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lisa kleypas
accadde
in autunno
romanzo
Traduzione dall’inglese di Piera Marin
Della stessa autrice abbiamo pubblicato:
Tuo per sempre
Segreti di una notte d’estate
Prima edizione: settembre 2013
Titolo originale: It Happened One Autumn
© 2001 by Lisa Kleypas
© 2013 by Sergio Fanucci Communications S.r.l.
Il marchio Leggereditore è di proprietà
della Sergio Fanucci Communications S.r.l.
via delle Fornaci, 66 – 00165 Roma
tel. 06.39366384 – email: [email protected]
Indirizzo internet: www.leggereditore.it
All rights throughout the world are reserved to the author
Traduzione italiana su licenza di Arnoldo Mondadori Editore S.p.A.
Proprietà letteraria e artistica riservata
Stampato in Italia – Printed in Italy
Tutti i diritti riservati
Progetto grafico: Grafica Effe
lisa kleypas
accadde
in autunno
A Christina Dodd,
sorella, amica e fonte di ispirazione,
con affetto
Prologo
Londra, 1843
Due giovani donne erano ferme sulla soglia della profumeria, mentre l’una tirava l’altra per il braccio con aria impaziente.
– Dobbiamo proprio entrare? – chiese la più bassa delle due
con un marcato accento americano, opponendo una certa resistenza alla compagna, che la trascinava con decisione verso
l’interno del negozio dalle luci soffuse. – Mi annoio a morte
in questi posti, Lillian: tu te ne stai lì ad annusare boccette per
ore...
– Allora aspetta in carrozza con la cameriera.
– Questo è ancora più noioso! Inoltre, non posso lasciarti andare sola. Senza di me, ti cacceresti nei guai. La ragazza più alta
scoppiò in una sonora risata, mentre facevano il loro ingresso
nel negozio.
– Tu non vuoi impedirmi di cacciarmi nei guai, Daisy. Di’
piuttosto che non vuoi perderti l’avventura in cui potrei imbattermi...
– Purtroppo non c’è proprio nessuna avventura in cui imbattersi, in un negozio di profumi – fu la cupa risposta.
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Quell’affermazione provocò una risatina e le ragazze si voltarono verso l’uomo anziano con gli occhiali in piedi dietro il
bancone di quercia situato lungo il lato del negozio. – Ne siete
proprio certa, signorina? C’è chi crede che il profumo abbia
doti magiche. La fragranza di qualcosa è la sua essenza più
pura. E alcuni profumi possono risvegliare fantasmi di amori
passati, di teneri ricordi.
– Fantasmi? – ripeté Daisy incuriosita, suscitando uno scatto da parte dell’altra ragazza.
– Non intende in senso letterale, cara. Il profumo non può
evocare uno spirito. E non ha davvero doti magiche. È solo
una miscela di particelle odorose che raggiungono i recettori
olfattivi del tuo naso.
L’uomo anziano, il signor Phineas Nettle, fissò le clienti con
interesse crescente. Nessuna delle due era bella nel senso convenzionale del termine, benché entrambe attirassero l’attenzione per la carnagione chiara, i capelli scuri e l’affascinante
schiettezza che sembrava contraddistinguere le ragazze americane.
– Prego – le invitò, indicando loro una parete piena di scaffali. – Date pure un’occhiata ai miei prodotti, signorina...
– Bowman – rispose la più grande con un sorriso. – Lillian
e Daisy Bowman. – Lanciò un’occhiata all’elegante signora
bionda che l’uomo stava servendo, lasciando intendere che
comprendeva che lui non potesse occuparsi subito di loro.
Mentre la cliente esitava davanti all’ampia scelta di fragranze che il negoziante le aveva messo davanti, le due americane
curiosarono tra gli scaffali pieni di profumi, colonie, creme,
saponi e altri prodotti di bellezza. C’erano oli da bagno in
boccette di cristallo, vasetti di unguenti alle erbe e scatoline di
pastiglie viola per rinfrescare l’alito. I ripiani inferiori ospitavano un raffinato assortimento di candele e inchiostri profumati, sacchetti con sali da bagno dall’odore pungente, ciotole
di pot-pourri e vasetti di unguenti e balsami. Il signor Nettle,
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tuttavia, notò che mentre la ragazza più giovane osservava
l’assortimento di prodotti con interesse vago, la maggiore si
era fermata davanti a una serie di oli ed estratti che contenevano essenze pure: rosa, gelsomino, bergamotto e così via.
Prendeva le boccette di cristallo, le stappava con cautela e le
annusava con aria di palese apprezzamento.
Infine la signora bionda fece la sua scelta, acquistò un flacone di profumo e uscì dal negozio, salutata dal tintinnio allegro del campanellino appeso alla porta.
Lillian, che si era voltata a osservarla mentre usciva, assunse un’aria pensierosa.
– Mi chiedo come mai le donne bionde odorino tanto spesso d’ambra.
– Vuoi dire che usano un profumo all’ambra?
– No, è proprio la loro pelle che odora di ambra. Di ambra
e a volte di miele...
– Che cosa diamine intendi dire? – chiese la più giovane con
aria divertita. – Le persone non odorano di nulla, salvo quando
hanno bisogno di lavarsi.
– Certo che odorano – disse Lillian. – Tutti hanno un odore... Non dirmi che non l’hai mai notato! Il modo in cui la pelle
di qualcuno ricorda le mandorle amare, o le violette, mentre
altri...
– Altri odorano di prugna, o di linfa di palma o di fieno appena tagliato – intervenne Nettle.
Lillian si voltò verso di lui con un sorriso soddisfatto. – Esattamente!
L’uomo si tolse gli occhiali e iniziò a pulirli metodicamente, mentre nella mente gli turbinavano mille domande. Era
davvero possibile che quella ragazza fosse in grado di percepire l’odore specifico delle persone? Lui era in grado di farlo,
ma si trattava di un dono raro e non aveva mai sentito che
una donna lo possedesse.
Lillian Bowman estrasse un foglietto di carta piegato dalla
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piccola borsa ricoperta di perline che portava appesa al polso e gli si avvicinò.
– Ho la formula per un profumo – disse porgendogli il foglio. – Anche se non sono del tutto sicura delle proporzioni
degli ingredienti. Potreste realizzarlo per me?
Il signor Nettle spiegò il pezzo di carta e lesse la lista, sollevando leggermente le sopracciglia spruzzate di grigio.
– Una combinazione inconsueta ma molto interessante. –
Le rivolse uno sguardo penetrante. – Posso chiedervi da chi
avete ottenuto questa formula, signorina Bowman?
– L’ho inventata io – rispose lei. Un sorriso spontaneo le addolcì i lineamenti. – Ho cercato di pensare quali aromi si armonizzassero meglio con la mia alchimia. Anche se, come ho
detto, mi è difficile individuare le proporzioni.
Abbassando gli occhi per nascondere il proprio scetticismo, Nettle lesse la formula ancora una volta. Capitava spesso che un cliente gli chiedesse di comporre un profumo con
una base dominante, come la rosa o la lavanda, ma nessuno
gli aveva mai consegnato una lista del genere. Ancora più
interessante era il fatto che la selezione di fragranze fosse insolita ma armoniosa. Forse la ragazza era riuscita a mettere
insieme quella particolare combinazione per puro caso.
– Signorina Bowman – disse, curioso di verificare quali
fossero le reali capacità della ragazza. – Mi permettereste di
mostrarvi alcuni dei miei prodotti?
– Naturalmente – fu la cordiale risposta di Lillian, che si
avvicinò al bancone, mentre Nettle tirava fuori una boccetta
di cristallo piena di un liquido pallido e lucente.
– Che cosa fate? – gli chiese, quando vide che lasciava cadere alcune gocce su un fazzoletto pulito.
– Non si dovrebbe mai annusare un profumo direttamente dal flaconcino – spiegò Nettle porgendole il fazzoletto.
– Prima bisogna lasciargli prendere aria, per far evaporare
l’alcol. Solo così se ne può cogliere la vera fragranza. Signo12
rina Bowman, quali essenze riuscite a distinguere in questo
preparato?
Individuare le singole componenti di un profumo richiedeva un impegno notevole anche ai profumieri più esperti:
minuti o perfino ore di tentativi reiterati per distinguere un
ingrediente alla volta.
Lillian chinò il viso e annusò con attenzione il fazzoletto.
Nettle rimase interdetto quando la ragazza, senza alcuna esitazione, ne identificò la composizione con la disinvoltura
di un pianista esperto che si sgranchisce le mani suonando le
scale.
– Bocciolo d’arancia... neroli... ambra grigia e... muschio? –
Sollevò lo sguardo, con un lampo di perplessità negli occhi di
un marrone vellutato. – Muschio in un profumo?
Nettle la fissò sbalordito. Le persone avevano una capacità
molto limitata di individuare le componenti di un profumo
complesso. Potevano forse scoprirne l’elemento base, riconoscere un aroma scontato come la rosa, il limone o la menta,
ma cogliere tutti gli ingredienti e le sfumature era decisamente un’impresa alla portata di pochissimi esperti.
Riscuotendosi dallo stupore, sorrise alla domanda della
ragazza. Arricchiva spesso i suoi preparati con essenze particolari che conferivano ricchezza e profondità, ma nessuno
ne aveva mai indovinata una, prima di allora.
– I sensi si dilettano della complessità, di sorprese inaspettate... Ecco, provatene un altro. – Prese un fazzoletto pulito
e lo inumidì con un profumo diverso. Lillian eseguì l’operazione con la stessa miracolosa disinvoltura.
– Bergamotto... tuberosa... incenso... – Esitò, aspirando di
nuovo, per permettere che il profumo corposo e speziato le
riempisse i polmoni. Le affiorò alle labbra un sorriso stupito.
– E un accenno di caffè.
– Caffè? – esclamò sua sorella Daisy, chinando il viso verso
la boccetta. – Non si sente affatto odore di caffè, qui dentro.
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Lillian lanciò un’occhiata interrogativa a Nettle, che sorrise, confermando la sua intuizione.
– Sì, è caffè. – Scosse la testa, stupito e ammirato. – Avete un
vero talento, signorina Bowman.
Lillian si strinse nelle spalle con amarezza. – Un talento di
scarsa utilità, nella ricerca di un marito. La mia solita sfortuna:
avere un talento assolutamente inutile. Sarebbe molto meglio
avere una bella voce o una bellezza particolare. Come dice
mia madre, non è conveniente che una signora abbia il gusto
di annusare le cose.
– Non nel mio negozio – replicò il signor Nettle.
Continuarono a parlare di aromi come altre persone avrebbero potuto discutere di opere d’arte ammirate in un museo:
gli odori corposi, cupi e vibranti di una foresta dopo alcuni
giorni di pioggia; la fragranza salmastra della brezza marina;
l’odore ricco e invitante del tartufo; il sentore fresco e pungente di un cielo carico di neve. Annoiata da quei discorsi, Daisy
iniziò a girovagare tra gli scaffali del negozio, aprì un barattolo
di cipria che la fece starnutire, poi scelse una scatoletta di caramelle e iniziò a sgranocchiare rumorosamente.
Nel corso della conversazione, Nettle apprese che il padre
delle ragazze possedeva a New York una fabbrica di profumi
e saponi. Nel corso di visite occasionali ai laboratori e agli stabilimenti della società, Lillian aveva acquisito una conoscenza rudimentale degli aromi e della loro composizione. Aveva
anche collaborato a realizzare il profumo per uno dei saponi
Bowman. Non aveva ricevuto alcun tipo di formazione, ma
era evidente agli occhi di Nettle che la ragazza era un vero
prodigio. Tuttavia, un simile talento sarebbe andato sprecato
perché era una donna.
– Signorina Bowman, ho un’essenza che vorrei farvi provare. Se volete aspettarmi un attimo, vado a prenderla nel
retro del negozio...
Piena di curiosità, Lillian annuì e appoggiò i gomiti sul ban14
cone mentre lui scompariva dietro la tenda che nascondeva il
retrobottega. La stanza traboccava di archivi pieni di formule, credenze con estratti e tinture, scaffali di utensili, dosatori
e bottiglie per miscelare i profumi. Sullo scaffale più in alto,
avvolti in panni di lino, c’erano alcuni antichi testi francesi e
greci sull’arte della profumeria. Un buon profumiere doveva
essere in parte alchimista, in parte artista e in parte stregone.
Nettle salì su una scaletta per raggiungere una scatolina di
legno posata sullo scaffale più alto. Fece ritorno nel negozio
e la posò sul bancone. Le due sorelle lo fissarono con attenzione mentre faceva scattare i gancetti di ottone e apriva la
scatola, rivelando una piccola boccetta sigillata con un tappo
di cera. Quei due decilitri scarsi di liquido semitrasparente erano l’essenza più pregiata che Nettle si fosse mai procurato.
Stappò la boccetta e versò una goccia del prezioso liquido
su un fazzoletto, che porse a Lillian. Sulle prime, il profumo
sembrò lieve e blando, quasi innocuo. Ma non appena si fece
strada lungo le narici, si rivelò una fragranza voluttuosa, che
anche quando l’effetto iniziale era svanito lasciava dietro di
sé una piacevole sensazione di dolcezza. Lillian sollevò lo
sguardo incredulo dal fazzoletto e fissò l’uomo.
– Che cos’è?
– Un’orchidea rara che sprigiona il suo profumo solo di
notte – rispose Nettle. – I petali sono bianchissimi, più delicati
di quelli del gelsomino. Non si può estrarne l’essenza con la
normale distillazione a caldo: sono troppo fragili.
– Forse si può usare l’enfleurage? – mormorò Lillian, alludendo al processo per cui i preziosi petali venivano coperti
con strati di grasso che si impregnavano del loro profumo e
da cui poi, con un solvente a base di alcol, si estraeva l’essenza
pura.
– Sì.
Lei annusò ancora una volta quella fragranza soave. – Come si chiama l’orchidea?
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– Signora della notte.
Quel nome strappò una risatina a Daisy. – Sembra il titolo
di uno dei romanzi che mia madre mi ha proibito di leggere.
– Vi suggerisco di usare l’essenza di orchidea, invece della lavanda, nella composizione del vostro profumo – disse
Nettle. – Verrà a costare di più, ma a mio parere costituirebbe
la nota di base perfetta, soprattutto se intendete usare l’ambra come fissatore.
– Quanto di più? – chiese Lillian. Quando l’uomo le disse
la cifra, sgranò gli occhi. – Santo cielo, vale più oro di quanto
pesa!
Nettle sollevò la boccetta verso la luce, mostrandole il liquido che risplendeva come un diamante. – La magia ha il suo
prezzo, temo.
Lillian rise, seguendo con sguardo ammirato la boccetta.
– Magia? – ripeté in tono incredulo.
– Questo profumo è capace di suscitare una magia – insistette l’uomo con un sorriso. – Aggiungerò un ingrediente
segreto che ne potenzierà gli effetti.
Affascinata ma palesemente incredula, Lillian prese accordi con Nettle per tornare al negozio più tardi a ritirare il profumo. Pagò le caramelle di Daisy e il prezzo convenuto per il
profumo ordinato e uscì dal negozio, seguita dalla sorella minore. Le bastò uno sguardo al viso di Daisy per capire che la
fervida immaginazione della ragazza, sempre pronta a spiccare il volo, si era persa dietro a pensieri di formule magiche e
di ingredienti segreti.
– Lillian... mi farai usare un po’ del tuo profumo magico,
vero?
– Non condivido sempre le mie cose con te?
– No.
Lillian sorrise. Nonostante la scherzosa rivalità e occasionali battibecchi, le due sorelle erano l’una la migliore amica e
la più fida alleata dell’altra. Poche persone nella vita di Lillian
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l’avevano amata davvero, a parte Daisy, che adorava i cani
randagi più malconci, i bambini più insopportabili e qualsiasi
cosa avesse bisogno di essere riparata o gettata via.
Tuttavia, nonostante lo stretto legame d’affetto che le univa, erano molto diverse tra loro. Daisy era un’idealista, una
sognatrice, una creatura umorale che alternava capricci infantili a intuizioni acutissime. Lillian era consapevole di essere
una ragazza dalla lingua tagliente, che erigeva intorno a sé
una fortezza che la separava dal resto del mondo; una giovane donna dal radicato cinismo e dal senso dell’umorismo
graffiante. Era profondamente leale con la ristretta cerchia di
persone che costituivano il suo mondo, in particolare con le
Zitelle, il gruppo di ragazze che si erano date quel nome dopo essersi conosciute e aver fatto amicizia ritrovandosi sedute
fianco a fianco a far da tappezzeria a ogni ballo e ogni serata
della passata stagione.
Lillian, Daisy e le loro amiche, Annabelle Peyton ed Evangeline Jenner, avevano giurato di aiutarsi a vicenda a trovare
marito. I loro sforzi erano stati coronati dal successo dell’unione riuscita di Annabelle con Simon Hunt, un paio di mesi
prima. Lillian era la prossima nella lista, ma le ragazze non
avevano ancora in mente chi avrebbero cercato di farle sposare, né avevano formulato un piano per indurre il prescelto
a chiedere la sua mano.
– Certo che ti farò provare il profumo – disse Lillian. – Anche se solo il cielo sa che cosa ti aspetti di ottenere.
– È chiaro: farà sì che un bel duca si innamori follemente di
me – fu la risposta di Daisy.
– Hai notato quanti pochi siano i membri dell’aristocrazia
giovani e di bell’aspetto? – chiese Lillian in tono tagliente. – Per
la maggior parte sono ottusi, decrepiti o dotati di una faccia espressiva come quella di un pesce con un amo ficcato in bocca.
Daisy soffocò una risatina e passò un braccio intorno alla
vita della sorella.
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– I gentiluomini giusti stanno certamente da qualche parte. E noi li troveremo.
– Come fai a esserne così certa? – domandò Lillian in tono
dubbioso.
Daisy le rivolse un sorriso malizioso. – Perché abbiamo la
magia dalla nostra parte.
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1
Stony Cross Park, Hampshire
– I Bowman sono arrivati!– annunciò lady Olivia Shaw
dalla soglia dello studio in cui suo fratello maggiore sedeva
alla scrivania, circondato da pile di libri contabili. Il sole del
tardo pomeriggio filtrava attraverso le grandi vetrate rettangolari e colorate delle finestre, unico ornamento nella stanza
austera, ricoperta di pannelli di legno di rosa.
Marcus, lord Westcliff, sollevò lo sguardo dal lavoro, aggrottando le sopracciglia che sovrastavano gli occhi marrone scuro. – Prepariamoci alla catastrofe – mormorò.
Livia scoppiò in una risata. – Immagino che tu ti riferisca
alle figlie... Non sono poi tanto male, non trovi?
– Peggio – rispose laconico Marcus, mentre il suo cipiglio
aumentava quando si accorse della larga macchia di inchiostro lasciata dalla penna sull’immacolata colonna di cifre che
aveva davanti. – Non credo di conoscere due ragazze più
maleducate di loro. Soprattutto la maggiore.
– Be’, sono americane – osservò Livia. – È giusto essere un
po’ indulgenti nei loro confronti. Non ci si può certo aspettare
che conoscano tutti i complicati dettagli delle nostre innumerevoli regole sociali...
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– Posso essere indulgente sui dettagli – la interruppe il
fratello seccamente. – Come ben sai, non sono certo tipo da
criticare l’angolazione imperfetta del mignolo della signorina
Bowman quando tiene in mano una tazza di tè. Ma mi disturbano i comportamenti che sarebbero ritenuti sconvenienti in
qualsiasi angolo del mondo civilizzato.
‘Comportamenti?’ si chiese Livia. Il discorso si faceva interessante. Fece qualche passo all’interno dello studio, una stanza che non amava, perché le ricordava troppo il loro defunto
padre.
Non erano ricordi felici, quelli legati all’ottavo conte di
Westcliff. Era stato un uomo arido e crudele, che dava l’impressione di prosciugare tutto l’ossigeno di ogni stanza in
cui entrava. Nulla e nessuno aveva mai soddisfatto il conte
durante tutta la sua vita. Dei tre figli, solo Marcus si era avvicinato ad appagare le inarrivabili aspettative del padre, perché, per quanto fossero severe le sue punizioni, impossibili
da soddisfare le sue pretese o ingiusti i suoi giudizi, lui non
si era mai lamentato.
Livia e sua sorella Aline avevano sempre nutrito una reverente soggezione per quel fratello maggiore il cui costante desiderio di raggiungere la perfezione lo spingeva a ottenere i voti più alti a scuola, a superare ogni record nelle
discipline sportive che praticava e a giudicare sé stesso con
una severità maggiore di quella di chiunque altro. Marcus
era un uomo capace di domare un cavallo selvaggio, ballare
perfettamente la quadriglia, tenere una conferenza su una
teoria matematica, fasciare una ferita e riparare la ruota di
una carrozza. Nessuna delle sue molteplici abilità, tuttavia,
gli aveva mai procurato una lode da parte del padre.
Col senno di poi, Livia si era resa conto che l’intento del
vecchio conte doveva essere stato quello di eliminare ogni
traccia di dolcezza o compassione dall’animo del suo unico
figlio maschio. Per un certo tempo, era parso che il conte a20
vesse raggiunto il suo scopo. Tuttavia, alla morte del padre,
avvenuta cinque anni prima, Marcus si era rivelato un uomo
ben diverso da quello che il conte aveva cercato di plasmare.
Livia e Aline avevano scoperto che il fratello maggiore non
era mai troppo occupato per ascoltarle e che, anche quando
i loro problemi sembravano insignificanti, lui era sempre disposto ad aiutarle. Era sensibile, affettuoso e comprensivo:
un vero miracolo, se si teneva conto del fatto che per la maggior parte della sua vita nessuno aveva coltivato in lui quelle
qualità.
Per dirla tutta, però, Marcus era anche un po’ autoritario.
Anzi, molto autoritario. Non si faceva alcuno scrupolo nel
manipolare le persone che amava e indurle a fare ciò che riteneva meglio per loro. E questo non era uno dei suoi tratti
più affascinanti. Se poi avesse proprio dovuto indicare un
suo difetto, Marcus aveva un’irritante certezza della propria
infallibilità.
Sorridendo con affetto al suo carismatico fratello, si chiese
come facesse a volergli così bene, benché fisicamente somigliasse tanto al padre. Marcus ne aveva ereditato i lineamenti
marcati, la fronte alta e la bocca larga dalle labbra sottili. Del
conte aveva anche gli stessi capelli folti e corvini, lo stesso
naso dritto, lo stesso mento deciso. L’insieme, più che bello,
era imponente, ma il suo viso attraeva facilmente gli sguardi
femminili. A differenza di quelli del padre, gli occhi di Marcus brillavano spesso di una scintilla di umorismo e i suoi rari
sorrisi illuminavano in modo sorprendente il volto abbronzato.
Quando Livia gli si avvicinò, Marcus si appoggiò allo
schienale della sedia e, intrecciando le dita delle mani, le posò
sullo stomaco piatto. Vista la temperatura straordinariamente
mite del primo pomeriggio di settembre, si era tolto la giacca
e arrotolato le maniche della camicia, scoprendo braccia abbronzate e muscolose, ricoperte da una leggera peluria scura.
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Era di altezza media e molto in forma, con il fisico possente di
un vero atleta.
Ansiosa di sapere qualcosa di più sui comportamenti
sconvenienti della signorina Bowman, Livia si appoggiò con
la schiena al bordo della scrivania, sistemandosi di fronte a
lui.
– Mi chiedo che cosa possa mai aver fatto la signorina Bow­
man per offenderti così – ragionò ad alta voce. – Dimmelo,
Marcus. Altrimenti finirò per immaginare azioni ben più scandalose di quelle che quella povera fanciulla sarebbe capace di
compiere.
Marcus fece una smorfia. – Non me lo chiedere, Livia.
Non sono autorizzato a parlarne.
Come la maggior parte degli uomini, suo fratello non capiva che niente accende la curiosità di una donna più di un
argomento di cui dichiaratamente non si possa parlare.
– Sputa il rospo, Marcus! – gli ordinò. – O ti sottoporrò a
torture inaudite.
Lui sollevò un sopracciglio con aria ironica. – Dal momento che le Bowman sono già arrivate, la minaccia è superflua.
– Allora tirerò a indovinare. Hai sorpreso la signorina
Bowman con qualcuno? Stava permettendo a un gentiluomo di baciarla... o peggio?
Marcus accolse l’ipotesi con un sorriso di scherno. – Certo
che no. Basta guardarla e qualsiasi uomo sano di mente si
precipiterebbe urlando nella direzione opposta.
Ritenendo che suo fratello iniziasse a essere un po’ troppo
severo nei confronti di Lillian Bowman, Livia si accigliò.
– È una ragazza molto graziosa, Marcus.
– Una facciata graziosa non è sufficiente a compensare le
pecche del suo carattere.
– Che sarebbero?
Lui sbuffò leggermente, come se i difetti dell’americana
fossero fin troppo evidenti per enumerarli.
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– È una manipolatrice.
– Lo sei anche tu, caro.
Marcus ignorò il commento. – È prepotente.
– Come te.
– È arrogante.
– Anche tu lo sei – commentò Livia con un sorriso radioso.
Marcus le rivolse un’occhiata minacciosa. – Credevo che
stessimo parlando dei difetti della signorina Bowman, non
dei miei.
– Ma a quanto sembra vi somigliate molto – ribatté Livia
con espressione innocente. Osservò il fratello posare la penna, allineandola con gli altri oggetti sulla scrivania. – Quanto ai suoi comportamenti sconvenienti, mi stai dicendo che
non l’hai sorpresa in una situazione compromettente?
– Non ho detto questo. Ho solo detto che non era con un
gentiluomo.
– Marcus, non ho tempo per i giochetti – esclamò Livia
con impazienza. – Devo andare a salutare i Bowman... e lo
stesso devi fare tu. Ma prima di uscire da questo studio esigo
che tu mi dica che cosa stava facendo di tanto scandaloso.
– È una cosa troppo ridicola per...
– Stava cavalcando a gambe divaricate? Fumando un sigaro? Nuotando nuda in un laghetto?
– Non proprio. – Innervosito, Marcus afferrò lo stereoscopio posato in un angolo della scrivania: un regalo di compleanno che gli aveva spedito la sorella Aline, che viveva a
New York con il marito. Lo stereoscopio era un’invenzione
recentissima, fatto di legno d’acero e di vetro. Quando si applicava una carta stereoscopica, una fotografia doppia, nella
fessura oltre le lenti, l’immagine appariva tridimensionale.
La profondità e il livello di dettaglio delle fotografie stereografiche erano stupefacenti: i rami di un albero sembravano protendersi verso il naso dell’osservatore fin quasi a
graffiarlo, e il crepaccio di una montagna gli si spalancava
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davanti con tanto realismo da dargli l’impressione di essere
sul punto di caderci dentro. Marcus sollevò lo stereoscopio,
accostandoselo agli occhi, e si immerse nella contemplazione
del Colosseo di Roma con una concentrazione decisamente
eccessiva.
Proprio quando Livia era sul punto di esplodere per l’impazienza, finalmente parlò. – Ho visto la signorina Bowman
giocare a rounders in biancheria intima.
Livia lo fissò attonita. – Rounders? Intendi il gioco con la
palla di cuoio e la mazza appiattita?
Marcus fece una smorfia impaziente. – È stato durante la
sua ultima visita qui. Lei e sua sorella stavano saltellando con
le loro amiche su un prato nella zona nordoccidentale della
tenuta quando Simon Hunt e io siamo passati per caso di lì
a cavallo. Tutt’e quattro le ragazze avevano indosso solo la
biancheria. Hanno detto che era difficile giocare con il peso
delle gonne. A mio parere, si sarebbero aggrappate a qualsiasi scusa per correre in giro mezze nude. Le sorelle Bowman
sono delle edoniste.
Livia si era portata una mano alla bocca, nel tentativo arduo di reprimere una risata.
– Non posso credere che tu non ne abbia mai fatto parola
fino a ora!
– Vorrei poter dimenticare l’accaduto – replicò Marcus in
tono cupo, posando lo stereoscopio. – Sa Iddio come farò a
guardare Thomas Bowman negli occhi, con il ricordo di sua
figlia svestita ancora fresco nella mente.
Livia sorrise nuovamente, scrutando le linee decise del
profilo di suo fratello. Non mancò di notare che aveva detto
‘figlia’ e non ‘figlie’, cosa che rivelava chiaramente che aveva
a malapena notato la più giovane. La sua attenzione si era
focalizzata su Lillian.
Conoscendo Marcus molto bene, si sarebbe aspettata che
fosse divertito dall’incidente. Benché dotato di una forte mo24
ralità, suo fratello non era assolutamente un bacchettone e aveva un notevole senso dell’umorismo. Pur non avendo mai
mantenuto un’amante, Livia aveva sentito parlare di alcune
sue relazioni discrete, e le erano anche giunte all’orecchio voci secondo cui il conte, sempre impeccabile in pubblico, fosse
decisamente focoso e intraprendente in camera da letto. Ma
per qualche ragione, suo fratello era infastidito da quella ragazza americana audace e passionale, dai modi poco raffinati e dal patrimonio troppo recente. Si chiese se l’attrazione
della famiglia Marsden verso gli americani, visto che Aline
ne aveva sposato uno e lei stessa si era appena unita in matrimonio con Gideon, uno degli Shaw di New York, non avesse
contagiato anche Marcus.
– Era molto affascinante in biancheria intima? – chiese con
astuzia.
– Sì – rispose Marcus d’istinto, quindi si accigliò. – Voglio
dire... No! Insomma, non l’ho guardata abbastanza a lungo
da valutare le sue grazie. Ammesso che ne abbia.
Livia si morse il labbro inferiore per trattenere una risata. –
Suvvia, Marcus. Sei un uomo sano di trentacinque anni e non
hai dato nemmeno una sbirciatina alla signorina Bowman
che se ne stava davanti a te in mutande?
– Io non do sbirciatine. O guardo una cosa come si deve o
non la guardo affatto. Sbirciare è roba da bambini o da maniaci.
La sorella gli rivolse un’occhiata di profonda commiserazione.
– Be’, sono molto dispiaciuta che tu abbia dovuto affrontare un’esperienza così terribile. Possiamo solo sperare che
la signorina Bowman rimanga completamente vestita in tua
presenza, durante questa visita, ed eviti di sconvolgere nuovamente la tua delicata sensibilità.
Marcus si accigliò. – Ne dubito!
– Dubiti che rimarrà vestita o dubiti che ti sconvolgerà?
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– Basta così, Livia! – ruggì lui, facendola scoppiare in una
risata.
– Vieni, dobbiamo ricevere i Bowman.
– Non ho tempo, adesso – tagliò corto Marcus. – Accoglili
tu e inventa una scusa per me.
Livia lo fissò interdetta. – Non avrai intenzione di... Ma devi farlo! Non ti ho mai visto comportarti in maniera scortese,
prima d’ora.
– Farò ammenda più tardi. Per l’amor di Dio, si tratterranno
qui quasi un mese: avrò ampie opportunità di rabbonirli. Ma
parlare della signorina Bowman mi ha messo di cattivo umore, e in questo momento l’idea di trovarmi nella stessa stanza
con lei mi fa orrore.
Scuotendo leggermente la testa, Livia lo scrutò con uno
sguardo intenso, che non gli piacque affatto.
– Mmh... Ti ho visto trattare con persone che non ti piacciono e sei sempre riuscito a comportarti in modo civile, soprattutto se volevi qualcosa da loro. Ma per qualche ragione, la
signorina Bowman ti provoca oltre misura. Ho una mia teoria
sul perché.
– Davvero?
– La sto ancora elaborando. Quando sarò giunta a una
conclusione definitiva, te lo farò sapere.
– Che Dio mi aiuti. Adesso vai ad accogliere gli ospiti.
– Mentre tu te ne stai qui rintanato nel tuo studio come una
volpe accerchiata dai cacciatori?
Marcus si alzò e le fece cenno di precederlo verso la porta.
– Uscirò dal retro e me ne andrò a fare una lunga cavalcata.
– Quanto starai via?
– Tornerò in tempo per cambiarmi per cena.
Livia si lasciò sfuggire un sospiro esasperato. La cena di
quella sera sarebbe stata una cerimonia molto impegnativa.
Era il preludio al primo giorno ufficiale della festa, che sareb26
be iniziata l’indomani. La maggior parte degli ospiti erano
arrivati e gli ultimi erano attesi a momenti.
– Farai bene a essere puntuale – lo ammonì. – Quando ho
accettato di aiutarti a fare gli onori di casa non intendevo certo assumermi il fardello di gestire tutto da sola.
– Sono sempre puntuale – rispose Marcus con un sorriso,
poi uscì a grandi passi, con il sollievo di un uomo appena
sfuggito alla forca.
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Marcus si allontanò a cavallo dalla casa padronale, guidando l’animale lungo il sentiero in terra battuta che, superato il
giardino, si inoltrava nella foresta. Dopo aver attraversato un
avvallamento ed essere risalito lungo il declivio dalla parte
opposta, lasciò briglia sciolta al cavallo, lanciandosi al galoppo tra prati di spirea e distese erbose inaridite dal sole. Stony
Cross Park era la tenuta più bella dello Hampshire, con boschi fitti, paludi e prati pieni di fiori e grandi campi dorati. Un
tempo riserva di caccia della famiglia reale, la proprietà era
attualmente una delle mete più ambite per i visitatori di tutta
l’Inghilterra.
Era nell’interesse di Marcus avere un flusso più o meno
continuo di ospiti, non solo perché questo gli garantiva compagnia per le battute di caccia e per gli sport che tanto amava, ma anche perché gli consentiva di mettere in atto strategie politiche e finanziarie. Durante quelle feste venivano
conclusi affari di ogni genere, e lui aveva spesso modo di
convincere un politico o un uomo d’affari a sostenerlo nelle
questioni che gli stavano a cuore.
Quella festa non avrebbe dovuto essere diversa dalle altre,
ma negli ultimi giorni aveva sentito crescere in sé un senso di
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disagio. Uomo di razionalità estrema, non credeva alle premonizioni, né a tutte le sciocchezze spiritualistiche venute di
moda negli ultimi tempi, tuttavia in qualche modo percepiva
un cambiamento nell’atmosfera di Stony Cross Park. L’aria era
carica di tensione, come la bonaccia densa di elettricità prima
della tempesta. Si sentiva irrequieto e impaziente e non c’era esercizio fisico, per quanto prolungato, che riuscisse a placarlo.
Pensando alla serata che lo aspettava e all’ineluttabile
necessità di socializzare con i Bowman, avvertì il senso di
disagio aumentare fino a trasformarsi in una sensazione simile all’ansia. Rimpiangeva di averli invitati e sarebbe stato
pronto a rinunciare a qualunque accordo d’affari con Thomas Bowman, se così facendo avesse potuto sbarazzarsi di
loro. Tuttavia, la realtà dei fatti era che i Bowman erano lì e si
sarebbero trattenuti per circa un mese, quindi avrebbe fatto
meglio a farsene una ragione.
Intendeva avviare un negoziato con Thomas Bowman per
convincerlo ad aprire una filiale della sua fabbrica di saponi
a Liverpool, o forse a Bristol. Nel giro di pochi anni, la tassa inglese sul sapone sarebbe stata quasi sicuramente abolita, se gli alleati liberali di Marcus in Parlamento si fossero
dimostrati degni di fiducia. A quel punto, il sapone sarebbe
diventato un prodotto di consumo molto più accessibile per
l’uomo comune, con un indubbio vantaggio per la salute
pubblica e anche per il conto in banca di Marcus, se Bowman
lo avesse accettato come socio.
Purtroppo l’ospitalità offerta a Thomas Bowman implicava la necessità di sopportare anche la presenza delle sue
figlie. Lillian e Daisy erano la perfetta incarnazione delle discutibili ereditiere americane che sbarcavano in Inghilterra
a caccia di un marito. L’aristocrazia inglese veniva assaltata
da ragazze ambiziose che blateravano con un accento sgradevole ed erano sempre in cerca di pubblicità sui giornali.
Ragazze senza grazia, rumorose, piene di sé, che con i soldi
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dei loro genitori cercavano di comprarsi un marito titolato...
e spesso ci riuscivano.
Marcus le aveva conosciute durante la loro precedente visita a Stony Cross Park, e in entrambe aveva trovato pochi pregi. In particolare Lillian, la maggiore, si era guadagnata tutta
la sua disapprovazione quando, insieme alle sue amiche (si
definivano le Zitelle, come se ci fosse da andarne fieri!), aveva
escogitato un piano per incastrare un aristocratico e obbligarlo a sposare una di loro. Marcus non avrebbe mai dimenticato
il momento in cui la macchinazione era stata scoperta.
‘Santo cielo! Esiste bassezza a cui non arrivereste?’ aveva
chiesto a Lillian. ‘Se esiste’ era stata la vibrante risposta ‘non
l’ho ancora scoperta.’
La sua sconcertante insolenza la rendeva diversa da qualunque altra donna che avesse mai conosciuto. Quell’episodio e la partita di rounders che le ragazze avevano giocato indossando solo la biancheria intima lo avevano convinto che
Lillian Bowman fosse un diavolo scatenato. E una volta che si
era fatto un’idea su qualcuno, raramente cambiava opinione.
Accigliato, rifletté su quale fosse il modo migliore di trattare con lei. Sarebbe stato freddo e distaccato, avrebbe ignorato qualunque provocazione. Constatare quanto poco contava per lui l’avrebbe di certo fatta infuriare. Immaginando
la sua irritazione per essere ignorata in quel modo, Marcus
sentì la tensione che gli serrava il petto allentarsi un poco.
Sì, avrebbe fatto del suo meglio per evitarla, e quando le
circostanze li avessero costretti a trovarsi nella stessa stanza, l’avrebbe trattata con gelida cortesia. I suoi lineamenti si
rilassarono, e guidò il cavallo in una serie di facili salti. Una
siepe, uno steccato e un muretto di pietra che uomo e animale scavalcarono con un movimento fluido e ben coordinato.
– Allora, ragazze – disse Mercedes Bowman, lanciando
un’occhiata severa alle figlie dalla soglia della loro stanza. –
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Voglio che dormiate almeno due ore, così avrete un aspetto
riposato, questa sera. Le cene di lord Westcliff iniziano tardi
e durano fino a mezzanotte, e non voglio che sbadigliate a tavola.
– Sì, mamma – risposero entrambe con aria ubbidiente, fissandola con un’espressione innocente che non la ingannò minimamente.
La signora Bowman era una donna ambiziosa dotata di
molta energia nervosa. Il suo corpo rinsecchito avrebbe fatto
sembrare paffuto un levriero. La sua parlantina piena di ansia
e dal timbro squillante mirava di solito a raggiungere l’obiettivo principale della sua vita: un buon matrimonio per entrambe le figlie.
– Non dovete uscire da questa stanza per nessuna ragione
– continuò in tono fermo. – Niente giretti di nascosto nella
tenuta, niente avventure, pasticci o guai di alcun tipo. Chiuderò a chiave la porta per essere certa che rimaniate qui al
sicuro e che riposiate.
– Mamma – protestò Lillian. – Sono disposta a mangiarmi
una scarpa, se nel mondo civilizzato esiste un luogo più noioso di Stony Cross. In quali guai potremmo mai finire?
– Voi siete in grado di creare guai dal nulla – ribatté la donna con gli occhi ridotti a due fessure. – Motivo per cui intendo tenervi sotto stretto controllo. Dopo il modo in cui vi siete
comportate l’ultima volta che siamo stati qui, sono stupefatta
che ci abbiano invitati di nuovo.
– Io no – rispose Lillian in tono asciutto. – Lo sanno tutti
che siamo qui perché Westcliff ha messo gli occhi sulla società di papà.
– Lord Westcliff – la corresse Mercedes Bowman. – Devi
riferirti a lui con rispetto! È il pari più ricco d’Inghilterra e
appartiene a una dinastia...
– Lo so, più antica di quella della regina – la interruppe
cantilenando Daisy, che aveva già sentito quel discorso in
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diverse occasioni. – Inoltre possiede la contea più antica di
tutta la Gran Bretagna, il che fa di lui...
– Lo scapolo più desiderabile d’Europa – finì Lillian in tono
asciutto, sollevando le sopracciglia con finta riverenza. – Forse del mondo intero. Mamma, sei pazza se speri davvero che
Westcliff sposi una di noi.
– Non è pazza – la corresse la sorella. – È newyorkese.
C’erano sempre più persone a New York nella stessa situazione dei Bowman: famiglie che si erano arricchite con
industrie manifatturiere o minerarie ma che non riuscivano
a farsi accettare dagli ambienti più elevati della società. La
solitudine e l’imbarazzo di sentirsi respinta dalla buona società newyorkese avevano alimentato le ambizioni di Mercedes fino al parossismo.
– Faremo scordare a lord Westcliff il comportamento abominevole che avete tenuto la volta scorsa – le informò con cupa determinazione. – Sarete umili, quiete e dimesse per tutto
il tempo. E basta con questa storia delle Zitelle. Voglio che stiate alla larga da quella scandalosa Annabelle Peyton, e anche
dall’altra...
– Evie Jenner – disse Daisy. – E Annabelle ora si chiama
Hunt, però.
– Annabelle ha sposato il miglior amico di Westcliff – rincarò Lillian. – Credo che sia un’ottima ragione per continuare a frequentarla.
– Ci penserò. – Mercedes le scrutò con aria sospettosa. – Nel
frattempo, voglio che riposiate come si deve. Non voglio sentire una parola da nessuna delle due, inteso?
– Sì, mamma – risposero in coro le sorelle.
La porta si chiuse e si sentì girare la chiave nella serratura.
Le due ragazze si scambiarono un sorriso.
– È una fortuna che non abbia saputo della partita a
rounders – commentò Lillian.
– A quest’ora saremmo morte – aggiunse Daisy con aria
grave.
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Lillian prese una forcina da una scatoletta smaltata sul
tavolo da toeletta e si diresse alla porta. Si inginocchiò e introdusse la forcina nella serratura. Poi la tirò fuori e, prima
di inserirla di nuovo, ne curvò un’estremità con mano esperta. Manovrò la forcina finché non sentì scattare la serratura,
poi si voltò verso Daisy con un sorriso trionfante. Tuttavia,
la sorella minore non ricambiò il suo sorriso. – Lillian... se
quest’anno trovi marito tutto cambierà. Tu cambierai. Non ci
saranno più avventure né divertimento, e io sarò sola.
– Non essere sciocca. Io non cambierò e tu non resterai
sola.
– Dovrai rendere conto delle tue azioni a un marito – osservò Daisy. – E lui non ti permetterà di andare in giro insieme a me.
– No, no, no... – Lillian si alzò e agitò una mano con aria
decisa. – Non avrò mai un marito del genere. Sposerò un uomo che non badi, o almeno che non dia importanza, a quello
che faccio quando non sono con lui. Un uomo come nostro
padre.
– Un uomo come nostro padre non sembra aver reso particolarmente felice la mamma. Chissà se sono mai stati innamorati.
Appoggiando la schiena alla porta, Lillian soppesò la
domanda. Non le era mai capitato di chiedersi se quella dei
suoi genitori fosse stata un’unione d’amore. Tutto sommato,
credeva di no. Avevano entrambi un atteggiamento molto
freddo. Il loro legame sembrava poco profondo. Per quanto
ne sapeva lei, litigavano di rado, non si abbracciavano mai e
si parlavano solo di tanto in tanto. Eppure non si registrava
una grande amarezza tra loro. Piuttosto, apparivano indifferenti l’uno all’altra, e nessuno dei due mostrava una grande
aspirazione alla felicità, né una qualche capacità di essere
felice.
– L’amore è cosa da romanzi, cara – sentenziò Lillian, facendo del suo meglio per apparire cinica. Aprì la porta, sbir33
ciò a destra e a sinistra lungo il corridoio, poi si voltò verso
Daisy. – La strada è sgombra. Vogliamo sgattaiolare dalla
porta della servitù?
– Sì, poi spostiamoci verso l’ala est della casa e puntiamo
verso il bosco.
– Perché verso il bosco?
– Non ti ricordi che Annabelle mi ha chiesto un favore?
Lillian la fissò per un attimo senza capire, poi alzò gli occhi
al cielo.
– Mio Dio, Daisy, non hai niente di meglio da fare che assolvere un compito così stupido?
La sorella minore le rivolse uno sguardo acuto. – Non vuoi
farlo solo perché è per il bene di lord Westcliff.
– Non è per il bene di nessuno – replicò Lillian esasperata.
– È una cosa stupida.
Daisy le rivolse uno sguardo pieno di determinazione. – Io
troverò il pozzo dei desideri di Stony Cross – disse in tono
solenne. – Poi farò quello che Annabelle mi ha chiesto di fare.
Puoi accompagnarmi, se ti va, oppure puoi fare qualcosa per
conto tuo. Tuttavia... – Gli occhi le si ridussero a due fessure.
– Dopo tutto il tempo che mi hai fatto aspettare mentre curiosavi in profumerie e farmacie polverose, credo che tu mi
debba un poco di tolleranza...
– D’accordo – bofonchiò Lillian. – Verrò con te. Se non lo
facessi, non troveresti mai il pozzo e finiresti per perderti nel
bosco.
Una volta assicuratasi di nuovo che la strada fosse sgombra, si diresse verso l’ingresso della servitù in fondo al corridoio. Le sorelle percorsero in punta di piedi la passatoia che
copriva il pavimento senza fare alcun rumore.
Per quanto Lillian detestasse il proprietario di Stony Cross
Park, doveva ammettere che la tenuta era davvero meravigliosa. La casa, in stile europeo, era una grandiosa fortezza di
pietra color miele, con quattro splendide torri agli angoli che
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si levavano verso il cielo. Situata in cima a un declivio sotto il
quale scorreva il fiume Itchen, era circondata da giardini e frutteti terrazzati che sfociavano in duecento acri di prati e boschi.
La famiglia di Westcliff, i Marsden, occupavano quella dimora
da quindici generazioni, come ogni servitore era pronto a sottolineare.
E le ricchezze di lord Westcliff non si limitavano certo a
quella tenuta. Si diceva che controllasse direttamente circa
duecentomila acri di terra tra Inghilterra e Scozia e che tra le
sue proprietà si contassero due castelli, tre palazzi, una serie
di appartamenti, cinque case e una villa sul Tamigi. Stony
Cross Park, tuttavia, era indubbiamente il gioiello più prezioso tra i possedimenti della famiglia Marsden.
Costeggiando il fianco della residenza, le due sorelle fecero attenzione a procedere lungo una siepe di tasso che le nascondeva alla vista di quanti si trovavano nella casa padronale. Il sole scintillava attraverso il reticolo di rami intrecciati
che le sovrastava, quando si addentrarono nel bosco ricco di
antichi cedri e querce.
Daisy sollevò le braccia in aria con un gesto esuberante. – Adoro questo posto!
– È passabile – ammise Lillian di malavoglia, anche se tra sé
e sé fu costretta a riconoscere che, nel pieno rigoglio di quell’autunno precoce, sarebbe stato difficile trovare un angolo d’Inghilterra più bello di quello.
Daisy salì con un balzo su un tronco abbattuto, che era stato spinto a lato del sentiero, e iniziò a percorrerlo con cautela.
– Non credi che varrebbe quasi la pena di sposare lord
Westcliff solo per diventare la padrona di Stony Cross Park?
Lillian inarcò le sopracciglia. – E dover sopportare tutte le
sue pompose esternazioni ed essere obbligata a ubbidire a
ogni suo comando?
– Annabelle dice che è molto più simpatico di quanto
sembra.
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– Credo bene che la pensi così, dopo quello che è successo
qualche settimana fa.
Le due sorelle tacquero entrambe, riflettendo sugli eventi
drammatici che erano capitati di recente. Mentre Annabelle
e suo marito stavano visitando la fabbrica di locomotive che
possedevano insieme a lord Westcliff, avevano quasi perso
la vita a causa di una tremenda esplosione. Con un gesto
quasi suicida, lord Westcliff si era precipitato nell’edificio
per salvarli ed era riuscito a tirarli fuori vivi dalla fabbrica in
fiamme. Era perciò comprensibile che Annabelle guardasse
ora Westcliff sotto una luce eroica e di recente avesse addirittura dichiarato che la sua arroganza le faceva tenerezza.
Lillian aveva replicato che evidentemente risentiva ancora
degli effetti del troppo fumo inalato durante l’incidente.
– Credo che dovremmo essere grate a lord Westcliff – osservò Daisy saltando giù dal tronco. – Dopotutto ha salvato
la vita ad Annabelle, e noi non abbiamo poi questo gran numero di amiche su cui contare.
– Salvare Annabelle è stato un... incidente di percorso – ribatté Lillian imperterrita. – L’unica ragione per cui Westcliff
ha rischiato la vita è che non era disposto a perdere un prezioso socio in affari.
Daisy, che si trovava qualche passo più avanti rispetto alla
sorella, si voltò a guardarla sorpresa.
– Non è da te essere così spietata. Per l’amor di Dio, il conte
è entrato in un edificio in fiamme per salvare la nostra amica
e suo marito... Che altro deve fare quell’uomo per suscitare
la tua approvazione?
– Sono sicura che non gli importa affatto della mia approvazione – ribatté Lillian. Fece una smorfia, accorgendosi della
nota di delusione che trapelava nella propria voce. – Lo detesto
perché è evidente che lui mi detesta. Si considera superiore a
me da qualsiasi punto di vista: morale, sociale e intellettuale...
Oh, come vorrei trovare un modo per fargli abbassare la cresta!
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