati con formazione di CO2. La quantità di CO2 emessa dal terreno può essere misurata allo scopo di ottenere un indice generale del grado di attività microbiologica del suolo. Il rapporto tra la quantità di CO2, emessa in un certo intervallo, e la quantità totale di carbonio organico, contenuto nel terreno, fornisce un indice di mineralizzazione del carbonio, utile per valutare in quale misura la sostanza organica del terreno è soggetta alla degradazione dei microrganismi. I fattori principali che regolano la mineralizzazione delle molecole umiche sono il contenuto di sostanza organica nel terreno, il tipo e la frequenza delle lavorazioni, la temperatura, l’umidità, il pH, il contenuto di elementi nutritivi, la profondità e l’aerazione. L’entità della mineralizzazione del carbonio è direttamente correlata al contenuto di carbonio organico del terreno. Pertanto, la quantità di CO2 aumenta se è incrementato il Fiume Francesco contenuto di materia organica del terreno. Le lavorazioni e le pratiche agronomiche, in generale, influenzano positivamente la mineralizzazione del carbonio organico. E’ stato calcolato che dopo 25 anni di coltivazione è possibile registrare una diminuzione del contenuto medio di sostanza organica dal 3,3% a 1,4%, pari ad una perdita superiore al 50% di carbonio organico. La curva del contenuto di carbonio organico declina rapidamente all’inizio, dopo i primi anni, poi tende a stabilizzarsi nonostante l’incremento delle coltivazioni. La temperatura influenza notevolmente la degradazione del materiale umico. Temperature vicine a 0 °C possono far procedere, anche se lentamente, la demolizione dei colloidi organici, ma questa subisce un rapido incremento se i valori termici aumentano. L’alternanza del freddo e del caldo porta ad un aumento di produzione di CO2. L’umidità influenza la respirazione del suolo il quale deve contenere un certo quantitativo d’acqua per agevolare l’attività dei microrganismi. L’alternanza della siccità e dell’umidificazione del terreno aumenta il tasso di produzione di CO 2 ed è noto che cicli ripetuti d’umido e di secco stimolano l’attività microbica maggiormente rispetto ai terreni stabilmente umidi. Il pH influenza la mineralizzazione delle molecole umiche che è più veloce nei terreni neutri o debolmente alcalini. La presenza di elementi nutritivi come l’azoto ed il fosforo può agevolare la degradazione della sostanza organica. La produzione di CO2 varia anche con la profondità. Essa assume i massimi valori vicino alla superficie, dove si trova la più elevata quantità di residui vegetali, mentre diminuisce a maggiori profondità, per diventare irrilevante a profondità superiori ai 50 cm. Il fenomeno della subsidenza è un aspetto negativo della decomposizione biologica della sostanza organica e dei cambiamenti microbiologici che avvengono nel terreno. Tale fenomeno consiste nell’abbassamento del livello del suolo a seguito dei processi di degradazione della materia organica. La subsidenza del terreno è di grande importanza pratica, perché comporta la perdita più o meno grave della risorsa del suolo, con conseguenze negative per la produttività agricola e per la costruzione ed il mantenimento delle strade. L’abbassamento del livello del terreno per fenomeni di subsidenza è di 0,2-7 cm per anno ed è dovuta a cause biotiche, legate alla degradazione della sostanza organica. Probabilmente altre cause intervengono nel fenomeno della subsidenza, come l’erosione eolica e quella causata dai diversi atmosferili. L’aerazione ed il drenaggio dei terreni giocano un ruolo importante nella decomposizione delle sostanze organiche e nella mineralizzazione del carbonio. In terreni ben drenati ed aerati si formano sostanze acide ed alcoliche, ma raramente questi composti si accumulano, poiché rapidamente metabolizzabili dai microrganismi aerobi del suolo. Ciclo dell’azoto L’azoto è un elemento che allo stato di molecola biatomica (N2) costituisce circa i quattro quinti in volume dell’atmosfera e come componente delle proteine è presente in tutti gli organismi viventi. L’azoto si ritrova in alcuni minerali sotto forma di combinazione (nitro del Cile) o di occlusioni gassose, con riserve stimate in 108 t. Il nome gli fu dato da Lavoisier, che lo identificò nel 1786, durante le sue celebri esperienze sulla composizione dell’aria e lo 412 413 Il terreno chiamò azote (dal greco alfa privativo e zoé, vita), perché non mantiene la respirazione. Il ciclo dell’azoto è dato dall’insieme delle trasformazioni chimiche che quest’elemento dell’aria subisce nel corso della sua utilizzazione da parte degli organismi viventi. Esso è costituito da una serie di anelli o sottocicli rappresentati dalla fissazione dell’azoto atmosferico, ammonizzazione dell’azoto organico, nitrificazione dell’azoto ammoniacale, denitrificazione dell’azoto nitrico, con ritorno all’atmosfera di azoto molecolare. Nella figura 105 è riportato sinteticamente il ciclo dell’azoto in natura. AZOTO ATMOSFERICO Fissazione atmosferica Proteine animali e vegetali ↓ Residui animali e vegetali Attività vulcanica Fissazione industriale Acqua meteorica Piante con simbionti e azotofissatori liberi Fissazione biologica dell’azoto atmosferico ↓ Riduzione dei nitrati Denitrificazione ← TERRENO Ammoniaca o catione ammonio Nitrati Nitriti Dilavamento Falda freatica Fig. 105 – Schema semplificativo del ciclo dell'azoto in natura. FISSAZIONE DELL’AZOTO ATMOSFERICO Il primo gradino del ciclo dell’azoto è la fissazione di N2 presente nell’atmosfera. La quantità di questo gas nell’aria atmosferica è stimata intorno a 36· 1014 t. La fissazione dell’azoto si realizza direttamente nell’atmosfera, con formazione di protossidi ed ossidi d’azoto, fino alla formazione di acido nitroso e nitrico, reazioni, queste, catalizzate dalle alte temperature che si raggiungono nelle scariche elettriche (fulmini), durante i temporali. Questi composti dell’azoto pervengono poi al suolo Fiume Francesco attraverso l’acqua meteorica. Questa è una via naturale, ma non biologica, di fissazione dell’azoto molecolare e si calcola che in tal modo giunga alla superficie terrestre una quantità annua dell’elemento combinato di cui si tratta pari a circa 109 t. Un’altra via di fissazione dell’azoto atmosferico, non biologica e neanche naturale, è la sintesi industriale. Questa è iniziata nel 1913, quando Haber e Bosch, in Germania, riuscirono a produrre industrialmente ammoniaca a partire dall’azoto molecolare ed è proseguita fino ai giorni nostri, soprattutto per la produzione di concimi chimici, con progressione particolarmente intensa fino a qualche anno fa. Le vie finora descritte di fissazione dell’azoto atmosferico sono ben poca cosa rispetto a quelle biologiche che riescono ad apportare in un terreno quantità di azoto di gran lunga superiori che possono andare da 3 kg per ettaro all’anno, fino a valori di un centinaio di volte maggiori (in un campo di leguminose). La fissazione dell’azoto atmosferico avviene in modo aerobico ed anaerobico com’è possibile dimostrare con una semplice esperienza. Un tubo viene riempito con terreno e glucosio, nel rapporto di 100:1, chiuso, da una parte con materiale permeabile all’aria (ovatta) e dall’altra con un elemento impermeabile (tappo di gomma), e posto ad incubare per 3 giorni a 30 °C. Il prelievo e l’esame microbiologico evidenziano presenza di Azotobacter, aerobio, dalla parte dell’ovatta e di Clostridium, anaerobio, dalla parte del tappo di gomma. La fissazione dell’azoto elementare dell’aria avviene attraverso un processo d’assimilazione, realizzato dai microrganismi del suolo, attraverso il quale l’azoto molecolare è trasformato in azoto organico (amminoacidico e proteico), quindi in azoto organizzato che va a costituire la biomassa corporea degli stessi organismi viventi. Questi organismi vivono liberamente nel suolo ed allora si parla d’azotofissazione diretta, oppure vivono in simbiosi con altri esseri viventi, comprese le radici di molte piante coltivate (quelle appartenenti alla famiglia delle leguminose) ed allora l’azotofissazione è simbiotica. Nella tabella 48 sono riportati i principali organismi viventi liberamente ed in grado di realizzare l’azotofissazione diretta. Tra i generi indicati, quelli più importanti tra i batteri, sono Azotobacter, Beijerinckia e Clostridium. Il genere Azotobacter comprende numerose specie, distinte in base alla formazione di microcisti, alla mobilità ed alla produzione di pigmenti, che danno il caratteristico colore alla colonia coltivata in piastra Petri. Le specie più rappresentative sono A. chroococcum e A. vinelandii, ambedue mobili per ciglia, il primo bruno-nero, il secondo verdastro e fluorescente; A. beijerinckii, immobile e giallastro. Questi tre azotobatteri possiedono microcisti, mentre A. agilis, A. insignis ed A. macrocytogenes sono privi di microcisti e sono mobili per la presenza di ciglia laterali, il primo, di ciglia polari, gli altri due. Come dice lo stesso nome, l’ultimo possiede grosse cellule sferiche. Il genere Beijrinckia è costituto da azotobatteri a forma di bastoncini, con due globuli polari di grasso, di dimensioni inferiori a quelli del genere Azotobacter, acidotolleranti. Le specie più comuni di questo genere sono B. indica, B. lacticogenes, B. mobilis, mobili o immobili, formanti colonie rotonde, a bordi regolari, sopraelevate, lisce mucose, ialine ed opache, di colore sfumato verso il bruno ed il rosso, con gomme; B. fluminensis che forma colonie a bordi irregolari, sopraelevate, rugose, asciutte, granulose, opache, con pigmento castano e prive di gomme; B. derxii, B. acida, B. congensis, immobili, formanti colonie tonde, a bordi regolari, sopraelevate, lisce, mucose, opache, spesso iridate e plicate, con pigmento giallo-verde fluorescente e diffusibile, con gomme. 414 415 Il terreno Tab. 48 – Principali organismi viventi liberamente, in grado di attuare la fissazione dell’azoto atmosferico. Ordine BATTERI: Eubacteriales Famiglia Azotobacteriaceae Genere mg di azoto fissato per g di carbonio consumato Azotobacter 1,0-1,5 Beijerinckia 1,0-1,5 Derxia 2,5-2,8 Pseudomonas 0,1-0,5 Azotomonas 0,1-0,4 Aërobacter 0,4-0,5 Klebsiella 0,4-0,5 Achromobacteriaceae Achromobacter 0,1-0,2 Spirillaceae Desulphovibrio Pseudomonadaceae Enterobacteriaceae Methanobacterium Spirillum Bacillaceae Bacillus 1,2-1,3 Clostridium 0,2-2,7 Thiorhodaceae Chromatium Athiorhodaceae Rhodospirillum Rhodopseudomonas Rhodomicrobium CIANOBATTERI: Nostocales Chlorobacteriaceae Chlorobium Nostocaeae Nostoc 1,5-2,0 Anabaena 1,5-2,0 Aulosira Anabaenopsis Cylindrospermum 1,0-1,2 Chlorogloea Rivulariaceae Calotrix Scytonemataceae Tolypothrix Scytonema Stigonematales Stigonemataceae Fischerella Hapalosiphon Mastigocladus Stigonema Westillopsis FUNGHI: Endomycetales Saccharomycetaceae Saccaromyces Rhodotorula Lipomyces Candida Pullularia 1,0-1,4 Fiume Francesco Il genere Clostridium è rappresentato da batteri anaerobi, sporigeni, a forma di bastoncello le cui principali specie, con i principali caratteri fisiologici differenziali sono: C. butyricum (fermenta l’amido di patata e di mais), C. butylicum (fermenta l’amido di patata, ma non quello di mais), C. beijerinckii (non fermenta l’amido di patata e di mais), C. multifermentans (provoca emolisi del sangue), C. pasteurianum (non fermenta amido e lattato di calcio), C. madisonii (produce acido solfidrico), C. acetobutylicum (fluidifica l’albumina coagulata, fermenta e coagula il latte tornasolato, non fermenta le pectine), C. kluyveri (trasforma l’alcool etilico in acido caproico), C. lactoacetophilum (fermenta lattato e produce acido butirrico), C. felsineum (fluidifica la gelatina e forma pigmenti giallo-arancioni sui mezzi di coltura), C. pectinovorum (liquefa la gelatina). I cianobatteri, le alghe verdi-azzurre, si riconoscono all’esame microscopico per la presenza di eterocisti, un tipo caratteristico di cellula a contenuto ialino e con parete spessa e rifrangente, con funzione di riproduzione, di sporogenesi o di riserva. I caratteri morfologici delle principali specie di cianobatteri fissatrici che fissano direttamente l’azoto atmosferico sono schematizzate nella figura 48, nella parte in cui la pedoflora del suolo è descritta. Ma la fissazione dell’azoto atmosferico avviene anche per opera di organismi che vivono in simbiosi con piante, dalle epatiche fino alle angiosperme. Il microrganismo normalmente è ospitato in speciali strutture, rimanendo al riparo dalla forte competizione che si realizza nel terreno ed utilizzando tutti i prodotti a lui necessari che sono forniti dall’essere macroscopico, in generale la pianta. Questa ha il vantaggio di poter utilizzare direttamente l’azoto che il simbionte è in grado di fissare. La simbiosi che meglio si conosce ed assume una grande importanza agronomica è quella che si stabilisce tra le leguminose coltivate ed i batteri del genere Rhizobium. La fissazione dell’azoto avviene in speciali strutture della radice, i tubercoli, che offrono ricovero ai batteri. I tubercoli radicali sono posseduti da almeno 85% di specie delle Mimosoideae e Papilionatae e da 35% di specie delle Cesalpinoideae. In generale, la simbiosi è più frequente nelle specie erbacee che in quelle arbustive ed arboree. Il genere Rhizobium (figura 44) è costituito da batteri a forma di bastoncini, aerobi ed eterotrofi. Comprende sette specie in base alla specificità per l’ospite. La classificazione delle specie di Rhizobium è fondata sui gruppi d’inoculazione incrociata, perciò un ceppo isolato da una determinata specie di leguminosa (ad esempio fagiolo) non può indifferentemente colonizzare e produrre tubercoli radicali su un’altra specie (ad esempio pisello). Sono noti molti gruppi di rizobi di inoculazione incrociata e sei di essi sono stati elevati al rango di specie: Rhizobium leguminosarum, R. trifolii, R. phaseoli, R. meliloti, R. lupini, R. japonicum. Nei ceppi di rizobio sono stati individuati fatti di trasgressione e di instabilità, oltre che variazioni di recettività da parte delle specie di leguminose. Per esempio, i ceppi di rizobi isolati da pisello e quindi appartenenti alla specie R. leguminosarum potevano colonizzare anche piante di trifoglio e comportarsi come R. trifolii. I molteplici tentativi di dare una sistemazione delle specie del genere Rhizobium sono ancora imperfetti, compresi quelli basati su tecniche di biologia molecolare. Una rapida analisi dei caratteri morfologici, citologici, colturali, insieme con lo studio del processo di nodulazione e dell’attività azotofissatrice, potrà rappresentare un valido aggiornamento delle conoscenze sui simbionti delle leguminose. Oltre a questo tipo di simbiosi mutualistica obbligata tra batteri del genere Rhizobium e le leguminose, sono note altre forme simbiontiche formanti tubercoli radicali. Sono provvisti di tubercoli radicali i generi Alnus, Casuarina, Coriaria, Eleagnus, Hippophaë, Stepherdia, Arctostaphylos, Myrica, Comptonia, Ceanothus, 416 417 Il terreno Discaria, Dryas, Purschia, Cercocarpus. Il microrganismo endofita è rappresentato da specie del genere Rhizobium, Bradirhizobium, Acrinomyces. Sono note ancora altre simbiosi finalizzate alla fissazione dell’azoto atmosferico: i licheni del genere Peltigea e Collema, le epatiche del genere Blasia, Cavilaria e Anthoceros stabiliscono rapporti di simbiosi con cianobatteri del genere Nostoc; le pteridofite del genere Azolla (A. caroliniana) e molte specie di Cycadaceae costituiscono rapporti simbiontici con cianobatteri del genere Nostoc e Anabaena; molte Gimnospermae danno luogo a simbiosi azotofissatrici con endofiti fungini; Angiospermae, come il genere Gunnera, entrano in simbiosi con Nostoc. Alcune piante della famiglia delle Rubiaceae formano tubercoli fogliari, anziché radicali, ospitanti un batterio, un endofita delle foglie, la Klebsiella rubiacearum. L’importanza pratica dei rapporti di simbiosi azotofissatrice tra i microrganismi e le piante è sicuramente rilevante nella valorizzazione dei terreni primitivi e nel ripristino delle condizioni di fertilità nei suoli che hanno subito uno sfruttamento eccessivo e si presentano depauperati. Tutti questi organismi e molti altri noti o ancora da scoprire, da soli od associati alle piante, sono in grado di trasformare un gas inerte, come l’azoto dell’aria, di attivarlo e di integrarlo in complesse sintesi biochimiche. Per avere ammoniaca, se si volesse combinare direttamente l’azoto molecolare con l’idrogeno, dovremmo applicare elevate temperature e pressioni, sicuramente anormali in ordinarie condizioni naturali. I microrganismi sono in grado di attuare reazioni analoghe, dello stesso tipo, a temperatura e pressione ambientale. Questo perché il meccanismo biochimico di fissazione dell’azoto, lo stesso per qualunque microrganismo, libero o in simbiosi, è di tipo catalitico. Il catalizzatore, trattandosi di un processo biologico, è un enzima, la nitrogenasi. Esso è costituito da due proteine il cui gruppo prostetico è il ferro per la prima ed il ferro e molibdeno per la seconda. La nitrogenasi è capace di catalizzare la reazione per la quale l’azoto molecolare dell’aria è ridotto ad ammoniaca. La Fe-proteina è un dimero costituito da due sub-unità identiche, con peso molecolare che varia da 55.000 a 65.000, con quattro atomi di ferro. La Fe-Mo-proteina è un tetramero di peso molecolare di 200.000-250.000, con due atomi di molibdeno e 2834 atomi di ferro. Nella reazione enzimatica per ogni molecola di Fe-Mo-proteina è richiesta una o due molecole di Fe-proteina. Un aspetto interessante è che la nitrogenasi è la stessa in qualunque microrganismo azotofissatore. Basta isolare, infatti, la Fe-proteina da un batterio e la Fe-Mo-proteina da un altro, anche di specie e di genere differente, accoppiarle ed ottenere un enzima attivo, in grado di fissare azoto molecolare ad ammoniaca. La nitrogenasi è ossigeno-labile ed i microrganismi dispongono di adeguati accorgimenti atti a determinare nell’intorno dell’enzima un ambiente assolutamente riducente. Tuttavia, nei confronti dell’ossigeno dell’aria, la nitrogenasi dei diversi gruppi di microrganismi evidenzia un differente tipo di comportamento. In particolare, i cianobatteri azotofissatori e gli azotofissatori anaerobi del genere Clostridium posseggono una nitrogenasi molto sensibile all’ossigeno, che inattiva irreversibilmente l’enzima. Al contrario, i batteri azotofissatori eterotrofi aerobi, tipo Azotobacter e Mycobacterium flavum, danno luogo ad una nitrogenasi di estratti grezzi che risulta essere stabile all’aria. Nel processo di riduzione dell’azoto molecolare intervengono sostanze riduttrici come l’acido piruvico, proveniente dal ciclo degli idrati di carbonio, e l’acetilfosfato. Quest’ultimo partecipa, poi, nella sintesi di ATP, a partire da ADP: Fiume Francesco 418 CH3–CO–COOH + P organico → CH3–CO∼P + CO2 + 2H CH3–CO∼P + ADP → CH3–COOH + ATP L’azotofissazione richiede una grande quantità di energia la quale è fornita da ATP, a seguito della sua trasformazione ad ADP, tanto che occorrono dalle 4-5 molecole di ATP (per Azotobacter) fino a 29 (per Klebsiella pneumoniae) per ottenere sufficiente energia per il completamento del processo. Il trasporto degli elettroni sulla nitrogenasi avviene per mezzo della ferridoxina che passa reversibilmente dallo stato ossidato a quello ridotto. I batteri dei tubercoli radicali contengono anche una globina, che conferisce il colore rossatro alla sezione del nodulo, la cui funzione non è ancora ben nota, che non è presente nelle cellule in coltura pura di rizobi e che certamente è elaborata dalla pianta sotto lo stimolo della colonizzazione batterica delle radici. Molto evidente è la correlazione tra l’intensità dell’azotofissazione e la concentrazione di questa globina, tanto che nei tubercoli, incapaci di azotofissazione, essa è mancante, così come nelle leguminose non colonizzate dai rizobi. Tale globina funziona, probabilmente, come trasportatore di ossigeno nella catena di trasporto degli elettroni, analogamente all’emoglobina del sangue. I composti riduttori che ne derivano e che producono ATP (che fornisce l’energia necessaria al processo) ed i tre sistemi che passano reversibilmente dalla forma ridotta a quella ossidata e viceversa (il sistema di trasporto degli elettroni, la Fe-proteina e la Fe-Mo-proteina) inducono il passaggio dell’azoto molecolare (N2) dell’aria ad ammoniaca (NH3). Quest’ultima si combina con chetoacidi per formare amminoacidi. Così, per esempio, l’acido piruvico riceve il gruppo amminico e si trasforma in alanina, secondo il seguente schema: Ferridoxina ridotta + Nitrogenasi + N2 → Ferridoxina ossidata + Nitrogenasi–N2 ridotta Nitrogenasi–N2 ridotta + 12 ATP → Nitrogenasi + NH3 + 12 ADP + 12P CH3–CO–COOH + NH3 → CH3–CH–COOH + H2O NH2 Molto interessante è lo schema proposto da Florkin e Schoeffieniels riguardante il meccanismo di azione del molibdeno, contenuto nella Fe-Mo-proteina della nitrogenasi e la cui esigenza nella fissazione è ben nota, circa la trasformazione dell’azoto biatomico in due gruppi amminici. Man mano che il molibdeno passa ad una forma sempre più ossidata, si assiste alla progressiva riduzione dell’azoto biatomico. Al termine il molibdeno ritorna nella forma più ridotta, per ricominciare il ciclo. L’andamento ossidativo del molibdeno e quello di riduzione dell’azoto molecolare sono di seguito schematicamente riportati: 419 Il terreno Mo++ Mo++ 2H+ → e → e → / \ / \ N=N H+N=NH+ Mo++++ Mo++++ Mo++++++ 2H+ e → e → e → / \ /\ /\ HN–NH H+HN–NHH+ H2N NH2 Mo++ e Nel bilancio energetico dell’assimilazione dell’azoto atmosferico bisogna includere, oltre l’energia spesa per la riduzione enzimatica dell’azoto dell’aria, anche l’energia per la formazione e la crescita dei tubercoli radicali, per il trasporto dei carboidrati dalle foglie alle radici e per il trasferimento, in senso opposto, degli amminoacidi. Nelle leguminose, circa un terzo del carbonio organicato con la fotosintesi viene utilizzato per la nodulazione e l’azotofissazione. In cambio le piante ricevono dai rizobi quasi i nove decimi dell’azoto da essi fissato, che rappresenta una grande quantità, se si pensa che gli azotofissatori liberi trattengono nel loro corpo fino al 95% di azoto fissato. La biosintesi della nitrogenasi da parte dei microrganismi azotofissatori è in stretta dipendenza con la concentrazione di NH+ del substrato e se i cationi ammonio sono presenti, essi bloccano la produzione dell’enzima. Anche il rapporto tra il carbonio e l’azoto assimilabile influenza il processo di azotofissazione, nel senso che tanto più tale rapporto è alto, tanto più attiva è l’azotofissazione. Ciò ha un importante risvolto agronomico, in quanto una concimazione azotata può bloccare la fissazione dell’azoto atmosferico da parte dei microrganismi, con conseguenze facilmente immaginabili. Il riconoscimento delle cellule vegetative dei rizobi azotofissatori che si trovano nella rizosfera è fondato sui seguenti caratteri colturali: cellule a bastoncino di dimensioni di 0,6-0,8 x 1,4 µ, con una membrana tristratificata, Gram-negativi, mobili, producenti una gomma idrosolubile che per idrolisi dà glucosio ed, a volte, acido galatturonico, con presenza, all’interno della cellula, di granuli di poli-β-idrossibutirrato, molto rifrangenti, insieme a corpuscoli polari ed un nucleoide fibrillare centrale. Le cellule che vanno a colonizzare le radici delle leguminose hanno maggiori dimensioni delle cellule vegetative e si presentano irregolari, a clava, a forma di X, Y e T. Alcune specie di rizobi possono mostrare cellule con membrane intracitoplasmatiche, ossia invaginazioni della membrana cellulare che si presenta avvolta da un involucro prodotto dalle cellule radicali della pianta, avente una funzione di controllo, poiché il microrganismo non è libero nei tessuti della radice. La colonizzazione delle radici di leguminose da parte dei rizobi e la formazione e l’evoluzione dei tubercoli si realizza attraverso tre fasi: la precolonizzazione della radice, per la quale i rizobi specifici si moltiplicano nella rizosfera e deformano i peli radicali; la colonizzazione e la generazione del tubercolo attraverso cui avviene la penetrazione del batterio e la moltiplicazione delle cellule tetraploidi e diploidi del tessuto del tubercolo, con differenziazione dello stesso; la degenerazione del tubercolo a seguito della quale si ha liberazione dei rizobi nel terreno. Durante queste fasi, i rizobi si moltiplicano attivamente, ossidano il triptofano in acido 3-indolacetico, danno luogo a polisaccaridi, mentre le piante, in una interazione con gli stessi batteri, producono essudati radicali non specifici, eliminano triptofano, curvano i peli radicali, sintetizzano ed eliminano poligalatturonasi. I rizobi penetrano nel pelo radicale disponendosi secondo un filamento continuo e mucoso, circondato da una guaina cellulosica. La formazione del tubercolo dipende dall’affinità genetica tra la specie di rizobio e le cellule corticali della radice. I tessuti Fiume Francesco corticali, costituiti oltre che da normali cellule diploidi, anche da cellule tetraploidi, ricevono dai microrganismi lo stimolo a dividersi per l’azione di auxine, come le citochinine. I batteri penetrano soltanto nelle cellule tetraploidi, man mano che si originano, mentre il nodulo si differenzia quando i rizobi sono penetrati nelle cellule provviste di 8n cromosomi. La penetrazione nelle cellule tetraploidi giunge fino alla zona centrale del meristema del tubercolo dove i microrganismi assumono la forma di batteroide e sono circondati, da soli o in piccoli gruppi, dall’involucro di isolamento generato dai tessuti della pianta. In questa fase viene sintetizzata quella globina, simile all’emoglobina del sangue, che induce colorazione rossatra al tubercolo. Soltanto in tale stadio inizia l’azotofissazione. Il tubercolo, completamente sviluppato, si presenta, in sezione, distinto in una zona corticale esterna, in una zona meristematica sottostante, nella quale è diffuso il sistema vascolare e dove si trova (subito sotto la zona corticale) l’endodermide del nodulo, ed infine, in una zona centrale, separata dai vasi da vari strati di cellule parenchimatiche. Soltanto nella zona centrale del tubercolo si trovano i batteri azotofissatori. La degenerazione del nodulo avviene con la lisi delle cellule del rizobio, con la liberazione dei batteri nel terreno e con la sostituzione della globina con pigmenti biliari. Le leguminose stimolano lo sviluppo dei rizobi, probabilmente producendo essudati radicali, ma ben poco è noto circa la loro composizione ed il meccanismo d’azione. E’ certo che i rizobi si concentrano nella rizosfera, concorrono alla solubilizzazione dei fosfati ed al miglioramento della struttura (ciò è legato alla produzione di gomme e mucillagini che inducono le particelle terrose ad un’aggregazione glomerulare) o semplicemente costituiscono una massa d’inoculazione che entra subito in attività quando l’ambiente edafico favorisce la simbiosi con le radici. Molto forti sono i rapporti di competizione che i batteri azotofissatori simbionti possono stabilire con altri miscrorganismi del suolo. Forti antagonisti sono gli actinomiceti, tanto che la microflora totale del terreno supporta fino al 25% di antagonisti del genere Rhizobium, senza calcolare i virus infettanti i batteri del suolo, i batteriofagi che, nel caso specifico, sono detti rizobiofagi. La presenza di un’elevata densità di antagonisti dei rizobi è una concausa della stanchezza dei terreni coltivati, ripetutamente, a leguminose. Il deperimento della coltura prolungata di leguminose viene anche correlato all’accumulo di sostanze tossiche prodotte dalle piante ed alla pressione selettiva dei microrganismi fitopatogeni e non solo all’antibiosi esercitata dai microrganismi del suolo o dai rizobiofagi. Un terreno si considera sano quando è in equilibrio biologico, in rapporto alla sua produttività. La fertilità diminuisce se l’equilibrio biologico del suolo viene negativamente modificato e se la coltivazione della stessa specie è oltremodo prolungata, senza ricorrere alle rotazioni colturali. Forse un terreno affetto da “stanchezza” detiene biocenosi inadatte, come, per esempio, una microflora fitotossica equilibrata, che non differisce, sotto l’aspetto morfologico, da quella utile e tale che la sua azione, sfavorevole alla pianta coltivata, si traduce in una diminuzione di produttività del suolo. D’altra parte è noto che molti antibiotici sono fitotossici e che alcune microflore si oppongono all’assorbimento di alcuni microelementi come il manganese ed il rame. AMMONIFICAZIONE DELL’AZOTO ORGANICO Consiste nella degradazione microbica dei composti organici azotati, fino alla produzione di composti minerali, sotto forma di ioni ammoniacali NH4+. L’azoto può essere liberato anche sotto forma di ammoniaca gassosa NH3, ma ciò avviene 420 421 Il terreno generalmente soltanto durante la decomposizione di grandi quantità di materiale ricco di azoto come, per esempio, nelle concimaie od in celle zimotermiche. L'ammoniaca prodotta per ammonificazione si solubilizza nell’acqua del terreno dove si combina con i protoni per formare lo ione ammonio: NH3 + H2O → NH4+ + OH¯ L’ammonificazione costituisce una fase fondamentale del ciclo dell’azoto, da cui dipende il mantenimento della fertilità del suolo. La progressiva degradazione dei resti e dei rifiuti organici lasciati nel terreno dalle piante, dagli animali e dall’uomo è accompagnata dalla mineralizzazione dell’azoto sotto forma di ammoniaca nuovamente assimilabile, direttamente o previa nitrificazione, dalle piante. I batteri ed i funghi del suolo svolgono un ruolo fondamentale nel processo di ammonificazione e, senza di loro, il processo non potrebbe verificarsi. Tuttavia, l’intensità e la velocità della degradazione della sostanza organica dipendono molto dall’abbondanza o dalla scarsezza delle specie di microrganismi ammonificanti, ma dipendono ancor più dallo stato fisico-chimico del terreno, le cui condizioni, a loro volta, influenzano l’attività dei microrganismi. Bisogna anche sottolineare che il valore del pH poco influenza l’ammonificazione che può avvenire entro limiti molto ampi, anche se i valori più favorevoli sono 7-8,5. Molto più importante è il contenuto d’acqua del terreno. Un terreno, di cui è saturato il 60% della capacità idrica, possiede un’attività di ammonificazione ottimale. L’aerazione del terreno è un aspetto secondario, in relazione al fatto che la flora ammonificante va dai batteri putrefacenti, anaerobi obbligati, agli eumiceti, strettamente aerobi. Molto importante è la temperatura ambientale che deve essere relativamente mite. Temperature invernali molto basse o estive molto elevate contrastano l’andamento dell’ammonificazione che, invece, procede normalmente ed in maniera ottimale in autunno e nell’avanzata primavera. Le condizioni chimiche del terreno influenzano l’ammonificazione. L’aggiunta al terreno, in quantità non eccessive, di paglia, erbe da sovescio e letame aumenta in notevole misura la formazione di ammoniaca e favorisce lo sviluppo e l’attività dei microrganismi. La flora ammonificante viene stimolata dalla concimazione azotata e fosfatica e da microelementi ad azione catalitica come manganese e ferro. Anche i terreni che subiscono trattamenti geodisinfestanti fisici (calore) o chimici (bromuro di metile) intensificano i processi di ammonificazione e dopo la loro esecuzione si osservano le piante che manifestano chiari effetti di rigoglio vegetativo, dovuti ad intensa produzione di ammoniaca nel terreno. Ciò è dovuto al fatto che il trattamento al terreno è meno sensibile nei confronti della flora ammonificante e che la morte di un numero infinito di organismi viventi nel suolo costituisce un immenso pabulum per gli ammonificanti, con conseguente grande produzione di ammoniaca. Il potere ammonificante di un terreno è possibile misurarlo con il metodo di Brown: a 100 g di terreno in esame si aggiungono 10 cc di una soluzione al 10% di albumina o di caseina, in acqua alcalinizzata con carbonato di sodio, e tanta acqua fino a portare l’umidità al 30%. Dopo 3-7 giorni di incubazione a 20 °C si dosa l’ammoniaca. Il potere ammonificante del terreno, cioè la liberazione di ammoniaca da parte della microflora, non tiene conto di altre vie che l’azoto segue nella degradazione aerobica ed anaerobica delle proteine. Con la degradazione aerobica, le proteine subiscono un vero Fiume Francesco processo digestivo, si trasformano in peptoni e peptidi che, per idrolisi enzimatica, producono amminoacidi liberi e, per desaminazione microbica, azoto ammoniacale, ma possono anche essere assimilati dalla microflora o assorbiti dalle piante o adsorbiti dalla particelle terrose del suolo (argilla ed humus). Nella degradazione anaerobica delle proteine (putrefazione), una parte dell’azoto viene convertito in ammoniaca, mentre un’altra parte è trasformato in azoto amminico che, per ossidazione, libera ammoniaca. Con l’applicazione della metodica di Brown, molti ricercatori hanno tentato di stabilire una correlazione tra la fertilità dei vari terreni ed il loro potere ammonificante. Ciò sarebbe stato un indice abbastanza sicuro di valutazione. Purtroppo, l’applicazione pratica ha fornito risultati molto scadenti ed è ormai riconosciuto che il potere ammonificante di un terreno non può essere considerato un indice assoluto di fertilità di quel suolo. Di fronte ad un fenomeno molto complesso, di dimensioni planetarie, nessuna sicura indicazione poteva derivare dalla valutazione di uno solo dei parametri fisici, chimici e biologici che ne regolano l’andamento. Le determinazioni del potere ammonificante di un suolo presentano gravi imperfezioni ed anche se riescono a dare indicazioni sull’attività dei microrganismi decomponenti e sull’influenza di vari stimoli fisici e chimici, non riescono a fornire sufficienti informazioni circa l’andamento ed i risultati del processo di degradazione della materia organica, in condizioni naturali. Numerosi sono stati i tentativi d’inoculazione nel terreno di microrganismi ammonificanti, molto attivi in condizioni sperimentali di laboratorio, che dovevano mettere rapidamente a disposizione delle piante tutto l’azoto organico. Nessun esperimento ha avuto un seguito pratico ed applicativo e più nessuno parla, oggi, di un Bacillus ellembachensis, che era semplicemente un normale Bacillus subtilis, a cui erroneamente si attribuivano delle attività azotofissatrici, e del cosiddetto ammoniogeno che altro non era che una miscela di spore di Bacillus megatherium e di B. mycoides. Il terreno agrario è sempre più o meno ricco di microrganismi ammonificanti, tipicamente ubiquitari, la cui vita è regolata dalle condizioni fisiche e chimiche del terreno. Se le condizioni edafiche non sono favorevoli a nulla giova l’introduzione di microrganismi ammonificanti i quali, comunque, non riusciranno ad ambientarsi. Se le condizioni pedologiche sono favorevoli allora è inutile qualunque inoculazione, perché i microrganismi ammonificanti, per le loro caratteristiche ubiquitarie, colonizzeranno quel suolo e daranno luogo ad un normale processo di degradazione della sostanza organica, fino alla produzione dei cationi ammonici o di ammoniaca. Il processo di ammonificazione è un processo biologico molto aspecifico, poiché moltissimi sono i microrganismi capaci di realizzare la degradazione delle proteine, dai batteri, fino agli actinomiceti ed ai funghi, anche in condizioni ambientali più diverse. La materia organica, inoltre, non viene tutta degradata con la stessa velocità. Alcuni compostaggi sono rapidamente degradati, mentre altri sono molto refrattari alla degradazione microbica e sono mineralizzati lentamente. Per avere un’idea circa la velocità di degradazione delle proteine si ricorre al periodo di semitrasformazione, che indica il tempo necessario affinché le forme organiche azotate riducano alla metà la loro concentrazione. Sulla base del periodo di semitrasformazione è possibile distinguere quattro frazioni di azoto organico: quello della biomassa microbica, una frazione facilmente mineralizzabile, una frazione stabile ed una frazione molto resistente; quest’ultima rappresenta il 50% dell’azoto organico totale del terreno. NITRIFICAZIONE DELL’AZOTO AMMONIACALE La nitrificazione dell’azoto ammoniacale è un altro anello del ciclo dell’azoto e 422 423 Il terreno consiste nell’ossidazione biologica dell’ammoniaca, fino alla formazione di azoto nitrico. I microrganismi che determinano questa trasformazione sono un gruppo non molto numeroso di specie chemio-autotrofe, aerobie obbligate, la cui crescita colturale è bloccata da composti organici. La nitrificazione eterotrofa è realizzata da Aspergillus flavus ed Arthrobacter globiformis e da diverse specie del genere Achromobacter, Corynebacterium, Nocardia, Agrobacterium ed Alcaligenes. La reazione del terreno condiziona molto la nitrificazione, nel senso che essa è inibita da valori di pH inferiori a cinque ed, in terreni con simili valori, tutto l’azoto minerale del suolo si trova sotto forma ammoniacale. La correzione dell’acidità dei terreni può favorire la nitrificazione. Anche il rapporto carbonio/azoto (C/N) influenza la nitrificazione tanto che il suo andamento può essere ostacolato nello strato superficiale di residui della vegetazione, dove tutta l’ammoniaca prodotta è totalmente assimilata, perciò, fissata dai microrganismi eterotrofi e sottratta alla trasformazione nitrica. La nitrificazione è un processo tipicamente ossidativo, messo in atto da microrganismi aerobi. L’eccessiva umidità del terreno ed altri fattori che diminuiscono l’ossigeno del suolo rappresentano un’importante causa d’ostacolo al normale decorso del processo. L’individuazione e l’isolamento dei batteri della nitrificazione furono risolti da Winogradsky alla fine dello scorso secolo, quando ebbe l’idea di escludere dai substrati di coltura ogni traccia di sostanza organica, ottenendo, così, la conferma che si trattava di batteri chemio-autotrofi obbligati. Per poter fare una prima distinzione di questi batteri bisogna considerare che la nitrificazione avviene in due fasi separate, la nitrosazione e la nitrificazione. La prima consiste nell’ossidazione dell’ammoniaca ad idrossilamina e nella successiva ossidazione a nitrito, con l’intervento di un’ossigenasi e di un’idrossilamina ossidoreduttasi e probabile esistenza di una tappa intermedia non ancora dimostrata. La seconda induce la trasformazione del nitrito a nitrato, in presenza di una catena di trasporto degli elettroni, comprendente il citocromo a2 e la sintesi di ATP. La nitrosazione avviene secondo il seguente schema, in tre fasi (idrossido di ammonio, idrossilamina, nitrossile e acido nitroso), in ognuna delle quali si ha perdita di due elettroni e di due protoni, con sviluppo di 63,8 Kcal: - 2H - 2H - 2H NH4OH → NH2OH → NOH → HNO2 + H2O Il nitrossile NOH si troverebbe sotto forma polimerica, in forma di acido iponitroso (OH–N=N–OH), di nitramide (H2N–NO2) o di acido imidonitrico (HN=NO–OH). La nitrificazione dà luogo alla deidrogenazione della forma idrata dello ione nitroso, con assorbimento di 17,8 Kcal. + H2O - 2H HNO2 → HON(OH)2 → HNO3 Fiume Francesco I batteri che determinano la nitrosazione sono detti nitrosanti o nitrosi. Essi sono batteri del genere Nitrosomonas, costituiti da cellule ovali, non sporigene, riunite in zooglee (N. europaea, immobile e Gram-negativo, N. oligocarbogenes, mobile e Grampositivo, N. monocella); del genere Nitrosococcus, raro, a forma di cocchi; del genere Nitrospira, cellule lunghe e spiralate; del genere Nitrosocystis, con la specie N. coccoides formanti colonie dense e viscose, con aggregati cellulari circondati da capsula o cisti; del genere Nitrosoglaea, costituenti isolati cellulari non rivestiti da cisti; del genere Nitrosolobus, con la specie N. multiformis. I batteri che inducono la nitrificazione sono detti nitricanti o nitrici. Essi sono batteri del genere Nitrobacter dotato di cellule ovali, non sporulate, Gram-negativi, con due specie, N. winogradskyi, immobile e N. agile, mobile. Altri generi e specie sono accessori al processo di nitrificazione e spesse volte dubbio è il loro potere. I batteri nitricanti sono aerobi stretti, prediligono un pH compreso tra 8,3 e 9,3, la loro azione è favorità dall’oscurità, la temperatura ottimale è di 24-28 °C, la loro unica fonte di carbonio è data dall’anidride carbonica e dai carbonati, la fonte azotata è costituita da ammoniaca per i nitrosanti e da nitriti per i nitricanti. Tali microrganismi non utilizzano le sostanze organiche, che svolgono azione inibitrice anche a basse concentrazioni. Essi hanno bisogno, inoltre, di calcio. Numerosi microrganismi eterotrofi, già citati, sono capaci di dar luogo all’ossidazione dell’ammoniaca e dei nitriti, fino alla produzione di nitrati. Questi microrganismi sono incapaci di utilizzare l’ossidazione dell’azoto come fonte di energia per le biosintesi cellulari e devono utilizzare il carbonio organico. Il differente trofismo di questi microrganismi (eterotrofismo) produce, naturalmente, un meccanismo biochimico di nitrificazione completamente diverso, rispetto a quello dei microrganismi autotrofi obbligati. Probabilmente intervengono catalasi e perossidasi, ma non è noto il loro ruolo nelle reazioni. In coltura pura o associata, i diversi microrganismi eterotrofi nitrificanti trasformano composti azotati ridotti, come l’ammoniaca e gli ossimi di acidi organici, in nitriti, con un rendimento maggiore di quello ottenuto a partire da azoto ammoniacale e pari a 40-70 ppm di azoto nitroso. Tale quantità, rispetto alla produzione del classico nitrificante Nitrosomonas, che è in grado di produrre fino a 1.000-2.000 ppm di azoto nitroso nello stesso tempo, è sicuramente da giudicare irrisoria. Tuttavia, il ruolo dei microrganimi eterotrofi, ossidanti i cationi ammonici ad anioni nitrosi e nitrici, anche se con un risultato meno imponente da un punto quantitativo, è assolutamente molto importante, sia per la diversificazione dei meccanismi del processo, sia perché i diversi meccanismi possono integrarsi o diventare alternativi e reciprocamente sostituirsi ed assicurare la degradazione della materia organica per qualunque condizione ambientale. L’importanza dei microrganismi eterotrofi è fondamentale nella determinazione degli equilibri biologici e nell’economia dei cicli naturali. DENITRIFICAZIONE DELL’AZOTO NITRICO La denitrificazione dell’azoto nitrico rappresenta l’ultimo anello del ciclo biologico dell’azoto. Attraverso questo processo l’anione nitrico nel terreno, non assorbito dalle piante o fissato dai microrganismi e non dilavato dall’acqua meteorica o di irrigazione (si ricorda che il suo adsorbimento da parte delle particelle colloidali minerali ed organiche del suolo è minimo), viene ridotto in prodotti volatili, come l’azoto molecolare e l’ossido nitroso che ritornano all’atmosfera. Da un punto di vista ecologico e dell’economia della natura, il processo di denitrificazione è fondamentale perché evita il depauperamento della riserva azotata contenuta nell’atmosfera che, per l’appunto, si mantiene costante nel 424 425 Il terreno tempo. Da un punto di vista agronomico e dell’economia dell’agricoltore, la denitrificazione è un processo negativo poiché conduce ad una diminuzione di quell’azoto particolarmente disponibile per le piante coltivate. D’altra parte, questa frazione eccedente di azoto non utilizzata dalle piante sarebbe comunque perduta per effetto del dilavamento, perché non trattenuta dal terreno. I nitrati subiscono una prima riduzione nelle cellule dei microrganismi edafici, per il semplice fatto che essi sono temporaneamente bloccati per essere utilizzati nella sintesi delle proteine. Queste ultime assolvono ad una funzione plastica, cioè di costituzione della struttura cellulare. Non si tratta di denitrificazione, ma di immobilizzazione momentanea dell’azoto nitrico che, pertanto, non può essere disponibile per le piante. La vera denitrificazione è la riduzione disassimilativa dei nitrati, per la quale gli stessi sono utilizzati soltanto come accettori finali degli elettroni che si originano nelle reazioni di ossidazione delle cellule microbiche e che sono la causa della riduzione ad azoto gassoso, N2, oppure ad ossido nitroso, N2O. I microrganismi della denitrificazione sono principalmente batteri eterotrofi dei generi Pseudomonas, Achromobacter, Micrococcus e Bacillus e batteri autotrofi, come la specie Thiobacillus denitrificans. I batteri eterotrofi ed autotrofi sono tutti anaerobi facoltativi, in relazione al fatto che, soltanto in condizioni di anaerobiosi, i processi di ossidazione avvengono a seguito della protonazione del substrato e produzione degli elettroni che vanno a ridurre i nitrati. In presenza di ossigeno è questo che ossida il substrato per produrre energia, poiché si realizza il tipo normale di respirazione. L’anaerobiosi facoltativa dei batteri denitrificanti può dar luogo a diversi livelli anaerobiotici e, schematizzando, questi possono essere molto stretti oppure abbastanza moderati. Nel primo caso, nell’anaerobiosi stretta, il processo di denitrificazione avviene, partendo dall’acido nitrico, con formazione di acido nitroso, nitroidrossilamina, ossido nitroso ed azoto molecolare, secondo il seguente schema: 2 HNO3 → 2 HNO2 → NO2NHOH → N2O↑ → N2↑ Nel secondo caso, nell’anaerobiosi moderata, partendo sempre dall’acido nitrico, si ottiene acido nitroso, nitroidrossilamina, acido nitroso di nuovo, idrossilamina ed, infine, ammoniaca, secondo lo schema seguente: 2 HNO3 → 2 HNO2 → NO2NHOH → HNO2 → NH2OH → NH3 ↑ In certe condizioni la nitroidrossilamina può ossidarsi ad ossido nitrico, secondo la seguente reazione: NO2NHOH → 2 NO Nel processo di denitrificazione intervengono il NADH, flavoproteine, chinoni, il citocromo b, che insieme all’enzima nitrato riduttasi libera anioni NO 3¯, il citocromo cd, che insieme all’enzima nitrito riduttasi riduce gli anioni NO3¯ ad anioni NO2¯, il citocromo C, che insieme alla NO riduttasi trasforma gli anioni NO 2¯ in ossido nitrico NO, lo stesso citocromo C, che insieme alla N2O riduttasi dà luogo ad ossido nitroso N2O ed azoto gassoso N2 che, ambedue, volatilizzano nell’atmosfera. Fiume Francesco La microflora denitrificante è presente nei terreni equilibrati sotto l’aspetto microbiologico, anche se la presenza di una flora denitrificante non sta ad indicare che nel terreno esistano condizioni favorevoli alla denitrificazione, né che il processo si stia realizzando. La denitrificazione è favorita nei terreni asfittici, con eccessi idrici o nei terreni dove periodi di aridità (durante i quali si formano nitrati) si alternano con periodi di eccesso idrico (durante i quali si ha denitrificazione). Naturalmente, la denitrificazione è condizionata dall’intensità della nitrificazione e più questa è intensa, tanto più la denitrificazione sarà attiva, a causa della presenza di apprezzabili quantità di nitrati. Al contrario, se nel terreno ci sono pochi nitrati (per scarsa nitrificazione), anche la denitrificazione sarà ridotta ai minimi livelli. La reazione del terreno influenza l’andamento della denitrificazione e tanto più basso è il pH tanto meno attiva sarà la volatilizzazione dell’azoto. L’aerazione del terreno, anche attraverso le lavorazioni, riduce le perdite di azoto ed, in linea generale, la presenza di nitrati nel terreno induce, comunque, una volatilizzazione continua di azoto, sia pure in quantità impercettibile. Una via agronomica per ridurre la denitrificazione consiste nella riduzione della concimazione con prodotti nitrici e nella somministrazione di concimi ammoniacali. Un aspetto molto importante legato al ciclo dell’azoto nel terreno ed alle concimazioni azotate e che ha un notevole riflesso sulla qualità della produzione agricola, in particolare di ortaggi, è quello dell’accumulo dei nitrati nel suolo. Questo è uno dei problemi più gravi riguardante le coltivazioni degli ortaggi, soprattutto in serra, dove gli interventi di fertilizzazione azotata sono molto spinti e l’accumulo dei nitrati può arrecare serie conseguenze alla salute del consumatore. I nitrati sono normalmente ingeriti dall’uomo senza alcun problema (fanno parte, entro certi limiti, del contenuto minerale delle acque potabili) e gli ortaggi contribuiscono per il 70-80% nell’assunzione giornaliera, in quanto nelle piante essi sono naturalmente presenti per subire la conversione in azoto organico, prima aminoacidico e poi proteico. Tuttavia, se nel terreno le disponibilità sono superiori alle esigenze, come accade in quelle serre dove l’agricoltore ha spinto la concimazione azotata per forzare lo sviluppo della coltura, i nitrati si accumulano nelle piante e solo una parte è trasformato in azoto organico. Accade allora che i nitrati in eccesso sono ridotti, nelle piante ed anche direttamente nell’organismo umano, in nitriti. Questi provocano la formazione di nitrosamine e nitrosamidi, sostanze notoriamente cancerogene ed aventi un’azione fortemente negativa sull’emoglobina del sangue, la quale si trasforma in metaemoglobina incapace di ossidarsi ad ossiemoglobina e, quindi, di assolvere alla normale funzione di trasporto dell’ossigeno. L’intervento più importante, per evitare che questo tipo di problema possa insorgere, è quello che agisce sulla concimazione azotata. Più la raccolta è vicina all’ultima concimazione azotata, maggiore è il rischio di alta presenza di nitrati; più la quantità distribuita eccede il fabbisogno della pianta, più si favorisce l’accumulo. Pertanto, ottenere una produzione sana di ortaggi significa mettere in atto una serie di accorgimenti e conoscenze: effettuare l’analisi chimica del terreno; conoscere il fabbisogno in azoto della coltura ed alle diverse fasi fenologiche della pianta; tenere presente l’epoca colturale ed il ritmo di accrescimento della varietà; fornire una formulazione di concime a lento effetto e meno prontamente disponibile come l’azoto ammoniacale; ricorrere alla fertirrigazione oppure alla coltura idroponica oppure alla coltura fuori suolo; in quest’ultimo caso, in considerazione del problema dei residui, utilizzare un impianto di coltivazione senza suolo ed a ciclo chiuso. La temperatura e l’irradianza influenzano l’accumulo dei nitrati nelle foglie di 426 427 Il terreno alcune specie coltivate, in funzione della disponibiltà di anioni nitrato. Così, nella rucola, in condizioni di bassa disponibilità di ioni nitrato, l’accumulo dei nitrati nelle foglie è maggiore a temperatura più alta ed a luminosità più bassa; all’aumento della disponibilità di azoto nitrico, all’incremento della luminosità e con temperatura alta, la concentrazione dei nitrati nei tessuti diminuisce. Tutto ciò è coerente con l’attività della nitrato riduttasi che è un enzima del processo di denitrificazione, come già visto, che è attivato non solo dalla luce, ma anche dalla presenza del substrato specifico, cioè di azoto nitrico. Ciclo dello zolfo Lo zolfo presenta un ciclo reso possibile dai suoi numerosi stati d’ossidazione e dal gran numero di composti inorganici ed organici presenti nei tre stati della materia e spesso idrosolubili. Apporti di zolfo al terreno Piogge Animali Vegetali Fitofarmaci Correttivi Ammendanti Concimi Assorbimento Adsorbimento Ossidazione Ossidazione S minerale Solfuri S2- Ossidazione → ← Riduzione Solfati SO42- Perdite di zolfo dal terreno Lisciviazione H2S SO2 S organico Mineralizzazione Organicazione Fig. 106 – Schema semplificato del ciclo dello zolfo in natura. La riserva totale di zolfo, sul nostro pianeta, ammonta a circa 311.500 milioni di tonnellate, di cui circa il 60% è localizzato nelle rocce ignee della litosfera, oltre il 24% in quelle metamorfiche, oltre il 9% nelle sedimentarie e circa 1% nei sedimenti. Inoltre, il 4,5% si trova nell’idrosfera, mentre nell’atmosfera è presente soltanto lo 0,02% dello zolfo totale. Nella figura 106 è riportato schematicamente il ciclo dello zolfo in natura, nelle fasi di ossidazione e riduzione degli anioni solfidrico e solforico e di organicazione e mineralizzazione dello zolfo minerale ed organico, rispettivamente. Lo zolfo nel terreno è contenuto nella quantità dello 0,01-0,5% e non supera, di solito, lo 0,6%, mentre le combinazioni organiche raggiungono spesso il 90% del totale. Lo zolfo organico perviene al terreno con i resti animali e vegetali, è mineralizzato a zolfo elementare e poi ossidato ad anione solforico che ritorna di nuovo alla forma organica quando è assimilato dalle piante e dagli animali. Confrontando il ciclo dello zolfo e quello dell’azoto appare subito evidente la prima differenza rappresentata dal fatto che, nel primo caso, la sorgente primaria è localizzata nella litosfera terrestre, nel secondo, nell’atmosfera. L’altra differenza, come già accennato, è da ravvisare nelle reazioni ossidoriduttive, molto più complesse nel caso dello zolfo (anche per le numerose forme di ossidazione Fiume Francesco dell’elemento: -2, +4, +6). Nel terreno, lo zolfo, oltre allo stato inorganico, è presente come zolfo organico nelle proteine ferro-zolfo (la prima ad essere scoperta è stata la ferridoxina) contenute in molti batteri, negli amminoacidi solforati con legame C–S– (cistina e cisteina, metionina), nei solfati organici (ad esempio il solfato di colina, i solfati fenolici, i polisaccaridi solfatati) contenenti legami C–O–S–, negli esteri solforici dei glucidi e dei lipidi, nelle particelle colloidali umiche cui i biopolimeri dello zolfo sono adsorbiti. Molti microrganismi del terreno dovrebbero rappresentare una buona riserva di zolfo organico, in particolare per quanto riguarda le tipiche molecole biologiche come le vitamine (tiamina e biotina), gli antibiotici (penicellina e gliotossina), composti metabolici (glutatione, acido lipoico, coenzima a). Questi composti raramente sono stati trovati liberi nel terreno e ciò è stato spiegato con il fatto che essi sono rapidamente demoliti dagli stessi microrganismi del suolo di cui ne sono avidi. Esiste, infine, una frazione non conosciuta di zolfo organico che può essere presente come prodotti ottenuti da complesse reazioni di condensazione dei composti solforati con chinoni. Lo zolfo presente nel suolo naturale ed agrario è di 30-81 mg/g di terreno e di questo, il 21-30% del totale ed il 45-47% di quello legato al carbonio è zolfo amminoacidico. Il ciclo dello zolfo, come quello degli altri elementi in natura, è caratterizzato da una fase anabolica, mediante la quale avviene la sua organicazione, ed una fase catabolica attraverso cui si realizza la mineralizzazione dei composti tiorganici, fino alla produzione di solfuri, solfati, con composti volatili intermedi, come i mercaptani, in relazione alla presenza di determinati microrganismi ed all’ecologia del terreno. L’organicazione dello zolfo avviene attraverso l’assorbimento dell’anione solfato da parte delle radici delle piante superiori. L’anidride solforosa, presente in tracce nell’atmosfera, può essere assorbita ed assimilata dalle foglie ma, è stato dimostrato, deve essere trasformata prima ad ione solfato. Il solfato può essere evidenziato nella linfa grezza dei fasci xilematici di campioni di fusto ed è trasportato nella corrente traspiratoria fino alle foglie, dove viene assimilato. L’assimilazione del solfato avviene anche in radici escisse. Nella realtà, è stato stabilito che l’assimilazione del solfato avviene in tutte le cellule, sia che si trovino nel fusto che nelle radici. Nei batteri, nei funghi (lieviti) e nelle alghe l’assimilazione dei solfati avviene secondo meccanismi più o meno simili a quello delle piante superiori. La prima fase di organicazione dell’anione solfato inizia con la sua attivazione: l’anione solfato reagisce con ATP per produrre adenosin-5-fosfosolfato, indicato con l’acronimo APS, con l’azione dell’enzima ATP-solforilasi. Poi, APS reagisce con un’altra molecola di ATP per produrre 3-fosfoadenosin-5-fosfosolfato, indicato come PAPS. La reazione è catalizzata dall’enzima noto come APS-chinasi. APS e PAPS sono in equilibrio tra loro a seguito di assunzione o perdita di un gruppo fosfato e l’enzima che controlla questo equilibrio non è ancora ben noto. Le due forme di solfato, APS e PAPS, sono chiamate solfato attivato. PAPS è la forma con cui il solfato attivato si accumula nelle cellule organicanti lo zolfo, APS è il substrato che riduce il solfato a gruppo solfidrile, poi utilizzato, ad esempio, nella biosintesi dei tioamminoacidi (metionina, cistina). Di seguito è indicata la trasformazione del solfato (come APS) fino a solfito (come adenosin-5-fosfosolfito) e quindi a solfuro (come adenosin-5-fosfo-solfuro): 428 429 Il terreno O O O O O O ATP-solforilasi Adenosin–O–P–O–P–O–P–OH + – O–S–O – + 2H+ → Adenosin–O–P–O–S–OH + H2PO3–O–H2PO3 OH OH OH ATP O OH O Anione solfato APS acido pirofosforico + gruppo fosfato ↑ ↓ – gruppo fosfato O O O O APS chinasi Adenosin–O–P–O–S–OH + ATP → Adenosin–O–P–O–S–OH + ADP OH O HO–P = O OH O OH APS PAPS In sintesi: +H +H SO42- → SO32- → S2APSolfato Apsolfito APsolfuro I singoli enzimi ed i trasportatori di elettroni e le fonti di potere riducente non sono perfettamente noti nelle piante superiori ed il termine solfato riduttasi o APS riduttasi viene usato per indicare il complesso enzimatico completo che catalizza le due fasi di riduzione dell’ultima reazione. Il potere riducente in quest’ultima reazione è indicato semplicemente con il simbolo +H. Il solfuro (come adenosin-5-fosfo-solfuro) che si è prodotto nella stessa reazione è incorporato nella cisteina per reazione dell’adenosin-5fosfo-solfuro (qui indicato semplicemente come radicale solfidrico) con O-acetil-serina, come rappresentato: CH2O–CH2COOH CH–NH2 + S2- + 2H+ COOH O-acetil-serina → CH2–SH CH–NH2 COOH Cisteina + CH3COOH + H2O Acido acetico Fiume Francesco Questa reazione è catalizzata da un enzima noto come O-acetil-serina-solfoidrasi e la cisteina è un amminoacido che rappresenta il punto di partenza di molti composti vegetali contenenti zolfo. In particolare, nella conversione dell’omoserina in metionina, l’atomo di zolfo della metionina deriva dalla cisteina, mentre la catena carboniosa dall’omoserina. Lo zolfo minerale, oltre che un processo di organicazione, tipico degli organismi autotrofi, subisce altre trasformazioni ossidative e di riduzione. L’ossidazione dell’acido solfidrico avviene nelle acque ad opera dei batteri autotrofi, i quali sono capaci di ossidarlo a zolfo elementare. Quest’ultimo si deposita nelle loro cellule sotto forma di globuli, ma può anche essere depositato all’esterno. In molti casi l’ossidazione è spinta fino alla formazione di acido solforico o dell’anione solforico che si combina con diversi cationi del terreno. L’ossidazione di H2S si realizza anche, semplicemente, attraverso una via unicamente chimica, ad opera dell’ossigeno dell’atmosfera. I batteri capaci di ossidare l’acido solfidrico fino a zolfo elementare o fino all’anione solforico sono batteri fotosintetici e chemiosintetizzanti, con pigmenti simili alla clorofilla (batterioporporina e batterioclorofilla), appartenenti alla famiglia delle Thiorhodaceae e delle Beggiatoaceae; sono batteri unicamente fotosintetici, con batterioclorofilla, appartenenti alla famiglia Chlorobacteriaceae; sono batteri solo chemiosintetizzanti come quelli della famiglia delle Thiobacteriaceae i quali si riconoscono perché non contengono granuli di zolfo all’interno delle loro cellule. La famiglia delle Thiobacteriaceae comprende batteri autotrofi specializzati, che svolgono la loro azione principalmente nel terreno e batteri eterotrofi non specializzati, i quali sostituiscono i primi quando sono carenti nel terreno. Tra gli autotrofi si ricordano il Thiobacillus thioparus (aerobio, non cresce a pH inferiore a 5, ossidante vari composti dello zolfo fino a solfato), T. denitrificans (anaerobio facoltativo, utilizza i nitrati come accettore finale di elettroni per ossidare lo zolfo fino a solfati), T. novellus (autotrofo facoltativo), T. tioxidans, T. ferroxidans (con pH ottimale intorno a 3, capace di ossidare contemporaneamente ed indipendentemente ferro e zolfo). Tra gli eterotrofi capaci di determinare l’ossidazione dello zolfo si ricordano i generi Proteus, Pseudomonas, Achromobacter, actinomiceti, funghi e lieviti. La riduzione dello zolfo minerale, parzialmente e completamente ossidato, in condizioni di anaerobiosi, in terreni saturi d’acqua, pesanti ed argillosi avviene a carico di batteri autotrofi specializzati, detti solfatoriduttori, a forma di vibrione, mobili, Gram negativi, anaerobi, diffusi nelle acque e nel terreno e la cui specie più importante è Desulfovibrio desulfuricans. La riduzione dei composti dello zolfo viene effettuata anche da batteri eterotrofi non specializzati, come alcuni anaerobi (Clostridium) ed alcuni aerobi (Bacillus megatherium). La mineralizzazione dello zolfo, la fase catabolica del ciclo, consiste nella formazione di solfuri a partire dallo zolfo organico. Il processo può avvenire in aerobiosi ed anaerobiosi ed è diverso a seconda del tipo del composto organico dello zolfo. I composti organici con legame C–S– sono mineralizzati quando i microbi utilizzano la componente organica come fonte di energia. I composti organici con legame C–O–S– sono idrolizzati ad opera dell’enzima solfatasi, con il rilascio dell’anione solfato e senza la concomitante utilizzazione della componente organica. La solfatasi gioca un ruolo molto importante nella mineralizzazione dello zolfo soprattutto quando nel terreno sono presenti quantità di solfati a basse concentrazioni. I batteri aerobici sono eterotrofi e sono rappresentati dai generi Pseudomonas, Proteus, Clostridium, Serratia, mentre quelli anaerobici sono specie del genere Desulfovibrio. 430 431 Il terreno La mineralizzazione dello zolfo organico è stata dimostrata con lo studio di colture pure e sul terreno stesso addizionato di amminoacidi solforati, ottenendo diverse trasformazioni ad opera dei batteri i quali utilizzano lo zolfo come donatore di protoni e sorgente di energia o come agente riduttore nell’assimilazione dell’anidride carbonica atmosferica (ossidazione dello zolfo minerale) o come accettore di protoni (riduzione dei solfati). Nel terreno l’ossidazione dello zolfo ha un’azione correttiva sui suoli alcalini e sulla nutrizione delle piante, con la formazione dei solfati, dà luogo a fenomeni di flocculazione dei colloidi, con miglioramento della struttura dei terreni alcalini ed agevola la solubilizzazione degli elementi nutritivi rendendoli disponibili per le piante. Va anche detto che la deficienza di zolfo nelle piante coltivate è un evento relativamente difficile a verificarsi in quanto considerevoli sono le quantità di solfati che si trovano normalmente nei comuni fertilizzanti azotati, fosfatici e potassici. Ciò spiega anche le scarse conoscenze sulle relazioni tra fertilità e conversione dei composti dello zolfo nel terreno, proprio per la scarsità di ricerche in questo specifico ed importante settore. Ciclo del fosforo Il fosforo totale del nostro pianeta è valutato intorno a 1019 tonnellate. La quantità di fosforo contenuta nella crosta terrestre è di circa 1015 tonnellate. Il fosforo presente nel terreno e negli organismi di tutti gli esseri viventi è stimato in 1010 tonnellate. Tutto il fosforo diffuso sul globo terrestre, nel terreno e nelle acque, prende origine dalla decomposizione e dall’erosione delle rocce, a seguito dell’azione dei fattori climatici e dell’acqua. Una frazione di fosforo del nostro pianeta è andata a costituire i sedimenti marini, un’altra parte è precipitata per costituire i giacimenti fosfatici terrestri, una certa porzione rappresenta la disponibilità della pedosfera e delle acque (mari, fiumi, laghi) per gli organismi viventi i quali hanno incorporato la restante quantità. Nella figura 107 è schematizzata la dinamica del fosforo in natura. Nel corpo umano il fosforo rappresenta circa 1% in peso ed è essenziale in tutti gli organismi quale componente degli acidi nucleici, dei fosfoprotidi, dei fosfolipidi, oltre che di molecole organiche aventi una funzione determinante nei trasferimenti di energia. Il fosforo solubile del terreno viene utilizzato ed assimilato dalle piante e da queste passa agli animali che lo restituiscono al suolo sotto forma di resti o residui organici. La quantità di minerale fosfatico contenuto nella roccia madre del suolo è il fattore prevalente che agisce sui valori della dotazione in fosforo di un terreno, insieme ad altri fattori pedogenetici. Nel terreno e nella biomassa pedologica, il fosforo si trova principalmente come anione ortofosforico trivalente. Il fosforo presente nella soluzione circolante del terreno, in modo predominante come HPO42¯, ma anche come H2PO4¯, specialmente nei suoli acidi, in parte è disponibile in tempo reale per le piante, che lo assorbono attraverso l’apparato radicale, ed in parte serve per saturare la capacità assorbente del suolo. Una certa quantità di fosforo viene asportata con il raccolto ed una minore quantità per erosione e per dilavamento. Pertanto, per rimpiazzare queste perdite, è indispensabile che i fertilizzanti fosfatici, provenienti dai giacimenti terrestri, siano somministrati al terreno. Per fortuna, ciò può attuarsi ancora per un lungo periodo, perché in questi ultimi anni il numero di giacimenti fosfatici utilizzabili da un punto di vista economico si è incrementato. Fiume Francesco Uomo 432 Rocce ignee Alterazione ed erosione Animali Sintesi del protoplasma Fiumi Piante Escrezione e residui Fosfati disciolti Sedimenti di mari poco profondi Sedimenti di mari profondi Microrganismi Uccelli, pesci ed organismi marini Suolo Rocce sedimentarie Concimi Giacimenti fosfatici Depositi di ossa fossili Depositi di guano Rocce metamorfiche Fig. 107 – Ciclo del fosforo in natura. In rosso la parte che interessa direttamente gli organismi viventi. Parte del fosfato è assorbito dalle radici delle piante superiori ed è trasportato nella corrente della circolazione linfatica e della traspirazione fino alle foglie. E’ probabile che il fosfato sia assimilato tanto nelle radici quanto nelle foglie. Circa il fosforo organico del terreno, nelle varie forme chimiche, le conoscenze sono ancora scarse. Può largamente oscillare da un minimo del 2% ad un massimo di 80%, rispetto al fosforo totale. Esso deriva dalle spoglie vegetali, dal protoplasma o dai prodotti metabolici degli organismi del suolo. Meno del 50% delle forme organiche di fosforo può essere ricondotto a composti noti, quali i fosfati di inositolo (2-50%), i fosfolipidi (1-5%), gli acidi nucleici (0,2-2,5%), tracce di fosfoproteine e di altri fosfati metabolici. Altre forme di fosforo presenti nel suolo sono rappresentate da polimeri contenenti fosfati, come gli acidi tecoici delle pareti cellulari microbiche, complessi di fosforo inorganico e di esteri fosfatici semplici (nucleotidi e fosfati di inositolo) con le sostanze umiche. La sintesi dei composti organici del fosforo avviene da parte delle piante, degli animali e dei microrganismi del terreno. L’assimilazione del fosforo è fondamentale per le sintesi protoplasmatiche e, per questo, i microrganismi e le piante sviluppano 433 Il terreno perfettamente quando i composti disponibili del fosforo sono presenti nell’ambiente edafico. Le sintesi cellulari portano all’accumulo di composti del fosforo non utilizzabili dalle piante e per tale motivo i microrganismi del terreno sono in forte competizione con le piante coltivate circa la disponibilità, l’asportazione e l’impiego del fosforo del suolo. Quando un terreno è ricco in carboidrati, l’aggiunta di sostanza organica, inducendo un intenso sviluppo della microflora che va a trasformare il fosforo solubile in fosforo organico, potrebbe essere negativa riguardo alla disponibilità di fosforo per le piante. L’assimilazione del fosfato si verifica nelle cellule vegetali soprattutto per incorporazione nell’ADP e formazione di ATP ed acqua. Lo stesso meccanismo si riscontra, unitamente all’ossidazione di NADH, nei mitocondri. Oltre all’assimilazione del fosfato nella fosforilazione ossidativa è probabile che parte del fosfato assorbito dalla pianta sia assimilato nelle foglie verdi esposte alla luce nel processo di fosforilazione fotosintetica. In tal caso, la fosforilazione dell’ADP ad ATP avviene contemporaneamente alle reazioni luminose della fotosintesi nei cloroplasti. Il fosfato che è assimilato in ATP è rapidamente trasferito, mediante successive reazioni metaboliche, in molti composti vegetali fosforilati, fra cui si ricordano gli zuccheri fosfati, i fosfolipidi ed i nucleotidi. Oltre all’incorporazione nell’ATP, il fosfato inorganico può anche essere assimilato in altri modi come quando, ad esempio, è incorporato nell’acido 1,3 difosfoglicerico nella reazione di glicolisi. Dopo l’assorbimento del fosforo da parte delle piante e la sintesi di composti organici attraverso l’assimilazione, segue la mineralizzazione dei composti organici del fosforo, contenuti nei resti vegetali ed animali. Ciò avviene ad opera dei microrganismi edafici. La mineralizzazione dei composti organici fosfatici è molto rapida nei terreni naturali e più lenta in quelli agrari, è favorita dalle alte temperature, dalla reazione neutra o sub-alacalina e dalla buona dotazione di fosforo nel terreno. La mineralizzazione del fosforo comporta il distacco del radicale fosforico dalla restante parte della molecola organica. Gli enzimi che operano tale separazione sono chiamate fosfatasi. Tra le fosfatasi si ricorda la fitasi che causa il distacco del fosfato dall’acido fitico o dai suoi sali e conseguente accumulo di inositolo. Le fitasi possono essere prodotte all’interno oppure all’esterno delle cellule e molte fosfatasi, oltre che specifiche, possono essere aspecifiche. Gli acidi nucleici che pervengono al terreno sono rapidamente privati del fosforo per un attacco microbico che procede prima con una rottura delle catene di RNA, ad opera della ribonucleasi e di DNA, per mezzo della desossiribonucleasi e poi con il distacco del fosfato. I fosfolipidi sono utilizzati come fonte di fosforo da numerosi batteri, funghi ed actinomiceti. Nei terreni neutri le condizioni di mineralizzazione microbica del suolo sono migliori, mentre nei terreni umiferi si formano complessi di fosforo organico molto resistenti alle azioni microbiche. Tra i microrganismi isolati dal terreno in grado di mineralizzare il fosforo organico si ricordano alcuni batteri, come Bacillus megatherium var. phosphaticum e Serratia carollera var. phosphatica, alcuni generi di lieviti, come Saccharomyces e Candida ed alcuni funghi, come Aspergillus, Penicillium ed Alternaria. Il fosforo mineralizzato dai microrganismi è presente nel terreno come fosfato tribasico insolubile e, pertanto, immobile. La mobilizzazione del fosfato tribasico avviene a seguito della sua trasformazione in fosfato bibasico e, soprattutto, monobasico. Ciò avviene per azione microbica, con la respirazione e il metabolismo degli organismi viventi nel terreno, a seguito della produzione di anidride carbonica che con l’acqua forma acido carbonico. Ma anche la produzione di anioni nitrici e solforici, da parte dei Fiume Francesco microrganismi chemioautotrofi ossidanti l’ammonio e lo zolfo, svolge un ruolo fondamentale nella conversione dei fosfati insolubili in fosfati solubili. Numerose sono le ricerche condotte per aumentare la quota di fosforo disponibile nel terreno mediante l’inoculazione nel suolo di microrganismi fosfatolitici. In tutti i casi sono stati osservati significativi incrementi delle produzioni agricole. Studi in questo campo dovrebbero essere intrapresi con la massima cura, allo scopo di ridurre gli apporti di concimi fosfatici, in relazione al fatto che, di solito, i terreni italiani hanno una buona dotazione in fosforo, anche se molto spesso non è disponibile per le piante. Prima di concludere, va sottolineato che tra i diversi cicli degli elementi del sistema ecologico terrestre esistono sicuramente dei collegamenti, anche se non si hanno a disposizione, in proposito, dei dati quantitativi certi. Va anche detto che tutti gli elementi del nostro pianeta sono caratterizzati da uno specifico ciclo per il quale la quantità globale dello stesso elemento tende a non subire drastiche variazioni quantitative. E non soltanto gli elementi, ma anche alcuni composti possiedono un loro ciclo in natura e fra questi si ricorda l’acqua, il cui ciclo rappresenta il fattore più importante capace di collegare il movimento degli elementi nell’ecosistema pedologico. La quantità, la qualità e la distribuzione delle piogge e dell’acqua allo stato solido (neve, ghiaccio), l’evaporazione, la traspirazione, il drenaggio e tutte le quote idriche disponibili per la vita animale e vegetale e per il mondo minerale influenzano la circolazione degli elementi in natura. Per esempio, la percolazione e l’evapotraspirazione agiscono in modo opposto: la prima determina perdite di elementi nutritivi in proporzione alla quantità di acqua percolata, la seconda causa la riduzione del flusso degli elementi fuori del sistema, poiché l’evapotraspirazione è acqua sottratta alla percolazione. Così pure l’acqua causa erosione, traslocazione, dilavamento decomposizione, mineralizzazione e le azioni antropiche possono alterare la qualità delle acque, modificare il corso dei fiumi, deforestare, urbanizzare, bonificare zone paludose. Alcuni elementi svolgono, inoltre, un’azione cruciale nelle azioni ed interazioni degli elementi. Per esempio, il carbonio instaura in’infinita rete di rapporti con l’azoto, il fosforo, lo zolfo ed altri elementi, regolando l’organicazione e la mineralizzazione e causando l’immobilizzazione o la liberazione degli elementi nutritivi. Anche in questo caso le attività umane possono indurre profondi squilibri. Così, l’utilizzazione dei combustibili fossili fa diminuire gli organismi fotosintetizzanti su scala mondiale e fa aumentare l’anidride carbonica dell’atmosfera con la grave conseguenza di indurre l’effetto serra, causa dell’aumento della temperatura sul pianeta e di una serie di effetti negativi (fusione dei ghiacci delle calotte polari, modificazione del clima, desertificazione). L’uomo moderno, utilizzando il progresso tecnologico, ha il dovere di evitare ogni squilibrio dell’ecosistema terrestre e deve consentire un equilibrato aumento della fertilità del suolo o, comunque, non accelerarne la perdita. Facendo prevalere forze organizzative diventa possibile assicurare la salvaguardia di quel sistema aperto, provvisto di un numero infinito di entità biotiche ed abiotiche, che è il suolo. 434 435 Il terreno BIBLIOGRAFIA ABBOTT M.M., VAN NESS H.C., 1975. Termodinamica. Coll. Schaum. Etas Libri, Milano ABEELS P., DECLERQ D., 1977. La locomotion tout terrain. La compaction du sol. Rev. Agric., 1, 131. ABRAHAM R.J., LOFTUS P., 1978. Proton and Carbon-13 NMR Spectroscopy. Heyden, London. ADAM N.K., 1941. The physics and chemistry of surfaces. Oxford University Press, London. AHMADJIAN V., HALE M.E., 1973. The lichens. Academic Press, New York, USA. AL MOUDALLAL Z., BRIAN J.P., VAN REGENMORTEL M.H.V., 1982. Monoclonal antibodies as probes of the antigenic structure of tobacco mosaic virus. EMBO J., 1, 1005-1010. ALEXOPOULOS C.J., MIMS C.W., 1979. Introductory Mycology. Wiley, New York, USA. ALLISON F.E., 1968. Soil aggregation. Some facts and fallacies as seen by microbiologist. 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benzen-pentacarbossilico 210 – benzoico 210, 388 – borico 265 – butirrico 405 – carbonico 35, 36, 238, 239 – carbossi-mucoico 409 – cetrarico 36 – citrico 257, 305 – cloridrico 45, 46 – desossiribonucleico 311 – diortosilicico – EDTA 34 – esasilicico – etilendiamminotetracetico 34 – fitico 432 – fluoridrico 46 – formico 224 – fosforico 227 – fumarico 36, 394 – fumarprotocetrarico 36 – gallico 295 – idrossibenzoico 409 – indolacetico 337, 419 460 461 Il terreno – lattico 394 – lichenici 35, 36 – malico 305 – metadisilicico 32 – metasilicico 32 – metatrisilicico 32 – nitrico 425 – nitroso 425 – nucleinico 204, 310 – orsellinico 295 – ortosilicico 32 – ossalico 224, 305 – pectico 407 – pentasilicico 32 – p-idrossicinnamico – piruvico 295, 394, 395, 396, 397, 417 – poligalatturonico 407 – propionico 405 – protocatechico 295, 409 – protocetrarico 36 – scichimico 295 – solfidrico 18, 226, 232, 260, 269, 415, 429 – solforico 33, 34, 46, 65, 429 – solforoso 33, 34 – succinico 305 – tartarico 305 – tetrasilicico 32 – triidrossibenzoico 295 – usnico 36 – vanillico 409 acqua 9, 10, 17, 26, 30, 39, 55, 181, 225, 235, 392 – allo stato solido 42 – ammissibile 249 – angolare 125 – buona 249 Fiume Francesco – capillare 133, 135, 136, 270 – corrente 26, 39 – del terreno 237 – di adesione capillare 125 – di capillarità 125, 144 – di colatura 252 – di costituzione 125 – di cristallizzazione 125 – di dilavamento 26 – di drenaggio 64, 233, 234, 270 – di falda 66 – di imbibizione – – capillare 150 – – micellare 125 – di irrigazione 56, 145, 233 274, 424 – di membrana 125 – di percolazione 101, 120, 121, 125, 149, 194 – di pioggia 149, 152, 230, 237, 274 – di ruscellamento 75, 154, 258, 261 – di scorrimento 155, 230 – di sorgente 252 – disponibile per le piante 151 – dura 229, 230, 245, 262 – eccellente 249 – freatica 125, 230, 252 – gravitazionale 110, 115, 120, 121, 125, 126, 133, 135, 149, 150, 194, 270 – igroscopica 125, 133, 135, 140, 147, 149 – incerta 249 – industriale 252 – interstiziale 125 – inutilizzabile 249 – libera 125 – marina 26, 41, 259 – meteorica 26, 56, 63, 64, 245, 259, 424 – molle 247 – naturale 245 – non disponibile per le piante 151 462 463 Il terreno – reflua 251, 252 – salina 247 – salmastra 65, 245 – sotterranea 245, 246 – superficiale 245, 246 Acrinomyces 416 Acrostalagmus 342 Actinomyces 290 – acidophilus 290 Actinomycetaceae 290 actinomiceti 281, 282, 289, 295, 312, 317, 405, 407, 429 Actinomycetales 290 Actinophrys 335 addome 354, 364 adesione del terreno 107, 117, 118, 187, 194 adesività 107, 117, 118 – per il ferro 118 – per il legno 118 adsorbimento 67, 83, 200, 212, 217, 218, 259, 268, 424 – anionico 217, 235 – chimico 218, 219 – fisico 218 – negativo 218 aerazione del terreno 107, 122, 156, 199, 273, 279, 425 aerosol 230, 259 Aërobacter 312 afidi 356 Afrocampa 368 agenti biologici 35 agglomerati 186 aggregati 86, 108, 109, 115, 186, 189, 191, 192, 193, 195, 196, 197, 287, 288, 356 – a faccia superiore poligonale 191 – a margine frastagliato 191 – a struttura lamellare 191 Fiume Francesco – cordoniformi 191 – poliedrici 191 agricoltura – estensiva 11 – intensiva 11 Agriolimax agrestis 349 Agriotes 370 Agrobacterium 284, 312, 422 Agroecosistema 387, 389 Agromyzidae 369 albedo 158, 165 albite 261 albumina 415 alcali 65 Alcaligenes 422 alcalinità 233, 234 – del terreno 65, 222 alcalinizzazione 232, 233 – costituzionale 232 alcool 394 – coniferilico 295, 409 – cumarilico 295, 409 – etilico 405 – metilico 407 – sinapilico 295, 409 aldosi 394 algalizzazione 306 alghe 28, 35, 36, 202, 301, 333, 338, 346, 350, 356, 367, 384, 385, 387, 428 – azotofissatrici 303 – azzurre 35, 301, 302, 333 – brune 302 – giallo-verdi 302 – lichenizzanti 35 – simili a protozoi 302 – unicellulari 333 464 465 Il terreno – verdi 35, 301, 307 Alicorhagia fragilis 358 alleloceli 338 Allocampa Allogromia 335 Allolobophora – caliginosa 350 – terrestris 350 allumina 63, 202 alluminio 24, 34, 85, 219, 222, 224, 225, 226, 228, 229, 269 allumogelo 31 alluvionamento 54 alluvioni – di delta 40 – di inondazione 40 Alnus 416 Alternaria 296, 297, 298 amebe 346 ameboflagellati 334, 335 ametaboli 368 amido 394, 400, 401 – di mais 415 – di patata 415 amilosio 400 amilopectina 400, 401 aminoacidi 203, 224, 259, 289, 305 ammendanti 116 ammoniaca 18, 46, 225, 254, 269, 288, 291, 388, 408, 422, 425 ammonificazione 420 ammonio 239 ammoniogeno 421 Amoeba 335 amplificazione genica 319, 326, 328 Anabaena 302, 306, 416 – azollae 304 Fiume Francesco 466 – cylindrica 303, 304, 305 – laxa 304 – oscillarioides 304 Anabaenopsis 303 anaerobiosi facoltativa 424 Anajapyx – mexicanus 368 – vesiculosus 368 analisi – della fase gassosa 276 – granulometrica 86, 191 – gravimetrica 240 anametabolia 364 anatomia del lombrico 351 anellidi 36, 50, 111, 282, 346, 350, 373 Angiospermae 416 anidride – carbonica 10, 18, 30, 35, 36, 46, 56, 122, 161, 162, 188, 225, 226, 232, 237, 252, 261, 262, 268, 269, 271, 280, 288, 392, 394, 405, 434 – – dell’aria tellurica 268, 272, 279 – – fissata dall’idrosfera 394 – – fissata sulla terraferma 394 – – marcata 310 – di silicio 31, 32, – solforica 33, 34 – solforosa 33, 34, 259, 309, 427 anidrite 23, 32 anidrobiosi 331 Animalia 333, 337 Anisocampa 368 Annelida 350 anomeri 401 anortite 261 antagonismo ionico 228 anteridio 293 Anthoceros 416 antibiotici 305 341, 427 467 anticrittogamici 68 apatite 30, 261 Aphelenchoides Aphelenchus 341 – avenae 342 Aphodius 370 aplanoconidi 293 apotecio 294 apparecchio – di Appiani 88 – di Atterberg 88, 92, 95 – di Fenwick 379 – di Oostenbrink 376, 377 – di Schöne-Kopecki 88 – di Seinhorst 380 apporto di elementi chimici 253 appressori 310 Apterygota 364 Aptyctima 356 arabinosio 407 Arachnida 354 aracnidi 281, 383 Araneae 354, 355 araneidi 329, 330 arbuscoli 299 Arcella 335 Archimycetes 313 Archisotoma Besselsi 367 arcosi 22 Arctostaphylos 416 ardesie 24 areale 390 areazione 17 aree di scarico 14 arenarie 10, 21, 23 Il terreno Fiume Francesco arenili 41 argento 66 argilla 17, 20, 23, 31, 52, 53, 80, 85, 88, 99, 112, 119, 120, 132, 183, 188, 189, 192, 193, 194, 201, 202, 213, 219, 225, 232, 258, 261, 421 argillificazione 31 argilliti 21 argon 162, 269 aria 18, 330 – atmosferica 18, 33, 71, 268, 270, 274, 330 – confinata 268 – tellurica 18, 71, 115, 267, 268, 269, 270, 274, 276, 279, 280, 330 Ariolimax columbianus 349 Arion 349 Armillariella 296, 297 – mellea 297 arsenico 388 Arthrobacter 284, 285, 408 – globiformis 422 Arthrobotrys anchonia 342 Arthropoda 330, 354 artropleoni 365 artropodi 346, 354, 373, 387 artrospora 293 – globiformis 285 ascensione capillare 133, 134, 137 asco 293 ascolicheni 35 ascomiceti 35, 307 Ascomycota 292, 293 ascospora 293 asfissia radicale 126 Aspergillus 68, 296, 297, 298, 342, 407, 408 – flavus 422 – sydowi 295 asportazione di elementi chimici 253 468 469 Il terreno assetto – cubico 108 – piramidale 108 assimilabilità del potassio 261 assimilazione del fosfato 432 assorbimento 262 ateluridi 368 atmidometro 146 atmobios 330, 376 atmobiotici 330 atmometro di Livingston 146, 147 atmosfera 9, 111, 427 ATP 226 Atopogale cubana 375 atrazina 69, 70 attacco fungino ai nematodi – endozoico 342 – esozoico 342 attinofagi 312 attività delle particelle terrose 211 attrito del terreno 117 Atypus 354, 355 Aulosira 303 – fertilissima 306 aureola metamorfica 22 austori 310 autotrofismo delle alghe 303 auxine 305 azione dei batteri del terreno 283 Azolla caroliniana 416 azoto 9, 18, 101, 162, 229, 233, 239, 252, 253, 254, 268, 280, 289, 312, 383, 392, 418, 434 – atmosferico 298 – dell’aria tellurica 269 – minerale 56, 386 Fiume Francesco – nitrico 56, 255 – organico 56 Azotobacter 312, 401, 406, 413, 417 – agilis 414 – beijerinckii 414 – chroococcum 414 – insignis 414 – macrocytogenes 414 – vinelandii 414 azotofissazione 413, 414, 415, 416, 417, 418, 419 azotofissatori 312 B Bacillariophyceae 302 Bacillus 284, 424 – cereus 401, 408 – cirulans 407 – ellembachensis 421 – macerans 401 – megatherium 421, 430 – – var. phosphaticum 433 – mycoides 421 – subtilis 401, 407, 421 Bacterium prodigiosum 337 banconi 86 bario 127, 213 basalti 20 – trachiti 49 basidio 293 basidiolicheni 35 basidiomiceti 35, 295, 299, 307 Basidiomycota 292, 293 basiodiospora 293 basi di scambio 212 470 471 Il terreno basi scambiabili 223 basoidi 104 batteri 35, 110, 188, 189, 202, 281, 282, 290, 295, 302, 312, 317, 333, 336, 338, 350, 352, 385, 405, 428 – aerobi 225, 394, 405, 407, 430 – – obbligati 288 – anaerobi 269, 394, 405, 407, 430 – – emicellulolitici 407 – – facoltativi 288, 424, 429 – – obbligati 288 – autoctoni 287 – autotrofi 424, 429, 430 – azotofissatori 56, 225, 229 – chemiosintetizzanti 429 – eterotrofi 288, 289, 424, 429, 430 – fotosintetici 429, 429 – gram-negativi 289 – gram-positivi 289 – microaerofili 288 – nitricanti 423 – nitrici 423 – nitrificanti 229, 288 – nitrosanti 423 – nitrosi 423 – solfatoriduttori 420 – termofili 405 – zimogeni 287 batterioclorofilla 429 batteriofagi 312, 384 batterioporporina 429 bauxiti 31 Bdellovibrio bacteriovorus 286, 287 Beggiatoaceae 429 Beijerinckia 414 – acida 415 Fiume Francesco – congensis 415 – derxii 415 – fluminensis 415 – indica 415 – lacticogenes 415 – mobilis 415 Belba 357 Berberentulus 364 Bibio 369 Bibionidae 369 bicarbonato 231, 238, 239, 252, 269 – di calcio 30, 37, 188, 229, 239, 246 – di magnesio 246, 247 bilancio – idrogeologico 250 – salino 250 biocenosi 390 biodiversità 389, 391 biodosaggio 306 biofase del terreno 280, 282 biomassa 11, 12, 317, 422 Biomyxa 335 biosfera 393 biossido di manganese 264 biotecniche 390 biotipi 391 biotite 262 biotopi 11, 390 Bipalium kewense 338 Bivalvia 349 Blanjulus guttulatus 362 Blasia 416 blastospora 293 Bledius 370 blocchi 79 472 473 Il terreno Bodo 335, 336 borato 231, 265, 266 boro 262, 265, 305 borosilicati 265 Botrytis 295 Bourletiella hortensis 367 Bradirhizobium 416 brecce 61 bromuri 65 C cadmio 66, 388 cainite 30 calcare 10, 23, 30, 37, 45, 46, 49, 52, 56, 61, 101, 102, 112, 118, 157, 228, 232, 262 – attivo 46, 262 – nummulitico 334 – totale 46 calcarello 63 calce 65, 228 calcedonio 31 calcimetro 46 calcio 18, 23, 56, 127, 157, 195, 197, 213, 216, 218, 219, 229, 231, 234, 238, 239, 255, 261, 262, 263, 311 calcitazione 228, 255, 257, 262, 306 calcite 19, 261 Calomyia 369 calore – di umettazione 149 – latente 180 – sensibile 169 Calotrix 303 – brevissima 304 – clavata 304 Candida 433 Fiume Francesco campione 81, 317 Campodea 368 – redii 367 Campodella 368 Candida 298 Canthareus aperta 348 cannibalismo 366, 385 caolinite 29, 32, 103, 200, 202 caolinizzazione 31 caolino 31, 132, 201 capacità – di campo 110, 126, 194, 279 – di evaporazione 107, 140, 145 – di ritenuta 121 – di scambio cationico 212, 261 – idrica 107, 125, 199, 202, 420 – – assoluta 125, 126, 127 – – di saturazione 126 – – massima 135, 151 – – relativa 125 – igroscopica 147, 148 – termica 149, 167, 202, 268 capillarità 107, 108, 133, 152 capo 364 cappellaccio 62 capside 311 Carabidae 370 carabidi 387 Carabodes 356, 357 caranto 61 caratteri dell’acqua 245, 246 – chimici 246 – fisici 245 caratteristiche del terreno 16, 106 – biologiche 202 474 475 Il terreno – chimiche 202 – dinamiche 15, 106 – fisiche 202 – statiche 14, 16 carboidrati 203, 260, 263 carbonato 45, 53, 64, 238, 246, 261, 262, 269 – di ammonio 255 – di alluminio 34 – di calcio 30, 43, 53, 56, 60, 188, 219, 223, 228, 232, 238, 248 – di magnesio 34, 53, 248 – di manganese 34, 264 – di potassio 31, 65 – di sodio 65, 86, 232, 234 – di titanio 34 carboni fossili 21 carbonificazione 204 carbonio 392, 434 – anomerico 402 carbossimetilcellulosa 407 Carboxydomonas 288 carica elettrica 83, 84, 103, 104 – batterica 283 – dei microrganismi del suolo 316 – netta 201 – permanente 201 – variabile 201 Carmovirus 315 carnivori 383 carotaggio 9 Carpoglyphus passularum 359 carte – geoagronomiche 49 – geolitologiche 44 – geologiche 38, 49 – pedologiche 158 Fiume Francesco Casuarina 416 categorie tassonomiche 333 catena – alimentare 383 – dei suoli 77 – trofica 360 cationi – non scambiabili 212 – scambiabili 212, 265 Cavilaria 416 cavità palleale 349 Ceanothus 416 Cecidomidae 360, 369 cefalodio 35 cefalotorace 354 cellotetraosio 404 cellotriosio 404 cellule poliploidi 419 cellulosa 300, 394, 401 – naturale 403 – pura 403 celoma 350 Cellfalcicula 405 Cellvibrio 405 – flavescens 405 – ochraceus 405 – rosea 405 – viridis 405 centopiedi 330 Cepae nemoralis 348 Cephalochordata 374 Cephalosporium 298 Cepheus 357 ceppo 61 Ceratopogonidae 369 476 477 Il terreno cerci 367, 368 Cercocarpus 416 Cercomonas 336 cesio 127, 213 Chaetomium 294, 295, 296, 297 Chamobates schutzi 358 chephalon 361 chelanti 263 chelato 263, 265, 266, 267 chelazione 34, 238 Chelicerata 354 chelicerati 354 cheliceri 354 chemioadsorbimento 218 chemisorzione 218 chetosi 394 Chilodon 336 Chilopoda 362, 363 chilopodi 329, 330, 331, 362, 363, 364, 383, 387 chinoni 427 chitina 334, 394, 408 chitobiosio 408 chitosani 408 chitotriosio 408 chlorfenvinphos 67 Chlorella 302 Chlorobacteriaceae 429 Chlorococcales 35 Chlorococcum 302 Chlorophyceae 301 Chordata 374 Chrysochloris asiatica 375 cianobatteri 35, 302, 307, 333, 416 cianofagi 312 cianoficee 302, 303, 312 Fiume Francesco cianuri 66 cicli – biogeochimici 392 – degli elementi nutritivi 392 – della materia vivente 11 ciclo – dei rotiferi 345 – dell’azoto 412 – del carbonio 392 – del fosforo 430, 431, 432, 433, 434 – dello zolfo 426 Cichlonema 342 Cicindela 370 Cicindelidae 370 ciclosilicati 200 ciglia 334 ciliati 331, 334, 336 Ciliophora 334, 335 ciottoli 39, 58, 64, 79, 80 cisteina 259, 427, 429 cisti 331 cistina 259, 427 citocromo 226, 263 citostoma 336 Cladonia – cristatella 307, 308 – subtenuis 307, 308 Cladosporium 296, 297, 298, 408 – herbarum 294 clamidospora 293 Clathrulina 335 Claviger 370 cleistotecio 294 clorite 32, 44, 201, 262 cloroficee 306 478 479 clorosi 263 cloruro 64, 219, 230, 231, 262 – di alluminio 34 – di ammonio 46 – di calcio 32, 65 – di magnesio 34, 65 – di manganese 34 – di potassio 65 – di sodio 65, 247 – di titanio 34 Closterium 306 Clostridium 407, 413, 414, 417, 430 – acetobutylicum 415 – amylolitycum 401 – aurantium 407 – beijerinckii 415 – butylicum 415 – butyricum 401, 407 – corallinum 407 – felsineum 407, 415 – kluyveri 415 – lactoacetophilum 415 – macerans 407 – madisonii 415 – maymonei 407 – multifermentans 415 – omnivorum 407 – pasteurianum 415 – pectinolyticum 407 – pectinovorum 415 – perfrigens 401 – polymixa 407 – roseum 407 Clythiidae 369 Clytocybe 297 coefficiente Il terreno Fiume Francesco – di appassimento 110, 125, 126, 135, 149, 150 – di conducibilità – – del terreno per l’aria 276, 277 – – termica 181 – di contrazione 27 – di diffusione 271, 272 – – termica 168 – di dilatazione 27 – di torbida 246 – igroscopico 135, 151, 152, 273 coesione 76, 107, 112, 116, 117, 118, 128, 193 Coleoptera 370 coleotteri 330, 367, 383, 384 Collema 416 collemboli 68, 282, 330, 331, 356, 365, 366, 367, 384, 385, 386, 387 colloforo 365 colloide 12 colloidi 79, 83, 84, 197, 268, 430 – argillosi 85, 226, 232, 233, 266 – ferro-alluminici 86 – idrofili 84 – idrofobi 84 – liofili 84 – liofobi 84 – minerali 12, 103, 120, 152, 195, 197, 221, 226, 281, 312 – organici 12, 116, 152, 195, 221, 281, 312 – umici 12, 85 Collybia 296, 297 colonie batteriche 85 colonizzazione micorrizica 300 colore 44, 107, 119, 156 Colpidium 335 Colpoda 336 commensalismo 281, 385 Comovirus 315 complesso 263, 267 480 481 Il terreno – assorbente 83, 223, 238, 262, 265 – di scambio 71, 227, 253, 260, 261, 262 composizione – chimica 233, 268 – della crosta terrestre 10 – della popolazione microbica 284 – fase gassosa 268 – della soluzione circolante 238, 239 – fisica del terreno 14, 17 – granulometrica 79, 81, 182, 199, 267 – meccanica 83 – mineralogica 43, 44 composti umici 85, 156, 264, 291, 292 Comptonia 416 concentrazione – dell’acqua irrigua 247, 251 – della soluzione circolante 238, 239 – ionica 184, 215 – salina 231, 233, 242 conchiglia 349 – dentellata 349 concimi fisiologicamente acidi 222, 229, 257 condizionatori della struttura 116, 188, 189, 196, 197 condizioni – del terreno 15 – – biologiche 15, 106, 280, 281, 391 – – chimiche 15, 106, 199, 202, 235 – – di abitabilità 202, 267, 284, 389 – – di nutrizione 202, 284 – – fisiche 202 – di fame 318 – di limite di confine 184 conducibilità 179, 241 – elettrica 179, 231, 233, 234, 247 – idrica 199 Fiume Francesco – termica 27, 168, 179, 180, 181, 182, 183, 242 conduttività – capillare 136 – termica 168, 181, 182, 268 conduzione del calore 169 conglomerato 21, 61, 86 coni – di detrito 38 – di frana 39 conidiangio 293 conidio 293, 384 conidiofori 293 conoidi – alluvionali 40 – di deiezione 40 conservazione del suolo 14 consumatori 383 – primari 281, 383, 384 – secondari 281, 383 – terziari 281, 383 consumo di lusso 261 contrazione 107, 119, 127 – principale 132 – residuale 132 controllo biologico 390 – dei nematodi 343 – naturale 390 controllo naturale 390 controradiazione dell’atmosfera 166 convezione 169, 181 Coniothyrium 296, 297, 298 coprofagi 331 copulazione planogametica 293 coremio 294 Coriaria 416 482 483 Il terreno cornubianiti 23 corona 344 corpo nero 159, 160 corrasione 27, 39 correttivi 65, 228, 234 correzione 228, 229, 234, 235, 255, 257, 259, 262, 266 corteccia – inferiore 309 – superiore 309 Corynebacterium 284, 422 Cosmarium 306 costante – di dissociazione 128, 220 – dielettrica 243 – solare 161 costipamento 107, 112, 123 costituzione del terreno 15, 17, 79, 105, 152 costituenti del suolo – inorganici del suolo 200 – organici del suolo 202 costolone 63 crepacciabilità del terreno 103, 132, 152, 194 Criconema 341 Criconemoides 341 crioclasi 26 criptobiosi 346, 372 criptopori 110 crisocloridi 375 cristalliti 148 cristallizzazione 28 crosta 9, 60, 111 – superficiale 102, 143 – terrestre 10, 31, 54, 393 – – continentale 10 crostacei – copepodi 330 Fiume Francesco 484 – isopodi 330 crostone 60 – di irrigazione 63 – di lavorazione 63 Crustacea 354, 361 Cryptodifflugia 335 Cryptomphalus aspersus 348 Cryptophagidae 370 Cryptophagus 370 Cryptostigmata 358 Cteniza ariana 354 Ctenolepisma 368 – lineata 369 Culicoides 369 Curculinidae 370 curvatura dei menischi 134 Curvularia 297, 298 Cyanophyceae 301 Cycadaceae 416 Cylindracheta 371 Cylindrojulius 363 Cylindrospermum 302, 306 – muscicola 303 Cytophaga 405, 408 D 2,4 D 69 danni delle alghe 306, 307 deacetilazione 408 debbio 229 DD 67 DDT 68 decompositori 383, 387, 392 decomposizione 16, 25, 29, 79, 80, 86, 224, 229, 232, 237, 260, 343, 352, 357, 386, 485 433 – di laterizzazione 31 decorazione 321 deflazione 27, 43 deflocculazione 196 deformazione del terreno 112 degradazione 280, 360, 368 – anaerobica delle proteine 421 – degli zuccheri semplici 394 – dell’amido 291, 400 – della cellulosa 282, 291, 295, 300, 401 – della chitina 291, 408 – della emicellulosa 291, 297, 406 – della lignina 295, 300, 408 – della sostanza organica 422 – delle pectine 407 – delle proteine 422 – dei glucidi 291, 394 – dei pesticidi 72, 291 – microbica 67 Dematiaceae 294 demoecologia 391 denaturazione 324 denitrificazione 254, 424 densità – degli actinomiceti 290, 291 – degli artropodi 387 – degli organismi viventi 280 – dei batteri 282, 283, 286, 316 – dei lombrichi 352 – dei microfunghi 316 – dei microrganismi 316 – dei protozoi 316, 336, 337 – della pedofauna 331, 332 – delle alghe 303, 316 Il terreno Fiume Francesco – del terreno 69, 107, 182, 276 – di flusso 184 – media 390 deposizione 21 deserto 17, 28 Desmatierella 295 destrina limite 400 destrine 295, 401, 405 Desulfovibrio desulfuricans 430 Dermaptera 371 dermatteri 371 desossiribosio 394 determinazione – conduttimetrica 241 – con sonda neutronica 242 – della concentrazione di un gas 278 – della diffusività 277 – della permeabilità 121 – – all’aria 276 – tensiometrica 241 – termoelettronica 242 detossificazione dei pesticidi 66, 67, 68, 69, 70, 71, 72, 298 detriti 11, 367 detritivori 331, 356, 384, 385, 387 deuterolicheni 35 deuteromiceti 35, 292, 294 diaginesi 21 diallilsolfuro 260 diametro equivalente 88 diasporo 31 diatomee 302, 306, 338 dicloropropanodicloropropilene 67 dictiopteri 371 Dictyoptera 371 dieldrin 72 486 487 Il terreno Difflugia 335 diffusione dei pesticidi 69 diffusività – del terreno 272, 273, 274, 277 – relativa 277 – termica 168 digossigenina 325 dilavamento 253, 254, 261, 265, 431, 433 dimensioni – degli acari 356 – degli actinomiceti 290 – degli anellidi 350 – degli animali del suolo 329, 330 – degli isopodi 361 – degli organismi del suolo 281 – dei chilopodi 362 – dei collemboli 365 – dei dipluri 367 – dei diplopodi 362 – dei pori 108, 110, 386 – dei proturi 364 – dei rotiferi 343 – dei virus 312, 315 dimetilsolfuro 260 dimetoato 69 dinamica delle popolazioni 390 dinamometamorfismo 22, 23 diortosilicati 32 Diplopoda 362 diplopodi 329, 330, 362, 364, 387 diplosomita 362 Diplura 367 dipluri 330, 367, 368, 383 Diptera 369 diquat 67 Fiume Francesco discolicheni 35 Discaria 416 discomicete 35 diserbanti 388 disgregazione 16, 25, 26, 35, 36, 79, 80, 102, 236, 260 dispersione dei colloidi 107 distribuzione – dei pori 107, 108 – di Helmholtz 213 – di un pesticida 70, 71 disulfoton 69 ditiocarbammati 260 ditteri 330, 356, 367 diuron 70 dolomie 49 dolomite 261 doppio strato elettrico 127, 131, 195 Dryas 416 dune 42 – continentali 42 – costiere 42 – marine 42 durezza 44 – permanente 246 – temporanea 247 – totale 247 E Echiniscus trisetosus 372 ecologia 12, 375, 379, 380, 381, 382 ecoresistenza 390 ecosistema 390, 434 ecotipi 391 Ectobius 371 488 489 Il terreno ectomicorriza 299 ectorizosfera 281 edafobi 330 edafofili 330 edafoxeni 330 Edriocampa 368 effetto serra dell’atmosfera 166 Elateridae 370 elateridi 387 Eleagnus 416 elementi tossici dell’acqua 251 ELISA 321, 322, 323 ematite 32, 33, 112, 262 – laminare 76 Erwinia 284 – amylovora 287 – carotovora 407 esame – della macrofauna 375 – della mesofauna 375 – – con metodi dinamici 375, 376 – – con metodi meccanici 376 esametafosfato sodico 86, 87 escrezione radicale 36, 237, 263 esosi 394, 395 esosmosi 238 espansione 107, 127 esposizione 15, 17, 78, 79 essudato radicale 267 estensina 403 estratto della pasta satura 231 estrattore di Macfadyen 376 estrazione dei nematodi 376, 377, 378, 379, 380, 381 eterocisti 303 eterogameti 293 Fiume Francesco euedafici 330 Euglena 306 Euglenophyceae 302 Euglypha 335 Euparypha pisana 348 Eurotium 296, 297 Eurypauropus 363 eutelia 344 evaporabilità 140, 145 evaporimetri 146 evapotraspirazione 433 F fabbisogno – di dilavamento 250 – di lisciviazione 233 – in calce 228 – in gesso 234 fagi 312 falda freatica 63, 110, 125, 177, 194, 230, 233 falde di detrito 38 famiglie – di batteri del terreno 283 – di virus 314 farina fossile 21 faringe 353 fase – adsorbita 18, 19 – amorfa 19 – anabolica 280, 427 – catabolica 280, 427, 430 – cristallina 19 – detritica 17 – di vapore 71, 107 490 491 Il terreno – fluida – gassosa 18, 67, 69, 107, 122, 176, 193, 200, 267, 275, 276 – interna del corpo liquido 19 – ionica 19 – liquida 17, 67, 69, 107, 193, 200, 223, 235, 237, 242, 260, 265, 267, 268, 275 – minerale 17 – organica 17 – organizzata 17, 280 – ossidata 19 – ridotta 19 – solida del terreno 17, 107, 200, 223, 235, 237, 267 – vivente 280 fasi dell’amplificazione 327, 328 fattori – abiotici 390 – biotici 390 fauna del suolo 14, 116, 168, 389 feldspati 22, 31, 32, 156, 202, 261 feldspatoidi 31, 32, 156, 202 Fe-Mo-proteina 416, 417 fenoli 388 fenolossidasi 295 fenomeno carsico 30 fenuron 70 feoficee 306 Fe-proteina 416, 417 ferretto 61, 62 ferridoxina 417, 427 ferro 9, 19, 34, 56, 60, 85, 186, 219, 224, 226, 228, 232, 238, 262, 263, 264, 265, 269, 429 Ferrobacillus 288 fertilità del suolo 13, 67, 106, 239, 267, 306, 337, 420, 421, 430, 434 – biologica 13 – chimica 13, 234 – fisica 13 Fiume Francesco – microbiologica 13 fessurabilità 152 fessurazione – del terreno 103 – lineare 191 fialide 293 fialospora 293 ficolicheni 35 fillosilicati 32, 200, 201, 217 – cloritici 24 Fischerella muscicola 304 fissazione dell’azoto 126, 229, 253, 280, 282, 298, 302, 303, 303, 413 fitness 391 fitofagi 358, 385, 386, 387 fitofagia 387 fitomizi 386, 387 fitosaprofagi 331 fitotossicità 259, 263, 264, 266 fitovirus 312 flagellati 331, 334, 336 flagelli 334 flocculanti 195, 196 flocculazione 83, 84, 85, 86, 191, 195, 196, 216, 229, 233, 430 flottazione 376 fluitazione del detrito 28 flusso – di diffusione 272 – energetico 387 foliazione 24 Folsomia 366 – quadrioculata 366 Fomes 297 foraminiferi 334 Forficula auricularia 371 forma dei batteri 283, 284 492 493 Il terreno formula – di Oseen 89 – di Stockes 89 forza di – ascensione capillare 110 – coesione 116, 128 – di Coulomb 213 – gravità 28, 38, 120, 193, 194, 193 fosfato 219, 227, 229, 238, 239, 246, 255, 262, 432, 433 – bicalcico 227, 257, 258 – di alluminio 34, 238, 255 – di ferro 255, 258 – di inositolo 432 – di magnesio 34 – di manganese 34, 264 – di titanio 34 – ferrico 238, 258 – monocalcico 227, 257, 258 – tricalcico 219, 227, 238, 257, 258 fosforo 18, 56, 233, 255, 258, 298, 299, 300, 301, 434 – radioattivo 300, 325 fosforiti 21, 229 fotodegradazione dei pesticidi 72 fotosintesi 262, 392, 393 Friesea 366 – claviseta 366 fruttosio 394 fulcri 294 fumiganti 68, 343 funghi 28, 35, 36, 68, 202, 281, 282, 290, 292, 312, 313, 317, 337, 352, 356, 358, 366, 384, 385, 387, 401, 405, 407, 408, 428, 429 – aerobi 394, 405 – anaerobi 394 – cellulolitici 295 – emicellulolitici 297 Fiume Francesco – endozoici 343 – esozoici 343 – eterotallici 293 – eucarpici 292 – olocarpici 292 – omotallici 293 – pectinolitici 297, 408 – termofili 405 Fungi 333 – imperfecti 292 fungicidi 68, 388 fungivori 384, 385 funzione 13 – di abitabilità 13, 199, 200, 391 – di nutrizione 13, 199, 200, 391 – ecologica 13, 14, 391 Fusarium 238, 296, 297, 342 G galattosammina 311 galattosidi 36 Gallionella 288 Galumna 356 gametangi 293 gamia 293 gas – dell’acqua 252 – nobili 18, 268, 269 gasteropodi 111, 383 Gastrotricha 346 gastrotrichi 108, 329, 346 gelatina 415 generi – di batteri del terreno 283 494 495 Il terreno – di funghi del terreno 296, 297 genoma – bipartito 311 – monocistronico 311 – monopartito 311 – policistronico 311 – tripartito 311 Geococcus 335 geofagi 331 Geonemertes 338 – dendyi 338 Geophilus 363 geosmina 292 gesso 23, 32, 52, 53, 231, 234, 241, 255, 259, 261 ghiaccio 26 ghiaia 58, 64, 79, 80 ghiaie 39 ghiaino 53 ghiandole calcifere 351 giacitura 15, 17, 72, 73, 74, 75, 76, 77 Gimnospermae 416 Glicerolo 346 Glicolisi 295, 395, 432 Gliotossina 427 Globina 417 Globodera rostochiensis 341 Gloeothrichia echinulata 304 Glomeris maculata 362, 363 Glomeruli 109, 192, 195 Glucosamina 311, 408 glucosidi solforati 260 glucosio 295, 311, 395, 396, 401, 408 glutatione 259 Glycyphagus domesticus 359 gneis 24 goethite 32, 157, 262 gonfolite 61 Gonostomum 335, 336 gozzo 353 Gracilacus 341 Fiume Francesco gradazione 391 gradiente – di potenziale 184 – – di calore 184 – geotermico 159 grado di saturazione in basi 212 granati 32 granito 10, 19, 49 granulometria 80, 88, 94, 99, 137, 191, 233, 236, 261, 269 Graphis 36 griglie di lettura 311 grovacche 22 grumi 192 gruppi della pedofauna 333 gruppo – ecologico 289 – fisiologico 289 Gunnera 416 Gryllotalpa 371 Gryllus 371 H Habrobunus 355 Haematopota 369 Halteria 335, 336 Hantzschia 302 Hapalosiphon fontinalis 304 Haplocampa 368 Harposporium 342 Helicella – pyramidata 348 – variabilis 348 Helicogena lucorum 348 Helicoma 295 496 497 Il terreno Helminthosporium 296, 297 Hemicriconemoides 341 Hemanniella 357 Hendersonula toruloidea 295 Heterodera schachtii 341 Heteromitus 336 Hippophaë 416 Homoptera 371 Humicola 297, 342 humus 103, 112, 116, 188, 195, 202, 210, 211, 280, 291, 352, 358, 365, 393, 409, 421 – mor 352 – mull 352, 354 Hypoxylon 297 hydrobios 330 Hydrodictyon utriculatum 306 Hyphales 294 Hypochtonius rufulus 357 Hypogastrura – armata 366 – manubrialis 366 – purpurescens 366 Hypoxylon 297 Hypsibius scoticus 372 K Klebsiella 414 – pneumoniae 417 – rubiacearum 416 I Iapyx solifugus 367, 368 ibridazione – a macchia 324 – molecolare 319, 323, 324 Fiume Francesco idrargillite 31 idrobiotici 330 idrocarburi 291 idrometeora 26 idromiche 216, 260 idrossido 30, 217, 246 – di alluminio 31, 86, 104, 196, 201, 217, 266 – di calcio 63, 228 – di ferro 31, 86, 103, 104, 196, 201, 217, 266 – di silicio 32, 201 – di titanio 201 – ferrico 33, 202 – manganese 103, 201 idrossilammina 225, 422, 425 ife fungine 110, 292, 294, 309, 356, 384, 386 igrometri 147 igroscopicità 107, 147, 152 illite 29, 34, 103, 128, 216, 260 imbibizione dei colloidi 119 imbuto Baermann 378 imenio ascoforo 294 impedenza di diffusione 273 inclinazione del terreno 76, 77, 143 indicatori biologici 306 indice – di plasticità 120 – di stabilità di struttura 236 infiltrazione dell’acqua 120, 235, 236 influenze sulla pedofauna 387, 388 ingluvie 353 inoculazione delle micorrize 301 inosilicati 32, 200 inositolo 432 Inoviridae 312 inquinamento 247, 259, 309 498 499 Il terreno – microbico 252 inquinanti 246 Insecta 362 Insectivora 375 insetti 36, 50, 108, 202, 281, 282, 298, 312, 329, 383, 386 – apterigoti 330, 364 – eterometaboli 364 – olometaboli 364 – pterigoti 330 – stafilinidi 356 insetticidi 68, 388 insettivori 329, 330, 383 insolubilizzazione 228, 233, 237, 258 interazioni – dipolo-dipolo 67 – ione-dipolo 67 – tra doppi strati 129 interventi antropici 387, 388,389, 390 invertebrati 68, 366, 367 irraggiamento 181 irrigazione – a goccia 251 – a pioggia 71, 251 – a solchi 71, 252 – per aspersione 251 – per immersione 251 – per infiltrazione laterale 251 – per scorrimento 251 – per sommersione 251 irudinei 330 ISEM 321 isogametangi 293 isogameti 293 isolichenina 36 Isopoda 361 Fiume Francesco isopodi 329, 331, 361 – oniscoidei 361 Isoptera 371 Isotomurus palustris 366, 367 isotopi 317 isotteri 370 isteresi 149 L Laccaria laccata 297 lamelle argillose 187 Lampyridae 370 Lampyris 370 langar 159 lateriti 17, 31 Latrodectus 354 lattato di calcio 415 lave 20 lavorazione del terreno 72 Lecideaceae 36 legami – a ponte di idrogeno 67, 68, 176, 187, 188 – idrofobici 67 – ionici 187, 188 – Van der Waals-London, 67, 68, 176, 187, 188 legge – dell’azione di massa 128 – dello spostamento di Wien 160, 166 – di Coulomb 243 – di Dalton 146, 271, 272 – di Fick 271, 272 – di Guldberg e Waage 128 – di Rayleigh 161 – di Stefan 160, 166 500 501 Il terreno – di Stockes 88, 91 – di zonalità 16 Leistus 370 lepidotrichi 368 Lepisma – saccharina 368 levante 78 levigatori 87 – a circolazione 87, 96 – Appiani 94 – a sedimentazione 87, 92 – a velocità di caduta 87 – di Schöne 96, 97 – di Schöne-Kopecki 97, 98, 99 levigazione 44, 87, 90 Liacarus 357 licheni 28, 35, 36, 30, 302, 307, 356, 372, 416 lichenina 36 lieviti 282, 337 – fototrofi 383 – vegetali 202 Oribotridia 357 origine del terreno 14, 17, 19, 43, 49, 102 orizzonte 168, 186, 196 – di transizione 51 – eluviale 51 – illuviale 51, 60 – organico 53 – tessiturale 17 – umifero superficiale 50, 186 orizzonti 17, 50, 261 – sepolti 53 – impermeabili 120 orneblende 24 oro 66 Fiume Francesco 502 Orthezia 371 Orthoptera 371 ortoclasio 31 ortosilicati 32 ortosilicato acido di potassio 31 ortotteri 371 Oryctopus prodigiosus 371 Oryzorictes 375 Oscillatoria 302, 306 ossalato di ammonio 46 ossidazione 265, 427 – biologica 225, 226 – – dell’ammoniaca 422 – chimica 226 ossido 30, 83, 86, 246 – di alluminio 31, 83, 86, 201, 266 – di azoto 226, 253 – di carbonio 288 – di ferro magnetico 186 – di manganese 201, 264 – di silicio 31, 32, 201 – titanio 201 – ferrico 33, 156, 157, 186 – ferroso 33, 83, 86, 157, 201, 266 ossidoriduzione 263 ossigeno 9, 10, 18, 30, 31, 33, 64, 122, 162, 252, 268, 269, 280, 305, 330, 392, 393, 429 – dell’aria tellurica 269, 272, 279, 330 superdecremento 391 superficie – di livello 64 – idrostatica 64 suscettività magnetica 185 Symphila 362 Symphylurinus – Grassii 368 503 – Occidentalis 368 – Swani 368 Syritta 369 Syrphidae 369 T Tabanidae 369 talco 32, 44, 200 tallofite 301 talpa 383 – dell’America – – occidentale 375 – – orientale 375 – dorata del Capo 375 Talpa – caeca 374 – cieca 374 – europaea 374 – romana 374 talpidi 375 taq polimerasi 327 Tardigrada 372 tardigradi 329, 330, 331, 346, 383 tasso 63 tectosilicati 29, 32 tassello 61 TDR 243 tecnica – CP-MASS 209 – delle sezioni sottili 44 – FT-NMR 209 tecniche micromorfometriche 113 Tectiviridae 312 Il terreno Fiume Francesco Teleschistes perforata 307, 308 Telmatoscopus 369 telson 364 tempera 119, 132, 197 temperatura – dell’acqua irrigua 245 – del terreno 27, 107, 119, 158 tempi – di levigazione 91, 92 – percorrenza 99 – di sedimentazione 89 tenacità 112 tenrecidi 375 Tenrec ecaudatus 375 tensiometro 177, 241, 275 tensiostato 179 teorema di Gibbs 211 termiti 370 termitofili 368 terra 9 – fina 80, 83, 87 – franca 102 terremare 37 terre rosse 30, 43, 55, 229 terreni 9, 10, 54 – accidentati 75 – accumulazione 37 – acidi 221, 223, 227, 228, 229, 261, 265, 300, 301, 306, 405 – a grana fine 102 – a grana grossa 100 – agrari 9, 11, 12, 13, 17, 19, 118, 128, 169, 191, 192, 258, 280, 282 – alcalini 221, 230, 231, 257, 430 – – degradati 157, 191 – – sodici 191, 196 – alloctoni 37, 38, 55 504 505 Il terreno – alluvionali 39, 40, 48, 55, 58, 64 – argillo-sabbiosi 104 – argillosi 67, 76, 100, 103, 110, 113, 115, 116, 117, 118, 122, 126, 128, 132, 135, 152, 156, 182, 191, 194, 216, 233, 262, 267, 279, 430 – argilloso-marnosi 360 – a roccia – – affiorante 55 – – nuda 55 – a scheletro prevalente 100, 101, 116 – asfittici 269 – autoctoni 37, 48, 55, 57 – a zollette 192 – calcarei 86, 234, 255, 257, 261 – calciocarenti 306 – ciottolosi 100 – colluviali 38, 48 – criptolitocromici 157 – declivi 229 – di bosco 37, 229 – diluviali 42 – di medio impasto 102 – di trasporto 38 – dolomitici 261 – dunosi 42 – eolici 42, 55, 58 – ferrettizzati 229 – ferruginosi 112 – gessosi 261 – ghiaioso 100 – glaciali 42 – granitici 223 – grumosi 192 – inclinati 74 – incolti 202 – in posto 37 – in tempera 110 – lacustri 202 Fiume Francesco 506 – leggeri 115, 120 – limo-argillosi 104, 126, 269 – limosi 100, 102, 115, 132, 137 – limo-sabbioso 113 – litocromici 157 – mal strutturati 115 – marini 230 – marnosi 261 – mediamente profondi 55 – mezzano 102 – morenici 42 – naturali 11 – neutri 221, 239, 258 – ondulati 74 – organici 100, 113, 156, 182 – paludosi 204 – palustri 157 – parautoctoni 37, 48, 55 – peracidi 221 – peralcalini 221 – pesanti 115, 430 – pianeggianti 74 – piani 74, 79 – pietrosi 100– piroclastici 39 – plagioclasici 261 – podzolici 157 – polverulenti 192 – poveri 229 – profondi 55 – profondissimi 55 – residuali 37 – rigonfiabili 277 – sabbiosi 100, 101, 102, 110, 113, 115, 117, 120, 122, 126, 132, 135, 137, 154, 156, 182, 193, 216, 233, 236, 258, 261, 262, 267, 279, 360 – sabbioso-limosi 104 – – marnosi 360 507 – salini 230, 231, 232, 260 – salsi 230, 247 – sconvolti 75 – secchi 135, 140 – silicei 223 – sodico 230 – sommersi 204, 258 – subacidi 221, 229, 258 – subalcalini 221, 239, 258 – superficiali 55 – torbosi 37, 82, 132, 202, 229 – tormentati 75 – umiferi 100 – vulcanici 223, 229 – – rimaneggiati 48 – zollosi 192 tessitura del terreno 105, 115, 261, 386 Tetramita 335, 336 Tetranychus 359 tettosilicati 200 Theliphonida 354 Thereva 369 Therevidae 369 Thermobia domestica 368 Thermus acquaticus 327 Thiobacillus – denitrificans 424, 429 – ferroxidans 429 – novellus 429 – thioparus 429 – thioxidans 429 Thiobacteriaceae 429 Thiorhodaceae 429 Thysanoptera 371 tiamina 427 Il terreno Fiume Francesco tiflosole 353 tiocianati 260 Tipula 369 Tipulidae 369 Tisanura 364 tisanotteri 371 tisanuri 331, 368, 369 titolo 259 Tolypotrix 303 – tenuis 306 Tombusviridae 313, 314, 315 Tombusvirus 315 Tomocerus 366 toporagno 375, 383 – comune 375 – d’acqua 375 torace 364 torbe 53, 143 torbidezza dell’acqua 245 torbidità specifica 246 torbiere 37, 56 torbificazione 204, 229 tormaline 32, 265 tossicità 65, 225, 228, 265 Trachelomonas 306 tramontana 78 trappola a caduta 375 trascrittasi inversa 328 trasmissione dei virus 312 trasporto – dei pesticidi 69, 70, 71, 275 – eolico 230 trealosio 346 Trebouxia 307 Trentepohlia 307 508 509 Il terreno Trentepohliales 35 triangolo della tessitura 104 triazine 67, 68 triazoli 67 Trichoderma 68, 295, 296, 297, 342, 407 Trichodorus 313, 341 trifluralin 69 Trilobita 354 triosi 394 triptofano 419 Tritocampa 368 Trochosa singoriensis 354 trofismo dei batteri del terreno 283 Trogula 355 Troglocampa 368 Tuberculariaceae 294 tubercoli radicali 413, 415, 416 418 Tullbergia 366 – quadrispina 366 Tunicata 374 turbellari 329, 330, 383 Turbellaria 338 Tylenchorynchus 341 Tyrophagus putrescentiae 359, 360 U ubichinone 408 Ulothrix 302 ultramicrovuoti 110 umificazione 229, 238, 292, 318, 331, 352, 410 Uniramia 354, 363, 408 uranio 66 Urochordata 374 Uropygi 354, 355 Fiume Francesco V Vachonium 354, 355 valutazione della quantità d’acqua 239 vanillina 295, 409 vapore acqueo 18, 161, 273 vasca evaporimetrica 145 velocità – di caduta 89, 97, 98, 99 – di infiltrazione 236 – di un ciclo biogeochimico 392 vento 27, 42, 55, 141, 274 ventriglio 344 verde antico 61 vermi 202 – di terra 352 – metamerici 350 – segmentati 350 vermiculite 34, 201, 216, 260 Vertebrata 374 Verticillium 296, 297, 342 Verrucariaceae 36 vertebrati 68, 331 vescicole 299 via del pentoso fosfato 397, 398, 399, 400 virioni 310 viroidi 281, 282, 315, 316 virus 281, 282, 310 viscosità dell’aria tellurica 277 vitamine 259, 427 vivianite 262 volatilizzazione 254, 260 – dei pesticidi 70, 72 volume del terreno 112, 114 510 511 Il terreno – apparente 114 – totale 114 Vorticella 335, 336 X Xanthomonas 284 Xantophyceae 302 Xilano 407 xilosio 407 Xiphinema 313, 341 Xylaria 297 Z zolfo 9, 56, 65, 226, 259, 260, 288, 289, 426, 427, 428, 429, 430, 434 zolle 192 zollette 192 zona – di capillarità 134 – sinecologica ottimale 391 zoofagi 331 zoosaprofagi 331 zoospore 293 Zoraptera 371 zoratteri 371 Zorotypus 371 zuccheri 203, 300, 352, 394 Zygomycota 292 Zygorhynchus 296, 297