IURIS ET DE IURE
Bollettino quindicinale di aggiornamento
del Consiglio Notarile di Catania e Caltagirone
N. 7 - 15 SETTEMBRE 2014
in redazione: Giuseppe Pappalardo
--------------------Cari Lettori,
dopo la pausa estiva, riprendono con il presente numero le pubblicazioni del consueto
bollettino quindicinale di aggiornamento.
In prima pagina abbiamo il piacere di ospitare il resoconto, curato dal Collega Notaio
Paolo Pennisi, Responsabile dei Rapporti con gli Enti per conto del nostro Consiglio
Notarile, della riunione tenutasi con i rappresentanti dell'Agenzia delle Entrate di
Catania il 9 luglio u.s., nell'ambito delle varie iniziative volte ad instaurare proficui
rapporti fra il Notariato locale e i principali suoi interlocutori istituzionali; tale riunione,
come avrete modo di verificare, ha avuto ad oggetto diverse tematiche fiscali relative ad
atti per i quali possa apparire dubbia o incerta la tassazione.
Comunichiamo altresì che sul sito del nostro Consiglio è consultabile l'ultimo numero
della pregevole Rassegna di Novità di Prassi, Legislazione e Giurisprudenza, curata dal
Collega Notaio Alberto Spina, rassegna peraltro pure spedita alla vostre caselle di posta
elettronica del dominio @notariato.it.
Grazie per l'attenzione e buona lettura!
(G. P.)
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PRIMA PAGINA
RESOCONTO DELL' INCONTRO CON L'AGENZIA DELLE ENTRATE
DEL 9 LUGLIO 2014
Cari Colleghi, come è a voi già noto, nell'ambito delle iniziative intraprese dal Consiglio
Notarile al fine di instaurare un rapporto di maggiore collaborazione e dialogo con
l'Agenzia delle Entrate di Catania, si è concordato di effettuare degli incontri, aventi
cadenza periodica, per trattare le varie problematiche fiscali relative ad atti da ricevere ed
in relazione ai quali la tassazione appaia dubbia o incerta.
Il primo di tali incontri si è tenuto in data 9 luglio 2014 presso gli uffici dell'Agenzia delle
Entrate di Catania.
Per il notariato hanno partecipato a tale incontro i consiglieri Giuseppe Pappalardo, Paolo
Pennisi e Giuseppe Riggio.
L'Agenzia delle Entrate era rappresentata dal Direttore Provinciale dott.ssa Laura Caggegi;
dai Direttori degli uffici territoriali di Catania, Acireale, Caltagirone e Giarre; dal Capo
Area dell'Ufficio territoriale di Catania e dai Capi Team degli Uffici territoriali di Acireale,
Caltagirone e Giarre.
Dopo avere chiarito quali erano gli scopi di questi incontri e dopo avere formulato gli
auspici di una fruttuosa collaborazione tra notariato e uffici finanziari, la dott.ssa Caggegi
ha precisato che gli incontri possono avere solo un contenuto ricognitivo della normativa e
della prassi di riferimento non potendosi l'Ufficio discostare da interpretazioni ufficiali
della Agenzia delle Entrate.
Ella inoltre ha ribadito che al di fuori di questi incontri, gli Uffici non sono tenuti a fornire
- se non in casi veramente eccezionali - indicazioni in via preventiva al singolo notaio su
atti ancora da tassare.
Si è quindi passato all'esame dei quesiti pervenuti da parte di alcuni colleghi.
QUESITO n. 1
IMPOSTE FISSE MINIME (DI REGISTRO, IPOTECARIA E CATASTALE):
Corretta applicazione dei principi espressi nella Circolare 2/E del 2014 e precedenti
richiamate in essa.
Soluzione prospettata:
- i minimi di euro 1000 o di euro 200 sono da considerarsi complessivamente con
riferimento all'atto anche qualora esso contenga più negozi.
L'esempio 5) a pag. 49 della circolare si riferisce ad un venditore e più acquirenti, ma a
maggiore ragione deve ritenersi applicabile al caso di più venditori ed unico acquirente.
Principio analogo dovrebbe valere anche per le imposte ipotecarie e catastali quando sono
proporzionali.
ESEMPI:
a) in caso di due donazioni in unico atto (non prima casa) la prima di euro 25.000 e la
seconda di euro 5.000.
- Imposta ipotecaria al 2% : 500 più 100 tot. 600 > 200; imposta catastale all'1%: euro 250
più 50. = tot. 300 > 200
b) in caso di due donazioni in unico atto (non prima casa), la prima di euro 8.000 e la
seconda di euro 5.000.
Imposta ipotecaria al 2% : 160 più 100 (importo totale 260 maggiore di euro 200); imposta
catastale all'1%: euro 80 più 50 = 130 (essendo l'importo totale minore di euro 200 si
versano euro 200)
RISPOSTA
L'Agenzia delle Entrate concorda pienamente sulla soluzione prospettata in materia di
imposta di registro sia che si tratti dell'imposta minima di euro 1000 sia con riferimento a
quella di Euro 200.
Non essendovi allo stato documenti di prassi o interpretazioni ufficiali sulla applicazione di
tale principio – in via estensiva o analogica - alle imposte ipotecaria e catastale ritiene di
non potere applicarlo.
Sul punto si è concordato che lo stesso Consiglio Notarile formuli una richiesta di
consulenza giuridica alla Direzione Regionale delle Entrate.
QUESITO N. 2
Accollo tra privati di mutuo fondiario (come atto autonomo; non quale modalità di
pagamento del prezzo in un atto di vendita).
Si applicano le agevolazioni del DPR 601/73?
Sempre? Ovvero solo quando c'è l'intervento dell'istituto mutuante che ad es. prende atto e
consente all'accollo o libera il precedente debitore.
Soluzione prospettata:
La soluzione prospettata dal notariato era in senso positivo, basandosi su una
interpretazione del dato letterale dell'art. 15 del d.p.r. 601/73.
RISPOSTA
I rappresentanti dell'Agenzia delle Entrate sono tendenzialmente per la tesi negativa.
Anche su questo argomento, non essendovi allo stato documenti di prassi o interpretazioni
ufficiali, non restano che la via dell'interpello o quella della consulenza giuridica.
QUESITO N. 3
A) tassazione di atto di assegnazione di immobili (sia terreni agricoli che beni strumentali
nonchè ad uso abitativo) da parte di una SNC al soggetto che sia divenuto unico socio della
società (c.d. trasformazione di s.n.c. in ditta individuale).
Soluzione prospettata:
Nessuna
RISPOSTA
La risposta la si trova nella circolare n. 18/E del 2013 (paragrafi 6.34 e 6.40) che peraltro
richiama la risoluzione n. 47 del 03.04.2006): se si tratta dell'assegnazione all'unico socio
dell'intero complesso aziendale si applica l'imposta di registro in misura fissa e - se vi sono
immobili - le imposte ipotecaria e catastale proporzionali (2+1).
B) ipotesi in cui nel patrimonio sociale di una società ormai cancellata dal Registro
Imprese sia succeduto, a seguito delle note sentenze della Cassazione 2013, l’unico socio
che oggi intenda trasferire gli immobili già sociali a terzi; come dovrebbe tassarsi questo
atto ricognitivo o dichiarativo richiesto quantomeno ai fini della continuità delle
trascrizioni e della voltura catastale?
Soluzione prospettata:
Nessuna
RISPOSTA
Su questo i rappresentanti dell'agenzia non si sono pronunciati riservandosi di fornirci una
risposta nel prossimo incontro.
QUESITO N. 4
DEPOSITO DI VERBALE CONCLUSIVO DI ACCORDO DI CONCILIAZIONE
RAGGIUNTO IN PROCEDIMENTO DI MEDIAZIONE AI SENSI DEL D. LGS. 4 MARZO
2010 N. 28
Tassazione del deposito di verbale conclusivo di accordo di conciliazione nel caso in cui vi
sia pagamento del prezzo e nel caso di riconoscimento di avvenuta usucapione.
SOLUZIONI PROPOSTE:
A) In caso di pagamento di prezzo:
Registro: 9% o 2% su valore eccedente la franchigia di Euro 50.000,00 (ex art. 17 comma 3
D.Lgs. 28/10);
Bollo, Imposta ipotecaria, Imposta catastale e Tassa ipotecaria: esenti (ex art. 17 comma 2
D.Lgs. 28/10);
Con possibilità di chiedere prezzo valore e prima casa.
B) Qualora non vi fosse nessun pagamento:
B1) Trattandosi di atto dichiarativo e non potendosi considerare liberalità:
Registro: 1% sulla rendita per il moltiplicatore (ex art. 3 T.U.R./TARIFFA/PARTE I)
e comunque su valore eccedente la franchigia di Euro 50.000,00 (ex art. 17 comma 3
D.Lgs. 28/10)
Bollo, Imposta ipotecaria, Imposta catastale e Tassa ipotecaria: esenti (ex art. 17 comma 2
D.Lgs. 28/10)
B2) Qualora si considerasse atto a titolo gratuito:
Imposta di donazione: 8% sulla rendita per il moltiplicatore e comunque su valore
eccedente la franchigia di Euro 50.000,00 (ex art. 17 comma 3 D.Lgs. 28/10);
Bollo, Imposta ipotecaria, Imposta catastale e Tassa ipotecaria: esenti (ex art. 17 comma 2
D.Lgs. 28/10);
Con possibilità di chiedere le agevolazioni prima casa.
RISPOSTA:
I rappresentanti dell'Agenzia delle Entrate ritengono che – ferma restando l'agevolazione
del D.lgs. 28/2010 – per la parte eccedente i 50.000 euro non possa che applicarsi per
analogia l'art. 8 nota II bis della tariffa dpr 131/86 (per cui le stesse aliquote applicabili per
il corrispondente atto a titolo oneroso ai sensi dell'art. 1 della tariffa stessa, con possibilità
di agevolazione prima casa e tassazione sul valore catastale).
QUESITO N. 5
ATTO DI ACCERTAMENTO DI USUCAPIONE
Tassazione di atto dichiarativo di usucapione. Nel caso sottoposto all’attenzione, si tratta di
soggetti che hanno posseduto fabbricati rurali (oggi C/2) da più di venti anni e coloro che
risultano proprietari al Catasto ed al Territorio sono disposti a riconoscere l'usucapione.
Non c'è pagamento di prezzo.
SOLUZIONI PROPOSTE:
A) Trattandosi di atto dichiarativo e non potendosi considerare liberalità:
Registro: 1% sulla rendita per il moltiplicatore (ex art. 3 T.U.R./TARIFFA/PARTE I)
Bollo: 155
Imposta ipotecaria: 200 (art. 4 T.U.I.C./TARIFFA)
Imposta catastale: 200 (art. 10 T.U.I.C.)
Tassa ipotecaria: 90
B) Qualora si considerasse atto a titolo gratuito:
Imposta di donazione: 8% (sulla rendita per il moltiplicatore)
Bollo: 230
Imposta ipotecaria: 2%
Imposta catastale: 1%
Tassa ipotecaria: 90
Con possibilità di chiedere le agevolazioni prima casa.
RISPOSTA:
I rappresentanti dell'Agenzia delle Entrate – fermi i dubbi di carattere civilistico sulla
ricevibilità di un tale atto da parte del notaio - ritengono che anche in questo caso non
possa che applicarsi per analogia l'art. 8 nota II bis della tariffa dpr 131/86 (per cui le
stesse aliquote applicabili, in relazione alle diverse tipologie di immobili, per il
corrispondente atto a titolo oneroso ai sensi dell'art. 1 della tariffa stessa, con possibilità –
ove del caso - di agevolazione prima casa e tassazione sul valore catastale).
QUESITO N. 6
RINUNZIA A LEGATO IMMOBILIARE
Tassazione della rinunzia a legato immobiliare senza corrispettivo, anche oltre i dieci anni
dall'apertura della successione.
Soluzione prospettata:
Registro: 200 (ex art. 11 T.U.R./TAR/PARTE PRIMA ovvero ex art. 1 T.U. IMPOSTA
SULLE SUCCESSIONI E DONAZIONI)
Bollo: 155
Imposta ipotecaria: 200
Tassa ipotecaria: 35
RISPOSTA
I rappresentanti dell'Agenzia delle Entrate si rifanno alla Risoluzione n. 435/E del
12.11.2008 per cui se la rinunzia avviene prima dell'accettazione - anche tacita – del legato
troverà applicazione la tassazione sopra prospettata. Se invece avviene dopo l'accettazione
– o dopo il decorso dei dieci anni che comporterebbe, secondo alcuni, acquisto definitivo
del legato la rinunzia sarebbe atto traslativo assoggettabile ad imposta proporzionale ai
sensi dell'art. 1 della Tariffa che equipara la rinuncia pura e semplice alla cessione o alla
costituzione di diritti reali.
Nel corso dell'incontro si è prospettata però da parte di uno dei notai intervenuti la
possibilità di applicare analogicamente il trattamento fiscale riconosciuto oggi dall'Agenzia
delle Entrate per gli atti di risoluzione per mutuo dissenso di donazioni con la Risoluzione
n. 20/E del 14.02.2014 (cioè tassazione con le imposte in misura fissa).
Anche su questo argomento i rappresentanti dell'Agenzia ritengono auspicabile che lo
stesso Consiglio Notarile formuli – ove lo ritenga utile - una richiesta di consulenza
giuridica alla Direzione Regionale delle Entrate.
QUESITO N. 7
Tassazione della costituzione di servitù
a) costituzione di servitù unitamente a trasferimento di immobile da parte del medesimo
soggetto in favore dello stesso acquirente.
In caso di assenza di autonomo corrispettivo è soggetta a tassazione?
Soluzione prospettata:
no, in quanto disposizione connessa.
b) costituzione di servitù da parte di un altro soggetto contestuale ad atto di vendita.
quindi venditore A, costituente la servitù B acquirente di entrambi i idiritti sempre lo
stesso C.
Soluzione prospettata:
Si applica sempre il principio dell'imposta fissa di Euro 1.000 per cui la tassazione della
servitù qualora l'imposta fosse inferiore a euro 1000 si applica per quello che viene.
Esempio:
A vende a C un fondo agricolo per un prezzo di euro 10.000. Imposta pari al 12% euro 1200
(più 50 e 50);
B costituisce nello stesso atto una servitù di passaggio in favore di B per un corrispettivo di
euro 1000. Imposta al 12%: euro 120 più imposta ipotecaria euro 50.
Totale imposta registro dovuta: euro 1320; imposta ipotecaria euro 100; catastale euro 50.
c) tassazione di servitù reciproche.
Soluzione prospettata:
applicazione dell'imposta dovuta in base alla natura degli immobili (serventi) con l'imposta
fissa minima di euro 1000 da applicare una sola volta.
RISPOSTA:
In tutte le ipotesi prospettate l'Agenzia ritiene si tratti di negozi plurimi per cui
occorrerebbe anche nel caso sub a) – sia pure fittiziamente e ai soli fini fiscali – scorporare
i corrispettivi. Tuttavia anche in tali casi l'imposta fissa minima di euro 1.000 si applica
una sola volta come prospettato nel quesito.
Andranno invece applicate tante imposte ipotecarie di euro 50 quanti sono i negozi.
(A cura del Notaio Paolo PENNISI, Consigliere Responsabile per i Rapporti con gli Enti)
LEGISLAZIONE
Con la legge 11 agosto 2014, n. 116, pubblicata sul S.O. n. 72, relativo alla G.U. 20/8/2014,
n. 192, è stato convertito il decreto legge 24 giugno 2014, n. 91 (per un primo commento al
quale si veda il n. 4 di questo bollettino, pubblicato il 30 giugno scorso),
recante Disposizioni urgenti per il settore agricolo, la tutela ambientale e
l'efficientamento energetico dell'edilizia scolastica e universitaria, il rilancio e lo sviluppo
delle imprese, il contenimento dei costi gravanti sulle tariffe elettriche, nonché per la
definizione immediata di adempimenti derivanti dalla normativa europea (c.d.
DECRETO CRESCITA).
Si riportano le normative di maggior interesse per la professione notarile.
A) L’iscrizione degli atti nel registro delle imprese ed il ruolo del notaio
Il comma 7-bis dell’art. 20 del d.l. 91/2014, introdotto in sede di conversione, così recita:
"Al fine di facilitare e di accelerare ulteriormente le procedure finalizzate all'avvio delle
attività economiche nonché le procedure di iscrizione nel registro delle imprese,
rafforzando il grado di conoscibilità delle vicende relative all'attività dell'impresa,
quando l'iscrizione é richiesta sulla base di un atto pubblico o di una scrittura privata
autenticata, a decorrere dal primo giorno del mese successivo alla data di entrata in
vigore della legge di conversione del presente decreto, il conservatore del registro
procede all'iscrizione immediata dell'atto. L'accertamento delle condizioni richieste
dalla legge per l'iscrizione rientra nella esclusiva responsabilità del pubblico ufficiale che
ha ricevuto o autenticato l'atto. Resta ferma la cancellazione d'ufficio ai sensi
dell'articolo 2191 del codice civile. La disposizione del presente comma non si applica
alle società per azioni."
Tale norma, nell’enunciata prospettiva di facilitare e di accelerare ulteriormente le
procedure finalizzate all’avvio delle attività economiche nonché le procedure di iscrizione
nel registro delle imprese, rafforzando il grado di conoscibilità delle vicende relative
all’attività dell’impresa, stabilisce quindi che “quando l’iscrizione è richiesta sulla base di
un atto pubblico o di una scrittura privata autenticata”, “il conservatore del registro
procede all’iscrizione immediata dell’atto”.
Tale disposizione, che non si applica alle società per azioni e che è entrata in vigore il 1°
settembre 2014 (“a decorrere dal primo giorno del mese successivo alla data di entrata in
vigore della legge di conversione del presente decreto”), riconosce la competenza esclusiva
e la connessa esclusiva responsabilità in capo al pubblico ufficiale che ha ricevuto o
autenticato l’atto per l’accertamento delle condizioni richieste dalla legge per l’iscrizione.
Pertanto, devono intendersi sostanzialmente modificate le previsioni di cui ai commi 6 e
ss. dell’art. 11 del D.P.R. 7 dicembre 1995, n. 581 per le ipotesi in cui l’iscrizione è richiesta
sulla base di un atto pubblico o di una scrittura privata autenticata.
Resta invece ferma la competenza ai sensi dell’articolo 2191 del codice civile del giudice del
registro a ordinare con decreto la cancellazione d’ufficio dell’iscrizione che sia avvenuta in
assenza delle condizioni previste dalla legge.
B) Le modifiche al codice civile
1. Il nuovo capitale minimo nelle S.p.A. e l’eliminazione della soglia dei
120.000 euro per la nomina obbligatoria dell’organo di controllo nella s.r.l.
e la sorte degli organi esistenti
Fra le modifiche di più diretto impatto, si segnala, in particolare, quella dell’ammontare
minimo del capitale sociale nella società per azioni (e di riflesso nella società in
accomandita per azioni ex art. 2454 c.c.).
All’art. 2327, c.c., l’importo di centoventimila euro è sostituito con quello di cinquantamila
(art. 20, comma 7, d.l. 91/2014).
Mediante il decreto si è pure provveduto alla abrogazione del secondo comma dell’art.
2477 c.c., che imponeva alle società a responsabilità limitata con capitale sociale non
inferiore a quello minimo stabilito per le società per azioni di nominare un organo di
controllo o un revisore.
L’effetto è, quindi, quello di limitare l’obbligatorietà della nomina dell’organo di controllo o
del revisore ai casi in cui la s.r.l. sia obbligata alla tenuta del bilancio consolidato; controlli
altra società tenuta alla revisione legale dei conti; superi, per due esercizi, i parametri
previsti dall'art. 2435-bis, c.c.; cioè ai casi previsti dal solo comma 3 dell’art. 2477.
E ciò, ovviamente, si riflette anche sulla disciplina delle cooperative, dovendosi oggi
intendere il rinvio operato dall’art. 2543 c.c. ai commi 2 e 3 dell’art. 2477 riferito soltanto
al comma 3.
Venuta meno l’obbligatorietà della nomina dell’organo di controllo nel caso di
superamento del (vecchio) minimo di capitale previsto per la S.p.A., nella vigenza del testo
del decreto anteriore alla legge di conversione si era posta, per le s.r.l. che abbiano
nominato l’organo di controllo perché tenutevi in virtù della propria capitalizzazione e che
non superino i limiti di cui al comma 3 dell’art. 2477, la questione degli effetti del venir
meno di tale obbligo.
In sede di conversione si è ritenuto di adottare una soluzione analoga a quella dettata in via
generale per i revisori legali dall’art. 4, comma 1, lett. i), del D.M. 28 dicembre 2012, n. 261,
secondo cui costituisce giusta causa di revoca “la sopravvenuta insussistenza dell'obbligo di
revisione legale per l'intervenuta carenza dei requisiti previsti dalla legge” (art. 20, comma
8, d.l. 91/2014).
Di conseguenza viene espressamente previsto che la sopravvenuta insussistenza
dell’obbligo di nomina dell’organo di controllo (sindaco) o del revisore costituisce giusta
causa di revoca.
Al riguardo é dubbio se trovi applicazione il comma 2 dell’art. 2400, c.c., il quale dispone
che la deliberazione di revoca deve essere approvata con decreto dal tribunale, sentito
l'interessato.
2. L'estensione dell’ambito di applicazione dell’art. 2343-ter
I commi 4 e 5 dell’art. 20 del d.l. 91/2014 estendono la possibilità di ricorrere ai sistemi di
valutazione alternativi alla relazione dell’esperto di cui all’art. 2343 c.c. nelle ipotesi di
acquisti da promotori, fondatori, soci e amministratori, e di trasformazione in società di
capitali. Tali norme sono del seguente tenore:
"Comma 4. Al secondo comma dell'articolo 2343-bis del codice civile, dopo le parole: "di
un esperto designato dal tribunale nel cui circondario ha sede la società", sono
aggiunte le seguenti: "ovvero la documentazione di cui all'articolo 2343-ter primo e
secondo comma"; al terzo comma dell'articolo 2343-bis del codice civile dopo le
parole "dell'esperto designato dal tribunale" sono aggiunte le seguenti: "ovvero dalla
documentazione di cui all'articolo 2343-ter".
Comma 5. Il secondo comma dell'articolo 2500-ter del codice civile e' sostituito dal
seguente:
"Nei casi previsti dal precedente comma il capitale della società risultante dalla
trasformazione deve essere determinato sulla base dei valori attuali degli elementi
dell'attivo e del passivo e deve risultare da relazione di stima redatta a norma
dell'articolo 2343 ovvero dalla documentazione di cui all'articolo 2343-ter ovvero,
infine, nel caso di società a responsabilità limitata, dell'articolo 2465. Si applicano
altresì, nel caso di società per azioni o in accomandita per azioni, il secondo, terzo e, in
quanto compatibile, quarto comma dell'articolo 2343 ovvero, nelle ipotesi di cui al primo
e secondo comma dell'articolo 2343-ter, il terzo comma del medesimo articolo.".
3. La riduzione dei termini per l’esercizio del diritto di opzione
Il comma 6 del d.l. 91/2014 sostituisce il comma 2 dell’art. 2441, c.c., modificandosi sia il
sistema di pubblicità dell’offerta di opzione, sia il termine minimo per l’esercizio del
diritto.
Si prevede, infatti, che per l'esercizio del diritto di opzione deve essere concesso un termine
non inferiore a quindici giorni dalla pubblicazione dell'offerta in luogo dei trenta
originariamente previsti, in modo da rendere più agevole l’ingresso di terzi nella
compagine sociale in sede di aumento.
A fronte di tale riduzione dei termini per l’esercizio del diritto, peraltro in linea con la
disciplina dell’opzione nelle società quotate (da notare che l’allineamento ha comportato
l’abrogazione dell’art. 134 TUF, che a questo punto era divenuto inutile), l’offerta, oltre ad
esser depositata presso l’ufficio del registro delle imprese, come già prevedeva il comma 2
ante modifiche, deve esser contestualmente resa nota mediante un avviso pubblicato sul
sito internet della società, con modalità atte a garantire la sicurezza del sito medesimo,
l'autenticità dei documenti e la certezza della data di pubblicazione, o, in mancanza,
mediante deposito presso la sede della società.
Tale ulteriore forma di pubblicità consente quindi al socio di venire a conoscenza in
termini più tempestivi della sussistenza del diritto. In sostanza, a una riduzione dei termini
per l’esercizio dell’opzione corrisponde una forma più efficace di pubblicità e quindi di
conoscibilità del diritto.
4. Le azioni a voto plurimo
In sede di conversione del decreto legge, si introduce, per il tramite del comma 8-bis, con
la modifica dell’art. 2351, commi 3 e 4, la possibilità di creare azioni a voto plurimo, fatte
salve le disposizioni previste da leggi speciali (in specie il TUF).
In particolare si stabilisce che lo statuto della società per azioni può prevedere la creazione
di azioni con diritto di voto plurimo, con un massimo di tre voti, anche per particolari
argomenti o subordinato al verificarsi di particolari condizioni non meramente potestative.
Viene inoltre disposta una disciplina transitoria per cui per le società per azioni iscritte nel
registro delle imprese al 31 agosto 2014 la deliberazione con cui si prevede la creazione di
azioni a voto plurimo necessita, anche in prima convocazione, del voto favorevole di
almeno i due terzi del capitale rappresentato in assemblea (art. 20, comma 8-ter del d.l.
91/2014 che sostituisce il testo dell’art. 212 delle disposizioni di attuazione del codice
civile).
C) Le modifiche al TUB
La possibilità per le imprese di assicurazione e le società di
cartolarizzazione di svolgere attività di concessione di finanziamenti sotto
qualsiasi forma in favore di imprese
L’art. 22, comma 3 introduce un comma all’art. 114 del d.lgs. 1° settembre 1993, n. 385, al
fine di consentire alle imprese di assicurazione di svolgere l’attività di concessione diretta
di finanziamenti sotto qualsiasi forma esclusivamente nei confronti delle imprese, che sino
ad oggi era invece loro preclusa.
D) Le modifiche alla prelazione agraria
L’art. 7-ter contiene alcune novità in materia di esercizio del diritto di prelazione o di
riscatto agrario.
La predetta disposizione amplia la categoria dei soggetti a cui compete l’esercizio del
diritto di prelazione agraria.
Più precisamente si prevede che:
“L’esercizio del diritto di prelazione o di riscatto di cui all’articolo 8 della legge 26
maggio 1965, n. 590, e successive modificazioni, e all’articolo 7 della legge 14 agosto 1971,
n. 817, spetta anche alle società cooperative di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto
legislativo 18 maggio 2001, n. 228, qualora almeno la metà degli amministratori e dei
soci sia in possesso della qualifica di coltivatore diretto come risultante dall’iscrizione
nella sezione speciale del registro delle imprese di cui agli articoli 2188 e seguenti del
codice civile”.
Giova osservare come secondo il comma 2 dell’art. 1 della legge n. 228 del 2001:
“si considerano imprenditori agricoli le cooperative di imprenditori agricoli ed i loro
consorzi quando utilizzano per lo svolgimento delle attività di cui all'articolo 2135 del
codice civile, come sostituito dal comma 1 del presente articolo, prevalentemente prodotti
dei soci, ovvero forniscono prevalentemente ai soci beni e servizi diretti alla curaed allo
sviluppo del ciclo biologico”.
Fatta questa precisazione, in seguito all’entrata in vigore dell’art. 7-ter sopra citato
l’esercizio della prelazione o del riscatto, disciplinato dall’art. 8 della legge n. 590 del 1965
e dall’art. 7 della legge n. 817 del 1971, spetta anche alle società cooperative di cui al comma
2 dell’art. 1 della legge n. 228 del 2001 se sussiste la seguente condizione:qualora almeno la
metà degli amministratori e dei soci sia in possesso della qualifica di coltivatore diretto
come risultante dall’iscrizione nella sezione speciale del registro delle imprese di cui agli
articoli 2188 e seguenti del codice civile.
Per maggiori approfondimenti, si vedano CNN Notizie dell'8 agosto e del 10 settembre
2014.
Per
visualizzare
l'intero
provvedimento
si
vada
alla
pagina
internet
http://www.normattiva.it/uri-res/N2Ls?urn:nir:stato:decreto-legge:2014-06-24;91
--------Si riporta l'art. 11-bis del decreto-legge 31 maggio 2014, n. 83, recante disposizioni
urgenti per la tutela del patrimonio culturale, lo sviluppo della cultura e il rilancio del
turismo, convertito dalla legge 29 luglio 2014, n. 106 (G.U. Serie Generale n.175 del 30-72014)
"Art. 11-bis
Start-up turismo
1. In aggiunta a quanto stabilito dall'art. 25, comma 2, lettera f), del decreto-legge 18
ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221,
si considerano start-up innovative anche le società che abbiano come oggetto sociale la
promozione dell'offerta turistica nazionale attraverso l'uso di tecnologie e lo sviluppo di
software originali, in particolare, agendo attraverso la predisposizione di servizi rivolti
alle imprese turistiche. Tali servizi devono riguardare la formazione del titolare e del
personale dipendente, la costituzione e l'associazione di imprese turistiche e culturali,
strutture museali, agenzie di viaggio al dettaglio, uffici turistici di informazione e
accoglienza per il turista e tour operator di autotrasporto, in modo tale da aumentare
qualitativamente e quantitativamente le occasioni di permanenza nel territorio; l'offerta
di servizi centralizzati di prenotazione in qualsiasi forma, compresi sistemi telematici e
banche di dati in convenzione con agenzie di viaggio o tour operator, la raccolta,
l'organizzazione, la razionalizzazione nonchè l'elaborazione statistica dei dati relativi al
movimento turistico; l'elaborazione e lo sviluppo di applicazioni web che consentano di
mettere in relazione aspetti turistici culturali e di intrattenimento nel territorio nonchè lo
svolgimento di attività conoscitive, promozionali e di commercializzazione dell'offerta
turistica nazionale, in forma di servizi di incoming ovvero di accoglienza di turisti nel
territorio di intervento, studiando e attivando anche nuovi canali di distribuzione.
2. Le imprese start-up innovative di cui al comma 1 possono essere costituite anche nella
forma della società a responsabilità limitata semplificata ai sensi dell'art. 2463-bis del
codice civile.
3. Le società di cui al comma 2, qualora siano costituite da persone fisiche che non
abbiano compiuto il quarantesimo anno di età all'atto della costituzione della medesima
società, sono esenti da imposta di registro, diritti erariali e tasse di concessione
governativa.
4. Agli oneri derivanti dal presente articolo, pari a 2 milioni di euro annui a decorrere
dall'anno 2015, si provvede mediante riduzione del Fondo per interventi strutturali di
politica economica, di cui all'art. 10, comma 5, del decreto-legge 29 novembre 2004, n.
282, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 dicembre 2004, n. 307. Il Ministro
dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti
variazioni di bilancio.
5. Le disposizioni del presente articolo si applicano a decorrere dal 1° gennaio 2015."
--------Si riporta l'art. 28 del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90 (Misure urgenti per
la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l'efficienza degli
uffici giudiziari), convertito dalla legge 11 agosto 2014, n. 114 (in S.O. n. 70, relativo alla
G.U. 18/8/2014, n. 190).
"Art. 28
Riduzione del diritto annuale delle camere di commercio e
determinazione del criterio di calcolo delle tariffe e dei diritti di segreteria.
1. Nelle more del riordino del sistema delle camere di commercio, industria, artigianato e
agricoltura, l'importo del diritto annuale di cui all'articolo 18 della legge 29 dicembre
1993, n. 580, e successive modificazioni, come determinato per l'anno 2014, è
ridotto, per l'anno 2015, del 35 per cento, per l'anno 2016, del 40 per cento e, a
decorrere dall'anno 2017, del 50 per cento.
2. Le tariffe e i diritti di cui all'articolo 18, comma 1, lettere b), d) ed e), della legge 29
dicembre 1993, n. 580, e successive modificazioni, sono fissati sulla base di costi
standard definiti dal Ministero dello sviluppo economico, sentite la Società per gli studi
di settore (SOSE) Spa e l'Unioncamere, secondo criteri di efficienza da conseguire anche
attraverso l'accorpamento degli enti e degli organismi del sistema camerale e lo
svolgimento delle funzioni in forma associata.
3. Dall'attuazione del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a
carico della finanza pubblica."
PRASSI
CESSIONE DI FABBRICATO DA DEMOLIRE: AGLI EFFETTI FISCALI È AREA
EDIFICABILE O FABBRICATO?
Dopo la Cassazione ancora una risposta ad interrogazione parlamentare
La questione dell’inquadramento sotto l’aspetto fiscale della cessione di fabbricato
(inserito o meno in un piano di recupero) destinato alla demolizione - ossia se la stessa
debba essere considerata cessione di terreno o cessione di fabbricato sia ai fini della
realizzazione delle plusvalenze immobiliari di cui all’art. 67, comma 1, lett. b) d.p.r. n.
917/1986, sia ai fini dell’IVA – è stata ancora una volta oggetto di un’interrogazione
parlamentare alla Commissione Finanze della Camera dei Deputati (interr. 31 luglio 2014,
n. 5-03220).
L’On. Zanetti, Sottosegretario al Ministero dell’Economia e delle Finanze, ha dato
risposta ribadendo l’orientamento dell’Agenzia delle Entrate, secondo cui la cessione di
fabbricati destinati alla demolizione va considerata quale cessione di terreni edificabili, con
la conseguente tassazione della plusvalenza ai fini delle imposte sui redditi, come già
affermato anche in precedenti risposte ad altre interrogazioni parlamentari sul tema (cfr.
n. 5-01881 del 7 ottobre 2009, n. 5-04214 del 16 febbraio 2011, n. 5-04701 del 4 maggio
2011, richiamate in Nastri M.P., Questioni aperte in tema di qualificazione di terreni,
studio n. 24-2012/T).
In particolare, l’Agenzia delle Entrate, nella ris. n. 395/E del 2008, ha ritenuto che la
cessione di un fabbricato, integro ed agibile, posseduto da più di cinque anni, rientrante in
un’area soggetta ad un piano di recupero, dovesse essere considerata come cessione di area
edificabile agli effetti della realizzazione dei redditi diversi di cui all’art. 67 cit., in quantola
circostanza che il fabbricato ricada in un piano di recupero, da cui discende la possibilità di
sviluppare in termini di incremento le cubature esistenti, fa sì che oggetto della
compravendita non possa essere più considerato il fabbricato, oramai privo di effettivo
valore economico, ma l'area su cui lo stesso insiste, venendo la stessa in rilievo per la sua
potenzialità edificatoria. Pertanto, ai fini della tassazione, il periodo di possesso del
bene risulterebbe irrilevante e all'area sarebbe applicabile la normativa sulla rivalutazione
del valore dei terreni.
Agli effetti dell’IVA, invece, l’Agenzia, con la circ. n. 28/E del 21 giugno 2011, ha precisato
che, essendo il regime di tassazione strettamente correlato alla natura oggettiva del bene
ceduto, e quindi allo stato di fatto e di diritto dello stesso all’atto della cessione,
prescindendo dalla destinazione del bene da parte dell’acquirente, alla cessione di un
fabbricato strumentale dismesso e da demolire deve essere applicata la disciplina IVA
relativa alle cessioni di fabbricati (si è espressa sulla questione in esame, in più occasioni,
anche la Corte di Giustizia europea, in alcuni casi concludendo nel senso della
configurabilità della cessione di un’area e non di un fabbricato. Per un’analisi di tale
orientamento comunitario si veda NastriM.P., studio n. 24-2012/T, cit.)
L’orientamento dell’Amministrazione finanziaria in ordine alla problematica in oggetto ha
destato forti perplessità in dottrina (cfr., tra gli altri, Rebecca-Lovato, Cessioni di immobili
da demolire: cessione di area edificabile o di fabbricati?, in Il fisco, 2014, 227 ss.; GavelliTarghini-Lupi, Conferme giurisprudenziali che i fabbricati demoliti dall’acquirente
restano tali ai fini tributari, in Dialoghi trib., 2013, 303 ss.. Si veda, altresì, Nastri M.P.,
studio n. 24-2012/T) ed è stato accolto solo da una parte della giurisprudenza di merito.
Di recente sulla questione è intervenuta la Corte di Cassazione (sent. 9 luglio 2014 n.
15629) la quale, ritenendorilevante ai fini dell'applicabilità dell’art. 67 cit. «la destinazione
edificatoria originariamente conferita, ad area non edificata, in sede di pianificazione
urbanistica e non quella ripristinata, conseguentemente ad intervento, su area già
edificata operato da cedente o cessionario», conclude affermando che «nella specie, per
come è incontestato, l'oggetto dell'atto pubblico, di compravendita, avente un suo
intrinseco valore economico, è una "casa di civile abitazione con annessa corte interna ed
esterna", e, quindi,(riprendendo Cass. n. 4150/2014), un "terreno già edificato" e tale
entità sostanziale non può essere mutata (con conseguente incongruenza di ogni diversa
riqualificazione), in terreno suscettibile di potenzialità edificatoria, sulla base di
presunzioni derivate da elementi soggettivi, interni alla sfera dei contraenti, e,
soprattutto, la cui realizzazione (nel caso in specie attraverso la demolizione del
fabbricato) è futura (rispetto all'atto oggetto di tassazione), eventuale e rimessa alla
potestà di soggetto diverso (l'acquirente) da quello interessato dall'imposizione fiscale».
Pertanto, a fronte dell’incertezza emergente dalle varie posizioni interpretative riscontrate,
nell’interrogazione si chiede «di chiarire definitivamente se, ai fini delle imposte dirette e
indirette, le compravendite di fabbricati destinati alla demolizione possono essere
qualificate come cessioni di aree edificabili o essere considerate senza ambiguità cessioni
di fabbricati e se non intenda attivarsi presso l'Agenzia delle entrate perché l'errata
interpretazione vengacorretta alla luce della giurisprudenza, evitando il proliferare di
inutili contenziosi, perdenti per l'amministrazione stessa e costosi per i contribuenti».
L’On. Zanetti, con riguardo alla tassazione delle plusvalenze, sentiti gli uffici
dell’Amministrazione finanziaria, riferisce considerazioni che confermano l’orientamento
già espresso nella ris. n. 395 cit. e consolidato anche con risposte ad interpelli, ove si è fatto
presente «che il principio sancito con la citata risoluzione n. 395/E del 2008 trova
applicazione anche nel caso in cui il fabbricato oggetto di cessione non rientri nell'ambito
di un piano di recupero purché l'effettivo oggetto della cessione, in assenza di uno
specifico provvedimento amministrativo, possa essere desunto in base a quanto stabilito
dalle parti nel contratto di compravendita».
Ed infatti, nonostante le recenti pronunce della Cassazione, l'Agenzia delle Entrate ritiene
di poter ribadire che «al fine di determinare il corretto inquadramento fiscale di tali
fattispecie, stante l'impossibilità di risolvere la questione in termini generali, è necessario
svolgere un'attenta analisi degli elementi che connotano gli atti di cessione degli
immobili al fine di verificare, stante la libera autonomia delle parti contrattuali, quale
sia in concreto l'oggetto dell'atto di compravendita».
In particolare si ritiene che siano elementi determinanti al fine di qualificare come oggetto
della cessione l’area fabbricabile in luogo del fabbricato:
«la presenza di un permesso di demolizione e ricostruzione già rilasciato o l'esistenza di
un piano urbanistico di recupero o riqualificazione dell'area su cui sorge il fabbricato;
la cessione dell'immobile ad un'impresa di costruzioni che, sulla base di concessione
edilizia già esistente o in corso di ottenimento, demolisca successivamente all'acquisto il
fabbricato e ne costruisca un altro avente caratteristiche diverse da quello preesistente;
il prezzo di cessione del fabbricato qualora fosse superiore al valore venale dello stesso ed
in linea con il prezzo di mercato delle aree edificabili».
La conferma dell’orientamento esposto è motivata dall’Agenzia anche sulla base del fatto
che «la Cassazione avrebbe fatto riferimento a valutazioni operate dagli uffici sulla base
di “elementi presuntivi” mentre nelle fattispecie esaminate dall'amministrazione
finanziaria in sede di risposta ad istanze di interpello sono stati valorizzati elementi certi
come il prezzo della cessione, l'esistenza di procedure amministrative attivate dalle parti
per l'edificazione dell'area o l'attività imprenditoriale svolta dall'acquirente, ove non
compatibili con l'atto di vendita avente formalmente ad oggetto un fabbricato».
In conclusione il Ministero dell’Economia e delle Finanze, tenuto conto delle
argomentazioni sviluppate dall'Agenzia, si riserva di seguire i futuri sviluppi
giurisprudenziali monitorandone attentamente l’andamento.
Infine, anche per quanto riguarda l’imposta sul valore aggiunto, il
Sottosegretario ribadisce la posizione assunta dall’Amministrazione finanziaria nella citata
circ. n. 28/E del 2011, trattandosi di interpretazioni in linea con le pronunce della Corte di
Giustizia europea (la quale nelle cause in cui ha ritenuto trattarsi di una cessione di terreno
ha dato rilievo al fatto che la demolizione fosse stata iniziata, prima della cessione, dal
venditore, che si era assunto contrattualmente l'onere del completamento).
L’Agenzia delle Entrate persiste, dunque, nella sua interpretazione, valorizzando elementi
desumibili dall’atto di cessione che potrebbero condurre ad una diversa configurazione del
relativo oggetto agli effetti delle varie imposte che interessano l’operazione.
Ne emerge, in definitiva, una complessità della questione meritevole di successivi
approfondimenti.
(per il testo completo dell'interrogazione e della relativa risposta, vedasi CNN Notizie del
2 settembre 2014)
--------La Risoluzione dell'Agenzia delle Entrate n. 80/E del 29 agosto 2014 , avente ad
OGGETTO: Interpello (Art. 11, legge 27 luglio 2000, n. 212). Atti costitutivi di diritti reali
o traslativi della proprietà di beni immobili stipulati a titolo oneroso - Trattamento fiscale
ai fini delle imposte indirette; così si esprime.
"Con l'interpello specificato in oggetto, concernente l'interpretazione dell'art. 10,
comma 4, del D.Lgs. n. 23 del 2011, è stato esposto il seguente
QUESITO
Il segretario comunale di … deve rogare alcuni atti in forma pubblico-amministrativa,
con i quali l’Ente reitera precedenti compravendite inficiate da nullità in quanto aventi
ad oggetto terreni gravati da uso civico, come tali inalienabili. Al fine di sanare tali
operazioni, gli ‘apparenti proprietari’ devono procedere ad effettuare la legittimazione
del possesso con il pagamento di una indennità.
In relazione agli atti di legittimazione rogati in data antecedente al 1° gennaio 2014, dal
Segretario Comunale era stata applicata la previsione di esenzione da qualunque
imposta prevista dall’articolo 2 della legge 1° dicembre 1981, n. 692.
In seguito all’entrata in vigore dell’articolo 10, comma 4, del decreto legislativo 14 marzo
2011, n. 23, sorgono dubbi in merito alla vigenza della richiamata disposizione e si
chiede, quindi, di chiarire se la stessa trovi applicazione anche in relazione agli atti di
legittimazione stipulati a partire dal 1° gennaio 2014.
SOLUZIONE INTERPRETATIVA PROSPETTATA DAL CONTRIBUENTE
Il Comune ritiene che la previsione di esenzione, dettata dall’articolo 2 della legge 1°
dicembre 1981, n. 692, sia applicabile anche in relazione agli atti di legittimazione
stipulati a partire dal 1° gennaio 2014.
Una diversa interpretazione comporterebbe la corresponsione di una imposta di registro
di importo più elevato rispetto a quello dell’indennità corrisposta per la legittimazione
del possesso, che in tanti casi ammonta a poche decine di euro.
PARERE DELL'AGENZIA DELLE ENTRATE
L’articolo 2 della legge 1° dicembre 1981, n. 692 stabilisce che le “Sentenze, ordinanze e
decreti di restituzione delle terre a comuni o associazioni agrarie, scioglimenti di
promiscuità tra i detti enti, liquidazione di usi civici, legittimazioni, assegnazioni di terre
e atti dei procedimenti previsti dalla L. 16 giugno 1927, n. 1766, e relativo regolamento di
esecuzione, approvato con R.D. 26 febbraio 1928, n. 332, sono esenti da tasse di bollo e
registro e da altre imposte”.
In merito all’applicazione di tale disposizione, con la risoluzione 20 giugno 2014, n.
64, questa Agenzia ha avuto modo di chiarire che la norma di soppressione delle
agevolazioni, recata dall’articolo 10, comma 4, del D. Lgs. 14 marzo 2011, n. 23, trovava
applicazione anche con riferimento alle operazioni contemplate dall’articolo 2 della legge
n. 692 del 1981, qualora avessero realizzato un trasferimento della proprietà di beni
immobili o la costituzione di un diritto reale sugli stessi, a titolo oneroso, cui
conseguentemente andava applicata l’imposta proporzionale di registro prevista
dall’articolo 1 della Tariffa.
La citata risoluzione ha, altresì, chiarito che la soppressione delle agevolazioni recata dal
citato articolo 10, comma 4, del D.Lgs. n. 23 del 2011 non operava in relazione agli atti di
affrancazione. Gli atti di affrancazione non producono, infatti, il trasferimento della
proprietà delle terre civiche che viene, invece, acquistata per effetto della legittimazione.
Pertanto, anche gli atti di affrancazione stipulati in data successiva al 1° gennaio 2014
continuavano a beneficiare del regime di esenzione previsto dall’articolo 2 della legge n.
692 del 1981. In data successiva alla emanazione della citata risoluzione è, tuttavia,
intervenuta la legge 23 giugno 2014, n. 89, che ha convertito, con modificazioni, il
decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, recante misure urgenti per la competitività e la
giustizia sociale.
In particolare, in sede di conversione del decreto-legge n. 66 del 2014 è stato inserito
all’articolo 5, dopo il comma 1, il comma 1-bis, con il quale è stato modificato l’articolo 10,
comma 4, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23. Per effetto delle modifiche
introdotte, il citato articolo 10, comma 4, stabilisce ora che “In relazione agli atti di cui ai
commi 1 e 2 sono soppresse tutte le esenzioni e le agevolazioni tributarie, anche se
previste in leggi speciali ad eccezione ……………… delle disposizioni di cui all'articolo 2
della legge 1° dicembre 1981, n. 692, e all'articolo 40 della legge 16 giugno 1927, n. 1766”.
E’ stata, dunque, espressamente fatta salva l’applicabilità delle agevolazioni previste
dall’articolo 2 della legge 1° dicembre 1981, n. 692 e dall’articolo 40 della legge 16 giugno
1927, n. 1766.
Pertanto, a partire dal 24 giugno 2014, data di entrata in vigore della legge 23 giugno
2014, n. 89, il regime di esenzione previsto dalle richiamate disposizioni trova
applicazione anche con riferimento agli atti costitutivi di diritti reali o traslativi della
proprietà di beni immobili stipulati a titolo oneroso.
Gli atti di legittimazione che il Comune istante intende rogare in data successiva al 24
giugno 2014 potranno, quindi, beneficiare, ricorrendone i presupposti, del regime di
esenzione previsto dall’articolo 2 della legge n. 692 del 1981.
***
Le Direzioni regionali vigileranno affinché i principi enunciati e le istruzioni fornite con
la presente risoluzione vengano puntualmente osservati dalle Direzioni provinciali e
dagli Uffici dipendenti."
GIURISPRUDENZA
FONDO PATRIMONIALE - Revocatoria
Cassazione, ordinanza 18 luglio 2014, n. 16498, sez. VI - 2 civile
Per la revocatoria del fondo patrimoniale ad integrare l’animus nocendi previsto dalla
norma è sufficiente che il debitore compia l’atto dispositivo nella previsione dell’insorgenza
del debito e del pregiudizio (da intendersi anche quale mero pericolo dell’insufficienza del
patrimonio a garantire il credito del revocante ovvero la maggiore difficoltà od incertezza
nell’esazione coattiva del credito medesimo) per il creditore.
(Con riferimento al caso di specie, non assume rilevanza la circostanza che il fondo
patrimoniale sia stato costituito per soddisfare le esigenze della famiglia perché con
l’azione revocatoria non si disconosce la validità del fondo patrimoniale e la sua causa - il
soddisfacimento dei bisogni della famiglia -, ma se ricorre l’elemento della consapevolezza
del pregiudizio alle ragioni del creditore, la tutela delle ragioni di quest’ultimo - realizzata
riattribuendo al patrimonio separato la sua funzione di garanzia generica del credito -,
diventa prevalente nei limiti di quanto serva per il suo soddisfacimento).
ATTI DI DESTINAZIONE – Vincolo di destinazione
Tribunale di Reggio Emilia, sentenza 12 maggio 2014
Il vincolo di cui all’art. 2645 ter c.c., norma da interpretare restrittivamente per non
svuotare di significato il principio della responsabilità patrimoniale del debitore ex art.
2740 c.c., non può essere unilateralmente autodestinato su di un bene già in proprietà con
un negozio destinatorio puro, ma può unicamente collegarsi ad altra fattispecie negoziale
tipica od atipica dotata di autonoma causa. In ogni caso, anche ipotizzando l’ammissibilità
di un negozio destinatorio puro, gli interessi meritevoli di tutela che legittimano il vincolo
devono essere esplicitatinell’atto di costituzione, devono essere valutati in modo stringente
e devono essere prevalenti rispetto agli interessi sacrificati dei creditori del disponente
estranei al vincolo.
STUDI DEL NOTARIATO
Su CNN Notizie dell' 1 agosto 2014 è stata pubblicata la risposta al Quesito Civilistico n.
54-2014/C, intitolato QUESTIONE SULLA POSSIBILITÀ DI INTERROMPERE
PER BREVI PERIODI IL TIROCINIO OBBLIGATORIO EX ART. 5 N. 6-BIS L.N.
Se ne riporta il testo.
"Si chiede se il tirocinio obbligatorio previsto dall’art. 5 n. 6-bis L.N. possa essere interrotto
per brevi periodi al fine di frequentare la Scuola di Specializzazione della Magistratura
(precisamente dal 10 febbraio 2014 al 21 febbraio 2014 e dal 25 marzo 2014 al 4 aprile
2014, secondo i periodi già stabiliti dal Consiglio Superiore della Magistratura).
Conseguentemente a tale interruzione, il tirocinio obbligatorio sarebbe completato nel
termine di 150 giorni dal superamento delle prove orali.
In caso di risposta affermativa si chiede, altresì, di indicare le formalità che il suddetto
candidato dovrà compiere, di volta in volta, a seguito delle previste interruzioni, per
ottenere alla conclusione del periodo di tirocinio un valido certificato da esibire al
Ministero.
***
Nell’assenza di una regolamentazione analitica del tirocinio obbligatorio per la nomina a
notaio, sembra opportuno, previa ricognizione dello scopo del medesimo tirocinio,
verificare la possibilità di applicare per analogia le ipotesi normative che riguardano
l’interruzione della pratica notarile (art.6 del D.P.R. n. 137/2012 sull’interruzione dei
tirocini professionali; art 8, comma secondo, r. d. 10 settembre 1914, n. 1326
sull’interruzione della pratica notarile).
a) Il tirocinio obbligatorio per la nomina a notaio
L’art. 5 n. 6-bis, riformato della legge notarile, stabilisce che, al fine di ottenere la
nomina a notaio, è necessario, fra l’altro, “avere espletato per almeno centoventi giorni,
dopo l’avvenuto superamento della prova orale, un periodo di tirocinio obbligatorio presso
uno o più notai, che devono certificarne la durata”. Il tirocinio obbligatorio va svolto prima
della nomina a notaio; infatti il suo svolgimento (120 giorni a partire dal superamento
della prova orale) è una delle condizioni necessarie per ottenere la nomina a notaio.
Come evidenziato nella relazione al decreto legislativo allo stato di progetto, il tirocinio
obbligatorio è finalizzato a “mettere in condizione il concorrente che abbia superato la
prova orale del concorso di compiere una pratica effettiva e più consapevole accanto ad un
notaio già in servizio”.
La dottrina definisce tale tirocinio come una sorta di pratica notarile rinforzata, più
consapevole e partecipata, dovuta al fatto che l’aspirante notaio si trova nella fase che corre
dal superamento delle prove di concorso alla nomina in una determinata sede (1). Lo scopo
è “costringere il futuro notaio a trascorrere operativamente una parte di questo tempo di
attesa, inducendolo alla frequenza di uno studio notarile, allo scopo di coinvolgerlo in
modo effettivo nel completo svolgimento delle attività che contrassegnano uno studio
notarile. In effetti la previsione di un tirocinio successivo al superamento degli esami
denota, da una parte, una sorta di sfiducia nello strumento ordinario della pratica notarile
come strumento di iniziazione al compito di notaio; da un’altra parte il convincimento che i
giovani che accedono al notariato abbiano una scarsa preparazione pratica e una forte
preparazione teorica, che si vuole appunto compensare con un tirocinio di concreto
svolgimento dell’attività notarile a concorso superato” (2).
b) L’interruzione della pratica notarile e l’inapplicabilità al tirocinio
obbligatorio per la nomina a notaio degli artt. 8 reg. not. e 6, comma 7, D.P.R.
n. 137 del 7 agosto 2012
L’art. 8, comma secondo, r. d. 10 settembre 1914, n. 1326 (recante approvazione del
regolamento per l'esecuzione della l. 16 febbraio 1913, n. 89, riguardante l'ordinamento del
notariato e degli archivi notarili), consente al praticante che abbia cessato di frequentare lo
studio notarile per due mesi, ma che intenda proseguire la pratica, di far constare al
Consiglio Notarile i motivi dell’interruzione; il periodo di pratica effettuato prima
dell’interruzione può essere utilmente conteggiato ai fini della durata della pratica sulla
base della valutazione del Consiglio notarile che riconosca non imputabili al praticante i
motivi dell’interruzione dal medesimo dedotti. Non ogni soluzione di continuità comporta
interruzione, ma solo quella che si protrae per oltre due mesi; pertanto, il periodo di
tirocinio effettuato prima dell’interruzione può essere utilmente conteggiato ai fini della
durata della pratica sulla base della valutazione del Consiglio notarile che riconosca non
imputabili al praticante i motivi dell’interruzione dal medesimo dedotti (3).
Sempre sull’interruzione della pratica notarile, si rileva che, in ordine alle misure volte a
garantire l’effettivo svolgimento dell’attività formativa durante la pratica, l’art. 6,
comma 7 del D.P.R. n. 137 del 7 agosto 2012 (il quale reca il regolamento di attuazione dei
principi dettati dall’articolo 3, comma 5, del Decreto Legge n. 138 del 2011 in materia di
professioni regolamentate, pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 189 del 14 agosto 2012),
dispone - indicando con tirocinio la pratica per l’accesso svolta prima delle prove di
abilitazione di concorso - che: «l'interruzione del tirocinio per oltre tre mesi, senza
giustificato motivo, comporta l'inefficacia, ai fini dell'accesso, di quello previamente
svolto. Quando ricorre un giustificato motivo, l'interruzione del tirocinio può
avere una durata massima di nove mesi, fermo l'effettivo completamento
dell'intero periodo previsto».
Nonostante le diverse analogie riscontrate tra pratica notarile e tirocinio obbligatorio, non
possono applicarsi nel caso di specie né l’art. 8 del Reg. Not. sull’interruzione della pratica
notarile, né l’art. 6, comma 7 del D.P.R. n. 137 del 7 agosto 2012. Le predette ipotesi
normative, infatti, si occupano del tirocinio necessario per l’accesso al Concorso, mentre
l’oggetto della fattispecie esaminanda è il tirocinio che si espleta dopo il superamento del
Concorso notarile.
c) Motivi a sostegno dell’interruzione del tirocinio obbligatorio per la nomina
a notaio
Rilevata l’assenza di qualsivoglia riferimento normativo pertinente si ritiene possibile
consentire l’interruzione del tirocinio obbligatorio sulla base di un duplice ordine di
motivi:
1) l’art. 5 n. 6-bis stabilisce che, al fine di ottenere la nomina a notaio, è necessario, “avere
espletato per almeno centoventi giorni, dopo l’avvenuto superamento della prova orale, un
periodo di tirocinio obbligatorio”. Evidentemente, questa norma non pone un termine
entro cui terminare il tirocinio; si può dunque sostenere che requisito imprescindibile della
nomina è che vengano svolti almeno 120 giorni di tirocinio, sebbene in un periodo di
tempo maggiore (come nel caso in esame, ove i 120 giorni vengono svolti in 150), tenendo
conto, ovviamente, dello scopo del tirocinio e della ragionevolezza della durata di eventuali
interruzioni;
2) la valutazione da compiere deve ancorarsi, dunque, allo scopo del tirocinio obbligatorio
ed alla possibilità che venga frustrato con uno svolgimento discontinuo: si tratta di operare
una valutazione concreta dell’interruzione nell’ottica di uno svolgimento proficuo del
tirocinio. Nel caso di specie, dall’estrema brevità del periodo di interruzione discende la
sua irrilevanza ai fini dello svolgimento proficuo del tirocinio obbligatorio.
d) Formalità per lo svolgimento del tirocinio: analogie con la pratica notarile
Per lo svolgimento del tirocinio è previsto analogo meccanismo previsto per lo svolgimento
della pratica: scelta del notaio da parte del soggetto interessato, con l’aiuto dell’indicazione
eventuale (su richiesta) del presidente distrettuale. Poiché lo svolgimento del tirocinio è
una premessa necessaria per la nomina, il Ministero di giustizia richiederà
presumibilmente adeguata documentazione al consiglio notarile del distretto nel quale il
tirocinio si sia svolto. A meno che non sia sufficiente un’autodichiarazione dell’aspirante,
se del caso avallata dal consiglio notarile. Anche in ordine al tirocinio obbligatorio sono
stati posti alcuni quesiti. Come sottolineato dallo studio approvato dal Consiglio Nazionale
del Notariato n. 296-2006/C, Riflessioni e considerazioni in ordine al decreto legislativo
24 aprile 2006, n. 166, a firma del Dott. G. Casu, i meccanismi di certificazione
dell’avvenuto tirocinio sembrano disegnati dal legislatore con analogia rispetto al
meccanismo della pratica: documentazione del notaio, registrazione presso il consiglio
notarile. In particolare, il predetto Studio del CNN, in risposta a taluni quesiti emersi in
relazione al tirocinio obbligatorio, ha ritenuto che:
1. il consiglio notarile deve registrare e probabilmente deve consegnare al soggetto
interessato un documento riassuntivo che certifichi l’intero periodo di tirocinio accertato,
allo scopo di farlo consegnare al Ministero di giustizia, per consentire a quest’ultimo di
corredare la pratica ai fini dell’emanazione del provvedimento di nomina;
2. il vincitore del concorso deve produrre al Consiglio, allo scopo di ottenere la
registrazione del periodo di tirocinio obbligatorio, il certificato del notaio ove viene
esercitato il tirocinio, in originale o in copia;
3. la certificazione del notaio potrebbe essere unitaria per l’intero periodo di tirocinio e il
consiglio notarile ne può prendere atto provvedendo alla registrazione e, ultimati i 120
giorni di tirocinio, rilasciare un certificato di compiuto tirocinio analogo al certificato di
compiuta pratica, che il candidato può trasmettere al Ministero a corredo della propria
documentazione per ottenere il provvedimento ministeriale di nomina a notaio.
Conclusioni
Per i motivi supra evidenziati, si ritiene possibile consentire, nel caso di specie,
l’interruzione del tirocinio obbligatorio e, quanto alle modalitàtramite le quali dar conto
delle predette interruzioni al Ministero, sembra corretto che il consiglio notarile - previa
consegna al medesimo del certificato del notaio (il quale può anche essere unitario per
l’intero periodo di tirocinio) ove viene esercitato il tirocinio - registri e consegni, ultimati i
120 giorni, al soggetto interessato un documento riassuntivo che certifichi l’intero periodo
di tirocinio accertato, menzionando le predette interruzioni, di modo che il candidato
notaio possa consegnarlo al Ministero di Giustizia per ottenere il provvedimento
ministeriale di nomina.
___________________________
1) Casu - Sicchiero, La legge notarile commentata, Torino, 2010, p. 83.
2) Casu, La legge notarile commentata, cit., p. 83; Studio n. 296-2006/C, Riflessioni e
considerazioni in ordine al decreto legislativo 24 aprile 2006, n. 166, est. Casu; Casu,
Risposta aQuesito n. 177-2011/C.
3) L’Ufficio Studi del Consiglio Nazionale del Notariato, esaminando i quesiti pervenuti in
tema di interruzione della pratica notarile, ha svolto valutazioni diverse ancorate alla
particolarità dei casi concreti. A fronte di una interruzione causata dalla frequenza di
un master di specializzazione in studi giuridici negli stati Uniti, ad esempio, si è ritenuto
che il Consiglio notarile non può accogliere l’istanza di prosecuzione della pratica, in
quanto la frequenza del master è frutto di una scelta personale circa la propria attività
professionale e non integra una ipotesi di forza maggiore, risultando, al contrario,
imputabile all’aspirante (Quesito n. 5974/C). In tempi risalenti, il Consiglio Nazionale del
Notariato, con nota n. 674 del 1971, ha invece ritenuto che il recarsi all'estero con una
borsa di studio sospende e non interrompe definitivamente la pratica già iniziata,
ritenendo questa fattispecie riconducibile alle cause non imputabili al praticante ai sensi
dell’art. 8, comma 2, del regolamento notarile. Ma tale impostazione viene criticata,
sottolineandosi che la citata norma, in sostanza, presuppone quale giustificato motivo per
la sospensione della pratica un evento riconosciuto dal Consiglio notarile (secondo una
propria valutazione) come non imputabile al praticante, e si fa l’esempio del servizio di
leva, (cui è stato anche dedicato un apposito studio di Casu, Pratica notarile e servizio
militare di leva, in Consiglio Nazionale del Notariato, Studi su argomenti di interesse
notarile, IX, Roma, 1973, 116), rispetto al quale l’interessato non poteva sottrarvisi, salvo a
rischiare l’imputazione per renitenza, non poteva quindi operare alcuna scelta
discrezionale; mentre nel caso di frequenza ad un corso all’estero, l’incompatibilità
dipende da una scelta volontaria, nulla vietando all’interessato di optare per la pratica,
rinunciando al corso all’estero (Quesito n. 543-2006/C)."
--------Su CNN Notizie del 5 agosto scorso è stata data la seguente risposta al
Quesito tributario n. 750-2013/T, in tema di "COMPENSAZIONE E RIMBORSO
DI IMPOSTA PRINCIPALE ‘POSTUMA’ VERSATA IN ECCESSO", che
integralmente si riporta.
"La fattispecie.
Un notaio stipula un contratto preliminare di compravendita di un fabbricato con
terreno ed assolve correttamente al versamento dell’imposte di registro in misura
proporzionale con aliquota dello 0,50% sulla caparra versata nonché in misura fissa.
Sennonché l’Agenzia delle Entrate, equivocando le espressioni con cui chiaramente si
qualificava nel contratto la somma versata quale caparra confirmatoria, richiede al notaio,
a titolo di imposta principale postuma, un ulteriore importo a titolo di imposta di registro
proporzionale con aliquota del 3% (detratto l’importo già autoliquidato e versato dal
rogante), in quanto, erroneamente, riqualifica il versamento fatto a titolo di accontoprezzo.
Il notaio, a fronte dell’esito negativo dell’istanza di autotutela, compulsato al pagamento,
non vi si sottrae e paga con proprie disponibilità finanziarie; e ciò sia per evitare
l’applicazione di sanzioni per il caso di omesso versamento sia per escludere un immediato
coinvolgimento del promissario acquirente, suo cliente e vivente all’estero, confidando di
poter recuperare quanto versato in eccesso in ‘compensazione’ con imposte dovute per atti
di data posteriore.
Ma la procedura di compensazione non va a buon fine: l’Agenzia infatti annulla tutte le
procedure compensative esperite dal notaio con la motivazione che la compensazione era
esperibile solo per le somme versate in eccesso ‘autoliquidate’ e non per quelle richieste
(sia pure erroneamente) dall’Agenzia a titolo di imposta principale postuma; consiglia al
notaio di far presentare regolare istanza di rimborso al contribuente, a suo favore.
Il quesito
Si chiede se effettivamente la compensazione sia consentita al notaio rogante solo per le
somme versate in eccesso ‘autoliquidate’ e non per quelle richieste a titolo d’imposta
principale ‘postuma’; e se l’istanza di rimborso, quale unica alternativa possibile, sia da
inoltrarsi da parte del contribuente per ottenere il recupero di quanto erroneamente
versato in più e solo a suo favore.
La risposta
Il referente normativo della materia di cui qui si discute è quello rinvenibile nell’art. 3-ter
del D.Lgs. 18 dicembre 1997 n.463, a tenore del quale “Gli uffici controllano la regolarità
dell'autoliquidazione e del versamento delle imposte e qualora, sulla base degli elementi
desumibili dall'atto, risulti dovuta una maggiore imposta, notificano, anche per via
telematica, entro il termine di sessanta giorni dalla presentazione del modello unico
informatico, apposito avviso di liquidazione per l'integrazione dell'imposta versata. …Per i
notai è ammessa la compensazione di tutte le somme versate in eccesso in sede di
autoliquidazione con le imposte dovute per atti di data posteriore, con conseguente
esclusione della possibilità di richiedere il rimborso all'Amministrazione finanziaria”.
Senza ombra di dubbio pertanto la compensazione appare esperibile solo in riferimento
alle somme versate in eccesso in sede di ‘autoliquidazione’ e non certamente per quelle –
sia pure erroneamente liquidate dall’Agenzia – a titolo di imposta principale ‘postuma’. Il
fatto che sia le prime quanto le seconde siano imputate all’assolvimento della medesima
imposta (principale), non elimina i tratti differenziali tra le medesime intercorrenti, per
essere appunto le prime versate dal notaio rogante motu proprio, (rispondendo alle
previsioni e al convincimento logico-giuridico che presidiano al procedimento di
autoliquidazione affidato solo al notaio rogante) e le seconde determinate ed eteroliquidate dall’Agenzia delle Entrate ad ‘integrazione’ delle imposte già versate, anche in
attuazione di quanto dispone l’art. 42 (1) del TUR.
Né costituisce una discriminante il fatto che la richiesta di integrazione delle imposte già
versate da parte dell’Agenzia sia palesemente erronea, in quanto il sistema in sé è
conclusivamente disegnato e definito da quanto dispone l’ultimo periodo dell’art. 3-ter
innanzi riportato.
Altro è il discorso circa la legittimazione alla presentazione dell’istanza di rimborso.
Più volte la Commissione studi tributari del CNN, in ricorrenti studi e contributi (2), ha
sostenuto che l’interpretazione dell’art. 77 del TUR, primo comma, ove si fonda nel solo
‘contribuente’ o nel ‘soggetto nei cui confronti la sanzione è stata applicata’ la
legittimazione alla presentazione dell’istanza di rimborso (con apparente esclusione del
notaio rogante), deve essere costituzionalmente orientata. Sicché con riguardo al
fondamentale diritto di difesa dei propri diritti ex art. 24 Cost. non pare revocabile in
dubbio la legittimazione del notaio a presentareistanza di rimborso dell’imposta principale
(quella per il cui pagamento è solidalmente responsabile con l’obbligato ‘principale’, parte
dell’atto sottoposto alla registrazione), soprattutto se ad effettuare il versamento
dell’imposta sia stato il rogante stesso.
Qui senza avventurarsi nella disanima delle articolate definizioni teoriche circa il ruolo del
notaio solidalmente responsabile (cioè se il notaio sia un vero e proprio ‘responsabile
d’imposta’ (3) - e come tale ex art. 64 DPR n. 600/73 sia obbligato al pagamento
dell’imposta ‘insieme con altri’, per fatti o situazioni esclusivamente riferibili a questi e
legittimato ad agire in rivalsa - o sia una sorta di ‘sostituto’ del debitore principale (4) o
ancora assuma un ruolo ‘anomalo’ a metà strada tra sostituzione e responsabilità
d’imposta, (5) o addirittura sia responsabile per fatto proprio connesso all’ufficio esercitato,
ravvisabile nell’adempimento dell’obbligo ex lege di provvedere alla registrazione dell’atto
rogato o autenticato (6) o infine sia un adiectus solutionis causa ex lege (7)), pare evidente
che il notaio, stante il disposto dell’art. 57 del TUR (8), sia titolare di un vincolo obbligatorio
distinto ed autonomo (finalizzato a costituire una sorta di garanzia ‘qualificata’ per le
ragioni dell’Erario) rispetto all’obbligazione principale incardinata in capo al contribuente,
il solo in grado di esporre una effettiva capacità contributiva meritevole di essere
fiscalmente incisa.
Qui si è ben consapevoli, nel contempo, che la giurisprudenza di legittimità ha escluso, in
vari arresti (9), la legittimazione del notaio alla proposizione dell’istanza di rimborso,
considerandone la estraneità rispetto al rapporto tributario intercorrente tra obbligato
principale e Fisco, ma è altrettanto vero che la medesima Suprema Corte, in altra
sentenza (10), ha riconosciuto la legittimazione del notaio rogante a contestare la pretesa
tributaria laddove sia il destinatario dell’atto procedimentale diretto a dare seguito e
pratica attuazione alla pretesa stessa. Ivi la Corteinfatti ha statuito il principio per cui la
legittimazione del notaio “deriva incontestabilmente dalla circostanza stessa che la pretesa
del Fisco sia azionata nei suoi confronti… per cui è ovvio che il medesimo abbia interesse
diretto e conseguentemente sia legittimato a contestare tale pretesa”.
Ora, se è vero che la legittimazione del notaio deve essere riconosciuta laddove sia
destinatario della richiesta di adempimento della pretesa tributaria (e ciò per un
fondamentale principio di giustizia e legalità obiettiva), non se ne dovrebbe escludere
coerentemente la legittimazione ad inoltrare l’istanza di rimborso dell’imposta (principale)
al medesimo richiesta e dal medesimo versata in eccesso, soprattutto se il procedimento
impositivo (come è attualmente articolato, e cioè in via solo telematica) non consente
l’ingerenza dell’obbligato principale (il contribuente) nella fase di assolvimento
dell’imposta e si incardina su di un rapporto intercorrente tra il solo notaio (quale solvens)
ed il Fisco, segnato da evidenti connotazioni di esclusività (rispetto al rapporto tributario
tra contribuente e Fisco) (11). Già in altro studio della Commissione studi tributari si
rilevava opportunamente come “appare in linea generale logico e lineare ritenere che il
soggetto più di ogni altro legittimato al rimborso non può che essere quello che ha
provveduto al pagamento, a prescindere dall’effettivo esercizio di ogni successivo potere di
rivalsa sui soggetti passivi artefici del presupposto del tributo” (12).
Del resto è stata l’A.F. stessa, in tempi non sospetti, prima con circolare n. 58/250721 del
15 dicembre 1989 e poi con la risoluzione confermativa ed esplicativa n. 260579 del 20
dicembre 1990 (13) a ritenere possibile la restituzione dell’imposta percetta in eccesso
direttamente al notaio (quale soggetto che l’aveva versata), anche in considerazione del
vincolo di solidarietà passiva afferente l’obbligazione tributaria ed intercorrente tra
l’obbligato principale (contribuente) e l’obbligato ‘dipendente’ (notaio) e qualificando
l’istanza di rimborso “quale domanda di adempimento di un obbligo ed insieme strumento
di messa in mora dell'Ufficio debitore ex art. 1219 del codice civile”.
E’ peraltro evidente che – stante il disposto dell’ultimo inciso dell’art. 3-ter citato – la
richiesta di rimborso non potrà essere avanzata per le imposte ‘autoliquidate’ (a fronte
delle quali pare legittima e consentita la sola compensazione come innanzi si è chiarito),
ma, sia pure tenendo in debito conto quanto rilevato circa la posizione della
giurisprudenza di legittimità, per le sole imposte principali ‘postume’ non dovute e versate
in esubero, in esecuzione di quanto richiesto erroneamente ‘ad integrazione’ dall’Agenzia.
_______________________
1)
Per il quale “E' principale l'imposta applicata al momento della registrazione e quella
richiesta dall'ufficio se diretta a correggere errori od omissioni effettuati in sede di autoliquidazione
nei casi di presentazione della richiesta di registrazione per via telematica;
2)
Cfr. PURI, La legittimazione del notaio responsabile d'imposta al rimborso dell'imposta
erroneamente pagata in Studio CNN n.773 bis approvato dalla Commissione Studi Tributari il 16
luglio 1999 in CNN Strumenti, voce 0910, scheda 33; MASTROIACOVO, La legittimazione del
notaio ad agire per il rimborso dell'imposta di registro erroneamente pagata, Studio CNN n. 182003/T approvato dalla Commissione Studi Tributari il 19 dicembre 2003 in Studi e
Materiali n.2/2004, pag. 885 ss.; BASILAVECCHIA, Sulla legittimazione del notaio nel processo
tributario, Studio CNN n. 105-2006/T approvato dalla Commissione Studi Tributari il 17
novembre 2006 in Studi e Materiali n.2/2007, pag. 1069 ss; MASTROIACOVO, Ancora sulla
legittimazione all’azione di rimborso, Studio n. 152-2007/T approvato dalla Commissione Studi
Tributari il 12 ottobre 2007, inStudi e Materiali n.2/2007, pag. 1160 ss; cfr. altresì in
dottrina LUCARIELLO, in Nota a Comm.Trib.Lazio sez .XXXIX 16 luglio 1998 n.135 e Comm.Trib.
Lazio sez.XXIII 20 novembre 1997 n.383, La legittimazione del notaio a chiedere il rimborso
dell'imposta di registro, in Riv.Notar. 1999, fasc.4, parte 2. pagg. 1006-1011; BURELLI, L'asserito
difetto di legittimazione all'azione di rimborso del coobbligato solidale dipendente, Spunti per
una rivalutazione della questione, in Fisconline;
3)
Propendono per la qualificazione del notaio come responsabile d’imposta, LUPI, Diritto
tributario,
Parte
generale,
Milano,
2005,
pag.
265;
COPPA, Responsabile
d’imposta,in Dig.disc.priv., sez.comm., Torino, 1996, vol.XII pag. 385; TESAURO, Istituzioni di
diritto pubblico, Torino, 2000, pag.110; FALSITTA, Manuale di diritto tributario, Padova 2003,
pag.272; RUSSO, Manuale di diritto tributario, Parte generale, Milano 2002, pag.174;
4)
Così come ritiene BAFILE, voce Responsabile d’imposta, Appendice Noviss.Dig., vol.VI,
Torino, 1986, pag. 635, argomentando dalla circostanza per cui, disponendo dell’atto pubblico esso
solo notaio rogante e non anche le parti, non vi sarebbe responsabilità in via sussidiaria ma vera e
propria sostituzione;
5)
Come pare ritenere POTITO, Soggetto passivo d’imposta, in Enc.dir., 1990, vol.XLII, pag.
1231;
6)
PARLATO, Il responsabile ed il sostituto d’imposta, in “Trattato di diritto tributario”
diretto da Amatucci, vol.II – Il rapporto giuridico tributario, Padova 1994, pagg.415 e ss.; nonché
Idem, voce Responsabilità d'imposta, in Enc..Giur.Treccani, vol. XXVII, Roma 1991, pag.5;
7)
Come ha ritenuto la Commissione Tributaria Provinciale di Campobasso nella sentenza n.
74 del 3 marzo 2011 (ud 1 marzo 2011) in Fisconline, che ha affermato altresì l’importante
principio per cui “il versamento effettuato dal contraente nelle mani del notaio della somma
occorrente per il pagamento del tributo (somma determinata dal notaio) ha efficacia liberatoria per
il contribuente che non può pertanto essere costretto ad un nuovo pagamento”;
8)
Per effetto del quale, come è noto, i pubblici ufficiali che hanno redatto, ricevuto o
autenticato l’atto (oltre tutti gli altri soggetti indicati nell’art. 57) sono solidalmente obbligati al
pagamento dell’imposta con le ‘parti’ contraenti e con le parti ‘in causa’;
9)
Cfr. sent. in data 9 marzo 2005 ,dep. il 6 maggio 2005 n.9440, in data 18 giugno 2002, dep.
il 21 novembre 2002 n.16390, e in data 31 maggio 2004, dep. il 23 settembre 2004 n.19172, tutte
in Fisconline
10) N. 4954 dell'8 marzo 2006 (ud. del 2 febbraio 2006) in Fisconline
11) E’ interessante notare come autorevole dottrina (TABET, Spunti critici sulla figura del notaio
nel sistema di registrazione telematica, in Rassegna Tributaria, n. 1/2013, 111) ritenga che per
effetto della nuova procedura di registrazione in forma telematica si dovrebbe argomentare (con
riguardo al notaio) per il “definitivo superamento della ricostruzione della sua figura in termini di
garante delle aspettative patrimoniali dell’erario e considerare invece la tesi della autonoma
soggezione all’imposta principale, quale obbligo strumentale correlato con il suo obbligo
istituzionale di richiedere ed ottenere la registrazione”.
12) Così BASILAVECCHIA, Sulla legittimazione del notaio nel processo tributario, op. cit,
pag. 1072;
13) Entrambe in Fisconline."
--------Su CNN Notizie del 29 agosto 2014 è stata pubblicata la risposta al Quesito Civilistico n.
781-2013/C intitolato QUESTIONI IN TEMA DI CESSIONE DEL CONTRATTO
PRELIMINARE E CONSERVAZIONE DEGLI EFFETTI PRENOTATIVI DI CUI
ALL’ART. 2645– BIS COD. CIV., che integralmente si riporta.
"Prospettata la seguente fattispecie:
- In data 3 febbraio 2012 è stato trascritto un preliminare - con il quale il promittente
venditore si obbliga a vendere al promittente acquirente quattro unità immobiliari stipulato per sé o per persona da nominare, malgrado la nota di trascrizione del
preliminare non riporti la riserva di nomina.
- In data 8 febbraio 2012 è stata trascritta contro il promittente venditore una domanda
giudiziale di accertamento di diritti reali ad oggetto gli stessi immobili di cui al
preliminare;
- Il promittente venditore, d’accordo con il promittente acquirente, intende vendere subito
ad un terzo due delle unità immobiliari di cui sopra, per un prezzo diverso rispetto a quello
originariamente convenuto con Tizio;
si chiede:
1. se la cessione del contratto preliminare di vendita conservi a beneficio del cessionario
gli effetti prenotativi di cui all’art. 2645– bis cod. civ., in particolare rispetto alla domanda
giudiziale di accertamento di diritti reali trascritta dopo la trascrizione del preliminare e
relativa agli stessi immobili;
2. quale sia la corretta formalità da eseguire al competente registro immobiliare in ordine
alla cessione del preliminare (se annotazione o trascrizione);
3. se l’assenza di corrispettivo monetario nella cessione del preliminare possa recare
problemi in relazione all’opponibilità della trascrizione del preliminare nei confronti dei
terzi;
4. se eventuali modifiche del prezzo del contratto definitivo di vendita concluso rispetto
al prezzo divisato nel preliminare possano recare problemi di sorta in relazione
all’opponibilità della trascrizione del preliminare.
***
Le questioni prospettate sono particolarmente discusse in dottrina e giurisprudenza e,
pertanto, si ritiene opportuno, dopo aver brevemente delineato il quadro normativo di
riferimento, fotografare gli orientamenti emersi nel dibattito, e suggerire la preferibile
interpretazione nonché soluzione delle problematiche poste.
È noto che la trascrizione del preliminare travolge tutte le trascrizioni o iscrizioni
successive a carico del promittente alienante, purché il preliminare sfoci nel definitivo,
determinandosi per tale via una retrodatazione di opponibilità dell’effetto reale scaturente
dal definitivo, a far data dalla trascrizione del preliminare.
Al fine di impedire abusi a danno di terzi, l'efficacia prenotativa connessa alla trascrizione
del preliminare richiede che via sia corrispondenza - sul piano soggettivo ed oggettivo - tra
il titolo posto a base della formalità di prenotazione e quello posto a base della formalità
prenotata.
Nondimeno, può verificarsi che nella fase di passaggio dal preliminare al definitivo si
verifichino variazioni sul piano soggettivo le quali devono necessariamente saldarsi con il
contratto originario onde perpetuarne gli effetti.
L’orientamento dottrinale maggioritario predica la necessità di assoggettare i mutamenti
di cui si discorre alla pubblicità immobiliare con apposita trascrizione (1).
Prima ancora di esaminare i profili di pubblicità ed opponibilità delle predette variazioni di
soggetti, però, occorre fare i conti con la delicata questione della riserva di nomina.
Nella prassi contrattuale ricorre frequentemente, in sede di stipula del contratto
preliminare, l’utilizzo della tradizionale clausola della promessa “ per sé o per persona da
nominare”.
Ad avviso del più recente orientamento della Corte di legittimità la predetta clausola può
configurare una cessione del contratto, un contratto per persona da nominare (sia in
ordine allo stesso preliminare che al contratto definitivo), ovvero, infine, un contratto
preliminare a favore di terzo (2).
Ciò considerato, è necessario misurare la fattispecie esaminanda con la realtà normativa,
nonché con gli schemi utilizzati nella prassi contrattuale (3).
In particolare, ai sensi dell’art. 1401 e 1402 cod. civ., requisiti essenziali della riserva di
nomina sono la contestualità rispetto al contratto cui essa attiene e la previsione di un
termine entro il quale la dichiarazione deve essere effettuata e comunicata.
Ad avviso della prevalente dottrina, la trascrizione del contratto per persona da nominare
esplica piena efficaciaprenotativa a vantaggio del designato, a condizione che contenga la
menzione della riserva di nomina e che l’electio sia intervenuta entro il termine prescritto
per l’esecuzione della trascrizione prenotata. L’omessa menzione della riserva nella
trascrizione del preliminare non pregiudica, però, l’efficacia prenotativa se la dichiarazione
di nomina sia stata trascritta entro il termine prescritto per l’esecuzione della trascrizione
prenotata (4).
A dire il vero, nella fattispecie esaminanda emerge la natura più stilistica che
contenutistica della clausola di riserva: le parti non si sono premurate di indicare un
termine entro il quale effettuare la dichiarazione di nomina né hanno proceduto alla
trascrizione della riserva stessa. Beninteso, la legge non prescrive la trascrizione della
riserva di nomina di talché, con riferimento al caso di specie, potrebbe sostenersi che
l’omessa pubblicità non osta ai fini della conservazione degli effetti prenotativi di cui
all’art. 2645 bis.
Ma, ad un attento esame della fattispecie de qua, sembra ravvisabile l’ipotesi di cui all’art.
1406 cod. civ.
Si ammette ormai pacificamente che il promittente – compratore possa sostituire a sé un
terzo nei rapporti derivanti dal contratto preliminare ed è necessario - affinché la cessione
sia efficace nei confronti del contraente ceduto - che questo vi consenta o preventivamente
con clausola contenuta nel contratto preliminare sin dall’inizio, o successivamente, con
accettazione della cessione. Anche nel caso di consenso preventivamente prestato,
l’efficacia è subordinata alla notificazione della cessione o alla sua accettazione (art 1407,
comma 1, cod. civ). Il successivo contratto definitivo di trasferimento, stipulato
direttamente dal cessionario, è da considerare un «atto che costituisce comunque
esecuzione» del contratto preliminare trascritto, ai sensi del comma 2 art. 2645 bis, con
conservazione della relativa funzione prenotativa. Rispettando le condizioni di legge (artt.
1406, 1407 cod. civ.), la sostituzione "è efficace" nei confronti delle parti originarie, per cui
si verifica l'effetto che il precedente contratto continui ad operare nei confronti delle nuove
parti (5). Assolti gli adempimenti pubblicitari finalizzati alla opponibilità ai terzi, la cessione
del contratto si risolve quindi in una modificazione soggettiva ininfluente ai fini
dell’efficacia prenotativa (6).
La dottrina prevalente puntualizza che, ai fini del mantenimento della tutela offerta
dall'effetto prenotativo a vantaggio del cessionario del contratto, occorre trascrivere la
cessione contro il proprietario – promittente venditore ed a favore del cessionario del
contratto (7), non reputandosi sufficiente la semplice annotazione, il cui scopo è di
completare le formalità iscritte, non di iscriverle ex novo (8).
Ebbene, sui primi due punti, potrebbe concludersi che, purché trascritta, la cessione del
preliminare conserva gli effetti prenotativi di cui all’art. 2645 bis cod. civ.
A questo punto è d’uopo affrontare le ultime due questioni poste.
Sulla gratuità della cessione, è noto che la cessione del contratto, in quanto essa stessa
contratto, può essere stipulata tanto a titolo oneroso (in tal caso il corrispettivo convenuto
per la sua conclusione assume rilievo autonomo rispetto al corrispettivo previsto per il
contratto ceduto) tanto a titolo gratuito (9). L’assenza di corrispettivo nella cessione,
dunque, non influirebbe in alcun modo sull’opponibilità nei confronti dei terzi della
trascrizione del preliminare. Presupposto necessario affinché si realizzino gli effetti della
cessione del contratto è che il complesso giuridico oggetto di cessione rimanga
immutato (10).
In ordine, invece, ad eventuali modifiche del prezzo del contratto definitivo che vede parte
il cessionario, rispetto al prezzo divisato nel preliminare, secondo autorevole dottrina (11), ai
fini del mantenimento della tutela offerta dall’effetto prenotativo, è necessaria la
coincidenza degli elementi essenziali, individuati dall'art. 2665 c.c. (soggetti, oggetto e
rapporto giuridico), da riportare nelle note di trascrizione dei due titoli pubblicizzati
(preliminare e definitivo). L'art. 2665 c.c., che indica gli elementi essenziali della
trascrizione dispone, infatti, che «l'omissione o l'inesattezza di alcuna delle indicazioni
richieste nelle note menzionate negli artt. 2659 e 2660 non nuoce alla validità della
trascrizione, eccetto che induca incertezza sulle persone, sul bene o sul rapporto giuridico»
Si ritiene, pertanto, non rilevante l'eventuale variazione di prezzo(12). La prevalente
giurisprudenza (13) puntualizza che, posto che con il contratto preliminare le parti graduano
nel tempo le reciproche prestazioni differendo, nel caso di compravendita, l'effetto
traslativo della proprietà, la stipula del contratto definitivo costituisce soltanto
l'adempimento delle obbligazioni assunte con il preliminare, con la conseguenza che esso e
non il contratto definitivo è l'unica fonte dei diritti e degli obblighi delle parti, le quali però
possono, per il principio dell'autonomia negoziale, modificare gli accordi stabiliti col
preliminare stesso.
Concludendo sul terzo e quarto punto, si potrebbe affermare che l’assenza di corrispettivo
nella cessione non influisce in alcun modo sull’opponibilità della cessione del preliminare,
mentre in merito alle modifiche del prezzo del contratto definitivo rispetto al prezzo
divisato nel preliminare, si ritiene, lungi da aprioristiche affermazioni, che occorra
considerare le peculiarità della fattispecie concreta onde appurare che le predette
modifiche siano di entità tale da non influire sul profilo causale del contratto.
_________________
1) DE DONATO, La trascrizione del contratto preliminare: particolari fattispecie di interesse
notarile, in Riv. not., 1998, 432; MARICONDA, Fattispecie trascrivibili e aspetti transitori,
in Notariato, 1997, 371. Diversamente, per BECHINI, Riv. Notariato, 1999, 256 s., a prescindere
dall’avvenuta o meno trascrizione della cessione del preliminare, il definitivo posto in essere nei
confronti del cessionario del contratto preliminare costituisce “comunque esecuzione ” di questo,
per cui in ogni caso il cessionario potrà avvalersi dei benefici che discendono dalla trascrizione del
preliminare; l’eventuale trascrizione (o annotazione) della cessione rileverà (forse) solo qualora si
tratti di dirimere conflitti tra più cessionari del medesimo preliminare.
2) In dottrina cfr. PATTI, Contratto preliminare per persona da nominare, in Riv. Notariato,
1999, 256 ss. il quale evidenzia che: “La genericità e, spesso, l'imprecisione delle formulazioni
utilizzate in sede di stipula di contratto preliminare fa sì che, dal punto di vista terminologico, in
presenza di una clausola che riproduce la tradizionale formula della promessa " per sé o per
persona da nominare " non si potrà essere certi se le parti intendessero riferirsi allo schema di cui
all'art. 1401 c.c. (clausola per persona da nominare), ovvero a quello di cui all'art. 1407 c.c.
(autorizzazione a cedere il contratto), ovvero ancora a quello di cui all'art. 1411 c.c. (riserva di
nomina a favore del terzo)”. L’A. precisa inoltre che “Nella pratica contrattuale si è creata una certa
confusione in ordine alla effettiva incidenza della clausola " con riserva di nomina " nella sequenza
preliminare-definitivo: in particolare occorre fare distinzione fra un preliminare stipulato per sé o
per persona da nominare ed un preliminare diretto alla conclusione di un contratto definitivo per
sé o per persona da nominare”.
3) Cfr. la puntuale disamina degli schemi utilizzati nella prassi contrattuale di PATTI, op cit., il
quale considerando l’ipotesi in cui " Tizio si obbliga e promette di vendere a Caio che si obbliga e
promette di acquistare, con riserva di sostituire a sé altra persona, fisica o giuridica, al momento
della stipula dell'atto pubblico, il seguente immobile:…” Precisa che non si tratta tecnicamente di
un vero e proprio contratto per persona da nominare, stante che l'electus non si sostituisce al
promittente acquirente con lo stesso obbligo a contrarre un contratto definitivo, ma rappresenta la
persona individuata dal promittente acquirente a cui favore si verificherà l'effetto traslativo del
bene promesso in vendita ed afferma – con le parole di GAZZONI, Il contratto preliminare,
in Trattato di diritto privato diretto da Mario Bessone, vol. IX, tomo II, 74. - che “se il terzo
designato entra in scena come acquirente in sede di stipulazione delcontratto definitivo, in questa
sede egli non subentra ma per così dire “nasce” acquirente, come contraente del definitivo;
pertanto il nominato non subentra nella posizione contrattuale connessa al preliminare, ma ha
unicamente un diritto ad acquistare. In tale ipotesi, pertanto, si ritiene che la fattispecie non
configuri una riserva di nomina in senso stretto, ma una clausola di stipulazione a favore di terzo”.
4) GABRIELLI (L’efficacia prenotativa della trascrizione del contratto preliminare,
in Studium Iuris, 1997) e GISOLFI, (Nota a Cassazione civile, 25.09.2002 n. 13923. Il preliminare
per persona da nominare osservazioni in tema di contratto per persona da nominare, cessione
del contratto e contratto a favore d terzo, in Riv. Notariato, 2003, 5,1241.) puntualizzano che in
tal caso, il designato potrà opporre tale efficacia agli aventi causa dal promittente, ma si troverà
soccombente di fronte agli aventi causa dello stipulante che contro di questo abbiano trascritto o
iscritto prima della trascrizione della dichiarazione di nomina. Secondo PATTI, op. cit., la
trascrizione del contratto originario deve contenere la indicazione della riserva di nomina: in
difetto, infatti, lo stipulante risulterebbe l’unico beneficiario della prenotazione e non sarebbe in
alcun modo possibile il collegamento tra le due formalità pubblicitarie. Nel caso di omessa
menzione della riserva nella trascrizione, l’efficacia prenotativa potrebbe essere conservata se la
dichiarazione di nomina viene resa e trascritta entro lo stesso termine previsto per l’esecuzione
della trascrizione prenotata.
5) CASU, La trascrizione del contratto preliminare, in Studi e materiali, 5.2, Milano, 19951997, 568 ss,.
6) MUSTO - RECCIA, Funzione ed efficacia della trascrizione del contratto
preliminare, in Riv. Notariato, 1998, 03, 379.
7) Secondo CANNAVALE, “Il contratto preliminare trascritto”, in Vita not., Fasc.01, Parte 2,
1998 0470 – 0480, si configura una surroga del terzo cessionario nella posizione e nel grado del
promissario - acquirente, contro cui la trascrizione non sarebbe ammissibile siccome non
proprietario. Secondo tale dottrina, infatti non sarebbe ammissibile una trascrizione contro il
promissario acquirente che non è ancora proprietario. Si registra in dottrina una posizione
minoritaria. A parere di DE DONATO, op. cit., 432, la cessione, posto che implica la sostituzione
del cessionario ad uno dei contraenti in tutta la situazione giuridica derivante dal contratto, va
trascritta contro il promissario ed a favore del cessionario il quale si avvarrà del grado si
trascrizione del preliminare. Nei pochi casi in cui sarà possibile la cessione del contratto da parte
del promittente (ad es. quando è promessa in vendita una cosa generica), viceversa,
l’efficacia prenotativa scatterà dalla trascrizione della cessione).
8) IANNIELLO, “La trascrizione del contratto preliminare. L’efficacia prenotativa della
trascrizione del preliminare”, in Notariato n. 4/1997, 379.; Casu, op cit. Contrariamente altra
dottrina (Patti, op.cit.. 2001, 1370) ritiene che occorre l’annotazione come forma di pubblicità
successiva.
9) Esclude la configurabilità di una “donazione di contratto” in quanto la posizione contrattuale
che viene trasferita al cessionario è comprensiva di obblighi e di situazioni non soltanto
vantaggiose CLARIZIA, La cessione del contratto, in Il Codice Civile Commentario diretto da
P. Schlesinger, Milano, 1991, 51; ALBANESE, Della cessione del contratto, in Commentario del
Codice Civile Scialoja- Branca a cura di F. Galgano, Bologna – Roma, 2008, 205, ravvisa un atto
gratuito non liberale, allorché l’operazione, seppur priva di corrispettivo in senso tecnico, non
impoverisce il cedente, comportando soltanto una omissio adquirendi.
10) PERLINGIERI, Manuale di diritto civile, 2005, NAPOLI, pag. 457 puntualizza che “tale
necessità si spiega come un corollario della finalità perseguita mediante l’operazione che
caratterizza la cessione, operazione con la quale il cedente mira a sostituire a sé il cessionario nella
posizione di parte de contratto e, correlativamente, il cessionario intende subentrare in tale
posizione. In giurisprudenza, cfr. Cass. civ. 5244/ 2004.
11) GABRIELLI, op. cit. p. 460.
12) Secondo MUSTO - RECCIA, op. cit., 379; PICCOLI, Natura e effetti della trascrivibilità del
preliminare, in Notariato, 1997, 382), Pur essendo il prezzo elemento essenziale del contratto, non
ha alcuna influenza ai fini della pubblicità.
13) Cfr. le pronunce della Cassazione civile n. 8486\1987 in CED, mass. 456016; 1196/82, in CED
mass. 419074; 4988/79, in CED mass. 401642; 1114/68 in CED mass. N. 332582; 945/62, in CED
mass. 251558)con le quali la corte di legittimità ha precisato altresì che tale eventuale modifica
deve essere accertata in concreto e non è deducibile, in caso di preliminare di vendita di una
pluralità di beni, dalla sola circostanza che il contratto definitivo abbia avuto ad oggetto soltanto
alcuni di essi, sicché, ove non risulti che le parti abbiano voluto così limitare le obbligazioni
reciprocamente assunte, il contratto definitivo si configura come adempimento parziale e non
impedisce la risoluzione per inadempimento del preliminare."
--------Su CNN Notizie del 4 settembre scorso è stata data la seguente risposta al
Quesito Civilistico n. 916-2013/C, intitolato ERRONEA INDICAZIONE IN ATTO
DI VENDITA DEL NUMERO DI PROTOCOLLO DELLA LICENZA DI
COSTRUIRE, che si riporta:
"Viene prospettato il seguente quesito:
“Quando nell'atto di vendita di fabbricato, per mero errore materiale di scritturazione, è
inesattamente indicato un numero del protocollo della licenza di costruzione, mentre tutti
gli altri dati sono esatti,
a) necessita stipulare l’atto di conferma ex art. 46 l. 47/85, pur senza formalità di
trascrizione, in quanto comunque il dato da rettificare ha determinato la nullità formale
del negozio,
b) ovvero è sufficiente la rettifica ex art. 59-bis 1.n., sempre omettendo la trascrizione, in
quanto detto errore materiale equivale a quelli degli estremi dei provvedimenti
amministrativi in genere richiamati in atto,
c) oppure si può legittimamente invocare la prassi, secondo cui basta precisare nel
successivo atto di rivendita del fabbricato l'errore materiale, senza che occorra alcun atto di
rettifica”.
***
Nel caso in esame esiste la licenza di costruzione, indicata tuttavia inesattamente in atto
per errore materiale di scritturazione di un numero del protocollo. Esatta è invece
l’indicazione degli altri estremi, come la data di rilascio della stessa
licenza, nonché l’indicazione degli estremi della licenza di demolizione e delle successive
concessioni edilizia e di variante, risultando pertanto indubbio il fatto che il bene sia stato
regolarmente assentito dal Comune.
L'art. 46 del testo unico sull'edilizia (D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380) che riproduce l'art. 17
della legge n. 47 del 1985, al 4° comma prevede la possibilità di procedere a conferma
dell’atto nullo per mancata indicazione degli estremi del permesso di costruire
sussistente al tempo di stipula dell’atto stesso.
A ben vedere però nel caso di specie non siamo di fronte ad una “mancata indicazione”,
ma ad una indicazione inesatta per mero errore materiale nella scritturazione di dati
preesistenti alla redazione dell’atto, come previsto all’art. 59-bis L.N. che così stabilisce:
«Il notaio ha facoltà di rettificare, fatti salvi i diritti dei terzi, un atto pubblico o una
scrittura privata autenticata, contenente errori od omissioni materiali relativi a dati
preesistenti alla sua redazione, provvedendovi, anche ai fini dell'esecuzione della
pubblicità, mediante propria certificazione contenuta in atto pubblico da lui formato».
Al riguardo si sostiene che se l’erronea riproduzione del dato nell’atto dipende da un errore
materiale di scritturazione da parte del notaio, e tale errore sia chiaramente verificabile
con il confronto di altri documenti o con la palese inalterabilità o notorietà del dato da
correggere, così da escludere ogni possibile interpretazione alternativa, la correzione
materiale tramite la rettifica dovrà ritenersi senz’altro ammissibile. La rettifica è invece da
escludere quando il dato da rettificare, pur se preesistente all’atto, abbia determinato
nullità formale o sostanziale del negozio, nullità che molto spesso viene fatta dipendere dal
legislatore dalla omessa indicazione e non anche da una indicazione erronea del richiesto
dato. È stato così precisato, ad esempio, che anche dopo l’entrata in vigore del nuovo
art. 29 comma 1-bis della Legge 27 febbraio 1985 n. 52 che, negli atti aventi ad oggetto
fabbricati, impone a pena di nullità l’indicazione dei dati catastali, la rettifica è da
ammettere
allorché
tali
dati
siano
presenti
sebbene
indicati
erroneamente. Poiché infatti dall’errata indicazione del dato catastale non deriva la nullità
dell’atto, la rettifica di questo non si pone quale conferma della nullità, ma ha la sola
funzione di meglio esplicitare i dati di identificazione dell’oggetto del contratto sul quale si
è formata la volontà delle parti (1).
Queste considerazioni possono sicuramente valere per ammettere l’impiego della nuova
rettifica anche nel caso prospettato.
Riprendendo la soluzione che questo ufficio studi ha già reso per fattispecie analoghe, si
può concludere asserendo che anche nel caso di specie non si può parlare di atto nullo da
confermare, bensì di atto parzialmente formalmente erroneo che può essere sistemato
ricorrendo alla rettifica di atto ora prevista dall’art. 59-bis della legge notarile (2).
____________________________
1) M. LEO, Studio n. 618-2010/C, Osservazioni sulla rettifica degli atti “certificata” dal
notaio, Approvato dalla Commissione Studi Civilistici il 15 dicembre 2010.
2) Si v. risposte a Quesiti n. 41-2011/C e n. 138-2011/C – est. G. CASU."
--------Su CNN Notizie del 5 settembre scorso sono stati pubblicati, con le relative risposte, i
seguenti quesiti di diritto internazionale che di seguito si riportano.
A) Quesito Internazionale n. 161-2014/A
COMPETENZE CONSOLARI: PARTI DELL’ATTO STRANIERE E ITALIANE
Si chiede se il notaio che deve procedere alla vendita di immobili possa utilizzare una
procura rilasciata dal Consolato Generale d’Italia di Johannesburg, conferita sia da parte di
cittadini italiani, sia da parte di cittadini non italiani.
A tal fine si precisa che il Consolato in questione ha comunicato che “con messaggio n.
150373 del 24 maggio 2011, la Direzione Generale del Ministero degli Affari Esteri aveva
precisato che nel caso in cui partecipino all’atto notarile cittadini e non cittadini, si dovrà
considerare prevalente l’elemento della cittadinanza italiano di almeno una delle parti
dell’atto”.
***
Il d.lgs. 3 febbraio 2011, n. 71 (Ordinamento e funzioni degli uffici consolari, ai sensi
dell'articolo 14, comma 18, della legge 28 novembre 2005, n. 246) ha modificato la
previgente disciplina delle funzioni notarili esercitate dai consolati.
In precedenza, l’art. 19 d.p.r. 5 gennaio 1967, n. 200 (Disposizioni sulle funzioni e sui
poteri consolari) stabiliva che il capo dell'ufficio consolare esercitava le funzioni di notaio,
attenendosi alla legislazione nazionale, anche quando all'atto partecipassero cittadini e
non cittadini. Per atti cui siano parti solo non cittadini, le funzioni stesse potevano essere
esercitate quando ciò fosse previsto da convenzioni internazionali ovvero quando gli atti
dovessero essere fatti valere in Italia.
Tale disposizione è, oggi, sostituita dall’art. 28 d.lgs. 71/2011, il quale si limita a stabilire
che il capo dell'ufficio consolare esercita, secondo le modalità e con i limiti di seguito
stabiliti, le funzioni di notaio nei confronti dei cittadini, attenendosi alla legislazione
nazionale, senza più prevedere espressamente la possibilità di esercitare tali funzioni
anche quando siano parti dell'atto cittadini e non cittadini.
Ciononostante, non sembra che la nuova formulazione della norma consenta di escludere
la facoltà di intervento del console quando, nel caso di atti con pluralità di parti, soltanto
alcune di esse siano di cittadinanza italiana.
Si deve, infatti, tenere presente che la ragione giustificativa dell’attribuzione di funzioni
notarili ai consoli è, intuitivamente, la seguente: «il cittadino che si trova all’estero e voglia
porre in essere un negozio giuridico può sì rivolgersi ai notai locali, ma può in ciò trovare
difficoltà sia per quanto concerne la lingua, sia per quanto riguarda le formalità redazionali
dell’atto, sia infine perché il pubblico documentatore straniero è tenuto ad applicare il
locale ordinamento giuridico, che potrebbe essere strutturato in modo tale da non offrire
un adeguato riconoscimento all’assetto d’interessi che il cittadino voglia porre in essere.
Pertanto si presenta in tutta la sua evidente utilità la possibilità di servirsi di un pubblico
documentatore che riceve i suoi poteri dallo Stato di cui si ha la nazionalità, usa la lingua
nazionale ed è tenuto ad applicare l’ordinamento di questo Stato vigente» (v. Atti
consolari, in Dizionario enciclopedico del Notariato, a cura di Falzone - Alibrandi, Roma,
I, 1973, 199).
Non sembra potersi negare come tali esigenze ricorrano anche quando il cittadino italiano
sia parte di un atto al quale partecipino anche stranieri, soprattutto laddove, come avviene
nel caso di specie, tale atto sia regolato dalla legge italiana e sia destinato ad un suo
successivo impiego in Italia.
Appare, pertanto, condivisibile l’opinione riportata nel messaggio n. 150373 del 24 maggio
2011 della Direzione Generale del Ministero degli Affari Esteri citato nel quesito.
B) Quesito Internazionale n. 170-2014/A
COMPETENZE CONSOLARI: AUTORIZZAZIONE ALLA VENDITA DI BENI
DELL’EREDITÀ BENEFICIATA
Si espone la seguente fattispecie: Tizio, cittadino italiano e statunitense, con ultimo
domicilio negli Stati Uniti, muore ab intestato e lascia eredi i figli minori, in possesso
di doppia cittadinanza italiana e statunitense, entrambi residenti negli Stati Uniti.
L’eredità comprende un immobile sito in Italia.
Si chiede se il capo dell’ufficio consolare sia competente ad autorizzare la vendita del
predetto immobile ai sensi dell’art. 747 c.p.c., tanto in qualità di tribunale per il rilascio
dell’autorizzazione, quanto in qualità di giudice tutelare per il rilascio del parere sulla
vendita.
***
Il d.lgs. 3 febbraio 2011, n. 71 (Ordinamento e funzioni degli uffici consolari, ai sensi
dell'articolo 14, comma 18, della legge 28 novembre 2005, n. 246) ha modificato la
previgente disciplina delle funzioni notarili esercitate dai consolati.
In particolare, l’art. 34 dispone quanto segue: “Il capo dell'ufficio consolare, anche al di
fuori delle ipotesi previste dal presente decreto, emana nei confronti dei cittadini residenti
nella circoscrizione i provvedimenti di volontaria giurisdizione, in materia di diritto di
famiglia e di successioni, che per le leggi dello Stato sono di competenza del giudice
tutelare, del tribunale e del presidente di tribunale, ivi compreso quello per i minorenni”.
La predetta norma attribuisce, quindi, testualmente al capo dell’ufficio consolare tanto le
funzioni del tribunale, quanto quelle del giudice tutelare, e tanto in materia di volontaria
giurisdizione, quanto in materia successoria.
In sostanza, quindi, il capo dell’ufficio consolare svolge, per gli italiani residenti all’estero,
la funzione di una sorta di giudice unico, che nel caso di specie si traduce tanto nel rilascio
dell’autorizzazione del tribunale a vendere i beni di un’eredità accettata con beneficio
d’inventario, quanto nel rilascio del parere del giudice tutelare, per il caso in cui i beni
appartengano ad un incapace.
Si deve, peraltro segnalare che l’obbligo per il minore di accettare l’eredità con beneficio
d’inventario, imposto dalla legge italiana nell’art. 471 c.c., nonostante sia inserito tra le
disposizioni in tema di successione, è una norma posta a protezione degli incapaci, in
quanto la sua funzione è quella di tutelare l’interesse di soggetti che non abbiano la piena
capacità di compiere atti di disposizione del proprio patrimonio.
Si ritiene, infatti, che scopo dell’art. 471 c.c. sia quello di evitare una eventuale
responsabilità ultra vires hereditatisderivante
dalla
confusione
del
patrimonio
dell’incapace con quello del defunto (SAPORITO, L'accettazione dell'eredità, in Rescigno
(a cura di), Successioni e donazioni I, Padova, 1994, 197; JANNUZZI, Manuale della
volontariagiurisdizione, Milano, 1995, 291). Ne deriva, in tal modo, che il legislatore, nel
conflitto tra gli interessi dei creditori ereditari e quelli dei soggetti incapaci, ha mostrato di
dare la preferenza alla tutela di questi ultimi (ZABBAN, in Zabban, Pellegrino,
Delfini, Delle successioni, in Comm. Ipsoa, Milano, 1993, 48).
Ma, appunto, trattandosi di presidio a tutela dell’incapace, esso non sarebbe
necessariamente applicabile nel caso di minore residente in uno Stato il cui ordinamento
non preveda come misura di protezione l’obbligatoria accettazione con beneficio
d’inventario.
Ai fini di individuare la legge applicabile in materia di tutela dei minori, viene in rilevo
l’art. 42 l. 31 maggio 1995, n. 218, il quale stabilisce che la protezione dei minori è in ogni
caso regolata dalla Convenzione dell'Aja del 5 ottobre 1961, sulla competenza delle autorità
e sulla legge applicabile in materia di protezione dei minori, resa esecutiva con la legge 24
ottobre 1980, n. 742. Le disposizioni della Convenzione si applicano anche alle persone
considerate minori soltanto dalla loro legge nazionale, nonché alle persone la cui residenza
abituale non si trova in uno degli Stati contraenti.
Gli artt. 1 e 2 della Convenzione dell’Aja in materia di protezione dei minori attribuiscono
la competenza ad adottare le misure tendenti alla protezione della persona o dei beni del
minore alle autorità, sia giudiziarie che amministrative, dello Stato di residenza abituale
del minore stesso.
Le autorità del luogo di residenza del minore adottano le misure previste dalla loro
legislazione interna. Tale legislazione stabilisce le condizioni di istituzione, modifica e
cessazione di dette misure, e regola egualmente i loro fini sia per quel che concerne i
rapporti fra il minore e le persone o istituzioni che lo hanno a carico, sia nei confronti dei
terzi.
Pertanto, se la residenza abituale del minore è fissata negli Stati Uniti, saranno le autorità
di quest’ultimo Stato che adotteranno le misure di protezione previste dalla loro
legislazione interna. In particolare, la legge dello stato federale di residenza del minore
potrebbe non prevedere l’obbligo di accettare l’eredità con beneficio d’inventario.
Tuttavia, alla competenza dell’ordinamento straniero può affiancarsi quella dello Stato di
cui il minore è cittadino, qualora le autorità di questo Stato giudichino che l'interesse del
minore lo esiga.
L’art. 4 della Convenzione prevede, infatti, che le autorità dello Stato di cui il minore è
cittadino possono, dopo aver informato le autorità dello Stato di sua residenza abituale,
adottare in base alla loro legislazione interna misure miranti alla protezione della sua
persona o dei suoi beni.
In tale ipotesi l’istituzione, la modifica e la cessazione delle misure di protezione sono
regolate dalla legge nazionale del minore ed esse sostituiscono le misure eventualmente
adottate dalle autorità dello Stato in cui il minore ha la sua abituale residenza.
Viene, altresì, in rilievo l’art. 9 l. 218/1995, che stabilisce i requisiti in forza dei quali si ha
giurisdizione del giudice italiano in materia di giurisdizione volontaria: e cioè, oltre che nei
casi specificamente contemplati dalla l. 218/1995 e in quelli in cui è prevista la competenza
per territorio di un giudice italiano, quando il provvedimento richiesto concerne un
cittadino italiano o una persona residente in Italia o quando esso riguarda situazioni o
rapporti ai quali è applicabile la legge italiana.
Ne consegue, pertanto, che nel caso di specie, laddove l’accettazione con
beneficio di inventario sia prescritta anche dalla legge dello stato federale di residenza del
minore, o laddove le parti intendano comunque accettare con beneficio d’inventario, le
misure di protezione del minore potranno essere richieste tanto all’autorità di residenza
del minore, quanto al giudice italiano.
In quest’ultimo caso, considerato che il domicilio del minore cittadino italiano si trova
all’estero, le misure adottabili dall’autorità italiana ai sensi dell’art. 4 della
Convenzione sono di competenza degli uffici consolari.
--------Su CNN Notizie del 9 settembre 2014 è stata pubblicata la risposta al Quesito Tributario
n. 132-2014/C_T, dal titolo TASSAZIONE DI UNA DIVISIONE DI UNA MASSA
COMUNE COSTITUITA DA DENARO E DIRITTI IMMOBILIARI OGGETTO DI
DONAZIONE, che integralmente si riporta.
"Si chiede di conoscere se sia legittimo l’operato dell’ufficio dell’Agenzia delle entrate nella
seguente fattispecie: Tizio dona in comune ai figli, per quote diseguali, una somma di
denaro e dei diritti immobiliari. Con lo stesso atto i donatari procedono a divisione con
attribuzione ad uno di essi del denaro ed all’altro dei diritti immobiliari; essendovi
corrispondenza fra le quote di fatto e quelle di diritto la divisione è considerata senza
conguagli.
L’ufficio dell’Agenzia delle entrate contesta l’autoliquidazione delle imposte effettuata dal
notaio, sembrando non ritenere configurabile una comunione del denaro, che si
dividerebbe cioè automaticamente, con la conseguenza nel caso di specie che oggetto della
divisione sarebbero solo i diritti immobiliari, mentre la quota in denaro rappresenterebbe
il pagamento del conguaglio.
La posizione assunta dall’ufficio non è condivisibile.
Dal dato normativo, infatti, non emergono elementi idonei a suffragare quanto sostenuto
dall’ufficio, perché seppure l’art. 727 c.c., nell’indicare che “le porzioni devono essere
formate previa stima dei beni, comprendendo una quantità di mobili, immobili e crediti di
uguale natura e qualità”, non fa menzione espressa del denaro, la nozione residuale di beni
mobili di cui al codice civile è tale da ricomprendere anche il denaro stesso.
Peraltro l’opinione dell’ufficio non risulta essere neppure suffragata da orientamenti
giurisprudenziali o dottrinali in tal senso.
È appena il caso di precisare che è ben diversa da quella in esame la questione relativa
alla sorte dei crediti ereditari, rispetto ai quali sussiste un orientamento, non pacifico,
secondo il quale sarebbe ancora vigente nel nostro ordinamento il principio, di origine
romanistica, nomina et debita ipso iure inter coheredes dividuntur (sul punto per
approfondimenti, cfr. Basini, L’oggetto della comunione, in Trattato di diritto delle
successioni e donazioni, diretto da Bonilini, IV, Comunione e divisione ereditaria, Milano,
2009, 30 ss.; Bullo, L’oggetto della divisione ereditaria: questioni in tema di crediti e
partecipazioni sociali, in Contratto di divisione e autonomia privata, I quaderni della
Fondazione italiana per il Notariato, Milano, 2008, 84 ss.).
Quanto invece al denaro, la dottrina lo considera espressamente come bene che può fare
parte
della
comunione
(cfr.
fra
gli
altri Forchielli-Angeloni, Della
divisione, comm. Cod. Civ. Scialoja-Branca, a cura di F. Galgano, Bologna-Roma, 2000,
216. Vedi anche Fedele, La comunione, Milano, 1967, 71, che si occupa della particolare
ipotesi della comunione del denaro usato da un partecipante nell’acquisto di un bene, sulla
base dell’assunto dell’ammissibilità di una comunione avente ad oggetto una somma di
denaro).
Si ritengono, infatti, appartenenti alla comunione beni fungibili quali il
denaro, utilizzabili per pareggiare i valori delle singole porzioni senza dare luogo a
conguagli.
E tale circostanza è distinta da quella in cui, in assenza nella massa di tali beni, l’unico
rimedio per livellare il valore delle singole porzioni è costituito dai conguagli.
In altri termini, è ben chiara agli interpreti la differenza tra i due fenomeni: “non ricorre
conguaglio in senso tecnico allorché l’uguaglianza delle diverse porzioni viene raggiunta
mediante equa distribuzione del denaro esistente nella massadividenda. In questa ipotesi a
rigore non è esatto neppure parlare di diseguaglianza in quanto il denaro comune
destinato a pareggiare le eventuali differenze di valore entra a far parte delle singole
porzioni né più né meno degli altri beni comuni” (così Forchielli-Angeloni, op. cit., 218 e
nello stesso senso, fra gli altri, Carusi, Le divisioni, Torino, 1978, 88; Burdese,Divisione
ereditaria, in Tratt.
dir. civ. diretto
da
Vassalli,
XII,
Torino,
1980,
180; Minervini, Divisione contrattuale ed atti equiparati, Napoli-Roma, 1990, 178;
Morelli, Comunione e divisione ereditaria, Torino, 1998, 483; Mora, La divisione
contrattuale, in Trattato di diritto delle successioni e donazioni, cit., 233 il quale evidenzia
peraltro come non vi siano dubbi nell’applicare questi principi alla divisione contrattuale).
Pertanto, se è pur vero che le differenze di valore tra le porzioni attribuite a fronte di quote
di diritto uguali determinano i conguagli, di questi ultimi si può correttamente parlare
solo allorché il denaro che occorrerebbe per le sistemazioni delle ineguaglianze sia denaro
estraneo alla comunione, diversamente si tratterebbe di attribuzione di denaro comune
(così Petteruti, Il valore attribuito ai diritti assegnati tra diritto tributario e impugnative
negoziali, in Contratto di divisione e autonomia privata,.cit., 205).
Ed è conforme a tale posizione anche la disposizione fiscale di cui all’art. 34 comma
1 d.p.r. n. 131/1986 secondo cui “nelle comunioni diverse da quella ereditaria la massa
comune è da individuare nei beni risultanti da precedente atto che abbia scontato l’imposta
propria dei trasferimenti” (quanto all’individuazione dei conguagli agli effetti del suddetto
art. 34 si segnala, per completezza, anche un orientamento della giurisprudenza, per
quanto non condivisibile ad avviso di chi scrive, il quale opera il confronto tra la quota di
fatto e la quota di diritto dall’ottica del condividente che riceve il conguaglio, escludendone
per questa strada la configurabilità, perché - si legge nelle sentenze n. 20119 del 16
novembre 2012 e n. 17866 del 30 luglio 2010 – questi riceve né più né meno del valore
della sua quota, essendo irrilevante che la somma di denaro corrisposta a copertura della
quota di diritto non provenga dalla massa divisionale, dato che l’art. 34 d.p.r. n. 131/1986
non richiede tale provenienza).
In conclusione, dunque, se nel caso di specie sia stata donata in comune a due soggetti una
pluralità di beni, costituita da denaro e diritti immobiliari, la divisione con la quale siano
attribuiti ad un condividente i diritti immobiliari ed all’altro la somma di denaro facente
parte della comunione, non genera conguagli, rilevanti agli effetti dell’art. 34 d.p.r. n.
131/1986, qualora il valore delle porzioni non ecceda quello spettante sulla massa
comune."
VARIE
CONSIGLIO NAZIONALE - MASSIME DI DIRITTO DELL’INFORMATICA (*)
Massima DI n. 4 (pubblicata su CNN Notizie del 5 settembre 2014) :
ESTRATTI DA SCRITTURE CONTABILI "MECCANIZZATE
Nota redazionale: la presente massima ha per oggetto le scritture contabili
“meccanizzate”, tra le quali può essere classificata la stragrande maggioranza dei libri
contabili.
Da esse si distinguono le scritture contabili “informatizzate”, soggette a regole
diverse ed alle quali sarà dedicata una prossima massima.
1) Affinché si possa produrre un estratto autentico (1) ex art. 634 c.p.c. delle scritture
contabili meccanizzate, previste dall’art. 7, comma 4-ter, del D.L. n. 357/1994 (convertito
con la Legge n. 489/1994), è necessario che esse siano state stampate o su
libro previamente vidimato, oppure su libro non vidimato ma numerato
progressivamente da colui che le conserva, nei casi previsti dall’art. 2215, secondo
comma, c.c., dall’art. 22 del D.P.R. n. 600/1973, nonché, per i registri IVA, dall'art. 39 del
D.P.R. n. 633/1972 (2).
2) Andranno in ogni caso verificati i requisiti formali estrinseci della regolare tenuta
della contabilità ex art. 2219 c.c. secondo le regole ordinarie (3).
La disposizione dell’art. 7 citato, secondo cui la tenuta delle scritture contabili con sistemi
meccanizzati è ritenuta regolare (testualmente: “a tutti gli effetti di legge”) anche quando i
dati sono aggiornati entro 60 giorni dalla loro manifestazione solo su supporto
magnetico, senza la relativa trascrizione su carta, a condizione che la mancata
trascrizione riguardi esclusivamente l’esercizio per il quale non siano ancora scaduti i
termini per le relative dichiarazioni annuali e sia possibile in qualsiasi momento
trascrivere su carta i dati memorizzati nel sistema informatico, non consente di ritenere
che si possano produrre estratti con lo stesso valore probatorio di quelli tradizionali
prescindendo dalla previa stampa.
Infatti, così facendo si dimenticherebbe che l'estratto di cui all'articolo 634 c.p.c. gode
di un suo peculiare status giuridico in quanto ricavato da scritture che presentano
determinate garanzie di provenienza ed immodificabilità, qualità che difettano del tutto in
una semplice registrazione su supporto informatico non firmata digitalmente. Non è un
caso che sia il vecchio DM 23 gennaio 2004 relativo alla conservazione informatica delle
scritture contabili ai fini della loro rilevanza fiscale, che il nuovo DM 17 giugno 2014, che lo
sostituisce in materia, prevedano l'apposizione della firma digitale e della marcatura
temporale. L'obiettivo evidente è quello di impedire manipolazioni successive e di ricreare,
anche in campo informatico, una delle caratteristiche proprie del libro vidimato e che il file
informatico, di per se’, non possiede (4).
È possibile, invece, ricavare da tali scritture non ancora stampate ed aggiornate solo nel
sistema informatico copie parziali od integrali, alla stregua di qualsiasi altro documento
esibito al Notaio.
Infatti, se la normativa codicistica in materia di copie (artt. 2714 e ss. c.c.) fa riferimento ad
un soggetto depositario pubblico e l’efficacia probatoria di tali copie deriva, nel sistema
delineato dal codice civile, dal deposito dell’originale presso il medesimo, l'evoluzione in
materia ha fatto sì che, in forza di legge speciale, l’efficacia probatoria di una copia possa
essere determinata in modo diverso, prescindendo dal deposito: il principale punto
riferimento è l’art. 1 del R.D.L. n. 1666/1937ed ora l'art 73 della Legge Notarile, che
concede al Notaio la facoltà di rilasciare copie ed estratti di documenti a lui “esibiti”, e non
necessariamente depositati. Elemento qualificante in questo caso è l’esibizione al pubblico
ufficiale del documento originale da riprodurre integralmente o parzialmente; senza tale
presupposto, infatti, per il notaio sarà impossibile qualsiasi tipo di comparazione.
Anche in questo caso è necessario tenere ben distinto il valore probatorio della
dichiarazione notarile, che avrà comunque valore di atto pubblico, da quello
dell’atto parzialmente riprodotto, che sarà quello del documento esibito al Notaio.
Ne discende, sul piano operativo, che nel suo intervento il Notaio dovrà sempre
adottare modalità tali da rendere palesi al Giudice (od altro destinatario del documento
notarile) la natura e le caratteristiche della documentazione da cui la copia è ricavata.
Sarebbe sicuramente fuorviante che la produzione di una copia conforme notarile induca
il fruitore ad attribuire erroneamente alle informazioni contenute nella copia uno status
poziore rispetto a quello proprio della documentazione originale. Andrà pertanto chiarito
che la riproduzione in copia si riferisce a scritture contabili aggiornate solo su supporto
informatico e non ancora trasposte su carta.
______________________
*) Le massime sono elaborate sulla base delle risposte a quesito e degli approfondimenti
prodotti dal Settore Studi di Diritto dell'informatica del CNN ed approvate dai
componenti dell'Area Informatica.
Le massime precedenti sono pubblicate sulla R.U.N. Area Istituzioni Consiglio Nazionale
settore
Informaticohttps://webrun.notariato.it/run2/webrun/contenuti/menuIstituzionale/cnn
/settore-informatico/pagina_massime_informatica.html
1) In generale sulla possibilità di eseguire estratti dalle scritture contabili
tenute informaticamente si veda lo Studio CNN n. 1-2006/IG - Estratti notarili da libri contabili
tenuti con mezzi informatici e Copie estratti e certificati, le allegazioni all'atto notarile e la
certificazione di conformità all'originale delle copie dopo il D.lgs. 110/2010, in atti dei Convegni di
Studio "Introduzione all'atto notarile informatico: profili sostanziali e aspetti operativi" (Milano,
28 maggio 2010) e “L'atto notarile informatico: prime riflessioni sul D.lgs. 110/2010” ( Firenze, 29
ottobre 2010), I quaderni della Fondazione Italiana per il Notariato, Il sole 24 ore, 2011.
2) L’art. 22 del D.P.R. n. 600/1973 prevede la numerazione progressiva di tutte le scritture
contabili (ad eccezione di quelle di magazzino) per ciascun anno, con l’indicazione pagina per
pagina dell’anno di riferimento, non di quello su cui si effettua la stampa. Tale numerazione, in
seguito alle varie normative di semplificazione, deve essere effettuata direttamente dal
contribuente. Nel caso di tenuta di registri multiaziendali in base alla Circolare Ministeriale 30
luglio 2002, n. 60/E, i soggetti incaricati dell'elaborazione delle scritture contabili obbligatorie
possono utilizzare dei registri a striscia continua a condizione che vengano rispettati i seguenti
requisiti: 1) attribuzione di un numero progressivo ai vari fogli utilizzati per i registri ed i libri di
ciascun utente, distintamente per periodo di imposta; 2) consegna a ciascun utente entro il termine
di presentazione delle relative dichiarazioni annuali dei fogli relativi alle registrazioni eseguite nel
periodo di imposta che costituiscono i libri o i registri da conservare secondo le regole ordinarie. In
sostanza in questi casi il soggetto incaricato intesta i libri o i registri direttamente ai
soggetti obbligati suoi clienti, ma numerandoli progressivamente soltanto al momento della
stampa.
3) Art. 2219 c.c.: “Tutte le scritture devono essere tenute secondo le norme di una ordinata
contabilità, senza spazi in bianco, senza interlinee e senza trasporti in margine. Non si possono fare
abrasioni e, se è necessaria qualche cancellazione, questa deve eseguirsi in modo che le parole
cancellate siano leggibili”.
Si rammenta che persiste un difetto di coordinamento tra l'art. 2215 c.c., comma 2, che non
prevede più alcuna forma di vidimazione per il libro giornale ed il libro degli inventari e l'art.
634 c.p.c. che fa ancora riferimento, quale prova idonea per l'ottenimento del decreto ingiuntivo,
alle scritture contabili di cui all'art. 2214 "purché bollate e vidimate".
4) Si tenga presente che, anche qualora si ritenesse non necessaria la trasposizione cartacea del
libro contabile informatico ai fini dell'esibizione al Notaio (limitando, pertanto, la necessità
di questa operazione solo in sede di controllo ed ispezione da parte degli organi competenti), tale
libro dovrà essere pur sempre creato in un formato informatico che, oltre a consentirne ovviamente
la leggibilità, integri i requisiti di cui all'art. 20, 1-bis, CAD.
--------LIBERAMENTE CONSULTABILE ANCHE DALLA R.U.N. IL NUOVO
ARCHIVIO DELLE SENTENZE DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
PER I CITTADINI
A decorrere dal 31 luglio 2014 l’archivio di Sentenze della Corte Suprema di Cassazione è
online e consultabile liberamente da parte di tutti gli utenti del web, alla pagina internet
http://www.italgiure.giustizia.it/sncass/
L’apertura degli archivi delle sentenze civili e penali della Cassazione alla libera
consultazione da parte del cittadino – si legge sul sito - è coerente con l’obiettivo di rendere
più trasparente e fruibile il servizio giustizia, perseguito nella realizzazione del nuovo sito
www.cortedicassazione.it.
Attraverso un motore di ricerca innovativo e facile si rendono accessibili a tutti le sentenze
pronunciate dalla Corte negli ultimi cinque anni. Al momento, il servizio è ancora in fase
sperimentale e comprende esclusivamente le sentenze in materia civile, ma, a breve
saranno disponibili anche quelle penali.
L’accesso al nuovo sito della Corte di Cassazione e al nuovo servizio di ricerca delle
sentenze per i cittadini è possibile anche dalla home page della R.U.N. in calce ad essa,
nella sezione DIRITTO, alla voce: SentenzeWeb Novità, e si affianca al collegamento già in
essere per i notai al sistema ItalgiureWeb.
--------Si riporta la Nota in data 18 agosto 2014, prot. 146215, del Ministero dello
Sviluppo Economico, in tema di società a responsabilità limitata semplificata.
(per un breve commento, vedasi quanto pubblicato su CNN Notizie del 9 settembre scorso)
Ministero dello Sviluppo Economico
Direzione Generale per il mercato, la concorrenza, il consumatore, la vigilanza e la
normativa tecnica
Divisione XXI – Registro delle Imprese
Registro Ufficiale
Prot. n. 0146215 18/08/2014 - Uscita
OGGETTO: SRL semplificata - Problematiche interpretative - Richiesta parere.
Con messaggio di posta elettronica del 21/07/2014 codesta Camera chiede di conoscere
l'avviso della Scrivente circa l'iscrivibilità nel registro delle imprese di un atto costitutivo di
SRL semplificata in cui sia stata prevista la forma amministrativa pluripersonale
congiuntiva (non collegiale) o disgiuntiva.
Richiama codesta Camera, a tale proposito, la massima del 5/03/2013 del Consiglio
notarile di Milano (secondo cui: «La presenza di clausole convenzionali aggiuntive - ove
compatibili con la disciplina generale della s.r.l. e con la disciplina della s.r.l. a capitale
ridotto - non incide sulla legittimità dell'atto costitutivo né sulla validità delle clausole
stesse. Non si ritiene in ogni caso che si collochino al di fuori del perimetro del modello
della s.r.l. semplificata, tenuto conto del disposto dell'art. 1, comma 2, D.M. Giustizia
138/2012, le eventuali clausole concernenti la durata della società, la scelta del modello di
amministrazione (collegiale, unipersonale, pluripersonale congiunta o disgiunta) e la
previsione della possibilità di decisioni non assembleari»).
Evidenzia, altresì, codesta Camera, le implicazioni dal punto di vista erariale della
problematica segnalata, atteso che una eventuale interpretazione in senso restrittivo
inciderebbe sulla possibilità o meno per la società di fruire delle previste esenzioni in sede
di prima costituzione.
Circa la problematica sopra esposta, ritiene questa Direzione generale di potere esprimere
le considerazioni che seguono.
È noto che, successivamente all'epoca in cui è stata emessa la massima notarile sopra
richiamata, il testo dell'art. 2463-bis c.c. ha subito modifiche ad opera dell'art. 9, c. 13, del
DL 76/2013 (convertito, con modifiche, dalla legge 99/2013).
Tra tali modifiche appare particolarmente rilevante, ai fini della valutazione della
problematica segnalata, quella comportante l'inserimento, dopo il c. 2, di un nuovo comma
che così recita: «Le clausole del modello standard tipizzato sono inderogabili».
Tale disposizione, secondo quanto argomentato dalla Scrivente nel proprio parere prot. n.
6404 del 15/01/2014 (richiamato anche da codesta Camera) appare finalizzata non tanto
ad escludere la derogabilità delle clausole presenti nel "modello standard" stesso (aspetto
che già prima della citata modifica appariva pacifico), quanto, soprattutto, ad escludere la
possibilità di inserire, nell'atto costitutivo stesso, clausole convenzionali aggiuntive.
Partendo da tale impostazione ritiene questa Direzione generale di potere condividere le
perplessità espresse da codesta Camera circa la possibilità di iscrivere nel registro delle
imprese un atto costitutivo di SRL semplificata in cui sia prevista la sopra
richiamata opzione per il sistema di amministrazione "pluripersonale".
Al riguardo sembra possibile richiamare, in particolare, quanto previsto dalla clausola n. 8
del "modello standard" (Tabella A allegata al decreto interministeriale 138/2012), secondo
cui: «L'assemblea dei soci, ove sia richiesta deliberazione assembleare per la decisione dei
soci, è presieduta dall' amministratore unico o dal presidente del consiglio di
amministrazione».
Indicazione che risulta, d'altra parte, in linea con l'impostazione codicistica (art.
2475, cc. 1-3), per la quale l'amministratore unico (in caso di organo amministrativo
unipersonale) e il consiglio di amministrazione (in caso di organo amministrativo
pluripersonale) appaiono, per la SRL, le opzioni di default.
Coerente con tale lettura delle disposizioni in parola, ad avviso della Scrivente, appare
anche la clausola n. 6 del ridetto "modello standard", in particolare là dove
(«Viene/vengono nominato/i
amministratore/i
il/i
signore/i:
(eventuale specificazione del ruolo svolto nell'ambito del consiglio di
amministrazione) [ ... ]») si preoccupa di specificare il ruolo svolto dal nominato
nell'ambito del consiglio di amministrazione, ma non fa il minimo riferimento alle opzioni
connesse al sistema di amministrazione pluripersonale non collegiale, quali, ad esempio:
amministrazione congiuntiva, amministrazione disgiuntiva, ecc.
Non si può, infine, non evidenziare che anche la clausola n. 7 del ripetuto "modello"
(secondo cui «All'organo di amministrazione spetta la rappresentanza generale della
società»), sembra andare nel senso indicato, attese le evidenti difficoltà di suo
coordinamento
con
le
ipotesi
di
amministrazione
pluripersonale
sia
disgiuntiva che congiuntiva (v., in tal senso, M. Campobasso, "Innesto botanico o prodotto
transgenico? Il caso della s.r.l. a gestione personalistica", 2011).
Il parere della Scrivente è, pertanto, nel senso che, soprattutto in un'ottica di applicazione
chiara e trasparente della disciplina in parola, siano iscrivibili nel registro delle imprese, in
quanto conformi al sopra richiamato modello standard, solo atti costitutivi di SRL
semplificata che prevedano, relativamente al sistema di amministrazione, un
amministratore unico (organo amministrativo unipersonale), ovvero un consiglio di
amministrazione (organo amministrativo collegiale), non risultando contemplati, dal
predetto modello standard, ulteriori modelli di amministrazione.
Attesa la rilevanza della problematica affrontata, il presente parere viene trasmesso anche
al Ministero della giustizia e al Consiglio nazionale del notariato, per opportuna
conoscenza e per consentire agli stessi un eventuale intervento sulla questione.
IL DIRETTORE GENERALE
(Gianfrancesco Vecchio)
---------
Ministero degli Affari Esteri
COMUNICATO
Entrata in vigore nei rapporti tra Italia, Belgio, Danimarca, Francia, Irlanda, Lettonia ed
Estonia della Convenzione relativa alla soppressione della legalizzazione di atti negli stati
membri delle Comunità Economiche Europee, firmata a Bruxelles il 25 maggio 1987. (G.U.
Serie Generale n. 180 del 5-8-2014)
Si informa che la Repubblica di Estonia ha depositato il proprio strumento di ratifica in
data 21 giugno 2013. In occasione del deposito ha reso la seguente dichiarazione:
«Conformement à l'Article 6 paragraphe 3 la Republique d'Estonie declare que la
Convention sera applicable à son egard dans ses rapports avec les autres Etats qui
ont fait la meme declaration, 90 jours apres la date de depot».
«Conformement à l'Article 5, l'autoritè centrale responsabile pour la reception et
l'envoi des demandes d'informations mentionnee à
l'Article 4
est
le Departement
du Ministere des Affaires etrangeres. L'autoritè repondra aux demandes
d'informations en estonien et en anglais.».
Relativamente a tale dichiarazione, avendo l'Italia, il Belgio, la Danimarca, la Francia,
l'Irlanda e la Lettonia formulato analoga dichiarazione, si comunica che la Convenzione
relativa alla soppressione della legalizzazione di atti negli Stati membri delle Comunità
economiche europee, firmata a Bruxelles il 25 maggio 1987, si applica anche nei rapporti
con l'Estonia a partire dal 19 settembre 2013.
Scarica

IURIS ET DE IURE - Consiglio Notarile di Catania