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Pistola mitragliatrice
Villar-Perosa mod. 1915
VITTORIO BOBBA
U
n angolo di storia armiera forse troppo presto dimenticato: la storia di
un’arma ingegnosa ed efficace che ha svolto un ruolo determinante nel
primo conflitto mondiale, al di là di un’ergonomia inconcepibile e di
seri problemi tattici.
Per chi si accosta al mondo delle armi automatiche non è semplice districarsi nel marasma delle definizioni che - in modo più o meno contraddittorio popolano l’ambiente. Tra queste, il termine "pistola mitragliatrice" ha sempre
destato nell’immaginario collettivo il concetto di arma a grande capacità di fuoco di dimensioni contenute, in grado di sparare proiettili per pistola e talvolta
impugnabile anche con una sola mano. L’oggetto illustrato in queste pagine,
invece, pur ricadendo in pieno nella definizione di pistola mitragliatrice, essendone addirittura l’archetipo, non rispetta per nulla quei canoni morfologici che
nel tempo si sono diffusi intorno al termine.
Parliamo della creazione del capitano Abiel Bethel Revelli, ossia la pistola
mitragliatrice Mod. 1915, comunemente nota come "Villar Perosa".
Prima di concentrarci sulle caratteristiche di quest’arma, è necessario rispolverare qualche briciola della storia armiera di quegli anni, per poter più
profondamente capire lo spirito di questa ingegnosa creazione meccanica.
Alcuni cenni storici
La storia di quest’arma prende le mosse nel lontano 1906, quando l’industria automobilistica italiana (e soprattutto torinese) iniziava a produrre quelli
che per l’epoca venivano considerati grandi quantitativi di veicoli e sentiva
quindi la necessità di provvedere in modo razionale agli approvvigionamenti
dei componenti e dei ricambi.
Uno dei settori più critici, in quanto quasi totalmente dipendente dall’estero, era certamente quello del cuscinetto a sfere. Componente di estrema utilità e
di largo consumo, per il quale la nostra industria poteva al tempo scegliere solamente tra approvvigionamento all’estero e produzione in proprio, dove la seconda soluzione appariva a quel tempo sicuramente più economica ma su livelli
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qualitativi non certo eccelsi, specie se paragonati con il prodotto tedesco o francese.
In quell’anno nacque, dunque, la RIV, azienda che deve il suo acronimo al
fondatore, Roberto Incerti di Villar, un imprenditore che aveva già legato il
proprio nome negli anni precedenti ad un’officina di produzione di biciclette,
sita dove oggi sorge il complesso ospedaliero torinese delle Molinette.
La RIV ebbe in realtà altri soci fondatori, tra cui merita un particolare rilievo il senatore Giovanni Agnelli, presidente della FIAT, il quale non solo mise a disposizione la maggiore quota di capitale societario, ma promosse le attività della neonata azienda proponendo la propria fabbrica di automobili come
maggiore cliente, quasi monopolizzandone le commesse.
Negli anni successivi la RIV, prendendo sede nel nuovo stabilimento appositamente eretto a Villar Perosa, nei pressi di Pinerolo, assunse il nome di
OVP: Officine di Villar Perosa, per riprendere il nome originario solo molti anni dopo.
Nel frattempo l’Italia si stava mobilitando e il nostro esercito cercava sempre nuove fonti di approvvigionamento per materiali e mezzi. La OVP divenne
così uno tra i molti fornitori delle forze armate, producendo per esse biciclette
(essenzialmente per i bersaglieri), serbatoi per autocarri, bossoli per cannoni e
Su questo esemplare, conservato in una raccolta finlandese, la matricola è apposta anche lateralmente sulle due culatte, a fianco delle leve di aggancio dei caricatori
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tutta una nutrita serie di altri materiali di natura meccanica.
Allo scoppio delle ostilità con l’Austria-Ungheria la OVP si trovò tra le
mani un brevetto, datato 8 aprile 1914 e firmato da Revelli, per la costruzione
di un’arma assolutamente innovativa: una pistola mitragliatrice, commissionata
dalla Società Metallurgica Bresciana per conto del Comando Supremo delle
Forze Armate. Quest’arma aveva caratteristiche del tutto inedite per quei tempi:
univa infatti alla spaventosa cadenza di fuoco delle mitragliatrici la possibilità
di essere spostata come un’arma leggera. Essa poteva infatti, dato il peso tutto
sommato assai contenuto della parte essenziale, essere trasportata da un fante
appiedato, così come montata su una bici o su di un automezzo se non addirittura su di un aereo.
L’arma venne sottoposta al vaglio della commissione tecnica esaminatrice
e ricevette parere favorevole. Essa inoltre piacque immediatamente al nostro
Stato Maggiore (non sappiamo se con giudizio autonomo o in quale misura
"pilotato" dall’influenza della FIAT, dato anche il nome ufficiale che le venne
affibbiato), e venne adottata come arma di reparto con il nome di "Pistolamitragliatrice FIAT modello 15".
In realtà la Villar Perosa non fu subito capita appieno, e nei primi tempi
venne adoperata dai reparti in prima linea come un surrogato della mitragliatrice leggera, con i risultati e i giudizi che si possono immaginare. Essa si conqui-
La OVP matricola 4012, dotata di bipiede. Questo accessorio fu aggiunto su alcuni esemplari dopo il giugno 1916
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stò in breve tempo anche un nomignolo irriverente: "Pernacchia", a causa del
caratteristico rumore emesso allo sparo.
L’impiego venne mano a mano perfezionato, modificandone la dotazione
di contorno che in origine prevedeva anche uno scudo a protezione del mitragliere ed una cassetta porta pistola. Nel tempo lo scudo venne eliminato, visto
che risultò essere eccessivamente pesante (oltre 26 kg!) togliendo ogni mobilità
all’arma, e sostituito con un calcio in legno e - talvolta - un’imbragatura che ne
consentiva l’impiego dalla posizione eretta durante gli assalti. Gli Arditi la adottarono con ulteriori modifiche: il calcio venne sostituito da una semplice
cinghia che passava al collo del mitragliere e ne agevolava così il trasporto.
Siccome però in questo modo il tiro diventava più difficoltoso, il colonnello
Bassi propugnò e fece adottare alcuni accorgimenti rivelatisi assai utili, tra cui
un supporto metallico che sorreggeva l’arma in aggiunta alle cinghie ed un bipiede che ne garantiva il brandeggio.
La pistola mitragliatrice divenne così, finalmente, un’arma offensiva e tale
rimase fino alla fine del ‘17, quando venne mano a mano sostituita da modelli
più evoluti ma comunque da essa derivati.
Il parere favorevole all’impiego bellico di quest’arma da parte della commissione esaminatrice venne dato nell’agosto del ‘15. Il Comando Supremo ri-
Il sistema di scatto della Villar Perosa Mod. 15, con il dente della leva di sparo pronto a
impegnare l’otturatore attraverso l’apposita finestra ricavata sotto la culatta. La sezionatura rende ben visibili le molle interne
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chiese quindi al Sottosegretariato per le Armi e Munizioni 5.000 pistole mitragliatrici, ma la richiesta fu esaudita solo in parte, in quanto - almeno come primo lotto - la Metallurgica Bresciana (che già produceva la Glisenti Mod. 1910
e la sua variante "Brixia") venne incaricata di produrne 2.480.
Per lungo tempo si è creduto che questo fosse il numero complessivo di
pezzi prodotti, ma alla luce dei numeri di matricola rilevati, possiamo dire che
questo numero fu di gran lunga sopravanzato ed è probabile che il totale si avvicini alle 15.000 unità.
La produzione fu subappaltata alla OVP, che aveva una potenzialità produttiva di 500 pezzi al mese ma, date le notevoli richieste, durante gli anni in
cui rimase in servizio essa fu prodotta anche dalla FIAT e dalla Canadian General Electric Company Ltd. di Toronto.
La produzione degli scudi protettivi venne affidata all’Ansaldo e alle Acciaierie di Terni, che trovarono però qualche difficoltà nella produzione delle
lamiere, tanto che alla fine del 1915 erano state prodotte dalle Officine di Villar
Perosa solo 350 armi che però vennero dirottate all’Aeronautica, che le impiegò
per ammodernare l’armamento dei propri velivoli. Quindi, ancor prima che il
modello 15 entrasse in azione sui campi di battaglia essa venne impiegata nei
duelli aerei: paradossalmente il primo impiego bellico non fu dunque quello del
modello base bensì di una variante. Infatti l’Aeronautica modificò la Villar Pe-
Il lato inferiore della Villar Perosa mostra le finestre di espulsione e il sistema di armamento
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rosa eliminando il pesante (ed inutile) scudo e sostituendo il disco porta-settore
con un supporto che ne consentisse l’alzo e il brandeggio con comodità. Tale
supporto fu in seguito utilizzato anche per l’impiego dell’arma a terra (con apposito treppiede) o montata su biciclette. Fu inoltre aggiunto un mirino circolare di tipo aeronautico a cavallo delle due canne, in prossimità delle volate. Non
è invece chiaro se esistettero anche caricatori da cinquanta cartucce cadauno,
come riportato da alcune fonti.
Finalmente, nell’aprile 1916 il primo lotto di 125 armi arrivò al fronte: 60
furono consegnate alla Iª Armata, mentre 65 andarono alla IIIª.
Dai dati disponibili pare che al termine del 1916 le OVP consegnate alle
Armate furono solo 946, mentre fu nel corso dell’anno successivo che il suo
impiego raggiunse vertici altissimi, tanto da coinvolgere nella produzione altri
costruttori, come detto innanzi.
E’ possibile, sebbene questa sia solamente un’ipotesi, che le Villar Perosa
fossero impiegate anche da reparti alleati impegnati sul fronte orientale, e che
tale impiego fosse stato deciso per permettere l’utilizzo di un’unica munizione
comune a tutti i reparti, vista anche la sua grande disponibilità. Certo è che entro il maggio del ‘17 le sezioni di pistole mitragliatrici in tutti i reparti vennero
raddoppiate, e addirittura triplicate entro la fine dell’anno per un totale di oltre
600 sezioni, ciascuna delle quali aveva due armi in dotazione ed è facilmente
immaginabile che almeno una terza fosse resa disponibile ai depositi dei battaglioni.
Pur essendo previste scuole speciali per mitraglieri, esse non prevedevano
alcun addestramento per l’utilizzo del Mod. 15, lasciando questo compito ai
singoli battaglioni. Ciò creò grossi problemi relativamente all’esatto impiego
della nuova arma, troppo spesso intesa come arma d’interdizione e comunque
difensiva anziché sfruttarne appieno le potenzialità offensive.
Analizzando da questo punto di vista la situazione, si può dire che un corretto impiego tattico della Villar Perosa avrebbe forse potuto ribaltare le sorti a
Caporetto e mutare radicalmente gli eventi di lì in poi.
Ben conscio di ciò fu il generale Capello, che già nell’aprile del ‘17 ammetteva la scarsa capacità delle nostre truppe nel padroneggiare armi innovative quale era appunto la Villar Perosa.
Essa fu comunque ben padroneggiata dagli Arditi, che nel luglio del ‘17
formarono il 1° Reparto d’Assalto. La OVP venne anche in questo caso modificata per adattarla alle necessità di impiego, utilizzando un bipiede con congegno direzionale ed elevatore per l’utilizzo in appoggio agli assalti, ed in seguito
un supporto in metallo leggero dotato di imbracatura e cinghie di supporto, ideato dal col. Bassi, che ne consentiva l’uso durante la corsa d’avanzata.
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La culatta viene fissata in una cavità cilindrica dell’impugnatura per mezzo di una spina a testa circolare, visibile in basso
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Un calcio in legno sagomato, fissato al corpo dell’arma, fu impiegato anche dai reparti dell’Esercito, e si hanno testimonianze di ex-combattenti che
narrano di azioni d’assalto durante le quali i mitraglieri partivano innanzi ai
fanti aprendo loro la strada con le brevi raffiche delle OVP, correndo poi velocemente indietro per rifugiarsi dietro la prima linea onde effettuare il cambio
dei caricatori non appena esaurite le due raffiche a loro disposizione! La
"Pernacchia" ebbe sempre, infatti, questo grave handicap: non esistendo alcun
congegno di disconnessione, non era possibile arrestare la raffica una volta premuta la leva di sparo se non rilasciando i pulsanti, cosa che si rivelò difficilmente attuabile nella foga dell’assalto, tanto che i mitraglieri preferivano attendere che si vuotasse l’intero caricatore, cosa che avveniva all’incirca in un secondo.
Si conoscono anche altri utilizzi della OVP: esse furono montate - come
detto - a bordo di biciclette, di moto, nonché dei più disparati mezzi di trasporto, a volte nella versione dotata di scudo ma più frequentemente in quella più
"leggera" con il supporto brandeggiabile mutuato dall’Aeronautica.
La tecnica
La Villar Perosa, come detto in precedenza, fu la prima pistola mitragliatrice mai costruita. Nonostante la novità concettuale (arma a raffica ad alta cadenza di fuoco in grado di sparare munizioni per pistola) essa venne rapidamente adottata come arma d’ordinanza di reparto e - di conseguenza - prodotta
in serie per le forze armate.
Questo dato di fatto, spesso ignorato dai commentatori, va imputato in
parte al precipitare degli eventi di quegli anni e all’ingresso dell’Italia nel conflitto contro l’Austria, con conseguente necessità immediata di armamenti innovativi ed efficaci rispetto al ciarpame normalmente in dotazione ai nostri soldati, ma sicuramente fu anche dovuto ad una indiscutibile attenzione da parte degli organismi tecnici del Comando Supremo verso le novità, unita ad una non
comune capacità di valutazione disgiunta da ogni pregiudizio.
L’arma nacque e venne sempre prodotta in forma binata: essa consisteva
in due sistemi accoppiati, identici tra loro, ciascuno costituito da una culatta tubolare contenente l’otturatore e da una canna avvitata sulla culatta appena avanti alle finestre di alimentazione. I caricatori semilunari da 25 colpi venivano inseriti e disinseriti dall’alto, fissati per mezzo di vistose leve di bloccaggio a "L".
Il parallelismo delle due canne era garantito da una grossa piastra circolare
(il disco porta-settore di mira) calettata a ridosso delle culatte, in cui trova posto il mirino, e dalla barra trasversale ancorata sotto le culatte (per mezzo di due
prigionieri saldati sotto la culatta, detti "orecchiette") su cui sono montate le
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due leve di armamento.
Il disco porta-settore (o selettore di mira), nonostante l’aspetto inusitato,
svolgeva alcune funzioni ben precise: esso è dotato di tre fori, di cui quello centrale consentiva di visualizzare uno dei cinque mirini del settore di mira, che
poteva essere traguardato attraverso il foro longitudinale della vite di ritegno
della leva di sicurezza montata sull’impugnatura. I cinque mirini del settore sono numerati da 1 a 5 e corrispondevano a distanze di mira da 100 a 500 metri.
Inoltre i due fori laterali del settore permettevano l’innesto delle canne
mantenendole in posizione e garantendone il parallelismo; poi il disco stesso si
inseriva nel foro circolare al centro dello scudo protettivo, sigillandolo e lasciando aperta unicamente la minuscola finestra circolare del mirino attraverso
la quale il mitragliere poteva selezionare il bersaglio. Il corretto posizionamento
del disco nello scudo avveniva allineando i due settori laterali del disco (di diametro maggiorato) con le corrispondenti sagome ricavate nella finestra dello
scudo.
Ciascuna culatta ha forma cilindrica e presenta sul fianco destro una finestra entro la quale scorre il manubrio dell’otturatore. Nel primo tratto della sua
corsa retrograda esso incontra un piano inclinato che a causa della sua stessa
conformazione causava il ritardo di apertura. Questo semplice ma ingegnoso
espediente ideato da Revelli venne poi ripreso una decina d’anni dopo da parec-
Il marchio delle Officine di Villar Perosa, impresso in un ovale insieme al numero di serie dell’arma sul lato anteriore dell’impugnatura in bronzo
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chi costruttori americani. Sicuramente uno degli impieghi più famosi fu quello
nel Thompson Mod. 1928 A1.
Nell’otturatore, cilindrico, cavo, con la parte anteriore di diametro inferiore rispetto alla posteriore, trova sede il percussore, anch’esso cavo e cilindrico.
La culatta reca all’interno la molla di ritorno dell’otturatore, inserita posteriormente in un’asta portamolla che si diparte dal tappo di culatta, avvitato su
quest’ultima e dotato di un cuscinetto in gomma che attutisce la spinta di rinculo dell’otturatore. Anteriormente, la molla di recupero è appoggiata al corpo del
percussore.
Costruttivamente la culatta era un corpo piuttosto semplice e la scelta di
farla terminare da ambo le parti con una filettatura interna (anteriore per la canna, posteriore per il tappo di culatta) semplificò maggiormente le gli attrezzaggi
e le lavorazioni. L’alloggiamento del caricatore avviene tramite un’apposita finestra, sulla quale nella versione originale dell’arma era calzata una ghiera, detta ghiera di arresto, che veniva ruotata per allineare la finestra della culatta con
l’incavo per il dente del caricatore dopo di che veniva nuovamente ruotata per
bloccare il serbatoio in sede.
Nelle successive modifiche, questa ghiera venne sostituita con due alette
laterali che agevolavano l’inserimento dei caricatori nelle loro sedi e le levette
dotate di pomello su cui si agiva per ruotare le ghiere furono sostituite dalle le-
La OVP montata sul calcio in legno utilizzato verso la fine della Iª GM
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ve a molla che bloccano il dente di arresto del caricatore.
In posizione opposta, ossia rivolta verso il basso, la culatta reca la finestra
d’espulsione, in cui è alloggiato l’espulsore fisso. Il corpo dell’otturatore reca
anteriormente su questo lato l’estrattore a molla, che preleva la cartuccia sparata dalla camera e la trascina all’indietro contro la testa dell’espulsore.
L’impugnatura della Villar Perosa è in bronzo, con manubri dapprima in
ebanite ma in seguito costruiti in legno. Essa accoglie le culatte delle due armi
di cui si compone la "Pernacchia" in appositi recessi cilindrici dotati di viti di
fissaggio.
Nell’impugnatura, inoltre, trova posto parte del congegno di scatto e degli
organi di mira.
Le leve di scatto sono infatti incernierate con una vite-perno nella parte
inferiore delle sporgenze cilindriche in cui si inseriscono le culatte, hanno una
struttura a leva del primo tipo e agiscono direttamente sugli otturatori: il dente
di scatto di ciascuna leva si inserisce nell’apposito foro ricavato nella culatta e
qui aggancia la finestrella rettangolare ricavata posteriormente nel corpo dell’otturatore, bloccandolo in posizione arretrata. Agendo sul pulsante di scatto il
dente si libera e permette all’otturatore di avanzare.
La leva di sicurezza è anch’essa alloggiata nell’impugnatura, fissata con
una vite forata in senso longitudinale che funge da traguardo di mira.
La stessa arma con altra angolazione
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sistema di sicura/mira
Spostando la leva sulla posizione "F" l’arma è pronta per il funzionamento, mentre in posizione "S" la Villar Perosa è in sicura e le leve non possono
essere premute a fondo, impedendo così lo sgancio del dente di scatto dall’otturatore.
Nel corso delle varie modifiche apportate a quest’arma, le canne non hanno mai variato di caratteristiche, misurando sempre 32 cm con sei principi di
rigatura destrorsi. Le rigature sono piuttosto profonde ed eseguite con notevole
precisione. Le canne sono costruite in acciaio al nichel e - stando a quanto affermato nei manuali dell’epoca - erano in grado di sparare serie di 700 colpi
distanziate da pause di circa 10 minuti.
Non avendo (per ovvi motivi!) potuto effettuare prove pratiche, è necessario basarsi sugli scarni dati riportati in letteratura, dai quali si può desumere che
le canne non subivano logoramenti sensibili sino a circa 25.000 colpi sparati,
dopodiché la precisione incominciava a degradare così come le caratteristiche
funzionali.
Le leve di armamento sono mosse all’indietro mediante pressione esercitata sulle loro estremità. Nel corso di tale movimento esse impegnano i manubri
L’esemplare della pistola mitragliatrice Villar Perosa sezionata a scopo didattico conservata presso il Museo della RIV a Villar Perosa, in Val Chisone. In basso, i due caricatori
dell’arma
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degli otturatori e li trascinano all’indietro sino a far loro agganciare i denti di
scatto delle leve di sparo. A questo punto, rilasciandole, le leve di armamento
ritornano nelle posizioni di riposo grazie alle molle elicoidali di ritorno montate
intorno alla barra che collega le leve passando attraverso le "orecchie" al di sotto delle culatte.
Il funzionamento
Il principio di funzionamento della Villar Perosa è quello della massa battente. L’arma spara però a otturatore chiuso, grazie al ritardo di apertura provocato sia dal piano inclinato nella finestra di scorrimento del manubrio dell’otturatore sia dalla massa dell’otturatore stesso, appositamente calcolata per la bisogna. E’ certo che Revelli e i tecnici della FIAT e della RIV effettuarono parecchie prove per poter determinare con esattezza le masse che dovevano partecipare a questo festival dell’instabilità; si tratta infatti di un sistema non delicato
ma che comunque richiede una certa precisione nell’organizzazione meccanica
e nell’equilibrio tra le masse in gioco, i proiettili e i propellenti utilizzati. I malfunzionamenti sono infatti sempre in agguato, spesso dovuti proprio ad un’apertura troppo rapida. Questa poteva essere dovuta a molteplici cause, tra cui le
più probabili erano una eccessiva carica della munizione o una massa di otturazione troppo scarsa (o usurata). In tali casi poteva accadere che il bossolo venisse estratto prima che la polvere fosse interamente bruciata: il conseguente
Il lato posteriore della OVP evidenzia i pulsanti di sparo e la leva di sicura
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calo repentino di pressione all’interno della canna poteva quindi far mancare la
spinta al proiettile che tendeva a fermarsi prima di uscire dalla volata.
Secondo la procedura di armamento della OVP descritta nel manuale originale era innanzi tutto necessario porre la leva di sicura in posizione di fuoco
("F"), quindi armare gli otturatori agendo sulle leve di armamento finché essi
non avessero impegnato i rispettivi denti di scatto, dopodiché bisognava riportare la leva di sicura in posizione "S". A questo punto venivano inseriti i caricatori. Questa manovra in origine prevedeva di ruotare le ghiere di arresto sino a
mostrare le finestre ricavate nella culatta, quindi inserire i caricatori e per ultimo ruotare in senso opposto le ghiere allo scopo di bloccare i caricatori stessi in
posizione corretta.
Successivamente, grazie alle modifiche apportate all’alimentazione, fu
sufficiente inserire i caricatori tra le alette di guida fino allo scatto che indicava
il blocco del dente del caricatore contro la leva di bloccaggio.
Una volta regolato il mirino sulla distanza prescelta, si riportava la leva di
sicura sulla posizione "F". A questo punto la OVP era pronta a far fuoco e l’azionamento avveniva premendo i bottoni zigrinati delle leve di sparo. In tal modo gli otturatori si liberavano dal fermo imposto dal dente di scatto e potevano
avanzare sotto la spinta delle molle di recupero.
Le leve d’armamento agiscono facendo arretrare le manette degli otturatori fino a mandare in presa i denti di scatto
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Quando la testa dell’otturatore incontrava il fondello della prima cartuccia
che sporgeva dal serbatoio, la prelevava e la inseriva in canna: un attimo dopo
il percussore entrava in azione provocando lo sparo e la successiva ripetizione
del ciclo.
Fino a che si teneva premuto il bottone di sparo l’arma non cessava di funzionare e in circa un secondo vuotava l’intero magazzino. Premendo contemporaneamente i due bottoni, la Vllar Perosa era dunque in grado di elargire una
potenza di fuoco di 50 colpi al secondo, ossia 3.000 al minuto! Per capire quale
infernale cadenza fosse questa, è necessario ricordare che le mitragliatrici impiegate all’epoca (FIAT Mod. 14, Schwarzlose, Gradner, Colt) avevano cadenze di fuoco comprese tra i 350 e i 500 colpi al minuto e raramente superavano i
700.
Da questi numeri appare evidente che un esiguo numero di OVP correttamente piazzate e - soprattutto - utilizzate in maniera adeguata avrebbero potuto
cambiare in breve tempo le sorti del conflitto.
E’ comunque necessario fare un’altra considerazione: mentre le mitragliatrici impiegate all’epoca erano tutte dotate di un sistema di raffreddamento (ad
aria o idraulico), la OVP non ne recava traccia. Ciò comportava, necessariamente, che i tempi di raffreddamento venissero rispettati con una certa rigidità,
a scanso di inceppamenti che sarebbero risultati molto più deleteri in un’arma
d’attacco che non in una mitragliatrice di tipo "difensivo".
I caricatori della OVP contenevano 25 cartucce ciascuno
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Le caratteristiche
Non è facile esaminare da vicino una Villar Perosa, sia per la scarsità dei
reperti sia per il fatto che i pochi pezzi presenti nei nostri musei sono irrimediabilmente compromessi nella funzionalità: saldati e resi inutilizzabili anche per
studio a causa della miopia delle leggi.
Fortunatamente il museo della RIV-SKF di Villar Perosa ci ha messo a
disposizione uno splendido esemplare sezionato a scopo didattico dallo Stabilimento Militare di Terni.
L’arma reca il numero di matricola 4333, superando di gran lunga il mitico numero 1500, quale a lungo si è creduto fosse il totale di pistolemitragliatrici prodotte.
In realtà, nel novero dei 25 esemplari esistenti di cui siamo venuti a conoscenza, esistono numeri ben più alti, tra cui possiamo segnalare il n° 12666 presente al Museo De Henriquez di Trieste e il n° 13235 presso l’Arsenale Militare
di Torino. Il numero più basso di cui abbiamo accertato l’esistenza è il 53, custodito presso il citato Museo De Henriquez.
Le modifiche subite nel corso dei pochi anni di fabbricazione dalla OVP
sono probabilmente iniziate dopo poche migliaia di pezzi prodotti, dato che la
Vista d’insieme della Villar Perosa sezionata
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n° 2662 (fotografata su Diana Armi del giugno 1989) appartiene chiaramente al
modello fondamentale, mentre la n° 4333 sezionata, fotografata in queste pagine, reca già le modifiche apportate alle OVP utilizzate dagli Arditi nel ‘17’-18,
con le caratteristiche guide per agevolare l’inserimento dei caricatori (già presenti sul modello per l’Aeronautica) e il calcio in legno sagomato (di difficilissima reperibilità!).
Abbiamo inoltre potuto esaminare un’altra OVP, perfettamente funzionante, presso la Raccolta Nazionale Finlandese di Armi dei fratelli Heikki e Pekka
Pohjolainen, non lontano da Helsinki. Quest’arma è dotata di bipiede ripiegabile, montato in prossimità delle volate. Questo tipo di bipiede è fisso, ma se ne
conosce anche un tipo - voluto dal col. Bassi per l’armamento degli Arditi - che
poteva essere smontato grazie ad un sistema di galletti di fissaggio.
Per il resto, l’arma conservata in Finlandia (dove sappiamo che se ne trovano almeno altre due!) presenta le stesse caratteristiche dell’esemplare sezionato del Museo di Villar Perosa; d’altra parte anche la matricola è molto vicina:
4012.
A proposito di matricole, abbiamo potuto osservare su alcuni esemplari
una caratteristica particolare: il numero di matricola riportato su entrambe le
canne ma seguito in un caso dalla lettera "D" e nell’altro dalla "S", a voler distinguere la destra dalla sinistra. Riteniamo che ciò fosse unicamente dovuto ad
La sezionatura mostra la camera di cartuccia e la testa dell’otturatore
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esigenze di regolamento interno alle officine produttive, in quanto non vi è motivo per cui le canne non possano essere invertite nel rimontare l’arma dopo un’eventuale scomposizione.
Osservando il principio di funzionamento, facilmente comprensibile nel
modello sezionato, si nota come il ritardo di apertura fosse incredibilmente ingegnoso per l’epoca pur nella sua essenzialità.
Di contro, possiamo renderci conto di come potesse essere difficile per il
mitragliere "dosare" la raffica, visto che solo dopo aver acquisito una notevole
sensibilità era possibile decidere di interrompere lo sparo. Quest’azione richiedeva infatti di cessare (o almeno allentare) la pressione sui bottoni di sparo, ma
doveva essere veramente difficile metterlo in pratica prima che il caricatore fosse del tutto esaurito. Solitamente, per semplicità, il mitragliere decideva di utilizzare una canna per volta, garantendosi - almeno - due raffiche di una certa
consistenza.
Le armi derivate
Le caratteristiche innovative della Villar Perosa diedero origine alle pistole mitragliatrici prodotte di lì in avanti, sebbene molte soluzioni adottate sulla
capostipite fossero piuttosto "originali" e certamente perfettibili. Il primo tenta-
L’otturatore in posizione armata, visibile attraverso la sezione longitudinale della culatta
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tivo di miglioramento venne con il moschetto automatico OVP, costruito nel
1920 dalle Officine di Villar Perosa per l’Esercito in non molti esemplari. Si
trattava in pratica di una sola canna di OVP montata su un calcio in legno. Il
funzionamento è identico a quello della Mod. 15, mentre la manetta di armamento è del tutto originale, formata da un cilindro scanalato che lasciava passare il meccanismo di scatto. Per armale il moschetto si tirava indietro questo manicotto zigrinato per poi rilasciarlo dopo che il dente di scatto aveva agganciato
l’otturatore.
Il moschetto OVP aveva inoltre due grilletti: quello anteriore per il tiro a
raffica e quello posteriore per il colpo singolo. Le mire vennero montate lateralmente, dato che superiormente la linea di mira era ostruita dalla presenza del
caricatore, con il traguardo saldato in posizione molto avanzata, davanti alla
leva di sgancio del caricatore.
Nel 1918 la Beretta mise in produzione il suo primo "MAB", il Moschetto
Automatico Beretta modello 1918, che utilizzava lo stesso munizionamento.
Quest’arma non era altro che una "mezza pernacchia" montata su un calcio in legno di tipo convenzionale, a cui venne aggiunto un nuovo dispositivo
di scatto a due grilletti e una baionetta ripiegabile. Dato il notevole successo
che l’arma incontrò, molte mitragliatrici Villar Perosa vennero sacrificate per
produrlo, al punto che solo pochi esemplari dell’arma originaria sono ormai sopravvissuti alla cannibalizzazione.
Particolare dei vivi di volata
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Benché il funzionamento del MAB 18 fosse identico a quello della OVP,
vennero costruite due versioni di esso, una delle quali con un solo grilletto, che
consentiva unicamente il tiro semi-automatico. L’altra versione utilizzava i due
grilletti come veri e propri selettori, permettendo al tiratore di scegliere di volta
in volta il tipo di tiro.
Sia il moschetto automatico OVP che il MAB 18 trovarono ancora un
impiego (seppure assai limitato) durante la seconda guerra mondiale.
SCHEDA TECNICA
Denominazione: Pistola mitragliatrice "FIAT" Mod. 15
Anno di nascita: 1914
Fabbricanti: Officine di Villar Perosa, FIAT, Canadian General Electric
Company Ltd. (Toronto)
Calibro: 9 mm Glisenti (9x19)
Munizione utilizzata: Cartuccia mod. 10 (ordinanza italiana), cal. 9 mm Glisenti
Sistema di chiusura: labile, a ritardo di apertura (massa battente)
Cadenza di fuoco teorica: 1500 colpi al minuto (per ciascuna canna)
Velocità iniziale: 365 m/sec
Lunghezza canna: 318 mm
Lunghezza dell’arma: 533 mm
Peso a vuoto: 6,52 kg
Caricatori: 2, amovibili, da 25 colpi
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Pistola mitragliatrice Villar-Perosa mod. 1915