Piano di Gestione della ZPS IT 2070401
«Parco Naturale dell'Adamello»
Piano di Gestione del SIC IT 2070012
«Torbiere di Val Braone»
Piano di Gestione del SIC IT 2070006
«Pascoli di Crocedomini - Alta Val Caffaro»
ELABORATO
01
RELAZIONE
SCALA: -
REDATTORI DEL PIANO:
REVISIONE: 0
STUDIO TERRA VIVA
DATA: Aprile 2013
Via del Carmine, 2/a
27029 Vigevano (PV)
Tel: 0381/83698
Fax: 0381/83352
PARCO REGIONALE DELL'ADAMELLO
Responsabile del procedimento:
Direttore del Parco Regionale dell'Adamello
Dott. Dario Furlanetto
Coordinamento tecnico:
Dott. Guido Calvi
Dot.ssa Anna Maria Bonettini
Dott.For. Alessandro Ducoli
CONSULENTI
Dott. Cesare Lasen - Biologo
Arch. Francesca Bondioni
MISURA 323 "Tutela e riqualificazione del patrimonio rurale" Sottomisura A "Formazione piani di gestione Siti Natura 2000"
PIANO DI GESTIONE ZPS IT 2070401 “PARCO NATURALE DELL’ADAMELLO”
PIANO DI GESTIONE SIC IT 2070006 “PASCOLI DI CROCEDOMINI – ALTA VAL CAFFARO”
PIANO DI GESTIONE SIC IT 2070012 “TORBIERE DI VAL BRAONE”
RELAZIONE - REV. 0
INDICE
1. QUADRO CONOSCITIVO
1.1. INQUADRAMENTO BIOGEOGRAFICO
1.2. DESCRIZIONE FISICA
1.2.1. LOCALIZZAZIONE E DESCRIZIONE DEI CONFINI GEOGRAFICI
1.2.2. ASPETTI LITOLOGICI E GEOMORFOLOGICI
1.2.3. SISTEMA IDROGRAFICO
1.2.4. CLIMA
1.3. LA RETE ECOLOGICA DELLA ZPS DELL’ADAMELLO
1.3.1. PREMESSA METODOLOGICA
1.3.2. ANALISI DELL’USO E DELLA COPERTURA DEL SUOLO
1.3.3. INDICI STRUTTURALI DELL’ECOLOGIA DEL PAESAGGIO
1.3.4. ZONAZIONE CATENALE E CONTAMINAZIONE SPECIFICA
1.3.5. INDIVIDUAZIONE DEGLI ELEMENTI COSTITUTIVI DELLA RETE ECOLOGICA
1.3.6. EMERGENZE FAUNISTICHE
1.3.7. COMMENTI ALLE CARTE
1.4. PIANI DI SETTORE
1.4.1. PREMESSA
1.4.2. PIANO DI SETTORE ACQUE
1.4.3. PIANO DI INDIRIZZO FORESTALE
1.4.4. PIANO DI SETTORE AGRICOLTURA
1.4.5. PIANO DI SETTORE FAUNA
1.4.6. PIANO DI SETTORE TURISMO E VIABILITÀ
1.5. DESCRIZIONE DEL PAESAGGIO
1.5.1. PIANIFICAZIONE SOVRAORDINATA
1.5.2. PRINCIPALI CARATTERISTICHE PAESAGGISTICHE DEL TERRITORIO DEL PARCO
1.6. INQUADRAMENTO BOTANICO
1.6.1. PIANA ALLUVIONALE DEL GÀVER – 7/06/2011
1.6.2. CROCE DOMINI, CASINETTO DEI DOSSI, BAZENINA – 8/06/2011
1.6.3. TRAVERSATA DA VALFREDDA ALLA VAL BRAONE – 26/07/2011
1.6.4. VAL DI STABIO – 27/067/2011
1.6.5. TORBIERE DEL TONALE E MALGA SERODINE – 28/07/2011
1.6.6. LAGHETTI DI AVIO – 4/08/2011
1.6.7. VAL ADAMÉ – 5/08/2011
1.6.8. DINTORNI DI MALGA CORTI, DOSS DEL CURÙ – 6/08/2011
1.7. IL PASCOLO NELLA ZPS
1.7.1. INQUADRAMENTO GENERALE
1.7.2. ECOSISTEMI ERBACEI
1.7.3. STATO DEI PASCOLI
1.8. IL SIC IT2070006 “PASCOLI DI CROCEDOMINI – ALTA VAL CAFFARO”
1.8.1. ASPETTI DELLA RETE ECOLOGICA
1.8.2. ASPETTI BIOTICI PRESENTI
1.8.3. ELEMENTI DI INTERESSE CONSERVAZIONISTICO
1.8.4. CONCLUSIONE
1.9. IL SIC IT2070012 “TORBIERE DI VAL BRAONE”
1.9.1. ASPETTI DELLA RETE ECOLOGICA
1.9.2. ASPETTI BIOTICI PRESENTI
1.9.3. ELEMENTI DI INTERESSE CONSERVAZIONISTICO
1.9.4. CONCLUSIONE
Terra Viva studio agroforestale – via del Carmine 2A, 27029 Vigevano (Pv)
5
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PIANO DI GESTIONE ZPS IT 2070401 “PARCO NATURALE DELL’ADAMELLO”
PIANO DI GESTIONE SIC IT 2070006 “PASCOLI DI CROCEDOMINI – ALTA VAL CAFFARO”
PIANO DI GESTIONE SIC IT 2070012 “TORBIERE DI VAL BRAONE”
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2. DESCRIZIONE DI HABITAT E SPECIE E VALUTAZIONE DELLE ESIGENZE ECOLOGICHE
112
2.1. PREMESSA
112
2.2. MATRICI DI VALUTAZIONE DELLO STATO DI CONSERVAZIONE
114
2.3. DESCRIZIONE E VALUTAZIONE DELLE ESIGENZE ECOLOGICHE DEGLI HABITAT DI INTERESSE COMUNITARIO
116
2.3.1. IDENTIFICAZIONE E DELIMITAZIONE DEGLI HABITAT DI INTERESSE COMUNITARIO
116
2.3.2. HABITAT 3220 “FIUMI ALPINI CON VEGETAZIONE RIPARIA ERBACEA“
117
2.3.3. HABITAT 4060 “LANDE ALPINE BOREALI”
119
2.3.4. HABITAT 4070* - BOSCAGLIE DI PINUS MUGO E RHODODENDRON HIRSUTUM
121
2.3.5. HABITAT 4080 - BOSCAGLIE SUBARTICHE DI SALIX SPP.
123
2.3.6. HABITAT 6150 - FORMAZIONI ERBOSE BOREO-ALPINE SILICEE
125
2.3.7. HABITAT 6170 - FORMAZIONI ERBOSE CALCICOLE ALPINE E SUBALPINE
127
2.3.8. HABITAT 6230* - FORMAZIONI ERBOSE DA NARDUS, RICCHE DI SPECIE, SU SUBSTRATO SILICEO DELLE ZONE MONTANE
129
2.3.9. HABITAT 6430 - BORDURE PLANIZIALI, MONTANE E ALPINE DI MEGAFORBIE IDROFILE
131
2.3.10. HABITAT 7110* - TORBIERE ALTE ATTIVE
133
2.3.11. HABITAT 7140 - TORBIERE DI TRANSIZIONE E INSTABILI
135
2.3.12. HABITAT 8110 - GHIAIONI SILICEI DEI PIANI MONTANO FINO A NIVALE
137
2.3.13. HABITAT 8120 “GHIAIONI CALCAREI E SCISTO-CALCAREI MONTANI E ALPINI”
139
2.3.14. HABITAT 8210 “PARETI ROCCIOSE CALCAREE CON VEGETAZIONE CASMOFITICA”
141
2.3.15. HABITAT 8220 “PARETI ROCCIOSE SILICEE CON VEGETAZIONE CASMOFITICA”
142
2.3.16. HABITAT 8340 “GHIACCIAI PERMANENTI”
143
2.3.17. HABITAT 9410 “FORESTE ACIDOFILE MONTANE E ALPINE DI PICEA”
144
2.3.18. HABITAT 9420 “FORESTE ALPINE DI LARIX DECIDUA E/O PINUS CEMBRA”
146
2.4. ESIGENZE ECOLOGICHE DELLE SPECIE FLORISTICHE DI INTERESSE COMUNITARIO
148
2.4.1. PREMESSA
148
2.4.2. CYPRIPEDIUM CALCEOLUS
148
2.4.3. DREPANOCLADUS VERNICOSUS
150
2.5. HABITAT E ESIGENZE ECOLOGICHE DELLE SPECIE FAUNISTICHE DI INTERESSE COMUNITARIO
151
2.5.1. PREMESSA
151
2.5.2. UCCELLI
151
2.5.3. MAMMIFERI
185
2.5.4. ANFIBI E RETTILI
189
2.5.5. ITTIOFAUNA
191
2.5.6. INVERTEBRATI
193
2.6. INDICATORI PER LA VALUTAZIONE DELLO STATO DI CONSERVAZIONE ED EVOLUZIONE DI SPECIE ED HABITAT
194
3. ANALISI SWOT
198
3.1. CORSI D’ACQUA
3.1.1. PUNTI DI FORZA
3.1.2. PUNTI DI DEBOLEZZA
3.1.3. MINACCE
3.1.4. OPPORTUNITÀ
3.2. SISTEMA DEGLI ALPEGGI
3.2.1. PUNTI DI FORZA
3.2.2. PUNTI DI DEBOLEZZA
3.2.3. MINACCE
3.2.4. OPPORTUNITÀ
3.3. ECOSISTEMI FORESTALI SUBALPINI
198
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PIANO DI GESTIONE ZPS IT 2070401 “PARCO NATURALE DELL’ADAMELLO”
PIANO DI GESTIONE SIC IT 2070006 “PASCOLI DI CROCEDOMINI – ALTA VAL CAFFARO”
PIANO DI GESTIONE SIC IT 2070012 “TORBIERE DI VAL BRAONE”
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3.3.1. PUNTI DI FORZA
3.3.2. PUNTI DI DEBOLEZZA
3.3.3. MINACCE
3.3.4. OPPORTUNITA’
3.4. FAUNA
3.4.1. PUNTI DI FORZA
3.4.2. PUNTI DI DEBOLEZZA
3.4.3. MINACCE
3.4.4. OPPORTUNITÀ
3.5. TURISMO E VIABILITA’
3.5.1. PUNTI DI FORZA
3.5.2. PUNTI DI DEBOLEZZA
3.5.3. MINACCE
3.5.4. OPPORTUNITÀ
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4. OBIETTIVO GENERALE DI CONSERVAZIONE E STRATEGIA DI GESTIONE
204
4.1. PREMESSA
4.2. OBIETTIVO GENERALE DI CONSERVAZIONE
4.3. STRATEGIA DI GESTIONE
4.3.1. INDICAZIONI DI ORDINE METODOLOGICO E GESTIONALE SULLA CONSERVAZIONE E VALORIZZAZIONE DELLE RISORSE
NATURALISTICHE, CON SPECIFICO RIFERIMENTO ALLA COMPONENTE VEGETALE.
204
205
206
5. OBIETTIVI SPECIFICI E SCHEDE DI AZIONE
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5.1.
5.2.
5.3.
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5.5.
5.6.
5.7.
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223
INVESTIMENTO IN CONOSCENZA, SPERIMENTAZIONI E MONITORAGGI
CONTENIMENTO DEL DISTURBO DERIVANTE DALLA PRESENZA ANTROPICA
SALVAGUARDIA DEL PASCOLO COME ELEMENTO DI CONSERVAZIONE DELLA BIODIVERSITÀ
RIPRISTINO DELLE CONDIZIONI DI NATURALITÀ NEI CORSI D’ACQUA CAPTATI
MANTENIMENTO DEGLI EQUILIBRI NEGLI ECOSISTEMI FORESTALI
GESTIONE DEI FLUSSI TURISTICI
SOSTEGNO DELLA CONSERVAZIONE DI SPECIE IN STATO NON OTTIMALE
210
6. BIBILIOGRAFIA
226
6.1. PUBBLICAZIONI, ARTICOLI E MANUALI
6.2. PIANI DI GESTIONE, FORMULARI RN 2000 E ALTRI MANUALI
6.3. SITI CONSULTATI
226
227
228
Terra Viva studio agroforestale – via del Carmine 2A, 27029 Vigevano (Pv)
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PIANO DI GESTIONE ZPS IT 2070401 “PARCO NATURALE DELL’ADAMELLO”
PIANO DI GESTIONE SIC IT 2070006 “PASCOLI DI CROCEDOMINI – ALTA VAL CAFFARO”
PIANO DI GESTIONE SIC IT 2070012 “TORBIERE DI VAL BRAONE”
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INDICE DELLE FIGURE
Figura 1.1: Analisi della biodiversità per fasce altitudinali ................................................................................................. 31
Figura 1.2: Estratto Tavola A “Ambiti geografici e Unità Tipologiche di Paesaggio” PTPR (fuori scala) ......................... 67
INDICE DELLE TABELLE
Tabella 1.1.: Complessi e unità-ambiti di peculiarità morfo-paesistica ............................................................................ 12
Tabella 1.2.: Stato dei ghiacciai del Settore dell’Adamello (rilievi agosto 2008, Servizio Glaciologico Lombardo) ........ 15
Tabella 1.3.: Estensione delle classi DUSAF 3.0 nel territorio della ZPS ........................................................................... 21
Tabella 1.4.: Matrice di corrispondenza fra Classi DUSAF 3.0 e macro-classi/biotopi ..................................................... 21
Tabella 1.5.: Estensione delle macro-classi/biotopi nel territorio della ZPS .................................................................... 22
Tabella 1.6.: Indici strutturali calcolati per le macro-classi/biotopi.................................................................................. 23
Tabella 1.7.: Occorrenze di contatto fra macro-classi – Valori percentuali ...................................................................... 26
Tabella 1.8.: Analisi altimetrica delle macro-classi/biotopi .............................................................................................. 30
Tabella 1.9: Tipi forestali presenti nella ZPS ...................................................................................................................... 42
Tabella 1.10: Caratteri differenzianti le peccete subalpine da quelle montane, Mayer e Ott (1991) e Ott (1994) ......... 46
Tabella 1.11: Unità di paesaggio nel Parco dell’Adamello ................................................................................................ 68
Tabella 1.12: Habitat di interesse comunitario nel SIC di Crocedomini .......................................................................... 109
Tabella 1.13: Habitat di interesse comunitario nel SIC delle Torbiere di Val Braone ..................................................... 111
Tabella 2.1: Matrice di Valutazione dello stato di conservazione degli habitat di interesse comunitario .................... 114
Tabella 2.2: Matrice di Valutazione dello stato di conservazione delle specie di interesse comunitario...................... 116
Tabella 2.3: Indicatori per la valutazione dello stato di conservazione ed evoluzione di habitat e specie ................... 197
Tabella 5.1: Coerenza tra obiettivo generale, obiettivi specifici e azioni di piano ......................................................... 223
Tabella 5.2: Tabella sinottica delle azioni di piano .......................................................................................................... 225
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PIANO DI GESTIONE ZPS IT 2070401 “PARCO NATURALE DELL’ADAMELLO”
PIANO DI GESTIONE SIC IT 2070006 “PASCOLI DI CROCEDOMINI – ALTA VAL CAFFARO”
PIANO DI GESTIONE SIC IT 2070012 “TORBIERE DI VAL BRAONE”
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1. QUADRO CONOSCITIVO
1.1.
INQUADRAMENTO BIOGEOGRAFICO
Il Parco dell’Adamello occupa una superficie di 51.000 ha ed interessa 16 Siti appartenenti a Rete
Natura 2000, la Zona Protezione Speciale IT2070401 “Parco Naturale Adamello”, che si estende su
un’area di 21.722,00 ha e 15 Siti di Importanza Comunitaria, di cui 11 compresi all'interno della
citata ZPS. La superficie occupata dai SIC ammonta a 21.735,2 ha, di cui 21.293,00 ricadenti in ZPS.
All’interno dei siti citati è stata segnalata la presenza di 20 habitat di interesse comunitario, di cui 4
di interesse prioritario, di questi habitat 17 interessano la ZPS occupandone una superficie
complessiva di 8.683,66 ha.
Si elencano di seguito i SIC ricadenti nella ZPS “Parco Naturale Adamello”, distinguendo tra i siti
totalmente ricompresi nella ZPS e quelli i cui confini travalicano l’area protetta. Successivamente
sono riportati anche i SIC estranei alla stessa.
A. In particolare i seguenti cinque SIC sono interamente ricompresi nel territorio della ZPS
·
·
·
·
·
SIC
SIC
SIC
SIC
SIC
IT2070001 “Torbiere del Tonale”
IT2070003 “Val Rabbia e Val Gallinera”
IT2070004 “Monte Maser – Corni di Bos”
IT2070008 “Cresta Monte Colombè – Cima Barbignaga”
IT2070013 “Ghiacciaio dell’Adamello”
B. I seguenti sei SIC, invece, ricadono parzialmente nella ZPS:
·
·
·
·
·
·
SIC
SIC
SIC
SIC
SIC
SIC
IT2070006 “Pascoli di Crocedomini – Alta Val Caffaro”
IT2070005 “Pizzo Badile – Alta Val Zumella”
IT2070007 “Vallone del Forcel Rosso”
IT2070009 “Versanti dell’Avio”
IT2070010 “Piz Olda – Val Malga”
IT2070012 “Torbiere di Val Braone”
C.
·
·
·
·
Siti di Importanza Comunitaria localizzati al di fuori dei confini della ZPS:
SIC IT2070002 “Monte Piccolo – Monte Colmo”
SIC IT2070011 “Torbiera La Goia”
SIC IT2070014 “Lago delle Pile”
SIC IT2070023 “Belvedere – Tri Plane”
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1.2.
DESCRIZIONE FISICA
1.2.1. LOCALIZZAZIONE E DESCRIZIONE DEI CONFINI GEOGRAFICI
La ZPS “Parco Naturale Adamello” comprende un’area di 21.722,00 ettari, con un’altitudine che va
da 1.000 a 3.539 m s.l.m.. L’elevato scarto altimetrico esistente tra la quota minima e la massima
del sito determina notevoli variazioni climatiche che, unitamente alla diversificazione litologica,
influenzano in struttura, composizione e distribuzione tutti gli ambienti della ZPS.
La ZPS appartiene alla regione bio - geografica alpina ed appare interamente compresa nella
Provincia di Brescia e localizzata nella sua porzione settentrionale, sul versante sinistro della Valle
Camonica, all’interno delle Alpi Retiche. La stessa coincide sostanzialmente con la porzione del
territorio classificata a Parco Naturale ed occupa una percentuale del Parco dell’Adamello del
42,6% estendendosi da Ponte di Legno a Prestine ed interessando i comuni di Braone, Breno,
Cedegolo, Ceto, Cevo, Cimbergo, Edolo, Niardo, Paspardo, Ponte di Legno, Temù, Saviore
dell’Adamello, Sonico, Vezza d’Oglio, Vione.
Il settore settentrionale della ZPS si caratterizza per la presenza del ghiacciaio dell’Adamello, il più
vasto d’Italia, mentre il settore meridionale è contraddistinto dalla dolcezza del paesaggio, con
vaste praterie, e dall’elevata ricchezza floristica che fa di quest’area uno degli ambiti di maggiore
interesse botanico delle Alpi.
Di seguito vengono descritti gli aspetti litologico, geologico ed idrografico ripresi, per la parte di
interesse del presente Studio, dal Rapporto Ambientale della Valutazione Ambientale Strategica
della IV Proposta di Variante del Piano Territoriale di Coordinamento del Parco Regionale. La
descrizione del clima è tratta dalla Relazione tecnica illustrativa del Piano di Settore Agricolo del
Parco.
1.2.2. ASPETTI LITOLOGICI E GEOMORFOLOGICI
1.2.2.1.
Caratteri litologici e geomorfologici
“A differenza degli altri complessi montuosi di origine sedimentaria appartenenti alle Alpi
Meridionali, le rocce costitutive del Gruppo dell'Adamello hanno origine magmatica, intrusiva. Il
processo di raffreddamento dei "plutoni" magmatici penetrati nelle fratture di rocce preesistenti più
superficiali ha avuto inizio circa 42 milioni di anni fa, a partire dalla zona del Monte Re di Castello ed
è terminata, estendendosi verso nord (Monte Presanella), circa 29 milioni di anni fa.
I tipi principali di rocce magmatiche presenti nel massiccio adamellino sono i seguenti:
- quarzodioriti (Monte Adamello, Monte Avio);
- tonaliti a grana grossa (Corno Baitone, Val Miller, Val Salarno, Valle Adamé);
- granodioriti (Monte Re di Castello, Cima Laione, Cima Terre Fredde, Alta Valle di Stabio).
Il magma, in risalita, ha metamorfosato "per contatto" le preesistenti rocce di origine sedimentaria,
derivanti da antiche barriere coralline, di cui oggi rimangono significativi resti solamente nella
porzione meridionale del Parco, in particolare in Val Fredda e Val di Cadino. Calcari e dolomie sono
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stati trasformati in marmi saccaroidi e calcefiri (Corna Bianca), mentre nella parte più settentrionale
del Parco le arenarie sono state metamorfosate in granati (Corno delle Granate).
I calcari puri si sono trasformati in marmi, i materiali argillosi in rocce microcristalline con frattura
scheggiosa (usate tradizionalmente come piòde per coprire gli edifici rurali in Valle Camonica) o in
formazioni cristalline che contengono minerali accessori come miche e granati.
Il territorio in esame è stato strutturato, nel suo attuale assetto, da due grandi eventi: l’orogenesi
alpina e le glaciazioni.
L’orogenesi alpina può essere definita come una serie complessa di processi geologici, riconducibili ai
movimenti crostali della tettonica a zolle, che con un processo iniziato oltre 200 milioni di anni fa in
ambiente oceanico, si è sviluppato a partire da circa 40 milioni di anni fa con le prime compressioni
che, negli ultimi 30 milioni di anni, con progressivi corrugamenti, hanno portato alla formazione
della catena alpina.
Le glaciazioni, con i loro 5 cicli di espansione e ritiro delle coltri, hanno determinato il modellamento
delle valli, la formazioni di laghi e colline e contribuito in modo determinante all’interrimento
dell’ambiente marino e palustre della pianura padana. Alle glaciazioni vanno pure ricondotte alcune
paleofrane.
I processi geomorfici recenti si manifestano soprattutto con frane ed erosioni. Le prime, presenti in
numero di oltre 1.200 nel territorio provinciale, sono distribuite prevalentemente nell’aureola
metamorfica circostante l’Adamello, laddove si riscontrano i fenomeni di maggiori proporzioni. Le
erosioni si manifestano soprattutto lungo i corsi d’acqua montani, dove il fondovalle è ampio e dove
il deposito di materiali ha generato imponenti conoidi.
Ai fini della caratterizzazione della morfologia del territorio risultano particolarmente rilevanti, oltre
agli affioramenti litoidi, le differenti forme di depositi superficiali, comprendendo i depositi detritici,
gli accumuli di frana, i depositi fluviali e fluvioglaciali, i depositi lacustri, i depositi glaciali, i depositi
eolici e i depositi eluviali e colluviali.
Depositi detritici
Sono costituiti dai seguenti elementi.
- Detrito non colonizzato da vegetazione: deposito situato in ampie fasce alle basi delle pareti
rocciose, derivante dall’accumulo del materiale che cade da quest’ultime per gravità. È costituito da
blocchi, ciottoli e ghiaia a clasti spigolosi di natura simile alla roccia da cui si sono distaccati.
Pendenza generalmente intorno a 30-33°. Permeabilità elevata.
- Detrito parzialmente colonizzato da vegetazione: analogo al precedente, ma parzialmente
colonizzato da vegetazione pioniera. Permeabilità elevata.
- Detrito colonizzato da vegetazione: analogo al precedente, ma colonizzato da vegetazione
arbustiva o arborea. Permeabilità elevata.
- Detrito cementato e crostoni di falda: falde di detrito a ciottoli spigolosi, cementati fra loro in lenti
discontinue generalmente parallele al pendio su cui poggiano. Permeabilità elevata.
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Accumuli di frana
Sono costituiti dai seguenti elementi.
- Accumulo di frana di crollo: accumulo detritico grossolanamente eterometrico derivato dal distacco
repentino e improvviso di materiale lapideo dalle scarpate rocciose, costituito da pezzami
accatastati con scarsa matrice limosa. Permeabilità elevata.
- Accumulo di frana di scivolamento non colonizzato da vegetazione: accumulo di materiale sciolto,
franato in tempi recenti dal pendio soprastante a causa di fenomeni di scivolamento,
scoscendimento, colamenti. Abbondante matrice limoso-argillosa con pezzami lapidei
disordinatamente diffusi. Permeabilità da media a bassa.
- Accumulo di paleofrana: accumulo di materiale eterogeneo con abbondante matrice limoso
argillosa e pezzami lapidei disordinatamente diffusi, colonizzato da vegetazione derivante da antichi
fenomeni franosi.
Depositi fluviali e fluvioglaciali
Sono costituiti dai seguenti elementi.
- Cono di deiezione e delta lacustre: accumulo a forma di ventaglio più o meno ampio di materiale
alluvionale, depositato generalmente allo sbocco degli affluenti nel corso d’acqua più importante.
È dovuto al brusco cambiamento di pendenza del fondovalle della valle secondaria rispetto a quella
principale. Permeabilità elevata.
- Alluvione attuale: materiale soggetto ad erosione, trasporto e deposito per azione delle acque
correnti attuali costituente gli alvei dei corsi d’acqua. È costituito da ghiaie grossolane e clasti più o
meno arrotondati, con lenti di ghiaie e sabbie.
- Alluvione recente: depositi d’ambiente continentale, per lo più sciolti, a granulometria grossolana
ed estremamente permeabili. Possono contenere livelli di suoli sepolti. Permeabilità da media a
elevata.
- Alluvione antica terrazzata: depositi posti ai fianchi delle valli a diversa altezza, non più
raggiungibili dalle piene del fiume. Sono costituiti da materiali stabilizzati sui quali si è formato un
suolo, sono generalmente sede di colture. Permeabilità da media a bassa.
- Deposito fluvioglaciale: accumuli potenti, in genere terrazzati, di varia origine, costituiti da clasti
eterometrici, arrotondati, poligenici immersi in matrice limoso-argillosa, abbastanza consistente.
Permeabilità da media a bassa.
Depositi lacustri
Sono costituiti dai seguenti elementi.
- Deposito lacustre: alternanza di livelli argillosi, limosi, sabbiosi, sottilmente stratificati.
Permeabilità media.
- Deposito torboso: deposito costituito da materiale organico mineralizzato (torba), correlabile a
bacini lacustri d’acque basse in fase d’interramento.
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Depositi glaciali
Sono costituiti dai seguenti elementi
- Morena stadiale (attuale): deposito costituito in prevalenza da materiale grossolano con ciottoli,
ghiaie e massi, con poco legante fine, asportato dalle acque di fusione del ghiacciaio.
Permeabilità elevata.
- Deposito morenico: accumulo marcatamente eterogeneo di ghiaie, ciottoli e massi con matrice
sabbioso-limosa in quantità variabile, solo localmente superiore alla quantità dei clasti, deposto dai
ghiacciai. Permeabilità da media a bassa.
Depositi eolici
Sono costituiti dai Depositi loessici, ovvero depositi di materiali fini, mediamente cementati di colore
variabile dal giallo-ocra al rossastro, di origine eolica, con permeabilità bassa.
Coltre eluviale colluviale
È costituita dai seguenti elementi.
- Deposito eluviale: tratto d’alterazione in posto della roccia ad opera soprattutto della
disgregazione fisico-meccanica, a cui concorrono principalmente i fattori climatici. Si sviluppa con
una frammentazione in blocchi spigolosi che, via via disfacendosi, ricoprono poi il versante con una
coltre terrigena spesso vegetata. Permeabilità da media a bassa.
- Deposito eluvio-colluviale: deposito costituito da sabbie e limi, con sparsi frammenti delle rocce che
compongono la roccia madre. Deriva sia dall’alterazione in posto del substrato che da materiale
derivato dal disfacimento del substrato roccioso e trasportato in luogo diverso da quello di origine.
Permeabilità bassa.
- Deposito colluviale: deposito costituito da materiale derivato dal disfacimento del substrato
roccioso trasportato in luogo diverso da quello d’origine. Costituisce fasce di raccordo tra collina e
pianura. È generato dal dilavamento delle particelle più fini (argillose), che si accumulano al piede
del pendio, dando luogo a morfologie dolci. Permeabilità bassa.
Gli elementi di maggiore caratterizzazione geomorfologica del territorio rinvenuti all’interno del
territorio del Parco, sia in atto sia quiescenti, sono generalmente riconducibili alla presenza di:
- forme di denudazione: frane e relative nicchie, orli di scarpate in erosione accelerata, solchi di
ruscellamento, forme di soliflusso, ecc.;
- forme fluviali: coni di deiezione, terrazzi alluvionali, fenomeni di erosione sia di letto che di sponda,
ecc.;
- forme glaciali e crionivali: colate, corridoi di valanga, cuscinetti erbosi, circhi e cordoni morenici,
massi erratici, ecc.;
- forme carsiche: doline, grotte, inghiottitoi, ecc.;
- forme di intervento antropico: cave, aree di deposito materiali, ecc.”
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1.2.2.2.
Ambiti di peculiarità morfo-paesistica
“Nell’ambito degli studi preliminari alla redazione del Piano del Parco, il territorio del Parco
dell’Adamello è stato suddiviso in ambiti di peculiarità morfo-paesistica, ovvero in aree nelle quali
uno o più fattori geologico-morfologici assumo un ruolo tale da caratterizzare il paesaggio
morfologico al loro interno e da indurvi problematiche geologico-ambientali simili. In particolare,
sono state analizzate nel dettaglio le componenti connesse con l'inclinazione dei versanti, le forme
del rilievo, i processi geomorfici in atto e la presenza di paleoforme ereditate da processi
morfoclimatici passati.
Sono quindi stati individuati sei complessi morfologico-paesistici fondamentali, ciascuno dei quali è
stato ulteriormente suddiviso in unità-ambiti ritenute elementi non ulteriormente scindibili di
caratterizzazione del territorio.”
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Tabella 1.1.: Complessi e unità-ambiti di peculiarità morfo-paesistica
1.2.2.3.
Elementi litologici e geomorfologici di maggiore rilievo
“Nel complesso le forme morfologiche e le caratteristiche litologiche e mineralogiche di maggiore
rilievo per il territorio del Parco dell’Adamello sono:
- forme di modellamento glaciale: circhi, conche di sovraescavazione glaciale, laghetti o aree umide,
platee rocciose montane, morene e circhi glaciali, scarpate morfologiche;
- forme carsiche superficiali: doline ed inghiottitoi (passo Sebbione di Croce);
- rocce terziarie eruttive del Plutone dell'Adamello a contatto con rocce del basamento cristallino
morfologico e con formazioni non metamorfosate permiane e triassiche;
- rocce intrusive del Plutone dell'Adamello e strutture delle rocce periferiche che mostrano
meccanismi di intrusione e modificazioni subite dalle rocce sedimentarie precedenti;
- presenza di particolari strutture tettoniche ed intrusioni (Pizzo Badile, Val di Stabio, M.te Frerone,
Val Bona);
- zolle permo-triassiche isolate o continue nella massa intrusiva con trasformazioni e modificazioni
della roccia originaria, quali fusione e ricristallizzazione, pieghe degli strati, iniezioni letto a letto
(Passo Val Fredda, M.te Cadino, Cima Rossola, Passo Forcel Rosso, M. Maser, Lago di Bos, Passo di
Campo);
- fenomeni erosivi evidenzianti il sollevamento delle rocce sedimentarie ad opera del magma
plutonico (Pizzo Badile, Cima Rossola, Passo Sebbione di Croce, Val Cadino, Val Malga);
- forme filoniane irradiantesi dalla massa intrusiva principale nelle rocce sedimentarie circostanti,
anche a distanze notevoli (Braone, Val Blumone, Val di Fa);
- forme filoniane successive differenziate nella stessa massa intrusiva (Lago della Vacca, M. Listino,
Passo Dernal, Lago Baitone, Passo del Gatto);
- differenziazioni chimico-mineralogiche nella massa intrusiva (tonaliti, granodioriti, dioriti, gabbri);
- presenza di mineralizzazioni in corrispondenza dell'aureola metamorfica di contatto con le rocce
sedimentarie triassiche (zona sud del Parco) o con le rocce del basamento scistoso-cristallino (zona
nord del Parco).
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Tra le zone di maggior interesse dal punto di vista morfologico e litologico si ricordano: Bazena, Val
Fredda, Castone di Val Bona, Lago della Vacca, Cornone di Blumone, Valli di Fa e Cobello, Dosso degli
Areti, M. Frerone, zona del Pizzo Badile, Laghi Gelati, Val Seria.”
1.2.2.4.
Ghiacciai
“Una trattazione separata merita il sistema dei ghiacciai e delle nevi perenni del Parco, che è
interessato dalla presenza del più grande ghiacciaio italiano, quello dell’Adamello.
In termini generali, attualmente è in atto un intenso regresso glaciale su tutta la catena alpina, con
la conseguente forte riduzione o addirittura l’estinzione dei ghiacciai di più piccole dimensioni (con
superficie inferiore a 1 km2), con la frammentazione di quelli maggiori e con una rapida
trasformazione del paesaggio dell’alta montagna.
Anche il ghiacciaio dell’Adamello negli ultimi anni ha subito una significativa contrazione, passando
dai 18,8 km2 dell’anno 1981, ai 18,1 km2 dell’anno 1991 e quindi ai 17,4 km2 dell’anno 1999, per
giungere ai 16,7 km2 dell’anno 2003.
La riduzione della copertura dei ghiacciai determina, al contempo, una significativa modificazione
paesaggistica del territorio. In particolare, le principali variazioni morfologiche che si possono
riscontrare sono:
- aumento della copertura detritica superficiale, anche a causa di grandi frane: nel gruppo
dell’Adamello si segnala il Bompià e il Venerocolo (che è il maggiore ghiacciaio lombardo tipo debris
covered, ovvero con la lingua completamente ricoperta di detrito);
- formazioni presso le fronti di laghi di contatto glaciale, spesso effimeri: nel gruppo dell’Adamello il
Pisgana ovest;
- emersione di finestre rocciose in rapido ampliamento che interrompono la continuità delle colate
glaciali e ne predispongono la frammentazione in più apparati distinti: nel gruppo dell’Adamello è il
caso del Pisgana ovest, dell’Avio est e del Pian di Neve.
In particolare, nella tabella seguente sono riportati i risultati della campagna di indagine effettuata
nel 2008 sui ghiacciai delle Alpi centrali ad opera del Servizio Glaciologico Lombardo, ovviamente
limitatamente alla zona di interesse, ovvero al Settore dell’Adamello.”
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Tabella 1.2.: Stato dei ghiacciai del Settore dell’Adamello (rilievi agosto 2008, Servizio Glaciologico Lombardo)
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1.2.3. SISTEMA IDROGRAFICO
“Il territorio del Parco occupa il versante orografico sinistro della Media e Alta Valle Camonica,
comprendendo quindi una parte del bacino idrografico del Fiume Oglio e dei suoi affluenti.
Tutto il territorio è caratterizzato dall’abbondanza di acque, originate dai grandi ghiacciai presenti e
dalle sorgenti appartenenti al bacino idrografico del Fiume Oglio, che si sviluppano in torrenti di
varie dimensioni e in laghi localizzati soprattutto in alta quota.
Il corso dell’Oglio si estende in direzione Nord-Sud, circondato da importanti gruppi montani (OrtlesCevdale, Adamello, Sistema Campiello, Re di Castello, Listino, Frerone, Orobie bresciane),
percorrendo la Val Camonica per circa 80 km; nasce a 1.380 m s.l.m. dalla confluenza del Torrente
Frigidolfo e del Torrente Narcanello, nei pressi di Ponte di Legno e si immette nel Lago di Iseo a
quota 185 m s.l.m.. Una parte del suo bacino imbrifero è costituita da aree glaciali perenni.
Fra gli affluenti principali in sponda orografica sinistra, compresi nel Parco, da monte verso valle, si
evidenziano: il T. Avio, T. Vallaro, T. Paghera, T. Moriana, T. Val Finale, T. Remulo, T. Zazza, T. Poja,
T. Tredenus, T. Figna, T. Palobbia, T. Re di Niardo, T. Val di Fa, T. Degna.
Il regime idrologico è tipicamente alpino, anche se l’andamento delle portate presenti negli alvei del
corso principale e dei torrenti laterali è costantemente regolato dall’attività di derivazione a scopo
idroelettrico.
Le caratteristiche del bacino dell’Oglio e delle sue acque cambiano in maniera rilevante scendendo
da monte verso valle; è quindi utile, al fine di descrivere i principali elementi distintivi, suddividere il
territorio appartenente al Parco dell’Adamello in alcuni tratti omogenei:
1. il tratto da Ponte di Legno a Edolo, in cui è presente una discontinuità artificiale costituita dalla
presenza della traversa idroelettrica di Temù;
2. il tratto da Edolo a Cedegolo, delimitato verso valle dalla traversa idroelettrica di Cedegolo;
3. il tratto da Cedegolo a Cividate Camuno, oltre il quale il Fiume Oglio non ha più rapporti con il
territorio del Parco.
Il bacino dell’Oglio risulta caratterizzato, oltre che dall’asta principale che solca la Val Camonica,
dalla presenza, soprattutto nel massiccio dell’Adamello, di numerosi laghi, la maggior parte dei quali
è alimentata direttamente dalle acque di fusione dei ghiacciai e occupa conche scavate dai ghiacci o
sbarrate da materiale morenico abbandonato dal flusso glaciale. Molti dei laghi antichi si sono nel
tempo trasformati, in modo naturale mediante riempimento con ghiaie e sabbie, in piani a pascolo.
Molti altri ancora, grazie ad idonee caratteristiche di ubicazione geografica e di litologia delle rocce,
sono stati trasformati in bacini idroelettrici, attraverso la chiusura con dighe in grado di aumentarne
la capacità naturale d’invaso. Lo sfruttamento idroelettrico ha causato la sostituzione dei laghi
naturali con bacini artificiali, oltre ad aver causato la sommersione di estesi pianori torbosi di
fondovalle che, a loro volta, rappresentavano ex bacini lacustri interrati.
I principali invasi artificiali presenti sul territorio, di proprietà dell’Enel, sono fra loro collegati con
condotte sotterranee, al fine di sfruttare al massimo la risorsa idrica in più salti, prima di restituirla
al Fiume Oglio. La conca del Baitone ospita il maggior numero di laghi: Lago Baitone (2.281 m
s.l.m.), Lago Rotondo (2.442 m s.l.m.), Lago Bianco, Lago Premassone (2.512 m s.l.m.), Lago Lungo
(2.519 m s.l.m.), Lago Verde (2.482 m s.l.m.), Laghi Gelati (2.761 e 2.783 m s.l.m.). L’altro sistema di
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laghi è quello che si trova dalla parte della Val d’Avio: Lago d’Avio (1.900 m s.l.m.), Lago Benedetto
(1.929 m s.l.m.), Laghetto d’Avio (1.869 m s.l.m.), Lago Pantano (2.378 m s.l.m.), Lago Venerocolo
(2.535 m s.l.m.) e Laghetto dei Frati (2.605 m s.l.m.). In ultimo va citato il Lago d’Arno (1.816 m
s.l.m.), il bacino di più grandi dimensioni, localizzato in Val Ghilarda, che confluisce nel Torrente Poja
della Val Saviore.
I laghi oggetto di invaso a scopo idroelettrico possono essere schematizzati in due sistemi principali,
proprio in relazione ai collegamenti idraulici che li caratterizzano al fine dello sfruttamento
energetico:
1. il Sistema Avio: coinvolge principalmente il Bacino della Val d’Avio con i serbatoi Avio, laghetto
d’Avio, Benedetto, Pantano, Venerocolo, in esso sono immesse anche le acque convogliate in galleria
da due diverse prese, situate rispettivamente in Val Narcanello e nella Valle dell’Aviolo;
2. il Sistema Poglia: coinvolge due gruppi di valli, quello che fa capo alla Val Malga, lungo la quale
scorre il Torrente Remulo, e quello della Val Saviore, percorsa dal Torrente Poja; appartengono al
bacino idrografico della Val Malga, la Conca del Baitone e la Val Miller, mentre alla Val Saviore
fanno capo le valli Salarno, Adamè e Arno; le opere idrauliche di Baitone, Miller, Salarno- Dosazzo,
Adamè e Arno sono rispettivamente situate a quote decrescenti.”
1.2.4. CLIMA
“Dal punto di vista climatico, in senso generale ci si trova in una tipica vallata del settore
meridionale delle Alpi Centrali, con direttrice principale Nord Sud, caratterizzata da una spiccata
continentalizzazione del clima soltanto nella parte più alta a monte di Edolo, ove il raffreddamento e
la ridotta umidità residua delle correnti locali determina condizioni climatiche decisamente più
fredde rispetto alla media e bassa valle.
Il grande divario altimetrico tra le zone di fondovalle e quelle di versante, fino al piano cacuminale,
genera inoltre mesoclimi molto diversi, non solo in relazione al fattore altimetrico ma anche e
soprattutto per effetto dell’esposizione dei versanti delle numerose valli secondarie che solcano il
territorio in direzione Est-Ovest (Valle delle Valli, Val Paghera di Ceto, Val Saviore, Val Malga di
Sonico).
Questo tende a differenziare inoltre situazioni microclimatiche particolari che risultano fortemente
condizionate dall’orografia locale.
Il regime termico, ben documentato negli annali idrologici del MLLPP dal 1921 al 1951, cui hanno
fatto seguito registrazioni piuttosto discontinue e disomogenee, mette in mostra comunque
temperature assai variabili per le diverse stazioni di rilevamento considerate, dalle quali si evince in
tutti i casi un andamento abbastanza favorevole alla coltivazione agraria lungo tutta la fascia
pedemontana interessante in parte anche il parco, almeno fino ad una quota di 800-1000 m nei
versanti meglio esposti da Edolo in giù.
Si può senz’altro ritenere che l’effetto mitigatore delle correnti ascensionali caldo-umide provenienti
dalla Pianura Padana e dal Lago d’Iseo abbia il suo effetto almeno fino all’abitato di Edolo (ca 700 m
slm), in particolare per le postazioni pedemontane a esposizione Sud e SW, a partire da Mu, Sonico,
Rino, scendendo verso Berzo-Demo, Monte, Andrista di Cevo, Grevo, Paspardo e Cimbergo, fino alle
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stazioni senz’alcun dubbio più favorevoli del settore più meridionale del Parco, quali Nadro, Ceto,
Braone, Niardo, Pescarlo, Astrio, Prestine.
In tutto questo orizzonte climatico, grosso modo identificabile con la fascia fitoclimatica del
Castanetum sottozona fredda, trovano ambiente adatto varie colture agrarie già ampiamente
diffuse in passato, oggi meno estese soprattutto per questioni di resa produttiva e di dimensione
aziendale. Tra di esse certamente la vite è quella che segna, più d’ogni altra, il termine di passaggio
tra gli ambienti comunque più caldi e quelli ove la persistenza delle basse temperature comincia a
tradursi in fattore limitante, tant’è che questo tipo di coltivazione si è mantenuta oggi, all’interno
del parco, soltanto in alcuni particolari settori, generalmente caratterizzati da forte irradiazione
solare (ad es. Niardo, Ceto, Andrista).
In tutta la fascia pedemontana intorno alla quale si concentrano le coltivazioni agrarie, si hanno
medie dei minimi che si aggirano intorno ai –10, -12 °C in corrispondenza del mese più freddo, cui si
accompagnano medie dei massimi variabili dai 28 ai 20 °C per il mese più caldo.
Anche il regime udometrico è ampiamente documentato da una serie di rilevazioni che hanno messo
in evidenza una piovosità media annua variabile dai 900 mm/anno fino ai 1500-1600 mm/anno, pur
se la distribuzione delle precipitazioni, soprattutto negli ultimi anni, vede un continuo alternarsi di
annate a regime subsolstiziale estivo-primaverile con altre a regime subequinoziale primaverile.
Il dato certo è la costante diminuzione delle quantità di pioggia, rilevate per le diverse stazioni
pluviometriche, a mano a mano che si risale la valle, fino ad ottenere isoiete al minimo in
corrispondenza dell’alta Valle in zona Ponte di Legno; a mano a mano che si sale in quota
l’abbondanza di precipitazioni è invece fortemente condizionata dall’orografia locale, così che si
hanno massimi valori assoluti di piovosità in corrispondenza delle testate montuose delle vallate
trasversali che fermano per prime le correnti ascensionali caldo umide provenienti dalla zona del
Sebino (Crocedomini-Bazena, Zumella-Tredenus, Pian della Regina).
Per quanto riguarda la permanenza del manto nevoso, questo risulta fortemente condizionato
dall’orografia locale (esposizione innanzi tutto, ma anche acclività, esposizione ai venti locali, effetto
massa) pur se si rileva, in senso generale, una sensibile differenziazione al di sopra del cosiddetto
orizzonte altimontano, identificabile in linea di massima con i 1.500-1.600 m di quota.
Tali variabili climatiche risultano espresse inequivocabilmente anche dalla vegetazione spontanea
presente, capace di esprimere più d’ogni rilievo il timbro oceanico o più marcatamente continentale
di un clima locale, così come la presenza di stazioni termofile in cui possono trovare condizioni
idonee di vegetazione elementi di impronta spiccatamente submediterranea (quest’ultima
espressione della vegetazione è rilevabile soprattutto nella bassa Valle Camonica, in stazioni fuori
Parco la cui presenza è però di rilievo ai fini dell’inquadramento climatico generale della zona). “
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1.3.
LA RETE ECOLOGICA DELLA ZPS DELL’ADAMELLO
1.3.1. PREMESSA METODOLOGICA
Un importante apporto per la valutazione ecologica del territorio è l’impiego dei principi
dell’ecologia del paesaggio, la Landscape Ecology. Essa permette di valutare i rapporti fra ecosistemi
diversi, facenti parte di un unico macroecosistema, il paesaggio/ecomosaico, in termini di struttura
e conseguenti flussi energetici, come trasferimenti di popolazioni di vegetali e di animali. Questa
analisi strutturale del paesaggio offre indicazioni sulla biodiversità e predisposizione ad evoluzione
ecosistemiche più o meno stabili del sistema. Questo approccio è particolarmente valido nel caso di
analisi territoriali d’area vasta come nel caso in questione. In tal modo l’approccio gestionale alle
situazioni locali deriva da una visione sistemica in cui ogni elemento è descritto per il ruolo che
svolge in relazione all’intera rete ecologica in cui è inserito.
Lo scopo di questa elaborazione, infatti, è quella di costituire la base conoscitiva per una più
pertinente ed efficace formulazione delle proposte gestionali. Queste devono necessariamente
prendere avvio dall’analisi della realtà ecologica dell’area protetta.
Per l’elaborazione della rete ecologica, un contributo fondamentale è stato apportato dalla
cartografia d’uso del suolo della Regione Lombardia (DUSAF) e in misura minore della Provincia
Autonoma di Trento.
L’analisi si è dapprima concentrata sul territorio della ZPS. La carta d’uso del suolo DUSAF è stata
aggregata in macro-classi, evidenziando i biotopi principali presenti. È stata esaminata la
distribuzione spaziale e la configurazione per ogni biotopo. Per questo scopo sono stati applicati i
principali indici strutturali dell’ecologia del paesaggio, funzionali a caratterizzare ciascun elemento
costitutivo sulla base di dati oggettivi e quantitativi (es: dimensione media di ciascuna tessera). È
stata inoltre valutata la cosiddetta “zonazione catenale”, ovvero è stata calcolata la frequenza con
cui ogni tessera di ogni classe è adiacente alle altre classi.
Il peculiare contesto della ZPS ha quindi indotto a valutare l’assetto strutturale del paesaggio in
funzione del principale fattore ecologico limitante, la temperatura condizionata dall’altitudine e
dall’esposizione. La natura di questo fattore indica come le aree poste alle quote più elevate siano
relativamente più stabili rispetto a quelle più site più in basso. Molto difficilmente l’azione antropica
può alterare gli equilibri climatici di base e comunque a seguito di fenomeni di scala talmente vasta
da travalicare il raggio d’azione del presente Piano di Gestione. Di contro, al decrescere
dell’importanza dei fattori limitanti aumenta il dinamismo degli ecosistemi e la possibilità di
gestione da parte dell’uomo.
Le macro classi DUSAF sono state quindi incrociate con le classi altimetriche derivate dal DTM
elaborato da Regione Lombardia. È stato così possibile identificare la distribuzione altimetrica di
ciascun biotopo e definire la composizione percentuale per ciascuna classe d’altezza.
Questa elaborazione, in particolare, ha permesso di individuare le due matrici ecologiche del
territorio in esame. La matrice è l’elemento dell’ecomosaico più continuo ed esteso. La sua
continuità è interrotta da macchie e corridoi, elementi eterogenei nella struttura del paesaggio,
meno estesi e più frammentari e discontinui. L’identificazione della matrice è importante, in quanto
quest’ultima svolge un ruolo dominante nel funzionamento del sistema-paesaggio (flussi energetici,
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presenza e spostamento delle specie, biodiversità, ecc.). In questo caso si sono identificate due
matrici distinte: forestale e dei sistemi d’alta quota. Al contempo si è evidenziata la presenza di una
zona ecotonale di “incontro” fra queste due matrici. Questa fascia di contatto è anche la porzione di
territorio caratterizzata dal maggior grado di biodiversità ed è composta da tessere di risorsa che si
generano proprio dalla transizione fra le due matrici territoriali.
L’analisi della composizione delle diverse fasce altimetriche ha infine permesso di classificare il
territorio in funzione della prevalenza dei singoli elementi costitutivi della rete ecologica: una zona a
matrice forestale, una zona a matrice dei sistemi d’alta quota e una zona ecotonale di transizione.
Di seguito si riporta con maggior dettaglio il procedimento utilizzato e i risultati ottenuti. Le tabelle
non riportate nella presente relazione sono reperibili nell’appendice.
1.3.2. ANALISI DELL’USO E DELLA COPERTURA DEL SUOLO
Per la definizione della rete ecologica della ZPS è fondamentale analizzare uso e copertura del suolo.
A tale scopo, come già accennato, si è fatto riferimento alle basi di dati ufficiali di Regione
Lombardia ed in particolare al Progetto Destinazione d’Uso dei Suoli Agricoli e Forestali
(comunemente denominata DUSAF) arrivata per la zona d’interesse alla versione 3.0, con
aggiornamento all’anno 2009.
L’intersezione dell’uso del suolo con i confini della ZPS ha restituito un elevato numero di usi diversi
del suolo. Vista l’esigenza di condurre un’analisi a scala vasta si è optato per un accorpamento in un
numero limitato di macro-classi o biotopi. Nelle tabelle seguenti si riportano le superfici delle classi
DUSAF originali, la matrice di corrispondenza e le superfici dei biotopi aggregati.
Classe DUSAF 3.0
Insediamenti industriali, artigianali, commerciali
Tessuto residenziale rado e nucleiforme
Reti stradali e spazi accessori
Insediamenti produttivi agricoli
Tessuto residenziale sparso
Impianti sportivi
Cespuglieti in aree di agricole abbandonate
Impianti tecnologici
Bacini idrici naturali
Spiagge, dune ed alvei ghiaiosi
Prati permanenti in assenza di specie arboree ed arbustive
Prati permanenti con presenza di specie arboree ed arbustive sparse
Boschi misti a densità media e alta
Bacini idrici artificiali
Boschi di conifere a densità bassa
Cespuglieti
Terra Viva studio agroforestale – via del Carmine 2A, 27029 Vigevano (Pv)
Area (ha) Percentuale
0.03
0.00%
0.04
0.00%
0.11
0.00%
0.17
0.00%
0.78
0.00%
1.16
0.01%
1.22
0.01%
3.93
0.02%
38.99
0.18%
48.54
0.22%
50.22
0.23%
51.59
0.24%
95.77
0.44%
305.56
1.41%
384.77
1.77%
476.07
2.19%
20
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Praterie naturali d'alta quota con presenza di specie arboree ed arbustive sparse
Boschi conifere a densità media e alta
Praterie naturali d'alta quota assenza di specie arboree ed arbustive
Cespuglieti con presenza significativa di specie arbustive alte ed arboree
Ghiacciai e nevi perenni
Vegetazione rada
Accumuli detritici e affioramenti litoidi privi di vegetazione
483.96
1292.99
1383.26
1576.40
2263.72
4358.00
8904.96
TOTALE
21722.22
2.23%
5.95%
6.37%
7.26%
10.42%
20.06%
40.99%
Tabella 1.3.: Estensione delle classi DUSAF 3.0 nel territorio della ZPS
Classe DUSAF 3.0
Insediamenti industriali, artigianali, commerciali
Tessuto residenziale rado e nucleiforme
Reti stradali e spazi accessori
Insediamenti produttivi agricoli
Tessuto residenziale sparso
Impianti sportivi
Impianti tecnologici
Bacini idrici naturali
Bacini idrici artificiali
Boschi misti a densità media e alta
Boschi di conifere a densità bassa
Boschi conifere a densità media e alta
Cespuglieti in aree di agricole abbandonate
Cespuglieti
Cespuglieti con presenza significativa di specie arbustive alte ed arboree
Ghiacciai e nevi perenni
Praterie naturali d'alta quota con presenza di specie arboree ed arbustive sparse
Praterie naturali d'alta quota assenza di specie arboree ed arbustive
Prati permanenti in assenza di specie arboree ed arbustive
Prati permanenti con presenza di specie arboree ed arbustive sparse
Spiagge, dune ed alvei ghiaiosi
Accumuli detritici e affioramenti litoidi privi di vegetazione
Vegetazione rada
Macro-classe / Biotopo
Ambienti edificati
Bacini idrici
Boschi
Cespuglieti
Ghiacciai e nevi perenni
Praterie
Prati
Terreni affioranti
Vegetazione rada
Tabella 1.4.: Matrice di corrispondenza fra Classi DUSAF 3.0 e macro-classi/biotopi
Macro-classe / Biotopo
Terreni affioranti
Bacini idrici
Boschi
Cespuglieti
Area (ha)
Percentuale
8953.50
344.54
1773.53
2053.69
41.22%
1.59%
8.16%
9.45%
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Ghiacciai e nevi perenni
Ambienti edificati
Praterie
Prati
Vegetazione rada
2263.72
6.21
1867.21
101.81
4358.00
TOTALE
21722.22
10.42%
0.03%
8.60%
0.47%
20.06%
Tabella 1.5.: Estensione delle macro-classi/biotopi nel territorio della ZPS
I dati sopra riportati fanno emergere alcune prime osservazioni. Di fatto è possibile raggruppare gli
usi del suolo in base alla loro estensione relativa:
- Preponderante è la presenza di aree scarsamente vegetate, tipiche delle zone d’alta quota
(terreni e rocce affioranti, ghiaioni, ghiacciai, nevi perenni), pari a più del 50 % della
superficie della ZPS.
- Marginale in termini quantitativi è la presenza dei bacini idrici (meno del 2%) e dei prati1
(meno dello 0.5%). Quasi del tutto assenti sono le aree edificate, estese per meno dell’uno
per mille della superficie
- I restanti biotopi hanno un’estensione significativa, ancorché non così estesa come le aree
scarsamente vegetate d’alta quota. Boschi, cespuglieti e praterie si attestano intorno al 10%
circa di estensione, mentre la vegetazione rada2 supera di poco il 20%. Questo dato è ancor
più significativo ove lo si legga in relazione al contesto poc’anzi descritto. Sebbene infatti
nessun biotopo preso singolarmente abbia un’estensione paragonabile a quella delle aree
d’alta quota, la loro somma copre poco meno del 50% della ZPS.
- In estrema sintesi è possibile identificare due grandi raggruppamenti di usi del suolo grosso
modo di pari estensione. Da una parte le aree vegetate, differenziate al loro interno in
diverse tipologie, dall’altra le aree prive di vegetazione, riconducibili essenzialmente a nevi e
rocce.
1.3.3. INDICI STRUTTURALI DELL’ECOLOGIA DEL PAESAGGIO
Le classi di uso e copertura del suolo aggregate sono state più approfonditamente indagate
mediante l’applicazione di indici tipici dell’ecologia del paesaggio:
§ Dimensione Media: è calcolata come media semplice della dimensione dei singoli poligoni.
Concorre a definire la struttura dell’ecomosaico: poligoni di dimensioni maggiori, infatti,
mostrano capacita omeostatiche e una distribuzione degli habitat migliore rispetto alle
tessere più piccole, le quali subiscono maggiormente del cosiddetto effetto margine. Questo
dato va chiaramente letto in parallelo alla percentuale di copertura e alla porosità della
matrice per identificare in maniera più chiara l’effettiva struttura della Rete.
1
Con questa classe il DUSAF indica i biotopi erbacei sicuramente di origine antropica. Non deve dunque essere confusa con le praterie, riferite ai
sistemi a più alta quota
2
Questa classe rappresenta un possibile elemento di confusione in quanto non direttamente riconducibile ad un biotopo specifico (cespuglieto, prato,
prateria). La fotointerpretazione a campione e le successive analisi hanno permesso di concludere che si tratta di un biotopo prevalentemente
erbaceo a copertura discontinua, associabile alle praterie d’alta quota, in transizione verso le aree poste ad altitudini più elevate.
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§ Percentuale di Copertura: è calcolata come rapporto fra la sommatoria della superficie di
ciascuna classe rispetto alla superficie totale dell’area di saggio.
§ Porosità: indica la dotazione di poligoni di un determinato territorio. La sua unita di misura è
il n° di poligoni/kmq, ed e calcolata come semplice rapporto fra il numero di poligoni e la
superficie dell’area di studio. Il significato di questo parametro è ovviamente relativo alla
tipologia di uso del suolo considerato
§ Indice di Forma: è calcolato come rapporto fra il perimetro e l’area di ciascun poligono,
secondo la formula proposta da Forman e Godron:
IFi = Perimetroi/2*(√Areai*ƒi)
Il valore complessivo di ogni macro-classe è stato ottenuto tramite una media pesata del
valore i-esimo di ciascun poligono. L’indice di Forma assume valore 1 nel caso di poligoni
circolari, e cresce al crescere della complessità della forma. L’importanza di questo indice è
rilevante poiché racchiude informazioni riguardo alla funzionalità ecologica di ogni elemento
(es: rapporto fra zone ecotonali e interne, interazioni con la matrice, presenza di barriere
all’interno della tessera, ecc…).
I risultati ottenuti sono riportati nella tabella sottostante. Per ogni parametro, i due valori maggiori
sono stati colorati di verde, i due minori di rosso.
Numero di
tessere
Porosità
(n°tesser/100
ha)
Area (ha)
Dimensione
media (ha)
Perimetro
totale (km)
Perimetro
medio (km)
Indice di
Forma
Terreni
affioranti
348
1.602
8953.50
25.73
820.11
2.36
12.98
Bacini idrici
66
0.304
344.54
5.22
43.80
0.66
1.48
Boschi
104
0.479
1773.53
17.05
225.84
2.17
2.61
Cespuglieti
Ghiacciai e nevi
perenni
Ambienti
edificati
200
0.921
2053.69
10.27
382.01
1.91
2.96
22
0.101
2263.72
102.90
72.51
3.30
2.16
13
0.060
6.21
0.48
4.42
0.34
1.85
Praterie
172
0.792
1867.21
10.86
391.06
2.27
5.70
Prati
Vegetazione
rada
69
0.318
101.81
1.48
37.76
0.55
1.73
353
1.625
4358.00
12.35
889.96
2.52
5.77
1347
6.20
21722.22
16.13
6781.65
5.03
Macro-classe /
Biotopo
Totale
Tabella 1.6.: Indici strutturali calcolati per le macro-classi/biotopi
Anche in questo caso è possibile enucleare alcune considerazioni:
- Il numero di tessere e la porosità riferiscono come le due classi più estese (terreni affioranti
e vegetazione rada) siano anche quelle con il maggior numero di tessere. Tuttavia è
significativo che a fronte del solo 20% della superficie, la vegetazione rada abbia il maggior
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-
-
-
-
numero di tessere e la maggiore porosità. Da ciò si può concludere che la vegetazione rada
non si presenta accorpata, bensì suddivisa in tessere. All’inverso i terreni affioranti mostrano
un maggior grado di accorpamento e quindi un assetto ecosistemico più stabile.
All’estremo opposto, ovvero alle ultime due posizioni, ritroviamo gli ambienti edificati e i
ghiacciai. Questo dato merita attenzione perché in termini di superficie i ghiacciai si
estendono per circa il 10%. È dunque significativo che di contro la porosità sia così bassa. Ciò
si giustifica con l’elevatissimo grado di accorpamento di questo biotopo, essendo funzione di
condizioni ecologiche ben precise e concentrate.
La dimensione media delle tessere conferma il dato poc’anzi descritto: i ghiacciai spiccano
per l’elevata dimensione media delle tessere, pari a più di 100 ettari. Seguono i terreni
affioranti, che confermano in questo senso la loro configurazione accorpata. Si segnalano
anche i boschi, che hanno la terza dimensione media, a fronte di una superficie assoluta tra
le più basse. In fondo alla classifica troviamo ancora una volta le aree edificate all’ultimo
posto, mentre in seconda posizione si collocano i prati, evidenziando in questo caso tessere
di piccole dimensioni. Da un lato, dunque, le aree d’alta quota (ghiacciai e rocce) e i boschi
mostrano poligoni relativamente più grandi e meno numerosi: si tratta di biotopi più
stabili/statici, in cui è possibile identificare aree interne non interessate dall’effetto margine.
Dall’altro le aree occupate da cespuglieti e vegetazione erbacea sono frammentate in più
parti, di dimensioni più contenute, più esposte all’influenza degli elementi circostanti. In
sintesi più dinamiche e più facilmente perturbabili.
Di particolare rilievo, infine, è l’indice di forma, proprio in funzione delle informazioni sulla
funzionalità ecologica ad esso connesse. Svetta su tutti il dato dei terreni affioranti, ad
indicare una struttura estremamente frastagliata e irregolare. Anche vegetazione rada e
praterie mostrano valori di IF molto maggiore di 1. Anche questi biotopi mostrano forme
irregolari. Ne consegue un’elevata interazione con gli elementi confinanti, determinata
proprio dalle forme frastagliate e dall’elevata superficie di contatto fra sistemi confinanti.
Inoltre la presenza di margini irregolari favorisce la formazione di tasche e inter-digitazioni
fra diversi elementi, con conseguente maggior biodiversità.
All’estremo opposto troviamo bacini idrici, prati, boschi e cespuglieti. In questi casi, dunque
siamo in presenza di tessere di forma regolare e tendente all’isodiametricità. Il significato
ecologico è opposto a quello espresso per prati e terreni affioranti: margini regolari indicano
minor superficie di contatto e interazioni ridotte fra elementi confinanti. In taluni casi
margini regolari possono anche essere segno di un intervento antropico di trasformazione
del territorio, ad esempio con la sostituzione di un bosco con un’area prativa.
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1.3.4. ZONAZIONE CATENALE E CONTAMINAZIONE SPECIFICA
1.3.4.1.
Premessa
Un ulteriore passo nella conoscenza della configurazione ecologica del territorio della ZPS è
necessariamente legato alla distribuzione spaziale degli elementi sopra indagati.
Risultano particolarmente utili in questo senso due concetti chiave delle scienze ecologiche: la
zonazione catenale e la contaminazione specifica.
Nel primo caso “si indicano come zonazioni di tipo catenale i casi nei quali nell’ambito di una singola
serie di vegetazione si hanno diverse associazioni tutte circa corrispondenti al medesimo grado di
maturità che sono regolarmente alternate per fattori di esposizione, rilievo oppure substrato
(Pignatti, 1998)”. Nel secondo caso “la contaminazione specifica indica, invece, la capacità delle
specie [arboree] presenti in una formazione di invadere anche altre unità (contaminazione attiva) o
la propensione di un’unità tipologica a subire l’invasione di specie d’altre unità di contatto
(contaminazione passiva) (Del Favero, 2000).
Le modalità di rappresentazione di questi due concetti sono molteplici e spaziano dal transetto, alla
mappa, al grafico in cui le diverse unità ambientali sono descritte nel loro alternarsi al variare di uno
o più fattori ecologici.
Nel caso di studio si è operato in due direzioni. In primo luogo è stato valutato il contatto fra biotopi
diversi, evidenziando così i casi di contiguità spaziale fra elementi diversi. In secondo luogo i biotopi
sono stati valutati nella loro distribuzione in funzione del parametro ecologico fondamentale della
ZPS, ovvero l’altitudine.
1.3.4.2.
Contatto fra biotopi
L’analisi del contatto fra biotopi diversi è stata condotta contando per ogni biotopo il numero di
poligoni adiacenti di tipo diverso. Le tabelle sottostanti riassumono i risultati di tali analisi. La prima
riporta il numero di contatti, il secondo la percentuale. Con il colore azzurro è evidenziata la classe
più frequente, con il grigio le due meno frequenti. Si precisa che la lettura della tabella avviene per
colonne. In altre parole per ogni riga della prima colonna si possono leggere le occorrenze di
contatto dei terreni affioranti con gli altri biotopi. Occorre inoltre specificare come, in funzione
delle regole di calcolo, la matrice non sia simmetrica. Se ad esempio la classe A confina con 10
poligoni della classe B, non è automatico che i poligoni della classe B siano contigui a 10 poligoni
della classe A.
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Occorrenze di contatto con
Terreni affioranti
Bacini idrici
Boschi
Cespuglieti
Ghiacciai e nevi perenni
Ambienti edificati
Praterie
Prati
Vegetazione rada
Totale
Terreni
affioranti
Bacini idrici
14
44
35
97
22
1
123
11
236
8
11
1
3
11
7
17
569
72
Boschi
66
6
98
0
3
34
57
56
Cespuglieti
100
8
79
0
5
81
34
158
Macro-classe / Biotopo
Ghiacciai e
Ambienti edificati Praterie
nevi perenni
5
1
153
1
3
18
0
4
47
0
5
110
0
0
0
3
0
3
0
4
10
0
2
179
Occorrenze di contatto con Terreni affioranti Bacini idrici
Terreni affioranti
19.44%
Bacini idrici
7.73%
Boschi
6.15%
11.11%
Cespuglieti
17.05%
15.28%
Ghiacciai e nevi perenni
3.87%
1.39%
Ambienti edificati
0.18%
4.17%
Praterie
21.62%
15.28%
Prati
1.93%
9.72%
Vegetazione rada
41.48%
23.61%
320
465
6
22
520
Macro-classe / Biotopo
Boschi Cespuglieti Ghiacciai e nevi perenni Ambienti edificati Praterie
20.63%
21.51%
83.33%
4.55%
29.42%
1.88%
1.72%
16.67%
13.64%
3.46%
16.99%
0.00%
18.18%
9.04%
30.63%
0.00%
22.73%
21.15%
0.00%
0.00%
0.00%
0.00%
0.94%
1.08%
0.00%
0.58%
10.63%
17.42%
0.00%
13.64%
17.81%
7.31%
0.00%
18.18%
1.92%
17.50%
33.98%
0.00%
9.09%
34.42%
Totale
100.00%
100.00%
100%
100.00%
100%
100.00%
Prati
17
9
40
36
0
5
9
Vegetazione
rada
258
21
41
128
0
1
139
12
10
126
600
Prati Vegetazione rada
13.49%
43.00%
7.14%
3.50%
31.75%
6.83%
28.57%
21.33%
0.00%
0.00%
3.97%
0.17%
7.14%
23.17%
2.00%
7.94%
100.00% 100.00%
100.00%
Tabella 1.7.: Occorrenze di contatto fra macro-classi – Valori percentuali
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I dati sopra riportati fanno emergere abbastanza nettamente alcuni schemi ripetuti di contatto fra
biotopi diversi. Concentrandoci su quelli principali possiamo così esprimerli:
- I boschi sono in contatto principalmente con gli ecosistemi erbacei (quasi il 50%
considerando la somma fra prati, praterie e vegetazione rada) ed in misura minore con i
cespuglieti (30%). Questo dato è significativo ove si consideri che una normale
concatenazione basata sui soli fattori ecologici (temperatura, altitudine) dovrebbe invece
prevedere una maggior frequenza di contatto con i cespuglieti. Tale dato può essere
interpretato considerando un intervento antropico di sostituzione degli ecosistemi forestali
(siano essi porzioni di bosco o di cespuglieto) e di conversione a prato/pascolo
- I cespuglieti mostrano un’elevata frequenza di contatto con numerose classi: i cespuglieti
infatti sono un ecosistema ecotonale e di transizione tra l’orizzonte forestale e quello delle
praterie d’alta quota. Anche in questo caso, dunque, sono molto frequenti le adiacenze con i
sistemi erbacei. Significativo è il contatto con i terreni affioranti: spesso la transizione dal
bosco alla nuda roccia non avviene in maniera graduale tramite i biotopi erbacei, bensì con
cesure nette, dovute al mutare repentino delle condizioni ecologiche (ad esempio: una zona
di frana). In generale dunque i cespuglieti si configurano come un biotopo di raccordo, a
contatto con numerosi altri biotopi e dunque espressione di maggiore biodiversità. In sintesi
emerge un biotopo posto in rapporto dinamico con il contesto, soggetto alle influenze delle
aree circostanti, dotato di un elevato grado di biodiversità e per tutti questi motivi
particolarmente meritevole di attenzione.
- La vegetazione rada si caratterizza, in base a quest’analisi, come un ecosistema naturale di
transizione verso le aree d’alta quota. Analizzando i dati di contatto emergono infatti
pochissime interazioni con i boschi, mentre terreni affioranti da un lato (43%) e cespuglieti e
praterie dall’altro (45% in totale) sono le classi più rappresentate, indicando dunque un
passaggio dagli ecosistemi vegetati a quelli primitivi di alta quota. In questo senso si
conferma come classe DUSAF indichi un biotopo di transizione tra le praterie d’alta quota a
copertura colma e i sistemi delle aree d’alta quota. Di fatto è associabile in termini ecologici
proprio agli ecosistemi di prateria.
- I terreni affioranti mostrano anch’essi una distribuzione naturale priva di particolari elementi
di interesse. Sono a contatto per più del 60% con gli ecosistemi erbacei (vegetazione rada e
praterie). In totale circa il 65% dei contatti avviene secondo la successione
prateria/vegetazione rada à terreno affiorante à ghiacciaio. Gli elementi eterogenei
rispetto a questo schema sono rappresentati dai bacini idrici e dagli ecosistemi forestali
(boschi e cespuglieti), a riprova di quanto già detto poc’anzi nel caso dei cespuglieti.
- I bacini idrici confinano con una pluralità di elementi e mostrano una distribuzione
omogenea della frequenza di contatto nelle diverse classi. Questo dato è rilevante poiché al
pari dei cespuglieti i bacini idrici si collocano in zone di transizione, in cui coesistono biotopi
diversi, ovvero zone di elevata biodiversità
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I ghiacciai mostrano contatti con due biotopi: i terreni affioranti e i bacini idrici. Si tratta
dunque di un assetto prevedibile. Prati e ambienti edificati occupano superfici praticamente
irrisorie e i dati di contatto non sono significativi.
1.3.4.3.
Analisi per fasce altitudinali
L’analisi per fasce altitudinali completa il quadro delle valutazioni sulla distribuzione spaziale degli
ecosistemi e costituisce la base su cui è stata definita la rete ecologica della ZPS. I dati di partenza
sono rappresentati dalle macro-classi DUSAF e dal DTM di Regione Lombardia. Quest’ultimo in
particolare è stato sottoposto ad operazioni GIS al fine di vettorializzarlo (da raster a poligono),
aggregando il dato così elaborato in fasce omogenee con intervallo pari a 200 metri.
Nella tabella sottostante si riportano i risultati di questa analisi.
Terra Viva studio agroforestale – via del Carmine 2A, 27029 Vigevano (Pv)
28
PIANO DI GESTIONE ZPS IT 2070401 “PARCO NATURALE DELL’ADAMELLO”
PIANO DI GESTIONE SIC IT 2070006 “PASCOLI DI CROCEDOMINI – ALTA VAL CAFFARO”
PIANO DI GESTIONE SIC IT 2070012 “TORBIERE DI VAL BRAONE”
RELAZIONE - REV. 0
Superficie per fascia altimetrica
< 1000
1000 - 1200
3.35
1200 - 1400
5.78
1400 - 1600
6.90
1600 - 1800
21.84
1800 - 2000
91.74
2000 - 2200
2200 - 2400
2400 - 2600
2600 - 2800
2800 - 3000
482.92
1327.65
2410.82
2539.71
1371.09
66.26
34.88
4.81
0.00
Terreni affioranti
0.89
Bacini idrici
0.00
0.00
0.00
0.00
25.69
150.42
59.63
Boschi
4.03
47.45
160.85
399.04
541.99
441.80
7.66
3200 - 3400
> 3400
521.30
141.69
20.57
0.00
0.00
0.00
0.00
0.00
0.00
0.29
6.81
38.74
224.15
795.03
870.49
117.26
0.91
0.00
0.00
0.00
0.00
0.00
0.00
0.00
0.00
0.00
0.00
0.00
0.00
3.86
107.72
605.53
1161.00
378.35
4.72
Ambienti edificati
0.00
0.00
0.00
0.01
0.02
1.98
1.33
2.50
0.37
0.00
0.00
0.00
0.00
0.00
Praterie
0.00
0.00
0.00
0.54
32.95
374.08
966.52
415.38
74.60
3.13
0.00
0.00
0.00
0.00
Prati
0.00
1.14
3.11
5.32
30.04
45.64
16.57
0.00
0.00
0.00
0.00
0.00
0.00
0.00
0.00
0.00
3000 - 3200
0.00
0.00
Vegetazione rada
0.00
0.00
173.55
Cespuglieti
Ghiacciai e nevi perenni
0.63
4.01
4.27
23.01
127.87
884.75
1781.75
1126.48
343.48
53.64
6.96
0.00
TOTALE (HA)
4.92
52.86
180.57
454.82
899.69
2028.57
3455.75
3715.62
3651.90
3001.71
2030.26
1689.26
520.04
25.29
Percentuale di ciascuna fascia altimetrica sul totale
0.02%
0.24%
0.83%
2.09%
4.14%
9.34%
15.92%
17.11%
16.82%
13.83%
9.35%
7.78%
2.40%
0.12%
Terra Viva studio agroforestale – via del Carmine 2A, 27029 Vigevano (Pv)
0.00
29
PIANO DI GESTIONE ZPS IT 2070401 “PARCO NATURALE DELL’ADAMELLO”
PIANO DI GESTIONE SIC IT 2070006 “PASCOLI DI CROCEDOMINI – ALTA VAL CAFFARO”
PIANO DI GESTIONE SIC IT 2070012 “TORBIERE DI VAL BRAONE”
RELAZIONE - REV. 0
Superficie per fascia altimetrica
< 1000
Terreni affioranti
18.07%
1000 - 1200
6.33%
1200 - 1400
3.20%
1400 - 1600
1.52%
1600 - 1800
2.43%
1800 - 2000
2000 - 2200
2200 - 2400
2400 - 2600
2600 - 2800
2800 - 3000
3000 - 3200
3200 - 3400
> 3400
4.52%
13.97%
35.73%
66.02%
84.61%
67.53%
30.86%
27.25%
81.35%
1.73%
1.78%
0.96%
0.26%
5.02%
0.13%
Bacini idrici
0.00%
0.00%
0.00%
0.00%
2.86%
7.41%
Boschi
81.93%
89.76%
89.08%
87.74%
60.24%
21.78%
0.00%
0.00%
0.00%
0.00%
0.00%
0.00%
0.00%
0.00%
0.00%
Cespuglieti
0.00%
0.56%
3.77%
8.52%
24.91%
39.19%
25.19%
3.16%
0.02%
0.00%
0.00%
0.00%
0.00%
0.00%
Ghiacciai e nevi perenni
0.00%
0.00%
0.00%
0.00%
0.00%
0.00%
0.00%
0.00%
0.11%
3.59%
29.83%
68.73%
72.75%
18.65%
Ambienti edificati
0.00%
0.00%
0.00%
0.00%
0.00%
0.10%
0.04%
0.07%
0.01%
0.00%
0.00%
0.00%
0.00%
0.00%
0.00%
Praterie
0.00%
0.00%
0.00%
0.12%
3.66%
18.44%
27.97%
11.18%
2.04%
0.10%
0.00%
0.00%
0.00%
Prati
0.00%
2.15%
1.72%
1.17%
3.34%
2.25%
0.48%
0.00%
0.00%
0.00%
0.00%
0.00%
0.00%
Vegetazione rada
0.00%
1.20%
2.22%
0.94%
2.56%
6.30%
25.60%
47.95%
30.85%
11.44%
2.64%
0.41%
0.00%
0.00%
TOTALE (HA)
100.00%
100.00%
100.00%
100.00%
100.00%
100.00%
100.00%
100.00%
100.00%
100.00%
100.00%
100.00%
100.00%
100.00%
0.00%
0.00%
Tabella 1.8.: Analisi altimetrica delle macro-classi/biotopi
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RELAZIONE - REV. 0
I dati sopra riportati in forma tabellare possono essere più efficacemente rappresentati dal grafico
seguente:
Figura 1.1: Analisi della biodiversità per fasce altitudinali
È immediatamente percepibile come sussistano tre differenti “zone” altimetriche, corrispondenti di
conseguenza a tre distinte aree della ZPS:
- Fino a 1600 metri il territorio è quasi esclusivamente interessato da boschi e foreste, con
percentuali che arrivano al 90%. Si tratta dunque di una zona estremamente semplificata dal
punto di vista ecosistemico (bassa biodiversità), almeno per quanto emerge a questa scala
d’indagine. Al contempo l’estensione di questa zona a livello complessivo è estremamente
contenuta, pari a poco più del 3% del totale dell’area protetta.
- Oltre i 2400 metri diventa prevalente un contesto territoriale di tipo scarsamente vegetato
(sistemi d’alta quota), rappresentato da rocce affioranti, depositi litoidi, nevi perenni e
ghiacciai. Anche in questo caso ci troviamo di fronte ad una zona a bassa biodiversità, in cui
due biotopi coprono la quasi totalità della superficie. Di contro questa zona rappresenta
poco più della metà dell’intera area protetta ed è dunque la zona più estesa.
- Nella zona di transizione, in una fascia definibile come ecotonale, si concentrano numerosi
biotopi diversi: praterie, cespuglieti, vegetazione rada, bacini idrici. Il passaggio da un
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RELAZIONE - REV. 0
contesto di tipo forestale montano a uno alpino di alta quota genera la maggior diversità
ambientale (biodiversità) di tutta la ZPS. In questa fascia inoltre si riscontrano quasi tutti gli
elementi costitutivi della ZPS, fatta eccezione per i ghiacciai e le nevi perenni. È infine una
zona di considerevole estensione, poiché supera il 45% dell’intera area protetta.
1.3.5. INDIVIDUAZIONE DEGLI ELEMENTI COSTITUTIVI DELLA RETE ECOLOGICA
Il grafico sopra riportato permette di definire un quadro chiaro dell’assetto ecologico del territorio
della ZPS, interpretabile come l’incontro fra due distinte matrici ecologiche. La prima, di tipo
forestale, è rappresentata solo marginalmente a livello quantitativo nella ZPS, che racchiude solo
alcuni lembi di questo sistema ecologico. La ZPS infatti raggiunge le quote della zona a matrice
forestale solo per poche centinaia di ettari. La seconda matrice è legata ai sistemi d’alta quota e
racchiude al suo interno i biotopi dei terreni affioranti e dei ghiacciai. La sua estensione è prevalente
a partire dai 2400 metri. Si tratta dell’elemento più esteso e pervasivo della ZPS, tanto che questa
matrice costituisce il vero e proprio elemento distintivo dell’assetto ecologico di quest’area
protetta.
In entrambi i casi si tratta di zone in cui gli interventi gestionali sono limitati. Nel caso dei boschi il
fattore limitante è rappresentato dalla scarsa estensione nella ZPS, tale da rendere marginali gli
interventi nel campo forestale. Nel caso della matrice dei sistemi d’alta quota il limite è costituito
dai fattori ecologici, principalmente temperatura e substrato. La portata di questi elementi rende
pressoché ininfluenti le previsioni gestionali.
L’incontro fra queste due matrici genera una zona ad elevata biodiversità, ovvero in cui si
concentrano numerose, estese e differenti tessere di risorsa ambientale. In questo senso, infatti,
tutto ciò che non è matrice forestale o matrice dei sistemi d’alta quota può essere descritto
secondo il paradigma interpretativo dell’ecologia del paesaggio come “tessera” ovvero come
elemento eterogeneo rispetto alla matrice (o alle matrici, in questo caso). Questa zona in cui si
concentrano le tessere e che è possibile definire “zona ecotonale”, racchiude al suo interno
ambienti diversi e rappresenta in termini quantitativi poco meno della metà della ZPS. Si tratta
dunque di una zona vasta, tanto che può quasi essere intesa come una matrice ecologica a sé
stante. Proprio questa fascia, questo cuscinetto interposto tra boschi e rocce, rappresenta il
contesto in cui concentrare gli interventi di gestione e conservazione del territorio. Ciò è
determinato dall’elevato grado di complessità e di biodiversità, dall’estensione e dal fatto che
l’azione antropica è già adesso determinante nel raggiungimento degli equilibri ambientali (vedi
l’azione del pascolo).
Infine è pressoché nulla l’influenza esercitata dalle tessere di disturbo antropiche.
In aggiunta sono stati rilevati i corridoi ecologici, suddivisi tra corridoi a striscia e lineari,
evidenziando anche i casi in cui il regime idrologico sia soggetto a modifiche da parte dell’uomo. A
tale scopo si è fatto riferimento alle basi di dati cartografiche CT10 elaborate da Regione Lombardia,
ed in particolare ai tematismi del reticolo idrico principale e secondario. Il primo è stato classificato
come corridoio a striscia, il secondo come lineare. Sono stati esclusi i tratti relativi alle condotte
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RELAZIONE - REV. 0
artificiali. Il dato relativo all’antropizzazione dei corsi d’acqua è stato derivato dalla cartografia dei
punti di presa, presente nel Piano di Settore Acque.
Infine si è proceduto all’individuazione dei gangli ecologici, ovvero delle zone in cui si concentrano
elementi diversi dell’ecomosaico. Si tratta dunque dei punti fondamentali della rete ecologica,
ovvero di aree ad elevata biodiversità. È stato adottato un metodo oggettivo su base quantitativa. Il
territorio della ZPS è stato suddiviso in maglie quadrate di 250 metri di lato. Per ogni maglia è stato
contato il numero di diversi elementi della rete ecologica presenti, ad esclusione delle tessere di
disturbo antropico. Le celle con la maggior presenza di elementi hanno così permesso di individuare
i punti in cui si concentra la maggiore biodiversità. La perimetrazione dei gangli è stata poi fatta
considerando anche il territorio circostante queste celle, comprendendo anche le zone al contorno.
I risultati ottenuti sono stati rappresentati a livello cartografico in due tavole. La prima rappresenta
la rete ecologica della ZPS. La seconda la zonizzazione ecologica del territorio dell’area protetta.
1.3.5.1.
Le rete ecologica d’area vasta
Una volta definiti gli elementi costituivi della rete a partire dall’individuazione della matrice
ecologica (in questo caso delle matrici) è possibile allargare lo sguardo al contesto territoriale
circostante la ZPS, al fine di descrivere il sistema d’area vasta in cui si inserisce la nostra area
protetta, comprendendo anche i due SIC esterni alla ZPS.
Questo ulteriore passaggio interpretativo si inserisce in maniera armonica e funzionale all’interno
dell’analisi sulla ZPS. Conoscere le “condizioni al contorno” della ZPS significa comprendere meglio il
ruolo e la funzione degli elementi dell’ecomosaico dell’area protetta. Non solo: significa anche
valutare come il contesto d’area vasta influisce (positivamente o negativamente) sul sistema
ecologico della ZPS.
Anche in questo caso il risultato dell’elaborazione è sintetizzato in una tavola cartografica.
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RELAZIONE - REV. 0
1.3.6. EMERGENZE FAUNISTICHE
A completamento delle analisi territoriali sono state condotte anche alcune elaborazioni a partire
dai dati di vocazionalità faunistica elaborati nel corso degli studi preparatori per il Piano di Settore
Fauna del Parco dell’Adamello. In quella sede, a partire dai dati reali di presenza rilevati in campo, è
stato costruito un modello sito specifico di stima della vocazionalità faunistica per diverse specie:
camoscio, coturnice, gallo forcello, lepre bianca, pernice bianca, aquila reale, stambecco. I dati
riportavano, per ciascuna specie, indici di vocazionalità anche differenziati in funzione di specifiche
esigenze ecologiche (ad esempio differenziando i luoghi scelti per le covate). Tutti gli indici erano
normalizzati tra zero e uno
In primo luogo si è proceduto ad elaborare un indice unitario per ciascuna specie. A tal fine si sono
sommati tutti i sotto indici per ciascuna specie. Il risultato così ottenuto, per ciascuna specie, è stato
a sua volta rinormalizzato secondo il metodo minimo-massimo. Gli indici per ciascuna specie sono
quindi pesati in funzione della loro importanza conservazionistica: un peso maggiore è stato
attribuito alle specie di interesse comunitario. Si è dunque proceduto a sommare gli indici di specie
pesati e il risultato così ottenuto è stato ancora una volta sottoposto a una normalizzazione con il
metodo minimo-massimo, ottenendo valori compresi tra zero e uno, analogamente agli indici
originari del Piano Fauna. I risultati ottenuti sono stati riportati in cartografia.
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RELAZIONE - REV. 0
1.3.7. COMMENTI ALLE CARTE
1.3.7.1.
La rete ecologica della ZPS
L’analisi della carta della Rete Ecologica, unitamente alle valutazioni quantitative riportate nei
paragrafi precedenti, consentono di riepilogare le peculiarità di questo sistema ecologico:
- La matrice dei sistemi d’alta quota rappresenta l’elemento più esteso e connesso della ZPS,
interessando più del 51% dell’intera area protetta. Occupa un vasto sistema senza soluzione
di continuità, che ha il suo centro nel ghiacciaio dell’Adamello e si dirama seguendo le creste
dei monti. Si tratta di una matrice fortemente frastagliata, che talvolta si spezza in singoli
frammenti racchiusi da tessere di risorsa ambientale (soprattutto cespuglieti e vegetazione
erbacea). La matrice dei sistemi d’alta quota si spinge anche a basse quote, sia seguendo
l’alveo dei torrenti, sia per la presenza di zone con roccia affiorante in zone di frana o per
altri elementi geomorfologici. Tale irregolarità è segno di naturalità e comporta la creazione
di una maggiore diversità ambientale. I fattori che governano questa matrice sono
essenzialmente abiotici: temperatura e substrato. Si tratta dunque di un contesto
relativamente stabile e difficilmente influenzabile dall’azione antropica. Come tale è anche
scarsamente rilevante ai fini delle azioni gestionali, poiché gli equilibri ambientali sono
determinati da fattori oltre la portata del Piano di Gestione (si veda, ad esempio, il tema
dell’arretramento dei ghiacciai). Tuttavia non deve essere intesa come una matrice neutra
rispetto alle componenti faunistiche e vegetazionali, essendo dotata di nicchie ecologiche e
micro-habitat non percepibili alla scala d’indagine ma significativi in termini di unicità
funzionale e di rarità.
- La matrice forestale interessa solo dei lembi di territorio dell’area protetta, meno del 10%
della superficie totale. Anche per la matrice forestale si assiste alla presenza di lembi isolati
dal corpo principale, racchiusi tra tessere di risorsa (anche in questo caso soprattutto
cespuglieti e aree a vegetazione erbacea). Il fenomeno è tuttavia molto più limitato rispetto
a quanto visto per la matrice dei sistemi d’alta quota. Completamente diversa è invece la
forma dei poligoni, che si presentano poco frastagliati, con forme più regolari e tendenti
all’isodiametricità. Questa maggiore regolarità è dovuta in parte all’azione antropica, che ha
sostituito i boschi con aree di pascolo. In parte è dovuta anche alla scarsa presenza di
elementi eterogenei interni alle tessere, che ne interrompono la continuità incrementando
la biodiversità. Le aree a matrice forestale, infatti, presentano un basso grado di biodiversità
a scala di paesaggio e risultano occupate per oltre il 90% proprio dalla matrice. Anche in
questo caso ci troviamo di fronte ad un’area di limitato interesse gestionale, principalmente
per la scarsa estensione di questo elemento a livello di ZPS.
- La fascia ecotonale occupa quasi la metà della superficie della ZPS. Si tratta dell’area di
maggior interesse gestionale in quanto qui si concentra la biodiversità a scala di paesaggio.
L’assenza di un elemento dominante in termini di estensione è il primo dato significativo. Al
contrario di quanto accade nelle zone a matrice forestale o dei sistemi d’alta quota, qui
siamo in presenza di un variegato mosaico di cespuglieti, praterie, aree umide, bacini idrici,
interessato anche da lembi di aree forestali e di aree d’alta quota. Nessuno di questi biotopi
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RELAZIONE - REV. 0
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è nettamente prevalente sugli altri. Questo sistema complesso, interconnesso, fortemente
interdipendente mostra il maggior grado di dinamismo ecologico. Ciò è dovuto sia ai contatti
fra diverse unità, spesso segnati da margini complessi e irregolari, sia all’azione antropica,
presente e passata, che ha modificato l’assetto climax di questo territorio. Prevalentemente
ma non esclusivamente all’interno di questa fascia si collocano le tessere, eterogenee
rispetto alle matrici:
Le tessere di risorsa ambientale dei cespuglieti si pongono generalmente in passaggio fra i
sistemi forestali e quelli di prateria. Non è sempre vero tuttavia che questo passaggio tra
bosco e prato sia sempre accompagnato dall’arbusteto. La distribuzione spaziale di queste
tessere è condizionata sia da fattori naturali (esposizione, temperatura, substrato) sia
dall’azione antropica. Nel corso degli anni, soprattutto alle quote più basse, l’uomo ha
alterato l’assetto del territorio, favorendo i sistemi erbacei a discapito di quelli forestali
(arbusteti, boschi). Questa dinamica negli ultimi tempi si è invertita: il trend attuale vede la
ricolonizzazione dei pascoli da parte di arbusteti e boschi. L’abbandono progressivo delle
tradizionali pratiche agricole ha infatti portato alla perdita, negli ultimi 30 anni, di circa 400
ettari di pascolo. Secondo questa chiave interpretativa è possibile classificare solo in parte i
cespuglieti come biotopo climax nelle condizioni stazionali. Parte di questi cespuglieti,
derivanti dall’abbandono di pascoli, si convertirà nel tempo a bosco.
o Le tessere di risorsa ambientale dei sistemi erbacei rappresentano uno degli elementi
più rilevanti di tutta la ZPS. Partono infatti da quote montane, in ambito di matrice
forestale, e si incuneano nella matrice dei sistemi d’alta quota. Assieme ai cespuglieti,
infatti, compongono in maniera prevalente la fascia ecotonale che segna il passaggio
fra le due matrici. Si è già detto di come il contatto bosco-prato possa essere un
indizio di trasformazione antropica. In questo senso anche le forme dei margini delle
tessere può essere letto in quest’ottica. I margini di contatto fra bosco e praterie
sono regolari. Quelli fra praterie e aree scarsamente vegetate sono frastagliati e
irregolari. Ciò si traduce anche in una differente funzionalità ecologica. Il perimetro
irregolare è infatti segno di maggior presenza di nicchie ecologiche e dunque di
maggiore biodiversità. Al contrario margini netti indicano una minore interazione fra i
due elementi, un conseguente minor grado di diversità ambientale.
o Le tessere di risorsa dei sistemi acquatici: i bacini idrici rappresentano un importante
elemento di diversità ambientale, sebbene la loro estensione non raggiunga il 2%. Si
presentano di forma generalmente regolare, tendente all’isodiametricità, con
dimensione media di ogni tessera piuttosto contenuta. Al pari dei cespuglieti, anche i
bacini idrici sono posti in contiguità con una pluralità di biotopi: in altre parole sono
posti in contesti di elevata biodiversità.
o Le tessere di disturbo rappresentano un elemento del tutto minoritario in termini
quantitativi nella ZPS. L’analisi della cartografia suggerisce tuttavia come questi
elementi, ancorché irrisori in termini di superficie, possano giocare un ruolo negativo.
È il caso, ad esempio, di dighe e sbarramenti, che costituiscono una cesura ecologica
netta nell’ecosistema, esercitando un fortissimo effetto barriera.
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RELAZIONE - REV. 0
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Sono stati individuati sei gangli ecologici. Di questi ben quattro ricadono all’interno della
fascia ecotonale e i restanti due sono posti a cavallo tra la zona della matrice forestale e la
zona di ecotono. Questo fatto rimarca l’importanza ecologica, il dinamismo e la diversità
ambientale di questa zona di transizione. L’individuazione di queste aree è funzionale alla
loro tutela. In sede di valutazione di incidenza, gli interventi antropici che interesseranno i
gangli dovranno valutati rispetto al loro effetto su struttura e funzionalità di questi capisaldi
della rete ecologica dell’area protetta.
Le strutture lineari dell’ecomosaico, che fungono da elementi di connessione e connettività,
consistono nei corridoi ecologici, sia a striscia (con zona ecotonale) che semplici. I corridoi
sono costituiti sempre dai corsi d’acqua che irraggiano la matrice e fungono sia da elementi
di biodiversità sia da vettori privilegiati lungo i quali si muovono i flussi trofici, dalle alte
quote fino alle più basse. E’ fondamentale che tali flussi non trovino barriere, soprattutto
artificiali, così da garantire gli equilibri biologici delle varie cenosi e del sistema ecologico
generale nel suo complesso. Nel caso in esame i corridoi sono ottimamente diffusi,
perfettamente inseriti nel contesto ecosistemico. In alcuni casi però sono presenti, in modo
puntuale lungo l’asta di questi torrenti, vere e proprie barriere artificiali come le dighe o altri
sistemi di regolazione delle acque, che ostacolano la funzione tipica di connettività di queste
strutture.
1.3.7.2.
La rete ecologica d’area vasta
L’analisi della carta della Rete Ecologica d’area vasta allarga lo sguardo dalla ZPS alle zone limitrofe.
Anche in questo caso si possono enucleare alcune considerazioni:
- La matrice forestale, in questo scenario, rappresenta ancor più di quella delle aree
scarsamente vegetate l’elemento più diffuso e pervasivo della ZPS. La matrice dei sistemi
d’alta quota, sebbene molto importante sia in termini di estensione, può essere letta anche
come una macro-tessera.
- Le tessere degli ecosistemi erbacei sono state suddivise tra praterie e prati. Le prime
concorrono ancora a comporre quella zona di ecotono che si colloca tra le due matrici. I
secondi arricchiscono il fondovalle e si intervallano ai sistemi forestali, mostrando
pienamente in questo modo la loro origine antropica
- Emerge il ruolo delle tessere di disturbo, in particolar modo sul fondovalle camuno. Le
tessere infatti si allungano lungo l’asse vallivo ed in molti casi si assiste alla fusione fra
tessere diverse, con conseguente chiusura delle zone di varco ecologico. Si tratta di un
fenomeno da affrontare con particolare cautela, perché si traduce, di fatto, in una grande
barriera ecologica con andamento nord sud che si frappone fra due porzioni di matrice
forestale.
Terra Viva studio agroforestale – via del Carmine 2A, 27029 Vigevano (Pv)
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PIANO DI GESTIONE ZPS IT 2070401 “PARCO NATURALE DELL’ADAMELLO”
PIANO DI GESTIONE SIC IT 2070006 “PASCOLI DI CROCEDOMINI – ALTA VAL CAFFARO”
PIANO DI GESTIONE SIC IT 2070012 “TORBIERE DI VAL BRAONE”
RELAZIONE - REV. 0
1.4.
PIANI DI SETTORE
1.4.1. PREMESSA
Il territorio della ZPS è interessato da una pluralità di strumenti di pianificazione di tipo territoriale,
ambientale e naturalistico. Di particolare interesse è la pianificazione del Parco dell’Adamello: Piano
Territoriale di Coordinamento (PTC) e Piani di Settore ad esso collegati. L’analisi di questi atti, oltre a
permettere il necessario raccordo con la normativa di attuazione già vigente, consente di reperire
un corposo patrimonio di analisi settoriali utili alla comprensione delle peculiarità di quest’area
protetta. L’esame della documentazione bibliografica è tanto più necessario visto il particolare
contesto di redazione del presente Piano di Gestione, per cui si rimanda all’introduzione del Piano.
Vale dunque la pena sottolineare come il maggior interesse per i Piani di Settore risieda proprio
nella parte di analisi. Tanto più che alcuni di questi piani non sono stati adottati dall’Ente Parco e di
conseguenza le norme ad essi sottese non godono di alcuna cogenza o ufficialità.
1.4.2. PIANO DI SETTORE ACQUE
Il Parco dell’Adamello è caratterizzato da un ricco reticolo idrografico superficiale, costituito da
numerosi torrenti e laghi alpini che fanno parte del versante orientale del bacino imbrifero del
tratto pedemontano del Fiume Oglio. Questo patrimonio idrico rappresenta una notevole risorsa sia
in termini naturalistici sia dal punto di vista economico; se da un lato, infatti, esistono ancora alcuni
ambienti incontaminati di rara bellezza e con biocenosi di elevato pregio, numerosissimi corpi idrici
sono attualmente sfruttati allo scopo di produrre energia idrolettrica. Questo utilizzo ha fatto sì che
molti corsi d’acqua e laghi d’alta quota, a dispetto della loro ubicazione remota, siano interessati da
gravi perturbazioni della loro integrità ecologica dovuta all’alterazione della loro idrologia naturale.
Da queste premesse è nata la necessità di predisporre uno strumento per orientare lo sfruttamento
idroelettrico delle acque del Parco verso modalità realmente ecocompatibili.
Il Piano di Settore Acque del Parco Adamello è stato adottato con deliberazione di Assemblea della
Comunità Montana Valle Camonica n. 17 del 22/06/2007, lo stesso si compone dei seguenti
elaborati:
Studio propedeutico alla stesura del Piano di Settore Acque contiene un quadro conoscitivo
delle seguenti tematiche:
I prelievi nei corsi d’acqua montani
I principali ambienti acquatici del Parco
La fauna acquatica del Parco
I principali prelievi idrici del territorio del Parco
Valutazione del Deflusso Minimo Vitale
Ambienti ad elevata integrità dove vietare prelievi idrici
Linee di gestione dei popolamenti ittici del Parco
I passaggi artificiali per la fauna ittica
·
-
Terra Viva studio agroforestale – via del Carmine 2A, 27029 Vigevano (Pv)
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PIANO DI GESTIONE ZPS IT 2070401 “PARCO NATURALE DELL’ADAMELLO”
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PIANO DI GESTIONE SIC IT 2070012 “TORBIERE DI VAL BRAONE”
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·
Relazione sul censimento e caratterizzazione degli ambienti acquatici del Parco
dell’Adamello: riporta i risultati della caratterizzazione degli ambienti acquatici del Parco
dell’Adamello e il censimento delle principali criticità ambientali in essi riscontrate. Nel
complesso sono stati indagati e descritti 28 corsi d’acqua, tutti inclusi nel bacino idrografico
del Fiume Oglio in Val Camonica. Lo studio ha compreso anche quei tratti fluviali esterni ai
confini amministrativi del Parco che dal punto di vista ecologico costituiscono delle entità
omogenee con i tratti inclusi nel Parco, come ad esempio la parte terminale di alcuni
tributari dell’Oglio o alcune porzioni del corso di quest’ultimo. Anche per quanto riguarda le
criticità ambientali, sono state presi in considerazione alcuni elementi di alterazione posti al
di fuori del Parco, ma i cui effetti ricadono comunque sugli ecosistemi acquatici al suo
interno.
·
Modello di gestione per le acque del Parco dell’Adamello: contiene le indicazioni per
attuare la gestione degli ambienti acquatici all’interno del Parco dell’Adamello, con
particolare riferimento alle regole e alle opere per la mitigazione degli impatti causati delle
attività antropiche, alla classificazione degli ambienti acquatici ai fini della pesca e alla
possibilità di reintrodurre specie ittiche autoctone. Per quanto riguarda le regole e le opere
per la mitigazione degli impatti sono presi in esame gli aspetti relativi al deflusso minimo
vitale (DMV), gli svasi dei serbatoi artificiali e la fitodepurazione, mentre le tematiche
relative ai passaggi artificiali per i pesci e le opere di ingegneria naturalistica sono trattate
all’interno in appositi documenti, rispettivamente nel documento tecnico passaggio per i
pesci e nel quaderno di opere tipo di ingegneria naturalistica in ambito fluviale.
·
Studio Idrologico: è stato effettuato sui bacini idrografici con la finalità di ottenere una
valutazione quantitativa delle risorse idriche per definirne il valore potenziale. In accordo
con questa premessa si è proceduto alla stima del regime medio annuo, relazionato alle
portate medie mensili, per costruire una base conoscitiva abbastanza estesa, anche se non
completa, della disponibilità idrica media in condizioni naturali.
Documento tecnico passaggio per i pesci: prende in considerazione i problemi
dell’ittiofauna legati all’impossibilità della stessa di migrare liberamente lungo il reticolo
idrografico vocazionale, considerando il bacino imbrifero del Fiume Oglio nel suo complesso
e non solamente il territorio ricompresso nei confini del Parco dell’Adamello. Nello specifico:
identifica la localizzazione delle priorità di intervento;
descrive le tipologie costruttive dei passaggi artificiali per la risalita dei pesci, mette queste
ultime a confronto e definisce dei criteri di selezione;
illustra i criteri generali adottati ed i singoli metodi utilizzati per il dimensionamento delle
tipologie costruttive selezionate;
include le schede di progetto che raccolgono le considerazioni elaborate per le grandi opere di
presa presenti nel bacino del Fiume Oglio indagato e le proposte di intervento per le opere
trasversali (briglie);
tratta infine i metodi di monitoraggio dell’efficacia degli interventi.
·
-
-
Terra Viva studio agroforestale – via del Carmine 2A, 27029 Vigevano (Pv)
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PIANO DI GESTIONE SIC IT 2070012 “TORBIERE DI VAL BRAONE”
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·
Quaderno di opere tipo di ingegneria naturalistica in ambito fluviale: il documento descrive
tre tipologie di intervento, interventi combinati di consolidamento, interventi stabilizzanti ed
interventi di riqualificazione dell’habitat fluviale.
·
Carta delle derivazioni idriche a scala 1:50.000
·
Carta delle artificializzazioni a scala 1:50.000
·
Carta dei corsi d’acqua da tutelare integralmente a scala 1:50.000
·
Norme Tecniche di Attuazione
1.4.3. PIANO DI INDIRIZZO FORESTALE
La componente forestale svolge un ruolo di primo piano negli equilibri del grande ecosistema della
ZPS. Le informazioni di analisi e le proposte gestionali sono state derivate dai piani di settore
esistenti. Fondamentale è stato l’uso del “PIANO DI SETTORE CON VALENZA DI PIANO DI INDIRIZZO
FORESTALE” commissionato dal Parco dell’Adamello e dalla Comunità Montana della Valle
Camonica (di seguito detto il PIF). Il PIF si occupa del territorio del Parco dell’alta valle,
precisamente dei comuni di Incudine-Vezza D’Oglio, Vione-Temù-Ponte di Legno.Numerosi (7) sono
anche i Piani di Assestamento Forestale che interessano il territorio della ZPS, di cui uno scaduto
(Comune di Incudine) e uno in scadenza (Comune di Saviore).
Per quanto concerne l’analisi e la cartografazione dei tipi forestali presenti si è fatto riferimento ad
una base cartografica elaborata dalla Comunità Montana nell’ambito del progetto del più ampio
Piano di Indirizzo Forestale della Comunità Montana della Valle Camonica. Il Piano è attualmente in
fase di stesura ma la Carta dei Tipi Forestali è stata già validata da rilievi in campo e
fotointerpretazione e costituisce dunque un elaborato già in versione definitiva.
Infine di grande rilievo ai fini gestionali è stata la consultazione del documento “Modelli di Gestione
Forestale per il Parco dell’Adamello”.
Per il tipo di approccio di area vasta, è stato essenzialmente il PIF ad essere analizzato e impiegato
esplicitamente nella gestione soprattutto dei sistemi forestali subalpini. Ovvero per quei sistemi che
ricadono in massima parte nella fascia definita ecotonale dalla rete ecologica, dove maggiore è la
biodiversità della ZPS e dove si concentra l’attività antropica, ovvero la gestione attiva del
territorio/ecomosaico.
E’ opportuno sottolineare come l’approccio naturalistico al bosco, tipico di un piano di gestione di
una ZPS, si sposi perfettamente con le valutazioni di questi boschi che ne da il PIF. Anzi in alcuni casi
il piano forestale è più conservativo di alcune proposte gestionali indirizzate verso una
valorizzazione della biodiversità attuata con interventi di contenimento di alcune fitocenosi (alneti
di ontano verde).
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Il piano della ZPS, infatti, tiene conto non solo dell’equilibrio biologico del bosco specifico, ma
affronta la gestione in termini di ecomosaico in cui il bosco, di qualsiasi tipo, costituisce una tessera
di risorsa, facente parte di una ben precisa struttura (rete ecologica), che sprigiona una sua specifica
funzionalità in tale contesto.
Il PIF (e anche i PAF) è impiegato dunque per la sua qualità di analisi e classificazione ecologicoselvicolturale delle diverse singole cenosi forestali e per la capacità di proporre precise indicazioni di
interventi selvicolturali finalizzate a garantire o ripristinare l’integrità strutturale, e
conseguentemente la massima efficienza ecologica, della singola unità fitocenotica. Pertanto il
presente piano fa sue tutte le indicazioni selvicolturali del PIF che riguardano le tipologie forestali
(boschi) ubicate nel perimetro della ZPS, anche di quelle che ricadono negli habitat di Rete Natura.
In particolare per quanto riguarda alcuni tipi forestali subalpini, in considerazione della loro
importanza sugli equilibri generali della riserva, si è ritenuto opportuno redigere specifiche schede
di azione.
Sotto riportiamo la tabella3che riassume le categorie forestali e i tipi forestali individuati dal PIF più
importanti per il Piano di Gestione:
Pecceta
Peccete altimontane e subalpine dei substrati silicatici
Pecceta altimontana e subalpina dei substrati silicatici dei suoli xerici (P-s-ams-x)
Pecceta altimontana e subalpina dei substrati silicatici dei suoli mesici (P-s-ams-m)
Pecceta altimontana dei substrati cartonatici
Pecceta altimontana dei substrati carbonatici (P-c-amt)
Lariceto
Lariceto primitivo (L-p)
Lariceto tipico (L-t)
Lariceto in successione con abete bianco (L-Aa)
Lariceto in successione con pecceta (L-P)
Larice-cembreta
Larici-Cembreto primitivo (L-Pc-p)
Larici-Cembreto tipico (L-Pc-t)
Larici-Cembreto con Abete rosso (L-Pc-P)
Cembreta (Pc)
Alneto
3
PIANO DI INDIRIZZO FORESTALE - Parco dell’Adamello e Comunità Montana della Valle Camonica - Comuni di Incudine-Vezza D’Oglio, Vione-TemùPonte di Legno.
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Alneto di ontano verde
Mugheta
Mugheta mesoterma
Mugheta microterma dei substrati carbonatici
Mugheta microterma dei substrati silicatici
Nella Carta dei Tipi Forestali sono invece riportati i seguenti tipi:
Tipo forestale
Alneto di ontano verde
Lariceto tipico
Lariceto primitivo
Pecceta altimontana e subalpina dei substrati silicatici dei suoli mesici
Formazioni caotiche altimontane
Formazioni caotiche montane
Bosco non classificato
Pecceta montana dei substrati silicatici dei suoli mesici
Lariceto in successione con pecceta
Mugheta microterma dei substrati silicatici
Pecceta montana dei substrati silicatici dei suoli xerici
Formazioni caotiche altimontane e subalpine
Pecceta altimontana dei substrati carbonatici
Pecceta azonale su alluvioni
Larici-Cembreto
Pecceta altimontana e subalpina dei substrati silicatici dei suoli xerici
Mugheta microterma dei substrati carbonatici
Querceto di rovere dei substrati silicatici dei suoli xerici
Betuleto secondario
Aceri-Frassineto tipico
Castagneto dei substrati silicatici dei suoli mesoxerici
Betuleto primitivo
Orno-Ostrieto tipico
Querceto di rovere dei substrati silicatici sei suoli mesici
Corileto
Alnete di ontano bianco
Codice
Al-v
L-t
L-p
P-s-sba-m
FX-amt
FX-mnt
Unclassified
P-s-mnt-m
L-P
Pm-mc-s
P-s-mnt-x
FX-sba
P-c-amt
P-al
L-Pc
P-s-sba-x
Pm-mc-c
Q-s-x
B-s
Ap-Fe-t
C-s-mx
B-p
O-O-t
Q-s-m
Ca
Al-i
Totale (ha)
Superficie (ha)
1994,02
610,29
339,05
145,37
122,28
88,01
87,39
83,04
74,41
67,85
42,36
39,66
39,54
37,07
18,98
14,24
8,67
8,52
3,13
1,21
0,84
0,63
0,57
0,44
0,28
0,17
3828,03
Tabella 1.9: Tipi forestali presenti nella ZPS
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Per quanto riguarda le descrizioni e le indicazioni selvicolturali del PIF, queste sono riprese, come
già affermato, nelle schede di azione e nella parte che riguarda gli habitat.
Tutta la zona meridionale della ZPS non è ancora coperta dal PIF. Si tratta di una mancanza
importante in quanto il PIF permette una definizione di dettaglio per gli aspetti gestionali che, tra
l’altro come è noto, può derogare dalla normativa regionale (Norme Forestali Regionali, per forza di
cose non contestualizzate), che invece si impone per gli aspetti forestali anche sugli habitat di
Natura 2000. La Comunità Montana della Valle Camonica sta procedendo alla stesura e
all’approvazione di un Piano di Indirizzo Forestale di tutto il suo territorio, completando in tal modo
la pianificazione di indirizzo forestale su tutto il territorio.
Di seguito riportiamo gli stralci del PIF Alto Parco a cui si è fatto riferimento per la formulazione
degli indirizzi gestionali4.
1.4.3.1.
Peccete altimontane/subalpine
MODELLO DI
FUNZIONAMENTO
PECCETE
Pecceta altimontana dei substrati carbonatici (P-camt)
Subalpina
Pecceta secondaria (P-sc)
Altimontana
Peccete
Pecceta altimontana e subalpina dei substrati
silicatici dei suoli xerici (P-s-ams-x)
Pecceta altimontana e subalpina dei substrati
silicatici dei suoli mesici (P-s-ams-m)
Pino cembro Sfagni
Pecceta azonale su alluvioni (P-al)
A-B-C-D-E
Pecceta
altimontana dei
substrati
cartonatici
Peccete montane
dei substrati
silicatici
Peccete
altimontane e
subalpine dei
substrati silicatici
Pecceta azonale su
alluvioni
L’abete rosso è di gran lunga la specie forestale più diffusa nel Parco, sia in termini di superficie
(occupa quasi la metà dell’intera superficie forestale), sia in termini volumetrici (sono stimati oltre
1.000.000 di mc corrispondenti a quasi la metà della risorsa forestale del Parco). Nel Parco sono
rilevabili, con netta prevalenza delle forme legate ai substrati silicatici, tutte le tipologie classificate
in Lombardia: si tratta di 8 tipi diversi di bosco, i quali, spesso si sovrappongono gli uni agli altri
4
I Modelli di funzionamento. Nel PIF ALTO PARCO viene proposto il sistema di classificazione gestionale riportato in “I boschi delle Regioni Alpine
Italiane” (Roberto del Favero, 2004; CLEUP) che individua cinque modelli di funzionamento:
Modello A. Sistemi poco perturbati e caratterizzati da una specie leader.
Modello B. Sistemi poco perturbati caratterizzati dalla compartecipazione di due specie leader.
Modello C.
Situazioni A+B caratterizzate da elementi di stress (condizioni morfologiche particolari, ambienti xerofili, condizionamenti
esterni da vento, neve, incendi e avverse condizioni fitosanitarie).
Modello D.
Situazioni perturbate caratterizzate dall’affermarsi di una specie leader pioniera il cui ciclo precede un sistema di tipo A+B+C.
Modello E. Sistemi molto perturbati.
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rendendo difficoltosa la loro stessa classificazione. La discriminazione dei tipi dell’abete rosso si
complica ulteriormente in relazione alla notevole diffusione dell’abete rosso “guidata” dall’uomo
che, in maniera diretta con rimboschimenti su larga scala, ed in maniera indiretta con politiche
forestali che hanno favorito l’abete rosso rispetto ad ogni altra specie, dal 1.800 ad oggi ne ha
favorito la dominanza rispetto ad ogni altra specie.
Le citate difficoltà di classficazione delle peccete hanno suggerito di semplificarne la
rappresentazione cartografica in termini di Categoria, evidenziando in maniera puntuale solo le
Peccete azonali su alluvioni in ragione delle loro peculiarità naturalistico-paesaggistiche. Per quanto
attiene le singole tipologie, qualora sia richiesto un maggior dettaglio, si ritiene consigliabile
standardizzarne l’individuazione facendo riferimento semplicemente a parametri topografici per
distinguere, ad esempio, le peccete montane da quelle altimontane (in base alla quota di 1.850 m),
oppure secondo parametri geo-morfologici che distinguano i sottotipi dei “substrati silicatici” da
quelli dei “subtrati carbonatici”. Tale semplificazione trova tuttavia notevoli difficoltà nella facile
sovrapposizione con il tipo di Pecceta secondaria. In molti casi infatti, le peccete secondarie si sono
inserite in maniera così radicata nella composizione forestale di versante da assumere caratteri
naturaliformi propri di altri tipi. Più facile appare invece l’individuazione delle Peccete di
sostituzione che si collocano alle quote più basse al di fuori dell’areale locale dell’abete rosso (sotto
i 600-700 m).
1.4.3.1.1.
Inquadramento tipologico
L’abete rosso è la conifera più diffusa negli ambienti montani e subalpini delle regioni mesalpiche
della Lombardia. La sua presenza in ambiente submontano è invece meno evidente se non nelle
situazioni in cui l’uomo ne abbia favorito la diffusione a scapito di altre specie. (…) Pecceta
altimontana e subalpina dei substrati silicatici dei suoli mesici (P-s-ams-m), nella sua forma tipica e
nella variante a Sfagni, e la Pecceta altimontana e subalpina dei substrati silicatici dei suoli mesici (Ps-ams-x). Si tratta nel complesso di boschi nettamente dominati dall’abete rosso cui si affiancano
soprattutto il larice, l’abete bianco (nelle aree più umide). Altre specie possono partecipare al
consorzio vegetazionale ma in maniera del tutto accessoria e spesso relegate ai margini del bosco o
nelle chiarie più interne. Accanto a queste formazioni “naturali” si osservano, in maniera anche
molto diffusa, le formazioni dell’abete rosso di derivazione antropogena: (…) in alto è molto diffusa
la Pecceta secondaria (P-sc), sia nella sua forma tipica che nella variante Altimontana. Si tratta di
forme differenti di affermazione dell’abete rosso accomunate dalla forte connotazione “antropica”
(rimboschimenti artificiali di abete rosso e affermazione massiva di abete rosso per tagli intensivi).
(…) Quando gli impianti (o comunque la diffusione spontanea da impianti) sono invece stati fatti in
ambienti potenzialmente adatti all'abete rosso, si ricorre, per l'inquadramento tipologico, ad una
specifica unità, la pecceta secondaria che è per lo più montana (pecceta secondaria montana) e solo
raramente altimontana (variante altimontana). Altre volte, indipendentemente, o solo parzialmente
in relazione all'azione dell'uomo, l'abete rosso, grazie anche a favorevoli condizioni climatiche, si
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spinge fino all'orizzonte submontano costituendo delle “bizzarre” consociazioni, dotate di un certo
equilibrio, esempio di una perfetta “integrazione interspecifica” (pecceta di sostituzione), anche se,
alcune volte si formano dei consorzi “caotici” di problematica interpretazione dinamica. Il più delle
volte, in queste ultime situazioni, così come avviene nella regione esalpica, l'abete rosso manifesta
stati di deperimento dovuti al precoce esaurimento dello sviluppo, alla senescenza anticipata e,
soprattutto, alla suscettibilità ai parassiti (Bernetti, 1995). (…)
Di grande valore forestale è infine la presenza in diverse località (…) (Valbione, Gaver, Valsozzine, ,
Val d’Avio, Val Paghera di Vezza d’Oglio e Val Vallaro) della Peccete azonali su alluvioni (P-al).
Questa formazione rappresenta certamente un elemento di grande pregio “forestale” sia per la
rarità con cui la si può rilevare in Lombardia, sia per le intrinseche peculiarità ecologicopaesaggistiche che la caratterizzano.
(…) Fra le peccete piuttosto rare in Lombardia si può citare anche quella azonale su alluvioni,
sporadicamente presente nei distretti Valtellinese, Alto Camuno, Chiavennasco, Sud-Orobico e
Prealpino orientale. Si tratta di formazioni che s'incontrano lungo alcuni alvei fluviali o torrentizi
larghi, posti in fondovalle interessati da fenomeni d'inversione termica e da una generale freschezza
anche edafica. Affianco al dominante abete rosso è presente, con consistenti coperture, il frassino
maggiore ad indicare una probabile potenzialità verso gli aceri-frassineti. (…)
(…) Il comportamento dell'abete rosso e la fisionomia delle peccete cambiano poi notevolmente al
variare della quota, cosicché è fondamentale disporre di un criterio che consenta di attribuirle ai
diversi orizzonti altitudinali.
Al variare di queste ultime, infatti, l'abete rosso, mostra comportamenti alquanto diversi e tali da
indurre scelte gestionali altrettanto diversificate. La difficoltà d'inquadrare le peccete nei diversi
orizzonti sta nel fatto che il criterio altitudinale non è sempre adeguato. Infatti, la quota limite fra la
pecceta montana e quella subalpina può collocarsi, in relazione alle caratteristiche climatiche e
morfologiche, all'interno di un ampio range compreso fra 1300 e 1600-1800 m. (…)
Carattere
Habitus
Crescita
Rinnovazione
Mortalità
Struttura
Strato arbustivo
Pecceta subalpina
caratteri individuali propri di alberi isolati; chiome lunghe fino a 1/2-3/4 del
fusto, strette ed appuntite; sistema dei rami denso, proteso verso il basso;
rami spesso ricoperti da licheni
crescita lenta, specialmente in gioventù; culminazione tardiva
dell'incremento in altezza (50-100 anni); termine della crescita ad età
avanzate (150-250/300 anni)
distribuzione irregolare a nuclei e a gruppi in corrispondenza di lacune del
soprassuolo
differenziazione lenta nelle classi sociali con mortalità rallentata del piano
dominato; spesso presenza di uno stadio transitorio a struttura multiplana
soprassuoli poco densi, in parte multiplani; frequente copertura per
collettivi o cespi
quasi assente o in ogni caso con crescita molto stentata
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Strato erbaceo
Degradazione lettiera
ridotta varietà floristica, alcune specie sono però dotate di forte di
competizione come: Calamagrostis villosa, Adenostyles alliariae, mirtillo
nero, rododendri, felci
molto lenta
Tabella 1.10: Caratteri differenzianti le peccete subalpine da quelle montane, Mayer e Ott (1991) e Ott (1994)
1.4.3.1.2.
-
-
-
-
Indicazioni gestionali
la valorizzazione paesaggistica, da adottarsi nei soprassuoli con maggiore grado di
naturalità, deve necessariamente essere attuata evitando tagli intesivi e soprattutto a
carico delle specie diverse dall’abete rosso (tagli a scelta, diradamenti bassi, cure
colturali, ecc); nelle situazioni migliori è da valutare la possibilità di invecchiamento
indefinito a scopo monumentale (selvicoltura per “Piede d’albero” ed eventuali cure);
i tagli che devono sempre essere effettuati considerando la fragilità dell’abete rosso nei
confronti del vento e della neve (valutazione attenta della densità) e soprattutto la
marcata suscettibilità dell’abete nei confronti di attacchi patogeni;
i diradamenti che devono essere programmati in maniera sistematica e continuativa,
anche avvalendosi della pratica di uso civico, al fine di allontanare i soprassuoli dal
rischio di decadimento fisiologico e nel contempo per favorirne la valorizzazione
fisionomico-strutturale;
il mantenimento di margini arborati stabili, come condizione necessaria per la gestione
delle peccete, che riguarda quelli in cui gli alberi hanno chiome distribuite lungo tutto il
fusto; il taglio di questi margini determina infatti l’apertura di varchi di luce che spesso
non vengono sopportati dagli alberi più interni con conseguente indebolimento
progressivo e aumento della suscettibilità ai danni biotici e abiotici.
1.4.3.2.
Pecceta subalpina
La plasticità dell’abete rosso diminuisce con l’aumentare della quota rendendo questo tipo
soprassuoli meno adatti dei precedenti ad essere indirizzati verso forme intensive di utilizzazione
forestale. I modelli di selvicoltura proposti pur essendo gli stessi già osservati per le peccete
montane dovranno essere applicati in maniera non intensiva. In ogni caso si ritiene inopportuno
intervenire in situazioni subalpine e/o comunque in soprassuoli la cui configurazione fisionomicostrutturale non consenta l’applicazione “tout court” dei metodi della selvicoltura (forme
altimontane).
Problematiche colturali che insorgono nelle peccete durante i diversi stadi della crescita
Stadio (tipo
Pecceta subalpina
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strutturale)
Novelleto-spessina
Perticaia
Fustaia matura
rinnovazione che s'insedia lentamente e in limitata quantità, ma sufficiente
per l'autoperpetuazione; essa si localizza solo in alcuni ambienti favorevoli
(dossi, sopra od ai margini di massi, entro cespugli di ginepro, ecc.); limiti
d'insediamento sono dovuti soprattutto a mancanza di calore (almeno 2 ore
di sole in giugno-luglio) e alla competizione della vegetazione spontanea
(flora di tagliata, megaforbie) e al pascolo pregresso; sopporta per lungo
tempo la copertura
limitati problemi di stabilità meccanica grazie alla distribuzione multiplana o
alla marcata selezione naturale con formazione di collettivi
condizioni favorevoli per l'insediamento futuro della rinnovazione si avranno
evitando accumuli di sostanza indecomposta (eccessi anche se solo localizzati
di copertura) e creando condizioni di margine
Modalità di esecuzione degli interventi in corrispondenza delle diverse fasi di sviluppo dei
popolamenti rispettivamente nelle peccete subalpine Roberto del Favero, 2002.
Fase di sviluppointervento
Rinnovazione - tagli
di
accompagnamento
alla crescita della
rinnovazione
Perticaia diradamenti
Fustaia matura taglio finale di
rinnovazione
Pecceta subalpina
conservare protezione laterale alla rinnovazione per lungo tempo (possibili
brevi periodi di aridità estiva poco tollerati dalla rinnovazione); evitare pascolo e brucamento di selvatici
in genere non sono richiesti diradamenti; in caso di localizzati eccessi di
copertura comportarsi come nella pecceta montana favorendo piuttosto che
i soggetti più belli quelli più forti; se necessario, in presenza di movimenti
gravitazionali del manto nevoso, lasciare canali di sfogo
in presenza di distribuzione verticale multiplana eseguire il taglio saltuario;
se piccoli collettivi (6-10 alberi), o cespi, asportare l'intero aggregato; se
collettivi ampi: taglio marginale iniziando con un taglio di sementazione e
proseguendo con tagli secondari durante l'intero periodo di rinnovazione
(durata 40-60 anni); oppure taglio ad orlo; oppure taglio a strisce inclinate in
direzione del sole, oblique rispetto alla linea di massima pendenza, larghe 1/2
h e lunghe fino a 2 h
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1.4.3.3.
Peccete azonali
Da sottoporre a tutela
Riassumendo le indicazioni gestionali per le diverse varianti della pecceta del PIF sono le segeunti:
Composizione
Picea excelsa 5
(P-s-ams-x)
Alterazioni antropiche e dinamica
Nessuna; talvolta pascolo bovino
pregresso in genere localizzato.
Stabile; possibile una maggiore
partecipazione del larice.
Gestione ed emergenze
Ordinaria gestione ma non intensiva;
valorizzazione paesaggistica; pregio
faunistico; taglio marginale, ad orlo, a
strisce e tagli successivi uniformi;
l’attenta gestione dei livelli di densità
allontana il soprassuolo dai rischi di
shock idrici e rischi fitosanitari. Pregio
faunistico.
(P-s-ams-m);
P-s-ams-m var. a Sfagni
P-s-ams-m var. Pino cembro
Composizione
Alterazioni antropiche e dinamica
Gestione ed emergenze
Picea excelsa 5, Nessuna; talvolta pascolo bovino Ordinaria gestione ma non intensiva;
Pinus cembra 2 pregresso in genere localizzato. valorizzazione paesaggistica; pregio
(var.)
Stabile; possibile una maggiore faunistico; ordinariamente governata a
partecipazione del larice in caso di fustaia; taglio marginale, ad orlo, a
accidenti.
strisce e tagli successivi uniformi.
Pregio faunistico e floristico. Di
assoluto valore ecologico le varianti.
(P-al)
Composizione
Alterazioni antropiche e dinamica
Gestione ed emergenze
Picea excelsa 4, Di origine non sempre certa Tutela. Valorizzazione paesaggistica;
Fraxinus excelsior 2 potrebbe essere frutto d'impianti. data la limitata superficie dei singoli
Possibile evoluzione verso un aceri- soprassuoli gli interventi a carico
frassineto in mancanza di disturbi dell'abete rosso non possono che
dovuti ad alluvioni.
essere su piccola superficie e quindi
non influire sul dinamismo naturale.
Formazione con ridotta stabilità
meccanica potenziale; sono consigliati
interventi di stabilizzazione. Di grande
pregio ecologico.
(P-sc) 5
P-sc var. Altimontana
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Composizione
Picea excelsa 5
Alterazioni antropiche e
dinamica
Derivante da interventi di
rimboschimento anche se
successivamente
diffusasi
spontaneamente. In linea
teorica possibili evoluzioni
verso faggete o abieteti (tipo
potenziale), in concreto
tende a essere bloccata per la
facilità con cui si rinnova
l’abete rosso rispetto alle
altre specie.
Gestione ed emergenze
Riqualificazione
forestale;
ordinariamente governata a fustaia; la
riduzione eccessiva della copertura
determina l’ingresso di una fase a rovi
e nocciolo; scarsi risultati hanno gli
interventi d’introduzione artificiale del
faggio e soprattutto dell’abete bianco
(danni da ungulati) così come quelli di
contenimento
del
nocciolo.
Formazione con ridotta stabilità
meccanica potenziale; sono consigliati
interventi
di
stabilizzazione;
riqualificazione forestale.
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1.4.3.4.
Lariceti e Larici Cembrete
LARICETI E LARICI CEMBRETI
MODELLO DI
FUNZIONAMENTO
A-B-C-D-E
Lariceto primitivo (L-p)
Lariceto tipico (L-t)
Lariceti
Laricicembreti
Megaforbie – Sfagni Montana
Lariceto in successione con abete bianco (LAa)
Lariceto in successione con pecceta (L-P)
Larici-Cembreto primitivo (L-Pc-p)
Larici-Cembreto tipico (L-Pc-t)
Lariceti
L-P
Ontano verde – Abete
Laricirosso - Mesalpica
Cembreti
Larici-Cembreto con Abete rosso (L-Pc-P)
Cembreta (Pc)
Altimontana
(…) I lariceti si presentano con fisionomie differenti: lo strato arboreo è sempre presente ed è
sempre dominato dal larice, mentre nel sottobosco si possono avere situazioni molto diverse, quali
praterie, formazioni a megaforbie, arbusteti a rododendro e mirtillo ecc.
I consorzi forestali che vedono la compartecipazione di larice e cembro sono propri dei distretti ad
elevata continentalità (regione endalpica) e a quote comprese tra i 1800 e i 2200 metri (pignatti,
1998). Vegetazioni particolari, spesso relittuali, legate a condizioni bioclimatiche non ottimali, si
riscontrano in Valtellina e in Valcamonica. Qui il cembro, spesso confinato in aree impervie
difficilmente accessibili, è accompagnato da specie caratteristiche dei loiseleurieti, degli juniperoarctostaphyleti e dei varieti. Cembrete atipiche, con Nardus stricta, sono invece interpretabili come
ricolonizzazione in corso di aree pascolate o di recente abbandono. (…)
Il larice ha trovato una notevole diffusione rispetto ai suoi ritmi naturali, contestualmente alle
cospicue operazioni di rimboschimento ed imboschimento effettuate dall’uomo dal primo
dopoguerra fino agli ultimi anni 80 (specie vicariante nei dell’abete rosso). La sua successiva
ulteriore diffusione si è inoltre fortemente accentuata grazie alle capacità pioniere del larice che,
soprattutto nel caso dei boschi cedui a gestione intensiva, si è rinnovato con ritmi sostenuti. Per tali
motivi non di rado si oservano situazioni in cui il larice si presenta con aliquote dominante in ambiti
dove in condizioni naturali nemmeno si sarebbe rinnovato. Questo fatto ha causato non pochi
problemi nell’attribuzione del tipo di numerosi ambiti soprattutto in ambito submontano (cedui
coniferati), ma anche a quote più elevate (Lariceto in successione con pecceta). Nel Parco sono
segnalati pressoché tutti i tipi segnalati in regione Lombardia ma per quanto attiene i tipi del LariciCembreto si tratta spesso di soprassuoli relitti la cui fisionomia non sempre rispecchia quella tipica
di tali boschi. Dal punto di vista cartografico si è fatto riferimento alla Categoria, mantenendo
comunque distinto il tipo Lariceto in successione con pecceta per le sue puntuali caratteristiche.
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(…) Una volta abbandanato il pascolo si può osservare un abbastanza rapido ingresso di altre specie,
diverse soprattutto in relazione alla regione forestale. Così, in quella mesalpica, sotto il larice si
insedia e s’afferma facilmente la rinnovazione di abete rosso non essendo limitata, almeno per
quanto attiene alla luce, dal piano dominante costituito dal larice (Lariceto in successione con
pecceta). La struttura di questa formazione è decisamente biplana, ma in un tempo relativamente
breve tende a divenire “transitoriamente” multiplana a causa della diversa crescita dei soggettivi
abete, per poi tornare più marcatamente monoplana, quando l’abete rosso prende decisamente il
sopravvento. Quando questa successione avviene, invece che con l'abete rosso, con l'abete bianco
sia ha la variante in successione con abete bianco del lariceto tipico. (…)
1.4.3.4.1.
Inquadramento tipologico
Quest’ampia categoria forestale comprende boschi prevalentemente altimontani e subalpini molto
diffusi in ambiente esalpico-endalpico. Il larice, e in misura più contenuta il cembro, rappresentano
infatti i naturali vicarianti dell’abete rosso alle quote più elevate. Nel territorio del parco la
formazione più rappresentata è il Lariceto tipico (L-t) sia nella sua forma tipica, sia nelle sue variante
a Megaforbie, a Sfagni, e Montana. Spesso si tratta di soprassuoli naturali e naturaliformi derivanti
da ricolonizzazione arborea di pascoli abbandonati o aree tradizionalmente destinate alla
produzione di carbone vegetale; non mancano però espressioni climax di ambiente altimontano.
Altrettanto diffusi, alle quote più elevate ed in corrispondenza delle superfici ad orografia mossa,
sono i Lariceti primitivi (L-p); si tratta di soprassuoli del tutto analoghi ai precedenti ma
caratterizzati da strutture marcatamente irregolari e ritmi di crescita estremamente più lenti
(condizionamento topografico-climatico). A quote minori (sotto i 1.800 m) il larice è stato
ampiamente diffuso ad opera dell’uomo che, da sempre, ne apprezza le qualità (chioma leggera che
non impedisce il pascolo, straordinaria lavorabilità, qualità tecnologiche, ecc.) In questi casi,
soprattutto laddove il versante ha subito un sensibile abbandono, si è diffusa la tipologia di Lariceto
in successione con Pecceta (L-P), ovvero un’espressione pregressa di ambiente di pecceta. La
struttura di questa formazione è decisamente biplana, ma in un tempo relativamente breve tende a
divenire "transitoriamente" multiplana a causa della diversa crescita dei soggetti di abete, per poi
tornare più marcatamente monoplana, quando l'abete rosso prende decisamente il sopravvento.
Quando questi meccanismi avvengono a favore dell’abete bianco, la tipologia descritta è il Lariceto
in successione con Abete bianco (L-Aa), assai meno diffusa ma di grande rilevanza forestale. Sotto i
1300 m di quota, fino alla fascia propria di Castagneto (700-900 m), è osservabile la variante
montana del lariceto tipico in cui possono essere presenti anche alcune latifoglie, fra cui soprattutto
il frassino maggiore e il tiglio. Si tratta di formazioni transitorie, formatesi in condizioni particolari
quali: estese frane, aree percorse dal fuoco e da ampi tagli eseguiti in passato. Il confine
tassonomico tra i diversi tipi di lariceto è spesso di difficile individuazione perché sono frequenti
numerose “formule intermedie”, e soprattutto perché il larice tende a subire l’aggressione da parte
di quasi tutte le altre specie forestali (latifoglie e conifere). Quest’ultimo aspetto è particolarmente
evidente nei casi in cui il larice sia riconducibile agli impianti artificiali di conifere che interessano
ampie porzioni di basso versante o alla consistente diffusione che se ne osserva in molti cedui
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invecchiati. In questi casi, contrariamente a quanto già osservato per le peccete, dove sono ben
indicate espressioni antropogene di soprassuolo, per quanto riguarda i lariceti artificiali non sono
state definite tipologie specifiche (vengono classificati come L-t var. Montana).
Le formazioni forestali che vedono la partecipazione del cembro nel parco sono meno diffuse
rispetto ai lariceti (sono osservabili in maniera pressoché “puntiforme” nella conca dell’Aviolo in
comune di Edolo); questo fatto, in ragione dell’elevato valore ecologico-paesaggistico legato al pino
cembro, rende il Larici-cembreto primitivo (L-Pc-p), il Larici-Cembreto tipico (L-Pc-t) nella sua forma
tipica e nelle sue variante con Ontano verde e Mesalpica, il Larici-Cembreto con Abete rosso (L-Pc-P)
e la Cembreta (Pc), formazioni di assoluto valore naturalistico.
1.4.3.4.2.
Indicazioni gestionali
In linea del tutto generale possiamo osservare che, trattandosi perlopiù di soprassuoli altimontani e
subalpini ad elevato valore paesaggistico-ecologico-idrogeologico, la loro gestione deve rispondere
a schemi prevalentemente conservativi e/o comunque a forme di selvicoltura che non ne alterino i
delicati processi dinamici6. Nel caso specifico delle L-P, la gestione forestale è certamente
condizionata da ritmi evolutivi che prevedono una più o meno repentina progressione verso la
categoria della Peccete. Si può tuttavia osservare che, in riferimento ai pregi ecologico-ambientali
derivanti dalla mescolanza tra larice e abete rosso (soprattutto in termini idrogeologici per le note
peculiarità consolidanti del larice, ma anche in termini ecologico-paesaggistici), non sono da
suggerire interventi intensivi. Nel caso infine dei L-C, occorre prevedere regimi di tutela puntuale,
ricordando a tal proposito che il cembro è “specie obiettivo”.
1.4.3.4.3.
Indicazioni puntuali
Lariceto tipico (L-t). Gestione ordinaria non intensiva, valorizzazione paesaggistica, tutela delle
varianti.
Lariceto primitivo (L-p). Libera evoluzione naturale.
Lariceto in successione con Pecceta (L-P). Favorire interventi di rallentamento della progressione
verso la pecceta.
(…) Nelle situazioni in cui vi è una maggiore partecipazione dell'abete rosso sembrano, invece,
sconsigliabili gli interventi tesi ad accelerare i processi evolutivi, attraverso tagli di sgombero del
larice per creare spazio alla rinnovazione di abete rosso (crosignani e mazzucchi, 1996).La
conservazione del larice sembra, infatti, opportuna per motivi di ordine economico (il legname di
larice è spesso preferito a quello di abete rosso), per esigenze paesaggistiche e, infine, secondo ott
(in verbis), per conservare una certa libertà decisionale. Infatti, favorendo la pecceta difficilmente si
potrà ritornare ad un lariceto, mentre conservando quest'ultimo sarà sempre possibile decidere di
optare a favore della pecceta che, fra l'altro, presenta maggiori problemi di stabilità meccanica. Lo
6
Molti lariceti del Parco dell’Adamello rappresentano una sorta di lunga fase di ricolonizzazione arborea di aree degradate (ambiti franosi, pascoli,
ecc). Pertanto la loro apparente stabilità è riconducibile ai lunghi cicli del larice stesso ma non è identificabile in una sostanziale fase climax. Nei
programmi di gestione dei lariceti quindi occorre avere la giusta cautela per evitare che i delicati meccanismi di evoluzione vengano alterati sia in
senso regressivo (ritorno a condizioni degradate), sia in senso progressivo (taglio intensivo del larice a favore di altre specie: abete rosso, pino
silvestre, ecc).
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stesso Ott, come unico intervento di cura, consiglia di eliminare gli individui di abete rosso troppo
sviluppati che tendono a far innalzare la chioma dei sovrastanti larici. Infatti, affinché quest'ultimi
abbiano una buona stabilità ed elevate produzioni, sia di legno e sia di seme, devono conservare la
chioma da metà ad almeno un terzo della lunghezza del fusto (…)
Larici-Cembreti. Libera evoluzione naturale.
1.4.3.4.4.
Località indice
L’intera cornice arborea altimontana che dall’Adamello percorre il perimetro del Parco fino alla
Valle del Gaver a Breno, è caratterizzata dalla presenza di larici secolari di aspetto monumentale.
Lariceto monumentale di località Conca Zumella-Volano a Paspardo e Cimbergo. Lariceto
monumentale di località Foppe a Braone. In località Madonnina a Niardo, nella parte più alta del
versante, è osservabile un soprassuolo che presenta le caratteristiche proprie di Lariceto in
successione con abete bianco. Di grande interesse storico-culturale sono inoltre i numerosi lariceti
di origine artificiale risalenti agli anni 30 in piena epoca fascista e spesso contraddistinti
dall’acronimo “Bosco dell’Impero” (località Pezzo a Pontedilegno e località Bazena a Breno). I
lariceti artificiali sono stati molto diffusi anche nel secondo dopoguerra, e soprattutto a quote
inferiori sia a scopo protettivo (lariceto del Dosso Croce a Berzo Demo), sia a scopo produttivo
(arboricoltura da legno lariceto delle Campanine a Cimbergo). Nella Conca dell’Aviolo in comune di
Edolo, sono osservabili le uniche espressioni di Larici-Cembreto del Parco.
Riassumendo le indicazioni gestionali per le diverse varianti del lariceto del PIF sono le seguenti:
Composizione
Larix decidua 3, Betula
pendula 2, Picea excelsa 2
Composizione
Larix decidua 5, Corylus
avellana 4, Betula pendula
2, Populus tremula 2,
Abies alba 3 (var.),
Castanea sativa 1 (var.),
Fraxinus excelsior 1 (var.),
Lariceto primitivo (L-p)
Alterazioni antropiche e dinamica
Nessuna. Stadio durevole per
condizionamenti edafici.
Lariceto tipico (L-t)
L-t var. Montana
L-t var. a Megaforbie
L-t var. a Sfagni
Alterazioni antropiche e dinamica
In passato spesso conservata
artificiosamente in purezza per
consentire un uso multiplo
(pascolo e produzione di legno).
Stabile, nel breve periodo,
raramente evolve verso la
Gestione ed emergenze
Libera evoluzione naturale..
Gestione ed emergenze
La
gestione
forestale,
prevalentemente nei lariceti di
medio versante può essere
attuata secondo gli schemi classici
della selvicoltura purché attuati in
forme
non
intensive
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Quercus petraea 1 (var.)
Composizione
Larix decidua 4, Picea
excelsa 2
Composizione
Larix decidua 3, Pinus
cembra 3
Composizione
Larix decidua 4, Pinus
cembra 3, Alnus viridis 2
(var.)
Composizione
pecceta.
(valorizzazione
paesaggistica).
Formazione di pregio paesistico;
la conservazione è favorita
dall'abbandono della gestione
ordinaria e dall'adozione di
particolari accorgimenti di cura
volti a migliorare le caratteristiche
dei larici (allontanamento degli
abeti vicini ai larici migliori e cure
nelle situazioni troppo dense).
Gestione attenta dei lariceti
artificiali evitando di accelerare i
processi evolutivi del soprassuolo;
pregio floristico delle varianti
Lariceto in successione con Pecceta (L-P)
Alterazioni antropiche e dinamica
Gestione ed emergenze
Spesso attività pregresse di Gestione produttiva secondo gli
pascolo o di sfalcio dell’erba. schemi classici della selvicoltura;
Rapida evoluzione verso uno dei sconsigliabili gli interventi di
tipi di pecceta.
eliminazione
del
larice
(conservazione
di
elementi
stabilizzanti,
possibilità
di
rimandare ad un successivo
momento la scelta di accelerare
l’evoluzione); nessuna emergenza
significativa.
Larici-cembreto primitivo (L- Pc -p)
Alterazioni antropiche e dinamica
Gestione ed emergenze
Stabile
Libera evoluzione naturale (pregio
tipologico)
Larici-Cembreto tipico (L- Pc -t)7
L-t var. con Ontano verde
L-t var. a Mesalpica
Alterazioni antropiche e dinamica
Gestione ed emergenze
Stabile;
possibile
futura Libera evoluzione naturale (pregio
espansione per ricolonizzazione tipologico; pregio faunistico per la
dei pascoli
var. con Ontano verde)
Larici-Cembreto con Abete rosso (L- Pc -P)
Alterazioni antropiche e dinamica
Gestione ed emergenze
7
Questa tipologia è rilevabile solo in aree puntiformi a ridosso dei Laghi d’Avio, soprattutto nella sua Variante con Ontano verde, i parametri
biometrici e gestionali riportati assumono pertanto significato unicamente informativo.
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Pinus cembra 4, Larix Progressiva evoluzione verso una Lasciare alla libera evoluzione
decidua 3, Picea excelsa 3 pecceta
naturale (pregio tipologico)
Composizione
Pinus cembra 4
1.4.3.5.
1.4.3.5.1.
Cembreta (Pc)
Alterazioni antropiche e dinamica Gestione ed emergenze
Stabile; possibile ingresso lento Lasciare alla libera evoluzione
del larice
naturale (pregio tipologico)
Alneto ad ontano verde (A-B-C-D-E)
Inquadramento tipologico
Le formazioni caratterizzate dalla significativa presenza di specie del gen. Alnus sono molto diffuse
nel Parco e la tipologia certamente più rappresentata è l’Alneto di ontano verde (Al-v), i cui
arbusteti rappresentano la formazione forestale dominante in ambiente subalpino; ben
rappresentate ma sempre relegati in piccoli lembi boscati a margine di aste fluviali e di prati umidi
di fondovalle, sono inoltre le formazioni dell’Alneto di ontano nero d’impluvio (Al-g-i), dell’Alneto di
ontano nero tipico (Al-g-t) e dell’Alneto di ontano bianco (Al-i).
(…) Esse, in buona parte, derivano da processi di ricolonizzazione di prati e pascoli di bassa quota in
cui l'attività alpicolturale avveniva solitamente prima e dopo la monticazione. Si tratta per lo più di
ambienti non interessati da ristagni idrici, ma dove l'acqua corrente è molta, sia in superficie e sia
nei primi strati del suolo.
Nello strato arboreo, oltre all'ontano bianco, sono presenti occasionalmente il frassino maggiore,
l'acero di monte, il faggio e, soprattutto nella regione endalpica, l'abete rosso. Quest'ultimo tende a
diffondersi sotto la copertura dell'ontano e alla lunga potrebbe prendere il sopravvento, creando,
qualora l'invasione avvenisse in vicinanza di alvei, non pochi problemi all'efficienza idraulica di
queste zone. In generale, l'alneto di ontano bianco può ritenersi, a meno del ripetersi di frequenti
ringiovanimenti del suolo, una fase transitoria verso l'aceri-frassineto o verso la pecceta azonale su
alluvioni (…)
1.4.3.5.2.
Indicazioni gestionali
La gestione di questi soprassuoli risponde pressoché esclusivamente a necessità di tutela e
valorizzazione.
(…) Nel complesso gli alneti costituiscono delle formazioni forestali di elevato valore naturalistico e
di particolare interesse storico-paessagistico, in quanto lembi residuali di ben più vaste superfici
forestali ridotte nell'ultimo secolo dall'espansione delle colture agrarie intensive. Diviene, quindi,
prioritario nella loro gestione conservarne la presenza che d'altra parte non è difficile grazie alla
generale facilità con cui avviene la rinnovazione sia agamica sia gamica.
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PIANO DI GESTIONE SIC IT 2070012 “TORBIERE DI VAL BRAONE”
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Da sconsigliare sono gli eventuali interventi, peraltro spesso fallimentari, tesi ad eliminare gli ontani
per recuperare, anche solo a fini paesaggistici, i pascoli di bassa quota (Menguzzato, 1976). Da ben
valutare sono anche gli eventuali interventi d'eliminazione degli alneti in aree ad alto rischio
idraulico, mentre in queste zone sono sempre opportuni i tagli per allontanare i soggetti di abete
rosso che talvolta entrano in queste formazioni
Anche gli alneti di ontano verde pongono alcuni particolari problemi gestionali. In primo luogo si
può segnalare che, in generale, nessun affidamento in termini evolutivi può essere riposto sui
soggetti sparsi di larice, talvolta presenti. Viceversa, alle quote inferiori e nelle situazioni più
favorevoli, dove l'alneto è presente da lungo tempo e i soggetti risultano “spogliati” nella parte
basale a causa dell'eccessiva copertura, si può notare un limitato ingresso del larice e dell'abete
rosso che fa supporre una certa propensione evolutiva della formazione, almeno là dove cessino o
non sussistano i fenomeni valanghivi, anche su piccola superficie. Considerando la spontanea
capacità ricolonizzatrice dell'ontano verde, non sono consigliabili i tentativi di allargare
artificialmente la sua area di diffusione. Poco opportuni appaiono anche gli interventi tesi ad
introdurre artificialmente nell'alneto le conifere, operazioni spesso destinate al fallimento, sia per la
scarsa attitudine dei siti al rimboschimento e sia per l'elevata capacità competitiva dell'ontano.
Inoltre, è opportuno ricordare che quest'alneto contribuisce a movimentare il paesaggio e ad
ospitare interessanti entità floristiche e faunistiche (Colpi e Masutti, 1984; Bottazzo e De Franceschi,
1996), per cui il suo "coniferamento" non risulta auspicabile (…)
Riassumendo le indicazioni gestionali del PIF sono le seguenti:
Composizione
Alnus viridis 5
Alneto di ontano verde
Alterazioni antropiche e
Gestione ed emergenze
dinamica
Pregressa attività pascoliva. Da lasciare alla libera evoluzione
Evoluzione verso cenosi naturale (da sconsigliare8 interventi di
boschive più mature (lariceti, taglio dell’ontano per il recupero di
peccete, cembrete) impedita aree pascolive e radure a favore della
dai
ricorrenti
fenomeni fauna). Pregio faunistico; lasciata
valanghivi.
all’evoluzione naturale per limiti
stazionali.
Pregio
tipologicovegetazionale; la conservazione è
favorita dall'abbandono
8
Tale indicazione non costituisce tuttavia un divieto. Il taglio degli alneti è quindi possibile - ma non libero: occorrerà che vi sia un progetto di taglio
condiviso con l'Ente nelle finalità, nelle modalità, nelle superfici ed in seguito autorizzato dal punto di vista forestale.
Terra Viva studio agroforestale – via del Carmine 2A, 27029 Vigevano (Pv)
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1.4.3.6.
Mughete
MUGHETE
Mughete
Mugheta mesoterma (Pm-ms)
Mugheta microterma dei substrati
carbonatici (Pm-mc-c)
Mugheta microterma dei substrati silicatici
(Pm-mc-s)
MODELLO DI
FUNZIONAMENTO
Suoli decalcificati
ns
Mughete
Sfagni
(…) Le mughete in Lombardia sono relativamente diffuse andando ad occupare ambienti anche
notevolmente diversi dal punto di vista climatico, ma non edafico. Si tratta, infatti, in tutti i casi di
formazioni tipiche di suoli superficiali formatisi su alluvioni e/o detriti di falda lungo versanti più o
meno acclivi (regosol e leptosol). (…)
Nel Parco le mughete si localizzano a quote molto elevate (ai limiti della vegetazione arborea), in
situazioni marcatamente detritiche e/o comunque caratterizzate da una sostanziale variabilità
geolitologica (conoidi e porzioni basali delle rupi). Per tale motivo si è deciso di adottare anche in
questo caso una rappresentazione cartografica riferita alla Categoria. Si possono osservare Mugheta
microterma dei substrati carbonatici (Pm-mc-c), sia nella sua forma tipica che nella variante dei
Suoli decalcificati, e la Mugheta microterma dei substrati silicatici (Pm-mc-s) che nella sua forma
tipica che nella preziosa variante a Sfagni. A quote comprese tra i 1.300-1.700 m è presente e
sporadica la Mugheta mesoterma (Pm-ms). Per ovvi motivi la gestione di questi soprassuoli deve
rispondere alle logiche della libera evoluzione naturale, rafforzata da indirizzi di gestione volti
all’assoluta protezione e tutela per motivi naturalistici.
Riassumendo le indicazioni gestionali per le diverse varianti della mugheta del PIF sono le seguenti:
Composizione
Pinus mugo
decidua 2
Composizione
Pinus mugo 5
5,
Mugheta mesoterma
Alterazioni antropiche e dinamica Gestione ed emergenze
Larix Stadio
durevole
per Lasciata all’evoluzione naturale
condizionamento edafico
per limiti stazionali; formazione
con elevato valore pirologico
Mugheta microterma dei substrat silicatici
Alterazioni antropiche e dinamica Gestione ed emergenze
Pregressa
attività
pascoliva. Lasciata all’evoluzione naturale
Evoluzione verso cenosi boschive per limiti stazionali. Formazione
più mature (lariceti, peccete, con elevato valore pirologico; var.
cembrete) impedita dai ricorrenti a sfagni: pregio tipologicofenomeni valanghivi.
vegetazionale.
Terra Viva studio agroforestale – via del Carmine 2A, 27029 Vigevano (Pv)
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Composizione
Pinus mugo
decidua 2
1.4.3.7.
5,
Mugheta microterma dei substrati carbonatici
Alterazioni antropiche e dinamica Gestione ed emergenze
Larix Stadio
durevole
per Lasciata all’evoluzione naturale
condizionamento edafico
per limiti stazionali; formazione
con elevato valore pirologico
Formazioni caotiche submontane, montane, altimontane e subalpine (E)
Come abbiamo già più volte osservato in precedenza, nel Parco sono molto diffusi soprassuoli
caratterizzati da marcato disordine fisionomico-strutturale di difficile classificazione tipologica. Al
fine di evitare attribuzioni forzose, basate più su valutazioni di merito della tipologia “potenziale”
che non sul dato reale, si è preferito inserire questi soprassuoli in un’unica grande categoria
denominata Formazioni caotiche.
Dal punto di vista cartografico sono state distinte due grandi tipologie in relazione alla fascia
altitudinale in cui si collocano: Formazioni caotiche montane e submontane (a quote inferiori a
1.350 m) e Formazioni caotiche altimontane e subalpine (a quote superiori a 1.350 m). In questo
modo si è ritenuto di rendere più agevole la lettura gestionale dei due tipi di bosco distinguendo in
maniera sostanziale due situazioni tra loro estremamente diversificate: nel primo caso si tratta
infatti di soprassuoli il cui “disordine” tipologico è prevalentemente attribuibile a cause di tipo
gestionale (tagli irrazionali del medio basso versante), mentre nel secondo caso il disordine può
essere invece più verosimilmente ricondotto a condizionamenti di tipo naturale (difficoltà
climatiche ed orografiche).
Vediamo alcune situazioni tipiche di entrambe le tipologie:
-
Formazioni altimontane. Alle quote più elevate a causa dei naturali condizionamenti orografici
ed edafici, ed in corrispondenza di numerose aree pascolive abbandonate, i soprassuoli
assumono forme estremamente variabili e non di rado si osservano sovrapposizioni marcate tra
le formazioni proprie delle conifere e quelle delle latifoglie. La gestione forestale di queste
situazioni ovviamente dev’essere orientata perlopiù in ottiche di tipo conservativo (libera
evoluzione naturale), fatta eccezione per quegli interventi pianificati di recupero e
valorizzazione delle aree a pascolo attivo.
-
In questa categoria, sono state inserite anche le Formazioni particolari del pioppo tremolo, del
salicone, del maggiociondolo e del sorbo degli uccellatori che sono presenti sul territorio del
Parco con formazioni diffuse ma estremamente circoscritte (raramente superiori ai 1.000 mq).
Anche in questo caso la gestione forestale è orientata in ottiche di pressoché esclusiva
valorizzazione (libera evoluzione naturale).
Terra Viva studio agroforestale – via del Carmine 2A, 27029 Vigevano (Pv)
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1.4.4. PIANO DI SETTORE AGRICOLTURA
Per l’analisi territoriale e per la determina degli obiettivi relativi alla gestione dei pascoli e
dell’agricoltura d’alpeggio, si è fatto riferimento al Piano di Settore Agricoltura redatto nel 2002 e
poi non approvato. Il piano, nella fase di analisi, tratteggia e descrive le attività agricole eseguendo
un’analisi territoriale e degli effetti che tali produzioni hanno sugli ecosistemi, a partire dal fondo
valle fino a giungere ai pascoli di quota.
Secondo il piano, l'alpeggio rappresenta il tratto più caratteristico e distintivo della zootecnia delle
valli alpine. Il trasferimento del bestiame nei mesi estivi sui pascoli in quota ha interessato fino agli
anni sessanta la quasi totalità degli allevamenti di montagna. Tale pratica è poi via via andata in
diminuzione, in corrispondenza con il progressivo calo del numero di aziende e dell'evoluzione del
settore, in particolare per quanto riguarda l'organizzazione produttiva ed il mercato del latte. Una
tendenza che sembra essersi rallentata negli ultimi anni, grazie anche agli interventi pubblici a
sostegno del miglioramento delle infrastrutture delle malghe ed al riconoscimento dell'attività
agroambientale dei caricatori, fattori cui vanno aggiunti la riscoperta e la valorizzazione dei prodotti
caseari d'alpeggio.
L'abbandono del pascolamento delle superfici in quota è in ogni caso un rischio sempre attuale,
foriero di conseguenze decisamente negative per l'ambiente e l'economia montana, per il
conseguente degrado territoriale ed il venire a mancare di prodotti dalle spiccate qualità
organolettiche, non surrogabili. Non va dimenticato poi il riflesso dell'attività agricola e delle sue
produzioni sulle economie locali, in particolare sull'immagine veicolata per l'offerta turistica e per
l'offerta gastronomica.
La superficie della ZPS si estende per 21.700 ha. Di questi circa il 48 % ricade nella fascia altimetrica
compresa tra i 2.200 e i 2.800 m s.l.m. che, tipicamente, rappresenta i territori in cui insistono le
attività di alpeggio. Pare chiaro come l’attività agricola e zootecnica sia un fattore determinante per
il mantenimento paesaggistico ed ecologico di tali habitat.
Il Piano di Settore Agricoltura PSA si propone di:
· individuare e censire le malghe distinguendole per la loro potenzialità strutturale e
produttiva, senza tener conto dei soli aspetti economici;
· promuovere il recupero, la continuazione e lo sviluppo delle malghe in base a valutazioni di
carattere ambientale, in funzione di presidio umano sul territorio, compensando le
condizioni di minore produttività;
· individuare gli alpeggi da convertire a bosco favorendo le tendenze attuali già in atto nelle
zone marginali;
· indicare il carico zootecnico sitospecifico idoneo alla migliore conservazione del cotico;
· favorire forme di associazionismo di gestione delle malghe o delle attività di trasformazione
e lavorazione dei prodotti lattiero-caseari;
· definire le specifiche unità di paesaggi all’interno delle quali, l’agricoltura e l’allevamento
svolge un ruolo significativo a livello ambientale;
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· stabilire criteri generali ed oggettivi per la valutazione delle priorità di intervento in funzione
delle caratteristiche fisiche e ambientali tipiche di ogni alpeggio.
Contestualmente, il presente piano di gestione, abbraccia gli obiettivi perseguiti dal PSA e,
contestualizzandolo a livello di sola ZPS, ne recepisce i capisaldi integrandolo con particolare
attenzione alle tematiche relative alla pianificazione dei miglioramenti fondiari da apportare alle
unità produttive in un’ottica di sostenibilità ambientale e di esternalità positiva delle attività
produttive (mantenimento ed incremento della biodiversità).
1.4.5. PIANO DI SETTORE FAUNA
Il Piano di Settore Fauna fa parte del raggruppamento di Piani redatti dall’Ente Gestore ma privo di
cogenza in quanto mai adottato. Vale dunque anche in questo caso quanto premesso in
precedenza. Il Piano Fauna costituisce un riferimento per le analisi in esso contenute e come utile
paragone per le strategie di intervento.
Gli studi preparatori sono stati curati dal gruppo di lavoro coordinato dal dott. Franco Perco in cui
erano presenti il dott. Antonio Borgo, il dott. Silvano Mattedi, il dott. Maurizio Odasso e il dott.
Massimo Ragusa. Hanno collaborato anche il dott. Gianfranco Gregorini e la dott.ssa Stefania Zorzi
Il Piano Fauna ha previsto campagne di censimento per alcune specie chiave: stambecco, camoscio,
pernice bianca, coturnice, gallo forcello, lepre variabile, lepre comune, rapaci. Tra queste meritano
particolare rilievo le specie di interesse comunitario (coturnice e pernice bianca) nonché le specie
ecologicamente collegate a specie di interesse comunitario (quali, ad esempio, gli ungulati utilizzati
a scopo trofico dall’aquila reale).
Il quadro che emerge dai censimenti mostra, in generale, un divario anche consistente tra le
popolazioni realmente presenti e quelle stimate in funzione delle potenzialità degli habitat del
Parco. Questo fenomeno è causato secondo l’interpretazione data dal Piano Fauna, anche in
relazione alle diverse specie, da una pluralità di fattori: difficoltà nell’esecuzione dei censimenti,
cambiamenti climatici, modifiche habitat e variazioni negli areali di distribuzione, attività umane
(quale ad esempio l’ingresso di cani da caccia) e pressione venatoria illegale.
A corredo delle analisi quantitative viene proposta anche una valutazione dell’uso e della selezione
degli habitat da parte della fauna, nonché dei fattori di idoneità ambientale. È possibile a questo
proposito individuare alcune caratteristiche. In primo luogo emerge come la fascia di maggior
idoneità ambientale per le specie prese in considerazione è proprio la cosiddetta “zona ecotonale”
in cui si concentra la maggior parte delle tessere di risorsa ambientale. In secondo luogo le
modifiche alla distribuzione degli habitat, con la riduzione delle praterie a favore degli arbusteti,
potrà essere svantaggiosa per due specie di interesse comunitario quali la coturnice e la pernice
bianca, che mostrano una selezione negativa di questi ambienti.
Si discosta da quanto sopra riportato la condizione dei rapaci diurni. Pur nei limiti della campagna di
campionamento condotta, infatti, il Piano Fauna afferma che “Alla luce degli scarni dati disponibili
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sembra che la situazione dei rapaci diurni nel Parco dell’Adamello sia sostanzialmente buona e
aderente alle caratteristiche ambientali dell’area”.
Di particolare rilievo, a questo proposito, è lo studio conoscitivo svolto sull’Aquila reale (Aquila
chrysaetos) svolto dal dott. Borgo. Pur nei limiti con cui è stato svolto il monitoraggio, richiamati
dallo stesso Borgo, lo studio rappresenta una prima fotografia della consistenza di questa specie di
interesse comunitario. Emerge come siano presenti cinque coppie di aquila reale, che formano
un’unica grande popolazione con gli esemplari viventi nel Parco Adamello-Brenta e nel Parco dello
Stelvio.
Particolarmente interessante è il dato relativo ai fattori limitanti che influiscono su questa specie. È
infatti emerso come un fattore limitante possa essere costituito dalla scarsa presenza di ungulati e
dalla conseguente scarsità di prede nel periodo invernale. Sempre tra i fattori potenzialmente
limitanti viene segnalato anche il problema dell’elettrocuzione, ostativo anche ad un possibile
ritorno del Gipeto. Scarsamente rilevante è invece giudicato il prelievo venatorio illegale.
Il Piano Fauna inoltre effettua una valutazione qualitativa dell’idoneità ambientale nei confronti
delle specie che potranno colonizzare il Parco nel prossimo futuro: orso, grifone, lince e gipeto. In
quasi tutti i casi (ad esclusione dell’orso) il principale fattore limitante è rappresentato dalle
popolazioni contenute di ungulati, attualmente non in grado di sostenere troficamente i predatori.
Dal punto di vista gestionale il Piano Fauna fa proprie le valutazioni gestionali espresse dal Piano di
Settore Agricoltura, al quale si rimanda per una trattazione più puntuale. In generale lo scenario che
emerge è quello di un valore positivo del pascolo quale elemento di conservazione degli attuali
assetti. Il mantenimento della configurazione attuale tra arbusteti e praterie viene dunque letto dal
Piano Fauna come un elemento di conservazione faunistica. Tale valorizzazione del pascolo si
accompagna alla necessità di un riequilibrio dei carichi allevati a livello sistemico, con alpeggi
sottosfruttati (generalmente per assenza di infrastrutture) e sovraccaricati (nelle zone meglio
servite).
È inoltre presente una valutazione dell’impatto del turismo sulla fauna, condotta a partire da
quanto riportato nel Piano di Settore Turismo e Viabilità. Viene evidenziato come le zone a
frequentazione turistica intensiva (es: Gaver, Tonale) mostrino una marcata criticità per
l’interferenza con la fauna. In senso generale, tuttavia, viene riconosciuto al turismo un valore
positivo: “[…] il turismo “dolce” può essere una delle chiavi di mantenimento dell’attività umana
tradizionale in montagna e quindi indirettamente di conservazione degli habitat seminaturali.”
Infine il Piano di Settore Fauna valuta dal punto di vista della fattibilità e della sostenibilità alcune
linee gestionali. Emerge come per l’avifauna la strada migliore sia quella dei miglioramenti
ambientali. A questo proposito viene proposto un progetto sperimentale proprio per la gestione
delle situazioni di colonizzazione di arbusti in ambiente di prateria. Per gli ungulati si propongono
campagne mirate di rinforzo delle popolazioni esistenti. La colonizzazione dell’orso avverrà in
maniera spontanea; quella del grifone e del gipeto, invece, è subordinata come visto alla
disponibilità trofica ed è, allo stato attuale, solo teorica.
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A livello cartografico sono riproposte le tavole di vocazionalità faunistica prodotte nello studio
preparatorio del Piano Fauna. Di seguito si riporta uno stralcio di quello studio al fine di meglio
inquadrare il metodo utilizzato:
“Sulla base dei dati distributivi 2004-2005 disponibili, è stato condotto uno studio delle preferenze
ambientali delle specie (cfr. § Relazioni habitat-popolazioni), finalizzato anche all’elaborazione di
modelli di valutazione dell’idoneità ambientale. Come inizialmente preventivato, le analisi sono state
condotte solo sulle specie per le quali si disponeva di un sufficiente numero di dati. Per modello di
valutazione ambientale (MVA) si intende uno strumento applicativo -gestionale che, sulla base
dell’analisi delle relazioni che legano un dato fenomeno biologico (presenza, riproduzione o
abbondanza) di una specie con le caratteristiche dell’ambiente, rappresenta una semplificazione
matematico-statistica del fenomeno originale. Proprio graziealla semplificazione sintetica cui riesce
a pervenire (e cui mira) il modello, queste relazioni possono essere racchiuse in una funzione
matematica polinomiale (multivariata appunto) che permette di riprodurre, semplificato, l’articolato
e complesso intreccio di cause-effetto che lega il fenomeno alle caratteristiche (qualità) dell’habitat.
Un modello che è rappresentato da una funzione matematica e che quindi esprime un “giudizio” di
idoneità in modo ripetibile e riproducibile, è l’unico che, ad oggi, possa dirsi rispettare appieno i
criteri del procedimento scientifico. È anche per questo che, fin dove possibile, questa tecnica è stata
preferita ad altre più soggettive ma, soprattutto, meno chiaramente riproducibili, giustificabili e
deduttive. Inoltre, sono stati usati analisi e modelli di tipo stocastico–statistico, in quanto essi sono
(oggi) l’unico mezzo capace di tenere (statistico-matematicamente) in considerazione anche la
variabilità casuale (stocastica) dei fenomeni indagati, riuscendo a modellizzare in modo più realistico
un sistema–ambiente. I metodi impiegati forniscono inoltre allo studioso, o al semplice lettore, la
possibilità di conoscere oggettivamente anche i margini di precisione raggiunta: un aspetto di
“trasparenza” fondamentale dal momento che nessun modello è perfetto. Va sottolineato, infine,
come i modelli distributivi vocazionali ottenuti nel presente lavoro siano tutti stati dedotti
empiricamente (cioè da dati reali) nello stesso Parco dell’Adamello e siano quindi originati dalle (e
calibrati sulle) caratteristiche ambientali proprie e specifiche dell’area protetta 9“.
Si rimanda comunque al documento originale per una puntuale trattazione del metodo di calcolo
degli indici.
Fanno eccezione le cartografie denominate "Potenzialità cervo", "Potenzialità capriolo",
"Potenzialità marmotta", "Potenzialità Francolino di monte", "Potenzialità Gallo cedrone" per le
quali ci si è avvalsi delle indagini scientifiche svolte nell'ambito degli "Studi preliminari alla
redazione del Piano Territoriale di Coordinamento del Parco dell'Adamello" da parte di Giovanni
Scherini e Guido Tosi (mammalofauna) e da Pierandrea Brichetti (ornitofauna)."
9
Il successivo paragrafo è tratto dagli Studi propedeutici al Piano di Settore Fauna del Parco dell’Adamello (F.Perco, A.Borgo, S.Mattedi, M.Odasso,
M.Ragusa)
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1.4.6. PIANO DI SETTORE TURISMO E VIABILITÀ
Gli studi preparatori per il Piano di Settore Turismo e Viabilità, redatti dal dott. Gianfranco Gregorini
nell’anno 2002, si ascrivono alla categoria dei Piani di Settore privi di approvazione. Vale in questo
senso quanto già richiamato in casi analoghi.
Il Piano muove da una ricognizione approfondita e puntuale delle risorse viabilistiche e turistiche
presenti nel territorio del Parco. I due aspetti, turismo e viabilità, sono infatti inscindibilmente
connessi. Il risultato di questa fase conoscitiva è il censimento della rete viabilistica e sentieristica,
delle risorse turistiche e naturalistiche, delle infrastrutture ricettive presenti.
Alla base della fase di pianificazione vi è una zonizzazione del territorio in funzione dell’intensità di
fruizione turistica. La frequentazione del Parco è, come presumibile, non omogenea ed egualmente
distribuita. In particolare vengono definite tre classi:
•
Zone a frequentazione turistica intensiva: rientrano in questa categoria tutte le zone
interessate da forme di forte concentrazione di flussi turistici, sia in forma insediativa (es: alberghi,
zone residenziali, ecc..) sia in forma temporanea (es: zone prive di infrastrutture ma frequentate a
scopo escursionistico-ricreativo). Sono così classificate le località più famose del Parco: il passo del
Tonale, la zona del Gaver, la pineta di Cevo, il Passo Crocedomini, ecc.. Le problematiche legate a
queste zone, oltre che per l’intensa presenza antropica, sono riconducibili anche a particolari forme
di disturbo, quale la presenza delle motoslitte nel periodo invernale nel quadrante meridionale del
Parco
•
Zone a frequentazione turistica estensiva: comprendono ampie zone del Parco, in cui non si
realizzano alte concentrazioni di turisti, se non in occasioni particolari e circoscritte (es: feste
patronali, manifestazioni sportive). Si tratta di aree in cui la presenza turistica è pienamente
compatibile con la conservazione della natura.
•
Zone a bassa frequentazione turistica: tutte le restanti zone, in cui la presenza dell’uomo è
relegata alla rete viabilistica e sentieristica.
Questa zonizzazione ha permesso di identificare gli ambiti di maggiore criticità: la zona del Passo del
Tonale e la Piana del Gaver. Di contro il Piano propone un sostanziale riequilibrio dei flussi turistici
verso zone di pregio ma attualmente non valorizzate adeguatamente. Vengono inoltre evidenziati
alcuni contesti meritevoli di maggior tutela. Per queste zone l’approccio strategico proposto dal
PSTV ricalca quanto già previsto dal Piano di Settore Agricoltura. A ciò si dovrà aggiungere
un’adeguata opera di informazione e sensibilizzazione e la vigilanza al fine di scongiurare e
sanzionare i comportamenti illeciti.
Infine il PSTV propone un’ampia gamma di nuove realizzazioni, che spaziano dai punti informativi a
punti attrezzati per la ricettività, dalle aree picnic ai parcheggi, fino all’infrastrutturazione turistica in
termini viabilistici/sentieristici e di ospitalità (bivacchi, campeggi, ecc..). Particolarmente
interessante è la previsione di valorizzazione di malghe e alpeggi.
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Ultimo argomento affrontato dal PSTV è il tema viabilistico. Da un lato, infatti, la presenza di
un’adeguata rete infrastrutturale è condizione indispensabile per uno sviluppo sostenibile del
territorio. Dall’altro questa costituisce una minaccia potenziale, garantendo una penetrazione
all’interno del Parco anche per scopi non gestionali o di servizio (prelievo venatorio illegale, ecc..).
In quest’ottica si inserisce anche la proposta di potenziamento/ottimizzazione del trasporto
pubblico nelle zone a maggiore criticità, ad esempio mediante la realizzazione di bus navetta
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1.5.
DESCRIZIONE DEL PAESAGGIO
Di seguito vengono descritte le caratteristiche del paesaggio riprese, per la parte di interesse del
presente Studio, dal Rapporto Ambientale della Valutazione Ambientale Strategica della IV Proposta
di Variante del Piano Territoriale di Coordinamento del Parco Regionale.
1.5.1. PIANIFICAZIONE SOVRAORDINATA
“Il PTPR individua sei ambiti geografici dei paesaggi in provincia di Brescia, di cui uno dedicato alla
Val Camonica (Figura 2.1); di seguito se ne riporta la descrizione regionale.
Ambito corrispondente al corso alpino e prealpino dell’Oglio, nella provincia di Brescia. Ben
circoscritto in termini geografici, è inoltre dotato di una sua definita identità storica. Sotto il
profilo geografico si distinguono tre diverse porzioni di valle: la bassa, dall’orlo superiore del
Sebino a Breno; la media, da Breno a Edolo; l’alta, da Edolo al Passo del Tonale. Racchiude al
suo interno la parte lombarda del Gruppo dell’Adamello e del Baitone.
I caratteri del paesaggio mutano profondamente nel risalire o nel discendere il corso
dell’Oglio.
Dall’aspetto alpino, dominato da rocce, ghiacciai, nevai e versanti boscati dell’alta valle, si
succede l’influsso termico e ambientale prealpino della media e bassa valle. Anche
l’antropizzazione aumenta con il diminuire del livello altimetrico: al fondo valle chiuso e
incassato di alcuni tratti della porzione superiore della valle (Cedegolo è un significativo
esempio di costrizione insediativa) si succedono conche e pianori di sufficiente ampiezza nella
media valle dove si collocano i centri maggiori (Breno, Boario Terme, Capo di Ponte).
L’allargamento del solco vallico nella parte bassa aumenta le vocazioni insediative e genera
rilevanti fenomeni espansivi sia di carattere residenziale, sia di carattere commerciale o
altrimenti produttivo (cfr. l’area urbanizzata Lovere, Costa Volpino, Darfo-Boario Terme). Ne
viene pregiudicato l’assetto agricolo del fondovalle che conserva buoni connotati di
paesaggio soprattutto laddove si compone sui conoidi, si terrazza sui versanti, si adagia sui
dossi e sulle conche moreniche. A ciò si aggiunge la spessa coltre boschiva che, nella
dominanza del castagno, vivifica e integra l’assetto delle coltivazioni tradizionali. Nella parte
alta della valle, le resinose si distribuiscono asimmetricamente sui versanti a seconda della
più o meno favorevole esposizione climatica. Due i momenti storici che connotano il
paesaggio storico della valle. Rilevantissimo quello preistorico che conferisce alla
Valcamonica il primato di maggior comprensorio europeo d’arte rupestre, e pure notevole
quello rinascimentale e successivo che, soprattutto nella produzione artistica e
architettonica, rileva personaggi di spicco e una singolare elaborazione culturale in grado di
plasmare con tipicità diversi scenari urbani locali.
Componenti del paesaggio fisico:
forra del Dezzo, dossi di Boario (‘crap’) e Monticolo, coni di deiezione (Cerveno), ripiani e
terrazzi morenici; morene e ghiacciai d’alta quota; pareti ed energie di rilievo (tonalite) del
gruppo Adamello-Presanella; nevai perenni (Pian di Neve); laghi intermorenici (lago Moro) e
laghi alpini (lago di Lova, laghi del gruppo Adamello-Presanella);
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Componenti del paesaggio naturale:
aree naturalistiche e faunistiche (massiccio dell’Adamello-Presanella, valli Campovecchio e
Brandet, alta valle di Lozio e Concarena, val Dorizzo, valle Grande del Gavia);
Componenti del paesaggio agrario:
ambiti del paesaggio agrario particolarmente connotati (campagna della ‘prada’ di Malonno,
castagneti da frutto della bassa valle, pascoli del Mortirolo, prati della conca di Zone e del
Gölem, terrazzi e coltivi del colle di Breno e crinale di Astrio; vigne, campi promiscui del
pedemonte di Piancogno; trama particellare del conoide di Cerveno); dimore rurali dell’alta
valle (Pezzo, Lecanù); nuclei di poggio e di terrazzo (Vissone, Solato, Villa di Lozio, Astrio,
Pescarzo, Odecla, Nazio, Moscio, Lando, Villa d’Allegno); percorrenze piano-monte, sentieri,
mulattiere; malghe e alpeggi, casere; ambiti e insediamenti particolarmente connotati sotto
il profilo paesaggistico (terrazzo morenico di Niardo, Braone, Ceto, Cimbergo e Paspardo;
campagna di Ono San Pietro; frazioni e nuclei di Malonno e di Corteno Golgi; nuclei e
contrade della Val Paisco);
Componenti del paesaggio storico-culturale:
siti delle incisioni rupestri (Boario, Capo di Ponte, Niardo, Paspardo…); altri siti archeologici
(Cividate Camuno, Breno); tradizione della lavorazione del ferro (valle di Bienno, Malonno) e
relative testimonianze; archeologia industriale (villaggio operaio e cotonificio di Cogno);
centrali idroelettriche storiche (Sonico, Cedegolo); tracciati storici (via ‘romana’ di valle);
ponti storici (ponte di Dassa a Sonico); mulini e altri edifici tradizionali con funzioni
produttive; aree minerarie della Val Paisco; apparati difensivi, castelli (Cimbergo, Breno,
‘rocche’ di Plemo…); edifici monumentali isolati (San Clemente di Vezza d’Oglio, San Siro di
Capo di Ponte, San Pietro in Cricolo a Ono San Pietro, parrocchiale di Monno); sistemi
difensivi e strade militari della prima guerra mondiale; santuari (Berzo inferiore, Cerveno),
conventi (Annunciata di Piancogno, monastero di San Salvatore a Capo di Ponte), eremi (San
Glisente);
Componenti del paesaggio urbano:
centri storici (Artogne, Erbanno, Ossimo superiore, Borno, Esine, Breno, Bienno, Niardo,
Braone, Ceto, Cerveno, Nadro, Ono San Pietro, Capo di Ponte, Saviore dell’Adamello,
Malonno, Edolo, Sonico, Monno,
Vezza d’Oglio, Vione, Canè…);
Componenti e caratteri percettivi del paesaggio:
belvedere (convento dell’Annunciata a Borno, Adamello dalla Val d’Avio…); infrastrutture di
trasporto di rilevanza paesaggistica (Ferrovia della Valle Camonica); aree alpinistiche
(Adamello-Presanella); luoghi dell’identità locale (dosso e castello di Breno, pieve di San Siro
a Capo di Ponte, Adamello e Lobbia Alta, conca di Pontedilegno, passo e rifugio del Gavia,
passo del Tonale…).
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Figura 1.2: Estratto Tavola A “Ambiti geografici e Unità Tipologiche di Paesaggio” PTPR (fuori scala)
1.5.2. PRINCIPALI CARATTERISTICHE PAESAGGISTICHE DEL TERRITORIO DEL PARCO
Al fine di fornire una prima sommaria caratterizzazione paesaggistica del territorio del Parco, si
riporta di seguito una prima classificazione in unità di paesaggio-orizzonti, operata da Andrea Galli e
Luca Tosi nell'ambito degli studi per il progetto finalizzato IPRA relativo alla Valle Camonica
(pubblicato nel volume "Sistemi agricoli marginali di Valle Camonica", a cura del Consiglio Nazionale
delle Ricerche e della Comunità Montana di Valle Camonica), adattata in alcuni dettagli alla
specificità del territorio del Parco nell’ambito degli studi propedeutici alla redazione del Piano di
settore Agricoltura.
Il territorio del Parco dell’Adamello è per lo più interessato dalla fascia con copertura vegetazionale
assente o molto discontinua e dalla fascia dei boschi di versante (questi ultimi interessano quasi il
50% del territorio), mentre la fascia agricola di basso versante e le aree urbanizzate risultano
decisamente marginali nel Parco (Tabella 2.3).
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Tabella 1.11: Unità di paesaggio nel Parco dell’Adamello
Di seguito sono descritti i caratteri distintivi più salienti delle sole unità di paesaggio di interesse per
il presente studio.
“A1 Improduttivi (rocce, dirupi, forme di erosioni attive, ghiacciai e macereti d’alta quota)
Sono compresi all’interno di questa unità di paesaggio tutti gli ambienti d’alta quota (rupi e
macereti) posti al di sopra del limite superiore della vegetazione arborea, per i quali non vi siano
significative coperture vegetali , arbustive o erbacee, che possano consentirne un utilizzo ai fini agropastorali. Vi si annoverano, inoltre, le pareti rocciose, le morene, i detriti di falda non colonizzati, i
conoidi di detrito attuali e le frane recenti di dimensioni ragguardevoli, per i quali non è prevedibile,
a breve termine, una immediata colonizzazione da parte di vegetazione spontanea.
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Quando queste sono presenti, si annoverano generalmente tra le associazioni del Curvuletum e del
Festucetum variae sui suoli acidi, sostituite da Carcetum firmae su substrati a matrice calcarea.
Questi ambienti comprendono altresì piccoli specchi d’acqua non autonomamente individuati tra le
risorse idriche, oltre ad aree improduttive per destinazione, pur se non propriamente urbanizzate (ad
es. piazzali di deposito). Situazione particolare si riscontra in comune di Ponte di Legno, loc.tà
Valbione, per tutta la conca di fondovalle destinata a campo da golf.
All’interno del Parco sono stati individuati circa 20.709 ha afferenti a questa unità di paesaggio, pari
al 40,8% circa della superficie totale del Parco stesso.
B1 praterie xeriche (pascoli magri)
Comprendono tutte quelle superfici destinate a pascolo, quasi sempre di proprietà pubblica e oltre il
limite superiore della vegetazione arborea, per le quali i fattori climatici locali (temperatura,
umidità, esposizione, ventosità, orografia, quota, ecc.) determinano, insieme a condizioni edafiche
mediocri o difficili, condizioni di xericità associata a scarsi livelli produttivi in termini sia quantitativi
che qualitativi.
Dal punto di vista associazionale si va dalle formazioni più xerofile del Nardetum alpigenum, al
Fetsucetum variae, al Curvuletum sui suoli acidi, cui si succedono il Seslerieto-Serperviretum ed il
Caricetum firmae sui suoli calcarei, nelle loro varianti (facies) più aride e xerofile, su pendii ripidi e
soleggiati con spessore pedogenetico molto ridotto. Dalle formazioni tipiche dei suoli poveri soggetti
a intenso pascolamento almeno in passato, si passa alle formazioni microterme più rade e
discontinue della Classe Salicetea herbaceae, caratterizzate da discontinuità del cotico dovuta sia a
fattori costituzionali (rocce affioranti), che derivati (progressivo abbandono di settori anticamente
pascolati), comunque di livello produttivo scarso o mediocre.
Più raramente sono state annoverate in questa categoria anche piccole superfici a pascolo intercluse
al bosco o poste in situazioni di margine rispetto a prati e maggenghi, utilizzate occasionalmente
durante l’inizio e la fine della stagione d’alpeggio. Per le caratteristiche di scarsa produttività del
cotico non sono state ascritte alla classe successiva dei pascoli propriamente detti.
All’interno del Parco sono stati individuati circa 2.080 ha di pascoli magri, pari al 4,1% circa della
superficie totale del Parco stesso.
B2 pascoli alpini propriamente detti (pascoli alpini)
Questa categoria comprende tutte le superfici destinate a pascolo afferenti agli alpeggi, dotati delle
caratteristiche produttive migliori in termini di copertura continua del cotico erboso.
La categoria comprende al suo interno un’alta variabilità di associazioni vegetazionali, riconducibili
comunque ai principali raggruppamenti della Classe Nardetalia e Arrhenatheretalia nelle stazioni più
fresche. Vi si annoverano frequentemente le facies migliori del Nardetum alpigenum di valore
pastorale non troppo scarso, associato a Curvuletum su suoli acidi, mentre su suoli calcarei si
possono incontrare più frequentemente, oltre al Seslerieto-Semperviretum, il Caricetum ferruginae
delle stazioni più fresche e di migliore valore foraggero.
In situazioni generalmente molto localizzate si riscontrano frequentemente zone invase da flora
ammoniacale (Rumex alpinum, Urtica dioica, ecc.) a caratterizzare i siti di stazionamento
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continuativo del bestiame, posti quasi sempre nei pressi delle malghe, delle zone di abbeverata o di
mungitura.
Sono queste le associazioni dei cosiddetti “pascoli dei riposi” che con adeguati accorgimenti di
gestione tendono a trasformarsi, nel breve periodo, nella categoria dei pascoli alpini propriamente
detti, per la loro giacitura e ubicazione generalmente molto favorevole. Dal punto di vista
fitosociologico ci si ritrova nel cosiddetto Rumicetum alpini, ospitante tipiche essenze nitrofile legate
al continuo stazionamento del bestiame sulle stesse superfici.
All’interno del Parco sono stati individuati circa 1.480 ha di pascoli alpini propriamente detti, pari al
2,9% circa della superficie totale del Parco stesso.
B3 pascoli pingui e zone di torbiera (pascoli umidi)
Con questa unità di paesaggio vengono individuate tutte quelle superfici più o meno pianeggianti
per le quali il livello di umidità del suolo conferisce un tenore idrico o mesoidrico al suolo, al di sopra
del quale vengono a costituirsi particolari associazioni vegetazionali di grande rilevanza floristica
(afferenti alle facies mesoidriche e dei suoli torbosi della Classe Caricetalia), con abbondanza di
Caricacee, cui spesso è riferibile anche la toponomastica locale (Carét, Carète). Il livello produttivo di
tali superfici a pascolo risulta generalmente inferiore rispetto a quello dei pascoli propriamente
detti.
All’interno del Parco sono stati individuati circa 150 ha di pascoli umidi, pari allo 0,3% circa della
superficie totale del Parco stesso.
C1 zone di contesa (aree di transizione tra il pascolo ed il bosco, al limite superiore della vegetazione
arborea)
Rientrano in questa unità tutte le superfici non propriamente boscate, ubicate oltre il limite
superiore della vegetazione arborea, assiduamente pascolate in passato ed oggi in fase più o meno
avanzata di colonizzazione da parte delle essenze arbustive autoctone del piano subalpino
(principalmente ontano verde, rododendro, ginepro nano). Dal punto di vista della composizione
floristica, il cotico erboso riflette quasi sempre elementi delle medesime associazioni dei settori
migliori dei pascoli più vicini, anche se entrano in parte preponderante, nella composizione, anche le
essenze nemorali precedute dalle erbacee più invadenti e meno appetite, tipiche del pascolo
abbandonato.
Tale unità può essere costituita da:
- ambienti di vegetazione arbustiva già colonizzati, a copertura pressoché continua ed in equilibrio
con i fattori limitanti propri di stazioni caratterizzate da condizioni climatiche o orografiche
specifiche, al limite superiore della vegetazione arborea (alnete, mughete, ecc.); queste situazioni,
dal punto di vista fitosociologico, tendono ad identificarsi con le associazioni tipiche delle fasce
boscate poste al limite della vegetazione arborea ed arbustiva dell’Alnetum viridis o addirittura del
lariceto tipico;
- pascoli in fase di progressivo o avanzato stato di abbandono, per i quali è evidente l’ingresso di
essenze pioniere che tendono a ricolonizzare spontaneamente le superfici anticamente sottratte
dall’uomo al bosco attraverso l’esercizio del pascolamento; in questi casi le associazioni più frequenti
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sono quelle del Vaccinio-Rhododendretum dei suoli più freschi e dello Junipero-Arctostaphilletum
delle stazioni più soleggiate in cui vi è minor permanenza del manto nevoso;
- boschi radi d’alta quota in cui la copertura arborea risulta talmente scarsa da non giustificare il
loro inserimento nella categoria seguente, anche in questo caso per effetto di un’azione più o meno
intensiva di pascolamento pregresso o attuale.
All’interno del Parco sono individuati circa 6.450 ha afferenti a questa unità di paesaggio, pari al
12,7% circa della superficie totale del Parco stesso.
C2 boschi (superfici a prevalente copertura arborea)
Rientrano in questa unità tutte le superfici a bosco caratterizzate da una prevalente copertura di
tipo arboreo, sia di conifere che di latifoglie o in composizione mista, governate tanto a ceduo
quanto a fustaia.
La fascia più bassa in quota ricade entro la regione forestale esalpica centroorientale esterna,
mentre le formazioni più tipiche della regione endalpica si riscontrano, oltre che alle quote superiori
ai 1.600-1.700 m di quota, nella porzione terminale della Val Camonica da Incudine a Ponte di
Legno, dove il timbro più marcatamente continentale del clima è reso manifesto dalla totale
scomparsa di faggio e abete bianco. La restante fascia boscata intermedia è da considerarsi
afferente alla regione forestale mesalpica, ovverosia di transizione tre le altre due.
Mentre da Edolo verso monte l’esposizione dei versanti condiziona sempre in senso mesico il
territorio afferente al Parco (con la sola eccezione della sponda di Vescasa-Serodine a Ponte di
Legno), da Edolo verso valle si ha un’alternanza di versanti ad esposizione calda contrapposti, lungo
le numerose vallate laterali in sinistra orografica dell’Oglio, a rispettivi versanti ad esposizione
decisamente fredda, fatto che caratterizza le formazioni forestali riflettendosi in una evidente
variabilità di tipi e di situazioni differenti.
Si va dunque dalla fascia dei castagneti dei substrati silicatici mesici con notevoli varianti di
composizione, a quelli mesoxerici e poi xerici, dove progressivamente si riscontra un sostanziale
ingresso della rovere nel consorzio. La presenza del faggio risulta ovunque molto ridotta e
contrastata dalla massiccia diffusione degli abeti, soprattutto per quanto riguarda la picea, che
insieme al larice tende a diffondersi anche a quote molto basse, spesso favorita dal costituirsi di
estese formazioni secondarie se non addirittura di sostituzione.
Non manca l’abete bianco, a formare a volte consorzi quasi puri o abieteti misti con picea e faggio,
soprattutto su suoli carbonatici, mentre la diffusione della pecceta montana e del lariceto subalpino
negli orizzonti superiori costituisce di gran lunga l’aspetto dominante della vegetazione forestale nel
parco.
Nell’assetto forestale è rimarchevole la presenza di formazioni primigenie o di nuova costituzione
spontanea di estremo interesse ai fini botanici, quali le mughete, presenti sia su suoli calcarei
(Monte Colombine, Val di Cadino) che silicatici (Sant’Anna di Incudine), il larici-cembreto del Monte
Piccolo a Edolo, in fase di continua espansione soprattutto ad opera delle nocciolaie che ne
trasportano le sementi dalla vicina Valtellina, gli estesi alneti del Tonale e del Tredenus, i betuleti
secondari del Corno delle Fate a Sonico, le pinete di pino silvestre primitive di rupe di Paspardo, ecc..
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Le formazioni boscate più elevate in quota (dominate dalla presenza dei lariceti), siano esse rade o,
più raramente, chiuse per quanto attiene alla densità, presentano costante interferenza con
l’esercizio del pascolo, il quale esercita un’azione di contenimento della spontanea tendenza del
bosco alla progressione verso l’alto e in direzione delle chiarìe più aperte o del pascolo vero e
proprio.
All’interno del Parco sono stati individuati circa 16.455 ha di boschi ascrivibili a questa unità di
paesaggio (con esclusione dei castagneti, dei terrazzamenti abbandonati e delle formazioni boschive
ripariali), pari al 32,2% circa della superficie totale del Parco stesso.
C3 maggenghi (prati-pascoli di versante anticamente ricavati all’interno del bosco per azione diretta
dell’uomo)
I maggenghi presenti in tutto l’orizzonte montano e submontano del parco costituiscono un
importantissimo elemento di caratterizzazione del paesaggio agrosilvopastorale alpino. Questi prati
pascoli sono stati ricavati all’interno del bosco attraverso veri e propri interventi di trasformazione e
sostituzione colturale di boschi ubicati in condizioni favorevoli di suolo, esposizione e accessibilità,
frutto di opere di disboscamento e messa in coltura di suoli certamente più adatti alla vocazione
forestale che non alla produzione agricola, come dimostra il progressivo ritorno al bosco per via
spontanea dei maggenghi abbandonati da diversi anni.
La composizione floristica del prato stabile polifita vede una grande partecipazione di essenze
erbacee ad elevato contenuto nutritivo insieme alle graminacee proprie delle Classi
Arrhenatheretalia e Brometalia erecti, che costituiscono i due raggruppamenti maggiormente
rappresentativi di tutte le formazioni prative stabili del territorio del parco.
Più in dettaglio le associazioni fitosociologiche riscontrabili sono relative all’Arrhenatheretum
elatioris per i prati pingui di maggiore fertilità, sfalciati più volte all’anno, sostituita da Molinietum
coeruleae su terreni acidi e umidi che risentono comunque dell’influenza insubrica del clima, fino a
differenziarsi nei prati più asciutti e aridi del piano montano a Xerobromion e Mesobromion delle
stazioni più secche e soleggiate.
Al di sopra dei 1.000 m di quota, laddove l’utilizzo del prato-pascolo è strettamente legato anche
alla pratica di quest’ultimo, si incontrano frequentemente associazioni del Trisetetum flavescentis o
del Poetum alpinum, entrambe tipiche dell’allleanza Triseteto-Polygonion bistortae, tipica dei suoli
freschi e di discreta fertilità stazionale.
L’abbandono della pratica colturale dello sfalcio e della successiva concimazione organica dei
maggenghi, accompagnato dalla pressione esercitata ai margini del bosco dalle essenze più rustiche
e frugali che tendono costantemente a riconquistare spazio vitale in direzione delle radure più
soleggiate, comporta la progressiva chiusura di queste formazioni prative ed una loro evidente
trasformazione fisionomica che passa, attraverso diverse fasi di costipamento del suolo e di
involuzione del cotico erboso, alla formazione di soprassuoli di transizione costituiti da essenze
invadenti, inappetite o addirittura velenose (Veratrum album) fino a trasformarsi nelle formazioni a
radi arbusti che precedono di poco il successivo riaffermarsi del bosco originario.
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L’unità minima colturale che è stata considerata, in linea di massima, si estende almeno per valori
compresi tra i 3.000 ed i 5.000 m2, in funzione della necessità di fornire una visione d’insieme non
troppo dispersa del paesaggio rurale.
All’interno del Parco sono stati individuati circa 970 ha in questa unità di paesaggio, pari all’1,9%
circa della superficie totale del Parco stesso.
C4 castanicoltura (ambiti di principale diffusione del castagno)
Questa unità di paesaggio è estesa a tutti i complessi boscati in cui è rilevabile una significativa
presenza del castagno allo stato selvatico o semicoltivato, sia esso governato a ceduo che a fustaia,
comprese tutte quelle situazioni in cui alla diffusione del castagneto da frutto è seguito un
abbandono colturale più o meno marcato, con ingresso spontaneo nel consorzio forestale di
numerose altre essenze arboree del piano submontano e montano inferiore.
L’areale del castagno risulta esteso a gran parte delle formazioni boscate dell’orizzonte submontano
presenti da Breno fino a Edolo, all’interno della fascia fitoclimatica del Castanetum che va dai 300 m
di quota fino a un limite altitudinale variabile nell’intorno dei 1.000 m s.l.m., in corrispondenza dei
maggenghi e dei versanti ad esposizione più favorevole. Le principali essenze arboree che tendono a
fare il loro ingresso spontaneo all’interno dei castagneti sono il frassino maggiore, la betulla, il tiglio,
l’acero, l’abete rosso nelle stazioni più fresche (Castagneti dei substrati silicatici dei suoli mesici),
gradualmente sostituite dal larice, dal pino silvestre, dalla rovere nelle stazioni più xeriche
(Castagneti dei substrati silicatici dei suoli mesoxerici e xerici, ad es. Dosso delle Ampirie - Berzo
Demo). Le condizioni di illuminazione intermedia favoriscono soprattutto le semieliofile come l’abete
rosso (Picea abies), che tende a diffondersi all’interno dei castagneti sotto copertura, per poi
conquistare anche il piano dominante.
All’interno del Parco sono stati individuati circa 1.060 ha di bosco ascrivibile a questa unità di
paesaggio, pari al 2,1% circa della superficie totale del Parco stesso.
C5 castagneti ben conservati (castagneti da frutto da valorizzare)
In questa unità sono stati inseriti tutti quegli impianti arborei da frutto di costituzione relativamente
antica, che conservano allo stato attuale la fisionomia e l’assetto originario del castagneto ben
curato, di elevato valore estetico oltre che storico-culturale, per i quali risultano anche livelli
produttivi più che apprezzabili.
Tra le zone più significative di questa categoria, sono da segnalare i castagneti di Villincampo a
Sonico, quelli di Disino a Niardo, di Maendola a Cimbergo, di Pian del Campo a Ceto, Mu di Edolo,
Grevo di Cedegolo.
All’interno del Parco sono stati individuati circa 210 ha di castagneti da frutto ascrivibili a questa
unità di paesaggio, pari allo 0,4% circa della superficie totale del Parco stesso.
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C6 maggenghi abbandonati (prati-pascoli caratterizzati da abbandono colturale e da forte ingresso
di essenze nemorali autoctone, prima arbustive e successivamente arboree)
Maggenghi verso una progressiva fase di rimboschimento spontaneo ad opera sia di latifoglie che
delle conifere proprie del piano montano. Il processo di riconquista di queste superfici da parte del
bosco appare allo stato attuale difficilmente contrastabile. Già la conservazione dei maggenghi
migliori del parco risulta piuttosto problematica se proiettata in un futuro non immediato, viste le
enormi difficoltà operative che condizionano l’espletamento delle attività agricolo-zootecniche delle
zone di montagna.
All’interno del Parco sono stati individuati circa 105 ha di maggenghi in via di abbandono colturale,
ascrivibili a questa unità di paesaggio, pari allo 0,2% circa della superficie totale del Parco stesso.
E3 formazioni boschive ripariali (boschi igrofili limitrofi ai corsi d’acqua e alle zone ad elevata
umidità nel suolo)
La presenza del bosco in queste situazioni, se si esclude la presenza di limitate formazioni riparali
strettamente legate alle rive del fiume Oglio e dei corsi d’acqua minori, rientra nella classe E in
analogia con altre coltivazione estensive di fondovalle o di basso versante proprio perché esso
costituisce il risultato di un abbandono colturale di aree certamente destinante all’agricoltura fino a
tempi non troppo remoti: l’inserimento di essenze igrofile su questi suoli è da ritenersi spontaneo,
preparatorio e di transizione verso formazioni arboree più complesse e più stabili, mentre il più delle
volte, allo stato attuale, pur essendo irriconoscibile la componente erbacee di partenza, vi è una
netta differenziazione di questi soprassuoli rispetto alle altre superfici classificate a bosco.
Si tratta, in sintesi, di complessi boscati a volte anche di estensione considerevole, posti
generalmente nelle vicinanze dei corsi d’acqua principali, tra i quali si distinguono le tipologie
forestali mesiche e mesoidriche degli Alneti di ontano bianco, Alneti di ontano nero d’impluvio,
Saliceti di ripa, Acerifrassineti con ontano bianco.
All’interno del Parco sono stati individuati circa 110 ha di boschi ripariali ascrivibili a questa unità di
paesaggio, pari allo 0,2% circa della superficie totale del Parco stesso.
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1.6.
INQUADRAMENTO BOTANICO10
1.6.1. PIANA ALLUVIONALE DEL GÀVER – 7/06/2011
Scavalcato il Passo Croce Domini (salendo dal versante di Breno), si scende verso la Val Sabbia,
avendo quale meta principale il pianoro alluvionale del Gàver, con l’omonima malga, assai pascolato
in verità, ma ancora ricco di biotopi umidi e che ospita autentiche rarità floristiche. Si tratta di capire
come l’attuale gestione possa influire sulla conservazione naturalistica di specie e habitat di pregio.
Alla quota di circa 1500 m la vegetazione potenziale è rappresentata dalla pecceta che, con il
progredire della quota, e non solo per effetto del pascolo, si arricchisce in larice. La soluzione
tccnica tradizionalmente utilizzata per la mungitura è quella del carro mobile. Evidentemente ogni
soluzione presenta vantaggi e svantaggi ed è palese che in questo caso, nella zona in cui si
addensano i bovini da latte, l’impatto sulla composizione floristica, ed anche sull’assetto
paesaggistico del sito, non può che essere negativo. Di qui l’opportunità di studiare in modo
adeguato, conoscendo le valenze dell’area, le soluzioni migliori per indurre il gestore a praticare le
operazioni di mungitura in lembi che non presentino valori naturalistici rilevanti e ciò vale anche per
gli accessi che, se previsti a carico del parco, potrebbero evitare che venissero realizzati in modo
casuale interessando comunità vegetali di pregio e meritevoli di tutela.
La piana del Gàver, almeno a livello potenziale, sarebbe un esempio classico di stazioni idonee per
l’habitat prioritario 7240*, alluvioni dei torrenti glaciali. In verità, nella migliore delle ipotesi, con il
pascolo da tempo esercitato e altri interventi di manutenzione, si osservano tratti in cui sono gli
aspetti di 7230 a connotare il sito torboso. Quasi ovunque gli effetti del pascolamento, non
marginale, risultano evidente, come segnalato, ad esempio da numerose specie del Poion alpinae e,
tra quelle igrofile, da Blysmus compressus. Il calpestio genera fenomeni microerosivi (in verità non
sempre del tutto negativi per alcune specie) e tra queste Triglochin palustris. Anche Eleocharis
quinqueflora occupa terrazzini parzialmente inondati che potrebbero essersi formati in tempi
recenti. Tra le entità di impronta basifila che spiccano nel pascolo e che sono da esso favorito si
annoverano Cirsium acaule, Horminum pyrenaicum e Anthyllis cfr. baldensis (gruppo di Anthyllis
alpestris con fiori molto chiari, biancastri). Tra gli equiseti sono diffusi sia Equisetum variegatum che
E. arvense, quest’ultimo altro indicatore di un certo disturbo. Nell’esteso pascolo a monte si notano
isole verdi di Brachypodium rupestre e nuclei ricchi di Hippocrepis comosa (terreni superficiali), in un
contesto in cui la base è rappresentata da elementi di Seslerietalia (basifili, quindi), ovviamente
associati alle specie gravitanti nei pascoli del Poion alpinae. Tra le orchidee spicca la comune
Gymnadenia conopsea. Alcuni tratti più impaludati risultano piuttosto degradati con Tussilago
farfara e Equisetum palustre. Nei ruscelletti di adduzione, qua e là (il mosaico è complesso), si
rilevano frammenti di Caricion davallianae (7230, appunto), con Carex hostiana, Eriophorum
latifolium, ecc. Pur non trattandosi di rarità, restano habitat pregevoli che richiederebbero qualche
cautela gestionale, nel senso che si dovrebbero evitare fenomeni di pascolamento intensivo.
Normare il carico precoce è già una soluzione, ma va studiata bene in quanto risulta che sarebbe
consentito il ricorso iniziale al’utilizzo del mangime per alimentare il bestiame. Il pascolo è
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Il paragrafo è stato redatto dal dott. Cesare Lasen.
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comunale e il piano non è concordato con le autorità del Parco e con la Comunità Montana. I
contributi europei e regionali sarebbero incamerati dal Comune e, in parte, dirottati alla gestione.
Come inizialmente segnalato, negli estesi pianori non mancano specie di interesse floristico, la cui
precisa localizzazione potrà essere meglio segnalata dall’esperto locale, l’ing. Enzo Bona che da
tempo monitora la flora dell’intera provincia. Tra queste certamente l’orchidea Dactylorhiza
cruënta. Sul greto del torrente si notano anche lembi di saliceti di ripa (Salicetum eleagni, con
abbondante Salix purpurea) da riferire a 3240. Il mosaico include anche lembi pascolati, alluvioni
sabbiose e vegetazione torbicolo-basifila (7230). Tra i salici, è diffusa anche una popolazione di Salix
rosmarinifolia (altra specie di lista rossa, vulnerabile a livello nazionale). In tratti in cui la falda è più
superficiale, compaiono aggruppamenti a Carex rostrata, con Carex panicea, Carex gruppo flava e,
più localizzata, Carex dioica fra le altre. L’assetto paesaggistico ricorda da vicino quello della Val
Venegia in Trentino orientale. Tra gli altri salici si registra anche Salix nigricans. Sulle alluvioni
compare Astragalus alpinus, nelle radure del saliceto. I tratti umidi e torbosi sono molteplici e non
avrebbe senso esplorarli tutti alla ricerca delle peculiarità floristiche, del resto già note. Meglio
concentrare l’attenzione sugli aspetti vegetazionali e gestionali, in qualche modo più critici. Si
individua anche un lembo di torbiera boscosa con pino mugo (91D0*) e, nei pressi, la rara
Lycopodiella inundata, specie minacciata che richiede certamente misure di tutela. Coordinate: N
45° 55’ 48” 6; E 10° 27’ 34” 1. Non mancano, in questi complessi mosaici, neppure piccole sorgenti
del Cratoneurion con Arabis soyeri e Epilobium alsinifolium. La valle è vissuta e turisticamente
molto nota, come dimostrano sia la segnaletica del Parco che le strutture ricettive presenti. Di non
trascurabile interesse vegetazionale è un lembo di pecceta di fondovalle alluvionale, in parte
pascolata e solcata da ruscelletti laterali che apportano limi. Tra i diversi habitat che caratterizzano
il mosaico alluvionale, anche lembi di bordura a megaforbie con Cirsium montanum (6430). Sopra la
Malga Blumone si scorgono anche lembi di vegetazione casmofitica con Potentilla caulescens,
Cystopteris fragilis, ma poco specializzata vista la presenza di Sesleria caerulea e Clematis alpina.
Non mancano, per effetto del pascolo, neppure lembi tipici di romiceto (Rumicion alpini). Sempre a
monte della Malga Blumone si segnala una pecceta basifila di detrito con Erica carnea, Ranunculus
thora, Laserpitium krapfii. Tra i salici, oltre a Salix nigricans effettivamente osservato, è segnalato
anche il più raro (specie di lista rossa nazionale) Salix pentandra. Completata questa prima
ricognizione della Piana del Gàver, si risale in direzione del Passo Croce Domini fermandosi
all’altezza di Malga Cadino Dossi, esplorando rapidamente sia sotto che sopra la strada. L’intensità
del pascolamento è segnalata dall’abbondanza di alchemillo-poeti, romiceti, aggruppamenti a
Senecio cordatus. L’area è molto nota anche per gli aspetti geologici. Il Calcare di Esino, ad esempio,
che si riconosce per la selce scura che include, origina suoli neutro-subacidi solitamente ricchi. I
lembi di falda detritica scura (silicatica) sono probabilmente caratterizzati da Adenostyles
leucophylla (8110). La ricchezza floristica è espressa da aggruppamenti con Helictotrichin parlatorei,
e dalle spettacolari fioriture di Anemone narcissiflora, Pulsatilla apiifolia (di colore giallo pallido, non
si escludono intermedi con P. alpina), Primula elatior, mentre nelle stazioni più innevate sono
ancora splendenti Crocus albiflorus e Soldanella alpina. Ancorché non ancora fiorito è invece
abbondante Hedysarum hedysaroides. Le condizioni del pascolo sono molto variegate con lembi
certamente iperpascolati (sentieramento ed erosione) ed altri meno frequentati in cui avanzano
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Larix e Rhododendron ferrugineum. A 1600 m di quota stupisce osservare Euphorbia carniolica,
specie di faggeta. Osservando verso le cime erbose, si notano versanti ripidi potenzialmente molto
interessanti e caratterizzati da un complesso di componenti, sia basifile che acidofile, riferibili a
Caricion ferrugineae in massima parte, ma anche a Seslerion, Nardetalia e, ovviamente, per gli
effetti del pascolamento, a Poion alpinae. Tra le facies pingui si annotano quelle a Ranunculus
montanus e Ligusticum mutellina (questa di preferenza associata a Nardus). Sorprende, ma solo per
la quota, la presenza di Poa bulbosa (m 1600).
Scendendo da Passo Croce Domini verso Breno si riconoscono falde detritiche con AthamantoTrisetetum distichophylli.
Da una discussione e confronto sulla cartografia esistente, emergono discrepanze interpretative
non marginali sulla dislocazione degli habitat. Ad esempio sulla carta sono indicate estese zone
umide ed anche una mugheta che poi non si riesce a localizzare correttamente. Sembra, da una
prima analisi superficiale, che nel nardeto siano state inglobate anche situazioni molto pascolate di
alchemillo-poeto (a meno che non si tratti di indicazioni potenziali). Si propone di effettuare altre
verifiche, il giorno seguente, nei comprensori di Malga Bazena e Malga Cadino Banca.
Ritornando alla piana del Gàver si riflette sul fatto che l’estensione dell’area torbosa sembra essersi
ridotta, sulla diffusione della Deschampsia caespitosa (con Agrostis tenuis) e sugli evidenti esempi di
iperpascolamento che sono stati osservati. Altre indicazioni generali, di ordine gestionale ed
operativo, emergenti da questa prima giornata sono le seguenti:
- Le condizioni di alcuni pascoli sono di sofferenza a causa dell’iperpascolamento. Ma vi sono
da considerare altre probabili concause quali il global change, l’ozono e i cicli naturali.
L’ideale, a livello di gestione naturalistica, sarebbe quello di poter ripristinare, almeno su
aree campione, la pratica della falciatura.
- Per quanto concerne le emergenze e la qualità floristica dei siti, onde ricavare le specie
indicatrici da monitorare, la disponibilità di Enzo Bona a fornire i dati sembra occasione
imperdibile, più unica che rara. Consentirebbe di non perdere anni per nuovi censimenti.
L’integrazione tra dati risultanti dai pregressi censimenti floristici e le prime analisi
vegetazionali e gestionali (probabilmente da potenziare) appare soluzione opportuna e
capace di fornire dati qualitativamente e quantitativamente fondamentali.
- La flora dei dintorni di Passo Croce Domini rappresenta uno degli hot-spot di biodiversità a
maggior valore assoluto per la regione. La complessità dei substrati geologici, la posizione
geografica di transizione che origina uno spartiacque climatico, ed anche l’influenza di
precedenti pratiche agronomiche (prati falciati) spiegano buona parte di tale ricchezza.
- Risulta, invece, difficile ricostruire le serie di vegetazione potenziale in quest’area a causa di
motivi antropici, della conformazione orografica complessa che genera azonalità, e delle
transizioni climatiche sopraccitate.
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1.6.2. CROCE DOMINI, CASINETTO DEI DOSSI, BAZENINA – 8/06/2011
Nonostante le cattive condizioni meteo, si opta per visitare comunque alcuni siti e mettere a fuoco
alcune problematiche emerse il giorno precedente. A proposito di ricchezza floristica si rilevano la
presenza di specie importanti a livello conservazionistico quali Fritillaria tubaeformis e l’endemica
Viola culminis. Strepitose appaiono anche le fioriture di Ranunculus thora. Si risale la Valle di Cadino
Banca, con elementi di seslerieto e di firmeto a contatto. Dove Erica carnea diventa fisionomizzante
significa che l’utilizzo è scarso. Gli aspetti interessanti non mancano, con stadi a Salix glabra,
stazioni di Globularia nudicaulis e Gentiana lutea. Le complicazioni litologiche (alternanza di calcari
e di arenarie acide) rendono arduo individuare le comunità entro spazi ben distinti. Ben
riconoscibile è la serie (acidofila) che include nardeto e rodoreto, associato o sostituito da Alnetum
viridis in stazioni fresche e valanghive. Nelle aree lacustri-torbose si riconosce (la stagione è ancora
iniziale) Carex rostrata e poco altro. Luzula lutea e Luzula spicata vegetano nei pascoli e dossi
rupestri, con Primula daonensis e Ranunculus pyrenaeus che predilige pianori e conche più pingui. Il
nardeto appare il tipo di pascolo prevalente dove il substrato è siliceo. Raggiunto il cosiddetto
“Casinetto dei Dossi”, a circa 2000 m, struttura monticata da Cadino Banca, si confermano le
consuete formazioni con elementi di nardeto, di poeto e anche di romiceto. In corrispondenza di
affioramenti di diorite (o granodiorite) si affermano praterie a Festuca scabriculmis (qui è sempre la
subsp. luedi), certamente riferibili a 6150. Alcuni lembi offrono belle fioriture, con Pulsatilla alpina e
P. apiifolia che coesistono, lembi di nardeto fresco (spesso poetoso) con Ranunculus pyrenaeus. Al
margine del romiceto si osserva anche Gagea fistulosa. Si ripropone qui il problema della mungitura
e delle piste privilegiate. L’estensione del romiceto appare qui (m 2060 circa) eccessiva rispetto alla
quota fisiologica per un complesso malghivo. Non è certo se questo sito venga raggiunto e utilizzato
anche dalle pecore alpeggiate in Val Braone. A m 2080, pur non ancora visibile per la stagione, è
localizzato un sito torboso (laghetto parzialmente recintato) con ruscellamenti laterali in vui vegeta
la rara Carex microglochin, specie caratteristica delle alluvioni dei torrenti glaciali (7240*).
Coordinate rilevate: N 45° 56’ 23” 3; E 10° 25’ 44” 9. In quota e con aspetti almeno seminaturali, i
mosaici della vegetazione ipsofila sono sempre interessanti, anche quando in apparenza omotoni.
Tracce di Minuartietum rupestris su rupi distolgono l’attenzione da un biotopo umido (sono
numerosi nel comprensorio) in cui si apprezzano Trichophoretum caespitosi, Caricion nigrae,
Eriophoretum angustifolii, agg. a Carex rostrata. Non mancano gli sfagni, Viola palustris. Se con
Carex pauciflora e Drosera rotundifolia ci sarebbero le condizioni per un nucleo di torbiera alta
(7110*). Lembi a Horminum pyrenaicum rivelano un pascolo più intenso, ma ancora non degradato
come il romiceto. L’esteso biotopo umido, di rilevante pregio paesistico, si colloca sotto la Corna
Bianca, e comprende laghetti residuali. In piena fioritura si apprezzano ancora le pulsatille, Primula
elatior, Gentiana kochiana, Ranunculus pyrenaeus, Geum montanum. Il fattore che contribuisce a
diversificare le comunità è l’alternanza di suoli di origine carbonatica e silicea. Enzo Bona segnala
che sulla Corna Bianca sono presenti Saxifraga vandellii e Campanula raineri.
Su pendii calcarei con roccia affiorante si apprezzano componenti di Ericetalia carneae con vistose
fioriture di Ranunculus thora e Daphne striata. Sorprende anche la diffusione di Galium baldense,
specie che nell’area dolomitica predilige le vallette nivali. Non mancano neppure stadi a Dryas
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octopetala (variante del Caricion firmae) e lembi di mugheta basifila con Rhododendron hirsutum. Al
contrario, lembi di terreno con apporti limosi risultano posco significativi per la vegetazione.
Notevole la varietà dei microhabitat, accentuata dalla formazione nota come “Carniola di Bove”, di
colore rossastro e costituita da una matrice carbonatica nella quale sono immerse ceneri
vulcaniche.
Rientrati al punto di partenza, si raggiunge, dal Passo Croce Domini, la Malga Bazenina (m 1950).
Sorprende la diffusione, anomala e assai superiore alla media, di consorzi nitrofili, in particolare del
romiceto. Le criticità più appariscenti sono dovute all’erosione e al sentieramento. Non mancano
lembi floristicamente più dignitosi. Primula halleri forma nuclei di apprezzabile eleganza. Le rocce
argillitiche scure, che si erodono velocemente, appartengono alla Formazione di Wengen. Alcune
modalità gestionali dovrebbero essere incentivate e rese più praticabili.
La costruzione di piste temporanee per portare le mungitrici potrebbe contribuire a contenere i
processi erosivi in atto. Misura talvolta necessaria è la riduzione del carico, o la sospensione
temporanea del pascolo, almeno per certe aree, da pianificare per non suscitare i soliti malumori.
Anche la turnazione potrebbe rivelarsi benefica. Urgono, in particolare, alcuni interventi proprio sul
romiceto. Sarebbe utile proporre un’area di monitoraggio nella quale avviare prove sperimentali. Su
Bazenina servirebbe promuovere uno specifico progetto per migliorare il pascolo, attualmente
degradato in molti aree.
Schema-profilo di vegetazione
Dopo un paio di giornate di lavoro si tenta di delineare un primo schema della successione
vegetazionale osservata tra Breno (fondovalle Val Camonica) e il Passo Croce Domini.
A) Il fondovalle e i primi versanti sono molto antropizzati, terrazzati e robinizzati. Qua e là si
scorgono potenzialità per componenti di Tilio-Acerion, che risultano troppo frammentarie e
difficili da rilevare.
B) Il versante collinare-submontano mostra buona vocazione per il castagno e anche per il
ciliegio. Sugli ex prati è sempre molto competitivo il frassino maggiore. Si ritiene che
dovrebbe avere una buona potenzialità la rovere (Quercus petraea), tenendo conto delle
differenze tra settori calcarei e silicei. La penetrazione di Ostrya carpinifolia è stato notata in
modo significativo solo nella parte bassa della vallata, fino a Pisogne-Darfo. Da approfondire,
invece, l’eventuale presenza di elementi di Carpinion (geofite primaverili) e la stessa
partecipazione e distribuzione del carpino bianco.
C) Tra il submontano e il montano (900-1100 m) il coniferamento con Picea prevalente è già
assai ben marcato.
D) Le peccete, da montane a subalpine, sono abbastanza continue e solo intervallate da nuclei
secondari a Populus tremula (di ricolonizzazione), fino a 1600-1800 m.
E) In quota si osserva una progressiva sostituzione delle peccete con i lariceti.
F) Sopra il lariceto si estende una fascia a ericacee con Rhododendron ferrugineum specie guida
e buona diffusione di Alnus viridis, che su pendii freschi e slavinati, scende anche in basso.
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G) Le praterie primarie su substrati carbonatici sono simili a quelle dolomitiche con seslerieti e
firmeti. Su silice si alternano e susseguono nardeti e curvuleti, con i festuceti, soprattutto a
Festuca scabriculmis, su versanti caldi e acclivi, con suolo superficiale.
1.6.3. TRAVERSATA DA VALFREDDA ALLA VAL BRAONE – 26/07/2011
L’obiettivo centrale della giornata è quello di valutare lo status delle aree torbose, che sono incluse
nel SIC della Val Braone, anche in relazione alle attività pastorali e alla loro incidenza sulla qualità
naturalistica.
La partenza avviene da Malga Valfredda, a m 2085. Il contesto geologico è caratterizzato da
Formazione di Wengen con florula eminentemente basifila. Sopra Malga Bazena, già vista in
precedenza, si segnalano lembi di poeto in buone condizioni, caricati in modo ottimale, con elevata
copertura di trifogli. I lembi in cui sono prevalenti specie arbustive quali ginepro nano, rododendro
irsuto ed erica, invece, sono quelli meno utilizzati. Nel Poion, la componente di Seslerietalia è
ancora ben rappresentata. Non mancano aspetti floristicamente pregevoli con belle popolazioni di
Hedysarum hedysaroides subsp. exaltatum e Oxytropis campestris. In prossimità dei laghetti, come
prevedibile, si sviluppano consorzi più o meno nitrofili, qui con elevata partecipazione di Senecio
cordatus. Dove il pascolo è intenso, ma non tale da innescare stadi di degradazione, si sviluppano
note facies ricche di Prunella vulgaris e Horminum pyrenaicum. La collocazione della segnaletica
lungo questo itinerario, botanicamente interessante, è alquanto discutibile e dovrebbe essere
integralmente rivista. Merita un progetto a sé, poiché la situazione attuale espone il Parco a critiche
più che motivate.
Tra le specie che si notano, si rammentano: Saxifraga hostii (subsp. rhaetica), Gymnadenia
odoratissima, Astrantia minor, Gentiana punctata. La diversità floristica, qui apprezzabile, è favorita
dalla presenza di filoni di roccia silicatica acida nella matrice carbonatica. I pendii arbustati sono
caratterizzati da formazioni miste o con lembi prevalenti di Alnetum viridis e di Rhododendretum
ferruginei, ma non mancano frammenti di Salicetum retuso-reticulatae nelle depressioni e sui
versanti innevati. Nei tratti a suolo chiaramente acidificato si rilevano componenti di Caricetalia
curvulae, con Hypochoeris uniflora in evidenza e Festuca scabriculmis localmente dominante, dove
lo spessore di terreno è più superficiale. In corrispondenza di un mosaico alneto-rodoretoso si
assesta e riconosce una fascia tonalitica. L’interpretazione, a livello di natura 2000, è complicata
dall’alternanza con elementi di 6170, in particolare frammenti di Caricetum firmae s.l. (Saxifraga
caesia, Chamorchis alpina a m 2160). Tra i salici arbustivi, oltre a Salix hastata si registra anche Salix
nigricans. Nel pascolo del fondovalle spiccano estese popolazioni di Gentiana punctata, le cui
caratteristiche, quando la specie vegeta nei popolamenti radi di Alnus viridis, ricordano, per
ecologia e portamento, la sottospecie osservata nelle Alpi Marittime. Doronicum clusii e Bupleurum
stellatum segnalano, senza incertezze, un substrato silicatico acido. Dryopteris expansa è
abbondante e ben identificabile per la dissimmetria delle pinnule fino al 3° ordine. Le formazioni
prevalenti sono riferibili al mosaico tra 6150 (componenti erbacee) e 4060 (arbustive). Già attorno a
2200 m si afferma il Caricetum curvulae s.l. con Leontodon helveticus e Trifolium alpinum buone
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specie pabulari. Tra i minerali si segnala la bellezza dei cristalli di orneblendite. Il prolungato
innevamento è testimoniato dalla maggiore diffusione di Salix herbacea. Phyteuma scorzonerifolium
sostituisce, ma non completamente, P. betonicifolium, mentre la Valeriana a segmenti non troppo
stretti, del gruppo di V. officinalis, è stimata come V. sambucifolia. Nella serie delle praterie
silicatiche si includono anche formazioni a Festuca melanopsis e facies ricche di Agrostis
schraderiana. Tra gli arbusti è qui prevalente Rhododendron ferrugineum, con ogni probabilità
specie climatogena sopra il limite degli alberi. La distinzione tra Arenaria ciliata e A. moehringioides
appare aleatoria a livello morfologico immediato. Proseguendo sul sentiero, attorno ai 2220 m di
quota, si ritorna sul calcare. Le comunità prevalenti sono riconducibili a fasi di transizione tra
seslerieto e firmeto, con nuclei in cui si riconosce Campanulo-Festucetum noricae e tratti più freschi
con Salicetum retuso-reticulatae. La presenza di Astragalus alpinus e Oxytropis halleri richiama
stazioni più esposte e ventose. Si rileva come le foglie di Alnus viridis siano appetibili dalle pecore,
fenomeno non noto in precedenza. A m 2250 si segnalano stazioni (in seguito la specie comparirà
con frequenza) di Pedicularis rostrato-spicata, su filone acido. Anemone narcissiflora, Helictotrichon
parlatorei e Minuartia rupestris sono altre specie degne di nota. Nelle facies più pascolate
emergono Horminum pyrenaicum e Carlina acaulis. Su macereto silicatico stupisce la rilevanza di
Dryopteris villarii, mentre su quelli consolidati emerge una facies a Festuca melanopsis. Notevole la
popolazione di marmotte, specie che nella gestione dei pascoli alpini va considerata. Si alternano
facies silicatiche acide (Luzula lutea, Ligusticum mutellinoides) con altre che risentono di
componenti alcalino-terrose (Anemone baldensis, Salix reticulata). Sorprende l’abbondanza, su
ripidi pendii erbosi, di Pedicularis rostrato-spicata. Assai diffusi sono Salix retusa, Carex atrata, un
Ranunculus del gruppo montanus e Hedysarum che qui viene sempre considerato della sottospecie
exaltatum. Su rupi silicee (habitat 8220) si individuano Phyteuma hedraianthifolium e Artemisia
mutellina. Si raggiunge un bivio localizzato sotto il Passo di Valfredda (q 2325 circa). Di qui,
osservando verso il punto di partenza, si individua la Valbona, con l’omonimo costone che fa da
spartiacque con la Val di Stabio. Proseguendo verso il Passo si annotano, fra le altre, Saxifraga
oppositifolia, Sedum atratum e, apparentemente su suolo acido, anche Leontopodium alpinum. Sui
pendii erbosi si rilevano Pulsatilla apiifolia, Senecio doronicum, Pedicularis tuberosa. Molto diffuse
le facies a prevalenza di Helictotrichon parlatorei, con frammenti ben riconoscibili di ValerianoDryopteridetum villarii sui detriti di falda (presumibilmente con apporti calcarei che si mescolano al
substrato di matrice silicatica). Nel versante prativo ai grossi cespi di Helictotrichon si associano
aspetti ad Agrostis schraderiana e/o Carex sempervirens. Sempre assai diffuse sono le facies a
Hedysarum e a Horminum pyrenaicum, qui con localizzata presenza di Allium schoenoprasum subsp.
sibiricum. Si osserva il suggestivo panorama sull’alta Val Cadino e le sue malghe. Nigritella rhellicani
e Bupleurum stellatum spiccano su pendii erbosi in cui Festuca scabriculmis mostra la sua
competitività, prima che il rodoreto, in siti più freschi, prenda il sopravvento. Nel superare canaloni
ancora innevati, si segnalano belle fioriture di Primula elatior, mentre gli effetti del pascolo sono
manifestati da Carlina acaulis e Horminum pyrenaicum, con locali addensamenti di Cirsium
spinosissimum. Si scorgono popolazioni di Pedicularis comosa, in un contesto sempre piacevole e
armonico, ed evidenti fasi evolutive verso il curvuleto, sempre associato a varie festuche (tutte
espressioni di 6150). Alle ore 12.45 si incontra, in modo assolutamente casuale, il noto florista
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Franco Fenaroli con suoi amici. Si continua a salire per il sentiero che indica il rifugio Matteo Gheza.
Il mosaico delle praterie primarie silicee è sempre caratterizzato da elementi di curvuleto (ben
pascolato, localmente anche troppo vista la diffusione di Cirsium spinosissimum), di rodoreto, di
loiseleurieto (brughiera alta e bassa rispettivamente) e depressioni subnivali del Salicion herbaceae.
A livello di substrato si osservano filoni di lamprofiri nella tonalite dell’Adamello. Si rileva anche un
lembo di Caricetum foetidae, sotto il Passo delle Terre Fredde, a m 2430 circa, versante in cui sono
ancora nettamente prevalenti elementi di Caricetum curvulae e di Salicetum herbaceae. Che si tratti
di ambiti subnivali è confermato da Arabis caerulea, Leucanthemopsis minima, Luzula alpinopilosa,
Gnaphalium supinum, Cardamine resedifolia, Achillea moschata. Superato il passo (apprezzabile il
curvuleto classico sulla sella), si scende sul versante della Val Braone, tra macereti grossolani e
frammenti di Salicion herbaceae, in una scenografia periglaciale suggestiva che compensa l’ovvia
povertà floristica (notati anche lembi di Polytrichetum sexangularis). Pregevole, in ogni caso,
l’abbondanza di Primula daonensis, cui si associano, qua e là (a queste quote la stagione è ancora
agli inizi), Silene acaulis e Bartsia alpina. Presso una ben marcata valletta nivale (m 2380) si rilevano
Cardamine alpina, Oxyria digyna, Minuartia biflora, Rorippa islandica. Di qui si apprezza una bella
visione panoramica sul “Giogo della Bala”, un pianoro meandriforme che richiama subito la
potenzialità per l’habitat prioritario 7240*, Caricion atrofusco-saxatilis. La presenza di limi alla base
di falde detritiche innevate è anch’essa indicatrice. Sono sempre più diffusi i mosaici tra 8110 e
6150 (nei suoi aspetti più criofili). A tale complesso mosaico di alta quota partecipano anche le
tracce di rodoreto (4060) che risalgono dal basso, con il curvuleto più tipico che occupa le zone più
esposte. Si campiona una Festuca del gruppo violacea che a livello ecologico potrebbe
corrispondere a F. picturata, entità qui ancora non segnalata. Da segnalare, fra le altre, le presenze
di Leontodon montanus e Artemisia genipi. E ancora, sopra il pianoro (m 2230 circa): Achillea
clavennae, Saxifraga aizoides, Galium baldense (!), Oxytropis cfr. jacquinii, Saxifraga moschata,
Linaria alpina, Trifolium thalii, Gentiana brachyphylla, Achillea nana.
Come si poteva prevedere, raggiunto il pianoro, si conferma la presenza di Carex bicolor, cui si
associano Eriophorum angustifolium, E. scheuchzeri, Saxifraga stellaris, Equisetum variegatum, Salix
foetida. Alcuni lembi, di rilevante e prioritario interesse conservazionistico, sono riferibili a
espressioni di Junco triglumis-Caricetum bicoloris. Nei tratti meno influenzati dalle acque glaciali si
notano facies a Juncus jacquinii in un contesto di competizione tra nardeto e curvuleto, ricco di
Leontodon helveticus. Nei bei pianori, ben pascolati e ricchi di Crepis aurea, si riscontra una
presenza debole di Deschampsia caespitosa, segnale assai positivo. Scendendo (a m 2130),
l’influenza del pascolamento è più marcata e il nardeto è assai più infestato da Deschampsia. Qui si
rilevano anche nuclei di Trichophoretum caespitosi. Si raggiunge il Bivacco M. Gheza, m 2087, in
solida muratura, presso il quale pascolano pecore e asini. In questo sito si approfitta di una breve
sosta per sintetizzare gli elementi peculiari del paesaggio delle Foppe Alte (denominazione di
quest’area), che sono i seguenti:
- Pendii acclivi a Festuca scabriculmis.
- Pascoli acidi riferibili a Nardetum s.l., più o meno evolventi, secondo lo status delle
utilizzazioni, verso rodoreti o junipero-rodoreti.
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Arbusteti subigrofili e dei versanti valanghivi ad Alnus viridis, con relativo corredo di
megaforbie (Adenostylion s.l., o anche Rumicion alpini in tratti maggiormente influenzati
dalle soste del bestiame o da accumuli di nutrienti).
- Aree torbose, sempre nettamente acidofile (Caricion fuscae s.l.), ma più complesse con
ruscelletti sorgentizi e limitrofe aree di ruscellamento. Il pianoro con elementi del Caricion
atrofusco-saxatilis è, ovviamente, un’eccezione, assai marginale come estensione, sia pure di
straordinaria qualità.
- Affioramenti rupestri ricchi di Primula daonensis.
- Aree nitrofile o aspetti di degradazione con Deschampsia caespitosa, agg. ad Aconitum,
Urtica, ecc.
Poco sotto, a m 1979, si raggiunge il Rifugio Franco Pandini e si ha occasione di dialogare con la
gestrice della malga. Nell’estesa alneta, che si sviluppa sui versanti limitrofi, si notano larici isolati,
con qualche Picea, fino a circa 1900 m, quota alla quale arrivano le formazioni boscate
relativamente più dense e strutturate. Si prosegue in discesa per un ripido pendio, con roccette
affioranti, sempre riscontrando una notevole e lussureggiante vegetazione ricca di Alnus viridis e
felci (Dryopteris expansa, Athyrium distentifolium, Thelypteris phegopteris), e Rubus idaeus. Il
versante è fresco e poco soleggiato, come dimostra la presenza di sfagni (m 1830) nell’arbusteto
misto con ontano e rododendro. Lo scenario è suggestivo, con vecchi larici aventi rami e cortecce
molto lichenizzati. Sulle rupi compare anche Phyteuma scheuchzeri (subsp. charmelioides). Alla base
dell’esteso pendio alnetoso (in parte di origine secondaria) si sviluppa un pianoro detriticoalluvionale, le Foppe Basse, dotato di una struttura e, attualmente, caratterizzato da un pascolo
(limitato) di asini. Nel conoide torrentizio spicca il popolamento di Tolpis staticifolia, associato a
specie di pascolo e di non eccelsa qualità (Rumex scutatus, Carduus defloratus, Erigeron acris,
Carum carvi). Si riconoscono qui lembi residuali di popolamenti con Epilobium fleischeri (3220) che
includono anche Astragalus alpinus e una quantità inconsueta di Pimpinella alpestris. Qui è
presente un’area torbosa acida con elementi di torbiera alta (7110*) e di transizione (7140) e nuclei
con pino mugo che, ove presenti, segnalano l’habitat 91D0*. La qualità è assicurata da Drosera
rotundifolia e Carex pauciflora, alle quali si associano, fra altre: Juncus alpino-articulatus,
Eriophorum angustifolium, Eriophorum vaginatum, Eleocharis quinqueflora, Viola palustris, Carex
paupercula, Carex canescens, Carex stellulata. Una facies con dominanza di Viola palustris e Carex
pauciflora è ben sviluppata e decisamente interessante. Nell’ambito di questa torbiera, in buona
parte ancora integra, si rileva anche un nucleo di Trichophoretum caespitosi (che tollera meglio
eventuali periodi secchi), mentre Deschampsia è relativamente poco diffusa. Sono presenti anche
modeste pozze di acqua libera, poco profonde, un ruscelletto con Saxifraga stellaris ed Eriophorum
scheuchzeri, oltre alle consuete comunità a Carex nigra. In un megaforbieto laterale (Peucedanetum
ostruthii) si riscontra anche il vistoso Cirsium montanum. Caratteristiche simili anche a quota
inferiore (m 1680) con facies a Equisetum palustre e Saxifraga stellaris. Qui si notano strani
fenomeni di disseccamento, anche sui rododendri. Spicca una comunità a Saxifraga aizoides che
conduce verso una pozza, piena di girini, con Equisetum fluviatile, specie amante i suoli limosi e
sempre notevole. Al margine dei ruscelletti di alimentazione anche Carex frigida. Si procede verso il
punto di arrivo, la Val Paghéra di Sotto. Non si riscontrano novità di rilievo, con radure pascolate a
-
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Nardus e Deschampsia, alneti e rodoreti, abete rosso e larice, con una notevole ricchezza di mirtillo
nero. Nello strato erbaceo del bosco fresco, con ontani e salici tra le conifere, emerge una notevole
copertura di Calamagrostis arundinacea. In località “Funtani de le Splaze” si esplora per breve tratto
il percorso delle cascate di Braone (m 1420). In habitus rupestre si riconoscono le vistose foglie
multipartite di Molopospermum peloponnesiacum, mentre le felci sono sempre più abbondanti con
Dryopteris affinis subsp. cambrensis e Polystichum braunii. La notevole umidità è confermata dalla
diffusione di Circaea alpina, Chaerophyllum hirsutum, Impatiens noli-tangere e molti muschi. Questa
fascia forestale meriterebbe qualche approfondimento a livello briologico, trattandosi,
probabilmente, di espressione di una pecceta a blocchi (Bazzanio-Piceetum) a contatto con
ambiente di forra. Tra 1300 e 1400 m, su massi muscosi, è abbondante Saxifraga cuneifolia. Si
attraversano un paio di scoscendimenti franosi in cui vegetano Asplenium septentrionale,
Polypodium vulgare, Betula alba. Ben riconoscibili sono ancora le comunità di orlo a Digitalis
grandiflora e Melampyrum pratense. A m 1040 circa si notano le prime baite, in località Scalassone.
1.6.4. VAL DI STABIO – 27/067/2011
Le osservazioni iniziano subito dopo aver raggiunto, con idoneo mezzo fuoristrada, Malga Stabio di
Sotto, a m 1810 (comune di Niardo). Prima di raggiungere il pascolo, lungo il percorso, sono stati
notati due habitat di un certo interesse che meriterebbero di essere visitati. Il primo è una fascia
abbastanza estesa di ex prati falciati in cui attualmente sono dominanti aspetti a Molinia
(arundinacea) e Brachypodium (rupestre) e, localmente, anche Festuca paniculata. A livello
floristico, di regola, si tratta di ambienti che potrebbero riservare qualche sorpresa e che anche a
livello vegetazionale sono incompletamente conosciuti, rappresentando stadi seriali di una
successione innescata dall’abbandono. Il secondo è costituito da estese alnete di ontano verde con
classico corredo di megaforbie, ai cui margini sono sviluppate comunità di orlo anch’esse meritevoli
di attenzione. In una di queste, ad esempio, spicca quale dominante Myrrhis odorata. La comunità
forestale largamente prevalente è il lariceto, più o meno arricchito in abete rosso, ma con notevoli
lembi di alneta che lo intersecano. Si nota, inoltre, un’estesa fascia di praterie che un tempo erano
falciate e che oggi sono solo in parte interessate dal pascolo. La biodiversità è certamente
influenzata, positivamente, dagli affioramenti calcarei. Trattandosi di pascolo, le isole di comunità
nitrofile sono da considerarsi fisiologiche. Il pascolo insistente presso la malga Stabio di sotto
appare ben strutturato e abbastanza intenso, come dimostra l’estensione dell’Alchemillo-Poeto, dal
cui morbido tappeto spuntano specie meno appetibili quali Carduus defloratus agg., Aconitum
napellus agg., Senecio cordatus, Urtica dioica.
Si procede verso Stabio di sopra, a m 1963. Nel recinto davanti all’edificio della malga, vi sono cani,
vacche e cavalli, circostanza insolita. Sullo sfondo del pianoro alluvionale s’individua subito la
potenzialità di alcune zone umide. La conoide è anche morfologicamente interessante, e include
elementi di seslerieto (addirittura con Elyna myosuroides, specie di crinale ventoso che assai
raramente scende a queste quote). Essendo ben pascolato, si tratta certamente di un seslerieto
poetoso, situazione che a livello pabulare va considerata buona. Nelle aree più pianeggianti del
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fondovalle si riscontrano le attese zone umide e tra queste emergono dei bei popolamenti di Salix
foetida (4080) e una generale prevalenza di ambienti di torbiera soligena di ruscellamento (Caricion
davallianae, 7230, qui con importante partecipazione di Carex panicea). Nell’insieme la
partecipazione di Deschampsia è contenuta entro limiti fisiologici. La vista dell’aquila reale
conferma la sensazione primitiva di un sito di buona qualità naturalistica. Sui limi depositati nei
tratti pianeggianti, spiccano le popolazioni di Juncus alpino-articulatus ed Equisetum variegatum e,
poco sopra, anche Carex bicolor, specie guida dell’habitat prioritario 7240*, alluvioni dei torrenti
glaciali. Come in tutte le zone umide, a prescindere dall’influenza del pascolo, si tratta di mosaici
articolati con lembi di differenti comunità vegetali. Tra esse anche Trichophoretum caespitosi, in
tratti che sopportano periodi di relativa aridità estiva, Eriophoretum angustifolii, in canali depressi,
elementi di Caricion nigrae (negli aspetti relativamente basifili) e di Molinietum s.l. Nei tratti meno
umidi, agli elementi di seslerieto e di poeto si associano anche lembi di Nardetum s.l. arricchendo la
composizione floristica. In ogni caso lo scenario paesaggistico è in sé componente di elevato valore.
L’attuale gestione, almeno rispetto a quelle osservate in precedenza, appare complessivamente
razionale e comunque tollerabile. Risalendo il ruscello si ammirano belle fioriture di Cerastium
(presumibilmente C. latifolium) e le consuete ma sempre significative popolazioni di Carex frigida.
Osservando i versanti laterali del bacino non si riscontrano sorprese, rispetto alle attese, con i ripidi
pendii rupestri a Festuca scabriculmis e gli arbusteti dello Junipero-rodoreto, spesso infiltrati da
elementi di Alnetum viridis, e non mancano neppure lembi del tipico Rhododendretum ferruginei. La
piana alluvionale rappresenta un biotopo e la qualità floristica è originata dalla presenza di
affioramenti calcarei che si sovrappongono a quelli tonalitici. Rupi a Saxifraga caesia e stadi erbosi a
Horminum pyrenaicum sono espressione di substrati a reazione alcalina. Si accede al pianoro
superiore (m 2000 circa) nel contesto di una tipica valle glaciale in cui si alternano superfici
pianeggianti con soglie e tratti più ripidi. Tra le diverse facies spicca anche una comunità a
Eleocharis quinqueflora (sempre riconducibile al mosaico di 7230). Si apprezzano le belle fioriture di
Primula elatior e si conferma la coesistenza, variamente anastomosata e non risolvibile sul terreno,
degli elementi di seslerieto e di nardeto (più limitati) immersi in una tipica matrice del Poion
alpinae. Non mancano aspetti più umidi e pingui, ricchi di alchemille o pabularmente meno
appetibili con Ranunculus acris, mentre tra le graminacee è abbondante Phleum rhaeticum.
Raggiunto il greto torrentizio sulla nostra sinistra, si apprezzano bei nuclei di Salicetum foetidae e di
Carex frigida, con estese aree in cui si associano 7230 e 4080. Sui versanti si notano i consueti
aggruppamenti a Festuca scabriculmis alternati ad arbusteti con ginepro nano e ontano verde in cui
vegetano anche Centaurea rhaetica e Laserpitium halleri. Usciti dalla zona umida, ci si dirige verso
un versante costituito da ex prati da sfalcio, ben esposto a sud, con tipici seslerio-brometi e una
Festuca del gruppo di F. curvula. La presenza di Brachypodium e di Molinia conferma che l’area
risente anche di abbandono o di sottoutilizzo e l’insieme della composizione floristica è compatibile
con quella del Caricion ferrugineae s.l., avendo individuato alcune specie guida quali Traunsteinera
globosa e Senecio doronicum. L’aumento del ginepro nano segnala il minore utilizzo. In questi pendii
sono ancora ben rappresentati Sesleria caerulea e Carex sempervirens (sempre 6170) e si nota il
progressivo ingresso della Picea (sia pure lento). Diverse facies, floristicamente apprezzabili
(compatibili con ex prati da sfalcio, appunto) consentono di rilevare Festuca paniculata (altro segno
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di abbandono), Stachys pradica, Polygonum bistorta, Onobrychis montana, Hypochoeris uniflora,
Laserpitium krapfii, oltre a numerose orchidee (sfortunatamente già sfiorite). Si tratta,
indubbiamente, di situazioni che dovrebbero essere rilevate a livello fitosociologico, di sicuro
interesse vegetazionale. Esse meriterebbero, inoltre, un programma sperimentale per valutare la
possibilità di un loro parziale recupero. Il pendio sottostante, al contrario, ancora interessato dal
pascolamento bovino, è piuttosto degradato con popolazioni di Aconitum tauricum e un nardeto
povero (da verificare in giugno per esserne certi). Per spiegare la notevole ricchezza floristica e di
facies vegetazionali, va considerata la varietà dei substrati con affioramenti di arenarie scure
contenenti elementi alcalini.
Dopo aver esplorato la parte centrale, che fa capo alle malghe della Val di Stabio (escludendo le
stazioni alte che pure apparivano promettenti), si rientra verso l’area nota come Pian del Zuf,
intorno ai 1600 m di quota e che già in salita era stata notata come potenzialmente interessante.
Anche in questo caso si tratta di ex prati falciati, esposti a sud, invasi dal larice, ma caratterizzati da
una molteplicità di facies derivanti sia dal pregresso utilizzo del suolo che da fattori topografici
naturali. Impossibile render conto di tutto. Anche in questo caso la fase dell'apice delle fioriture è
stata superata, ma a livello vegetazionale la fase è ottimale per individuare le graminacee
dominanti. Sarebbero necessari numerosi rilievi per studiare le diverse facies che si alternano e che
dovrebbero essere valutate anche nel mese di giugno.
Percorrendo il Vial de le Mondole, si notano aspetti con Festuca paniculata e Crepis conyzifolia,
probabilmente evolventi da ex nardeti. Molinia arundinacea, al pari di Brachypodium rupestre, è
ben presente e con essi si rilevano Trifolium rubens, Allium carinatum, Stachys officinalis, Galium
rubrum, Laserpitium latifolium, Paradisia liliastrum, Achillea cfr. stricta, Knautia brachytricha,
Cirsium erisithales, Tanacetum corymbosum, Phleum hirsutum, Campanula spicata, Sempervivum
tectorum, Geranium sanguineum (numerosi gli aspetti riconducibili all’orlo termofilo). In alcuni
lembi sembra di riconoscere situazioni che, più a est, dove è conclamata la presenza di comunità di
Scorzoneretalia villosae, sono riferibili a Gladiolo palustris-Molinietum arundinaceae. Nelle Prealpi
centro-orientali e sui versanti sud dell’area dolomitica sono diffuse praterie, oggi abbandonate,
ricche di grandi ombrellifere e tale aspetto fisionomico-strutturale (ancora scarsamente indagato) si
conferma anche in questo sito. Si trattava certamente di aree falciate con prevalenza di Bromus
erectus s.l. e Sesleria caerulea in cui oggi sono aumentate sensibilmente la partecipazione di Molinia
arundinacea e Brachypodium rupestre. A livello floristico si segnala una presenza di Orobanche
laserpitii-sileris che si reputa significativa, ancorché si supponga già nota, e di Helleborus niger in
stazioni ombreggiate da larici. Il paesaggio è stato modificato anche artificialmente e si notano
impianti di betulla protetti da reti cilindriche. Al termine del percorso, in lieve discesa, si perviene
alla cosiddetta “Colonia di Cividate” immersa in area prativa in cui spiccano fioriture di Betonica
officinalis, Pimpinella saxifraga, Gentiana cruciata. Si tratta di prati, in parte pingui, già falciati o
pascolati, soggetti a fenomeni di slavinamento, che conservano belle fioriture (tra queste anche
Crepis pyrenaica) e nei quali le grandi ombrellifere sono in netta espansione. Si raggiunge la strada
che conduce al Passo Croce Domini dopo aver segnalato la diffusione di stadi nitrofili ricchi di
Arctium sp., Urtica dioica, Polygonum persicaria.
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La tappa successiva interessa alcune malghe nei pressi del Passo Croce Domini (m 1895) e la prima è
Malga Spondone. Si notano gli affioramenti della Carniola di Bovegno, roccia calcarea con
concrezioni tufacee. Nel pascolo di Malga Spondone si notano, anzitutto, fenomeni erosivi derivanti
da eccesso di carico, con evidenti sentieramenti e aree fangose in prossimità dei siti di
abbeveramento. Notevole è anche la diffusione di comunità nitrofile del Rumicion alpini (con facies
a Senecio cordatus, anche) e alcuni lembi sembrano irrecuperabili nel breve termine. A prescindere
dalla possibilità di razionalizzare il pascolo attraverso l’individuazione di una turnazione con aree e
recinti adeguati, a prima vista (bisognerebbe poter sviluppare una relazione agronomica
dettagliata), per quanto si evince dall’osservazione relativa alla vegetazione, la riduzione del carico
attuale appare fondamentale. A salvarsi sono solo alcuni lembi recintati e assai acclivi (aspetti
seslerietosi e buona presenza di Dianthus superbus). Anche i siti di mungitura esterni sembrano
creare danni significativi al cotico erboso. La presenza di gheppi (osservati in più esemplari) sembra
supportare l’ipotesi di una comunità ornitica ancora apprezzabile nel territorio circostante. Mi si fa
presente che far accettare a Bagolino una riduzione del carico appare impresa molto ardua.
Tuttavia, non vi sono dubbi circa la constatazione che all’interno di un’area protetta, certi livelli di
utilizzo vadano considerati “non sostenibili”. Si percorre una strada che è quella che conduce verso
il Passo Maniva, osservando popolazioni di Leontodon la cui ecologia è simile a quella di L. scaber. Di
qui si osservano le pertinenze di Malga Cavallaro, in basso, vicino a un laghetto. Anche in quell’area
si notano sentieramenti, ma nel complesso il territorio è più ordinato rispetto a Spondone. Sui
crinali risparmiati dalle slavine si segnala l’espansione dei nuclei di Picea. Come in tutto il
comprensorio sono frequenti i lembi di alneta, più o meno associata al corredo di megaforbie
subigrofile e/o ad aggruppamenti più marcatamente nitrofili con Aconitum tauricum. La
componente nitro-igrofila di vaste aree di questo comprensorio è testimoniata da consorzi a
Deschampsia caespitosa, a Peucedanum ostruthium, ad Alchemilla sp.pl. A monte della strada le
condizioni del cotico sono più decorose e prevale un poeto ancora ricco di componenti seslerietose,
con buone facies pabulari a Leontodon hispidus e Trifolium pratense. Presso Malga Làvena si segnala
un romiceto molto esteso, mentre su pendii acclivi si nota una forte diffusione di Agrostis tenuis.
Continuando a scendere, in stazione fuori parco, mi si fa osservare, si apprezza un laghetto con
popolazione di Sparganium minimum (possibile e probabile habitat 3160, raro) e presenza del
relitto artico-alpino Swertia perennis di indubbia importanza floristica. Peccato, appunto, che sia
fuori dal perimetro del Parco Naturale. A m 1880 si visita l’azienda agricola Predello e, in un pascolo
di capre e mucche sono presenti apprezzabili siti torbosi, tra i quali la torbiera alta di Arcina in cui
sono presenti, con gli sfagni, Drosera rotundifolia e Carex pauciflora. Peccato che sia sempre fuori
dal Parco, appunto. Oltre al pianoro torboso, in quest’area si rilevano altri aspetti tipici, tra i quali un
rodoreto classico con larice, uno junipero-rodoreto, l’alneta rada, dei lembi residuali di nardeto.
Anche qui si riconoscono i punti di mungitura che, come tradizione della vallata e del comprensorio,
sono quasi sempre esterni ai fabbricati. Spiccano in diversi punti le fronde incise e
pluripennatopartite del Molopospermum peloponnesiacum. Attorno ai m 1660 si attraversa il
comprensorio di Arcina Bassa, anch’esso ricco di stazioni umide e/o torbose con aggruppamenti a
Juncus conglomeratus e Cirsium palustre. Nei pressi di Malga Travagnolo, invece, è particolarmente
infestante Deschampsia caespitosa. Si rientra nel territorio del Parco nei pressi di Malga Cogolo e
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non si rilevano altre emergenze degne di nota, se non il riscontro della diffusione dominante delle
peccete, alcune discrete a livello strutturale e fisionomico, fino a ricongiungersi alla strada di Passo
Croce Domini.
1.6.5. TORBIERE DEL TONALE E MALGA SERODINE – 28/07/2011
La zona del Passo del Tonale è fra le più conosciute ed esplorate a livello floristico ed anche
tristemente nota per alcuni interventi che hanno determinato la frammentazione o la sparizione di
biotopi umidi nei quali erano state censite entità di rilevante e assoluto pregio naturalistico. La
bibliografia, in proposito, è più che esemplificativa. Un breve sopralluogo per valutare lo stato
complessivo delle condizioni ambientali, considerata la facile accessibilità e la sopravvivenza di
lembi relitti con specie rare era, quindi, opportuna. Di qui, per motivi essenzialmente gestionali,
nell’ottica delle funzioni del Parco, una puntata a quota più elevata, per valutare i contatti con gli
ambienti primari e subnivali del comprensorio.
L’area del Tonale è assai frequentata e include impianti per gli sport invernali. La sequenza delle
formazioni forestali che si osservano salendo lungo la statale annovera aceri-frassineti, peccete
(molte di esse sono artificiali), alnete di ontano verde. La torbiera che si intende visitare, quella in
cui è presente Lycopodiella inundata, è situata in prossimità del passo nelle immediate adiacenze
della partenza dell’impianto, verso Passo Paradiso.
Si notano popolazioni di Utricularia minor in alcune pozze, associata a Carex rostrata. Al margine
non mancano tappeti di sfagni e Drosera rotundifolia. Il fatto che si tratti di un lembo di torbiera alta
attiva (7110*) è confermata dai Bulten con Andromeda polifolia e Oxycoccus. Non mancano lembi,
relativamente bene espressi, di Caricion lasiocarpae. Estesi i tappeti di Trichophoretum caespitosi
(che segnala livelli variabili della falda), ma è presente anche T. alpinum. Ai margini si registrano
tracce di Molinietum s.l. In siti depressi si campiona un’Alchemilla del gruppo glabra e si rinviene
l’ibrido tra Cirsium heterophyllum e Cirsium erisithales. Ritrovare Lycopodiella richiede tempo, segno
che la popolazione è in regresso. In vari tratti è ormai dominante Deschampsia caespitosa, segnale
indiscutibile di degrado. Dopo ripetute ricerche a scanner, si rinviene finalmente la Lycopodiella e si
segnalano le coordinate: N 46° 15’ 20” 5; E 10° 34’ 20” 5. La stazione è esigua, certamente a rischio.
Cresce con Trichophorum caespitosum, Carex rostrata, Drosera rotundifolia, Pinguicula vulgaris,
Carex stellulata, Tofieldia calyculata. Tra gli aspetti qualitativamente più rilevanti anche piccole
depressioni con Carex limosa. Sembra che alcune delle pozze presenti siano state originate nel
periodo bellico dalle bombe. Il rischio di prosciugamento appare concreto. A livello cartografico
(secondo gli habitat di Natura 2000) quest’area torbosa va interpretata come mosaico tra 7110° e
7140. Naturalmente lo scopo non era quello di fare un censimento floristico e neppure quello di
rivedere la cartografia della vegetazione. Comprendere la dinamica evolutiva e valutare nuove
minacce, questo era lo scopo.
Si opta per dirigersi verso Malga Serodine di Fuori, attraverso una strada che conduce fino a circa
2500 m di quota. Le osservazioni che emergono sono le seguenti:
- La presenza di impianti, nel suo insieme, ha un certo impatto a livello paesaggistico.
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Notevoli popolazioni di marmotte lungo la strada.
La frammentazione causata da strade e impianti non impedisce che si conservi una buona
qualità floristica, associata a panorami e scenari paesaggisticamente notevoli.
- I contatti tra affioramenti calcarei e silicei possono spiegare l’elevata biodiversità.
- La diffusione di aree torbose e linee di ruscellamento, anche a quote elevate, contribuisce
significativamente alla qualità naturalistica del versante.
- Diversi lembi di praterie, in questa stagione in piena fioritura, sono meritevoli di una
campagna di rilevamenti ad hoc. Si segnalano varie facies con notevoli popolazioni di
Laserpitium halleri, nell’ambito di mosaici tra nardeti subalpini (6230*), seslerieti (6170) e
praterie primarie acidofile (6150). Anche in questo caso le intercalazioni calcaree all’interno
di una matrice essenzialmente silicatica contribuiscono ad arricchire la flora.
- I lembi in cui prevale la componente di Poion alpinae corrispondono ai siti di stazionamento
degli animali al pascolo. A seguito di abbandono si rilevano situazioni di recupero.
- La complessità delle facies di prateria alpina include anche i pendii a Festuca scabriculmis
(suoli superficiali), e altri festuceti a Festuca melanopsis e/o F. norica. Si conferma
l’opportunità di eseguire una campagna di rilievi, trattandosi di aspetti qualitativamente
rilevanti a livello vegetazionale.
Non mancano lembi di vegetazione pioniera sui detriti (8110) con Doronicum clusii e Achillea
moschata e, salendo in quota, come prevedibile, sono sempre più frequenti vallette nivali e
sfasciumi erbosi con comunità di Salicion herbaceae (abbondanti Gnaphalium supinum, Sibbaldia
procumbens). Sempre nella fascia subnivale si riconoscono diversi alchemilleti (si ritiene che a livello
floristico il campionamento effettuato da Enzo Bona e collaboratori del FAB sia molto avanzato),
ricchi di Ranunculus gruppo montanus, comunità di Luzuletum spadiceae, aspetti nitrofili con
Cirsium spinosissimum e, solo in quota, aspetti di Caricetum curvulae tipico. Nelle vallette nivali è
assai caratteristica Alchemilla pentaphyllea. In un modesto laghetto si rilevano Sparganium
angustifolium e Callitriche (non ancora fioriti). Durante il percorso di rientro si osservano ancora
tratti a Deschampsia e facies a Juncus jacquinii. Tra i 2300 e i 2400 m di quota sono bene sviluppate
le praterie a Festuca melanopsis. Altre facies di 6150 a quota inferiore, in stazioni soleggiate con
Laserpitium halleri e Phyteuma betonicifolium. Poco più in basso, con le stesse specie, si rilevano i
contatti con i nardeti di 6230*. Avvicinandosi al Passo, a quote attorno ai 2000 m o poco più, alcune
aree sono assai concimate e poetose, in parte riferibili al codice habitat 6520. Qui anche facies con
Trifolium thalii e Pulsatilla apiifolia. Non mancano, a conferma dell’elevata varietà di ambienti, i
pendii di ruscellamento con fioriture di Allium schoenoprasum (7230).
-
1.6.6. LAGHETTI DI AVIO – 4/08/2011
In vettura si parte da Temù e ci si inoltra subito in una delle principali vallate d’accesso al cuore
dell’Adamello, la Valle di Avio, appunto. Lo scopo è di visitare la zona dei laghetti (denominati,
appunto: Laghetto, Lago di Avio, Lago Benedetto), in cui sono attivi impianti per la produzione di
energia idroelettrica. Il substrato è, in questo settore, esclusivamente silicatico e non ci si attende,
quindi, una particolare varietà di ambienti con florule ricche. Si intende parcheggiare a Malga
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Caldea e proseguire poi in direzione di Malga Lavedole. Lungo il percorso si conferma la presenza di
comunità forestali ricche di frassino maggiore verso la base, probabilmente il risultato di
ricolonizzazione di superfici in passato falciate. Quasi ovunque prevalgono le conifere con abete
rosso e larice, spesso frammisti. I versanti sono solcati dalle consuete comunità di ontano verde che
segnalano le slavine, al pari di situazioni analoghe con salici e betulle in aree con più grossolani
apporti detritici. A Malga Caldea, attualmente non più caricata, si riconoscono le consuete comunità
nitrofile del Rumicion alpini, associate a Rubetum idaei e ad altri consorzi di schiarita afferenti alla
classe Epilobietea angustifolii (si rileva la frequenza di Senecio ovatus, con Crepis pyrenaica –quindi
ex prato-). Notata, a circa 1600 m, anche una buona popolazione di Matteuccia struthiopteris.
Raggiunta la zona dei laghi, a m 1910, su roccia affiorante, si apprezza Woodsia alpina, specie guida
dell’habitat 8220. Le condizioni della Malga localizzata sopra il Lago Benedetto sono decisamente
scadenti, sia per la struttura (ormai diroccata) che per l’esiguità del pascolo, invaso da consorzi
nitrofili e di megaforbie. Il paesaggio circostante è rappresentato soprattutto da lariceti e alnete,
secondo le condizioni topografiche e il lavoro della neve. Si imbocca il sentiero che conduce verso
Malga Lavedole e si segnalano i classici mosaici degli ambienti silicatici subalpini con:
- Sieversio-Nardetum (aspetti tendenzialmente poveri, ma con specie caratteristiche.)
- Aggruppamenti a Deschampsia caespitosa, in parte naturaliformi, ma certo favoriti da
pascolamenti irregolari e poco razionali.
- Diverse comunità di Epilobietalia, incluso Rubetum idaei, segno che si è ancora ben sotto il
limite potenziale del bosco.
- Alnetum viridis (nell’intero comprensorio del Parco occupa superfici assai rilevanti e
caratterizza molti paesaggi, una costante).
- Aggruppamenti a Festuca scabriculmis (anch’essi una costante in quasi tutto il Parco e
tendenzialmente azonali).
- Qua e là si possono scorgere modeste popolazioni di pino cembro che sono interessanti a
livello bioclimatico, ma che incidono solo assai marginalmente sul paesaggio.
A m 1940 si supera il bivio per il Passo Gole Larghe e si attraversano colate detritiche grossolane in
cui all’ontano verde si associano pino mugo e rododendro ferrugineo. Esemplari di abete rosso sono
anch’essi presenti ma non formano mai comunità tali da poter individuare vere peccete. La flora è
quella tipica di luoghi poveri e di terreni molto acidi; Dryopteris expansa, Lonicera coerulea,
Athyrium distentifolium, tappeti di sfagni (quindi aree lungamente innevate e anche in estate poco
soleggiate). Attorno ai 2000 m si apprezzano belle cascate e, al margine del sentiero, ben ripulito
(segno di attenzione e di una frequentazione turistica rilevante), si notano Viola biflora, Astrantia
minor, Rhodiola rosea, sorgenti muscose con Saxifraga stellaris. Deschampsia e felci sono spesso
prevalenti nello strato erbaceo e nelle radure dell’alneta, che a volte è arricchita da ginepro nano e
rododendro (junipero-rodoreto alnetoso). Il substrato resta sempre tonalitico e non offre, qui,
varianti significative. A m 2040 si raggiunge il pianoro di Malga Lavédole, che è caratterizzato da
residui torbicoli in un contesto povero e degradato. Sopravvivono, in ogni caso, facies riconducibili a
comunità del Caricion nigrae, ad aggruppamenti a Eriophorum angustifolium, con sinusie di sfagni
che ospitano estese popolazioni di Viola palustris. Nessun dubbio, quindi, sulla presenza dell’habitat
7140 (secondo la classificazione di Natura 2000, torbiere di transizione). Nei tratti più asciutti è
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sempre riconoscibile il Sieversio-Nardetum, mentre il pascolamento ha favorito, oltre
all’immancabile Deschampsia, anche Phleum rhaeticum. Più interessanti alcuni tratti con alluvioni
sabbioso-limose, ricche di Juncus alpino-articulatus. Fra blocchi di tonalite è stata attrezzata un’area
per favorire la sosta dei turisti, mentre la struttura della malga è diroccata e il pascolo utilizzato da
cavalli. Il pianoro è assai esteso e al suo interno vi sono anche lembi più integri con comunità a
Carex rostrata, a Carex nigra, Carex stellulata, Carex paupercula, Trichophorum caespitosum e non
mancano accenni di Bulten con sfagni e, ancora, Viola palustris. Più marginale, ma da registrare, è
anche una popolazione di Eriophorum scheuchzeri. Quanto al pascolo di cavalli va rilevato che essi
contribuiscono a contenere la diffusione della Deschampsia (da essi mangiata), ma l’effetto del
calpestio sul tappeto di sfagni (qui non si è riscontrata Drosera, ma le potenzialità sussistono in toto)
non è certo, a livello naturalistico, la soluzione migliore. Considerata la notevole estensione del
pianoro torboso, una possibile soluzione gestionale sarebbe quella di isolare e sottrarre al
pascolamento libero una porzione per verificarne, oltretutto, l’evoluzione. Di interessante, anche se
qui ritenuta a una presenza quasi normale, vi sono le popolazioni di Diphasium alpinum. Volgendo
lo sguardo sull’opposto versante, si individuano lembi di un rado larici-cembreto. Il nardeto, povero,
è sempre presente ai margini della torbiera, nelle radure di uno junipero-rodoreto sviluppato su
blocchi grossolani. Qui anche tracce di Loiseleurietum e di Salicetum herbaceae. In acqua è
interessante la popolazione di Equisetum fluviatile. La qualità del pascolo, diffuso anche fra larici e
ontani, è sempre modesta (manze libere). Lungo la strada che costeggia il Lago di Avio, si
riscontrano aspetti a Carex frigida e a Carex flava. Sulla sinistra idrografica del Lago, inoltre, fra le
alnete sempre prevalenti ed estese, si segnalano anche lembi di mugheta.
Si è ritenuto che non avesse senso ulteriore, constatata l’elevata uniformità, spingersi verso altre
mete, pur molto attraenti a livello paesaggistico e geomorfologico (ghiacciaio del Venerocolo ad
esempio).
Rientrando alla base si dedica il pomeriggio all’esplorazione di un settore pascolivo sopra Malga
Zumella, sulle pendici ovest del Monte Colombé (salendo da Capo di Ponte, verso Paspardo).
Qui, nei pressi di Malga Zumella a m 1850 circa, si apprezza subito la varietà dei substrati, con
calcari a sinistra e granodioriti a destra. Nei dintorni si estende un tipico lariceto pascolato, che si
reputa poco significativo a livello naturalistico e che anche come bosco non presenta caratteri degni
di nota, salvo riscontrare che, dai locali, questa situazione è apprezzata. Nel pascolo si confermano
sia nuclei di nardeto che zone più degradate e umide a Deschampsia. Durante il percorso effettuato
in vettura, si sono notati castagneti nel basso versante, presto sostituiti da peccete. Osservati alcuni
affioramenti arido-rupestri con Sedum rupestre aggregato e Dianthus seguieri (presente anche su
pratelli). Le irregolarità gestionali e la topografia di dettaglio, nonché i differenti substrati, rendono
complessa l’interpretazione delle diverse comunità, soprattutto in relazione alle prospettive
evolutive. Assai diffusi, verso il limite del bosco, sono i brachipodieti, arricchiti in elementi di
Seslerietalia, mentre le facies a Pteridium aquilinum rivelano fattori di disturbo. Volendo recuperare
aree di pascolo converrebbe tagliare la rinnovazione di Picea che si diffonde sotto il larice. Tra gli
altri substrati compaiono anche le Marne del Servino. Ottimo lo scenario paesaggistico con bel
panorama su Badile camuno (a sinistra), Concarena e Campelli a destra, Lago d’Iseo al centro. Una
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facies molto ricca di Carduus carlinifolius è una risposta al pascolo intenso. Non è una novità che
Erica carnea e Calluna vulgaris crescano assieme, certo favorite da una pressione bassa del pascolo
sui pendii più acclivi e dall’alternanza dei substrati. Infatti, anche nel lariceto rado, si notano
sentieramenti originati da un carico rilevante. Su altri versanti, più freschi, ontano verde e
rododendro ferrugineo si contendono lo spazio tra i grossi blocchi detritici. Sopra il limite del bosco
si affermano i soliti nardeti (quelli più pascolati e poetosi sono poveri e di bassa qualità) e aspetti a
Festuca paniculata, favoriti dal parziale abbandono. Sorprende la presenza di Molopospermum
peloponnesiacum oltre i 1900 m di quota. Tra i nuclei arbustivi sono diffusi lembi a Salix
appendiculata, che includono anche qualche sporadico esemplare di Salix glabra. Tra le differenti
facies di pascolo nardetoso, tra i massi, quelle invase da Larix e Betula (notate sia B. alba che B.
pubescens), una notevole abbondanza di mirtillo rosso (continentalismo edafico), la diffusione di
Trifolium alpinum che emana un caratteristico odore e la cui abbondanza nei pascoli è riconosciuta
dagli assaggiatori di formaggio. La comunità ornitica appare ben sviluppata con numerose allodole e
tre gheppi osservati volteggiare insieme. Sui massi, come quasi ovunque, si affermano colonie di
Festuca scabriculmis. Sui calcari, certamente lisciviati, assieme a Sesleria caerulea e Carex
sempervirens, compare anche Danthonia decumbens. Diffusa e ben identificabile è una popolazione
di Anthyllis (gruppo vulneraria-alpestris) con fiori quasi bianchi e calice arrossato. Apprezzabili sono
le facies di nardeto secco con Calluna vulgaris e Vaccinium vitis-idaea, del tutto simili a quelle che si
osservano in Comelico. A quote superiori ai 2000-2050 m, secondo le pendenze, prevalgono
nettamente comunità a Festuca scabriculmis. Si prosegue in salita fino a una conca localizzata a
circa 2100 m. Com’era facilmente ipotizzabile, il pascolo è qui molto più pingue, con elementi di
Poion alpinae. La sequenza resta, nel complesso del versante, quella tipica dell’orizzonte subalpino
nei substrati silicei con nardeti, festuceti, rodoreti e alnete. Si riconoscono le cime del Colombé e di
Barbignaga, con pareti verticali presso le quali Enzo Bona segnala Artemisia genipì, Artemisia
mutellina, Woodsia alpina, Phyteuma hedraianthifolium. Affioramenti carbonatici intersecano le
pareti di granodiorite, rendendo la flora più varia. La località è nota come “Buco delle Grolle”, dolina
da sprofondamento. Alla base di questa dolina si sviluppano comunità di valletta nivale, sia basifila
che acidofila e che, per effetto del pascolo, è sostituita dal tipico alchemillo-poeto. Si prosegue fino
a raggiungere un crinale a m 2190. Attraversando la conca si riscontra poi una ripida vallecola con
Seslerio-semperviretum abbastanza classico e tracce di Salicetum retuso-reticulatae. Qui sono
presenti entrambe le specie di rododendro. Pur trattandosi di una comunità di impronta orientale,
forse poco considerata in territorio lombardo, si ritiene di riconoscere un buon nucleo di
Campanulo-Festucetum noricae, associazione afferente a Caricion ferrugineae. Sul crinale, quindi in
stazioni meno innevate e più secche, ricompare il nardeto nella facies a Festuca nigrescens,
Rhinanthus, Arnica, Astrantia minor. Sul versante opposto, ancora più soleggiato, prevale
nettamente una comunità a Festuca paniculata, in cui s’inserisce Allium lusitanicum. Non mancano,
poi, cenosi a Festuca melanopsis (campionata per controllo), con Euphrasia cfr. alpina su tratti del
crinale soggetti a erosione eolica. Secondo la profondità del suolo e la presenza di roccia affiorante
tornano dominanti gli aspetti a Festuca scabriculmis i cui robusti cespi si mescolano a quelli non
meno tenaci di Festuca paniculata, edaficamente più esigente. Tra le specie tipiche di questi
ambienti anche Laserpitium halleri e Bupleurum stellatum.
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In sintesi, per quanto concerne valutazioni gestionali, si rileva che questi pascoli, pur non molto
fertili, sono apprezzabili e non creano particolari problemi, essendo anche ben accessibili. Discreta è
anche la qualità dei nardeti, mentre le parti meno utilizzate con festuceti a Festuca scabriculmis e
Festuca paniculata, certo pabularmente scadenti, sono più interessanti a livello di valore
naturalistico, grazie all’arricchimento garantito dai filoni carbonatici.
1.6.7. VAL ADAMÉ – 5/08/2011
Nel Parco dell’Adamello Bresciano, la Val Adamè è certamente tra le più note e rappresentative e
meritava, anche per la presenza di un pianoro alluvionale, pascolato abbastanza intensamente, di
essere visitata. L’accesso è dalla Val Saviore e si lascia la vettura presso Malga Lincino, a m 1620.
Lo scenario è rappresentato da pareti verticali gneissiche (di età archeozoica), che si associano a una
morfologia fluvio-glaciale, con formazioni boscate ricche di Picea abies (i cui germogli sono ingialliti
da infestazioni fungine) e Betula alba, arbusteti di Alnus viridis, colate detritiche grossolane. Il
pascolo nei dintorni della malga, presso la quale la pressione turistica sembra rilevante (è
raggiungibile su strada asfaltata), è piuttosto povero, riferibile in buona parte a un poeto nardetoso,
ma nel complesso è ben utilizzato. Lungo il sentiero si nota la segnaletica del Parco, di tipo
convenzionale. Sorprende osservare che anche le felci (Dryopteris affinis subsp. cambrensis) sono
appetite dal bestiame. Nel mosaico vegetazionale spiccano i rodoreti su blocchi, le alnete dei
canaloni valanghivi più o meno infiltrate da larice e talvolta con lembi ricchi di betulle, gli orli a
Senecio ovatus, gli spuntoni rocciosi acclivi con aggruppamenti a Festuca scabriculmis, le schiarite
con i consorzi di Epilobietalia angustifolii, gli aggruppamenti, a contatto con i versanti freschi delle
alnete, ad Athyrium distentifolium. Si percorre il sentiero n. 15 e su rupi verticali si segnalano
popolazioni di Hieracium amplexicaule. Non mancano Hieracium intybaceum, Molopospermum
peloponnesiacum, Primula daonensis, Sedum dasyphyllum (aspetti di 8220). Spesso le rupi silicee
sono popolate da entità non specializzate, poche essendo le vere casmofite. Per tale motivo, in
molti casi, la sintesi cartografica sarebbe un mosaico tra 8220 e 6150 (aspetti a Festuca
scabriculmis). Tra le entità più comuni si segnalano Phyteuma scheuchzeri e Astrantia minor. I pendii
arbustati più asciutti sono colonizzati da Juniperus nana e Rosa pendulina. Sui pendii erbosi, poiché
si è ancora sotto il limite del bosco, si osserva la competizione tra Festuca scabriculmis e
Calamagrostis villosa, questa associata a Luzula nivea e Avenella flexuosa, anch’essi elementi
subnemorali. Qua e la, risalendo i versanti della soglia glaciale, si rilevano frammenti di arbusteti
(4060, rodoreti alnetosi) e lariceti (radi e peccetosi, 9420). Tra le specie di Hieracium che si
alternano in diverse nicchie, anche H. sylvaticum e H. alpinum. Senza variazioni apprezzabili di
scenario paesaggistico e di assetto vegetazionale, si raggiunge il pianoro che culmina verso il Rifugio
Lissone (circa 2000 m), dal quale fuoriesce un torrente molto vigoroso, nonostante che poco più
avanti sia stata costruita una diga di sbarramento. Di qui in avanti muta radicalmente il panorama e
sulla sinistra si vede il Forcel Rosso, con affioramenti calcarei. Il pendio erboso è un nardeto
evolvente a rodoreto, con i consueti aspetti a Festuca scabriculmis che rientrano nella serie come
stadi primitivi bloccati. Spostandosi sulle ghiaie del torrente, si notano Leucanthemopsis minima e
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muschi del genere Tortula. Interessanti le stazioni di Equisetum fluviatile. La vegetazione del pianoro
è caratterizzata da un nardeto abbastanza tipico e bello, qua e là con residui lembi torbosi. Sullo
sfondo del vallone si staglia il Monte Foppa (gneissico). Caratteristico un versante con rodoreto
nardetoso in cui sono osservabili diversi esemplari di Picea formato bonsai. Si ripiega verso uno dei
lembi torbosi più evidenti e si constatano comunità di Caricion nigrae, Caricetum rostratae, agg. a
Carex paupercula tra diffusi tappeti di sfagni ricchi di Viola palustris e anche di Carex pauciflora. Non
mancano tratti a Trichophorum caespitosum e nuclei con Eriophorum vaginatum. Si ha l’impressione
di una torbiera ancora in fase giovanile e di un pascolamento nel complesso tollerabile. In queste
situazioni si dovrebbero evitare, comunque, interventi di drenaggio.
Notoriamente gli ambienti di greto in cui convergono elementi di falda detritica, di prateria alpina
più o meno pascolata, di torbiera o di sorgente sono sempre floristicamente assai appetibili e in
continua rinnovazione, secondo la dinamica del regime torrentizio. Un mosaico che si modifica
spazialmente nell’arco delle stagioni, ma che lascia invariato il risultato finale. Qui prevalgono i
detriti tonalitici (gliptoliti) e tra le formazioni erbacee si individuano anche quelle dei detriti di falda
(Oxyrietum digynae, 8110). Come da attesa, avvicinandosi alla malga, anche in stazioni localizzate
sul greto, il nardeto è più pingue e ricco di elementi di Poion (Trifolium repens, Crepis aurea, ecc.: il
termine nardeto poetoso è sintesi tipologica efficace). Fisiologica, in questo caso, anche la presenza
di componenti del Rumicion alpini e gli immancabili consorzi a Deschampsia caespitosa. Nonostante
l’azione del pascolamento, la grande estensione di questo pianoro, e la dinamica che caratterizza il
sito, consentono alle comunità torbicole di trovare comunque nicchie adatte, anche se è più difficile
stabilire confini precisi tra le differenti comunità. Il concetto di mosaico è ben esplicito in queste
condizioni topografiche nelle quali il fattore tempo è più importante dello spazio rilevabile al
momento. Ciò spiega la sovrapposizione di elementi aventi caratteristiche ecologiche diverse nello
stesso sito. Tra le specie igrofile si segnalano Equisetum variegatum, Carex rostrata, Epilobium
palustre, Menyanthes trifoliata. Qua e là sul pianoro convergono coltri detritiche, anche grossolane,
segno di un dinamismo sempre molto attivo. La Malga Adamé è situata a circa 2000 m di quota,
sulla destra idrografica del pianoro. A livello gestionale è interessante rilevare il pascolo libero di
alcuni maiali. Non mancano, inoltre, le capre. Nell’insieme questa vallata è un ambiente alpino,
pastorale, di grande suggestione, soprattutto per la bellezza della valle glaciale, molto caratteristica.
Superata la malga (intesa come struttura edificata), si prosegue per buona traccia di sentiero nel
nardeto poetoso, qua e là infiltrato da isole di romiceto e interessato da blocchi detritici. Si notano,
su entrambi i fianchi della valle, anche lisce pareti gneissiche. Terrazzi minori, a vari livelli, si
sviluppano lungo l’asse della vallata, in destra idrografica, più o meno interrotti da colate di
materiale grossolano. A livello di comunità vegetali si potrebbe concludere che mutando l’ordine dei
fattori il prodotto finale non cambia. Quasi ovunque, si notano fasi di transizione tra nardeto e
rodoreto e, nei siti torbosi e fangosi che si originano nelle depressioni, anche tra i massi, spiccano le
popolazioni di Eriophorum angustifolium. In un sito (m 2050), la grande abbondanza di Cirsium
spinosissimum è da collegare allo stazionamento delle capre. Superata una prima soglia con
cascatelle, si raggiunge un altro esteso pianoro, anch’esso regolarmente pascolato, con comunità di
nardeto (meno poetose, in genere) e anch’esso ricco di siti torbosi, immancabili depressioni a
Eriophorum angustifolium e, nei lembi più integri, belle popolazioni a Carex paupercula. Non
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mancano isole che mostrerebbero una possibile tendenza verso la genesi di una torbiera
ombrotrofica con sfagni (gruppo magellanicum-rubellum) e Carex pauciflora. Nei tratti in cui il livello
della falda è più variabile si insediano comunità, spesso mono- o pauci-specifiche, a Trichophorum
caespitosum. In tratti più fangosi si riscontra, abbondante, Juncus alpino-articulatus. Sarebbe
interessante conoscere la storia pregressa di questa vallata per capire se i solchi laterali sono il
frutto di interventi di drenaggio o il prodotto della naturale evoluzione. Da monte arrivano apporti
detritici, talvolta anche cospicui e recenti che continuano a modificare la morfologia di dettaglio. In
questo momento sono notevoli, sulla piana, le fioriture di Pinguicula vulgaris. Le conoidi a blocchi
che raggiungo i bordi della piana sono quasi sempre ben colonizzate da elementi di
Rhododendretum ferruginei. Nel mosaico delle praterie di alta quota (considerate le condizioni
dell’innevamento) non mancano neppure componenti di Elynetum (Primula minima ad esempio),
Loiseleurietum e Salicion herbaceae. Si riconoscono ancora sottotipi di nardeto (ad es. a
Trichophorum caespitosum), con Trifolium alpinum. In tratti erbosi tra i blocchi rodorizzati si
osservano popolazioni di Ranunculus gruppo montanus, in piena fioritura (a conferma di elevata
durata dell’innevamento). Si raggiunge la Baita Adamé (m 2110, comune di Cedegolo) gestita da
volontari. A monte di essa si estende l’ennesimo pianoro torboso invaso da apporti ghiaiosi nel
quale spiccano comunità muscinali (Tortula, ecc.). Le comunità prevalenti non segnalano varianti
apprezzabili: nardeto poetoso, tricoforeto, depressioni più umide a Eriophorum angustifolium.
L’aggruppamento a Trichophorum interessa anche ruscellamenti laterali, mentre su alcune conoidi,
forse più secche (relativamente) il rododendro è associato al ginepro nano (Junipero-rodoreto) e
ospita piccole ma significative popolazioni (di forma bonsai) di Picea e Larix. Gli stadi a Carex
paupercula caratterizzano aspetti più integri (meno disturbati). Si segnalano anche presenze di
eufrasie nel tricoforeto e giovani Bulten di sfagni con Viola palustris. Sempre più frequentemente, e
anche questo è una costante del paesaggio di questi pianori alluvionali, si riscontrano comunità
sorgentizie ricche di muschi con Saxifraga stellaris e Saxifraga aizoides che, per effetto del
pascolamento, risultano spesso infiltrate da componenti di nardeto. Ben sviluppate sono anche le
tipiche comunità del Caricion nigrae, mentre nel tricoforeto si riconoscono facies ad Agrostis
rupestris, poco consuete. Le vistose macchie verde chiaro dovrebbero essere riconducibili a
Sphagnum compactum. Dopo aver già notato in precedenza Epilobium palustre ed E. nutans, si
rileva anche E. alsinifolium. Si procede per il sentiero n. 1 approfittando di qualche parziale schiarita
(le nubi non hanno consentito di apprezzare pienamente il paesaggio). La ricchezza di acque è
particolarmente favorevole alla popolazione di anfibi, in particolare Rana temporaria è presente con
colonie assolutamente rilevanti. Tornando sul greto si apprezzano Alchemilla fissa (di qui in su
sempre più diffusa), Leucanthemopsis minima, Saxifraga bryoides, Oxyria digyna, Epilobium nutans.
Deschampsia è presente, ma in quantità fisiologiche che non segnalano degrado. Molto abbondanti,
come in tutta la valle del resto, i popolamenti di Trichophorum caespitosum, anche sui pendii
laterali soggetti a ruscellamento. Spiccano, inoltre, facies pingui a Ligusticum mutellina, tappeti
erbosi con Primula minima, nicchie (sotto i massi) con Viola biflora. A circa 2200 m di quota, isolato
su un blocco, che sporge sopra il greto, compare Salix helvetica. In seguito questa specie, tipica dei
macereti silicatici e quindi potenzialmente adatta, risulterà rara in questo settore. Il corredo
floristico della vallata, quantitativamente non eccelso ma in linea con le condizioni climatiche e la
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natura dei substrati, si arricchisce comunque con le prime tracce di Caricetum curvulae, con la
maggiore diffusione di Gentiana punctata e Antennaria carpathica. La presenza localizzata di
Cirsium spinosissimum appare tollerabile. Superata un’altra soglia in cui il torrente è sempre molto
impetuoso, si apre un pianoro glaciale ancora più splendido, con estesi lembi torbosi, ma forse non
casualmente, gradito anche dagli armenti, qui assai numerosi con bovini e cavalli. Il mosaico
7140/6150 è la sintesi più efficace per questo tipo di ambiente. Si segnalano le diverse facies tra le
quali aspetti a Eriophorum vaginatum e colonie di muschi su detriti, con Rhacomitrium canescens,
vallette nivali con Salix herbacea, Sibbaldia procumbens, Gnaphalium supinum. Su sfasciumi
lungamente innevati anche Androsace alpina con licheni (Cetraria nivalis). Sorgenti a Saxifraga
stellaris e Eriophorum scheuchzeri sono anch’esse diffuse nell’esteso pianoro. Non mancano stadi
molto pascolati con aspetti a Poa supina. Probabilmente, vista la bellezza di questo ambiente, un
alleggerimento del carico pascolante sarebbe auspicabile. Ciò si deduce soprattutto dalla quantità
degli escrementi. L’area di pascolo consolidato è riferibile al solito nardeto. Le sorgenti muscose
sono certamente espressione di Cratoneuro-Philonotidetum seriatae e sui detriti prevalgono
elementi di Luzuletum spadiceae con Doronicum clusii, Achillea moschata, Senecio incanus, Primula
daonensis.
Nella popolazione di rane rosse, con sorpresa, è stata osservata una ranocchia di colore molto
chiaro, giallastro, ma non risulta vi siano alternative a Rana temporaria. Su ghiaie e sfasciumi si
osserva spesso Adenostyles leucophylla, mentre Saxifraga bryoides abbonda soprattutto sul greto.
La vegetazione subnivale è sempre più estesa e, sulle colate detritiche, si rivede Salix helvetica
(senza formare comunità in cui è dominante). Questo è il pianoro più elevato, e più spettacolare, di
questo fondovalle e si conferma l’impressione di un carico probabilmente eccessivo. Sotto la soglia
principale, sul sentiero 2190, si osservano tracce di comunità a Carex frigida. Alla testata della valle,
sullo sfondo, si intravvede il Monte Fumo, con vistose placche lisce. Sulla via del ritorno,
obbligatoriamente la stessa, anche se si traversa per buona parte sulla sinistra idrografica, dopo la
Baita, non si rilevano novità rispetto alle comunità osservate durante il percorso di andata. Il
pascolo basale è un nardeto, talvolta sfagnetoso, frammisto ad aree torbose (inclusi accenni di
Bulten), depressioni a Eriophorum angustifolium e colate detritiche. Tra i vari aspetti assume
sempre maggior rilievo quello a Trichophorum caespitosum. La morfologia è un po’ più articolata
per effetto di colate detritiche che penetrano sul pianoro, condizioni favorevoli per le popolazioni di
marmotte. Dopo essere passati dal Rifugio Città di Lissone, si rientra al punto di partenza senza
riscontrare variazioni apprezzabili.
1.6.8. DINTORNI DI MALGA CORTI, DOSS DEL CURÙ – 6/08/2011
Per completare i sopralluoghi finalizzati a capire la realtà montana di questo parco, con particolare
relazione alla gestione delle risorse agrosilvopastorali, si è deciso di visitare un’area facilmente
accessibile con aziende agrituristiche e punti di appoggio panoramici.
Raggiunta Malga Corti (m 1830 circa) in vettura, si apprezza l’ottimo punto panoramico sulla vallata
in un comprensorio nel quale, oltre ai bovini, si alpeggiano pecore e capre. Salendo in vettura si
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segue una strada militare, ben mantenuta e sufficientemente larga, con fondo in pietra in vari tratti.
La formazione prevalente è la pecceta, di tipo classico, anche se giovane e poco attraente a livello
naturalistico, con facies ricche di Erica carnea e Melampyrum pratense. Nel pascolo prospiciente la
malga si rilevano i consueti aspetti pingui con elementi di Poion che si sovrappongono sul nardeto
(notati cespi di nardo rifiutati dal bestiame). Non mancano lembi nitrofili a Rumex alpinus. Presso
l’area del parcheggio si scorgono popolazioni di Scleranthus annuus e Spergularia rubra, specie non
propriamente comuni. Ci si trova alle pendici del Doss del Curù (comune di Cevo) e il panorama
spazia sulla sinistra verso il Piz Olda e sulla destra verso il Pian della Regina. I pascoli si estendono
tra i 1800 e i 2000 m e sono inseriti in un contesto potenzialmente forestale in cui il larice è
nettamente prevalente sulla Picea. Il gregge di pecore si scorge poco sopra sul crinale del Doss del
Curù. Nel lariceto (con rinnovazione di Picea) il sottobosco è rappresentato da junipero-rodoreto,
con ridotte isole erbacee determinate dallo sporadico pascolamento. I bovini si concentrano nei siti
più fertili e nelle vallecole fresche. La competizione tra il bosco (vigorosa la rinnovazione sia di larice
che di abete rosso) e il pascolo è qui molto forte. Sui versanti acclivi più trascurati dal pascolo si
afferma una brughiera a Calluna vulgaris e Rhododendron ferrugineum con notevole partecipazione
di Juniperus sibirica. Il paesaggio è attraente e anche la serie vegetazionale assai ben riconoscibile,
con quattro termini in evidente successione.
- Per effetto del pascolamento tradizionale la comunità di partenza, diffusa in un recente
passato, era costituita soprattutto dal tipico nardeto subalpino (Sieversio-Nardetum).
- A seguito dell’abbandono (evidente anche il sentieramento, segno di un passato in cui il
carico era superiore a quello attuale), si affermano le ericacee, soprattutto il brugo (nardeto
callunetoso).
- Successivamente, in assenza di interventi di sfalcio o pascolo, si instaura lo juniperorodoreto.
- La fase seguente è caratterizzata dalla progressiva diffusione delle specie arboree, larice e
abete rosso. Il lariceto, in successione con pecceta, appare la situazione potenziale.
Tra le specie da segnalare, in un contesto silicatico povero, si citano Sempervivum montanum e
Galeopsis ladanum (che predilige nicchie in erosione).
Se la serie sopra descritta (dai nardeti alla pecceta) è valida per i suoli relativamente profondi, si
conferma che su quelli superficiali la comunità di riferimento è quella a Festuca scabriculmis.
Nell’ambito dei nardeti tipici, inoltre, si devono annoverare anche facies più pingui (poetose), in cui
abbonda in particolare Phleum rhaeticum.
Da questo versante si gode un bel panorama sulla Val Paisco. Se l’obiettivo è di recuperare aree
adatte al pascolo, non si dovrebbero scartare interventi mirati di decespugliamento, anche
all’esterno del SIC. La situazione sembra favorevole. Tra aspetti a prevalenza di Juniperus sibirica e
di Rhododendron ferrugineum, molto estesi su vari versanti, si notano tutte le possibili transizioni e,
quindi, non resterebbe che l’imbarazzo della scelta.
Da segnalare la presenza di modeste vallecole umide con cenosi di Caricion nigrae e popolazioni di
Juncus alpino-articulatus e di Carex frigida, sempre interessanti in un contesto complessivamente
povero di acque superficiali. Tra le comunità erbacee non si registrano apprezzabili varianti con il
nardeto largamente prevalente, qua e là con facies più pingui, e i versanti più acclivi e con suolo
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superficiale in cui difficilmente la cenosi a Festuca scabriculmis potrebbe evolvere, se non in tempi
assai lunghi o con concimazioni del tutto improbabili. Nei lembi in cui il pascolo è più efficace, o
anche ai margini delle strade dove la concorrenza è maggiore, è abbondante la popolazione di
Trifolium alpinum, specie di notevole interesse pabulare. A quota 2010 m circa si raggiunge la malga
situata sopra la partenza e si tratta, appunto, della Malga Doss del Curù. Si osservano aree ben
pascolate, intensive, ma ben gestite e anche con recinti adeguati, certamente utili. Poco sotto, c’è
Malga Aret, con situazione molto simile. La strada prosegue verso la cima, dove era stato costruito
un osservatorio della 2^ guerra mondiale. La discesa avviene sul pascolo anziché sulla strada e ciò
consente di apprezzare alcune vallecole umide e sorgentizie (sempre importanti per la biodiversità
complessiva a prescindere dalla qualità floristica). Sorprende l’assenza di Molinia caerulea e si
ritiene che tali comunità potrebbero essere riferite ad aspetti acidofili delle torbiere di
ruscellamento (7230). Nei tratti meno acclivi, comunque, si formano anche lembi con sfagni e Viola
palustris (più prossimi a 7140) che si associano alle tipiche cenosi del Caricion nigrae. Nelle zone
calpestate (sono assai ricercate dal bestiame, evidentemente, in un contesto tendenzialmente
arido), si affermano aggruppamenti a Blysmus compressus. Tra le specie più diffuse si citano
Pinguicula vulgaris, Tofieldia calyculata, Juncus conglomeratus, Carex frigida. In tratti in erosione
compare ancora Hieracium intybaceum. Lungo l’asse principale dell’impluvio si scorgono comunità
di sorgente con Saxifraga stellaris, oltre ad altre aree disturbate collegate alla presa dell’acquedotto
in cui spicca Deschampsia caespitosa, con Carex leporina e lo stesso Juncus conglomeratus.
Rientrati al punto di partenza, si dialoga con la conduttrice della malga sulla vendita dei prodotti
tipici.
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1.7.
IL PASCOLO NELLA ZPS
1.7.1. INQUADRAMENTO GENERALE
L'alpeggio rappresenta il tratto più caratteristico e distintivo della zootecnia delle valli alpine. Il
trasferimento del bestiame nei mesi estivi sui pascoli in quota ha interessato fino agli anni sessanta
la quasi totalità degli allevamenti di montagna. Tale pratica è poi via via andata in diminuzione, in
corrispondenza con il progressivo calo del numero di aziende e dell'evoluzione del settore, in
particolare per quanto riguarda l'organizzazione produttiva ed il mercato del latte. Una tendenza
che sembra essersi rallentata negli ultimi anni, grazie anche agli interventi pubblici a sostegno del
miglioramento delle infrastrutture delle malghe ed al riconoscimento dell'attività agroambientale
dei caricatori, fattori cui vanno aggiunti la riscoperta e la valorizzazione dei prodotti caseari
d'alpeggio.
L'abbandono del pascolamento delle superfici in quota è in ogni caso un rischio sempre attuale,
foriero di conseguenze decisamente negative per l'ambiente e l'economia montana, per il
conseguente degrado territoriale ed il venire a mancare di prodotti dalle spiccate qualità
organolettiche, non surrogabili. Non va dimenticato poi il riflesso dell'attività agricola e delle sue
produzioni sulle economie locali, in particolare sull'immagine veicolata per l'offerta turistica e per
l'offerta gastronomica.
A questa situazione, ovvero di un sistema economico e di mantenimento territoriale che pian piano
è andato a ridursi, il settore reagisce cercando di realizzare quelle economie di scala che, solo in
parte, permettono di contenere l'incidenza dei costi di produzione sul valore del prodotto. Questo è
evidente considerando che, alla riduzione del numero delle aziende, è corrisposto il mantenimento
della quantità di latte prodotto, con l'incremento dimensionale delle aziende in attività.
I segni più evidenti di questa situazione, in atto da tempo, è rappresentata dalla riduzione della
superficie pascoliva, a vantaggio della colonizzazione di specie pioniere di carattere arbustivo,
accompagnata, in altre realtà, da fenomeni di sovra pascolamento. Questa è una tendenza
incontrovertibile, che fa intravedere scenari poco in linea con la vocazione e la tradizione della
zootecnia alpina (Timini, 2006). Da ciò la necessità di affrontare il discorso alpeggio in tutti i suoi
aspetti, con la finalità di concretizzare fatti che ne favoriscano il mantenimento con
caratterizzazione sostenibile a livello ambientale ed economico.
Sostanzialmente, come già in precedenza accennato, in risposta ad una diminuzione del numero di
aziende monticanti, si è verificato un fenomeno di ingrandimento delle mandrie che ha portato
all’accorpamento di diversi alpeggi. Il carico zootecnico, in assoluto e in relativo, è diminuito, ma
con i costi elevati di manodopera, con le difficoltà di gestione dell’alpeggio e con l’avvento di
mangimi integrativi l’effetto di pressione antropica a livello puntuale si è generalmente rafforzato.
Allo stato attuale si evidenzia quindi un sostanziale disequilibrio fra le zone di pascolo
meccanizzabili e quelle no. La mandratura avviene solitamente in aree limitrofe ai centri aziendali e
il pascolo stesso viene eseguito nelle aree facilmente raggiungibili dal carro mungitore. Laddove la
sostanza secca del pascolo, nelle condizioni di buona raggiungibilità, non bastasse per il fabbisogno
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della mandria, l’allevatore può fare riferimento all’aggiunta di foraggi extra pascolivi,
incrementando ulteriormente la pressione ecologica puntuale.
Il risultato di tale gestione è essenzialmente un’insieme di danni a livello di cotico erboso e di
limitazione della biodiversità. A livello di ZPS le unità produttive, ovverosia le malghe in attività,
sono dislocate all’interno del Parco Naturale con una disposizione non omogenea. Si sviluppa quindi
un’alternanza di settori (tessere) di produzione zootecnica avvicendate a zone di completo
abbandono/mancato sfruttamento dei pascoli.
Il pascolo è da considerarsi come un tessera con carattere positivo, ovverosia di risorsa ambienale.
Esso insiste su matrice caratterizzata da ecosistemi primitivi a causa delle elevate quote e delle
temperature rigide che caratterizzano l’ambiente e gli habitat. Nel caso della ZPS dell’Adamello
questa pressione comporta un incremento della variabilità specifica, consentendo di mantenere un
assetto ecologico del paesaggio con maggiore biodiversità rispetto a quello che si determinerebbe
in sua assenza.
Di fatto la cessazione dell’attività d’alpeggio costituisce una vera criticità perché con essa si
evidenziano i segni più evidenti di riduzione della superficie pascoliva, a vantaggio degli incolti e dei
boschi di neoformazione.
La zootecnia è da considerarsi quindi come unica risorsa per la gestione e il mantenimento delle
praterie d’alta quota non in climax.
La gestione della malga, delle mandrie, il carico zootecnico e l’accessibilità sono i fattori chiave per
poter modulare l’attività sull’ambiente.
Le esternalità dell’attività zootecnica sono quindi di duplice effetto:
· l’allevamento garantisce il mantenimento dell’ecosistema pascolo e della biodiversità da cui
ne deriva;
· il sovraccarico animale, soprattutto in determinati contesti, si traduce in un localizzato
peggioramento dell’ecosistema, da cui derivano problematiche di carattere ambientale e di
riduzione di sostenibilità.
L’azione del pascolo costituisce un elemento indispensabile per la conservazione delle fitocenosi
erbacee secondarie e dunque per il mantenimento dello stato di conservazione degli habitat erbacei
specifici (6150 – 6170 – 6230). Ancorché possa essere correttamente indirizzato, il pascolo è
comunque un fattore di pressione ambientale e di semplificazione dell’ecosistema. Nel caso della
ZPS dell’Adamello questa pressione comporta un incremento della biodiversità, consentendo di
mantenere un assetto ecologico del paesaggio con maggiore ricchezza rispetto a quello che si
determinerebbe in sua assenza. La gestione della malga, delle mandrie, il carico zootecnico e
l’accessibilità sono i fattori chiave per poter modulare l’attività sull’ambiente. I fenomeni negativi si
verificano più frequentemente laddove vi siano segni di marginalizzazione economica o di scarsa
dotazione infrastrutturale.
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In un’ottica di miglioramento economico ed ambientale generalizzato, inteso come mantenimento
della biodiversità attraverso l’attività agricola, si deve garantire all’attività zootecnica la possibilità di
investire attivamente sul fondo per apportare al sistema sostenibilità economica ed ambientale.
L’esercizio del pascolo nella ZPS, infatti, deve sempre essere finalizzato alla conservazione degli
habitat di interesse comunitario. In questo senso devono essere incentivati tutti gli interventi volti a
migliorare la sostenibilità delle malghe. L’incremento dell’efficienza concorre ad evitare pratiche
deleterie per i fragili equilibri ambientali delle superfici pascolive (ad es: diffusione dei romiceti e
delle specie nitrofile, sentieramenti per sovrapascolamento, creazione di carregge per l’utilizzo
scorretto del carro mungitore, zone di mandratura eccessivamente sfruttate, sottopascolamento
delle aree meno accessibili, scorretta gestione dei punti di abbeverata, ecc…).
1.7.2. ECOSISTEMI ERBACEI
L’attività d’alpeggio, all’interno della ZPS, viene esercitata, in modo non uniforme, nei 4 ecosistemi
erbacei residenti sopra il livello superiore dei boschi.
Tali ecosistemi sono descritti e categorizzati nel PSA come:
· praterie xeriche, ovvero i pascoli magri
· pascoli alpini propriamente detti
· pascoli pingui e zone di torbiera
· zone di contesa
1.7.2.1.
Praterie xeriche (pascoli magri)
Comprendono tutte quelle superfici destinate a pascolo, quasi sempre di proprietà pubblica e oltre
il limite superiore della vegetazione arborea, per le quali i fattori climatici locali (temperatura,
umidità, esposizione, ventosità, orografia, quota, etc.) determinano, insieme a condizioni edafiche
mediocri o difficili, condizioni di xericità associata a scarsi livelli produttivi in termini sia quantitativi
che qualitativi.
Dal punto di vista associazionale si va dalle formazioni più xerofile del Nardetum alpigenum, al
Fetsucetum variae, al Curvuletum sui suoli acidi, cui si succedono il Seslerieto-Serperviretum ed il
Caricetum firmae sui suoli calcarei, nelle loro varianti (facies) più aride e xerofile, su pendii ripidi e
soleggiati con spessore pedogenetico molto ridotto. Dalle formazioni tipiche dei suoli poveri
soggetti a intenso pascolamento almeno in passato, si passa alle formazioni microterme più rade e
discontinue della Classe Salicetea herbaceae, caratterizzate da discontinuità del cotico dovuta sia a
fattori costituzionali (rocce affioranti) che derivati (progressivo abbandono di settori anticamente
pascolati), comunque di livello produttivo scarso o mediocre : per quanto la produzione si possa
ritenere estremamente variabile, in linea di massima su queste superfici lo sviluppo della biomassa
può fornire valori di produzione consumata (PC) da 2,8 – 3,3 q s.s. /ha delle stazioni peggiori e più
alte in quota a valori di 4,0 - 4,4 q di s.s. per le stazioni più favorevoli a cotico continuo.
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Non è escluso che in particolari condizioni la produttività del cotico manifesti localmente dei livelli
migliori, in relazione sia alle condizioni di pietrosità che di morfologia e pendenza, così da consentire
carichi lievemente superiori.
Per le caratteristiche di scarsa produttività del cotico non sono state ascritte alla classe successiva
dei pascoli propriamente detti.
1.7.2.2.
Pascoli alpini propriamente detti (pascoli alpini)
Questa categoria comprende tutte le superfici destinate a pascolo afferenti agli alpeggi di proprietà
comunale o privata, dotati delle caratteristiche produttive migliori in termini di copertura continua
del cotico erboso, quantità e qualità di sostanza secca prodotta e consumata (PC): si va da 3,8 – 4,4
q s.s. /ha delle stazioni peggiori e più alte in quota a valori di 6,6 – 7,2 q di s.s. per le stazioni più
favorevoli di buon bilancio idrotrofico e pascolamento turnato. Ci possono essere poi diverse
situazioni, sia pure piuttosto localizzate, per le quali sono certamente rilevabili livelli produttivi
maggiori, fino al raggiungimento di valori limite di 15 q di s.s., tali da consentire carichi ottimali fino
a 1,4 UBA/ha, anche se tali dati difficilmente possono essere estesi a interi comparti pascolivi i quali,
al loro interno, presentano pur sempre differenze strutturali e fisionomiche evidenti.
Tale variabilità impone di adottare specifici correttori al momento dell’attribuzione del valore
pastorale di ciascun alpeggio, come si discuterà in seguito in merito alla stesura dei capitolati
d’affitto. In effetti la categoria comprende al suo interno un’alta variabilità di associazioni
vegetazionali, riconducibili comunque ai principali raggruppamenti della Classe Nardetalia e
Arrhenatheretalia nelle stazioni più fresche. Vi si annoverano frequentemente le facies migliori del
Nardetum alpigenum di valore pastorale non troppo scarso, associato a Curvuletum su suoli acidi,
mentre su suoli calcarei si possono incontrare più frequentemente, oltre al SeslerietoSemperviretum, il Caricetum ferruginae delle stazioni più fresche e di migliore valore foraggero.
A questa variabilità tipologica si aggiunge poi una differente caratterizzazione esteriore dovuta
all’utilizzo indiretto che l’uomo ne fa in funzione della concentrazione del carico animale, della
gestione degli spostamenti delle mandrie, soprattutto in relazione a due elementi fondamentali
della gestione dell’alpeggio: l’abbeverata e la mungitura.
Laddove il tenore idrico mantiene costantemente un grado di umidità elevato in funzione della
presenza di suoli torbosi, idrici o mesoidrici, il pascolo viene ascritto alla categoria seguente (Pascoli
pingui), mentre dove l’ingresso della vegetazione spontanea, dapprima arborea e poi arbustiva,
incide oltre il 25 % del grado di copertura al suolo, pur considerando ancora importanti tali superfici
per la loro consuetudinaria utilizzazione durante l’alpeggio, esse sono state classificate all’interno
delle zone di contesa tenendo conto in questo modo anche del dinamismo evolutivo di questi
soprassuoli.
In situazioni generalmente molto localizzate si riscontrano frequentemente zone invase da flora
ammoniacale (Rumex alpinum, Urtica dioica, etc.) a caratterizzare i siti di stazionamento
continuativo del bestiame, posti quasi sempre nei pressi delle malghe, delle zone di abbeverata o di
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mungitura. Sono queste le associazioni dei cosiddetti “pascoli dei riposi” che con adeguati
accorgimenti di gestione tendono a trasformarsi, nel breve periodo, nella categoria dei pascoli alpini
propriamente detti, per la loro giacitura e ubicazione generalmente molto favorevole. Dal punto di
vista fitosociologico ci si ritrova nel cosiddetto Rumicetum alpini, ospitante tipiche essenze nitrofile
legate al continuo stazionamento del bestiame sulle stesse superfici.
1.7.2.3.
Pascoli pingui e zone di torbiera (pascoli umidi)
Con questa unità di paesaggio vengono individuate tutte quelle superfici più o meno pianeggianti
per le quali il livello di umidità del suolo conferisce un tenore idrico o mesoidrico al suolo, al di sopra
del quale vengono a costituirsi particolari associazioni vegetazionali di grande rilevanza floristica
(afferenti alle facies mesoidriche e dei suoli torbosi della Classe Caricetalia), con abbondanza di
Caricacee, cui spesso è riferibile anche la toponomastica locale (Carét, Carète). Il livello produttivo
di tali superfici a pascolo risulta generalmente inferiore rispetto a quello dei pascoli propriamente
detti, pur se possono costituire, per molti alpeggi, una significativa integrazione alimentare che si
rende disponibile, tra l’altro, gradualmente con il procedere della stagione verso la fase estiva più
secca.
Il valore nutritivo della risorsa foraggiera è da ritenersi comunque inferiore proprio per la natura
delle erbe più ricche di fibre e di minor valore pastorale, inteso in termini nutrizionali.
In corrispondenza di questa consociazione vi sono quasi tutte le situazioni indicate come “zone di
rilevanza floristica” riportate sulla base di specifiche segnalazioni botaniche ufficiali. Tali peculiarità
floristiche impongono di regolamentare l’utilizzo attuale del pascolo riconducendolo alle sue forme
più tradizionali, nel rispetto dell’ambiente (da non prevedere dunque in queste zone concimazioni,
calcitazioni, additivi nell’alimentazione del bestiame o quant’altro possa ingenerare forme di
degrado ambientale).
Infine si segnala che è La cartografia denominata "Carta delle Zone umide e Torbiere" riprodotta in
questo Piano di Gestione è stata tratta dal lavoro di censimento floristico-ecologico effettuato da
Silvio Frattini nel 1997 e confluito nel volume "Torbiere e altre zone umide del Parco dell'Adamello
e delle Orobie bresciane", edito da Regione Lombardia nell'ambito della collana "Natura di
Lombardia".
1.7.2.4.
Zone di contesa
Rientrano nella categoria tutte le superfici non propriamente boscate, ubicate oltre il limite
superiore della vegetazione arborea, che ai fini del piano di settore debbono essere distinte dal
bosco vero e proprio in quanto costituiscono, in molti casi, il supporto per una significativa
integrazione alimentare per il bestiame al pascolo, essendo costituite, di sovente, da aree
assiduamente pascolate in passato ed oggi in fase più o meno avanzata di colonizzazione da parte
delle essenze arbustive autoctone del piano subalpino (principalmente ontano verde, rododendro,
ginepro nano). Dal punto di vista della composizione floristica, il cotico pabulare riflette quasi
sempre elementi delle medesime associazioni dei settori migliori dei pascoli più vicini, anche se
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entrano in parte preponderante, nella composizione, anche le essenze nemorali precedute dalle
erbacee più invadenti e meno appetite, tipiche del pascolo abbandonato.
Il pascolamento su queste superfici, esercitato per lo più in forma vagante e nelle fasi di
trasferimento da una stazione pascoliva all’altra, costituisce una consistente integrazione
alimentare per le mandrie pur non riflettendosi in sostanziali incrementi di produttività, vista la
necessità per le bestie di effettuare in questi ambienti continui spostamenti, oltre al valore
nutrizionale ridotto della risorsa foraggiera disponibile.
Le zone possono essere costituite da:
ambienti di vegetazione arbustiva già colonizzati, a copertura pressoché continua ed in equilibrio
con i fattori limitanti propri di stazioni caratterizzati da condizioni climatiche o orografiche
specifiche, al limite superiore della vegetazione arborea (alnete, mughete, etc); queste situazioni,
dal punto di vista fitosociologico, tendono ad identificarsi con le associazioni tipiche delle fasce
boscate poste al limite della vegetazione arborea ed arbustiva dell’Alnetum viridis o addirittura del
lariceto tipico;
pascoli in fase di progressivo o avanzato stato di abbandono, per i quali è evidente l’ingresso di
essenze pioniere che tendono a ricolonizzare spontaneamente le superfici anticamente sottratte
dall’uomo al bosco attraverso l’esercizio del pascolamento; in questi casi le associazioni più
frequenti sono quelle del Vaccinio-Rhododendretum dei suoli più freschi e dello JuniperoArctostaphilletum delle stazioni più soleggiate in cui vi è minor permanenza del manto nevoso;
boschi radi d’alta quota in cui la copertura arborea risulta talmente scarsa (< 0,2) da non giustificare
il loro inserimento nella categoria boschi, anche in questo caso per effetto di un’azione più o meno
intensiva di pascolamento pregresso o attuale.
1.7.3. STATO DEI PASCOLI
Allo stato attuale gli alpeggi si presentano, essenzialmente, caratterizzati in 3 sottogruppi, in
funzione della pressione zootecnica sitospecifica:
- Stato di abbandono e di sottosfruttamento della risorsa pascolo con avanzamento delle
specie arbustive pioniere che tendono ad occupare l’ecosistema prativo;
- Stato di climax e di equilibrio tra l’ecosistema erbaceo del pascolo e l’attività zootecnica;
- Stato di sovra pascolamento con effetti dannosi sull’ecosistema.
Gli alpeggi appartenenti al primo caso ricadono, essenzialmente, nelle aree più svantaggiate, con
accessibilità alla malga assente o comunque carente. In tali casi, l’impossibilità di conferire
quotidianamente il latte, la mancata possibilità di gestire la mungitura tramite carro mungitore e le
restrizioni derivanti dalla non carrozzabilità degli accessi comportano una notevole restrizione delle
possibilità di sviluppo economico che si traduce spesso nell’abbandono di tali realtà.
Gli effetti diretti dell'abbandono dei pascoli d'alpeggio si traducono in: riconquista dei prati da parte
di specie arbustive pioniere, sparizione di antichi paesaggi culturali costruiti dall'uomo, riduzione di
biodiversità.
Le indicazioni riferite a tali sistemi produttivi, tradotte nel PSA, si realizzano in:
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-
Diversificazione e trasformazione delle attività produttive zootecniche in altre e diverse
forme di attività produttive, quali l’adeguamento dei fabbricati in un’ottica di fruizione
turistica;
- Attività didattiche e di ricerca ambientale;
- Adozione di mandrie da carne e non da latte.
Nel caso di attività produttive in climax gli habitat erbacei le esternalità dell’attività zootecnica sono
di carattere positivo. Di fatto, la monticazione, il pascolo ed il presidio delle mandrie garantisce
all’ecosistema:
- salvaguardia delle condizioni ambientali di pregio e fonte di biodiversità;
- tutela dell’ambiente e del paesaggio alpestre;
- mantenimento dell’insieme delle attività economiche, sociali e culturali che si sviluppano in
tali ambiti;
- l’inibizione dello sviluppo di specie arbustive ed arboree e, contestualmente, un incremento
di massa erbacea;
- la defogliazione periodica del cotico che è vitale per il controllo delle successioni vegetali
erbacee, validando un sistema di specie distribuite a mosaico;
- fertilizzazione puntuale derivata dalla deiezioni animali che, oltre a garantire nutrimento per
le specie vegetali favorisce, a concentrazioni non elevate, anche le specie meno rustiche e
dal tenore nutritivo superiore.
Le zone caratterizzate da fenomeni di sovra pascolamento, ovvero quelle realtà ricadenti nel terzo
gruppo, sono facilmente identificabili attraverso un insieme di fenomeni tipici di pressione
ambientale. Tra le quali si annoverano:
- erosione dei versanti;
- fenomeni di terrazzamento;
- sentieramento dei pendii;
- rottura del cotico erboso;
- forte presenza di specie nitrofile quali l’ortica e il rumice;
- inquinamento puntuale dei corsi d’acqua superficiali.
Tali realtà, caratterizzate da esternalità negativa, si concretizzano soprattutto in prossimità di
pascoli posti in prossimità delle vie di comunicazione e che permettono all’operatore zootecnico di
operare in un contesto semi intensivo.
L’intensificazione della zootecnia d’alpeggio, in determinati contesti montani, si traduce in una
scomparsa di molte specie vegetali e animali, a cui è spesso associato un peggioramento
dell’ecosistema prativo e dalla comparsa di fenomeni relativi a erosione e sentieramento dei pendii.
Al contrario, in presenza di gestioni sostenibili, l’attività e la pressione zootecnica sono,
potenzialmente, fonte di biodiversità e unico fattore chiave per il mantenimento di determinate
fitocenosi tipiche del paesaggio e del contesto ecologico montano. Tale impatto di caratura positiva
garantisce, altresì, il mantenimento o il ripristino di sistemi paesaggistici che andrebbero persi a
causa della ricolonizzazione da parte di specie arbustive delle praterie d’alpe.
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L’influenza delle degli animali sul pascolo e sulle biocenosi, che si sviluppano in tali aree, è oggetto
di numerose pubblicazioni. L’analisi bibliografica, territoriale ed ambientale ha permesso di valutare
il fatto che il pascolo dell’animale è uno strumento per garantire, mantenere e/o ripristinare la
biodiversità dei paesaggi aperti alpini e, contemporaneamente, contribuire al miglioramento
estetico, paesaggistico e di caratterizzazione turistico ricreativa.
L’uso efficacie e sostenibile della risorsa pascolo, in un’ottica di tutela ambientale e di valorizzazione
della biodiversità, deve, necessariamente, passare da una pianificazione sito specifica a cui si
relaziona una profonda comprensione del rapporto tra gli erbivori monticati con la risorsa pascolo,
le comunità degli animali selvatici e dell’ambiente abiotico.
Oltre agli aspetti legati agli alpeggi posti sopra al livello dei boschi ovvero a quote superiori ai 1700 –
1900 s.l.m., la monticazione d’alpeggio garantisce anche la permanenza dei maggenghi, ovvero
quell’insieme di habitat erbacei e di fitocenosi utili anche alla fauna selvatica, che insistono sui medi
versanti delle valli. Di fatto l’attività in malga è in stretta connessione con le attività agricole e
zootecniche con i centri aziendali di fondovalle: l’attività di alpeggio non è, infatti, indipendente, ma
rappresenta una parte di un’attività zootecnica che per il resto dell’anno è svolta a quote inferiori e
in sistemi di stabulazione presso i centri aziendali. Inoltre gli animali passano la parte
preponderante dell’anno in aziende di fondovalle dove spesso la competizione con razze e
allevamenti specializzati rende impossibile un ritorno economico sufficiente per garantire stabilità e
continuità dell’attività zootecnica. L’attività d’alpeggio risulta quindi essere, in un’ottica di largo
respiro, fondamentale anche per l’economia, l’ecologia ed il paesaggio di fondovalle. Affinché il
sistema alpeggio possa configurarsi come attività sostenibile dal punto di vista economico, sociale e
ambientale è necessario che risulti sostenibile il sistema nella sua interezza, comprensivo di
allevamento ad alta quota oltre che di valle.
A tal fine, ovverosia il mantenimento e rafforzamento delle attività zootecniche ed agricole, nel
presente piano di gestione, sono previste delle schede d’azione redatte con l’obiettivo di
intraprendere un percorso di miglioramento teso alla sostenibilità gestionale. Tali misure si
concretizzano attraverso: la regolamentazione dell’assegnazione delle malghe; l’incentivazione agli
investimenti diretti degli allevatori e delle proprietà; il controllo della gestione zootecnica
incentivandone i comportamenti e le azioni virtuose; imporre dei divieti in merito al rispetto di
habitat di pregio.
A queste azioni si accompagnano anche incentivi e programmazioni tesi alla diversificazione e alla
multifunzionalità delle attività agricole e zootecniche.
Per la descrizione delle azioni si rimanda al capitolo relativo alle strategie d’azione e alle
corrispettive schede d’azione.
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1.8.
IL SIC IT2070006 “PASCOLI DI CROCEDOMINI – ALTA VAL CAFFARO”
1.8.1. ASPETTI DELLA RETE ECOLOGICA
L’area è esterna alla ZPS, situata a sud di essa, ed è parte di una matrice caratterizzata dai sistemi
erbacei (pascoli e praterie). E’ dunque evidente una certa omogeneità strutturale, dovuta ad una
matrice con scarsa porosità, fatta eccezione ai margini dell’area, dove le frange della matrice
forestale caratterizzano il versante più orientale. Allo stesso modo a nord sono presenti tessere
della matrice dei sistemi di alta quota, con contesti di grande suggestione. Questa congiunzione di
tre matrici ecologiche, espressione di una morfologia variegata e di un’azione antropica
disomogenea, crea delle condizioni di biodiversità e complessità ecosistemica tali da risultare quello
che viene definito un ganglio ecologico. Ovvero un ecomosaico così ricco da diventare un elemento
strutturale molto importante per i suoi effetti positivi sulla funzionalità di tutta l’ecologia della rete,
sia a scala di area vasta, sia a scala di ZPS. A scala di quest’ultima sono evidenziabili altri elementi
strutturali quali i corridoi ecologici, semplici e a striscia, fondati essenzialmente sulla rete idrica, e le
tessere di risorsa costituite dalle formazioni arbustive.
1.8.2. ASPETTI BIOTICI PRESENTI
1.8.2.1.
Vegetazione
Aumentando di scala assume grande importanza la matrice dei sistemi erbacei, e nello specifico il
grado di antropizzazione che li caratterizza, al punto da poter distinguere la parte a pascolo, spesso
eccessivamente sfruttati, e quella praterie d’alta quota, con l’aggiunta di tessere di formazioni
vegetali igrofile. A questo proposito è molto interessante lo studio botanico di Lasen riportato sotto
forma di rilievi di campo nei paragrafi precedenti
Dal punto di vista forestale si è in presenza di una grande varietà di tipi forestali. Questi
caratterizzano essenzialmente a modo di fascia di margine il settore occidentale e il settore
meridionale-occidentale del SIC. Si tratta di formazioni forestali subalpine e altimontane, la cui
varietà è conseguenza della varietà orografica e geomorfologica.
Il Modello di Gestione Forestale del Parco individua ben 10 tipi forestali, di quattro categorie:
lariceti, peccete, mughete, ontaneti e formazioni caotiche (consorzi rupicoli).
I tipi forestali sono i seguenti:
•
Ontaneto di ontano verde
•
Formazioni caotiche altimontane
•
Formazioni caotiche subalpine
•
Lariceto tipico
•
Lariceto primitivo
•
Pecceta azonale su alluvioni
•
Pecceta altimontana dei substrati carbonatici
•
Pecceta subalpina dei substrati silicatici dei suoli mesici
•
Mugheta microterma dei substrati silicatici
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•
Mugheta microterma dei substrati carbonatic
La gestione selvicolturale è minimale, indirizzata verso la stabilità dei sistemi forestali, in accordo
con le condizioni ambientali. Il fattore di rischio principale della loro stabilità ecologica è
sicuramente una disattenta gestione del pascolo. La presenza di questa diversità del sistema
forestale. Più isolate sono invece le ontanete ad ontano verde, presenti più a macchia di leopardo.
1.8.2.2.
Fauna
Il SIC dei Pascoli di Crocedomini - Alta Val Caffaro rappresenta un caposaldo per la ricchezza
faunistica dell’intera ZPS. La lettura della tavole delle Emergenze Faunistiche restituisce un
immediato riscontro di questa caratteristica. Analizzando la distribuzione spaziale dell’indice
possiamo trarre alcune considerazioni:
- i massimi valori dell’indice si riscontrano proprio nel SIC in questione ed in particolar modo
nel quadrante orientale. Il mosaico ambientale di quest’area è tra quelli con la maggior
idoneità faunistica di tutta la ZPS
- A livello di intera ZPS dell’Adamello, la quasi delle maglie con i massimi valori di qualità
faunistica si concentra proprio nel SIC di Crocedomini. A maggior conferma di quanto
espresso al punto precedente, questa zona spicca anche in termini di estensione delle aree a
maggior vocazionalità e per unicità funzionale a livello dell’intera ZPS
- Infine l’intero territorio del SIC è classificato nelle due classi più alte di vocazionalità
faunistica.
In sintesi dunque l’area spicca per in termini faunistici per qualità, estensione, unicità e continuità
territoriale. Spostando lo sguardo sulle carte di vocazionalità per singole specie, si confermano i
caratteri poc’anzi evidenziati per l’indice sinottico. Il dato interessante che emerge è sulla diversa
distribuzione delle specie sul territorio della ZPS. I valori di idoneità media e alta dell’indice di
emergenza faunistica, ottenuto mediando i valori di tutti gli indici specie-specifici, sono uniformi sul
territorio ma derivano da singoli indici con una distribuzione peculiare. Il SIC, infatti, è un mosaico di
diverse condizioni ambientali, che determinano una maggiore o minore idoneità faunistica per le
singole specie. In particolare emergono tre “zone” grosso modo omogenee per vocazionalità delle
singole specie:
- Quadrante settentrionale: è la zona di contatto fra i pascoli e gli ecosistemi primitivi d’alta
quota. In questa zona si concentrano i massimi valori di idoneità per la pernice bianca.
- Quadrante orientale: è la zona in cui i pascoli sommitali degradano verso la piana del Gaver.
Si caratterizza per la presenza di sistemi forestali anche estesi. In queste aree si riscontra una
maggior vocazione del camoscio, dello stambecco e dell’aquila
- Quadrante centro-meridionale: questa zona spicca per i massimi valori di idoneità per il gallo
forcello
Fanno eccezione la coturnice e la lepre bianca, che mostrano un’elevata idoneità per tutto il SIC
Dal quadro sopra delineato emerge comunque come nel suo complesso proprio la diversità di
questo mosaico determina un’elevata vocazionalità faunistca su tutto il territorio del SIC.
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1.8.3. ELEMENTI DI INTERESSE CONSERVAZIONISTICO
1.8.3.1.
Habitat di interesse comunitario
L’analisi della cartografia degli habitat ha restituito i seguenti risultati in termini di estensione e di
percentuale di copertura rispetto all’intera superficie del SIC
Codice Habitat
4070*
6150
6170
Descrizione
Boscaglie di Pinus mugo e Rhododendron hirsutum
Formazioni erbose boreo-alpine silicee
Formazioni erbose calcicole alpine e subalpine
Formazioni erbose da nardus, ricche di specie, su
substrato siliceo delle zone montane
Torbiere di transizione e instabili
Foreste acidofile montane e alpine di Picea
Foreste alpine di Larix Decidua e/o Pinus Cembra
6230*
7140
9410
9420
Superficie totale habitat (ha)
Superficie totale SIC (ha)
Area (ha)
92,40
313,17
693,83
Percentuale
2,01%
6,80%
15,07%
244,03
38,70
457,65
521,26
5,30%
0,84%
9,94%
11,32%
2361,03
4603,51
Tabella 1.12: Habitat di interesse comunitario nel SIC di Crocedomini
Le superfici coincidono con quanto riportato nel Formulario di Presentazione, del quale si
confermano anche i giudizi in merito allo stato di conservazione.
Per la descrizione dei singoli habitat si rimanda al capitolo 2 della presente relazione
1.8.3.2.
Specie di interesse comunitario
Il quadro sopra descritto trova conforto anche nel numero di specie segnalato nei Formulari di
Presentazione. Si consideri infatti che il Formulario del SIC riporta ben 96 specie faunistiche sulle
124 presenti nel Formulario della ZPS. Tre quarti dell’intera biodiversità faunistica del Parco
Naturale dell’Adamello è concentrata nella sola zona dei Pascoli di Crocedomini. Di particolare
rilievo anche la presenza nel SIC della Scarpetta di Venere, una delle due specie di piante di
interesse comunitario presenti nella ZPS.
1.8.4. CONCLUSIONE
Lo spazio gestionale riguarda essenzialmente l’esercizio del pascolo, che costituisce il fattore
ecologico limitante del SIC. A tal proposito sono state redatte specifiche schede di azione aventi
come bussola la biodiversità, che dal punto di vista funzionale significa il rafforzamento della
funzione di ganglio ecologico non solo per la complessità ecosistemica, ma anche, all’interno della
matrice, per una gestione sostenibile. Questo coinvolge non solo aspetti alpicolturali ma anche
procedure amministrative dedicate.
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1.9.
IL SIC IT2070012 “TORBIERE DI VAL BRAONE”
1.9.1. ASPETTI DELLA RETE ECOLOGICA
Situato esternamente a meridione dell’area della ZPS, con un orientamento nord-sud, a scala di area
vasta il SIC è parte della matrice forestale, nella sua parte di contatto con la matrice dei sistemi
erbacei d’alta quota. Questa sua configurazione lo pone in quella fascia ecotonale di grande
interesse naturalistico e di grande importanza per la gestione sia del SIC sia della ZPS.
Grazie a questa condizione ed alla configurazione al suo interno delle diverse unità ecosistemiche, le
Foppe della Val Braone costituiscono un ganglio ecologico nel contesto della Rete Ecologica della
ZPS, ovvero un elemento strutturale peculiare per la funzionalità di tutto l’ecomosaico.
1.9.2. ASPETTI BIOTICI PRESENTI
1.9.2.1.
Vegetazione
Aumentando di scala assume grande importanza la tessera di risorsa ambientale costituita sia dalle
praterie, usate anche come pascolo, che dalle torbiere permanenti.
A questo proposito è molto interessante lo studio botanico di Lasen riportato sotto forma di rilievi
di campo nei paragrafi precedenti. Queste biocenosi esaltano la qualità ambientale del sito in
sintonia con la corona del sistema forestale presente che colonizza i versanti.
Nello specifico il sistema forestale è al suo interno diversificato e composto da quattro tipi forestali,
molto diversi fra loro. Sono presenti in particolare infatti il lariceto tipico, con la sua tipica struttura
arborea, e l’ontaneto ad ontano verde, con la sua struttura più arbustiva. A questi vanno aggiunte
tessere di fitocenosi definite formazioni caotiche altimontane, corrispondenti ai consorzi rupestri
(Modelli di Gestione Forestale per il Parco dell’Adamello), e tessere di mugheta microterma dei
substrati silicatici.
1.9.2.2.
Fauna
Il SIC delle Torbiere di Val Braone, anche in funzione della sua ridotta estensione, pari a circa 70
ettari, gioca necessariamente un ruolo minore all’interno degli equilibri faunistici della ZPS.
Al pari del SIC di Crocedomini, anche in questo caso è stata condotta una lettura delle tavole
faunistiche, raffrontando il SIC allo scenario di riferimento della ZPS.
Emerge come l’indice sintetico di emergenza faunistica presenti valori medi e bassi. Data la ridotta
estensione e considerata la scala d’indagine cui sono svolte le analisi faunistiche, non è possibile
svolgere considerazioni di particolare rilievo sulla configurazione spaziale di questo indice.
Di conseguenza anche l’analisi sulle singole specie è condotta considerando il SIC nel suo complesso.
Emerge come il SIC mostri un’elevata idoneità faunistica per il gallo forcello e per la lepre bianca.
Media è invece la vocazionalità per la pernice bianca, la coturnisce e il camoscio, che tendono a
frequentare il SIC solo in determinate stagioni dell’anno. Assente è invece la vocazionalità per lo
stambecco e per l’aquila reale.
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1.9.3. ELEMENTI DI INTERESSE CONSERVAZIONISTICO
1.9.3.1.
Habitat di interesse comunitario
L’analisi della cartografia degli habitat ha restituito i seguenti risultati in termini di estensione e di
percentuale di copertura rispetto all’intera superficie del SIC
Codice
Habitat
6430
7110
7140
Descrizione
Bordure planiziali, montane e alpine di megaforbie idrofile
Torbiere alte attive
Torbiere di transizione e instabili
Superficie totale habitat (ha)
Superficie totale SIC (ha)
Area (ha)
8,59
4,19
3,91
Percentuale
12,63%
6,16%
5,74%
16,68
68,00
Tabella 1.13: Habitat di interesse comunitario nel SIC delle Torbiere di Val Braone
Le superfici coincidono con quanto riportato nel Formulario di Presentazione, del quale si
confermano anche i giudizi in merito allo stato di conservazione. Per la descrizione dei singoli
habitat si rimanda al capitolo 2 della presente relazione
1.9.3.2.
Specie di interesse comunitario
Il quadro sopra descritto trova conforto anche nel numero di specie segnalato nei Formulari di
Presentazione. Si consideri infatti che il Formulario del SIC riporta ben 52 specie faunistiche sulle
124 presenti nel Formulario della ZPS. Oltre il 40% dell’intera biodiversità faunistica del Parco
Naturale dell’Adamello è presente nel zona della Val Braone, a dispetto della sua scarsa estensione.
1.9.4. CONCLUSIONE
Il Sito presenta caratteri strutturali e funzionali di grande interesse sia per l’area vasta o di ZPS
(ganglio ecologico), sia al suo interno con biotopi di grande valore intrinseco come le torbiere
permanenti.
La gestione sarà finalizzata al mantenimento da una parte dei caratteri strutturali, dall’altra di quelli
intrinseci dei singoli biotopi. Ciò potrà avvenire attraverso una regolazione attenta dell’attività
pascoliva e alpicolturale più in generale. A tale scopo sono state definite apposite Schede di Azione,
alle quali si rimanda.
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2. DESCRIZIONE DI HABITAT E SPECIE E VALUTAZIONE DELLE ESIGENZE ECOLOGICHE
2.1.
PREMESSA
Scopo del presente capitolo è fornire la descrizione degli habitat e delle specie floristiche e
faunistiche di interesse comunitario. Le esigenze ecologiche vengono intese come “tutte le esigenze
dei fattori biotici ed abiotici necessari per garantire lo stato di conservazione soddisfacente dei tipi di
habitat e delle specie, comprese le loro relazioni con l’ambiente (aria, acqua, suolo, vegetazione,
ecc.)”, cosi come riportato nella Guida all’interpretazione dell’art. 6 della Direttiva Habitat.
A livello metodologico si è proceduto in primo luogo alla ricognizione del Formulario di
Presentazione della ZPS, incrociando le informazioni in esso contenute con quanto riportato nei
Formulari dei SIC ricompresi nella ZPS. In tal modo si è potuto determinare un quadro completo ed
esaustivo del patrimonio conservazionistico presente. Questa valutazione incrociata ha permesso di
identificare habitat e specie presenti nei Formulari dei SIC ma non riportati in quello della ZPS. A
titolo cautelativo si è deciso di includere anche questi elementi nella valutazione e si propone
pertanto di aggiornare di conseguenza il Formulario della ZPS.
Anche la descrizione degli habitat e delle specie e la valutazione delle loro esigenze ecologiche è
avvenuta principalmente a partire dall’analisi delle fonti bibliografiche, in ragione dei limiti operativi
già richiamati nell’Introduzione al presente documento. Riferimenti principali in quest’opera sono
stati i documenti redatti da Regione Lombardia, i Piani di Settore del Parco dell’Adamello e altri
Piani di Gestione di Siti Rete Natura 200011. Una particolare attenzione merita il tema della
superficie occupata dagli habitat: per la trattazione di questo punto si rimanda ad un paragrafo
dedicato
A livello sintetico viene proposto un giudizio sullo stato di conservazione dell’habitat o specie in
questione. La creazione e la struttura e di rete Natura 2000 ha, infatti, come scopo principale il
mantenimento o il ripristino di habitat, habitat delle specie e specie in uno stato di conservazione
soddisfacente12.
A livello concettuale, uno stato di conservazione favorevole deve necessariamente tenere conto di
una prospettiva gestionale e va dunque oltre la mera ricognizione della condizione attuale.
Il sistema adottato in questa sede di basa sulle metodologie proposte dalla Commissione Europea e
adottate in Italia in occasione di reportistiche di livello nazionale e anche in singoli Piani di Gestione.
Il meccanismo di valutazione si basa sui Valori Favorevoli di Riferimento (Favourable Reference
Values - FRV), valutati attraverso l’uso di specifiche matrici, in cui lo stato di conservazione di ogni
parametro riportato nella scheda viene valutato selezionando una delle possibili opzioni:
o Stato di Conservazione Favorevole (verde): habitat o specie in grado di prosperare senza
alcun cambiamento della gestione e delle strategie attualmente in atto. FV
11
Per l’elenco completo si rimanda alla Bibliografia
così come recita l’articolo 2, paragrafo 2 della Direttiva Habitat che specifica l’obiettivo delle misure da adottare a norma della Direttiva: Le misure
adottate (…) sono intese ad assicurare il mantenimento o il ripristino, in uno stato di conservazione soddisfacente, degli habitat naturali e delle specie
di fauna e flora selvatiche di interesse comunitario.
12
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o Stato di Conservazione Inadeguato (giallo): habitat o specie che richiedono un cambiamento
delle politiche di gestione, ma non a rischio di estinzione. U1
o Stato di Conservazione Cattivo (rosso): habitat o specie in serio pericolo di estinzione
(almeno a livello locale). U2
o Stato di Conservazione Sconosciuto (nessun colore): habitat o specie per i quali non esistono
informazioni sufficienti per esprimere un giudizio affidabile. XX
Viene inoltre utilizzato un criterio precauzionale: se anche uno solo dei parametri di valutazione è
giudicato cattivo, la valutazione conclusiva risulta cattiva, anche se gli altri parametri sono
favorevoli. Allo stesso modo, una valutazione inadeguata accompagnata da tutti giudizi favorevoli,
rende inadeguata anche la valutazione finale. Un habitat/specie può ritenersi in uno stato di
conservazione favorevole solo se tutti e quattro i parametri sono favorevoli, al limite con uno di essi
sconosciuto.
Infine, ove se ne ravvisi la necessità sulla base delle analisi svolte, viene proposta una modifica ai
parametri di giudizio dello stato di conservazione riportati nel Formulario di Presentazione.
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2.2.
MATRICI DI VALUTAZIONE DELLO STATO DI CONSERVAZIONE
Parametri
Stato di conservazione
Favorevole
(verde)
FV
Non
Inadeguato
('giallo')
U1
favorevole
Non favorevole - cattivo
('rosso')
U2
Sconosciuto
(informazioni insufficienti
per
esprimere
un
giudizio)
XX
Nessuna o insufficienti
informazioni
affidabili
disponibili
Range13
Stabile (perdite bilanciate
da espansioni) o in
aumento
E
non più piccolo del
‘range favorevole di
riferimento’
Qualunque
combinazione
altra
Grande
diminuzione:
equivalente a una perdita
di più dell’1% per anno
all’interno del range nel
periodo specificato dallo
Stato Membro
O
Più del 10% al di sotto del
‘range favorevole di
riferimento’
Area coperta dal tipo di
habitat all’interno del
range
Stabile (perdite bilanciate
da espansioni) o in
aumento
E
non più piccolo ‘dell'area
favorevole di riferimento’
E
senza
significativi
cambiamenti nel pattern
di
distribuzione
all’interno del range (se
esistono dati disponibili)
Qualunque
combinazione
altra
Nessuna o insufficienti
informazioni
affidabili
disponibili
Strutture
e
funzioni
specifiche (incluse le
specie tipiche)
Strutture
e
funzioni
specifiche (incluse le
specie tipiche) in buone
condizioni
e
senza
pressioni
/
deterioramenti signifiativi
Le
prospettive
per
l’habitat nel futuro sono
eccellenti/buoni, senza
impatti significativi da
minacce
attese;
sopravvivenza a lungo
termine assicurata
Tutti e tre ‘verdi’ o tre
‘verdi’
e
uno
‘sconosciuto’
Qualunque
combinazione
altra
Grande
diminuzione:
equivalente a una perdita
di più dell’1% per anno (il
valore indicativo fornito
dallo Stato Membro può
deviare se giustificato)
nel periodo specificato
dallo Stato Membro
O
Con ampie perdite nel
pattern di distribuzione
al’interno del range
O
Più del 10% al di sotto
‘dell’area favorevole di
riferimento’
Più del 25% dell’area è
sfavorevole per quanto
riguarda le sue strutture e
funzioni
specifiche
(incluse le specie tipiche)
Qualunque
combinazione
altra
Le
prospettive
per
l’habitat nel futuro sono
cattive; forte impatto
impatto da minacce
attese; sopravvivenza a
lungo
termine
non
assicurata
Nessuna o insufficienti
informazioni
affidabili
disponibili
Prospettive
future
(riguardanti il range,
l’area coperta e le
strutture
e
funzioni
specifiche
Valutazione globale dello
stato di conservazione
(CS)
Uno o più ‘giallo’ ma
nessun ‘rosso’
Uno o più ‘rosso’
Nessuna o insufficienti
informazioni
affidabili
disponibili
Due o più ‘sconosciuto’
combinati con ‘verde’ o
tutti ‘sconosciuto’
Tabella 2.1: Matrice di Valutazione dello stato di conservazione degli habitat di interesse comunitario
13
I parametri presi in considerazione (range; area occupata; struttura e funzioni specifiche -incluse le specie tipiche-, prospettive future), si basano su
una sintesi del Reporting format per specie e habitat fornito dall Linee guida e sulla base dei Valori favorevoli di riferimento.
Terra Viva studio agroforestale – via del Carmine 2A, 27029 Vigevano (Pv)
114
PIANO DI GESTIONE ZPS IT 2070401 “PARCO NATURALE DELL’ADAMELLO”
PIANO DI GESTIONE SIC IT 2070006 “PASCOLI DI CROCEDOMINI – ALTA VAL CAFFARO”
PIANO DI GESTIONE SIC IT 2070012 “TORBIERE DI VAL BRAONE”
RELAZIONE - REV. 0
Parametri
Stato di conservazione
Favorevole
(verde)
FV
Non
Inadeguato
('giallo')
U1
favorevole
Range14
Stabile (perdite bilanciate
da espansioni) o in
aumento
E
non più piccolo del ‘range
favorevole di riferimento’
Qualunque
combinazione
altra
Popolazione
Popolazione(i) dell’area n
inferiore(i) al ‘valore di
popolazione
di
riferimento favorevole’
E
con
riproduzione,
mortalità, struttura di età
non
devianti
dalla
normalità (se esistono
dati disponibili)
Qualunque
combinazione
altra
Habitat per le specie
L’area di habitat è
sufficientemente vasta (e
stabile o in aumento)
E
La qualità dell’abitat è
adatta
per
una
sopravvivenza a lungo
termine delle specie
Qualunque
combinazione
altra
Prospettive
future
(riguardanti popolazioni,
range e disponibilità di
habitat)
Le pressioni principali e le
minacce
non
sono
significative; le specie
potranno
sopravvivere
nel lungo periodo
Qualunque
combinazione
altra
Non favorevole - cattivo
('rosso')
U2
Grande
diminuzione:
equivalente a una perdita
di più dell’1% per anno
all’interno del range nel
periodo specificato dallo
Stato Membro
O
Più del 10% al di sotto del
‘range favorevole di
riferimento
Grande
diminuzione:
equivalente a una perdita
di più dell’1% per anno (il
valore indicativo fornito
dallo Stato Membro può
deviare se giustificato)
nel periodo specificato
dallo Stato Membro
E
Al di sotto del ‘valore di
popolazione
di
riferimento favorevole’
O
più del 25% al di sotto del
‘valore di popolazione di
riferimento favorevole’
O
con
riproduzione,
mortalità, struttura di età
fortemente devianti dalla
normalità (se esistono
dati disponibili)
L’area di habitat è
chiaramente
non
sufficientemente vasta da
assicurare
la
sopravvivenza a lungo
termine delle specie
O
la qualità dell’habitat è
cattiva, chiaramente non
permettendo
la
sopravvivenza a lungo
termine delle specie
Forte influenza delle
pressioni principali e delle
minacce sulle specie;
previsioni per il futuro
molto
negative;
sopravvivenza a lungo
termine a rischio
Sconosciuto
(informazioni insufficienti
per
esprimere
un
giudizio)
XX
Nessuna o insufficienti
informazioni
affidabili
disponibili
Nessuna o insufficienti
informazioni
affidabili
disponibili
Nessuna o insufficienti
informazioni
affidabili
disponibili
Nessuna o insufficienti
informazioni
affidabili
disponibili
14
I parametri presi in considerazione (range; popolazione, habitat per le specie-, prospettive future), si basano su una sintesi del Reporting format per
specie e habitat fornito dalle Linee guida e sulla base dei Valori favorevoli di riferimento.
Terra Viva studio agroforestale – via del Carmine 2A, 27029 Vigevano (Pv)
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PIANO DI GESTIONE ZPS IT 2070401 “PARCO NATURALE DELL’ADAMELLO”
PIANO DI GESTIONE SIC IT 2070006 “PASCOLI DI CROCEDOMINI – ALTA VAL CAFFARO”
PIANO DI GESTIONE SIC IT 2070012 “TORBIERE DI VAL BRAONE”
RELAZIONE - REV. 0
Parametri
Stato di conservazione
Valutazione globale dello
stato di conservazione
(CS)
Favorevole
(verde)
FV
Non
Inadeguato
('giallo')
U1
favorevole
Tutti e tre ‘verdi’ o tre
‘verdi’
e
uno
‘sconosciuto’
Uno o più ‘giallo’ ma
nessun ‘rosso’
Non favorevole - cattivo
('rosso')
U2
Uno o più ‘rosso’
Sconosciuto
(informazioni insufficienti
per
esprimere
un
giudizio)
XX
Due o più ‘sconosciuto’
combinati con ‘verde’ o
tutti ‘sconosciuto’
Tabella 2.2: Matrice di Valutazione dello stato di conservazione delle specie di interesse comunitario
2.3.
DESCRIZIONE E VALUTAZIONE DELLE ESIGENZE ECOLOGICHE DEGLI HABITAT DI INTERESSE COMUNITARIO
2.3.1. IDENTIFICAZIONE E DELIMITAZIONE DEGLI HABITAT DI INTERESSE COMUNITARIO
Questa fase di lavoro è stata condotta a partire dagli shapefile realizzati dall’Ente Gestore e che
sono relativi alla porzione di ZPS coincidente con gli 11 SIC e da quanto riportato nel Formulario di
Presentazione della ZPS e in quelli relativi a tutti i SIC interessati. La verifica incrociata ha fatto
emergere alcune incongruenze:
· Il formulario della ZPS del Parco Naturale Adamello, al punto 3 relativo alle informazioni
ecologiche e ai tipi di habitat presenti all’interno della zona di protezione, restituisce valori
di copertura di superficie, riferita ad ogni singolo habitat non coerenti con quanto
rappresentato dal sistema cartografico Regionale.
· Gli habitat censiti all’interno della ZPS IT2070401 da Rete Natura 2000 occupano una
superficie assoluta di 8.683 ha, ovvero circa il 39% della superficie totale della ZPS, che si
attesta a circa 21.722 ha. Di contro il formulario indica che gli habitat coprono il 100% della
ZPS. Appare evidente come questo dato non sia corrispondente alla realtà. Si propone quindi
di aggiornare il Formulario sulla base dei dati cartografici regionali, corretti secondo quanto
riportato al punto precedente.
Al fine di aggiornare la cartografia degli habitat di interesse comunitario, mediante rilievi diretti in
campo e fotointerpretazione, è stata costruita una specifica azione di Piano.
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PIANO DI GESTIONE ZPS IT 2070401 “PARCO NATURALE DELL’ADAMELLO”
PIANO DI GESTIONE SIC IT 2070006 “PASCOLI DI CROCEDOMINI – ALTA VAL CAFFARO”
PIANO DI GESTIONE SIC IT 2070012 “TORBIERE DI VAL BRAONE”
RELAZIONE - REV. 0
2.3.2. HABITAT 3220 “FIUMI ALPINI CON VEGETAZIONE RIPARIA ERBACEA“
L’habitat è insediato sui greti attivi dei corsi d’acqua degli orizzonti alpino, montano e collinare in
cui il ripetersi ciclico degli eventi di sedimentazione ed erosione innesca i processi di colonizzazione
vegetale (di cui questo habitat è espressione) bloccandone però anche l’ulteriore evoluzione.
La vegetazione erbacea appare dominata da specie perenni con copertura discontinua e fisionomia
caratterizzata da zolle vegetate o nuclei di vegetazione separati da tratti di substrato nudo.
Le specie si distribuiscono in zolle discontinue per il carattere pioniero della vegetazione e perché in
questi greti, costituiti in prevalenza da clasti grossolani, esse tendono sfruttare le tasche di
sedimento fine e umido comprese tra essi. La presenza di arbusti risulta sempre molto ridotta e
limitata ad individui allo stato giovanile. Le specie vegetali caratteristiche Epilobium fleischeri,
Rumex scutatus, Schrophularia canina, Linaria alpina, Tussilago farfara, Salix eleagnos (juv.),
Myricaria germanica (juv.).
Si tratta di un habitat pioniero con le tipiche caratteristiche della vegetazione di prima
colonizzazione.
Il forte dinamismo morfogenetico fluviale cui è sottoposto ne blocca l’evoluzione verso le comunità
legnose riparie, ma contemporaneamente crea nuove superfici su cui questo tipo di habitat si può
dinamicamente rinnovare. Il mutevole gioco delle correnti può infatti far sì che in tempi brevi ampi
tratti di tale vegetazione vengano abbandonati dall’influsso fluviale più intenso lasciando quindi
spazio alla costituzione di fitocenosi ripariali arbustive dominate da Salix eleagnos, Myricaria
germanica o Salix purpurea.
Trattandosi di comunità erbacee perenni, stabilizzate dal condizionamento operato dal corso
d’acqua, è necessario garantire la permanenza del regime idrologico e dell’azione morfogenetica
dello stesso, alla quali è legata l’esistenza delle estensioni di greto attivo in fregio all’alveo.
È quindi fondamentale evitare le operazioni di rimodellamento dell’alveo che producono la
canalizzazione del corso d’acqua e la sua riduzione alla sola superficie bagnata tra arginature
elevate e molto acclivi. Con le limitazioni già accennate, localizzate azioni di asporto dei sedimenti
dell’alveo al fine di garantire condizioni di sicurezza idraulica possono comunque avvenire vista la
forte capacità pioniera della vegetazione considerata.
È innegabile la constatazione che le opere di captazione delle acque, stabilizzando e restringendo il
letto fluviale, rappresentino un importante fattore di minaccia per l’habitat.
Nella ZPS dell’Adamello è segnalato, oltre che nel Formulario della ZPS, anche in altri due siti Rete
Natura 2000 sugli undici presenti.
Terra Viva studio agroforestale – via del Carmine 2A, 27029 Vigevano (Pv)
117
PIANO DI GESTIONE ZPS IT 2070401 “PARCO NATURALE DELL’ADAMELLO”
PIANO DI GESTIONE SIC IT 2070006 “PASCOLI DI CROCEDOMINI – ALTA VAL CAFFARO”
PIANO DI GESTIONE SIC IT 2070012 “TORBIERE DI VAL BRAONE”
RELAZIONE - REV. 0
Si riportano i dati desunti dal Formulario della ZPS e il raffronto tra le superfici del Formulario e
quelle della cartografia regionale.
Codice
3220
%
coperta
0,2
Superficie
(ha)
43.4
Dati del Formulario di Presentazione
Sup.
Grado
Rappresentatività
relativa
conservazione
C
C
B
Valutazione
globale
B
Dati cartografici regionali
%
Superficie (ha)
coperta
15.08
0.07
Sulla base di quanto sopra si propone di modificare il Formulario di presentazione con i seguenti
dati
Codice
3220
Superficie
coperta (ha)
15.08
Rappresentatività
Sup. relativa
Grado conservazione
Valutazione globale
C
C
B
B
Stato di conservazione
Non favorevole
Inadeguato
('giallo')
U1
Terra Viva studio agroforestale – via del Carmine 2A, 27029 Vigevano (Pv)
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PIANO DI GESTIONE ZPS IT 2070401 “PARCO NATURALE DELL’ADAMELLO”
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RELAZIONE - REV. 0
2.3.3. HABITAT 4060 “LANDE ALPINE BOREALI”
Formazioni di arbusti bassi, nani o prostrati delle fasce alpina, subalpina e montana dei rilievi
montuosi eurasiatici, dominate in particolare da ericacee e/o ginepro nano. In Italia è presente sulle
Alpi e sull’Appennino. Si sviluppa normalmente nella fascia altitudinale compresa fra il limite della
foresta e le praterie primarie d’altitudine ma, in situazioni particolari, si riscontra anche a quote più
basse. È riscontrabile su substrati sia acidi che calcarei, anche in stazioni di ricolonizzazione di
pascoli abbandonati.
Questo habitat, sulle Alpi, è certamente tra i più diffusi e ben rappresentati poiché include sia i
rodoro-vaccinieti acidofili (Rhododendron ferrugineum, Vaccinium sp.) che i rodoreti basifili
(Rhododendron hirsutum, Rhodothamnus chamaecistus), i tappeti di azalea nana (Loiseleuria
procumbens), le formazioni a ginepro nano (Juniperus communis subsp. alpina), quelle a ginestra
stellata (Genista radiata), ad uva ursina (Arctostaphylos uva-ursi) dei crinali ventosi e, infine, quelle
a camedrio alpino (Dryas octopetala), qualora non ricondotte all’habitat 6170 “Formazioni erbose
calcicole alpine e subalpine”).
Scendendo lungo l’Appennino molte di queste comunità (es. rodoreti e vaccinieti) scompaiono e
nella porzione più meridionale è possibile rilevare soprattutto i ginepreti a Juniperus communis
subsp. alpina e a Juniperus hemisphaerica, che vengono inclusi in questo habitat.
Le numerose cenosi che confluiscono in questo tipo svolgono un ruolo essenziale sia per l'impronta
che conferiscono al paesaggio vegetale, sia per il ruolo di protezione dei suoli e dei versanti.
Molte delle formazioni indicate rappresentano l’espressione climacica della fascia subalpina
superiore e, pertanto, in assenza di perturbazioni, sono destinate a non subire modificazioni. In
alcuni casi sono formazioni pioniere favorite dalla persistenza di fattori limitanti (crinali ventosi,
versanti ripidi, innevamento prolungato, acidità del suolo, aridità, ecc.). Si tratta di un habitat che è
stato fortemente contratto per favorire il pascolo, originando praterie che, se abbandonate,
vengono ricolonizzate spontaneamente, seppure con velocità variabile.
In termini sindinamici: al di sopra del limite del bosco, l’evoluzione di queste formazioni è molto
limitata, salvo la colonizzazione in ambiente alpino di alberi sparsi, mentre per alcune, più tipiche
della fascia montana, potrebbe manifestarsi in tempi più o meno lunghi una evoluzione verso le
formazioni forestali, essenzialmente di conifere sulle Alpi e di faggio sull’Appennino.
La gran parte delle specie erbacee presenti in queste comunità sono caratteristiche delle praterie
circostanti, a dimostrazione di un collegamento dinamico. Ma l’intervallo di tempo necessario per il
recupero delle praterie di sostituzione, una volta abbandonate dal pascolo, soprattutto quelle dei
vaccinieti, è probabilmente piuttosto lungo in quanto le graminacee che dominano queste
associazioni prative, fortemente competitive e dotate di robusti apparati radicali, rendono difficile
l’insediamento delle comunità legnose.
A seconda dell’aspetto considerato e delle particolari condizioni stazionali, possono formarsi
complessi mosaici o contatti (seriali o catenali) con praterie (curvuleti, firmeti, festuceti, elineti,
seslerieti, nardeti, brachipodieti, brometi), saliceti nani delle vallette nivali, rupi casmofitiche,
formazioni glareicole, mughete, alneti di ontano verde, pinete di pino nero, pinete di pino silvestre,
lariceti, cembreti, abetine, peccete, faggete e perfino con gli ostrieti del Cytisantho-Ostryetum. In
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119
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PIANO DI GESTIONE SIC IT 2070012 “TORBIERE DI VAL BRAONE”
RELAZIONE - REV. 0
particolare le formazioni a Genista radiata dei versanti meridionali dell'arco alpino, in espansione a
seguito dell'abbandono dei prati e dei pascoli, sono a contatto sia con formazioni di sesleriobrometo (6210 e 6170), che con le mughete basifile (4070). Molte di queste comunità sono riferibili
ad habitat di interesse comunitario.
Tutte le comunità indicate hanno grande efficacia nella protezione del suolo quindi non si devono
eseguire movimenti di terra o produrre discontinuità della copertura vegetale. Dove questi fatti
sono avvenuti per cause naturali (piccole frane o smottamenti) affidare il ripristino alla
ricolonizzazione spontanea della vegetazione anche se costituita da stadi con struttura e
composizione floristica diversi dalla landa. Per ripristini posteriori a interventi antropici (per es. tagli
di sentieri) fare precedere una sistemazione del substrato in modo da favorire il drenaggio ed
evitare il ruscellamento in superficie.
In sintesi non si riscontrano minacce grazie alla stabilità di tali formazioni, spesso climatogene, e alla
difficile accessibilità degli ambienti da queste occupati. Gran parte degli habitat legati ai prati e ai
prati pascolo, essendo tipi di vegetazione secondaria mantenuta dallo sfalcio o dal pascolo,
evolvono naturalmente verso forme di vegetazione arbustive più mature, pertanto se non sono
gestiti attivamente sono a rischio di forte riduzione. Tale fenomeno rappresenta una minaccia
anche per alcune specie ornitiche legate agli ambienti aperti.
Nella ZPS dell’Adamello è segnalato, oltre che nel Formulario della ZPS, anche in altri sette siti Rete
Natura 2000 sugli undici presenti. Si riportano i dati desunti dal Formulario della ZPS e il raffronto
tra le superfici del Formulario e quelle della cartografia regionale.
Codice
4060
%
coperta
10
Superficie
(ha)
2172.2
Dati del Formulario di Presentazione
Sup.
Grado
Rappresentatività
relativa
conservazione
B
C
B
Valutazione
globale
B
Dati cartografici regionali
%
Superficie (ha)
coperta
1215.31
5.59
Sulla base di quanto sopra si propone di modificare il Formulario di presentazione con i seguenti
dati
Codice
4060
Superficie
coperta (ha)
1215.32
Rappresentatività
Sup. relativa
Grado conservazione
Valutazione globale
B
C
B
B
Stato di conservazione
Favorevole
(verde)
FV
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120
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RELAZIONE - REV. 0
2.3.4. HABITAT 4070* - BOSCAGLIE DI PINUS MUGO E RHODODENDRON HIRSUTUM
Habitat caratteristico del piano subalpino e alpino su substrato carbonatico, contraddistinto dalla
dominanza di Pinus mugo in associazione con Rhododendron sp.; vi sono ampie digitazioni nel piano
montano qualora l’erosione ne faciliti la discesa. La specie arborea dominante è Pinus mugo, il cui
portamento prostrato dà origine a formazioni monoplane, intricate, con sottobosco ridotto. Solo
ove si interrompe la copertura del mugo riescono a inserirsi specie arbustive ed erbacee
prevalentemente calcifile; manca uno strato arboreo vero e proprio. Il pino mugo costituisce
boscaglie alte 2-3 m, fittamente intrecciate, la cui copertura è prossima al 100%. Il sottobosco,
costituito prevalentemente da arbusti nani di Ericaceae e da sporadiche specie erbacee, raggiunge i
20-40 cm di altezza e coperture piuttosto basse (20-40%) inversamente proporzionali al grado di
copertura delle chiome del mugo.
Gli stadi che precedono il Rhododendro hirsuti-Pinetum mugo sono costituiti da comunità erbacee
ascrivibili al Petasitetum paradoxi, al Caricetum firmae ed al Seslerio-Caricetum sempervirentis, il
cui incremento di copertura al suolo e la progressione dinamica verso la mugheta sono in diretta
relazione con la diminuzione degli apporti gravitativi di pietrame dai versanti. Nel complesso le
mughete sono generalmente caratterizzate da uno scarso dinamismo interno che riguarda più lo
strato erbaceo che quello alto arbustivo. A quote inferiori e in avvallamenti può essere invaso da
gruppi sporadici di larice. Le mughete rivestono un ruolo primario nella protezione dei suoli poco
evoluti, nonché un interessante significato naturalistico per la biodiversità relativamente elevata e
per la presenza di orchidacee nella composizione floristica.
Nel complesso le mughete sono generalmente caratterizzate da uno scarso dinamismo interno, che
riguarda lo strato erbaceo più che quello arbustivo. Aumentando l’humus in superficie, è infatti
favorito l’ingresso di specie erbacee acidofile. Le stazioni più termofile, soprattutto quelle di bassa
quota, sono mantenute da consistenti apporti di ghiaie e sabbie, nonché favorite dal dilavamento,
altrimenti la dinamica successionale condurrebbe, in tempi relativamente brevi, verso stadi arborei
legati alla vegetazione zonale.
Si consiglia di lasciare che tali comunità si evolvano naturalmente, visto che, in passato, tentativi di
accelerare il processo evolutivo con l’introduzione del larice e degli abeti rosso e bianco sono
ovunque falliti (Hoffman, 1986 in Del Favero, 2002). Si devono, quindi, evitare interventi che ne
riducano la continuità o la superficie delle sue tessere nei mosaici di intercalazione con i litosuoli
ancora scoperti. L’interferenza antropica su questo habitat è pressoché nulla, tranne nei casi in cui
la copertura forestale sia stata rimossa per la formazione di pascoli per il bestiame bovino. In questi
casi, all’abbandono della pratica selvicolturale si assiste ad un lento e spontaneo ripristino della
mugheta attraverso la progressiva introduzione delle specie caratteristiche.
Per danni provocati da eventi naturali, quali smottamenti e piccole frane, si possono tentare
interventi di stabilizzazione del suolo (graticciati) specialmente nei tratti di versante molto acclivi. Il
ripristino delle parti danneggiate consiste nel favorire i processi dinamici naturali estesi anche agli
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121
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RELAZIONE - REV. 0
stadi iniziali. Per ripristini posteriori a interventi antropici (per es. tagli di sentieri) ridurre la
pendenza con pietre in modo da favorire l’accumulo di materiale organico e la ricostituzione del
suolo umico ed eventualmente mettere a dimora semenzali di Pino mugo ottenuti da semi raccolti
nella stessa stazione o nella stessa zona.
In sintesi non si riscontrano minacce grazie alla stabilità di tali formazioni, spesso climatogene, e alla
difficile accessibilità degli ambienti da queste occupati. Gran parte degli habitat legati ai prati e ai
prati pascolo, essendo tipi di vegetazione secondaria mantenuta dallo sfalcio o dal pascolo,
evolvono naturalmente verso forme di vegetazione arbustive più mature, pertanto se non sono
gestiti attivamente sono a rischio di forte riduzione. Tale fenomeno rappresenta una minaccia
anche per alcune specie ornitiche legate agli ambienti aperti .
Nella ZPS dell’Adamello è segnalato, oltre che nel Formulario della ZPS, anche in altri quattro siti
Rete Natura 2000 sugli undici presenti. Si riportano i dati desunti dal Formulario della ZPS e il
raffronto tra le superfici del Formulario e quelle della cartografia regionale.
Codice
4070
%
coperta
1
Superficie
(ha)
217.22
Dati del Formulario di Presentazione
Sup.
Grado
Rappresentatività
relativa
conservazione
B
C
A
Valutazione
globale
A
Dati cartografici regionali
%
Superficie (ha)
coperta
167.55
0.77
Sulla base di quanto sopra si propone di modificare il Formulario di presentazione con i seguenti
dati
Codice
4070
Superficie (ha)
167.55
Rappresentatività
B
Sup. relativa
C
Grado conservazione
A
Valutazione globale
A
Stato di conservazione
Favorevole
(verde)
FV
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RELAZIONE - REV. 0
2.3.5. HABITAT 4080 - BOSCAGLIE SUBARTICHE DI SALIX SPP.
Comunità subalpine dominate da Salix spp. con struttura arbustiva da 0,3 a 1,5 m di altezza, con
discontinuità occupate da piante erbacee cespitose o scapose di taglia modesta sui depositi
alluvionali dei torrenti, elevata sui suoli più ricchi.
Formazioni arbustive che occupano versanti freschi, lungamente innevati, spesso al margine dei
torrenti e dei ruscelli, essendo la disponibilità idrica un fattore determinante per il loro sviluppo. Ne
esistono di diversi tipi, sia di substrati silicei che carbonatici, presenti da 1.400-1.600, fino, nelle
stazioni più favorevoli, a quote prossime ai 2.400–2.500 metri. Frequenti nelle valli continentali nei
piani subalpino ed alpino, sono, in genere, legati a situazioni primitive, diffuse lungo torrenti e
ruscelli, alla base di conoidi o su depositi morenici, ma anche su suoli più evoluti.
La fascia altitudinale in cui si formano queste boscaglie è relativamente ampia. Gli ambienti
prevalenti sono i depositi morenici o torrentizi dove si insediano gli epilobieti (Epilobietum fleischeri,
Epilobio-Scrophularietum caninae) cui seguono stadi di boscaglie di salici spesso contenute tra stadi
iniziali e stadi maturi dall’azione delle acque. Dove i saliceti sono meno disturbati si possono notare
evoluzioni verso l’Alnetum viridis o per il ristagno delle acque anche a contatto con vegetazione
palustre (Scheuchzerio-Caricetea fuscae). Cambiamenti in senso mesico sono indicati dalla
penetrazione di specie arbustive come Rhododendron ferrugineum.
Cenosi pioniere, subigrofile, generalmente stabili, ma con il progredire dell’evoluzione del suolo i
salici subiscono la concorrenza di specie più esigenti come Rhododendron ferrugineum. In altri casi
tendono verso gli alneti ad Alnus viridis.
Possono formare mosaici con epilobieti ad Epilobietum fleischeri, vegetazione palustre dei
Scheuchzerio-Caricetea fuscae (7230 “Torbiere basse alcaline”), torbiere, sorgenti, megaforbieti
(habitat 6430 “Bordure planiziali, montane e alpine di megaforbie idrofile”), praterie subalpine
(6170 “Formazioni erbose calcicole alpine e subalpine”), brughiere ad ericacee, rodoreti,
rododendro-vaccinieti e arbusteti a ginepro nano (4060 “Lande alpine e boreali”), arbusteti mesofili
a Sambucus racemosa e a Rubus idaeus, mughete (4070 * “Boscaglie di Pinus mugo e Rhododendron
hirsutum (Mugo-Rhododendretum hirsuti), alneti ad ontano verde, boschi di faggio e/o abete
bianco, larici-cembreti (9420 “Foreste alpine di Larix decidua e/o Pinus cembra”), mughete, rupi e
ghiaioni (8120 “Ghiaioni calcarei e scistocalcarei montani e alpini (Thlaspietea rotundifolii)”).
Le boscaglie di Salici devono essere lasciate alla libera evoluzione nell’ambito della vegetazione
forestale. Le fluttuazioni dinamiche portano di frequente regressioni della struttura e della
composizione floristica, ma si tratta di eventi del tutto naturali. Si devono invece evitare interventi
modificatori delle strutture con azioni distruttive del substrato o mediante deviazioni dei corsi
d’acqua in assenza di attente valutazioni della frequenza di queste fitocenosi nella zona.
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RELAZIONE - REV. 0
Nella ZPS dell’Adamello è segnalato, oltre che nel Formulario della ZPS, solamente per il SIC Val
Rabbia – Val Gallinera. Si riportano i dati desunti dal Formulario della ZPS e il raffronto tra le
superfici del Formulario e quelle della cartografia regionale.
Codice
4080
%
coperta
1.2
Superficie
(ha)
260.66
Dati del Formulario di Presentazione
Sup.
Grado
Rappresentatività
relativa
conservazione
B
C
B
Valutazione
globale
B
Dati cartografici regionali
%
Superficie (ha)
coperta
21.35
0.1
Sulla base di quanto sopra si propone di modificare il Formulario di presentazione con i seguenti
dati
Codice
4080
Superficie (ha)
21.35
Rappresentatività
B
Sup. relativa
C
Grado conservazione
B
Valutazione globale
B
Stato di conservazione
Favorevole
(verde)
FV
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RELAZIONE - REV. 0
2.3.6. HABITAT 6150 - FORMAZIONI ERBOSE BOREO-ALPINE SILICEE
L’habitat 6150 si presenta come l’insieme delle praterie acidofile, talvolta discontinue, di quota
elevata e/o di stazioni a prolungato innevamento, sviluppate su suoli derivanti da substrati silicatici
o decalcificati. Esse comprendono curvuleti, festuceti, alcuni tipi di nardeti ipsofili e vallette nivali
del Salicion herbaceae.
Le praterie primarie localizzate ad alta quota, sopra il limite del bosco, sono da considerarsi
climatogene. Per effetto della morfologia dei versanti, si osservano spesso contatti con le comunità
dei detriti di falda (8110 “Ghiaioni silicei dei piani montano fino a nivale - Androsacetalia alpinae e
Galeopsietalia ladani-”). In realtà, gli effetti del pascolo, sia tradizionale bovino ed ovicaprino, sia di
quello di ungulati selvatici, o la presenza di cospicue popolazioni di marmotte, determinano
variazioni della componente floristica originaria favorendo lo sviluppo di entità gravitanti in Poion
alpinae. Il mosaico più diffuso e la situazione largamente prevalente su ampi tratti del paesaggio
alpino di alta quota è quello del contatto seriale tra comunità erbacee e arbustive dell'habitat 4060
“Lande alpine e boreali”, osservabile su estese superfici. Più raramente si verifica l'invasione da
parte di saliceti, in versanti freschi o con apporti alluvionali, riferibili all'habitat 4080 “Boscaglie
subartiche di Salix spp.”. In entrambi i casi il processo dinamico è determinato sia dalla progressiva
riduzione del carico pascolante sia da cambiamenti climatici in atto. In particolare Rhododendretum
ferruginei (tipo centrale), Vaccinio e/o Cetrario-Loiseleurietum (nel curvuleto) e Junipero-rodoreti o
Junipero-Arctostaphyletum sui versanti acclivi e soleggiati di Festucetalia spadiceae. Per effetto dei
pregressi usi del suolo, inoltre, in tratti con vegetazione più pingue e impluvi percorsi da slavine,
aspetti di prateria magra acidofila (soprattutto Agrostion schraderianae), per effetto
dell’abbandono del pascolo, possono essere colonizzati da Alnus viridis, e spesso anticipati da
comunità di contatto (riferibili a 6430 “Bordure planiziali, montane e alpine di megaforbie idrofile”)
di Peucedanetum ostruthii o altre associazioni di Adenostylion.
Poiché queste praterie oggi riconducibili a 6150 sono localizzate anche nella fascia degli arbusteti
nani e talvolta al limite superiore del bosco, è evidente che in assenza di pascolamento (falciature
regolari a queste quote rappresentano un’eccezione quasi assoluta nell’arco alpino), l’evoluzione
verso arbusteti (4060 “Lande alpine e boreali”) è relativamente rapida.
Nel formulario della ZPS l’habitat 6150 è segnalato, ed è presente in 8 SIC sugli 11 presenti e si
estende in maniera quasi omogenea su tutto il territorio di protezione speciale. Tale informazione,
desunta dalle schede descrittive dei SIC, sono coerenti con le informazioni derivate dalla cartografia
tematica di Regione Lombardia e riferita agli habitat censiti da Rete Natura 2000.
A livello di gestione dell’habitat, si prevede di escludere ogni forma di intervento modificatore, fatto
salvo gli interventi per migliorare la viabilità di pascolo.
I possibili eventi microfranosi devono essere lasciati alla ricostituzione spontanea, previo
monitoraggio del reale progresso del ripristino della prateria. In casi di smottamenti di suolo di
rilevante consistenza fissare il substrato con graticciati, eseguire trapianti di piccole zolle erbose
prelevate localmente in stazioni pianeggianti e con le cautele dovute.
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Le minacce nel sito sono riconducibili sostanzialmente a fattori naturali localizzati come i fenomeni
erosivi o a larga scala come i possibili lenti mutamenti climatici. Le attività di pascolo, assenti o
esercitate in maniera localizzata e discontinua, non rappresentano una minaccia.
Si riportano i dati desunti dal Formulario della ZPS e il raffronto tra le superfici del Formulario e
quelle della cartografia regionale.
Dati del Formulario di Presentazione
Codice
6150
%
coperta
2
Superficie
(ha)
434,44
Rappresentatività
Sup. relativa
A
C
Grado
conservazione
A
Valutazione
globale
A
Dati cartografici regionali
%
Superficie (ha)
coperta
1.668,26
7,68
Sulla base di quanto sopra si propone di modificare il Formulario di presentazione con i seguenti
dati
Codice
8110
Superficie (ha)
1.668,26
Rappresentatività
A
Sup. relativa
C
Grado conservazione
A
Valutazione globale
A
Stato di conservazione
Favorevole
(verde)
FV
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RELAZIONE - REV. 0
2.3.7. HABITAT 6170 - FORMAZIONI ERBOSE CALCICOLE ALPINE E SUBALPINE
L’habitat si caratterizza come praterie alpine e subalpine, continue sulle pendenze deboli, ma
assumono forme discontinue con l’aumento dell’acclività, specialmente in altitudine dove formano
zolle aperte, ghirlande o gradinature erbose. Talvolta si presentano anche discontinue, comprese le
stazioni a prolungato innevamento, (vallette nivali, dell'Arabidion caeruleae) sviluppate, di norma,
sopra il limite del bosco, su suoli derivanti da matrice carbonatica (o non povera di basi).
Si tratta di un habitat assai articolato che include numerose comunità, a contatto sia di tipo seriale
che catenale. Da situazioni assai primitive (mosaici con 8120 “Ghiaioni calcarei e scisto-calcarei
montani e alpini (Thlaspietea rotundifolii)” e 8210 “Pareti rocciose calcaree con vegetazione
casmofitica”) si passa progressivamente verso cenosi più acidificate, al punto che nel sottotipo del
Caricion ferrugineae, in alcuni casi, il limite con 6150 “Formazioni erbose boreo-alpine silicicole “
non è sempre ben definibile. Le diverse comunità afferenti a questo tipo di habitat sono spesso in
contatto topografico con mughete (4070 "Boscaglie di Pinus mugo e Rhododendron hirsutum Mugo-Rhododendretum hirsuti-") e detriti di falda (appunto, 8120). Sotto il limite potenziale della
foresta, l’evoluzione post abbandono determina la scomparsa delle comunità del 6170 “Formazioni
erbose calcicole alpine e subalpine” (seslerieti e firmeti) a favore di consorzi arbustivi ad ericacee
(da ricondurre all’habitat 4060 “Lande alpine e boreali” sia per aspetti basifili che per brughiere
acidofile).
Ovunque, sotto il limite della vegetazione arbustiva, la presenza di pino mugo, rododendri, ontano
verde, altri arbusti, oltre a plantule di Larix, Picea e Pinus cembra, testimonia una dinamica
evolutiva facilmente interpretabile e condizionata sia dai fattori morfologici che dai livelli di
utilizzazione. Le situazioni più complesse sono, peraltro, non quelle primitive, ma quelle più evolute
in cui, per motivi di substrato, o di suoli più profondi, l’acidificazione superficiale è avanzata. In
assenza di fattori limitanti lo sviluppo, gli arbusti e le altre specie legnose colonizzano i siti
originando, nella situazione attuale, appunto, mosaici intricati. Nelle stazioni fresche, a lungo
innevamento, o con apporto naturale di sostanze organiche, i passaggi e le compenetrazioni con
comunità di Adenostylion (es. Peucedanetum ostruthii), codice 6430 “Bordure planiziali, montane e
alpine di megaforbie idrofile”, sono relativamente diffuse.
La presenza dell’habitat nella ZPS è consolidata e, a livello di singoli SIC, nei formulari tale situazione
viene presentata in 5 SIC. Il dato è coerente con quanto riportato dalla cartografia tematica di
Regione Lombardia.
Le minacce rilevate all’interno dell’habitat sono riconducibili sostanzialmente a fattori naturali come
i fenomeni erosivi che, in ragione della geomorfologia delle stazioni di presenza, possono essere più
frequenti che per altri tipi di praterie.
Nella gestione di tali ambienti è importante il rispetto sia delle comunità stabili, continue o
discontinue, sia degli episodi naturali regressivi o in corso di ripristino in quanto fanno parte della
dinamica propria di questa vegetazione. Conviene invece intervenire per controllare erosioni in atto
di portata maggiore, specialmente se innescati da interventi antropici pregressi. L’habitat ha una
funzione importante nella conservazione della flora basifila di altitudine e del suolo. Non deve
essere sottoposto a usi che riducono ulteriormente l’efficacia per queste funzioni. A contatto con le
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formazioni legnose (arbusteti e boschi alti) si possono incontrare praterie basifile sottoposte a
riforestazione spontanea. Il processo deve essere rispettato in quanto si tratta di antichi
dissodamenti per scopi pastorali.
Si riportano i dati desunti dal Formulario della ZPS e il raffronto tra le superfici del Formulario e
quelle della cartografia regionale.
Dati del Formulario di Presentazione
Codice
6170
%
coperta
1
Superficie
(ha)
217,22
Rappresentatività
Sup. relativa
B
C
Grado
conservazione
A
Valutazione
globale
B
Dati cartografici regionali
%
Superficie (ha)
coperta
608,94
2,80
Sulla base di quanto sopra si propone di modificare il Formulario di presentazione con i seguenti
dati
Codice
6170
Superficie (ha)
608,94
Rappresentatività
B
Sup. relativa
C
Grado conservazione
A
Valutazione globale
B
Stato di conservazione
Favorevole
(verde)
FV
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2.3.8. HABITAT 6230* - FORMAZIONI
ERBOSE DA NARDUS, RICCHE DI SPECIE, SU SUBSTRATO
SILICEO DELLE ZONE MONTANE
Praterie chiuse mesofile, perenni, a prevalenza o a significativa partecipazione di Nardus stricta,
localizzate in aree pianeggianti o poco acclivi, da collinari ad altimontano-subalpine, delle Alpi e
degli Appennini, sviluppate su suoli acidi, derivanti da substrati a matrice silicatica, o anche
carbonatica, ma in tal caso soggetti a lisciviazione.
I nardeti sono praterie di sostituzione dominate da Nardus stricta, una graminacea con forte
capacità di accestimento, resistente al calpestamento, favorita nella concorrenza con le altre specie
su suoli poveri in nutrienti, compatti e regolarmente pascolati. La secondarietà dei nardeti è causata
dalle azioni di dissodamento della vegetazione naturale e dalla conduzione del pascolo, interventi
antropici di origine ultramillenaria o secolare che producono cambiamenti nella composizione
floristica delle fitocenosi originarie nei limiti della flora spontanea locale.
I Nardeti sono di origine secondaria, ottenuti da tempi non determinabili dissodamento dei boschi
montani, ma anche subalpini. Questa origine è dimostrata dalla presenza di ericacee (Vaccinium
spp., Calluna vulgaris) e ginepri nelle stazioni in cui il pascolo non è condotto in modo omogeneo o
sospeso. La stabilità dei nardeti è elevata se pascolati regolarmente e in modo non estensivo,
condizioni che assicurano anche la maggiore biodiversità floristica: sfruttamenti intensi provocano,
infatti, la banalizzazione del pascolo, con riduzione della diversità floristica e coperture sempre
maggiori del nardo, fino alla formazione di una copertura erbacea fitta e compatta, che inibisce lo
sviluppo di altre specie erbacee.
All’interno del Formulario della ZPS, tale habitat non appare, al contrario si presenta nelle schede
descrittive del SIC dei Pascoli di Crocedomini - Alta Val Caffaro con codice identificativo IT2070401.
In conformità al formulario del SIC, anche a livello cartografico, l’habitat 6230 si presenta solo ed
esclusivamente presso i pascoli di Crocedomini.
Nei casi in cui il pascolo subisce un alleggerimento del carico di bestiame o, addirittura, una sua
sospensione, si assiste ad un recupero da parte delle specie tipiche dei consorzi originari, la cui
velocità di reinsediamento è proporzionale allo stato iniziale di degradazione del pascolo. Questo
risultato cui si riferisce l’indicazione di habitat prioritario, si verifica con maggiore frequenza nel
piano subalpino per le Alpi interne lombarde.
In ogni parte della zona occupata da queste fitocenosi si trovano nardeti poveri in specie e con
dominanza assoluta di Nardus stricta, come risultato di un iperpascolamento. Dopo la sospensione
del pascolo i nardeti sono occupati da arbusti e successivamente da alberi (Larix decidua, Betula
verrucosa). La conservazione dell’habitat ricco di specie è condizionata ad una gestione equilibrata
del pascolamento, di conseguenza è opportuno eseguire verifiche locali per individuare i nardeti con
elevata diversità e stabilire piani di utilizzo con monitoraggio degli effetti.
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RELAZIONE - REV. 0
Si riportano i dati desunti dal Formulario della ZPS e il raffronto tra le superfici del Formulario e
quelle della cartografia regionale.
Dati del Formulario di Presentazione
Codice
6230
%
coper
ta
ND
Superficie
(ha)
Rappresentatività
Sup. relativa
Grado
conservazione
Valutazione
globale
ND
ND
ND
ND
ND
Dati cartografici regionali
%
Superficie (ha)
copert
a
167,55
0,77
Sulla base di quanto sopra si propone di modificare il Formulario di presentazione con i seguenti
dati
Codice
6230
Superficie (ha)
167,55
Rappresentatività
B
Sup. relativa
C
Grado conservazione
B
Valutazione globale
B
Stato di conservazione
Favorevole
(verde)
FV
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RELAZIONE - REV. 0
2.3.9. HABITAT 6430 - BORDURE PLANIZIALI, MONTANE E ALPINE DI MEGAFORBIE IDROFILE
Comunità di alte erbe a foglie grandi (megaforbie) igrofile e nitrofile che si sviluppano, in
prevalenza, al margine dei corsi d’acqua e di boschi igro-mesofili, distribuite dal piano basale a
quello alpino. La diversità di situazioni, rende difficili le generalizzazioni. In linea di massima questi
consorzi igro-nitrofili possono derivare dall’abbandono di prati umidi falciati, ma costituiscono più
spesso comunità naturali di orlo boschivo o, alle quote più elevate, estranee alla dinamica
nemorale. Nel caso si sviluppino nell'ambito della potenzialità del bosco, secondo la quota, si
collegano a stadi dinamici che conducono verso differenti formazioni forestali tra i quali, tipici della
realtà di interesse, abieteti, faggete, peccete, lariceti, arbusteti di ontano verde e saliceti.
La consociazione raggruppa comunità con struttura diversa, da completamente erbacea e
monostratificata ad arbustiva e arborea con più strati di vegetazione, tutte disposte su un gradiente
determinato dall’acqua nel suolo.
Nella ZPS l’habitat, dai dati di formulario, ricopre circa il 10 % della superficie, dove a livello
cartografico esso rappresenta solamente lo 0,36%. Dalle schede dei SIC esso si presenta solamente
nelle aree di “Monte Maser”, “Pizzo Badile”, “Vallone del Forcel” e “Torbiere di Val Braone”; a livello
cartografico, invece, tale realtà si realizza solamente nei SIC di “Monte Maser” e nelle “Foppe di Val
Braone”.
In linea generale le comunità raggruppate in questo tipo seguono linee dinamiche subordinate al
bosco o arbusteto di cui formano il margine, quindi, anche in condizioni naturali, si trovano stadi
regressivi delle comunità legnose occupati dalle megaforbie anche in posizioni interne oltre a quelle
tipiche marginali.
Le comunità riunite in questo tipo hanno una rilevante ricchezza floristica, sono anche fragili per
quanto riguarda l’equilibrio idrico. In particolare nel piano montano e subalpino devono essere
attentamente valutate le richieste di cattura di acqua dai torrenti anche se di ordine minore. In
vicinanza di fitocenosi modificate da attività antropiche (prati falciabili, pascoli, coltivazioni) la
vegetazione di margine può mancare o essere rappresentata da popolazioni isolate di alcune specie
che assumono il valore di indicatori per un eventuale ripristino delle comunità.
Le uniche minacce rappresentate per tale habitat sono date dalle modificazioni al grado di umidità
del suolo e dall’invasione di specie arbustive e arboree e dal pascolo eccessivo.
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RELAZIONE - REV. 0
Si riportano i dati desunti dal Formulario della ZPS e il raffronto tra le superfici del Formulario e
quelle della cartografia regionale.
Dati del Formulario di Presentazione
Codice
6430
%
coperta
10
Superficie
(ha)
2172,23
Rappresentatività
Sup. relativa
B
C
Grado
conservazione
B
Valutazione
globale
B
Dati cartografici regionali
%
Superficie (ha)
coperta
195.25
0,77
Sulla base di quanto sopra si propone di modificare il Formulario di presentazione con i seguenti
dati
Codice
6430
Superficie (ha)
195.25
Rappresentatività
B
Sup. relativa
C
Grado conservazione
B
Valutazione globale
B
Stato di conservazione
Non favorevole
Inadeguato
('giallo')
U1
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RELAZIONE - REV. 0
2.3.10. HABITAT 7110* - TORBIERE ALTE ATTIVE
Torbiere alte attive ombrotrofe (alimentate prevalentemente da acque meteoriche), acide, povere
di nutrienti minerali, dei Piani Bioclimatici Supra-, Oro- e Crioro-Temperato, con vegetazione
perenne a dominanza di specie del genere Sphagnum. Il processo di formazione della torba deve
essere attivo; possono comunque essere incluse anche situazioni nelle quali tale processo è
temporaneamente sospeso o sono presenti fasi di regressione naturale. Raramente viene assunta la
forma di torbiera bombata, più spesso si tratta di tappeti di sfagni dai quali emergono cumuli più alti
sui quali si insediano le specie più tipiche.
L’evoluzione vede i dossi di sfagno dapprima oggetto di colonizzazione da parte di specie acidofile
proprie delle vegetazioni di brughiera umida (Calluna vulgaris, Vaccinium uliginosum,
Maianthemum bifolium) e plantule di Pinus sylvestris, Betula, Frangula alnus: l’epilogo è
rappresentato dalla degenerazione e disfacimento dei dossi verso la costituzione della brughiera. Le
strutture a piena evoluzione (grandi cupole di sfagni continue, torbiera “bombata”) evolvono verso
il bosco di torbiera.
Trattandosi di elementi relitti sono alquanto instabili e la loro conservazione, stanti le attuali
condizioni climatiche, è problematica e gli unici interventi proponibili sono quelli di rallentamento
dell’evoluzione tramite estirpazione della componente arborea senza intaccare l’integrità del
cumulo di sfagni.
Le superfici occupate da tale realtà, a livello di formulari di Rete Natura 2000 nell’intera ZPS,
raggiungono lo 0,3% per un valore assoluto pari a 65,16 ha. A livello di cartografia tematica
regionale invece, l’habitat di riferimento non raggiunge lo 0,02% con superficie assoluta pari a 4,18
ha. Ponendo a confronto i formulari e la cartografia tecnica regionale si possono desumere le
seguenti informazioni: le informazioni riportate nei 2 sistemi sono coerenti; di fatto l’habitat di
torbiera stabile si concretizza solo ed esclusivamente a livello del SIC IT2070401 “Torbiere di Val
Braone”, per una superficie, come in precedenza accennato, di circa 4 ha (6% della superficie del SIC
come indicato dal formulario standard).
Per la gestione e la mitigazione delle minacce tipiche dell’ecosistema si consiglia l’evoluzione
naturale della vegetazione. Le problematiche si realizzano in espansione delle specie legnose,
riduzione della disponibilità idrica per cause naturali o antropiche, danni da ungulati selvatici.
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PIANO DI GESTIONE SIC IT 2070012 “TORBIERE DI VAL BRAONE”
RELAZIONE - REV. 0
Si riportano i dati desunti dal Formulario della ZPS e il raffronto tra le superfici del Formulario e
quelle della cartografia regionale.
Dati del Formulario di Presentazione
Codice
7110
%
coperta
0.3
Superficie
(ha)
65,16
Rappresentatività
Sup. relativa
B
C
Grado
conservazione
B
Valutazione
globale
B
Dati cartografici regionali
%
Superficie (ha)
coperta
4,18
0,019
Sulla base di quanto sopra si propone di modificare il Formulario di presentazione con i seguenti
dati
Codice
7110
Superficie (ha)
4,18
Rappresentatività
B
Sup. relativa
C
Grado conservazione
B
Valutazione globale
B
Stato di conservazione
Non favorevole
Inadeguato
('giallo')
U1
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RELAZIONE - REV. 0
2.3.11. HABITAT 7140 - TORBIERE DI TRANSIZIONE E INSTABILI
L’habitat si sviluppa in diverse condizioni climatiche e topografiche senza la formazione di alti
cumuli di sfagni; tali realtà si estendono nelle zone di accumulo delle acque piovane o di
scioglimento dei ghiacciai, ma si trovano in una condizione di transizione e instabilità evolutiva.
Questo habitat comprende le comunità che occupano, nell’ambito della vegetazione di torbiera,
una posizione intermedia tra comunità acquatiche e terrestri, tra torbiere alte ombrogene e
torbiere basse soligene, tra vegetazione oligotrofa e mesotrofa e, infine, tra situazioni acide e
neutrobasiche. Si tratta di comunità che si sviluppano poco sopra il livello dell’acqua e la cui
estensione è molto variabile da meno di un metro quadro a centinaia di metri quadrati. La
fisionomia è legata alla compresenza di fanerogame graminiformi, più spesso carici di taglia mediopiccola, con briofite costituite da muschi pleurocarpi o da sfagni. La varietà degli aspetti presentati è
piuttosto ampia e comprende tappeti vegetali (aggallati) galleggianti ai margini di piccoli specchi
d’acqua, tappeti vegetali tremolanti al passo dominati dalle fanerogame o dalle briofite. La presenza
di tale habitat è spesso discontinua ed esso rientra in un mosaico con gli altri tipi vegetazionali delle
torbiere e rimanendo confinato in piccole depressioni, nei fossetti e nel lago periferico. La presenza
di questo habitat è stata riportata per le prealpi bresciane e bergamasche negli orizzonti montano e
subalpino.
Per quanto concerne le stazioni di altitudine, queste cenosi mostrano un dinamismo molto lento
ove permangano le condizioni ambientali tipiche sopraindicate. La tendenza è comunque verso la
costituzione di fitocenosi più acidofile e più marcatamente ombrotrofe evidenziate
dall’accrescimento dei cumuli di sfagno, dall’ingresso di elementi di torbiera alta e anche di landa
acida. Evoluzioni di tipo regressivo verso la vegetazione del Rhychosporion albae possono essere
causate dal calpestamento e da escavazione della torba mentre l’aumento di tenore trofico implica
l’ingresso di entità nitrofile estranee al contesto di torbiera.
A livello di ZPS esse si sviluppano in diverse aree ricadenti nei SIC (9 su 11) per una superficie totale
pari a circa 152 ha.
La gestione è di tipo passivo evitando tutti gli interventi che influenzino le caratteristiche delle
acque presenti garantendone provenienza, modalità di circolazione e composizione.
Pertanto sono da evitare i fossi di drenaggio che, se esistenti, devono essere chiusi. Curare che la
vegetazione esterna alla torbiera sia continua e che non vi si immettano piccoli corsi d’acqua con
trasporto solido rilevante o con carico di nutrienti. La praticabilità della torbiera è critica perché
spesso i tappeti erbosi e gli aggallati coprono acqua o torba semiliquida completamente imbevuta di
acqua e perciò occorre pianificare rigorosamente l’accesso ed evitare il calpestamento incontrollato
della vegetazione. Dove la torbiera è adiacente a un laghetto o in vicinanza di alpeggi si deve
contenere il transito del bestiame per l’abbeverata con percorsi recintati che evitino il
transitamento della torbiera.
Nel sito i fattori di minaccia sono dati da un progressivo e molto lento incremento delle aree
asciutte con riduzione delle condizioni favorevoli al permanere della vegetazione di torbiera. In
Terra Viva studio agroforestale – via del Carmine 2A, 27029 Vigevano (Pv)
135
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PIANO DI GESTIONE SIC IT 2070012 “TORBIERE DI VAL BRAONE”
RELAZIONE - REV. 0
alcuni zone anche la fruizione antropica ricreativa, oltre alla pressione zootecnica, può costituire un
fattore limitante per calpestii localizzati.
Si riportano i dati desunti dal Formulario della ZPS e il raffronto tra le superfici del Formulario e
quelle della cartografia regionale.
Dati del Formulario di Presentazione
Codice
7140
%
coperta
0.3
Superficie
(ha)
65,16
Rappresentatività
Sup. relativa
B
C
Grado
conservazione
B
Valutazione
globale
B
Dati cartografici regionali
%
Superficie (ha)
coperta
152,68
0,7
Sulla base di quanto sopra si propone di modificare il Formulario di presentazione con i seguenti
dati
Codice
7140
Superficie (ha)
152,68
Rappresentatività
B
Sup. relativa
C
Grado conservazione
B
Valutazione globale
B
Stato di conservazione
Favorevole
(verde)
FV
Terra Viva studio agroforestale – via del Carmine 2A, 27029 Vigevano (Pv)
136
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RELAZIONE - REV. 0
2.3.12. HABITAT 8110 - GHIAIONI SILICEI DEI PIANI MONTANO FINO A NIVALE
Habitat che si estende in presenza di ghiaioni costituiti da clasti di origine silicea presenti nei sistemi
montuosi. La vegetazione erbacea è discontinua e con bassa copertura, composta prevalentemente
da emicriptofite scapose, rosulate e reptanti, camefite pulvinate, su substrati a granulometria
variabile e tendenzialmente instabili di origine naturale o artificiale ad altitudini inferiori (piano
montano).
Le comunità costituiscono stadi iniziali delle serie progressive. Nel piano montano sono modificate
dall’insediamento di Rubus spp. e di conseguenza verso il bosco. Nel piano subalpino possono avere
carattere durevole su falde di detriti sottoposte ad un apporto continuo di clasti, ma in condizioni di
stabilità evolvono verso stadi di zolle aperte e successivamente di arbusteti. Hanno in genere
maggiore stabilità nei piani alpino e nivale dove si trovano a contatto o in mosaici con zolle aperte di
praterie alpine (Caricion curvulae) o in stadi da iniziali a maturi di associazioni dell’Androsacion
alpinae, con presenze di zolle di Salix herbacea. In vicinanza dei ghiacciai queste associazioni hanno
una dinamica progressiva o regressiva per la contrazione o l’avanzamento delle lingue glaciali.
La gestione di questi habitat riguarda i possibili disturbi alla stabilità dei pendii delle falde detritiche
e il rispetto dei siti con diversità floristica particolarmente elevata. Nel piano alpino-nivale aspetti
frammentari di queste comunità possono essere insediate su interessanti geoforme di tipo
periglaciale (per esempio rock-glaciers) dove svolgono la funzione di bioindicatori per i movimenti
delle geoforme. Sono di particolare importanza le comunità extrazonali (abissali) degli
Androsacetalia situate sul versante settentrionale delle Alpi Orobie su morene poste al fondo di
circhi glaciali.
Per l’habitat non paiono esservi condizioni di minacce reali. Le uniche minacce identificabili sono di
ordine naturale come i fenomeni erosivi idrici o di larga scala come i lenti cambiamenti climatici e
l’inquinamento atmosferico.
Nella ZPS dell’Adamello è segnalato, oltre che nel Formulario della ZPS, anche in altri sette siti Rete
Natura 2000 sugli undici presenti. La cartografia degli habitat di Regione Lombardia conferma
questa distribuzione e segnala le maggiori estensioni di questo habitat nel SIC dei Versanti dell’Avio.
Si riportano i dati desunti dal Formulario della ZPS e il raffronto tra le superfici del Formulario e
quelle della cartografia regionale.
Terra Viva studio agroforestale – via del Carmine 2A, 27029 Vigevano (Pv)
137
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PIANO DI GESTIONE SIC IT 2070012 “TORBIERE DI VAL BRAONE”
RELAZIONE - REV. 0
Codice
8110
%
coperta
35
Superficie
(ha)
7602.7
Dati del Formulario di Presentazione
Sup.
Grado
Rappresentatività
relativa
conservazione
B
C
A
Valutazione
globale
B
Dati cartografici regionali
%
Superficie (ha)
coperta
729.04
3.35
Sulla base di quanto sopra si propone di modificare il Formulario di presentazione con i seguenti
dati
Codice
8110
Superficie (ha)
729.04
Rappresentatività
B
Sup. relativa
C
Grado conservazione
A
Valutazione globale
B
Stato di conservazione
Favorevole
(verde)
FV
Terra Viva studio agroforestale – via del Carmine 2A, 27029 Vigevano (Pv)
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RELAZIONE - REV. 0
2.3.13. HABITAT 8120 “GHIAIONI CALCAREI E SCISTO-CALCAREI MONTANI E ALPINI”
Biocenosi caratterizzata da vegetazione erbacea discontinua e con bassa copertura composta
prevalentemente da emicriptofite (cespitose, scapose, rosulate) e camefite pulvinate, su substrati a
granulometria variabile, mobili o parzialmente stabilizzati. Si tratta di comunità generalmente
durevoli sebbene sottoposte a regressioni e ricostruzioni localizzate in relazione ai movimenti del
substrato e con evoluzioni episodiche verso zolle erbose nelle stazioni meno elevate.
Per i detriti carbonatici vale, in linea generale, quanto già riferito a proposito di 8110 “Ghiaioni
silicei dei piani montano fino a nivale (Androsacetalia alpinae e Galeopsietalia ladani)”. Fenomeni
ricorrenti di ringiovanimento dei suoli mantengono a lungo queste comunità pioniere,
determinando solo, di volta in volta, modifiche spaziali che si compensano. I contatti catenali più
frequenti (micromosaici) sono verso comunità erbacee di 6170 “Formazioni erbose calcicole alpine
e subalpine” (firmeti e seslerieti) o arbustive (junipero-rodoreti -4060 “Lande alpine e boreali",
mughete 4070 “Boscaglie di Pinus mugo e Rhododendron hirsutum (Mugo-Rhododendretum
hirsuti)”, saliceti 4080 “Boscaglie subartiche di Salix spp.”, soprattutto Salicetum waldsteinianae
nell’area dolomitica), più raramente con nuclei arborei di larice e/o abete rosso. Frequenti anche i
contatti spaziali con cenosi subnivali di Arabidetalia caeruleae, spesso in mosaico e poco
cartografabili. La tradizione del pascolamento, e la frequentazione degli ungulati selvatici, inducono
sovente lo sviluppo di nuclei di Rumicion alpini e di Adenostylion nelle falde detritiche in via di
parziale consolidamento. Da richiamare, inoltre, i contatti e le transizioni tra comunità di Petasition
paradoxi e quelle dei greti torrentizi (Salicion eleagni ed Epilobietalia fleischeri). Contatti, non
sempre facili da discriminare nella fascia montana, interessano comunità di Stipion calamagrostis
che sono riferite all’habitat 8130 “Ghiaioni del Mediterraneo occidentale e termofili”. In queste
comunità sulle Prealpi si trovano endemismi di varia importanza.
Le minacce principali risiedono in localizzati episodi di erosione del suolo dovuti principalmente alla
presenza di piste per fuoristrada sugli affioramenti e a fenomeni idrici che possono generare
scorrimenti o ruscellamenti superficiali non regimati
A livello gestionale si devono evitare interventi che aumentino la dinamica del substrato,
specialmente dove è ancora incoerente e nelle stazioni con maggiore diversità floristica.
Nella ZPS dell’Adamello è segnalato, oltre che nel Formulario della ZPS, solo in due siti Rete Natura
2000 sugli undici presenti: Monti Marser e Vallone del Forcel Rosso. La cartografia degli habitat di
Regione Lombardia conferma questa distribuzione.
Terra Viva studio agroforestale – via del Carmine 2A, 27029 Vigevano (Pv)
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RELAZIONE - REV. 0
Si riportano i dati desunti dal Formulario della ZPS e il raffronto tra le superfici del Formulario e
quelle della cartografia regionale.
Codice
8120
%
coperta
1
Superficie
(ha)
217.22
Dati del Formulario di Presentazione
Sup.
Grado
Rappresentatività
relativa
conservazione
C
C
B
Valutazione
globale
C
Dati cartografici regionali
%
Superficie (ha)
coperta
85.19
0.39
Sulla base di quanto sopra si propone di modificare il Formulario di presentazione con i seguenti
dati
Codice
8120
Superficie (ha)
85.19
Rappresentatività
C
Sup. relativa
C
Grado conservazione
B
Valutazione globale
C
Stato di conservazione
Favorevole
(verde)
FV
Terra Viva studio agroforestale – via del Carmine 2A, 27029 Vigevano (Pv)
140
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RELAZIONE - REV. 0
2.3.14. HABITAT 8210 “PARETI ROCCIOSE CALCAREE CON VEGETAZIONE CASMOFITICA”
Comunità pioniere stabili di piante erbacee, da cespitose a pulvinare, insediate nelle fessure e nelle
piccole cenge ove si accumulano detriti fini e si formano suoli pedogeneticamente iniziali. Si tratta
di popolamenti vegetali, per lo più di casmofite.
Le comunità casmofitiche, espressione azonale, sono pioniere, ma hanno scarsissima probabilità
evolutiva. A volte, invece, ai fini operativi di rilevamento cartografico, sono mascherate all’interno
di aree boscate o arbustate con le quali sono in contatto. La gamma di possibilità è troppo ampia
per meritare di essere esemplificata. Non mancano, inoltre, specialmente a quote elevate, contatti
e difficoltà di discriminazione con situazioni primitive di 6170 “Formazioni erbose calcicole alpine e
subalpine” (es. Caricetum firmae potentilletosum nitidae) e con la vegetazione dei detriti
dell’habitat 8120 “Ghiaioni calcarei e scisto-calcarei montani e alpini (Thlaspietea rotundifolii)”. Più
raramente, a quote più basse, si verificano contatti con comunità dei prati arido-rupestri riferibili
agli habitat 62A0 “Formazioni erbose secche della regione submediterranea orientale
(Scorzoneretalia villosae)” e 6110* “Formazioni erbose rupicole calcicole o basofile dell'AlyssoSedion albi”. In genere non presentano particolari fenomeni di disturbo antropico, ma si devono
controllare gli interventi per allargamento di strade, cave o rimozioni della vegetazione per palestre
di arrampicate in roccia. Queste comunità sono ricche di specie endemiche o rare, specialmente
nella zona delle Prealpi.
Nella ZPS dell’Adamello è segnalato, oltre che nel Formulario della ZPS, solo in un sito Rete Natura
2000 sugli undici presenti: Monti Marser. La cartografia degli habitat di Regione Lombardia
conferma questa distribuzione. Si riportano i dati desunti dal Formulario della ZPS e il raffronto tra
le superfici del Formulario e quelle della cartografia regionale.
Codice
8210
%
coperta
1
Superficie
(ha)
217.22
Dati del Formulario di Presentazione
Sup.
Grado
Rappresentatività
relativa
conservazione
B
C
B
Valutazione
globale
B
Dati cartografici regionali
%
Superficie (ha)
coperta
1.63
0.007
Sulla base di quanto sopra si propone di modificare il Formulario di presentazione con i seguenti
dati
Codice
8210
Superficie (ha)
1.63
Rappresentatività
B
Sup. relativa
C
Grado conservazione
B
Valutazione globale
B
Stato di conservazione
Favorevole
(verde)
FV
Terra Viva studio agroforestale – via del Carmine 2A, 27029 Vigevano (Pv)
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RELAZIONE - REV. 0
2.3.15. HABITAT 8220 “PARETI ROCCIOSE SILICEE CON VEGETAZIONE CASMOFITICA”
Si tratta di formazioni rupestri delle Alpi che si sviluppano dal piano subalpino (> 1600 m) a quello
nivale, su substrati acidi. Sono biocenosi stabili in modo particolare alle quote più elevate, mentre a
quelle inferiori (piano montano) e con cenge relativamente ampie, possono essere occupate o
invase da specie provenienti dai boschi o dalle praterie adiacenti.
Parallelamente a quanto osservato per il codice 8210 “Pareti rocciose calcaree con vegetazione
casmofitica”, le comunità delle fessure delle rupi silicatiche sono per loro natura alquanto stabili e
con scarse prospettive evolutive. Per quanto concerne i contatti catenali, anch’essi sono in relazione
alle diverse regioni biogeografiche e alla quota. Non è infrequente il contatto con i prati aridi, con
frammenti di arbusteti e boscaglie riferibili all’habitat 4060 “Lande alpine e boreali”, con le cenosi
delle praterie alpine dell’habitat 6150 “Formazioni erbose boreo-alpine silicicole” e, soprattutto, dei
detriti di falda o altri tipi di sfasciume riconducibili all’habitat 8110 “Ghiaioni silicei dei piani
montano fino a nivale (Androsacetalia alpinae e Galeopsietalia ladani)”.
In genere senza disturbo antropico, ma talora esposta localmente ad essere rimossa per la
predisposizione di palestre per rocciatori. Per l’esecuzione di questo uso e di altri (estrazioni di cava,
sbancamenti per viabilità), devono essere valutati il grado di diversità e la presenza di specie rare.
Nella ZPS dell’Adamello è segnalato, oltre che nel Formulario della ZPS, solo in due siti Rete Natura
2000 sugli undici presenti: Val Rabbia – Val Gallinera e Cresta del Monte Colombè. La cartografia
degli habitat di Regione Lombardia conferma questa distribuzione, evidenziando come le maggiori
estensioni siano riferite proprio alla zona del Val Rabbia Val Gallinera.
Si riportano i dati desunti dal Formulario della ZPS e il raffronto tra le superfici del Formulario e
quelle della cartografia regionale.
Codice
8220
%
coperta
20
Superficie
(ha)
4344.4
Dati del Formulario di Presentazione
Sup.
Grado
Rappresentatività
relativa
conservazione
B
C
B
Valutazione
globale
B
Dati cartografici regionali
%
Superficie (ha)
coperta
115.96
0.53
Sulla base di quanto sopra si propone di modificare il Formulario di presentazione con i seguenti
dati
Codice
8220
Superficie (ha)
115.96
Rappresentatività
B
Sup. relativa
C
Grado conservazione
B
Valutazione globale
B
Stato di conservazione
Favorevole
(verde)
FV
Terra Viva studio agroforestale – via del Carmine 2A, 27029 Vigevano (Pv)
142
PIANO DI GESTIONE ZPS IT 2070401 “PARCO NATURALE DELL’ADAMELLO”
PIANO DI GESTIONE SIC IT 2070006 “PASCOLI DI CROCEDOMINI – ALTA VAL CAFFARO”
PIANO DI GESTIONE SIC IT 2070012 “TORBIERE DI VAL BRAONE”
RELAZIONE - REV. 0
2.3.16. HABITAT 8340 “GHIACCIAI PERMANENTI”
I ghiacciai scoperti di detriti non sono occupati da vegetazione, fatta eccezione per colonie di alghe
microscopiche. Su quelli ricoperti di detriti (rock glaciers) si insediano le associazioni aperte, e
spesso anche frammentarie o in mosaici, delle pietraie e delle morene di alta quota (Thlaspietea
rotundifolii 61.1, 61.2).
Per cause climatiche generali i ghiacciai sono in regressione. Per non accentuare le cause della
regressione è opportuno ridurre o evitare i passaggi sulle lingue glaciali per raggiungere rifugi,
come pure valutare attentamente la pratica dello sci estivo, specialmente quando è scarso lo
spessore della neve di copertura.
Nella ZPS dell’Adamello è segnalato, oltre che nel Formulario della ZPS, solo in due siti Rete Natura
2000 sugli undici presenti. Oltre, ovviamente, al Ghiacciaio dell’Adamello è presente anche in Val
Rabbia – Val Gallinera. La cartografia degli habitat di Regione Lombardia conferma questa
distribuzione, evidenziando come le maggiori estensioni siano riferite proprio alla zona del Val
Rabbia Val Gallinera.
Si riportano i dati desunti dal Formulario della ZPS e il raffronto tra le superfici del Formulario e
quelle della cartografia regionale.
Codice
8340
%
coperta
70
Superficie
(ha)
2172.2
Dati del Formulario di Presentazione
Sup.
Grado
Rappresentatività
relativa
conservazione
A
C
A
Valutazione
globale
A
Dati cartografici regionali
%
Superficie (ha)
coperta
2365.51
10.89
Sulla base di quanto sopra si propone di modificare il Formulario di presentazione con i seguenti
dati
Codice
8340
Superficie (ha)
2365.51
Rappresentatività
A
Sup. relativa
C
Grado conservazione
A
Valutazione globale
A
Stato di conservazione
Non favorevole
Inadeguato
('giallo')
U1
Terra Viva studio agroforestale – via del Carmine 2A, 27029 Vigevano (Pv)
143
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RELAZIONE - REV. 0
2.3.17. HABITAT 9410 “FORESTE ACIDOFILE MONTANE E ALPINE DI PICEA”
Foreste a prevalenza di abete rosso (Picea abies), pure o miste con altre conifere, su substrato
carbonatico o silicatico. Nelle Alpi, con progressiva attenuazione verso occidente, negli orizzonti
altitudinali dal montano al subalpino. Eccezionalmente anche in altri orizzonti in corrispondenza di
condizioni microclimatiche o edafiche particolari. Nella loro fascia di pertinenza (subalpina per le
Alpi esterne e montano-subalpina per quelle interne-continentali), con differenze tra settore
centro-orientale (in cui Picea appare più competitiva) e Alpi sudoccidentali in cui l’influenza
mediterranea attenua il suo vigore, le peccete sono formazioni zonali, mature, anche quando sono
localizzate su suoli più primitivi, avendo l’abete rosso una notevole capacità colonizzatrice nei
distretti climatici in cui rivela la sua netta prevalenza. Considerando le numerose situazioni (vedi
sottotipi) che possono condurre verso lo stadio seriale più maturo, si dovranno distinguere
situazioni montane endalpiche, in cui la pecceta è preceduta da fasi di pineta a pino silvestre,
oppure su prati abbandonati poi colonizzati da larice in cui Picea entra più o meno facilmente (tra i
tipi più diffusi, ad esempio nell’area dolomitica, vi è il lariceto in sostituzione con pecceta), da
situazioni subalpine, verso il limite del bosco, in cui, a parte i contatti con larici-cembreti (la cui
separazione precisa non è sempre agevole sul terreno), la pecceta può impostarsi su vari tipi di
arbusteto, dalle mughete al rodoreto, all’alneta di ontano verde. Nella fascia montana, inoltre, la
pecceta può sostituire progressivamente l’Alnetum incanae, presso i torrenti, laddove per varie
motivazioni non si verifichino apporti alluvionali tali da ringiovanire continuamente il suolo. Non
mancano, peraltro, comunità di pecceta che vanno considerate stadi preclimatogeni che, a
maturità, lasciano spazio agli abieteti. Si osserva regolarmente questo fenomeno nei fondovalle
freddi e negli altopiani, o anche nelle conche doliniformi. Il miglioramento climatico e anche la
formazione di suoli più maturi (gestione selvicolturale permettendo) consente la progressiva
evoluzione verso cenosi meno monospecifiche. Le interazioni con il faggio, almeno nella grande
maggioranza dei casi, sono il frutto di tradizionali e secolari interventi anche se, nei versanti a sud
del settore eso-mesalpico dove l’abete bianco ha scarsa vitalità, spesso per motivi edafici, la fascia
di contatto tra faggeta e pecceta (carbonatica) dà luogo a cenosi e situazioni che a volte sono di
complessa attribuzione. Sui substrati di natura silicatica l’abete rosso è ancora più vitale, anche a
quote relativamente modeste (in FVG sono noti contatti con i carpineti) e frequentemente è
prevalente nell’area del faggio, sostituendo, di fatto, i luzulo-faggeti. Sono state osservate
colonizzazioni dirette di abete rosso su nardeti e altri tipi di prato o di pascolo, magro e acido. Non
meno note sono le progressioni della Picea in ambiti torbosi, con o senza sfagni. I contatti catenali
investono una gamma di situazioni estremamente variegata. Oltre a quelli finora segnalati, si
ricordano i diversi tipi di praterie carbonatiche afferenti all’habitat 6170 “Formazioni erbose
calcicole alpine e subalpine” (in particolare quelle più evolute di Caricion ferrugineae), i macereti di
diversa natura, comprese le alluvioni del Petasition paradoxi, gli arbusteti a salici, a ginepro nano,
ecc. E questo senza scomodare situazioni particolari legate a stazioni azonali o a morfologie
complesse che mettono in contatto, ad esempio, faggio e pino cembro. Le formazioni appenniniche
dell'alta Val del Sestaione, di rilevante valore fitogeografico, sono esposte alla forte concorrenza del
faggio. Uno sfruttamento troppo intenso o l’incendio compromettono il mantenimento della
Terra Viva studio agroforestale – via del Carmine 2A, 27029 Vigevano (Pv)
144
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PIANO DI GESTIONE SIC IT 2070012 “TORBIERE DI VAL BRAONE”
RELAZIONE - REV. 0
foresta, con la regressione verso stadi erbacei e arbustivi, con conseguente erosione del suolo e
instabilità dei versanti. Il rinnovo è sovente delicato, perché i giovani alberi nascono tra i mirtilli e il
legno morto; per cui le giovani piantine, specialmente se di latifoglie e di abete bianco, vanno
salvaguardate. Nella gestione forestale deve essere favorito lo sviluppo di un alto fusto disetaneo, a
struttura ben articolata e non particolarmente fitta, con composizione arborea mista e
mantenimento di radure al fine di favorire la biodiversità specifica. Deve essere vietato il taglio a
raso su estese superfici. Localmente ed in ambiti circoscritti e costantemente monitorati, al fine di
evitare lo sviluppo del bostrico, sono da mantenere gli alberi vetusti, per la riproduzione di specie
protette. In particolare, quando sono presenti specie animali d’interesse comunitario, devono
essere pianificati interventi selvicolturali tesi al miglioramento delle condizioni che le favoriscono.
Parimenti, devono essere rigidamente salvaguardati i microhabitat che ospitano le specie erbacee
più significative. In passato la pecceta venne favorita dall’uomo anche in aree di latifoglie. La
gestione forestale dovrebbe, ove possibile anche dal punto di vista economico e sociale,
considerare tale retaggio delle passate gestioni e non ostacolare lo sviluppo della vegetazione
potenziale. Bisogna pianificare i flussi turistici e le attività di fruizione (sentieristica per trekking,
mountain bike ecc.), sulla base delle caratteristiche di vulnerabilità degli habitat.
Nella ZPS dell’Adamello è segnalato, oltre che nel Formulario della ZPS, solo in quattro siti Rete
Natura 2000 sugli undici presenti. La cartografia degli habitat di Regione Lombardia conferma
questa distribuzione, evidenziando come le maggiori estensioni siano riferite al SIC di Pizzo Badile –
Alta Val Zumella. Si riportano i dati desunti dal Formulario della ZPS e il raffronto tra le superfici del
Formulario e quelle della cartografia regionale.
Codice
9410
%
coperta
3
Superficie
(ha)
651.66
Dati del Formulario di Presentazione
Sup.
Grado
Rappresentatività
relativa
conservazione
B
C
B
Valutazione
globale
B
Dati cartografici regionali
%
Superficie (ha)
coperta
755.08
3.48
Sulla base di quanto sopra si propone di modificare il Formulario di presentazione con i seguenti
dati
Codice
9410
Superficie (ha)
755.08
Rappresentatività
B
Sup. relativa
C
Grado conservazione
B
Valutazione globale
B
2.3.17.1.1.
Stato di conservazione
Favorevole
(verde)
FV
Terra Viva studio agroforestale – via del Carmine 2A, 27029 Vigevano (Pv)
145
PIANO DI GESTIONE ZPS IT 2070401 “PARCO NATURALE DELL’ADAMELLO”
PIANO DI GESTIONE SIC IT 2070006 “PASCOLI DI CROCEDOMINI – ALTA VAL CAFFARO”
PIANO DI GESTIONE SIC IT 2070012 “TORBIERE DI VAL BRAONE”
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2.3.18. HABITAT 9420 “FORESTE ALPINE DI LARIX DECIDUA E/O PINUS CEMBRA”
Foreste subalpine, o talvolta altimontane, con prevalenza di Larix decidua e/o Pinus cembra,
costituenti formazioni pure o miste, talvolta associate con Picea abies o Pinus uncinata.
Boschi costituiti da uno strato arboreo dominato da Larix decidua o da Pinus cembra, con diversi
aspetti di transizione, ove le due specie si mischiano con rapporti di dominanza vari. I lariceti sono
geograficamente e altitudinalmente più estesi e spesso sono risultato di una gestione mirata da
parte dell’uomo; le cembrete sono invece accantonate nelle valli alpine interne continentali. Alle
due conifere si aggiungono localmente anche Pinus mugo e Picea excelsa. La copertura degli alberi,
specialmente delle cembrete, è abbastanza bassa e diventa continua verso il bosco, ove segna la
fascia degli alberi isolati.
I boschi di larice possono assumere un carattere di comunità durevole, soprattutto nelle Alpi
orientali ove la concorrenza dell'abete rosso è rilevante. I contatti con l'habitat 9410 "Foreste
acidofile di Picea montano-alpine" sono spesso evidenti e si riscontrano varianti altitudinali. A parte
l’influenza del pascolamento e delle attività antropiche, si verificano anche fenomeni naturali,
collegati a innevamento e apporti detritico-colluviali, che favorendo il ringiovanimento dei suoli
accrescono la competitività del larice. La presenza del pino cembro, in alcuni distretti ostacolata in
quanto poco favorevole al pascolo, corrisponde a situazioni più vicine a quelle naturali. Non
mancano, peraltro, aspetti in cui sia larice che pino cembro colonizzano direttamente versanti
rupestri e, soprattutto il larice, falde detritiche e massi grossolani stabilizzati. I contatti più
frequenti, in relazione ai tipi presenti, sono quelli con gli arbusteti, a Alnus viridis (buona
disponibilità idrica e di nutrienti), a Rhododendron ferrugineum, a Juniperus nana e ad
Arctostaphylos uva ursi e/o Juniperus sabina, o a Erica carnea e Pinus mugo nei settori basifili. Si
segnalano, inoltre, stadi di larici-cembreto subalpino (m 1800-2000) in cui, con Picea quasi assente,
o al massimo accessoria, è vitale e ben rappresentato l’abete bianco (nel sottobosco a
Rhododendron ferrugineum, con o senza Alnus viridis). L’abbandono di pascoli e prati, sta
favorendo ricolonizzazioni su vasti comprensori, soprattutto da parte del larice. Si è notato,
peraltro, che nelle aree dove il portaseme non manca, anche il cembro svolge egregiamente la
funzione di diretto colonizzatore di praterie e pascoli. Una situazione peculiare delle Dolomiti più
interne a clima continentale è la pineta cosiddetta endalpica, che nella fascia altimontana (14001800 m) è prevalente in alcuni versanti ed è caratterizzata da una consociazione di pino silvestre,
pino cembro, pino mugo, abete rosso e larice. Nelle Alpi occidentali, infine, da non trascurare i
rapporti con formazioni ricche di Pinus uncinata, mediamente più primitive o confinate su versanti
con minori probabilità evolutive. Nel settore sud-alpino lombardo (Alpi Orobie e gruppo
dell'Adamello) le formazioni a Pinus cembra si rinvengono sovente impostate su praterie a Festuca
scabriculmis, che mantengono intatta la loro composizione floristica, associate a uno strato
arbustivo a Juniperus nana. In queste situazioni è spesso presente Picea excelsa.
La dinamica di questa comunità è controllata dalle condizioni climatiche e manifesta attualmente
una propensione all’ espansioni nella fascia delle praterie alpine per il tendenziale miglioramento
climatico. Ciò avviene anche sui pascoli secondari ottenuti in passato con la distruzione dei boschi
superiori; in questo caso il Larico-Cembreto riconquista spazi ancora compresi nella sua potenzialità.
Terra Viva studio agroforestale – via del Carmine 2A, 27029 Vigevano (Pv)
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Non sono necessari interventi. Dove risultassero necessari ripristini parziali del bosco è opportuno
lasciare svolgere i processi dinamici naturali. Sono inoltre da evitare interventi di miglioramento dei
pascoli con l’utilizzo di fertilizzanti, per non alterare la flora del sottobosco.
Nella ZPS dell’Adamello è segnalato, oltre che nel Formulario della ZPS, solo in quattro siti Rete
Natura 2000 sugli undici presenti. La cartografia degli habitat di Regione Lombardia conferma
questa distribuzione, evidenziando come le maggiori estensioni siano riferite al SIC dei Versanti
dell’Avio. Si riportano i dati desunti dal Formulario della ZPS e il raffronto tra le superfici del
Formulario e quelle della cartografia regionale.
Codice
9420
%
coperta
4
Superficie
(ha)
868.88
Dati del Formulario di Presentazione
Sup.
Grado
Rappresentatività
relativa
conservazione
B
C
B
Valutazione
globale
B
Dati cartografici regionali
%
Superficie (ha)
coperta
414.78
1.91
Sulla base di quanto sopra si propone di modificare il Formulario di presentazione con i seguenti
dati
Codice
9420
Superficie (ha)
414.78
Rappresentatività
B
Sup. relativa
C
Grado conservazione
B
Valutazione globale
B
Stato di conservazione
Favorevole
(verde)
FV
Terra Viva studio agroforestale – via del Carmine 2A, 27029 Vigevano (Pv)
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2.4.
ESIGENZE ECOLOGICHE DELLE SPECIE FLORISTICHE DI INTERESSE COMUNITARIO
2.4.1. PREMESSA
All’interno della ZPS è riportata la presenza di due specie floristiche appartenenti all’Allegato II della
direttiva Habitat 92/43/CEE. La presenza di tali specie nell’area protetta è stata desunta dall’analisi
incrociata dei dati dei Formulari dei SIC sottesi alla ZSP. In particolare la presenza di Cypripedium
calceolus è indicata nel Formulario del SIC dei Pascoli di Crocedomini, mentre Drepanocladus
vernicosus è segnalato nel SIC delle Torbiere del Tonale. Si propone pertanto l’adeguamento del
Formulario della ZPS includendo le due suddette specie.
2.4.2. CYPRIPEDIUM CALCEOLUS
Si tratta di una pianta della famiglia delle Orchidee, volgarmente conosciuta come Scarpetta di
Venere o Pianella della Madonna. È rinvenuta nella zone fredde e temperato fredde dell’Eurasia. In
Italia è presente, in prevalenza, sui rilievi alpini e prealpini, con maggior frequenza nelle Alpi
Orientali
Ha Rizoma orizzontale squamoso; fusto cilindrico, pubescente, eretto. Foglie ellittiche, un po’
acuminate, con nervature evidenti, sporgenti di sotto. Fiore generalmente unico, piuttosto grande e
appariscente; tepali esterni scuri, mentre quelli interni sono da bruni a verdognoli; labello giallo-oro,
lungo 3-4 cm.
L’impollinazione viene effettuata soprattutto da api solitarie del genere Andrena, che vengono
attratte dal colore giallo brillante del labello. Una volta posati sul labello, gli insetti finiscono per
cadervi dentro, ma non riescono poi a fuoriuscire per la stessa via a causa dei suoi bordi ripiegati
all’interno e formanti una specie di imbuto. Per uscire da questa vera e propria trappola gli insetti
sono costretti ad aprirsi la strada attraverso due piccole aperture situate alla base del labello,
strusciando con il dorso prima sulla superficie stigmatica, depositandovi il polline eventualmente
raccolto su un altro fiore e poi asportando il polline appiccicoso da una delle due antere fertili poste
in corrispondenza delle due aperture.
Gli habitat elettivi di questa specie sono le faggete, i boschi di conifere e gli arbusteti subalpini, su
suoli prevalentemente calcarei ad una altitudine compresa tra 500 e 2.000 m s.l.m.
È una specie minacciata, soprattutto un tempo, a causa della raccolta indiscriminata del fiore la cui
bellezza rappresenta un elemento di attrattiva per le persone che non ne conoscono la rarità e,
quindi, lo status di specie protetta. In tal senso in molte stazioni in cui, in passato, è stata segnalata
la sua presenza, questa orchidea ormai risulta estinta. Questa specie è una delle quattro orchidee
italiane (le altre sono Liparis loeselii, Ophrys lunulata e Spiranthes aestivalis) inserite nell’Appendice
II della Convenzione di Washington sul commercio delle specie in pericolo, nota come CITES
(Convention on International Trade in Endengerd Species). Per quanto riguarda i soli paesi
dell’Unione Europea, queste quattro specie di orchidee godono di un più elevato livello di
protezione essendo inserite nell’Allegato A del regolamento che dà applicazione alla CITES. Questa
specie, distribuita prevalentemente in SIC alpini o prealpini, è caratterizzata da popolazioni che
hanno un buon livello di rappresentatività.
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Nella ZPS dell’Adamello è segnalata unicamente nella zona del SIC dei Pascoli di Crocedomini, da cui
si riporta il giudizio sullo stato di conservazione
Nome
Popolazione
Cypripedium
calceolus
P
Popolazione
Valutazione del sito
Conservazione
Isolamento
B
B
B
Globale
B
Non disponendo di dati recenti su questa specie e relativi anche alla restante parte del territorio
della ZPS si propone di includerla nel Formulario della ZPS con una valutazione identica a quella
riportata nel Formulario del SIC di Crocedomini.
Stato di conservazione
Favorevole
(verde)
FV
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2.4.3. DREPANOCLADUS VERNICOSUS
Il muschio a falce brillante è una Specie circumboreale a larga diffusione in Europa. Si tratta di una
pianta di dimensioni da media a robusta, formante ciuffi verde-giallastri brillanti, talvolta brunastri,
raramente rossastri. Fusti da prostrati, lunghi 8-12 cm, con rami brevi. Foglie con forma ovata alla
base e bruscamente ristrette all’apice.
Predilige ambienti umidi ma non sommersi come le paludi torbose e le praterie paludose;
generalmente si sviluppa in ambienti alquanto basici o neutri, con una distribuzione altitudinale che
va dal piano planiziale a quello alpino. Questa specie tende a formare popolamenti monospecifici
estesi qualche metro.
In Italia la presenza di Drepanocladus vernicosus è stata segnalata in Lombardia, Trentino Alto
Adige, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Liguria ed Emilia Romagna. Il prosciugamento degli ambienti
umidi e l’inquinamento del suolo sono le principali cause del deperimento delle popolazioni.
Nella ZPS dell’Adamello Il Drepanocladus vernicosus è stato segnalato solo in un SIC (Torbiere del
Tonale), il cui inserimento in un contesto territoriale caratterizzato dalla presenza di un importante
comprensorio sciistico, ne identifica la possibile criticità per la conservazione. Infatti, i possibili
interventi di drenaggio delle acque, finalizzati a garantire un più facile sfruttamento territoriale,
potrebbero comportarne la scomparsa. La sua presenza comunque sembra piuttosto consistente e
la specie ben conservata.
Si riporta il giudizio presente nel Formulario:
Nome
Popolazione
Drepanocladus
vernicosus
P
Popolazione
Valutazione del sito
Conservazione
Isolamento
A
A
A
Globale
A
Non disponendo di dati recenti su questa specie e relativi anche alla restante parte del territorio
della ZPS si propone di includerla nel Formulario della ZPS con una valutazione identica a quella
riportata nel Formulario del SIC delle Torbiere del Tonale.
Stato di conservazione
Favorevole
(verde)
FV
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RELAZIONE - REV. 0
2.5.
HABITAT E ESIGENZE ECOLOGICHE DELLE SPECIE FAUNISTICHE DI INTERESSE COMUNITARIO
2.5.1. PREMESSA
All’interno della ZPS è riportata la presenza di diverse specie faunistiche riportate negli Allegati della
Direttiva Habitat e Uccelli. In particolare i Formulari di Presentazione della ZPS e dei SIC indicano:
- 17 specie ornitiche ricomprese nell’Allegato I della Direttiva Uccelli
- Due specie di mammiferi compresi nell’Allegato II della Direttiva Habitat
- Due specie di pesci compresi nell’Allegato II della Direttiva Habitat
- Una specie di invertebrati compresi nell’Allegato II della Direttiva Habitat
- Una specie di anfibi compresi nell’Allegato II della Direttiva Habitat
In particolare la presenza di Circaetus gallicus (Biancone) non è indicata nel Formulario della ZPS
bensì solo in quello del SIC dei Pascoli di Crocedomini. Si propone pertanto l’adeguamento del
Formulario della ZPS includendo le due suddette specie.
Sono stati inoltre inclusi nel Formulario, poiché la loro presenza è stata accertata nella ZPS, la lince
(Lynx lynx), il lupo (Canis lupus) e un odonato in lista rossa (Leucorrhinia dubia)
2.5.2. UCCELLI
2.5.2.1.
Pernis apivorus - Falco pecchiaiolo
Specie fortemente gregaria in migrazione ma solitaria nel periodo riproduttivo. Nidifica su alberi in
zone boscate di latifoglie e conifere pure o miste, in aree confinanti con zone erbose aperte. In
periodo riproduttivo frequenta boschi cedui e misti, prati e pascoli di media quota. Durante il
periodo migratorio in ogni ambiente, anche in alta quota.
Ha interazioni aggressive verso altri rapaci all'interno del territorio riproduttivo. Sovente si associa
con altri rapaci o Uccelli di grosse dimensioni durante la migrazione. Durante la caccia esplora il
terreno e manovra con agilità a quote medio-basse, sia in ambienti aperti che boscosi. Può cercare
gli insetti anche sul terreno dove si muove con destrezza. A volte cerca le prede da posatoi poco
elevati. L’alimentazione è costituita prevalentemente da larve e pupe di Imenotteri sociali, in
particolare vespe, calabroni e bombi raccolti all'interno del nido che viene distrutto; le api rientrano
raramente nella dieta. In periodi di carenza di Imenotteri vengono cacciati altri Insetti ma anche
Anfibi, Rettili ed Uccelli.
La minaccia principale alla conservazione di questa specie è rappresentata dal prelievo illegale.
Secondariamente si segnalano i fenomeni di elettrocuzione, il disturbo ai nidi o l’esecuzione di lavori
di gestione forestale in grado di compromettere il successo della fase di nidificazione.
A livello nazionale la specie non presenta particolari problemi di conservazione.
Nel territorio dell’Adamello è segnalato, oltre che nel Formulario della ZPS, anche in quattro SIC
ricompresi: Val Rabbia – Val Gallinera, Pascoli di Crocedomini, Piz Olda – Val Malga, Pizzo Badile –
Alta Val Zumella. Di seguito si riporta il giudizio contenuto nel formulario.
Nome
Popolazione
Valutazione sito
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PIANO DI GESTIONE ZPS IT 2070401 “PARCO NATURALE DELL’ADAMELLO”
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PIANO DI GESTIONE SIC IT 2070012 “TORBIERE DI VAL BRAONE”
RELAZIONE - REV. 0
Migratoria
Riprod
Svern. Stazion.
Riprod.
Pernis
apivorus
R
Popolazione
Conservazione
Isolamento
Globale
C
B
C
B
R
A fronte del buono stato di conservazione a livello nazionale, il giudizio non ottimale è
probabilmente dovuto alla non perfetta idoneità del territorio dell’Adamello alla specie. Nel
complesso non si ravvisano particolari minacce anche a livello di ZPS.
Stato di conservazione
Favorevole
(verde)
FV
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PIANO DI GESTIONE SIC IT 2070012 “TORBIERE DI VAL BRAONE”
RELAZIONE - REV. 0
2.5.2.2.
Circus cyaneus - Albanella reale
Specie da solitaria a moderatamente gregaria; a volte in gruppi più consistenti in dormitori comuni e
nei periodi di migrazione. Questo rapace frequenta, sia per lo svernamento che per la nidificazione,
una vasta gamma di ambienti aperti: pascoli, coltivi, incolti, praterie, zone umide, garighe, brughiere
e zone cespugliate.
Caccia volando a pochi metri dal suolo e durante lo svernamento si disperde su vaste superfici per
l’alimentazione diurna, mentre per il riposo notturno sono possibili concentrazioni anche di alcune
decine di individui, per lo più all’interno di zone umide con discreta copertura vegetale o in località
riparate in aree collinari. Si alimenta principalmente di piccoli uccelli, sia nidiacei che adulti, e piccoli
roditori.
L’Albanella reale predilige climi temperati, anche tendenzialmente freddi, pur evitando aree
montane scoscese, foreste troppo fitte, zone umide con vegetazione troppo alta. L’habitat ideale è
invece costituito da un’ampia varietà di aree aperte con vegetazione bassa quali steppe, praterie,
brughiere, arbusteti, dune, margini di paludi, boschi radi o con alberi di piccola taglia. Spesso un
singolo territorio include più di un habitat.
Per riportare alcuni dati generali su successo riproduttivo e produttività nelle principali aree di
nidificazione in Europa, si può parlare di successo di schiusa medio pari a 1,3 giovani per coppia. Un
dato parecchio influenzato dalla disponibilità di prede, come dimostra il caso della Norvegia dove,
negli anni in cui i roditori erano presenti in abbondanza, la produttività è salita a 2,25, per tornare a
1,8 gli altri anni, il dato medio per quel Paese. Oltre alla disponibilità di prede, fattori cruciali in
grado di compromettere il successo riproduttivo e per conseguenza, la sopravvivenza delle
popolazioni sono l’abbandono delle covate (causato dalla poligamia particolarmente diffusa in
questa specie e in alcune particolari stagioni), ma soprattutto la scarsa tolleranza al disturbo da
parte dell’uomo, che costituisce la principale causa di mancata schiusa delle uova. Altra minaccia
per i giovani di Albanella reale è dovuta alle condizioni meteorologiche, specialmente in
conseguenza di lunghi periodi di clima freddo e umido.
La riduzione dell’habitat e la persecuzione diretta restano in ogni caso le principali cause del declino
della specie in molti Paesi europei. Una ulteriore minaccia, più recente, è costituita dalla crescente
meccanizzazione in agricoltura nonché dalla progressiva urbanizzazione, che ha ulteriormente
ridotto l’habitat idoneo per la specie.
Terra Viva studio agroforestale – via del Carmine 2A, 27029 Vigevano (Pv)
153
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PIANO DI GESTIONE SIC IT 2070006 “PASCOLI DI CROCEDOMINI – ALTA VAL CAFFARO”
PIANO DI GESTIONE SIC IT 2070012 “TORBIERE DI VAL BRAONE”
RELAZIONE - REV. 0
Nel territorio dell’Adamello è segnalato, oltre che nel Formulario della ZPS, anche in cinque SIC
ricompresi: Torbiere di Val Braone, Ghiacciaio dell’Adamello, Pascoli di Crocedomini, Piz Olda – Val
Malga, Pizzo Badile – Alta Val Zumella. Di seguito si riporta il giudizio contenuto nel formulario.
Nome
Circus
cyaneus
Riprod.
Popolazione
Migratoria
Riprod
Svern. Stazion.
Valutazione sito
Popolazione
P
Conservazione
Isolamento
Globale
D
Gli scarsi dati di presenza non permettono di trarre un giudizio sullo stato di conservazione.
Sconosciuto
XX
Terra Viva studio agroforestale – via del Carmine 2A, 27029 Vigevano (Pv)
154
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RELAZIONE - REV. 0
2.5.2.3.
Aquila chrysaetos - Aquila reale
Specie territoriale che possiede un forte vincolo monogamico per tutta la vita (anche se la
riproduzione non avviene tutti gli anni) ed uno stretto legame con il territorio durante l’anno.
Predilige le zone montagnose con ampie praterie e pascoli, dove caccia, e ripide pareti rocciose. I
siti di nidificazione sono costituiti spesso da rocce di ridottissime dimensioni, a volte
completamente nascoste dalla vegetazione arborea.
L’alimentazione è costituita prevalentemente da uccelli e mammiferi, ma anche da rettili ed
occasionalmente da insetti e pesci. Si nutre anche di carogne. Caccia sia all’agguato che in volo
esplorativo cercando di sorprendere le prede sfruttando gli ostacoli naturali. Spesso caccia in
coppia: un individuo vola basso per spaventare la preda e l’altro dall’alto la ghermisce.
Generalmente cattura la preda a terra ma nel caso di uccelli anche in volo. Passa molto tempo
appollaiata e vola in genere nella parte centrale della giornata utilizzando le correnti ascensionali.
Presente tra 100 e 2.000 metri di altitudine; nidifica soprattutto tra 600 e 1.400 metri di quota. La
deposizione avviene fra marzo e aprile, massimo metà marzo-inizio aprile.
L’incremento delle popolazioni registrato in questi ultimi anni ha portato la consistenza della specie,
in molte aree del Paese, molto vicino al Valore di Riferimento Favorevole, e “saturato” la capacità
portante degli habitat relativi. Elementi di criticità restano in Appennino, dove il trend positivo è
meno evidente e dove si sono registrati locali decrementi. In generale, il giudizio complessivo sullo
stato di conservazione dell’Aquila reale nel nostro Paese non può prescindere da una ancora
insufficiente tutela dei siti riproduttivi, soprattutto nel caso di popolazioni ridotte, mentre il
progressivo abbandono delle attività agro-pastorali in montagna – e la conseguente riduzione degli
ambienti aperti a disposizione della specie – non costituiscono un buon segnale rispetto al
mantenimento in condizioni idonee, nel medio termine, dell’habitat riproduttivo
Nel caso delle Alpi, il problema principale – pur in un quadro generale piuttosto confortante –
appare determinato dal ritorno del bosco e di vegetazioni “chiuse” a scapito degli ambienti aperti
favoriti dall’Aquila reale per la ricerca di prede. Un fatto determinato dall’abbandono delle attività
agro-pastorali che sembra costituire il principale elemento a sfavore della conservazione della
specie in questa regione, dove la popolazione pare oramai aver saturato la capacità portante
dell’ambiente.
Nel caso specifico dell’Adamello si fa riferimento allo studio conoscitivo svolto sull’Aquila reale
(Aquila chrysaetos) svolto dal Dott. Borgo. Pur nei limiti con cui è stato svolto il monitoraggio,
richiamati dallo stesso Borgo, lo studio rappresenta una prima fotografia della consistenza di questa
specie di interesse comunitario. Emerge come siano presenti cinque coppie di aquila reale, che
formano un’unica grande popolazione con gli esemplari viventi nel Parco Adamello-Brenta e nel
Parco dello Stelvio.
Particolarmente interessante è il dato relativo ai fattori limitati che influiscono su questa specie. È
infatti emerso come un fattore limitante possa essere costituito dalla scarsa presenza di ungulati e
dalla conseguente scarsità di prede nel periodo invernale. Sempre tra i fattori potenzialmente
limitanti viene segnalato anche il problema dell’elettrocuzione, ostativo anche ad un possibile
ritorno del Gipeto. Scarsamente rilevante è invece giudicato il prelievo venatorio illegale.
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Nel territorio dell’Adamello è segnalato, oltre che nel Formulario della ZPS, anche nella gran parte
dei SIC ricompresi, ad esclusione delle Torbiere di Val Braone e delle Torbiere del Tonale Di seguito
si riporta il giudizio contenuto nel formulario.
Nome
Aquila
chrysaetos
Riprod.
Popolazione
Migratoria
Riprod Svern. Stazion.
Valutazione sito
Popolazione
Conservazione
Isolamento
Globale
C
A
C
A
C
Stato di conservazione
Favorevole
(verde)
FV
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2.5.2.4.
Bonasa bonasia - Francolino di monte
L’habitat del francolino di monte comprende una fascia che va dai 600 ai 1300 metri s.l.m., ma con
condizioni molto favorevoli si spinge fino ai 1800-1900 metri. Generalmente predilige i boschi di
latifoglie costituiti da faggio, ontano e betulla. Lo si può comunque trovare anche nei boschi di
conifere se in presenza di sottobosco. Le sue esigenze vitali necessitano anche di radure erbose
nelle quali pascola.
L’ alimentazione del francolino di monte comprende germogli di leguminose, foraggi frutti selvatici,
tra cui mirtilli, sambuco, more nei mesi estivi e primaverili, mentre in inverno si nutre di aghi e
rametti. L’ alimentazione del pulcino è più ricca di proteine cibandosi anche di insetti, larve,
lombrichi e altri invertebrati fino a che non ha perfezionato la tecnica di volo.
A condizionare le popolazioni di Francolino di monte nel nostro Paese sono stati sostanzialmente
l’alterazione e il disturbo agli habitat riproduttivi, i cambiamenti climatici, il bracconaggio, l’alta
mortalità dei pulcini alla schiusa e la sovrappopolazione in concomitanza con periodi di scarsità di
cibo. Solo parte di questi fattori può essere spiegata con “cause naturali”, per esempio la
fluttuazione periodica delle popolazioni, abbastanza tipica in questa famiglia di uccelli.
Occasionalmente può essere favorito da episodi “eccezionali” quali incendi, forti tempeste di vento
o di neve, in quanto episodi simili possono favorire la rinnovazione del bosco, particolarmente
importante per questa specie. Resta il fatto che il Francolino di monte risente in modo particolare
del disturbo e delle alterazioni ambientali dovute alle attività umane, in modo particolare quelle
legate alle attività di gestione forestale e allo sfruttamento a fini turistici.
Anche altri cambiamenti nell’habitat solo indirettamente legati alla presenza umana – repentine
variazioni nelle condizioni meteorologiche e nella relativa disponibilità di cibo – possono influenzare
molto la vita della specie, con particolare riguardo alla possibilità di sopravvivenza dei pulli. Nelle
condizioni attuali, le densità più favorevoli di Francolino di monte sulle nostre Alpi non superano le
due o tre coppie ogni 100 ettari, con una spiccata dipendenza al bosco solo parzialmente
antropizzato alternato a malghe e baite circondate da prati e pascoli.
A causa di questi fattori, l’areale di nidificazione della specie si è progressivamente ridotto. Gli stessi
habitat tuttora idonei per il Francolino di monte non presentano le caratteristiche ideali per la
specie, essendo compresi in aree particolarmente sfruttate a fini turistici, soggette a una gestione
forestale intensiva e – allo stesso tempo – sempre meno utilizzate per pratiche agro-pastorali di tipo
tradizionale.
Negli ultimi decenni, l’areale distributivo della specie non ha subito particolari modificazioni.
Tuttavia, storicamente, questo era di certo più ampio, mentre l’apparente frenata del trend
negativo a cui si è assistito negli ultimissimi anni non ha ancora compensato un’evoluzione non
favorevole per la specie. A giocare un ruolo chiave nella moderata – e non ancora consolidata –
inversione di tendenza è comunque senza dubbio la maggiore attenzione che è stata prestata, negli
ultimi anni, a una corretta attività di gestione forestale, specialmente in prossimità dei siti di
riproduzione e alimentazione. Solo proseguendo su questa strada il Francolino di monte potrà
avvicinarsi alle densità ottimali, un obiettivo ancora lontano anche in quelle aree d’Italia in cui la
situazione della specie appare più favorevole.
Terra Viva studio agroforestale – via del Carmine 2A, 27029 Vigevano (Pv)
157
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RELAZIONE - REV. 0
Nel territorio dell’Adamello è segnalato, oltre che nel Formulario della ZPS, anche in quattro SIC
ricompresi: Val Rabbia – Val Gallinera, Pascoli di Crocedomini, Piz Olda – Val Malga, Pizzo Badile –
Alta Val Zumella. Di seguito si riporta il giudizio contenuto nel formulario.
Nome
Bonasa
bonasia
Riprod.
Popolazione
Migratoria
Riprod Svern. Stazion.
Valutazione sito
Popolazione
Conservazione
Isolamento
Globale
B
A
B
A
51-100p
Stato di conservazione
Favorevole
(verde)
FV
Terra Viva studio agroforestale – via del Carmine 2A, 27029 Vigevano (Pv)
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RELAZIONE - REV. 0
2.5.2.5.
Tetrao urogallus - Gallo Cedrone
Il gallo cedrone si può trovare nell’orizzonte montano (1000-1800m) nella foresta mista di conifere
e latifoglie, estesa e poco disturbata, con alberi vecchi e rami robusti per facilitarne lo spostamento.
Preferisce boschi maturi strutturati e diversificati con ricco sottobosco per l’alimentazione e la
difesa dai predatori.
Il gallo cedrone ha esigenze ambientali precise ed è quindi particolarmente sensibile alle
modificazioni degli habitat e del paesaggio, sia naturali sia provocati dall’uomo. Le arene di canto,
dove il gallo cedrone effettua la parata per attirare le femmine, sono porzioni di foresta aperte e
ben definite. Il gallo cedrone in estate mangia vegetali verdi, formiche, bacche e frutti come
lamponi, fragole e mirtilli; mentre in inverno mangia gemme, aghi di conifere e germogli del
sottobosco.
Tra gli anni Cinquanta e gli anni Ottanta la popolazione di Gallo cedrone ha conosciuto una
progressiva rarefazione nell’intero areale distributivo. Nelle sole Alpi Carniche tra il 1955 e il 1980 il
decremento registrato è stato pari a oltre il 75%. Nonostante una successiva breve fase di stabilità,
e la sospensione della caccia nella maggior parte delle province in cui la specie è presente, la fase di
declino non appare al momento del tutto esaurita.
Tra i fattori che spiegano questo decremento, da sottolineare certamente l’interferenza da parte
dell’uomo, la predazione ai nidi, le precipitazioni o le temperature anomale, che interferiscono in
modo particolare sulla sopravvivenza dei giovani. Altre minacce più generali sono dovute alla
frammentazione e alla riduzione dell’habitat, all’impatto delle attività di gestione forestale, al
disturbo da parte dell’uomo specialmente durante la primavera. Altri fattori di grave minaccia sono
costituiti dal bracconaggio e in alcune aree dal frequente impatto contro i cavi elettrici.
Il Gallo cedrone è una specie forestale, legata a boschi ben strutturati con piccole radure e ricco
sottobosco. Determinante per l’alimentazione e la difesa dai predatori è la presenza di un
sottobosco diversificato, con “rinnovazioni” di faggio, mirtilli, salici, ontano, sorbo degli uccellatori.
Generalmente il Gallo cedrone predilige la fascia altimetrica compresa tra i 1.100 e i 1.500 m,
mentre è stata osservata una correlazione evidente tra le caratteristiche climatiche dei siti – anche
in termini di piovosità annua – e la scelta da parte dei maschi delle opportune radure in cui
effettuare, a primavera, l’attività riproduttiva.
Non stupisce che oltre alla persecuzione diretta e al degrado dell’habitat siano i mutamenti del
clima – con frequenti eventi meteorologici eccezionali e “fuori stagione” – ad aver contribuito in
modo determinante alla contrazione delle popolazioni di Gallo cedrone. Da rilevare come l’idoneità
dei siti in cui costruire il nido è legata anche a fattori apparentemente secondari quali la presenza di
formicai con cui nutrire i giovani e di bacche di mirtillo nero con cui nutrire adulti e pulcini. Per
questo anche le attività di gestione forestale intensiva – su tutte il taglio a raso di porzioni di bosco
– hanno un impatto localmente molto negativo sulla specie, con la conseguenza inevitabile
dell’abbandono da parte dei maschi delle consuete “arene di canto”.
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RELAZIONE - REV. 0
Molto ridotta, in valore assoluto, rispetto al passato, la popolazione italiana di Gallo cedrone è
attualmente in una situazione di grande criticità, anche considerando che ambienti in linea di
principio idonei ad ospitarla – le Prealpi e in generale la porzione più occidentale dell’areale di
nidificazione – sono stati progressivamente abbandonati. Una gestione forestale più in linea con le
esigenze ecologiche della specie e l’annullamento del prelievo venatorio sono condizioni essenziali
per la salvaguardia delle popolazioni residue. In termini più generali, è auspicabile anche una decisa
azione di contrasto ai mutamenti climatici, visto che anche una pluviometria anomala può causare il
totale abbandono dei siti riproduttivi da parte dei maschi adulti. Abbondantemente al di sotto, in
quasi tutti i siti monitorati, del valore di densità ideale per garantire la sopravvivenza a lungo
termine delle popolazioni, il Gallo cedrone nel nostro Paese si trova attualmente in uno stato di
conservazione ampiamente insoddisfacente.
Nel territorio dell’Adamello è segnalato, oltre che nel Formulario della ZPS, anche in due SIC
ricompresi: Monti Marser – Corni di Bos, Pascoli di Crocedomini. Di seguito si riporta il giudizio
contenuto nel formulario.
Nome
Tetrao
urogallus
Riprod.
6 – 10m
Popolazione
Migratoria
Riprod Svern. Stazion.
Valutazione sito
Popolazione
Conservazione
Isolamento
Globale
C
B
A
B
Stato di conservazione
Non favorevole
Inadeguato
('giallo')
U1
Terra Viva studio agroforestale – via del Carmine 2A, 27029 Vigevano (Pv)
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RELAZIONE - REV. 0
2.5.2.6.
Charadrius morinellus - Piviere tortolino
Nidifica sopra il limite superiore della vegetazione cespugliosa prostrata, in zone aperte pietrose con
vegetazione erbacea rada e bassa, zone umide, praterie, pascoli d’altura e prati umidi.
Diffuso tra 2000 e 2650 metri. Alimentazione fondamentalmente carnivora: si ciba principalmente
d’insetti e ragni, ma occasionalmente anche di gasteropodi, lumbricidi e materiale vegetale (foglie,
bacche e semi).
Migratore per eccellenza, sverna in Africa settentrionale, centrale e Medio Oriente. Rarissima in
Italia, e nidificante solo occasionale, la specie risulta di grande interesse dal punto di vista
conservazionistico.
Dall’apertura alare di circa 60 cm per una lunghezza che non supera i 20 cm, il Piviere tortolino
appartiene alla famiglia dei trampolieri. Il piumaggio si caratterizza per una colorazione olivastra,
che si fa più scura sul dorso, mentre il capo appare nero, con la classica macchia bianca tra gli occhi
e il collo.
Anche banali interventi antropici – frequenti in aree a forte presenza umana come le nostre Alpi e
Appennini – possono alterare profondamente il delicato equilibrio che consente al Piviere di
costruire il nido. Anche la semplice costruzione di una strada forestale, l’apertura di una nuova pista
da sci – specialmente sui siti alpini – possono causare la totale perdita di idoneità per l’habitat.
Il Piviere tortolino è infatti una specie dalle esigenze ecologiche abbastanza complesse ed
eccentriche allo stesso tempo. Tipicamente, predilige la tundra artica, dalla Scandinavia alla Scozia,
fino a nuclei sparsi che nidificano sui rilievi dell’Europa centrale. Evita accuratamente le aree troppo
ricche di vegetazione, mentre preferisce aree con rocce nude affioranti – purché su pareti non
troppo scoscese – alternate a vegetazione bassa. Condizioni che sono abbastanza difficili da trovare
sulle nostre montagne, peraltro fortemente antropizzate. Anche il clima gioca un ruolo
fondamentale nella sopravvivenza della specie, e si può affermare come le condizioni
meteorologiche avverse o anomale costituiscano la principale minaccia per la specie, nonché
principale causa di fallimento nella nidificazione.
Peraltro, anche la chiusura asincrona delle uova causa una bassissima possibilità di sopravvivenza
degli ultimi nati, a parità di altre condizioni. Resta comunque – limitatamente alla Lombardia – la
gestione intensiva della montagna a fini forestali (costruzione strade sterrate) o turistici
(costruzione piste da sci) uno dei principali ostacoli allo stabilirsi di un gruppo, se pure modesto, di
coppie stabilmente nidificanti.
Terra Viva studio agroforestale – via del Carmine 2A, 27029 Vigevano (Pv)
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RELAZIONE - REV. 0
Nel territorio dell’Adamello è segnalato, oltre che nel Formulario della ZPS, anche in quattro SIC
ricompresi: Piz Olda – Val Malga, Pizzo Badile – Alta Val Zumella, Pascoli di Crocedomini, Ghiacciaio
dell’Adamello. Di seguito si riporta il giudizio contenuto nel formulario.
Nome
Popolazione
Migratoria
Riprod
Svern. Stazion.
Riprod
Charadrius
morinellus
Valutazione sito
Popolazione
P
Conservazione
Isolamento
Globale
D
Gli scarsi dati di presenza non permettono di trarre un giudizio sullo stato di conservazione.
Stato di conservazione
Sconosciuto
XX
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RELAZIONE - REV. 0
2.5.2.7.
Bubo bubo - Gufo reale
E’ una specie predatrice di abitudini parzialmente crepuscolari e notturne. Frequenta ambienti
montuosi con foreste, soprattutto in aree rocciose, pareti ripide e alberi maturi (preferibilmente
conifere) e caccia in ambienti aperti sia di fondovalle che nelle praterie e pascoli alpini. Nidifica su
ripide pareti rocciose, a terra tra rocce e cespugli, in cavità di alberi vetusti o in vecchi nidi
abbandonati da altri rapaci. Si nutre di mammiferi (ricci, topi, lepri,...) e di uccelli.
Impatto contro i cavi elettrici e alterazione dell’habitat sembrano essere le principali minacce che
pesano attualmente sulla specie, essendo parzialmente rientrata quella della persecuzione diretta,
grazie a norme nazionali e internazionali fortunatamente molto attente a questa come ad altre
specie di rapaci in pericolo. Ciononostante, il disturbo umano rappresenta tuttora un grave ostacolo
all’incremento delle popolazioni, prova ne è che i siti alpini e prealpini in cui la specie ha conosciuto
un incremento si limitano alle aree meno antropizzate e sfruttate dal punto di vista turistico.
Poco incline ad occupare aree a vegetazione troppo fitta, il Gufo reale predilige ambienti aperti e
impervi, sebbene molto raramente nidifica nelle vicinanze di aree urbane, usate come terreno di
caccia – data l’abbondanza di specie preda quali ratti, piccioni, ecc – anche se in generale la
presenza di attività umane, soprattutto se poste a ridosso dei siti di nidificazione, possono
comprometterne totalmente il successo riproduttivo. Anche le avverse condizioni meteorologiche
sono causa di gravi sofferenze a livello locale, essendo stata dimostrata una produttività
particolarmente bassa in stagioni caratterizzate da piovosità eccessiva.
In generale, il successo riproduttivo del Gufo reale appare fortemente condizionato dalla situazione
climatica, oltre che dall’altitudine – diminuisce cioè all’aumentare della quota – mentre la
disponibilità di cibo gioca un ruolo chiave nella produttività della coppia, come dimostrano le
indagini effettuate in Trentino-Alto Adige. Oltre a questo, pesa sulla specie la duplice minaccia
dell’elettrocuzione e della chiusura degli ambienti aperti causata dall’abbandono delle pratiche
agricole e pastorali tradizionali.
Localmente, con riguardo alla popolazione italiana, anche il traffico veicolare e ferroviario che
insiste sulle aree montuose – comunque piuttosto antropizzate – costituisce una minaccia per la
specie, nonostante per costruire il nido il Gufo reale privilegi versanti rocciosi particolarmente
impervi, comunque ubicati in vallate ampie in cui poter cacciare.
Terra Viva studio agroforestale – via del Carmine 2A, 27029 Vigevano (Pv)
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RELAZIONE - REV. 0
Nel territorio dell’Adamello è segnalato, oltre che nel Formulario della ZPS, anche in cinque SIC
ricompresi: Monti Marser – Corni di Bos, Val Rabbia – Val Gallinera, Piz Olda – Val Malga, Pizzo
Badile – Alta Val Zumella, Pascoli di Crocedomini. Di seguito si riporta il giudizio contenuto nel
formulario.
Nome
Bubo bubo
Popolazione
Migratoria
Riprod
Svern. Stazion.
Riprod
R
Valutazione sito
Popolazione
Conservazione
Isolamento
Globale
C
B
C
B
Stato di conservazione
Non favorevole
Inadeguato
('giallo')
U1
Terra Viva studio agroforestale – via del Carmine 2A, 27029 Vigevano (Pv)
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RELAZIONE - REV. 0
2.5.2.8.
Glaucidium passerinum - Civetta nana
Specie strettamente forestale che trae vantaggio dalla presenza di boschi maturi e ben strutturati
sia a livello specifico (boschi misti di latifoglie e conifere con sottobosco ricco di piante utili
all’alimentazione delle prede) che spaziale (popolamenti disetanei, con radure, in cui piante giovani
si alternano a piante mature e senescenti). Utilizzano le cavità scavate dai picchi per nidificare.
L’alimentazione è basata su micro mammiferi (soricidi, muridi, microtini, gliridi) e, in minor grado,
su uccelli.
Intollerante al disturbo umano, specialmente durante il periodo riproduttivo, la specie ha sofferto e
soffre per l’abbattimento delle piante in cui siano presenti cavità naturali o vecchi nidi di Picchi.
Attività di gestione forestale intensiva possono minacciare o comunque fortemente limitare la
presenza della specie a livello locale.
È invece la disponibilità di cibo ad influenzare grandemente il successo riproduttivo della Civetta
nana, che non supera i 0,5-0,6 giovani involati per coppia sulle Alpi centro-occidentali, 0.2-0,3 nella
Foresta del Cansiglio e in altre località del vicino Alto Adige. Estremamente dipendente dalle
formazioni arboree mature di conifere – o miste – la Civetta nana può beneficiare in modo
particolare della presenza non solo di cavità naturali o artificiali come le cassette nido, dimostrando
di rispondere bene ad interventi di tutela e ripristino dei siti di nidificazione.
In inverno la specie può anche abbandonare i boschi strutturati – necessari per la costruzione del
nido – e tollerare aree a più elevata presenza umana. Resta comunque un profondo legame di
questa specie – di cui andrebbero in ogni approfonditi i fattori in grado di influenzare e limitare il
successo riproduttivo – con i grandi boschi alpini, purtroppo soggetti a elevata pressione antropica
sia per attività di gestione forestale intensiva sia a causa dell’elevato sfruttamento a fini turistici.
Numericamente ancora ridotta, la popolazione di Civetta nana nel nostro Paese soffre tuttora della
mancanza di una diffusa sensibilità rispetto a una gestione forestale di tipo “naturalistico”, più in
linea con le esigenze ecologiche di questa specie. Tanto più che, a differenza di altri rapaci, la
Civetta nana dipende strettamente dal bosco sia per la caccia sia, soprattutto, per la costruzione del
nido. È infatti rarissimo osservare questa specie a terra, mentre le stesse cavità o cassette nido
vengono utilizzate dalla Civetta nana non solo per la riproduzione ma anche per l’accumulo di scorte
di cibo da consumare durante la stagione fredda.
Apparentemente stabili, le popolazioni di Civetta nana risultano favorite dall’incremento della
superficie boscata, che invece ha conseguenze particolarmente nefaste su altre specie di rapaci più
legate agli ambienti aperti. Resta in ogni caso l’esigenza di una gestione forestale più attenta alle
esigenze ecologiche della specie, minacciata in modo particolare dal taglio delle piante d’alto fusto
in cui siano presenti cavità naturali – o residuo di altre specie – idonee per la costruzione del nido.
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RELAZIONE - REV. 0
Nel territorio dell’Adamello è segnalato, oltre che nel Formulario della ZPS, anche in cinque SIC
ricompresi: Monti Marser – Corni di Bos, Val Rabbia – Val Gallinera, Piz Olda – Val Malga, Pizzo
Badile – Alta Val Zumella, Pascoli di Crocedomini. Di seguito si riporta il giudizio contenuto nel
formulario.
Nome
Glaucidium
passerinum
Riprod
Popolazione
Valutazione sito
Migratoria
Popolazione Conservazione Isolamento Globale
Riprod
Svern. Stazion.
R
C
B
C
B
Stato di conservazione
Favorevole
(verde)
FV
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2.5.2.9.
Aegolius funereus - Civetta capogrosso
Specie tipicamente forestale legata a estesi corpi boschivi di aghifoglie (soprattutto boschi di abete
rosso) con una struttura disetanea e compatta e dove siano presenti alberi d’alto fusto maturi, ricchi
in cavità dove poter nidificare. Si alimenta di micromammiferi cacciati all’agguato e di piccoli uccelli
catturati in volo; occasionalmente si ciba anche di insetti e anfibi. Le uova vengono deposte in cavità
degli alberi, in particolare in vecchi nidi di picchio nero. Le covate sono composte da 3-5 uova; La
civetta capogrosso è specie stanziale che tuttavia mostra un certo comportamento nomadeerratico, probabilmente collegato alle disponibilità alimentari; questo comportamento appare più
frequente nelle femmine.
Tipicamente stanziale, la Civetta caporosso compie invece movimenti importanti a seconda delle
stagioni, preferendo trasferirsi a quote più basse durante l’inverno o in occasione di stagioni
particolarmente rigide. Come la “cugina” Civetta nana, appare fortissima la sua dipendenza da
foreste mature e strutturate, tipicamente, alle nostre latitudini, foreste di conifere o boschi misti
con betulle e pioppi.
Questo si spiega con la necessità di individuare siti idonei per la nidificazione, cavità naturali o più
spesso cavità lasciate libere da Picidi, e in particolare il Picchio nero. Proprio l’abbondanza del
Picchio nero appare positivamente correlata alla presenza della Civetta capogrosso, mentre è stata
evidenziata una competizione con l’Allocco Strix aluco che ne limiterebbe la presenza.
In definitiva, la distribuzione della Civetta capogrosso appare più condizionata dalla presenza del
picchio nero che da altri fattori ambientali. Questa specie infatti non appare molto sensibile al
disturbo umano, mentre una buona alternativa alle cavità naturali è costituita da idonee cassette
nido, nelle quali, è stato dimostrato, la specie nidifica volentieri..
La gestione forestale intensiva con rimozione dai boschi delle piante con bassa resa economica –
alberi molto vecchi e ricchi di cavità – comporta la distruzione dei siti di nidificazione. È questa una
delle principali minacce per la specie, essendo quest’ultima dipendente in prima battuta
dall’abbondanza di Picidi ma, di conseguenza, delle piante che ospitano le cavità. Meno impattante
sulle popolazioni alpine è il problema della disponibilità di cibo, mentre la predazione – soprattutto
durante l’incubazione delle uova – può costituire un fattore chiave in grado di determinare l’esito
della riproduzione.
La stabilità delle popolazioni, l’incremento della superficie forestale, l’abbondanza e la diffusione
del Picchio nero, sembrano aver favorito la Civetta capogrosso. Questi fattori, uniti all’affermazione
di una maggior sensibilità rispetto agli aspetti naturalistici della gestione forestale – con particolare
riferimento alla salvaguardia di vecchie piante con cavità – potrebbero contribuire a mantenere
favorevole anche nei prossimi decenni lo stato di conservazione delle popolazioni di Civetta
capogrosso nel nostro Paese.
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Nel territorio dell’Adamello è segnalato, oltre che nel Formulario della ZPS, anche in cinque SIC
ricompresi: Monti Marser – Corni di Bos, Val Rabbia – Val Gallinera, Piz Olda – Val Malga, Pizzo
Badile – Alta Val Zumella, Pascoli di Crocedomini. Di seguito si riporta il giudizio contenuto nel
formulario.
Nome
Aegolius
funereus
Riprod
Popolazione
Valutazione sito
Migratoria
Popolazione Conservazione Isolamento Globale
Riprod
Svern. Stazion.
R
C
B
C
B
Stato di conservazione
Favorevole
(verde)
FV
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2.5.2.10. Caprimulgus europaeus - Succiacapre
Specie crepuscolare e notturna di indole territoriale, può aggregarsi in gruppi di poche decine di
individui in migrazione o in siti di riposo diurni. Frequenta ambienti aperti e soleggiati, spesso
cespugliati, ma con scarsa o nulla copertura arborea. E’ una specie molto elusiva difficile da rilevare
se non attraverso l’ascolto del canto territoriale emesso dai maschi; è spesso confusa con rapaci
notturni. Trascorre il giorno posato sul terreno nel sottobosco o su un ramo basso, restando
immobile, a rischio di essere calpestato.
L’alimentazione è costituita quasi esclusivamente da Insetti (Lepidotteri notturni, Coleotteri, Ditteri,
Odonati ecc.). Nidifica su suoli o versanti caldi e secchi, anche con affioramenti rocciosi, ai margini di
zone aperte. La deposizione avviene fra maggio e metà agosto.
Nei siti dove sono stati effettuati interventi mirati di sfalcio è stato riscontrato un aumento
importante e un’espansione territoriale della specie, che comunque non ha invertito il trend
generale orientato al decremento. Quello che emerge è comunque la forte dipendenza della specie
da quel “mosaico ambientale” in cui ambienti aperti si alternano a piccole aree boscate, un tempo
tipico delle zone soggette a pascolo o agricoltura estensiva.
L’abbandono delle aree agricole tradizionali di tipo estensivo – che offrivano un “mosaico
ambientale idoneo alla specie – così come la conversione delle stesse ad agricoltura intensiva,
hanno avuto e hanno un effetto deleterio sulla presenza della specie. Sempre più raro e degradato,
l’habitat “semi-aperto” necessario per il Succiacapre è stato ulteriormente minacciato dallo sviluppo
urbano, che ha reso incompatibile la convivenza di questo specie con l’uomo.
I boschi radi, le macchie arboree-arbustive, le radure nei boschi, le brughiere e le aree steppiche con
alberi e cespugli sparsi appaiono fondamentali per il completamento del ciclo riproduttivo della
specie. La perdita di questi ambienti, unita all’abuso di pesticidi nelle aree agricole – che ha causato
una drastica diminuzione della disponibilità di insetti, prede principali per questa specie – ha
progressivamente ridotto l’habitat idoneo per il Succiacapre, che si trova ora confinato in quelle
aree di media collina che offrono, seppure limitatamente, questo tipo di ambienti misti.
Particolarmente complesse appaiono infatti le esigenze ecologiche del Succicapre che soffre
l’agricoltura intensiva come l’eccessivo disturbo antropico, ma non tollera le aree con vegetazione
troppo densa e alta. Anche la capacità del suolo di assorbire e rilasciare il calore fornito dalla
radiazione solare è stato riportato da alcuni studi come fattore critico in grado di condizionare la
distribuzione e la densità della specie.
Nel territorio dell’Adamello è segnalato, oltre che nel Formulario della ZPS, anche in quattro SIC
ricompresi: Val Rabbia – Val Gallinera, Piz Olda – Val Malga, Pizzo Badile – Alta Val Zumella, Pascoli
di Crocedomini. Di seguito si riporta il giudizio contenuto nel formulario.
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Nome
Aegolius
funereus
Riprod
C
Popolazione
Valutazione sito
Migratoria
Popolazione Conservazione Isolamento Globale
Riprod
Svern. Stazion.
B
B
B
B
Stato di conservazione
Non favorevole
Inadeguato
('giallo')
U1
Terra Viva studio agroforestale – via del Carmine 2A, 27029 Vigevano (Pv)
170
PIANO DI GESTIONE ZPS IT 2070401 “PARCO NATURALE DELL’ADAMELLO”
PIANO DI GESTIONE SIC IT 2070006 “PASCOLI DI CROCEDOMINI – ALTA VAL CAFFARO”
PIANO DI GESTIONE SIC IT 2070012 “TORBIERE DI VAL BRAONE”
RELAZIONE - REV. 0
2.5.2.11. Picus canus - Picchio cenerino
Il Picchio cenerino è una specie tipicamente montana con una distribuzione ambientale, di mediaalta quota. Le località occupate sono principalmente boschi molto radi, su versanti assolati molto
ripidi o su pareti rocciose, ricchi di legno morto a terra e in piedi.
Nidifica in cavità scavate negli alberi. Specie insettivora, si nutre principalmente di formiche, che
cattura in prati, radure, campi e margini forestali.
In Friuli-Venezia Giulia la specie appare distribuita abbastanza uniformemente, con una popolazione
stimata che potrebbe raggiungere anche le 350 coppie. Meno diffusa la specie in Veneto, dove le
principali popolazioni – 80-100 coppie – sono confinate nel bellunese, mentre la presenza nella
Lombardia orientale è stata accertata solo di recente, con una consistenza non superiore alle 10
coppie. È invece il Trentino che ospita le popolazioni più importanti, con trend orientati alla stabilità
accompagnati da incrementi ed espansioni locali. La Lombardia, invece, è solo marginalmente
interessata da questa specie
Anche il Picchio cenerino – così come quelle specie che utilizzano il suo nido una volta abbandonato
– ha sofferto molto per la gestione forestale intensiva, che rappresenta attualmente la minaccia
principale per la specie in Italia. La rimozione di alberi morti o malati – che rappresentano invece
l’ideale per questa specie – provoca la drastica diminuzione dei siti idonei per la nidificazione.
In generale, il Picchio cenerino predilige foreste miste, non necessariamente di grandi dimensioni,
purché siano presenti vecchie piante in cui nidificare e purché al bosco si alternino ampie radure in
grado di favorire l’abbondante presenza del proprio “piatto” preferito: le formiche. Se nell’Europa
centrale il Picchio cenerino non vive, di solito, ad alta quota, sulle Alpi può anche superare i 2000 m.
In Trentino, dove vive la popolazione principale della specie, il Picchio cenerino predilige le foreste
rade, tipiche del limite dei boschi, dove agli abeti si sovrappongono i larici. In linea con le proprie
esigenze ecologiche, predilige versanti scoscesi o al limite dei pascoli, dove siano abbondanti le
piante vecchie o “marcescenti”. Le prime, purtroppo, ad essere eliminate durante le operazioni di
classica gestione forestale.
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RELAZIONE - REV. 0
Nel territorio dell’Adamello è segnalato solo nel Formulario della ZPS Di seguito si riporta il giudizio
contenuto nel formulario.
Nome
Picus canus
Riprod
V
Popolazione
Valutazione sito
Migratoria
Popolazione Conservazione Isolamento Globale
Riprod
Svern. Stazion.
D
Gli scarsi dati di presenza non permettono di trarre un giudizio sullo stato di conservazione.
Stato di conservazione
Sconosciuto
XX
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RELAZIONE - REV. 0
2.5.2.12. Dryocopus martius – Picchio nero
Frequenta formazioni forestali mature pure e miste di conifere e latifoglie, sempre associate alla
presenza di alberi morti e deperienti in piedi, ceppaie e necromassa al suolo. La specie è stanziale e
solitaria. Caratteristiche sono le manifestazioni di territorialità quali, i segni di presenza (buchi
scavati nei tronchi) e il frequente tambureggiare intensificato soprattutto durante la stagione
riproduttiva.
Durante il mese di aprile la coppia si impegna nella costruzione del nido, scavando grossi e profondi
buchi lungo i tronchi di vecchi alberi morti o deperienti, e, verso la fine del mese, la femmina vi
depone da 3 a 5 uova. La dieta è costituita da larve di formiche, vespe e insetti xilofagi, quali
coleotteri, che scova frugando tra le cortecce degli alberi grazie al robusto becco.
Il Picchio nero predilige alberi di grandi dimensioni, soprattutto boschi misti di faggio e abete
bianco, ma anche faggete pure, boschi di larici, ecc, purché appunto con ampia disponibilità di
grandi piante e una superficie forestale ben spaziata ed estesa. Occasionalmente può occupare
anche piccoli boschi, ed è comunque favorito dalla presenza di radure e praterie, che “offrono” cibo
in abbondanza, in particolare formiche.
Gli ambienti aperti sono frequentati preferibilmente lontano dalla stagione riproduttiva, mentre
sono le pratiche errate di gestione forestale a compromettere, nella maggior parte dei casi, il ciclo
vitale di questo uccello. Una volta scavate, infatti, le cavità possono essere utilizzate per più anni, sia
dal Picchio nero sia da altre specie – per esempio la Civetta capogrosso – con il risultato che
l’eliminazione di una sola pianta causa un danno rilevante e protratto nel tempo per diverse specie
di uccelli selvatici.
Molte di queste cavità, fra l’altro, vengono utilizzate non solo come nido ma anche come
dormitorio, da questa come da altre specie. Grandi abeti o vecchi faggi con elevata copertura della
chioma, a volte larici, pini silvestri, pioppi. Il Picchio nero mostra una buona adattabilità al tipo di
albero, anche se il faggio appare la specie dominante nel 50% dei casi.
A fare la differenza è appunto la grandezza degli alberi, e le piccole aree “aperte” che favoriscono la
presenza di formiche, principale nutrimento per questa specie. Pur essendo stati condotti studi
approfonditi sulla tipologia di alberi preferita dalla specie, che varia in modo sensibile da un sito
all’altro, pare che il Picchio nero sia positivamente influenzato anche dalla “percentuale di legna
morta” nell’albero, il che evidentemente favorisce lo scavo del nido.
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PIANO DI GESTIONE ZPS IT 2070401 “PARCO NATURALE DELL’ADAMELLO”
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PIANO DI GESTIONE SIC IT 2070012 “TORBIERE DI VAL BRAONE”
RELAZIONE - REV. 0
Nel territorio dell’Adamello è segnalato, oltre che nel Formulario della ZPS, anche in cinque SIC
ricompresi: Monti Marser – Corni di Bos, Val Rabbia – Val Gallinera, Piz Olda – Val Malga, Pizzo
Badile – Alta Val Zumella, Pascoli di Crocedomini. Di seguito si riporta il giudizio contenuto nel
formulario.
Nome
Aegolius
funereus
Riprod
Popolazione
Valutazione sito
Migratoria
Popolazione Conservazione Isolamento Globale
Riprod
Svern. Stazion.
R
C
A
C
B
Stato di conservazione
Favorevole
(verde)
FV
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RELAZIONE - REV. 0
2.5.2.13. Lanius collurio – Averla piccola
Diffusa dalla pianura alla montagna, frequenta aree aperte (coltivi, pascoli degradati, garighe,
incolti) caratterizzate dalla presenza di arbusti sparsi, piccoli alberi o boschetti, cespugli spinosi
(biancospino, prugnolo, rovo), siepi.
Specie territoriale. Volo diretto fra un posatoio e l’altro; caratteristica posa a terra ed immediato
ritorno sul posatoio; andatura ondulata su lunghe distanze. Caccia all’agguato da un posatoio
dominante tuffandosi sia sul terreno o fra i rami dei cespugli; trasporta le prede o con il becco o con
gli artigli e a volte le infila su rametti appuntiti o spine. Si nutre principalmente di insetti, soprattutto
Coleotteri. Utilizza però anche altri invertebrati, piccoli mammiferi, uccelli e rettili. Nidifica in luoghi
aperti con arbusti sparsi, piccoli alberi e cespugli, in brughiere o pascoli. La deposizione avviene da
inizio-metà maggio.
L’Averla piccola predilige le zone a clima temperato, mediterraneo e steppico, ad altitudini
prevalentemente medio basse. Climi anche occasionalmente rigidi, ma non troppo, in cui la
temperatura media di luglio non sia inferiore ai 16 gradi. Amante di aree aperte o semi-aperte, esige
comunque la presenza di arbusti o piccoli alberi usati sia per la costruzione del nido (soprattutto
siepi e cespugli) sia come posatoio per la caccia.
Spiccata è la preferenza di questo uccello per i grossi cespugli spinosi, anche isolati, dove la specie
nidifica e che utilizza anche quale “arma di supporto” per finire le prede, infilzate abilmente sulle
spine. La stessa densità riproduttiva appare influenzata dalla presenza di cespugli e aree ad erba
bassa, così come piccole estensioni di incolto garantiscono una certa abbondanza di insetti, che
vengono poi attesi – e predati – nelle aree a vegetazione più rada o bassa dove è più facile avvistarli.
Esigenze ecologiche che comportano sia l’intolleranza per aree più intensamente coltivate, sia per le
zone abbandonate dalle attività agro-pastorali tradizionali ove il bosco sta avanzando inesorabile.
Paradossalmente, un livello intermedio di “disturbo ecologico” sembra favorire la specie, che
predilige aree coltivate in maniera estensiva dove comunque siano salvaguardate piccole porzioni di
incolto nonché aree in cui siano presenti cespugli e alberelli utilizzati come posatoi o siti per la
nidificazione.
Predazione, cambiamenti climatici, potatura e fresatura di siepi e cespugli sono i principali fattori in
grado di determinare l’esito della riproduzione dell’Averla piccola, insieme alla disponibilità
alimentare. Nell’area mediterranea, in particolare, una minaccia importante per la specie può
essere rappresentata dall’elevato tasso di predazione ai nidi, mentre nell’Italia settentrionale è
probabilmente la gestione intensiva dei suoli – con potature e fresature in periodo riproduttivo – a
causare talvolta la perdita delle covate e comunque una maggiore esposizione delle stesse ai
predatori. L’intensificazione agricola, con la rimozione di aree marginali quali siepi e cespugli –
abbinato al pesante utilizzo di insetticidi che limita la quantità e la qualità delle prede disponibili –
Terra Viva studio agroforestale – via del Carmine 2A, 27029 Vigevano (Pv)
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PIANO DI GESTIONE ZPS IT 2070401 “PARCO NATURALE DELL’ADAMELLO”
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PIANO DI GESTIONE SIC IT 2070012 “TORBIERE DI VAL BRAONE”
RELAZIONE - REV. 0
costituisce attualmente la principale minaccia che pesa sulla popolazione di Averla piccola nel
nostro Paese.
Nel territorio dell’Adamello è segnalato, oltre che nel Formulario della ZPS, anche in sette SIC
ricompresi: Monti Marser – Corni di Bos, Val Rabbia – Val Gallinera, Piz Olda – Val Malga, Pizzo
Badile – Alta Val Zumella, Pascoli di Crocedomini, Torbiere del Tonale, Torbiere di Val Braone. Di
seguito si riporta il giudizio contenuto nel formulario.
Nome
Aegolius
funereus
Riprod
P
Popolazione
Valutazione sito
Migratoria
Popolazione Conservazione Isolamento Globale
Riprod
Svern. Stazion.
C
B
B
B
Stato di conservazione
Non favorevole
Inadeguato
('giallo')
U1
Terra Viva studio agroforestale – via del Carmine 2A, 27029 Vigevano (Pv)
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RELAZIONE - REV. 0
2.5.2.14. Lagopus mutus helveticus – Pernice bianca
La Pernice bianca, sedentaria e nidificante, vive esclusivamente al di sopra del limite superiore delle
foreste in aree dove si alternano praterie alpine, pietraie, vallette nivali, pendii con arbusti nani e
zone a zolle pioniere con pietraie e rocce affioranti. Raramente osservabile sotto i 2000 metri di
quota. Le deposizioni avvengono nel mese di giugno.
In estate predilige i versanti freschi, di esposizione settentrionale, e le vallette nivali; in inverno si
porta sui versanti esposti a sud, sulle creste ventose e sui versanti più ripidi dove la neve scivola via
rapidamente.
La dieta è quasi esclusivamente vegetariana negli adulti e si basa, in funzione della stagione, su parti
verdi, apici, gemme, rametti e cortecce di ericacee, salici e graminacee, unitamente a licheni. Come
tutti i galliformi, i pulcini nelle prime tre settimane di vita si nutrono quasi esclusivamente di insetti,
fonte di proteine indispensabili per favorire il rapido accrescimento.
In progressiva scomparsa nelle Prealpi, la Pernice bianca è ancora cacciabile in alcune province
italiane dove l’attività venatoria va a sommarsi al più grave problema dei cambiamenti climatici, di
cui la Pernice bianca è una delle “vittime eccellenti”. La nevosità diminuisce e l’ambiente si modifica
velocemente, riducendo l’habitat a disposizione della specie.
Il problema del prelievo venatorio va così ad insistere su una popolazione già profondamente
segnata dai cambiamenti climatici, mentre nelle condizioni attuali il “tasso d’involo” spesso non
supera i 4-5 giovani per coppia. Particolarmente alta la perdita delle covate, più a causa della
predazione che in conseguenza dei fattori ambientali nell’area di nidificazione.
Resta l’evidenza per cui la forte fluttuazione delle popolazioni – conseguente alla variabilità del
tasso di sopravvivenza delle covate – dipende in gran parte dalle condizioni meteorologiche: cattive
condizioni meteo e scarsità di cibo durante il periodo della covata rappresentano, secondo le
rilevazioni effettuate dagli esperti, le principali cause di mortalità dei pulcini di Pernice bianca.
Pressione venatoria, parassiti, disturbo causato dai turisti sono le principali minacce che si
aggiungono al problema principale, quello del riscaldamento globale. Fattori che potrebbero
compromettere la sopravvivenza nel lungo periodo delle popolazioni alpine, che già devono fare i
conti con un ambiente particolarmente “antropizzato” e iper-sfruttato per esigenze turistiche. Lo
stesso aumento dei predatori è da ascrivere all’abbandono dei rifiuti da parte di turisti scarsamente
consapevoli.
Nella ZPS dell’Adamello le principali minacce sono quattro: il prelievo venatorio illegale, l’avanzata
degli arbusteti a discapito delle zone aperte di pascolo, il disturbo determinato dalla presenza
antropica (motoslitte, escursionisti), i fattori metereologici.
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PIANO DI GESTIONE SIC IT 2070012 “TORBIERE DI VAL BRAONE”
RELAZIONE - REV. 0
Nel territorio dell’Adamello è segnalato, oltre che nel Formulario della ZPS, nella maggioranza dei
SIC ricompresi, ad esclusione delle Torbiere del Tonale e delle Torbiere di Val Braone. Di seguito si
riporta il giudizio contenuto nel formulario.
Nome
Lagopus
mutus
helveticus
Riprod
51100p
Popolazione
Valutazione sito
Migratoria
Popolazione Conservazione Isolamento Globale
Riprod Svern. Stazion.
B
A
B
A
Stato di conservazione
Non favorevole
Inadeguato
('giallo')
U1
Terra Viva studio agroforestale – via del Carmine 2A, 27029 Vigevano (Pv)
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2.5.2.15. Tetrao tetrix tetrix – Gallo forcello/Fagiano di monte
Il gallo forcello vive in boschi misti dotati di spesso sottobosco arbustivo. L’habitat più caratteristico
per il è tuttavia il limite della foresta, fra i 1.600 e i 2.000 metri di quota, dove tra le conifere ormai
rade dominano arbusti di rododendro, ontano e mirtillo. In estate predilige i pendii freschi e umidi
con esposizione settentrionale, mentre in inverno, quando la temperatura si abbassa sotto i -4°C , il
gallo forcello scava buche nella neve lunghe circa 60 cm, nelle quali si rifugia per difendersi dal gelo
e risparmiare energie, restando immobile per gran parte della giornata. L’ alimentazione del Gallo
Forcello è molto varia: si nutre principalmente di gemme, foglie, rametti di mirtillo e rododendro,
erbe e bacche, che sono la parte più consistente della massa d‘alimento consumata durante tutto
l‘anno; in inverno quando gli arbusti sono indisponibili in quanto coperti dalla neve, la dieta viene
integrata da aghi di pino e abete, gemme di sorbo degli uccellatori e ontani, rametti di larice, foglie
di rododendro e di altri vegetali. Gli alimenti di origine animale (farfalle, api, mosche, cavallette,
vermi, formiche ecc.) disponibili nella bella stagione, sono molto importanti per lo sviluppo dei
pulcini e dei giovani.
Le zone in cui questa specie si diffonde sono all'incirca le stesse in cui vive il gallo cedrone, con la
differenza che si spingono maggiormente verso il settentrione e si riducono verso il sud. Sui monti
della Grecia e della Spagna il fagiano di monte non si trova più, ed anche sulle Alpi italiane è
diventato piuttosto raro (lo si trova in gran parte della catena alpina dalle Alpi Liguri alle
Caravanche, ma è scomparso in quei territori dove lo sfruttamento turistico è stato più intensivo); in
Germania è abbastanza comune, sia in pianura che sui monti, purché trovi i boschi opportuni;
comune è pure in Scandinavia, in Russia e in tutta l'Asia settentrionale, anche qui dove i boschi
corrispondono alle sue esigenze, e sono quindi ricchi di bassi arbusti e di cespugli, sparsi di eriche,
mirtilli, ginestre e piante paludose. Nella Svizzera lo si trova tanto nella superiore che nella media
zona boscosa, e si spinge fino all'estremo confine della vegetazione; nella Svezia è frequentissimo
ovunque, e lo stesso vale per i boschi siberiani. Nella Germania centrale è uccello stazionario,
avendo soltanto l'abitudine di intraprendere escursioni piuttosto regolari quando risieda sulle alte
catene montane o nelle province settentrionali; in Svizzera usa spostarsi almeno due volte all'anno
dalla sua abituale dimora, e nei paesi nordici queste escursioni si verificano con ancor maggiore
regolarità.
Le diminuzioni consistenti registrate in particolare nella porzione occidentale delle Alpi, appaiono
dovute in larga misura alle alterazioni ambientali e all’eccessivo disturbo da parte dell’uomo
conseguenza dello sfruttamento turistico intensivo. Senza dimenticare l’impatto che le attività di
gestione forestale o il prelievo venatorio illegale possono avere sulla specie.
In generale, l’esito della riproduzione può essere compromesso da avverse condizioni
meteorologiche, oltre che da predazione ai nidi e dal disturbo da parte dell’uomo. Le alterazioni
dell’habitat, il disturbo eccessivo causato dai turisti, lo sfruttamento dei boschi incompatibile con le
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RELAZIONE - REV. 0
esigenze della specie e l’eccessiva pressione venatoria hanno contribuito al generale declino delle
popolazioni di Fagiano di monte presenti sulle nostre Alpi.
Trend e relative cause sono stati studiati a lungo, per esempio in Valle d’Aosta – dove il disturbo
turistico unito a caccia e attività di gestione forestale intensiva hanno causato un importante
declino negli anni Ottanta – e in Lombardia, dove la popolazione appare più stabile ma comunque
ridotta e soggetta a evidenti fluttuazioni nel corso degli anni. Il persistere di un successo
riproduttivo particolarmente basso unito a un’elevata mortalità dei pulcini sembra giocare a sfavore
di una complessiva ripresa della specie.
Un fatto tanto più preoccupante se si pensa che il decremento della popolazione di Fagiano di
monte registrato sulle nostre Alpi è notizia relativamente recente, e riguarda sostanzialmente gli
ultimi vent’anni. Da metà anni Ottanta a fine anni Novanta la popolazione è infatti passata dalle
37.500-42.600 alle 26-32mila coppie, un decremento che al netto delle vistose fluttuazioni cicliche
appare comunque superiore ai 20-25 punti percentuali.
In leggero calo, in tempi recenti, e soggetta a vistose fluttuazioni cicliche, la popolazione di Fagiano
di monte nel nostro Paese appare in uno stato di conservazione del tutto insoddisfacente. Una
produttività bassissima unita a un alto tasso di mortalità dei pulcini sembrano giocare a sfavore di
una ripresa della popolazione, particolarmente in sofferenza nella maggior parte dell’areale di
nidificazione, specialmente nella sua porzione più occidentale. La tutela dei siti riproduttivi e una
sostanziale messa al bando del prelievo venatorio appaiono condizioni necessarie per innescare
un’inversione di tendenza, che riporti la densità delle popolazioni a livelli più prossimi al Valore di
Riferimento Favorevole.
Nel territorio dell’Adamello è segnalato, oltre che nel Formulario della ZPS, nella maggioranza dei
SIC ricompresi, ad esclusione delle Creste del Monte Colombè – Cima Barbignana e del Vallone del
Forcel Rosso. Di seguito si riporta il giudizio contenuto nel formulario.
Nome
Tetrao tetrix
tetrix
Riprod
>100
m
Popolazione
Valutazione sito
Migratoria
Popolazione Conservazione Isolamento Globale
Riprod Svern. Stazion.
B
A
B
A
Considerate le problematiche di conservazione a scala nazionale e le buone prospettive a livello di
singolo sito, si propone una valutazione intermedia.
Stato di conservazione
Non favorevole
Inadeguato
('giallo')
U1
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2.5.2.16. Alectoris graeca saxatilis - Coturnice appenninica
La coturnice frequenta i versanti aridi e scoscesi (pendenza tra 18° e 50°), prediligendo, in inverno,
quelli esposti a Sud, non tanto per il minore freddo, quanto per il più rapido scioglimento della neve
consentendole di alimentarsi.
Preferisce, inoltre, sostare in vicinanza di alpeggi, coltivi terrazzati e costruzioni rurali per la maggior
disponibilità di cibo. In assenza di neve può svernare anche ad altitudini di 2500 m; in estate
frequenta anche i costoni dei quadranti a Nord.
Le strutture vegetali preferite sono le praterie xeriche con cotico erboso piuttosto basso ed
interrotto da affioramenti rocciosi, pietre e arbusti contorti e nani quali il ginepro (Juniperus
communis ), il mirtillo nero (Vaccinium myrtillus ), il mirtillo rosso (Vaccinium vitisidaea) o il brugo
(Calluna vulgaris), non disdegnando, comunque, arboreti radi, margini dei boschi, castagneti da
frutto con alberi spaziati, purché prossimi a conformazioni rocciose; le porzioni fittamente alberate
vengono utilizzate solo per la rimessa provvisoria in caso di pericolo. Si ciba essenzialmente di
foglie, germogli, semi, frutti, invertebrati.
Nella specie è stata accertata una forte correlazione tra progressiva frammentazione delle
popolazioni e declino delle stesse. Una correlazione più che proporzionale, essendo la connettività
tra le diverse sub-popolazioni una condizione dirimente per la sopravvivenza della specie.
Tralasciando atti di persecuzione diretta e variabili climatiche che influiscono su questa come su
altre specie di uccelli, è da rilevare una netta dipendenza della Coturnice da quella che storicamente
è stata l’agricoltura e la pastorizia in montagna, che favoriva il mantenimento di quegli ambienti
aperti – pascoli e radure – fondamentali per la sua sopravvivenza. Una simbiosi che è venuta meno
con il progressivo abbandono di queste attività, che ha portato a una notevole contrazione
dell’habitat disponibile.
Altre minacce importanti per la specie sono costituite dagli individui di allevamento rilasciati a scopi
venatori. Di origine differente rispetto alle popolazioni locali e spesso frutto di “incroci” con altre
specie come la Chukar, le coturnici di allevamento non hanno lo stesso successo riproduttivo di
quelle selvatiche. Una certa sovrabbondanza di parassiti – su tutti il Tetrathydium – pare poi avere
conseguenze particolarmente nefaste in termini di mortalità.
Il problema principale resta comunque quello dell’habitat, in quanto la Coturnice, a differenza di
altri Galliformi, evita accuratamente gli ambienti forestali. Un tempo costellate di prati e pascoli, le
aree di nidificazione – che si trovano a quote altimetriche comprese tra i 900 e i 2.700 metri – sono
spesso state in parte riconquistate dalla foresta, con effetto particolarmente negativo sulla specie.
Il declino della Coturnice nel nostro Paese perdura oramai da decenni. La causa principale, molto
probabilmente, è da ascrivere alla progressiva riduzione dell’habitat idoneo alla specie,
conseguenza sia dei cambiamenti nell’uso del suolo, sia dell’abbandono delle attività agro-pastorali
tradizionali, fondamentale supporto per il mantenimento di ambienti aperti idonei quali prati e
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pascoli. Anche l’attività venatoria ha avuto, nel tempo, il suo rilievo negativo. Il risultato è stato il
decremento delle popolazioni e – soprattutto – la loro progressiva frammentazione, tanto che ad
oggi nessuna delle popolazioni censite risulta di per sé in grado di autosostenersi nel medio-lungo
periodo. Per questo, oltre a sospendere il prelievo venatorio e a monitorare le ulteriori pressioni
che potrebbero verificarsi sugli habitat a causa dei cambiamenti climatici, è fondamentale creare
“corridoi” tra le diverse sub-popolazioni della specie, ripristinando i relativi habitat.
Nel territorio dell’Adamello è segnalato, oltre che nel Formulario della ZPS, nella maggioranza dei
SIC ricompresi, ad esclusione delle Torbiere del Tonale e Versanti dell’Avio. Di seguito si riporta il
giudizio contenuto nel formulario.
Nome
Alectoris
graeca
saxatilis
Riprod
R
Popolazione
Valutazione sito
Migratoria
Popolazione Conservazione Isolamento Globale
Riprod Svern. Stazion.
C
B
B
B
Stato di conservazione
Non favorevole
Inadeguato
('giallo')
U1
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2.5.2.17. Circaetus gallicus – Biancone
Il biancone ha abitudini migratrici e trascorre l’inverno nell’Africa subtropicale. In Italia arriva in
marzo e nidifica con tre popolazioni principali: Maremma tosco-laziale, Appennino ligure e Alpi
occidentali, regioni collinari della costa adriatica e ionica dall’Abruzzo fino alla Calabria. La
popolazione italiana di biancone è stimata tra 200-400 coppie. La specie è inserita dall'IUCN nella
categoria di minaccia LC-Least Concern (a rischio minimo).
Anche attività all’apparenza innocue e corrette quali le normali pratiche di gestione forestale
possono incidere negativamente sulla vita del Biancone, necessitando di alberi molto grandi, ben
spaziati, dove il rapace nidifica nella parte esposta a sud della chioma. Allo stesso tempo, la
progressiva riforestazione e l’abbandono dei pascoli possono avere conseguenze nefaste su questo
uccello, che necessita di ambienti aperti per la cattura delle prede.
La necessità di boschi affiancati da aree aperte quali campi, prati pascoli o brughiere si traduce
nell’esigenza di un “mosaico ambientale” in cui siano presenti entrambe le tipologie di habitat. La
progressiva riduzione dell’habitat idoneo alla caccia e secondariamente bracconaggio e turismo di
massa presso i siti di nidificazione, rappresentano le minacce più gravi per la specie in Italia.
Pur nidificando in aree e climi anche piuttosto differenti tra loro – dal livello del mare, o quote
collinari, nell’Italia centrale e meridionale, fino ai 1.600 metri sulle Alpi – il Biancone necessita
comunque di boschi strutturati e maturi per potersi riprodurre con successo, nonché appunto di
ampie zone aperte in cui reperire il cibo (non solo serpenti ma anche lucertole). La sua
sopravvivenza dipende quindi in larga misura dalla presenza di queste prede nelle vicinanze dei nidi.
Particolarmente basso, come per altre specie di rapaci, il successo riproduttivo, pari a meno di un
piccolo per coppia (0,75 il dato medio). Mancano comunque diverse informazioni sia sul successo
riproduttivo sia sui fattori fondamentali in grado di influenzare l’esito della riproduzione.
Stabile – o in leggera espansione – la popolazione di Biancone nel nostro Paese potrebbe soffrire in
modo particolare per la progressiva riduzione delle aree aperte e semi-aperte, che si sta verificando
un po’ ovunque e che non accenna, purtroppo, ad arrestarsi.
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Nel territorio dell’Adamello è segnalato solo nel Formulario del SIC dei Pascoli di Crocedomini, con
la seguente classificazione.
Nome
Circaetus
gallicus
Riprod
Popolazione
Valutazione sito
Migratoria
Popolazione Conservazione Isolamento Globale
Riprod Svern. Stazion.
P
D
Si propone pertanto l’inserimento nel Formulario della ZPS con il seguente giudizio
Nome
Circaetus
gallicus
Riprod
Popolazione
Valutazione sito
Migratoria
Popolazione Conservazione Isolamento Globale
Riprod Svern. Stazion.
P
D
Gli scarsi dati di presenza non permettono di trarre un giudizio sullo stato di conservazione.
Stato di conservazione
Sconosciuto
XX
Terra Viva studio agroforestale – via del Carmine 2A, 27029 Vigevano (Pv)
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2.5.3. MAMMIFERI
2.5.3.1.
Rhinolophus ferrumequinum – Rinolofo maggiore
É specie sedentaria, di grossa taglia, capace di modesti spostamenti stagionali di poche decine di
chilometri. È una specie troglofila e termofila, che utilizza ambienti aperti e caldi, soprattutto in
zone di pianura e di collina, che presentano una certa varietà di ambienti (coltivi con siepi, boschi,
parchi, zone umide, ...), compresi quelli antropizzati come frutteti, parchi e giardini. Gli ambienti di
foraggiamento ideali consistono in mosaici di pascoli permanenti e formazioni forestali a latifoglie
mesofile (complessivamente estese su circa metà della superficie), interconnesse fra di loro
attraverso siepi floristicamente ricche e strutturalmente complesse; la presenza di zone umide
(fiumi, laghi), specie se delimitate da bordure vegetazionali naturali, accresce l’idoneità per la
specie. Questa specie è stata inoltre frequentemente segnalata in frutteti e vigneti inerbiti e parchi
urbani.
È dotato di una caratteristica conformazione epidermica a “ferro di cavallo” a livello nasale, avente
la funzione di captare gli ultrasuoni emessi dalle narici e amplificarli come una specie di imbuto
acustico.
È segnalato dal livello del mare fino a circa 800 metri di altitudine, anche se sono note presenze a
quote molto maggiori. Rifugi estivi e colonie riproduttive si possono trovare sia in ambienti ipogei,
sia artificiali che naturali, che in costruzioni (sottotetti, scantinati, ....); le nursery richiedono
comunque ambienti abbastanza caldi.
Per quanto riguarda i rifugi invernali, la specie è fortemente legata agli ambienti sotterranei, sia
naturali che artificiali, ed è in tali contesti che avviene lo svernamento: la fase di ibernazione inizia a
settembre-ottobre e si conclude ad aprile circa, più volte interrotta. L’alimentazione è
prevalentemente basata su insetti di grosse dimensioni, catturati in volo, a bassa altezza, o più
raramente al suolo. In particolare vengono predati Lepidotteri (Noctuidae, Nymphalidae,
Hepialidae, Sphingidae, Geometridae e Lasiocampidae) e Coleotteri (Scarabeidae, Geotrupidae,
Silphidae e Carabidae). Stagionalmente risulta molto importante l’apporto alimentare dovuto ai
maggiolini.
All’estero sono segnalate situazioni di estinzioni locali della specie (parte dell’Inghilterra, Olanda e
Israele). Andamenti demografici negativi sono stati registrati in Austria, Belgio, Germania, Bulgaria,
Francia e Svizzera. Nel 1939 Giuliano e Dal Piaz scrivevano del Rinolofo maggiore che “è specie
comune e uniformemente distribuita in tutta Italia” e che “è facile ritrovarlo, sovente anche in
gruppi numerosi”.
I dati disponibili non risultano sufficienti per caratterizzare adeguatamente la distribuzione attuale
di questa specie nel nostro Paese, ma indagini svolte in alcune regioni evidenziano una sua notevole
rarefazione rispetto al passato.
Pratiche agricole e zootecniche intensive (per esempio, pesticidi, aratura profonda, trattamenti
antielmintici del bestiame con invermectine) determinano la riduzione e l’alterazione
dell’entomofauna. La disponibilità trofica è inoltre compromessa da modificazioni del paesaggio
(eliminazione di siepi e formazioni forestali) e dalla distruzione/ alterazione dei siti di rifugio ipogei e
all’interno di edifici.
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In Lombardia il Rinolofo maggiore è noto per le province di Sondrio, Como, Lecco e Brescia, ma in
generale la specie è da considerarsi presente, seppure rarefatta, in tutte le province lombarde
(MARTINOLI e SPADA, 2008).
Nell’area protetta la sua presenza è indicata solo dal Formulario della ZPS e non si riscontra invece
nei singoli formulari dei SIC. Si ripropone pertanto quanto indicato nel Formulario
Nome
Popolazione
Rhinolophus
ferrumequinum
P
Popolazione
Valutazione del sito
Conservazione
Isolamento
Globale
D
Non disponendo di dati recenti su questa specie e relativi anche alla restante parte del territorio
della ZPS si propone di mantenere inalterato il Formulario.
Stato di conservazione
Non favorevole Cattivo
('rosso')
U2
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2.5.3.2.
Ursus arctos – Orso bruno
Specie di notevoli dimensioni, adattata a vivere in una grande varietà di habitat, dal deserto alle
foreste d’alta montagna e alla tundra. In Europa la specie è legata a zone montane con intensa
copertura forestale.
In Italia, nelle Alpi abita i boschi di conifere o misti, mentre nell’Appennino frequenta la faggeta e i
boschi misti. In questi ambienti frequenta boschi maturi e misti in cui è presente un abbondante e
variato sottobosco; tuttavia, per alimentarsi, può visitare coltivazioni marginali di graminacee
oppure frutteti.
L’ orso bruno è essenzialmente onnivoro, soprattutto vegetariano, anche se non disdegna la carne.
Quest’ultima viene rinvenuta soprattutto in primavera quando, grazie al senso dell’olfatto
particolarmente sviluppato, riesce a ritrovare carogne di ungulati selvatici travolti dalle valanghe.
Dove condivide l’habitat con la lince o il lupo può, a volte, impadronirsi delle prede uccise da questi
ultimi. Occasionalmente può predare pecore, capre e bovini.
Nello spettro alimentare dell’ orso bruno rivestono notevole importanza gli insetti (formiche, vespe,
carabidi, ecc.); compie anche incursioni negli apiari per cibarsi di api, fuchi, larve e miele. Nel
periodo estivo inizia ad alimentarsi abbondantemente cibandosi soprattutto di germogli, erbe e
radici. Nella tarda estate e in autunno, quando l’ orso bruno deve costituire le riserve di grasso che
gli consentiranno di superare un nuovo inverno, la frutta riveste molta importanza nella sua
alimentazione.
Durante il letargo invernale l’ orso bruno può essere parzialmente attivo soprattutto quando le
giornate sono particolarmente calde, tuttavia questo periodo viene trascorso comunque senza che
esso si alimenti. I piccoli, solitamente da 1 a 3 (raramente 4), nascono in gennaio-febbraio nella tana
di svernamento.
Lo stato di conservazione della specie varia a seconda delle popolazioni. Alcune appaiono
chiaramente minacciate, come la maggioranza di quelle europee, mentre altre non lo sono, come
quelle di Canada e Stati Uniti. In Europa la specie sopravvive, perlopiù con popolazioni ridotte e
isolate, nell’Europa meridionale, mentre è più abbondante nel nord ed est del continente
(D’ANTONI et al., 2003). In Italia la presenza dell’Orso bruno riguarda tre aree distinte: l’Appennino
centrale (sottospecie U. a. marsicanus); le Alpi Orientali (per colonizzazione spontanea da parte di
individui provenienti dalla Slovenia); parte delle Alpi Centro-orientali in cui la popolazione
autoctona residua è stata oggetto di un progetto di reintroduzione di successo (GAGLIARDI, 2008).
L’Orso viene considerata una specie prioritaria secondo la Direttiva Habitat 92/43/CEE, la cui
conservazione, quindi, appare una priorità assoluta. Infatti, a esclusione degli stati nordici, in cui
sembra che questo mammifero sia ancora ben presente, nel resto d’Europa è raro e, in alcuni casi,
come in Italia, molto raro.
La conservazione della specie risulta fortemente interconnessa con la preservazione degli habitat
naturali; infatti, la graduale riduzione delle aree boscate e l’eccessiva pressione antropica esercitata
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su quelle residuali ne hanno fortemente contratto la diffusione sul territorio. Da rilevare inoltre che,
soprattutto all’interno di piccole comunità montane, questo animale viene ancora visto come un
potenziale fattore di minaccia.
La presenza di questo plantigrado in Lombardia è riconducibile alla reintroduzione operata sulle Alpi
centro orientali nello scorso decennio ed è tuttora poco significativa e ancora fortemente
minacciata. Le recenti segnalazioni della specie in territorio lombardo si rifanno, infatti, a brevi
stazionamenti di individui isolati.
Nell’area protetta la sua presenza è indicata solo dal Formulario della ZPS e non si riscontra invece
nei singoli formulari dei SIC. Si ripropone pertanto quanto indicato nel Formulario
Nome
Popolazione
Ursus arctos
V
Popolazione
A
Valutazione del sito
Conservazione
Isolamento
B
B
Globale
A
Non disponendo di dati recenti su questa specie e relativi anche alla restante parte del territorio
della ZPS si propone di mantenere inalterato il Formulario.
Stato di conservazione
Favorevole
(verde)
FV
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2.5.4. ANFIBI E RETTILI
2.5.4.1.
Triturus carnifex - Tritone crestato
Il tritone crestato richiede corpi idrici di buona qualità nei quali non siano presenti pesci predatori.
Nel periodo riproduttivo frequenta corpi d'acqua fermi o con debole corrente e si mantiene nella
parte centrale di essi, inoltre, le femmine utilizzano le foglie delle piante acquatiche per deporre le
uova. Le variazioni di livello delle acque, possono influire sulla fase del ciclo riproduttivo più
sensibile a questo fattore.
La dieta seguita è di tipo opportunista: invertebrati acquatici e terrestri, ma anche larve e uova di
altri Anfibi.
Il Tritone crestato, tra la fine di febbraio e l’inizio di marzo, abbandona i rifugi invernali per dirigersi
verso i corpi d’acqua dove avrà luogo la riproduzione. Tra la metà di luglio e la metà di settembre gli
animali abbandonano l’acqua per tornare sulla terraferma.
I quartieri di svernamento sono talvolta situati a una certa distanza dalle aree riproduttive; se il
tragitto è intersecato da strade trafficate, la mortalità per schiacciamento può rappresentare un
fattore limitante.
Le principali minacce per la sopravvivenza delle popolazioni del tritone crestato si identificano
essenzialmente nelle alterazioni operate dall’uomo sui siti di ovodeposizione e sviluppo larvale: a) la
captazione idrica, che può portare al disseccamento degli invasi prima che le larve abbiano
compiuto la metamorfosi e siano in grado di abbandonare l'ambiente acquatico; b) l’introduzione di
ittiofauna o di altre specie animali zoofaghe, che può comportare la predazione degli adulti, delle
uova e delle larve presenti; c) l’utilizzo dei siti come aree di discarica abusiva, con conseguente
inquinamento delle acque e diminuzione della capacità di invaso d) inquinamento chimico dei bacini
idrici a causa di attività agricolo-industriali nelle aree contermini; e) l’alterazione di alcune delle
caratteristiche morfologiche e strutturali (costruzioni di pareti o setti in cemento, ecc.) che possono
rendere gli invasi non più adatti alla riproduzione delle specie; f) la gestione mediante asporto
totale della vegetazione acquatica e ripariale, con alterazione delle caratteristiche ecologiche; g) la
regimentazione dei ruscelli nonché la ristrutturazione inappropriata di fontanili o altri corpi idrici
artificiali; h) raccolta diretta di esemplari in natura da parte di zoofili o commercianti di vario
genere.
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Nel territorio dell’Adamello è segnalato, oltre che nel Formulario della ZPS, anche all’interno del SIC
“Torbiera La Goia”. Di seguito si riporta il giudizio contenuto nel formulario.
Nome
Triturus
carnifex
Popolazione
Valutazione sito
Migratoria
Popolazione Conservazione Isolamento Globale
Riprod
Svern. Stazion.
Riprod.
R
C
B
C
B
Stato di conservazione
Favorevole
(verde)
FV
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2.5.5. ITTIOFAUNA
2.5.5.1.
Salmo marmoratus - Trota marmorata
È un predatore che nei primi 2-3 anni di vita si nutre di invertebrati (larve di insetti, Crostacei,
Oligocheti e spesso anche insetti adulti). Con l‘avanzare dell‘età inizia a predare pesci, soprattutto
scazzoni, sanguinerole, vaironi e piccole trote. La maturità sessuale viene raggiunta al 3° anno di
età. I riproduttori risalgono fiumi e gli affluenti principali dei laghi per raggiungere le zone di frega. I
maschi arrivano alcune settimane prima delle femmine. Le aree di deposizione situate in tratti poco
profondi, a substrato ghiaioso, con corrente moderata. La femmina scava una depressione poco
profonda nel substrato e vi depone le uova, che, dopo la fecondazione da parte del maschio, ricopre
con la ghiaia. La specie necessità di habitat di elevata profondità e con numerose buche ed anfratti
che possano costituire rifugio, in particolare per gli individui adulti.
La Trota marmorata è uno dei pesci più ambiti dai pescatori sportivi in Italia settentrionale e ciò
determina una forte pressione di pesca con conseguenti depauperamenti nelle popolazioni. Inoltre,
risulta minacciata da altre numerose attività antropiche come l’artificializzazione degli alvei fluviali, i
prelievi di ghiaia che distruggono le aree di frega, le captazioni idriche, le variazioni di portata dei
fiumi conseguenti alla produzione di energia elettrica che, quando si verificano durante il periodo
riproduttivo, distruggono uova e avannotti. Un’ulteriore minaccia per questo Salmonide è
rappresentata dalle interazioni con le Trote fario introdotte, spesso in modo massiccio, a vantaggio
della pesca sportiva: "inquinamento genetico", competizione alimentare, diffusione di patologie.
Di seguito si riporta il giudizio contenuto nel formulario.
Nome
Salmo
marmoratus
Riprod.
Popolazione
Valutazione sito
Migratoria
Popolazione Conservazione Isolamento Globale
Riprod Svern. Stazion.
R
C
B
B
B
Stato di conservazione
Favorevole
(verde)
FV
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2.5.5.2.
Barbus Meridionalis - Barbo canino
Il barbo canino è una specie reofila che colonizza tratti montani inferiori e pedemontani di fiumi e
torrenti dell’Italia centro-settentrionale. La forma è molto simile a quella del barbo comune, dal
quale si differenzia per la livrea, caratterizzata da una maculatura scura diffusa ed irregolare su
sfondo grigio-sabbia e per le dimensioni massime raggiungibili (non oltre 20 cm). Buon nuotatore, si
muove sempre sul fondo. Caratteristica è la sua abitudine di capovolgere le piccole pietre,
spingendole con il muso, per mettere allo scoperto i microinvertebrati di cui si ciba. La maturità
sessuale è raggiunta a 3 anni dai maschi e a 4 dalle femmine. La riproduzione avviene tra la fine di
maggio e l’inizio di luglio.
Le uova, alcune centinaia per femmina, sono deposte in acque basse tra i ciottoli del fondo.
La specie è minacciata dall’inquinamento delle acque, al quale è piuttosto sensibile, dalla
diminuzioni delle portate e delle alterazioni degli alvei, della costruzione di dighe e sbarramenti che
impediscono le migrazioni e l'accesso alle aree di frega, limitando il potenziale riproduttivo.
Di seguito si riporta il giudizio contenuto nel formulario.
Nome
Barbus
meridionalis
Riprod.
Popolazione
Valutazione sito
Migratoria
Popolazione Conservazione Isolamento Globale
Riprod Svern. Stazion.
R
C
B
A
B
Stato di conservazione
Favorevole
(verde)
FV
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RELAZIONE - REV. 0
2.5.6. INVERTEBRATI
2.5.6.1.
Austropotamobius pallipes - Gambero di fiume
E’ una specie molto esigente, sensibile alle variazioni di pH con un optimum tra 6.8 e 8, necessita di
acqua fresca (15-18 °C e comunque non superiore ai 25 °C) e con un elevato contenuto di calcio,
importante per la formazione dell’esoscheletro. Altro elemento fondamentale è l’ossigeno disciolto,
la cui concentrazione ottimale è tra il 60 e il 130% di saturazione.
A. pallipes colonizza corsi d’acqua con sponde ricche di vegetazione ripariale (dove i gamberi
possono trovare rifugio e costruirsi tane) e che scorrono su alvei con fondali di natura
prevalentemente ciottolosa. Prevalentemente notturno, comportamento considerato adattativo in
quanto riduce i rischi di predazione.
La maturità sessuale di norma viene raggiunta al terzo o quarto anno di vita; il periodo riproduttivo
va dal tardo autunno, dove avviene la fecondazione alla fine della primavera con la schiusa delle
uova.
Presenta infatti una dieta onnivora anche se manifesta una netta zoofagia, specialmente negli stadi
giovanili; le prede preferite sono larve di tricotteri, piccoli crostacei e pesci, molluschi, anellidi e
piccoli gamberi; anche la dieta vegetale è ricca: radici, foglie, alghe, semi.
Interventi di modificazione degli alvei e derivazioni o captazioni idriche riducono la disponibilità di
rifugi e determinano la scomparsa di ambienti necessari per le fasi del ciclo biologico della specie. La
riduzione della fascia riparia unitamente a cali di portata può produrre, durante la stagione estiva,
innalzamento della temperatura dell'acqua (A. pallipes non sopporta temperature acquatiche
superiori ai 25°C). Inoltre corsi d'acqua con flussi idrici ridotti hanno una minore capacità di
autodepurazione da inquinamento organico, fenomeni a cui la specie è particolarmente sensibile. Si
aggiungono quali fattori di minaccia la diffusione delle specie alloctone di gambero d'acqua dolce, la
pesca incontrollata ed il bracconaggio.
Nome
Riprod
Austropotamobius
pallipes
Popolazione
Migratoria
Riprod
Svern.
Stazion.
Valutazione sito
Popolazione
Conservazione
Isolamento
Globale
C
A
A
B
R
Stato di conservazione
Favorevole
(verde)
FV
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2.6.
INDICATORI PER LA VALUTAZIONE DELLO STATO DI CONSERVAZIONE ED EVOLUZIONE DI SPECIE ED HABITAT
L’individuazione di alcuni indicatori è indispensabile e funzionale alla costruzione di un sistema di
monitoraggio e controllo dello stato di conservazione dell’intero sito in relazione alle attività di
gestione e al perseguimento degli obiettivi del Piano di gestione. Tali indicatori devono consentire il
rilevamento e la valutazione delle variazioni ecologiche divenendo strumento importante per
indirizzare o modulare le azioni e gli interventi di gestione.
Si tratta quindi di elementi, gli indicatori, che devono fornire risposte ad esigenze gestionali e al
contempo rispondere a criteri di sintesi e semplicità di rilevamento e di lettura.
Lo stato di conservazione per un habitat è da considerare soddisfacente quando:
• la sua area di ripartizione naturale e la superficie occupata è stabile o in estensione;
• la struttura, le condizioni e le funzioni specifiche necessarie al suo mantenimento nel lungo
periodo esistono e possono continuare ad esistere in un futuro prevedibile.
Andranno monitorati con continuità nel tempo l’estensione complessiva dei diversi habitat con
particolare riferimento a quelli prioritari e lo stato di conservazione delle specie tipiche e/o guida e
dei fattori caratteristici o intrinseci (es. struttura verticale, densità ecc.).
Lo stato di conservazione per una specie animale o vegetale è soddisfacente quando:
· l’andamento della popolazione della specie indica che la stessa specie continua e può
continuare a lungo termine ad essere un elemento vitale presente negli habitat del sito;
· la presenza quantitativa ed areale di tale specie non è minacciata né rischia la riduzione o il
declino in un futuro prevedibile.
Il presente Piano di Gestione identifica nel monitoraggio continuato nel tempo uno dei suoi pilastri
gestionali. L’investimento in conoscenza sullo stato del patrimonio oggetto di conservazione
costituisce una condizione essenziale per poter progettare misure di conservazione realmente
efficaci e per fondare una strategia gestionale che possa essere dinamica nel tempo, in grado di
essere valutata, verificata ed eventualmente corretta.
Gli indicatori qui proposti, o per meglio dire, il monitoraggio complessivo qui disegnato dovrà essere
realizzato dall’Ente Gestore con cadenza quinquennale. Considerando una validità del presente
Piano di dieci anni, si prevede dunque l’effettuazione di due report: il primo a metà del periodo di
vigenza del Piano; il secondo preliminarmente all’aggiornamento del presente Piano. In questo
modo potrà essere restituita una fotografia organica e multisettoriale dello stato di conservazione
dei singoli valori conservazionistici ed in generale dell’intera area protetta.
In parte, dunque, i parametri di seguito descritti sono frutto di monitoraggi settoriali descritti in
specifiche schede di azione. In altri casi si tratta di indicatori che andranno rilevati e valorizzati
specificatamente a questo scopo
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Il sistema di indicatori individuato fa riferimento al modello DPSIR, adottato da molte istituzioni
internazionali e nazionali (ad es. OCSE, Agenzia Europea per l’Ambiente, Ministero Ambiente e
tutela del territorio), classificando gli indicatori secondo le seguenti categorie:
- Determinanti, che descrivono le attività antropiche che si svolgono nell’area in esame e che
sono responsabili dell’origine delle principali pressioni su specie e habitat di interesse presenti
nel Sito;
- Pressioni, che descrivono le pressioni sulle risorse associate ai diversi determinanti;
- Stato, che descrivono, in termini qualitativi e quantitativi, le condizioni delle risorse (nello
specifico lo stato di conservazione delle specie e degli habitat presenti);
- Impatto: che descrivono gli effetti delle pressioni sullo stato delle risorse (quindi sullo stato di
conservazione delle specie e degli habitat);
- Risposta, che descrivono le azioni messe in atto per prevenire/ridurre/eliminare gli effetti
negativi sulle risorse, che corrispondono nello specifico alle azioni messe in atto e previste dai
Piani di Gestione.
In particolare si è fatto riferimento allo schema di monitoraggio disegnato nel Piano di Gestione del
SIC-ZPS IT3230083 delle Dolomiti Feltrine e Bellunesi. Nella tabella che segue sono riassunti i
principali indicatori e parametri descrittori proposti:
Terra Viva studio agroforestale – via del Carmine 2A, 27029 Vigevano (Pv)
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PIANO DI GESTIONE SIC IT 2070012 “TORBIERE DI VAL BRAONE”
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Tabella 2.3: Indicatori per la valutazione dello stato di conservazione ed evoluzione di habitat e specie
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3. ANALISI SWOT
3.1.
CORSI D’ACQUA
3.1.1. PUNTI DI FORZA
·
·
·
·
Costituiscono una notevole risorsa sia in termini naturalistici sia dal punto di vista economico
Ospitano biocenosi ad elevato pregio
Rappresentano corridoi ecologici
Capacità di autodepurazione ed omeostasi
3.1.2. PUNTI DI DEBOLEZZA
· Presenza di manufatti idraulici che comporta una riduzione delle portate a valle degli stessi e
l’ interruzione della continuità fluviale provocando impatti evidenti sull’habitat fluviale, sulla
fauna ittica e macrobentonica;
· Svolgimento delle operazioni di svaso delle opere di presa che possono avere pesanti
ripercussioni sull’ecosistema acquatico a valle, in quanto il sedimento che si è
progressivamente depositato sul fondo del bacino viene riversato nelle acque scaricate, il
trasporto solido che ne consegue può danneggiare sia gli organismi che gli habitat in cui essi
vivono.
3.1.3. MINACCE
·
·
·
·
·
·
·
·
Alterazione della qualità delle acque
Alterazione della capacità di omeostasi termica del corso d’acqua
Riduzione, alterazione e frammentazione degli habitat
Riduzione della biodiversità
Aumento della competizione intra e interspecifica
Riduzione di densità e biomassa delle comunità biologiche
Alterazione delle potenzialità riproduttive
Impedimento dei flussi migratori
3.1.4. OPPORTUNITÀ
· Corretta gestione delle operazioni di manutenzione dei bacini artificiali e delle opere di presa
· Rilascio di un Deflusso Minimo Vitale (DMV) a valle delle opere di presa sufficiente a
garantire la qualità dei corsi d’acqua e l’integrità degli habitat e specie faunistiche tutelate
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3.2.
SISTEMA DEGLI ALPEGGI
3.2.1. PUNTI DI FORZA
Il sistema degli alpeggi si caratterizza per i seguenti punti forza:
· Le attività di alpeggio si inseriscono a livello ambientale e paesaggistico come unica risorsa
per il mantenimento dell’ecosistema pascolo;
· Garantisce biodiversità a scala di matrice;
· Unica attività di presidio territoriale in ambienti storicamente utilizzati per un’economia di
sussistenza;
· Garantisce la pratica della monticazione, da cui ne consegue la gestione dei pascoli di
fondovalle, mezza costa e dei maggenghi;
· Assicura l’abbassamento del livello di guardia rispetto alle deiezioni in fondo valle, visto che
le mandrie si spostano verso le zone di quota superiore, lasciando liberi e a riposo i terreni a
quote inferiori;
· Mantenimento della caseificazione di prodotti specifici, di nicchia e di elevata qualità;
· Conservazione di un’economia di piccola scala legata alla trasformazione, vendita diretta dei
prodotti caseari e delle carni.
3.2.2. PUNTI DI DEBOLEZZA
· Bassa resistenza dell’ecosistema pascolo a cui si associa bassa resilienza;
· Pochi investimenti sul fondo agricolo, da cui ne deriva una mancanza di innovazione
strutturale e un peggioramento delle esternalità riferite alle attività zootecniche;
· Pascoli non di proprietà, a cui si associa una mancanza di investimenti privati per l’apporto e
il mantenimento di migliorie infrastrutturali;
· Affitti caratterizzati da breve durata, fattore che accentua gli altri punti di debolezza;
· Concentrazione allevamento solo in presenza di buona viabilità, il che si traduce in zone di
sovraccarico e in aree caratterizzate da abbandono del pascolo, a cui spesso si associano
fenomeni di ricolonizzazione delle specie pioniere a carattere arbustivo;
· Aree degradate da fenomeni di sovra pascolamento;
· Limitati punti di abbeverata utili per limitare gli spostamenti delle mandrie all’interno dei
pascoli;
· Calpestio, costipazione del terreno, gradonamento ed erosione dei versanti, dovuta dallo
spostamento delle mandrie all’interno dell’alpeggio. Tale fenomeno è particolarmente
accentuato in malghe in cui il carico zootecnico non è bilanciato, o in casi in cui le
infrastrutture non siano adeguate o addirittura mancanti;
· Riduzione della biodiversità a livello di ecosistema prativo causato dalla colonizzazione di
specie nitrofile nei pressi delle zone di maggior carico e/o di stazionamento o mandratura;
· Fenomeni di inquinamento puntuale dei corsi d’acqua superficiali;
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· Compresenza di aree sovra-pascolamento e abbandono nello stesso pascolo in funzione
della distanza dai punti di mungitura, dalla viabilità, dai punti di abbeverata e dalle pendenze
del pascolo;
· Limitata capacità di usufruire della risorsa turismo.
3.2.3. MINACCE
· Limitazione biodiversità e impossibilità di ripristino dell’ecologia di pascolo
· Attrattività del modello zootecnico intensivo in fondovalle e conseguente riduzione della
domanda di alpeggi
· Mancato riconoscimento e visibilità delle produzioni di qualità legate all’alpeggio;
· Riduzione del reddito agricolo aziendale;
· Abbandono maggenghi e delle realtà di mezza costa, realtà necessarie per la monticazione
delle mandrie e l’allungamento della stagione di pascolo;
· Incremento degli effetti di sovra pascolamento a cui si associa la non sostenibilità
dell’allevamento in alpe;
· Elevata competizione per la risorsa acqua tra le diverse attività eseguibili a livello di alpeggio,
come per esempio la ristorazione e le altre attivitità non agricole presenti;
3.2.4. OPPORTUNITÀ
· Diversificazione del reddito agricolo attraverso la diversificazione delle attività d’alpeggio;
· Incentivazione e pubblicità dei prodotti di filiera con marchio del parco Adamello;
· Possibilità di accedere a singole misure per azioni di miglioramento ambientale, di rispetto
delle aree umide e di maggior pregio floristico (pascoli pingui e torbiere) a cui seguono aiuti
per il mancato reddito o fondi per il rispetto di tali superfici;
· Incentivazioni dirette per la monticazione e per lo sfruttamento calibrato del pascolo;
· Servizio di supporto da parte del Ente Gestore per la redazione dei piano di pascolo e per la
definizione degli interventi di miglioramento fondiario da presentare in fase di bando
d’affitto;
· Servizio di supporto tecnico scientifico da parte dell’Ente Gestore per le tecniche di
allevamento e di conduzione di malga;
· Prolungamento della durata dei contratti di affitto per rendere possibili investimenti diretti
sul fondo da parte del’allevatore;
· Possibile incentivazione riferita all’adozione di BAT (Best Available Techniques) come per
esempio sfalci su porzioni di pascolo, adozione di carro mungitore, realizzazione di viabilità
consona al transito di macchine operatrici;
· Incentivazione alla diversificazione delle attività di malga in modo da favorire il rapporto con
il turismo. Tale obiettivo si persegue attraverso la realizzazione di punti ristoro, l’agriturismi,
punti per la vendita diretta dei prodotti caseari;
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· Incentivazione a livello pubblicitario da parte dell’Ente Gestore dei prodotti realizzati nel
territorio del Parco;
· Incentivazione alla realizzazione fenomeni di consociazione tra allevatori e conduttori di
malghe e i gestori di strutture turistico-ricettive;
3.3.
ECOSISTEMI FORESTALI SUBALPINI
3.3.1. PUNTI DI FORZA
·
·
·
·
·
·
·
·
·
Elevata naturalità
Elevata funzionalità per la difesa idrogeologica e consolidamento dei versanti
Espressione dei fattori ecologici locali
Caratteri di unicità funzionale
Elemento fondamentale della rete ecologica
Portatore di nicchie ecologiche per la fauna
Limitata esposizione a perturbazioni antropiche esterne
Pregio paesaggistico
Funzione turistica
3.3.2. PUNTI DI DEBOLEZZA
·
·
·
·
Ridotta biodiversità al proprio interno
Sensibilità alle perturbazioni naturali esterne (dipendenti da fattori ecologici abiotici)
Sensibilità alle perturbazioni antropiche (pascolo)
Per i sistemi arborei grado di resilienza limitato
3.3.3. MINACCE
· Involuzione pedologica a causa del pascolo in bosco
· Danni alla rinnovazione naturale causati dal pascolo
3.3.4. OPPORTUNITA’
· Massimizzazione della difesa idrogeologica e del consolidamento dei versanti
· Elevazione della vocazione faunistica
· Miglioramento dell’offerta turistica
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3.4.
FAUNA
3.4.1. PUNTI DI FORZA
· Importanti presenze faunistiche, anche di specie rare
· Sostanziale assenza di disturbo, fatta eccezione per bracconaggio, turismo, pascolo e attività
selvicolturali
3.4.2. PUNTI DI DEBOLEZZA
· Distanza consistente fra le popolazioni rilevate e le popolazioni stimate in funzione delle
potenzialità degli habitat
· Scarsa conoscenza sulle popolazioni e sullo stato di conservazione anche di alcune specie
chiave (gallo cedrone, lepre bianca, Francolino di Monte)
· Interferenze con attività antropiche (motoslitte, pascolo, ecc…)
· Scarsa consistenza delle popolazioni di ungulati con conseguenze negative sulle catene
trofiche in cui si inseriscono come prede
3.4.3. MINACCE
Cambiamenti nell’uso del suolo possono modificare i rapporti di forza tra le specie, in particolare con
l’abbandono del pascolo possono essere sfavorite specie già in declino.
3.4.4. OPPORTUNITÀ
· Armonizzazione del pascolo con le esigenze di conservazione della fauna
· Enforcing dei divieti già esistenti: motoslitte, transito mezzi motorizzati, divieto caccia e cani
da caccia
· Reperimento di risorse per realizzare monitoraggi
· Incremento delle popolazioni di ungulati
· Valutare l’efficacia e la fattibilità delle azioni dirette di miglioramento ambientale
· Ricolonizzazione spontanea o sostenuta da progetti specifici da parte di specie di interesse
comunitario
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3.5.
TURISMO E VIABILITA’
3.5.1. PUNTI DI FORZA
· Presenze turistiche consolidate
· Attività economica sostenibile e armonizzabile con gli obiettivi di conservazione
3.5.2. PUNTI DI DEBOLEZZA
·
·
·
·
Impatto ambientale puntuale dovuto alle strutture ricettive
Disturbo da motoslitte
Zone sovrasfruttate e con attività confliggenti con la pastorizia e con l’ambiente
VASP a volte utilizzata anche da soggetti non autorizzati come linea di penetrazione nella ZPS
3.5.3. MINACCE
Incremento della pressione antropica a causa di un mancato governo dei flussi turistici
3.5.4. OPPORTUNITÀ
·
·
·
·
·
·
·
Sostenere il reddito dei malgari con la diversificazione
Ridurre l’impatto puntuale delle strutture (es: depurazione, FER, ecc…)
Sistemare la viabilità principale e soprattutto i punti di sosta
Enforcing del divieto delle motoslitte e della percorrenza della VASP
Realizzare nuova VASP come precondizione per lo sviluppo di attività economiche sostenibili
Riequilibrare i flussi turistici verso zone meno sfruttate ma con potenzialità
Incentivare il trasporto pubblico nelle zone più critiche (es: Gaver)
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4. OBIETTIVO GENERALE DI CONSERVAZIONE E STRATEGIA DI GESTIONE
4.1.
PREMESSA
La ZPS del Parco Naturale dell’Adamello presenta, al pari di altre ZPS italiane, diverse
sovrapposizioni con altri siti Rete Natura 2000. In particolare i seguenti cinque SIC sono interamente
ricompresi nel territorio della ZPS
·
·
·
·
·
SIC
SIC
SIC
SIC
SIC
IT2070001 “Torbiere del Tonale”
IT2070003 “Val Rabbia e Val Gallinera”
IT2070004 “Monte Maser – Corni di Bos”
IT2070008 “Cresta Monte Colombè – Cima Barbignaga”
IT2070013 “Ghiacciaio dell’Adamello”
I seguenti sei SIC, invece, ricadono parzialmente nella ZPS:
·
·
·
·
·
·
SIC
SIC
SIC
SIC
SIC
SIC
IT2070006 “Pascoli di Crocedomini – Alta Val Caffaro”
IT2070005 “Pizzo Badile – Alta Val Zumella”
IT2070007 “Vallone del Forcel Rosso”
IT2070009 “Versanti dell’Avio”
IT2070010 “Piz Olda – Val Malga”
IT2070012 “Torbiere di Val Braone”
Il presente documento costituisce il Piano di Gestione della ZPS del Parco Naturale dell’Adamello,
del SIC di Crocedomini e per il SIC delle Torbiere di Val Braone.
Nel quadro normativo vigente Rete Natura 2000 è intesa come un insieme unitario di aree protette,
descrivibili come Zone Speciali di Conservazione e riconducibili a due tipi di siti:
-
I Siti di Interesse Comunitario (SIC) istituiti dalla Direttiva Habitat 92/43/CE
Le Zone di Protezione Speciale (ZPS), istituite dalla Direttiva Uccelli 79/409/CE
L’unitarietà di Rete Natura 2000 è richiamata dal comma 1 dell’articolo 3 della Direttiva Habitat:
“È costituita una rete ecologica europea coerente di zone speciali di conservazione, denominata
Natura 2000. Questa rete, formata dai siti in cui si trovano tipi di habitat naturali elencati
nell'allegato I e habitat delle specie di cui all'allegato II, deve garantire il mantenimento ovvero,
all'occorrenza, il ripristino, in uno stato di conservazione soddisfacente, dei tipi di habitat naturali e
degli habitat delle specie interessati nella loro area di ripartizione naturale. La rete «Natura 2000»
comprende anche le zone di protezione speciale classificate dagli Stati membri a norma della
direttiva 79/409/CEE.”
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Sulla scorta di tali considerazioni, in ragione di un principio di unitarietà gestionale, di efficienza e di
efficacia il presente Piano di Gestione contiene elementi di valutazione utili ad indirizzare le attività
gestionali assumibili dal Parco dell’Adamello anche nei seguenti siti interamente o parzialmente
interni alla ZPS:
·
·
·
·
·
·
·
·
·
4.2.
SIC
SIC
SIC
SIC
SIC
SIC
SIC
SIC
SIC
IT2070001 “Torbiere del Tonale”
IT2070003 “Val Rabbia e Val Gallinera”
IT2070004 “Monte Maser – Corni di Bos”
IT2070008 “Cresta Monte Colombè – Cima Barbignaga”
IT2070013 “Ghiacciaio dell’Adamello”
IT2070005 “Pizzo Badile – Alta Val Zumella”
IT2070007 “Vallone del Forcel Rosso”
IT2070009 “Versanti dell’Avio”
IT2070010 “Piz Olda – Val Malga”
OBIETTIVO GENERALE DI CONSERVAZIONE
L’obiettivo generale del Piano di Gestione per la conservazione della ZPS del Parco dell’Adamello,
del SIC Pascoli di Crocedomini – Alta Val Caffaro e del SIC delle Torbiere di Val Braone è quello di
attivare azioni per favorire la stabilità ecologica delle aree protette. La stabilità ecologica, la capacità
omeostatica o la sua resilienza (la funzionalità), dipendono in primo luogo dall’integrità della sua
struttura, ovvero dei suoi elementi. Per questo si è scelto di usare l’ecologia del paesaggio come
strumento di analisi e di interpretazione del grande sistema ecologico dell’area protetta.
Il caposaldo di questo approccio è l’analisi di un paesaggio (territorio) come sistema complesso di
ecosistemi, in cui le diverse componenti sono in relazione tra di loro in funzione della loro struttura
e delle loro funzioni
Il paradigma interpretativo e descrittivo più utilizzato nell’ecologia del paesaggio è la rete ecologica
o ecomosaico. Secondo tale modello la struttura ecologica di un territorio può essere descritta
come una rete interconnessa, composta da elementi con funzioni differenti, fra i quali:
-
-
-
Matrice ecologica è l’elemento paesaggistico più continuo ed esteso. Svolge un ruolo dominante
nel funzionamento del sistema-paesaggio (flussi energetici, presenza e spostamento delle
specie, ecc.).
Tessere: sono gli elementi eterogenei rispetto alla matrice. Possono avere un ruolo positivo
(tessere di risorsa) o negativo (tessere di distrubo) sull’ecomosaico. Possono inoltre essere
distinte in tessere naturali o introdotte, in funzione della loro origine
Corridoi: rappresentano gli elementi di connessione della rete, le direttrici principali dei flussi
trofici, energetici e degli spostamenti.
Gangli: : i gangli sono porzioni di territorio ove si concentrano tessere di risorsa e corridoi
ecologici al punto tale da caratterizzare tali aree come capisaldi dell’intero sistema
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-
Barriere: costituiscono un ostacolo ai flussi trofico – energetici ed agli spostamenti. Strade di
elevata percorrenza e ferrovie costituiscono l’esempio più classico di barriera ecologica
La rete ecologica è stata scelta come modello interpretativo in quanto offre una rappresentazione
sintetica della struttura ecologica del territorio e quindi permette una valutazione della funzionalità
ecologica ad essa conseguente.
4.3.
STRATEGIA DI GESTIONE
La biodiversità è l’indicatore impiegato per definire le scelte strategiche e le azioni gestionali.
Questo in ragione della legge ecologica per cui a partire da determnate condizioni ecologiche
stazionali maggiore è la biodiversità, intesa alle sue diverse scale, maggiore è la capacità di
autoregolazione di un sistema ecologico.
Un maggior grado di complessità garantisce al sistema e alle sue componenti (ad esempio le
zoocenosi) la possibilità di perpetuazione nel tempo, una miglior capacità di risposta ai fattori di
pressione attualmente presenti o che possano ingenerarsi nel prossimo futuro.
Il primo caposaldo della strategia gestionale del presente Piano è rappresentato dalla Rete
Ecologica dell’area protetta. Lo sforzo conoscitivo sulla struttura e sulla funzionalità degli
ecosistemi ha condotto in questo senso all’individuazione delle peculiarità e dei fattori costitutivi
dei singoli biotopi che compongono la ZPS e i SIC. Ciò ha un’immediata ricaduta gestionale che in
parte è già stata anticipata nei capitoli relativi all’analisi.
Sotto questa luce il territorio oggetto di pianificazione risulta infatti essere composto
indicativamente da tre sistemi. Partendo dalle quote più basse incontriamo la zona a matrice
forestale, per poi passare alla zona definita ecotonale e quindi la zona a matrice dei sistemi d’alta
quota. Il primo e terzo sistema necessitano per motivi diversi di un intervento gestionale più
limitato, mentre la zona ecotonale rappresenta il vero punto focale della gestione di tutta la ZPS e
dei SIC.
Nel caso della matrice forestale, infatti, l’interesse gestionale è limitato sia dalla ridotta
estensione all’interno dell’area protetta, inferiore al 10%, sia dall’assetto ecologico tipico dei
sistemi forestali altimontani e subalpini. Si tratta dunque di lembi limitati del vasto sistema
forestale montano, che si spinge fino a quote subalpine, ricadendo solo marginalmente nella ZPS e
dei SIC. Inoltre la zona a matrice forestale, ovvero il territorio fino ai 1600 metri in cui boschi e
foreste rappresentano l’elemento predominante, rappresenta poco più del 3% del totale. Emerge
dunque una frangia di ecomosaico articolato nella sua composizione a causa delle condizioni
orografiche e pedologiche, a buon livello di biodiversità a scala di paesaggio. I boschi rappresentano
dunque un elemento decisivo, che concorre alla costruzione del livello complessivo di biodiversità
ecologica. Non solo, essi hanno anche importanti risvolti faunistici nei confronti di specie di
interesse conservazionistico. È inoltre un sistema dinamico, soggetto all’azione antropica sia a livello
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di gestione (selvicoltura) sia a livello di distribuzione territoriale (sostituzione del bosco con il
pascolo).
La zona a matrice dei sistemi di alta quota genera un limitato interesse gestionale in funzione dei
fattori ecologici che ne determinano l’assetto ecologico. Pur trattandosi infatti del sistema
ecologico più esteso della ZPS e dei SIC, occupa più del 51% del territorio, il tipo e il peso dei fattori
ecologici limitanti azzera quasi le possibilità di costruzione di scenari gestionali complessi, se non di
tipo strettamente difensivo. Substrato e temperatura, quest’ultima dipendente da altitudine ed
esposizione, determinano in maniera radicale struttura e funzionalità degli ecosistemi presenti.
Questa natura dei fattori ecologici limitanti di fatto riduce notevolmente la plasticità delle strategie
di gestione. Si tratta di elementi difficilmente condizionabili dall’azione antropica e il cui
cambiamento è fuori dalla portata del presente piano di gestione. Le biocenosi presenti, ancorché
dotate di caratteri di unicità funzionale e di rarità, si presentano estremamente semplificate.
Semplificazione dei sistemi, rilevanza e tipologia dei fattori limitanti, in sintesi, confinano l’azione
gestionale ad una semplice riduzione/eliminazione del disturbo antropico.
La zona ecotonale, di contro, rappresenta l’ambito dell’area protetta a maggior interesse
gestionale. Si tratta di una zona estesa ed importante in termini quantitativi, occupando poco meno
della metà della superficie dell’area protetta. Gli elementi che la compongono in prevalenza
(arbusteti, praterie, bacini idrici, ecc…) rappresentano anch’essi poco meno della metà
dell’estensione totale di tutta la ZPS e dei SIC. In questa fascia si concentrano le caratteristiche
idonee alla definizione dei profili gestionali più complessi. Da un lato, infatti, il minor peso dei fattori
ecologici abiotici limitanti genera maggiore biodiversità e dinamismo ecosistemico. Dall’altro,
l’elevata estensione comporta che questi sistemi concorrano in maniera rilevante, preponderante,
agli equilibri ambientali d’area vasta (grande massa critica). Il connubio di estensione, biodiversità e
dinamismo rappresenta dunque il cardine su cui ruota la strategia gestionale per questa zona e in
buona misura di tutta l’area protetta.
Il secondo pilastro dell’approccio gestionale è rappresentato dall’analisi dell’azione antropica
sulle biocenosi. Già prima si è accennato come nel caso della zona di alta quota, l’intervento
dell’uomo sia essenzialmente esprimibile come disturbo antropico. I sistemi ambientali qui presenti,
come detto, sono estremamente semplificati e si confrontano con un contesto ecologico
estremamente rigido. Le dinamiche sono dunque rallentate ed eventuali azioni di disturbo possono
comportare tempi di ricolonizzazione estremamente lunghi. Ciò tuttavia non vuol dire che ogni
azione antropica in questa fascia debba essere letta come un disturbo. In molti casi infatti
registriamo attività compatibili con gli equilibri ecologici raggiunti. Ad ogni buon conto l’approccio
gestionale per la zona a matrice dei sistemi d’alta quota mira a regolamentare le attività
antropiche esistenti, riducendo/eliminando il disturbo eventualmente presente e favorendo le
azioni compatibili e non interferenti con la conservazione.
Nel caso delle zone a minor quota, ovvero nella fascia ecotonale e a matrice forestale, l’azione
dell’uomo può determinare sia incremento che riduzione della biodiversità. Siamo dunque in
presenza di un sistema complesso, in cui è necessario modulare con intelligenza l’azione dell’uomo
affinché da un lato possano essere incentivate le attività antropiche favorevoli all’incremento
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della biodiversità e sinergiche con la conservazione, dall’altro siano minimizzati e al limite
eliminati gli effetti negativi sulle biocenosi che talvolta sono collegate alle stesse attività
antropiche con valenza positiva.
A questo proposito giova ricordare che l’obiettivo gestionale della strategia di conservazione è il
mantenimento e ove possibile l’innalzamento del livello di biodiversità dell’area protetta. Scopo
primario del presente piano è dunque quello di garantire la conservazione dei livelli di qualità
ambientale e in subordine individuare le scelte più sostenibili per lo sviluppo delle attività
antropiche della zona.
Di contro è parimenti importante sottolineare come le valutazioni condotte hanno evidenziato che
l’azione dell’uomo non può e non deve essere letta unicamente come elemento di disturbo. Al
contrario, l’intervento dell’uomo, nei giusti contesti e ove correttamente indirizzato, comporta un
incremento della biodiversità che si riscontrerebbe in sua assenza. Si noti bene che con intervento
antropico non si vuole intendere solo l’azione di miglioramento ambientale, ma anche e soprattutto
le normali attività economiche tradizionalmente insediate nella zona. Si è già accennato più volte in
precedenza come la struttura ecologica del paesaggio mostri segni evidenti dell’intervento
dell’uomo, che ha modificato la distribuzione spaziale degli ecosistemi. L’azione di ampliamento
della superficie pascoliva (e prativa, sebbene in misura marginale nel territorio della ZPS e dei SIC)
ha discapito di boschi e cespuglieti ha determinato l’espansione degli habitat di prateria e
l’incremento della biodiversità, ampliando la zona ecotonale ricca di tessere di risorsa e favorendo
dunque un assetto dell’ecomosaico più ricco e stabile. Tale alterazione ha ovviamente anche
conseguenze sulle specie faunistiche collegate agli habitat erbacei favoriti dall’uomo.
A questo proposito occorre evidenziare come quest’azione positiva sia di fatto un’esternalità
(conseguenza secondaria) di un’attività economica. In quanto tale non comporta costi diretti, costi
che invece sarebbero da contemplarsi ove un analogo intervento venisse realizzato direttamente
dall’Ente Gestore. Facendo un esempio concreto, il contenimento dell’avanzata degli arbusti su una
superficie pascoliva può essere effettuato mediante sfalci o mediante pascolamento. Nel primo caso
ha un costo, nel secondo caso no.
Emerge dunque in maniera chiara come l’approccio gestionale debba partire dalla sintesi dei punti
di vista precedentemente esposti. L’azione antropica, intesa come esercizio delle normali attività
economiche, viene favorita nella misura in cui è uno strumento efficace ed efficiente finalizzato al
raggiungimento dell’obiettivo generale di conservazione, incentivandone gli elementi che
garantiscono l’incremento della compatibilità ambientale e imponendo regole che minimizzino le
esternalità negative.
Inoltre, in ragione dei minori costi e della maggiore efficienza a livello sistemico, un corretto
indirizzo delle attività antropiche deve essere privilegiato nei confronti di interventi diretti di
miglioramento ambientale, che al limite possono costituire casi di studio per interventi
sperimentali.
La scelta di abbracciare questo approccio strategico è intimamente connessa ad un altro “concetto
cardine”, quello della biodiversità gestionale o gestione sostenibile.
L’obiettivo primario è quello di prospettare le condizioni perché i sistemi naturali siano gestiti in
sintonia con il loro equilibrio ecologico e con la conservazione della biodiversità (biodiversità
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gestionale). I fatti ci dicono che è opportuno porre come presupposto il principio semplice ma non
banale o scontato, secondo il quale l’uomo lavora se ne ha un tornaconto. La constatazione che il
sistema dell’area protetta beneficia di un incremento di biodiversità in funzione della gestione
antropica comporta che la gestione debba essere in qualche modo remunerativa per chi la attua,
altrimenti verrà inesorabilmente abbandonata.
Il contributo pubblico su larga scala, come unica risorsa, si è storicamente dimostrato effimero.
Occorre pertanto che il privato riesca a ricavare reddito dalle attività economiche che esercita.
Una produzione “sostenibile” anche per il reddito. Con questo termine si vuole intendere un
chiaro e preciso concetto: la sostenibilità della gestione avviene quando l’interazione fra i soggetti
coinvolti, in questo caso l’uomo e la natura, rientra all’interno dei limiti di tolleranza per ciascuno
di essi. Il limite di tolleranza per l’uomo è dato dal reddito; il limite di tolleranza per la natura
nella fattispecie è dato dal limite della resilienza del biotopo.
Volendo tradurre il concetto sopra espresso in termini concreti si può fare riferimento alla gestione
selvicolturale dei boschi. Secondo questo paradigma, gli interventi di taglio non dovranno mai
mettere il bosco in uno stato involutivo, con diminuzione della biodiversità fino al rischio della
scomparsa stessa della fitocenosi. La gestione accorta, sostenibile per entrambe le parti, si esplica
individuando specifici parametri, definiti in termini quantitativi, così da improntare un metodo
generale che poi la situazione specifica saprà adeguare. In estrema sintesi, qualsiasi disturbo che
superi la resilienza del sistema, deve considerarsi inammissibile.
In conclusione la figura di Ente Gestore che emerge da questa strategia è solo in casi limitati quella
dell’esecutore diretto degli interventi sul territorio. Più correttamente può essere visto come il
regista degli attori economici (siano essi pubblici o privati), con un occhio di particolare riguardo
all’investimento in conoscenza (vedi i monitoraggi e gli studi pilota) degli effetti ingenerati
dall’applicazione delle singole strategie gestionali.
Questo approccio potrà trovare piena applicazione solo nel tempo. Il piano, infatti, si inserisce in un
contesto gestionale in cui la priorità più grande è l’incremento della conoscenza delle attività
antropiche e delle dinamiche ecologiche in atto sul territorio. Per questo motivo gran parte delle
schede di azione sono legate a monitoraggi, studi e progetti pilota. Tramite questa prima fase di
programmazione si vuole giungere a definire un quadro più dettagliato dello stato di conservazione
di habitat e specie e della presenza antropica nel territorio della ZPS e dei SIC, valorizzando anche il
complesso di studi e monitoraggi già eseguiti (si pensi, ad esempio, agli studi preparatori per la
redazione dei Piani di Settore).
Le schede di azione che sono state pensate indicando tempi, costi e ordine di priorità, al fine di
rendere quanto più concreto possibile il percorso gestionale nei prossimi anni.
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4.3.1. INDICAZIONI
DI ORDINE METODOLOGICO E GESTIONALE SULLA CONSERVAZIONE E VALORIZZAZIONE DELLE
RISORSE NATURALISTICHE, CON SPECIFICO RIFERIMENTO ALLA COMPONENTE VEGETALE.
4.3.1.1.
Premessa
Questo documento rappresenta la sintesi delle valutazioni derivanti dall’analisi della
documentazione esistente presso il Parco, ma è fondato principalmente sulle osservazioni dirette di
campo (come risulta da allegate relazioni sui siti visitati e sui percorsi effettuati) integrate dalla
pluriennale esperienza maturata in aree montane con analoghe caratteristiche ambientali e
problematiche gestionali. Esso risponde alla convenzione sottoscritta in data … e alla determina
dirigenziale n…. del …..
4.3.1.2.
Indicazioni di ordine metodologico generale
1. Qualsiasi tipo di analisi territoriale che si proponga di associare la vocazione naturalistica alle
attuali forme di utilizzo deve partire dalla considerazione dei valori e delle emergenze naturalistiche
(almeno per quanto al momento conosciute). Esse sono e restano le “invarianti” in ogni processo
pianificatorio. In questo caso lo sono a maggior ragione trattandosi di un parco (sia esso regionale
e/o naturale), e di un sito della Rete Natura 2000, ciò che impone il rispetto di alcuni indirizzi per
evitare la perdita di habitat (allegato I della direttiva 92/43) o la riduzione delle popolazioni di
alcune specie (allegati II e IV della medesima direttiva). Nel caso specifico di questo territorio si ha a
disposizione, quanto meno in linea teorica, una straordinaria banca dati, nel tempo incrementata
dal naturalista locale ing. Enzo Bona, il cui lavoro, proseguito nei decenni, anche con l’aiuto di altri
studiosi e appassionati locali, è stato incrementato negli anni con un livello di dettaglio assai
apprezzabile e che ha, inoltre, il pregio di essere stato impostato secondo metodologie
standardizzate in Europa centrale e alpina e, oltretutto, con dovizia di dati georeferenziati. Si
segnala che un formidabile lavoro di sintesi, coordinato dal prof. Martini dell’Università di Trieste e
che tratta in dettaglio la flora delle province di Bergamo e Brescia, è in fase di stampa.
2. Le aree campione oggetto di valutazione ai fini gestionali sono due SIC. I pascoli di Crocedomini e
alta Val Caffaro (4603, 52 ha, a prevalente substrato carbonatico) e le torbiere di Val Braone (68 ha,
di matrice silicatica). Non v’è dubbio, peraltro, che alcune indicazioni metodologiche e gestionali, a
prescindere dalla localizzazione degli eventuali interventi proposti, possano essere ritenute
esemplificative ed estensibili all’intero territorio del parco. Pur presentando una variabilità di climi,
substrati, situazioni geomorfologiche e tradizioni storico-antropiche, il territorio ha una sua relativa
omogeneità, almeno su scala regionale.
3. Si tratta, in particolare, di aree della fascia montano-alpina che da secoli sono state utilizzate a
pascolo o per la produzione di foraggio. Le profonde trasformazioni intervenute a partire dalla metà
del secolo scorso stanno generando cambiamenti epocali di complessa articolazione ai quali non
sono probabilmente estranei neppure i più recenti cambiamenti climatici.
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4. Il Parco dispone già di strumenti di analisi e di indicazioni pianificatorie. Da quanto emerge,
peraltro, pur rilevando che sarebbe necessaria una conoscenza meno superficiale delle
caratteristiche del territorio (lavoro che richiederebbe anni di sopralluoghi), sulla base dei materiali
già disponibili, si riscontra che a volte si tratta di indicazioni di carattere molto generale che
necessitano di essere tradotte in loco in modo puntuale (compito che l’ufficio, probabilmente, con
qualche mirato aiuto esterno, dovrebbe poter assolvere dignitosamente). In alcuni casi appaiono
opportuni aggiornamenti (attraverso riletture ispirate a concetti più dinamici e flessibili, sia
nell’approccio naturalistico che in quello gestionale e produttivistico). In altri casi, invece, spiace
doverlo rilevare, alcune interpretazioni della copertura vegetazionale appaiono discutibili e
necessiterebbero di una scala di maggiore dettaglio. Avendo intuito, e sapendo per esperienza, che
talvolta, a causa delle esigue risorse a disposizione, o dei tempi troppo ristretti richiesti per la
redazione della cartografia degli habitat, alcuni errori interpretativi sono fisiologici, si evince che
sarebbe da evitare la traduzione immediata dei tipi di habitat (considerati statici) in prescrizioni o
incentivi, senza ricorrere a una preventiva mediazione e, ove necessario, a più puntuali verifiche. La
prima opzione, per qualsiasi parco o sito natura 2000, resta quella di non disperdere e dissipare il
patrimonio di biodiversità in esso contenuto. Ciò implica l’adozione di scelte in cui la qualità e le
vocazioni naturalistiche di un territorio o parte di esso vengano concepite, realisticamente,
attraverso sistemi sostenibili di prescrizioni e/o incentivi (ben sapendo che solo in alcuni casi
l’abbandono all’evoluzione naturale risulta efficace) al fine di rendere “praticabile” il presupposto
teorico e possibile l’obiettivo da conseguire. Gli esempi di documenti pianificatori, inappuntabili o
quasi a livello teorico, ma risultanti poi semplici auspici in carenza di risorse o di riscontri reali che
tengano conto delle condizioni locali, sono numerosi. La conseguenza più comune è che tali
documenti restino poi inapplicati originando problemi di controllo e di sanzioni eventuali e
avvalorando la sensazione che si possa continuare come prima senza assumere la consapevolezza
dell’importanza degli obiettivi di conservazione e di riqualificazione, che nella maggioranza dei casi
sono del tutto compatibili con quelli di una corretta fruizione e valorizzazione, e che restano gli
obiettivi primari di un’area protetta. Non sono infrequenti le situazioni in cui una politica gestionale
troppo passiva contribuisce all’ulteriore degrado e impoverimento delle risorse naturalistiche e di
biodiversità. Ma è certo che anche un eccessivo permissivismo, ad esempio, sul carico pascolante e
sul mancato rispetto di siti vulnerabili, può avere effetti deleteri. Nei casi più delicati, questa è
l’indicazione metodologica più rilevante, necessita un sopralluogo mirato per valutare caso per
caso, al di là dei principi generali, di regola condivisibili, la soluzione da adottare, che sia realistica e
compatibile e non derivante da valutazioni a tavolino.
4.3.1.3.
-
Le tematiche generali emerse dai sopralluoghi
Il pascolo, con particolare riferimento al carico ottimale e alla sua razionalizzazione
nell’ambito del territorio di pertinenza.
La gestione dei biotopi umidi, alcuni dei quali di elevata qualità naturalistica, ma inseriti in
aree normalmente soggette a pascolo e potenzialmente minacciate.
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-
-
-
L’esigenza di evitare forme di gestione troppo semplificate e omogenee, favorendo la
complessità e considerando le differenti scale di lavoro.
La necessità di recuperare aree prative da adibire a interventi di falciatura programmata.
Esigenza da ritenersi fondamentale per la biodiversità e la qualità naturalistica, ma forse non
inutile neppure a livello gestionale di singole malghe.
L’opportunità di valutare i complessi pascolati e le rispettive adiacenze, su scala di
paesaggio, un valore che può creare nuove opportunità per un turismo sostenibile,
considerata la logistica e l’accessibilità delle aree prossime al Passo di Crocedomini.
L’importanza di scelte meditate e condivise che includano anche adeguati momenti
informativi e formativi.
Primi orientamenti e indirizzi su base gestionale per riqualificare siti degradati e mantenere i livelli
di biodiversità e la qualità naturalistica.
4.3.1.4.
Modalità di pascolamento e carico ottimale
L’allevamento del bestiame è attività centrale nell’economia locale e vanta tradizioni secolari, ben
radicate nella cultura locale e di tutto l’arco alpino. Preso atto che esso rappresenta per l’economia
di valle una risorsa importante, da non penalizzare, e in linea con la realtà socioeconomica e
culturale, nel caso si ambisca a mantenere (se non a potenziare) il patrimonio naturalistico, alcune
limitazioni, sia pure da assoggettare a compensazioni/incentivazioni, appaiono necessarie più che
opportune. Le criticità più manifeste sono la diffusione di aree nitrofile (romiceti, localmente
davvero eccessivi), il sovrapascolamento (anche pregresso e non solo attuale) segnalato da
sentieramenti che innescano processi erosivi su alcuni tipi di substrato, la diffusione di stadi a
Deschampsia caespitosa (in altri siti mi si riferisce anche a Veratrum album) che rivelano scarsa
razionalità (aree troppo intensamente pascolate alternate ad altre sottoutilizzate, utilizzazioni
saltuarie e molto irregolari), il degrado di zone umide eccessivamente soggette a calpestio che
peggiorano sia la qualità naturalistica che quella paesaggistica. Le soluzioni possibili dovrebbero
essere adottate malga per malga, attraverso opportuni interventi e puntuali prescrizioni, che siano
realmente attuabili. In alcuni casi (Malga Bauzenina su tutte) la riduzione del carico complessivo
appare fondamentale, in altri casi si tratta di prevedere una distribuzione più razionale attraverso
recinti o la sapiente conduzione del malgaro. Non è un caso, infatti, che le situazioni più interessanti
corrispondano ai pendii acclivi dove l’influenza delle sostanze azotate e delle deiezioni è
compensata più facilmente dal dilavamento. Gli impluvi, i pianori e le conche più fertili, dove il
bestiame sosta più a lungo sono, come prevedibile, gli ambienti più deteriorati nei quali lo
smaltimento delle sostanze fertilizzanti in eccesso, con il terreno reso più asfittico dal calpestio,
richiederanno decenni per essere recuperate, almeno parzialmente, a un livello di produttività
apprezzabile. L’individuazione di aree nelle quali impedire l’accesso agli animali e da assoggettare a
sfalcio precoce e ripetuto è soluzione da sperimentare. Al proposito, tenendo conto della necessità
di salvaguardare la biodiversità e valorizzare il paesaggio, sarebbe opportuno individuare come area
da sfalciare (presso ogni unità malghiva, se possibile e fattibile) anche un lembo non nitrofilo di
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buona qualità, sulla base di eventuali emergenze floristiche (ad esempio delle aree ricche di
Fritillaria, presumibilmente, dovrebbero trarre vantaggio). Al proposito, nell’ambito di un razionale
piano di pascolamento, non si dovrebbe essere preoccupati di eventuali piste tratturabili purché
progettate seconde regole tecniche di buon senso ed evitando che interessino zone torbose o altri
habitat rari e sensibili. Se tale soluzione, concordata con il gestore, contribuirà a migliorare la
produttività, non si dovrà essere preoccupati da una perdita relativa di habitat natura 2000, tenuto
conto che spesso non vi sono emergenze vere, nonostante le risultanze cartografiche nelle quali è
stato attribuito al nardeto 6230* un tipo di vegetazione che in realtà è un poeto solo talvolta
nardetoso (va rispettata la scelta di indicare il tipo potenziale piuttosto che quello reale che,
effettivamente, potrebbe essere mutevole nel tempo). Su tale aspetto si ritornerà.
Per quanto concerne la definizione del carico, si ritiene che si debba procedere secondo le classiche
metodologie (ben conosciute dagli agronomi), ma tenendo poi conto di vari fattori correttivi che
contemplino anche la situazione attuale dei tipi di vegetazione (non solo di pendenze ed
esposizione), della necessità di risparmiare (per gestioni ambientali vi sono teorie, peraltro discusse,
che parlano anche di un 25% come limite per evitare l’ingresso dell’arbusteto o del bosco), di
eventuali aree da riservare alla gestione della biodiversità in modo differente (zone umide-torbose,
nicchie particolari con specie di lista rossa che soffrirebbero l’eccesso di calpestio, mentre altre
potrebbero essere favorite). Va tenuto presente che il peso di un bovino adulto da latte, oggi, è
molto maggiore di quello del secolo scorso e che il suo impatto, su terreni argilloso-marnosi, è
rilevante. Il problema va posto anche in caso di pascolamento equino ed ovicaprino, secondo le
specificità abbondantemente note in letteratura e valutate malga per malga, sempre partendo dalle
caratteristiche naturalistiche e tenendo conto delle potenzialità intrinseche (cioè della vocazione, in
assenza di interventi gestionali). Un altro problema che si pone è quello della distribuzione delle
deiezioni, assimilabili più a liquame, per quanto non fermentato in concimaia, che a letame maturo.
La costruzione di piste tratturabili potrebbe favorire anche tale operazione evitando la
concentrazione eccessiva in pochi siti. Certo, per i siti natura 2000, va ricordato che il vero habitat
sarebbe quello di formazioni magre e ricche di specie (sostanzialmente 6230*, considerato che per
6520 la condizione ottimale è la falciatura). In altri termini, complessivamente, si tratta di ridurre la
quantità di fertilizzanti che finisce sul pascolo, per migliorare la qualità pur sapendo di dover
sacrificare parte della produzione foraggera. Del resto, la stesa normativa europea, come ratio di
base, tende a incentivare forme di utilizzazione più estensiva e a scoraggiare quelle intensive.
Sui principi generali le idee e le soluzioni proposte dovrebbero convergere. Nello specifico
servirebbe che ogni malga si potesse dotare di uno specifico piano di gestione nel quale risultino
evidenziate le emergenze da rispettare e valorizzare, i vincoli necessari per avviare la
riqualificazione, gli obiettivi complessivi per assicurare la sostenibilità senza penalizzare la qualità
naturalistica e paesaggistica.
Riassumendo, per quanto concerne il carico pascolante, fatte salve le valutazioni e conseguenti
indicazioni puntuali fornite nelle relazioni specifiche sui siti visitati, il metodo da seguire per cercare
le soluzioni compatibili e realistiche, finalizzate al conseguimento degli scopi istituzionali di un’area
protetta, sarebbe il seguente:
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Tener conto delle emergenze naturalistiche segnalate (per la flora si dispone di mappe e dati
particolarmente aggiornati). Può essere che la conservazione di alcune specie richieda
interventi attivi e che in altri casi, invece, siano necessarie alcune cautele che lo stesso buon
senso potrà suggerire.
Necessita uno studio, spesso già disponibile, eventualmente da aggiornare, per stabilire sia il
carico ottimale che le modalità gestionali. Un pascolo a rotazione, ad esempio, con recinti
mobili, va privilegiato rispetto alla libertà di muoversi che conduce, nella grande
maggioranza dei casi, all’eccessivo sfruttamento dei siti più comodi e accessibili e al
sottoutilizzo di quelli più marginali con negative conseguenze per la qualità pabulare e anche
per la biodiversità.
Stabilite, malga per malga, le linee guida generali con gli obiettivi da conseguire (utili sistemi
incentivanti e/o penalizzanti) è indispensabile verificare i risultati al fine di evitare che le
prescrizioni restino sulla carta. In tal senso, la strada da seguire sarebbe quella di concedere
gli incentivi a consuntivo, sulla base del risultato di gestione e non della superficie pascolata
o di altri parametri simili.
Ove necessario, e non se ne dubita, saranno opportune attività di carattere formativo per
acquisire non solo il necessario consenso, ma altresì la consapevolezza che il patrimonio che
gli allevatori sono chiamati a gestire, è un “bene comune” che impone anche alcune regole.
In linea del tutto generale, inoltre, non v’è dubbio che all’interno di un’area protetta si
debbano privilegiare interventi e modalità gestionali orientati a favorire una produzione
lattiero-casearia il più possibile vicina alla “naturalità” scoraggiando sistemi di alimentazione
più intensiva per forzare la produzione e, ancor meglio, puntando alla sostenibilità
dell’intera filiera.
4.3.1.5.
La gestione dei biotopi umidi
A livello naturalistico, trattandosi di aree SIC concepite proprio per la tutela di alcuni valori legati
alla presenza di habitat e/o specie rare, inserite nelle liste europee, l’attenzione da rivolgere a tali
ambiti dovrà essere quella prevalente. L’esperienza insegna che raramente con soli vincoli e
semplice recinto per evitare l’ingresso del bestiame si ottengono risultati soddisfacenti. Altrettanto
accertato, peraltro, che una totale libertà di azione potrebbe generare, specialmente in annate
siccitose, danni da calpestio che incidono negativamente sulla qualità naturalistica del sito e sulla
stessa integrità del biotopo, avviando processi di degradazione difficilmente reversibili.
Di regola, le schede che hanno a suo tempo determinato l’inclusione di alcuni territori nei SIC
contengono già le indicazioni su specie e habitat da tutelare. Per l’esperienza acquisita, e
considerata la velocità con la quale le popolazioni di alcune specie modificano la consistenza,
sarebbe necessario che il parco prevedesse una fase di monitoraggio tesa a riaccertare sia la
presenza delle specie di lista rossa più qualificanti che lo stato complessivo dell’habitat.
Osservazioni in tal senso, ad esempio, puntuali poiché riferibili solo al sito visitato, sono contenute
nelle relazioni specifiche associate a ogni percorso effettuato (è il caso delle torbiere in Val Braone).
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La discussione sull’utilità o meno del pascolo in torbiera ha radici profonde ed è oggetto di
discussione al punto che sarebbe difficile proporre regole generalizzabili valide in ogni sito. Tuttavia,
sempre sulla base di esperienze analoghe, si ritiene che forme di pascolamento marginale e non
intensive siano ben tollerate (potrebbero essere assimilate agli effetti generati dalla presenza di
fauna selvatica), al contrario di presenze più stabili in cui i danni da calpestio e l’inevitabile maggiore
accumulo di azoto ammoniacale innescherebbero processi di degrado inaccettabili in area protetta.
Solo in casi estremi (ad esempio una torbiera alta con cumuli di sfagni o pozze che ospitino specie di
pregio) qualche puntuale e specifica prescrizione (meglio ancora un intervento fisicamente
disincentivante) potrebbe rendersi opportuna. Nel caso di pianori alluvionali (es. Gàver) in cui si ha
un mosaico di situazioni, si dovrà tener conto della dinamica naturale, che implica anche fluttuazioni
della consistenza e della disposizione spaziale di alcune specie, non potendo prevedere esattamente
delle aree da recintare, sarà importante intervenire con il buon senso al fine di evitare modalità di
pascolamento troppo omogenee su estese aree. Per conservare la biodiversità, infatti, le differenze
gestionali possono rappresentare, anche in zone ristrette, una soluzione efficace. Si ritiene che,
probabilmente, una norma prudenziale, tesa ad evitare soste prolungate in queste aree di pregio,
potrebbe rivelarsi opportuna. Sarebbe sufficiente, ad esempio, che nel piano gestionale del sito si
prevedano quote di risparmio per alleggerire il carico e farlo avvicinare a quello compatibile con la
presenza di fauna autoctona (si ricorda che il cervo, per esemplificare, ha impatti non trascurabili).
Nel caso di laghi e laghetti, dopo la puntuale ricognizione e la verifica di presenze naturalistiche di
pregio, si tratterà di valutare, eccezionalmente, se limitare l’accesso all’abbeverata in alcuni tratti di
sponda che sarà opportuno risparmiare, sottraendoli al calpestio.
In termini molto più generali, peraltro, sarà sempre bene informare (e formare!) i gestori delle
malghe che tutti i siti umidi rivestono elevato valore per la biodiversità, anche quando essi appaiono
già degradati. Per la rete ecologica, infatti, e per molte specie della fauna, vertebrata e non, si tratta
di siti comunque importanti che richiedono forme di rispetto. Ciò vale, a maggior ragione, per le
sorgenti, anche quelle piccole non potenzialmente sfruttabili. Il loro contributo alla definizione della
qualità paesaggistica è, infatti, sempre fondamentale. Paradossalmente, l’allegato I della direttiva
habitat non ha previsto un codice natura 2000 per le sorgenti (ad eccezione di quelle pietrificanti,
7220*). Tale evidente limite si riscontra anche per i canneti e per i magnocariceti, tutte formazioni
di rilevante valore naturalistico e biogeografico. Non sarebbe male che, risorse permettendo,
all’interno di ogni comprensorio malghivo si provvedesse a un puntuale censimento di tali siti,
distinti per tipologia, in modo da avere un catasto quale utile riferimento per poi valutare la qualità
della gestione. Caso per caso, inoltre, nell’ottica di una pianificazione integrata, potrebbero essere
previsti interventi tesi a favorire, in particolare, il potenziamento di alcune popolazioni di specie di
pregio e rare, secondo gli auspici della direttiva habitat. Nel complesso, quindi, la gestione di questi
siti umidi, la cui importanza naturalistica non richiede, al di là della qualità maggiore o minore degli
stessi, di essere ribadita, va pensata su tre diversi livelli.
- Per specie di lista rossa, o notoriamente sensibili, siano previste opportune regole che
potrebbero riguardare sia eventuali limitazioni d’uso, che misure specifiche di protezione,
che ricerche mirate al loro possibile incremento.
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All’interno di ogni comprensorio o unità gestionale, una mappatura che consenta di avere il
quadro più generale. In tal caso, per esemplificare, anche il sacrificio puntuale di qualche
lembo assumerebbe significati differenti secondo la maggiore o minore diffusione di quel
tipo e non comprometterebbe, quindi, l’equilibrio complessivo e la funzionalità della rete
ecologica.
- Si dovrebbe valutare, nell’insieme dell’intero sito e a livello paesaggistico, il contributo
complessivo di queste aree umide, sapendo che esse, qualitativamente, incidono
sostanzialmente sull’attrattività turistica. In diversi casi, inoltre, si dovrà tener conto del
naturale dinamismo (zone alluvionali, ma non solo) per evitare che interventi puntuali
risultino inefficaci o che, al contrario, si blocchino per timore di compiere danni irreversibili.
La valutazione se un intervento sia o meno compatibile, dopo aver escluso danni alle
emergenze naturalistiche che restano delle invarianti, va affrontata soprattutto a questa
scala.
Infine, non sarà inutile richiamare l’attenzione, a livello pianificatorio, sul fatto che la presenza di
luoghi umidi di pregio potrebbe essere oggetto di interventi di valorizzazione attraverso percorsi,
itinerari, con segnaletica diffusa o localizzata. In tal modo si assolverebbe anche un compito
educativo che certamente rientra tra le finalità delle aree protette e in linea con la stessa direttiva
europea.
-
4.3.1.6.
La gestione della biodiversità
Tra i molteplici compiti di un parco naturale, e nondimeno di un SIC, la gestione del patrimonio
naturalistico di biodiversità rimane prioritario, pur senza negare l’esigenza di individuare soluzioni
compatibili che assicurino il mantenimento di attività tradizionali capaci di produrre una quota di
reddito. In siti montani l’allevamento del bestiame e le utilizzazioni forestali sono le risorse di base
da considerare. Nell’ambito del lavoro finalizzato alla pianificazione dei siti natura 2000, ci si è
occupati, a livello quasi esclusivo, delle criticità gestionali derivanti dall’utilizzo dei pascoli. In ordine
alla determinazione del carico ottimale, dei sistemi di rotazione e della necessità che ogni unità
gestionale venga dotata di un piano particolareggiato, ci si è già espressi nel precedente paragrafo.
Qui si intende fornire un approccio metodologico innovativo, o in verità noto ma poco o per nulla
applicato, che interessa non solo i singoli siti soggetti a pascolamento, ma l’intero territorio del SIC,
anche nelle aree meno utilizzate. Le comunità vegetali, che meglio di altre esprimono la sintesi dei
fattori ecologici che determinano la funzionalità degli ecosistemi, sono soggette al naturale
dinamismo e non devono essere interpretate quali tessere di un mosaico stabile. Le singole specie,
inoltre, ove si escludano i casi più estremi in ambienti moto selettivi in cui un singolo fattore è
nettamente prevalente, sono anch’esse soggette alla concorrenza e, quindi, la distribuzione delle
popolazioni può subire, in stagioni successive, traslazioni spaziali che rispondono a variazioni dei
parametri che caratterizzano i singoli fattori, quale opportuna reazione in modo da riposizionarsi in
siti che meglio rispondono alle proprie esigenze ecologiche. Le specie del nardeto, per esempio, che
caratterizzano pendii magri e poco concimati, vengono spiazzate dalla concorrenza in caso di
liquamazioni, ma prima di sparire dal contesto locale ricercano condizioni più favorevoli che
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possono trovare, ad esempio, sui costoni più acclivi (quindi dilavati) o presso orli boschivi non
interessati dagli effetti dello spargimento di nutrienti azotati. Da esperienze dirette e molteplici di
rilevamento di superfici erbacee, si osserva che i livelli migliori di biodiversità si ottengono laddove,
spesso per motivi casuali, talvolta addirittura in seguito a situazioni conflittuali, si manifestano
disomogeneità gestionali che contribuiscono ad accrescere e diversificare le nicchie ecologiche,
favorendo, di riflesso, la sopravvivenza di specie e comunità vegetali che altrimenti avrebbero
subito la concorrenza. Esemplificando, quindi, ciò significa che va contrastata la tendenza a
semplificare la gestione per favorire la razionalizzazione produttiva, constatando, anzi, che essa
potrebbe essere in contrasto con le esigenze di mantenere elevata biodiversità. I fenomeni di
irregolarità gestionale, nel tempo e nello spazio, quindi, non sono aspetti da perseguire o da
eliminare a tutti i costi. Nel caso di aree falciate, sempre a titolo esemplificativo, in uno stesso sito,
sarebbe utile prevedere lembi in cui i periodi di falciatura variano e con essi anche il numero dei
tagli per stagione o si possa sperimentare anche lo sfalcio ad anni alterni. In altri termini, più si
diversifica la gestione e più probabile risulta il mantenimento di elevati valori di biodiversità. Certo,
si potrebbe verificare il caso in cui tale sistema condurrebbe verso uno scadimento della qualità
paesaggistica, ma ciò non è prevedibile a priori. Le aree montane sono, quasi sempre per la loro
conformazione orografica, poco omogenee. Le differenze di substrato e la micromorfologia di
dettaglio accentuano le diversità, favoriscono le situazioni ecotonali e le transizioni, ma rendono
complesso sia il rilevamento cartografico degli habitat, sia le indicazioni gestionali da fornire per
singoli habitat. Si rende quindi necessario, o quanto meno più che opportuno, impostare ogni
programma di gestione su scale di lavoro diverse, più ampie e articolate. Si ritiene al proposito che
quella ideale, per territori complessi, sia quella del paesaggio, che ha altresì il vantaggio di
contemplare il naturale dinamismo della vegetazione, non gestibile a scala di singoli habitat se non
per superfici estese ed omogenee, oppure con larghe approssimazioni. Nel caso si rispettino le
invarianti di partenza sulle emergenze naturalistiche, tale approccio consente una maggiore
flessibilità. Anziché prevedere sistemi incentivanti a scatola chiusa, e solo preventivi, questa
considerazione porta altri punti a favore di sistemi fondati sui contributi a consuntivo, cioè da
erogarsi dopo la verifica sul campo della qualità della gestione. Le scale di lavoro, sia di rilevamento
che di indicazione gestionale, inoltre, dovrebbero essere variabili, ad esempio di notevole dettaglio
in siti umidi complessi, e certamente su scala maggiore per versanti boscati relativamente poveri di
disontinuità orografiche. Nel caso di pascoli, verosimilmente, ci si dovrebbe collocare su scale
intermedie, fatta salva la preventiva valutazione del quadro naturalistico che, se di notevole qualità,
potrebbe richiedere un maggiore dettaglio.
4.3.1.7.
Il recupero possibile di aree prative da assoggettare a regolari falciature
Valutando lo stato dei pascoli e delle formazioni erbacee osservate nei vari percorsi si ritiene che
una proposta gestionale meritevole di essere attentamente valutata in termini di costi-benefici, è
quella di individuare, per ciascun comprensorio malghivo, delle aree da sottrarre al pascolo e da
riservare a prato, cioè da falciare (in tal caso con asporto e privilegiando falce o falciatrici leggere
rispetto al decespugliatore). I motivi per insistere su tale concetto, senza fissare dei limiti tassativi,
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dovendo verificarne la fattibilità caso per caso e la volontà di collaborazione da parte degli
allevatori-gestori, sono sia naturalistici che paesaggistici, ma non si esclude possano avere, almeno
in alcuni casi, anche una funzione di riserva di fieno per qualche emergenza. A livello naturalistico,
per molte specie erbacee, la falciatura regolare (in genere è sufficiente un taglio per ogni stagione,
salvo situazioni di esposizione e di quota talmente favorevoli da consigliarne due), rispetto al
pascolo, consente il mantenimento di una maggiore varietà di specie e, in ogni caso,
rappresenterebbe una diversificazione gestionale importante e contribuirebbe a ridurre le superfici
infestate da piante nitrofile prive di valore pabulare. Alcuni esempi in Svizzera (dove il problema
della gestione dei triseteti, prati pingui montani, è stato affrontato fin dagli anni ’60 del XX secolo) e
nel vicino Alto Adige (dove si falcia spesso a quote superiori ai 2000 m con ottimi risultati) sono
molto emblematici e rappresentano un esempio di buone pratiche degno di essere esportato in
territori con simili caratteristiche. La qualità floristica di un prato falciato, inoltre, impatta
positivamente sull’attrattività turistica e rende il paesaggio ancora più “appetibile”. In stazioni e siti
con frequentazione turistica apprezzabile, si tratta di una modalità gestionale meritevole di essere
sperimentata. La quantità di aree prative da ricavare per ogni unità malghiva non può essere
determinata a priori, ma per avere senso non dovrebbe essere sotto la soglia di circa 900-1000 mq.
Evidentemente un simile programma richiederà, oltre a precise indicazioni in sede di piano
particolareggiato per ogni unità malghiva, un piano (sia pur minimale e dai costi certamente
contenuti) di monitoraggio (in pratica rilievi fitosociologici, anzitutto, e in alcuni casi basteranno
controlli su specie indicatrici), attraverso il quale valutare i risultati dell’intervento e perfezionare o
correggere eventuali indicazioni rivelatesi poco adeguate.
4.3.1.8.
Informazione, formazione, fruizione, valorizzazione a scopi turistici
Pur non rientrando fra gli scopi indicati nell’incarico, si ritiene utile fornire qualche indicazione,
maturata lungo i percorsi effettuati, che potrebbe poi essere valutata e approfondita in sede di
pianificazione generale. La qualità naturalistica di alcuni siti e i paesaggi che si possono ammirare,
fanno ritenere che la dimensione “produttiva” dell’unità malghiva non sia l’unica meritevole di
essere considerata. Nelle aree montane il turismo a volte si concentra solo lungo alcuni itinerari e
mete preferenziali. Talvolta sono ampiamente giustificati dall’eccezionalità dei siti, ma in altri casi si
sommano motivazioni casuali e/o scelte imprenditoriali. Di fatto esistono altri siti e percorsi degni di
maggiore attenzione che se adeguatamente segnalati possono contribuire a decongestionare e
differenziare dei flussi turistici. Tale ambizioso obiettivo, alla base della programmazione di un
parco regionale, sarà certamente oggetto di attenzioni in sede pianificatoria e presuppone diverse
fasi, fra di esse integrabili in parallelo e non da vedersi solo in successione temporale.
L’informazione presuppone una scelta a monte di comunicare le valenze naturalistiche anche per
contribuire a colmare deficit di conoscenze di base. Esistono sistemi semplici e poco onerosi, che
pur richiedono un minimo di manutenzione. In questo caso la verifica sul campo del corretto
posizionamento di alcuni segnali va eseguita da persone esperte. La pubblicazione di brochure, la
cura del sito internet e l’organizzazione di specifici momenti seminariali rientra in tale ottica. L’idea
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maturata in tale contesto è che nel caso si decidesse che ne valga la pena, non si potrà improvvisare
e limitarsi a una cartellonistica scadente per contenuti o con evidenti errori.
Le attività formative sono sempre alla base del successo di molte iniziative e vanno proiettate nel
medio-lungo periodo. Esse dovrebbero rivolgersi sia agli amministratori che alle categorie più
direttamente interessate alla gestione, oltre che al pubblico in generale, ove possibile. La
sensazione che si conosca ancora poco è supportata da alcuni confronti in loco e si ritiene che la
qualità complessiva del territorio del parco meriti tali investimenti, magari approfittando delle
sinergie con altri enti e istituzioni interessati. Le ricadute positive potrebbero non essere subito
manifeste, ma non ci si pentirà di tale investimento. Tra i temi da affrontare, naturalmente, si
dovrebbe dar spazio, senza remore, non solo a questioni istituzionali, ma anche ad argomenti capaci
di suscitare interessi, emozioni, attese, educando a una corretta lettura del territorio e delle sue
qualità. Bellezza e criticità, senza sconti.
Per valorizzare un territorio montano e favorire la sua fruizione sono infine necessari anche
interventi promozionali, anch’essi da sviluppare possibilmente in sinergia con altre istituzioni, dal
momento che al Parco non si dovrebbe chiedere, come qualcuno forse auspicherebbe, di
trasformarsi in semplice agenzia turistica. Compito del Parco è mettere a disposizione il suo knowhow, le informazioni di base, assicurare il contributo (se non economico almeno di personale o di
strutture) per favorire qualsiasi iniziativa tesa a promuovere il territorio in ottica di fruizione
sostenibile. La qualità floristica dei pascoli di Crocedomini e dintorni, per esempio, è nota solo a
pochi botanici addetti ai lavori. Si tratta di capire (la scelta, giustamente, appartiene alla sfera
politica) se si intenda mantenere la situazione attuale, con alcune criticità gestionali puntualmente
segnalate, oppure puntare a creare del valore aggiunto sfruttando la buona accessibilità per
promuovere altri valori. In Francia per esempio, si trovano molte pubblicazioni divulgative sui valori
floristici e, perfino, si pubblicizzano itinerari dedicati all’osservazione di qualche singola pianta o di
alcune di esse. Disponendo in loco di adeguate competenze e professionalità il compito non sarebbe
certo difficile. Il fascino dei pascoli ne trarrebbe un sicuro giovamento.
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5. OBIETTIVI SPECIFICI E SCHEDE DI AZIONE
L’obiettivo generale di conservazione e la relativa strategia gestionale, declinati nel precedente
capitolo, si traducono in una serie di obiettivi specifici di conservazione. Questi sono stati delineati a
partire da una pluralità di fonti:
- Valutazioni derivanti dall’analisi della Rete Ecologica della ZPS e d’area vasta
- Analisi dei singoli comparti (agricoltura, turismo, acque, foreste, fauna) attraverso gli studi
preparatori prodotti a sostegno della pianificazione di settore per il Parco dell’Adamello
- Valutazione dello stato di conservazione delle singole specie e habitat di interesse
comunitario
- Valutazione di altre emergenze e peculiarità ambientali emerse durante la redazione del
presente Piano di Gestione
L’individuazione dei singoli obiettivi specifici di conservazione è funzionale alla definizione delle
singole azioni di piano. In altre parole gli obiettivi specifici contestualizzano l’obiettivo generale in
diverse aree d’intervento. Ciascuna di queste macro-aree è quindi “popolata” o meglio
concretizzata attraverso una o più azioni di Piano. La corrispondenza è riportata nella tabella
sinottica in calce al capitolo. Di seguito, invece, si riporta una breve analisi di ciascun obiettivo. Le
schede d’azione sono invece riportate in allegato
5.1.
INVESTIMENTO IN CONOSCENZA, SPERIMENTAZIONI E MONITORAGGI
La definizione di strategie di conservazione sito specifiche è un’operazione complessa. I monitoraggi
e i progetti pilota rappresentano dunque le due colonne portanti del sistema di “investimento in
conoscenza” che l’Ente Gestore potrà effettuare nei prossimi anni. A tal fine è stata prevista
un’ampia gamma di piani di monitoraggio, a partire dalla diffusione di habitat e specie di interesse
comunitario, fino a programmi di ricerca specifici collegati proprio alle azioni di piano delineate in
questa sede. Oltre a ciò l’Ente Gestore potrà promuovere interventi sperimentali finalizzati alla
costruzione di “best practices” nei vari settori. Particolarmente importanti e meritevoli di
evidenziazione sono poi le sperimentazioni nel campo della gestione ambientale degli alpeggi, che
potranno portare alla costruzione di un prezziario ad hoc per l’identificazione e la giusta
remunerazione delle azioni di miglioramento ambientare realmente efficaci
5.2.
CONTENIMENTO DEL DISTURBO DERIVANTE DALLA PRESENZA ANTROPICA
Le peculiarità di alcuni dei biotopi presenti (importanza dei fattori limitanti oltre una certa quota,
scarsa biodiversità in metà della superficie, ecc…) determinano la necessità di basare l’approccio
gestionale su una riduzione (e al limite eliminazione) del disturbo antropico. Con ciò non si vuole
negare quanto detto in precedenza sulle sinergie fra attività economiche e conservazione della
biodiversità. In determinati contesti di particolare fragilità, tuttavia, trattandosi di un’area di
protezione della natura, l’approccio non può prescindere dal divieto/regolamentazione di pratiche e
attività dannose. Quest’affermazione è tanto più valida nei contesti dotati di minor dinamismo e
plasticità ecologica (si pensi, ad esempio, alla vegetazione rupicola). Vanno in questa direzione tutte
le iniziative di riduzione della presenza antropica nelle aree di maggior sensibilità (si legga, ad
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esempio, l’azione volta a rafforzare la regolamentazione dell’accesso dei mezzi motorizzati nel
territorio della ZPS e dei SIC), nonché di rafforzamento del controllo del bracconaggio. La riduzione
del disturbo determinato dall’attività antropica può comunque essere perseguito anche nel caso di
attività sinergiche alla conservazione della biodiversità. Nel caso del pascolo, dunque, il Piano
prevede una serie di iniziative volte a minimizzare le esternalità negative, innescando processi di
incremento dell’efficienza del sistema di gestione degli alpeggi (si veda a questo proposito
l’obiettivo 4). Specifiche azioni vengono poi proposte per garantire una maggiore sostenibilità delle
strutture d’alta quota rispetto alle principali fonti di impatto sull’ambiente: consumo di risorse
(soprattutto acqua potabile ed energia) e smaltimento/trattamento di rifiuti ed effluenti.
5.3.
SALVAGUARDIA DEL PASCOLO COME ELEMENTO DI CONSERVAZIONE DELLA BIODIVERSITÀ
Il piano di gestione dovrà salvaguardare e valorizzare le presenza l’attività d’alpeggio nella sua
funzione di elemento di mantenimento e potenziamento della biodiversità. Per poter raggiungere
questo obiettivo si opererà su diversi fronti.
In primo luogo dovrà essere garantita la permanenza dell’allevamento come attività produttiva
capace di generare un tornaconto per chi opera nel settore. L’economicità dell’allevamento d’alpe è
il fattore chiave per il mantenimento di tale attività in quota. Tale permanenza è strategica in
quanto il pascolo correttamente gestito è l’unica modalità efficace ed efficiente per il
mantenimento del pascolo d’alpe in condizioni non in climax. A tale scopo l’Ente Gestore potrà
intervenire direttamente, in casi circostanziati, per potenziare la dotazione infrastrutturale del
territorio, indispensabile precondizione per la presenza di attività economiche
In secondo luogo dovrà essere potenziata la sostenibilità ambientale degli allevamenti. Tale
obiettivo potrà essere perseguito agendo su due fronti. Da un lato dovrà essere migliorata la
conoscenza delle specificità ambientali di ciascun alpeggio e delle modalità gestionali con cui
vengono condotti. Dall’altro si dovrà agire identificando modalità gestionali più improntate al
mantenimento delle biodiversità. A questo proposito si potrà agire identificando azioni di gestione
ambientale adeguatamente remunerate, aggiuntive rispetto alle normali misure agroambientali e
che possano essere intraprese dai conduttori a titolo volontario. Si potranno inoltre valutare
modifiche ai meccanismi di assegnazione degli alpeggi, introducendo meccanismi premianti per i
soggetti che propongano modalità gestionali più sostenibili.
L’Ente Gestore potrà inoltre avviare sperimentazioni e progetti pilota per la valutazione della
sostenibilità, dell’efficienza e dell’efficacia di interventi nel campo dell’allevamento in quota, con
l’obiettivo di definire delle best practices per la prossima programmazione.
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5.4.
RIPRISTINO DELLE CONDIZIONI DI NATURALITÀ NEI CORSI D’ACQUA CAPTATI
Le aree protette risultano interessata dalla presenza di 14 derivazioni idriche. Lo sfruttamento dei
corsi d’acqua per la produzione di energia idroelettrica ha provocato perturbazioni dell’integrità
ecologica degli stessi dovuta all’alterazione della loro idrologia naturale.
La tutela dell’ecosistema fluviale e dell’habitat 3220 “Fiumi alpini con vegetazione riparia erbacea“,
perseguita attraverso il ripristino delle condizioni di naturalità nei corsi d’acqua, compare quale
importante obiettivo del Piano di Gestione.
5.5.
MANTENIMENTO DEGLI EQUILIBRI NEGLI ECOSISTEMI FORESTALI
Gli obiettivi specifici per gli ecosistemi forestali si concentrano essenzialmente in quella fascia
individuata dalla rete ecologica definita “ecotonale”.
E’ in questo contesto subalpino che il bosco, nelle sue diverse espressioni, si relaziona attivamente
da una parte con l’attività antropica, ovvero il pascolo, e dall’altra con la matrice ecologica naturale
costituita da quella fascia di passaggio fra la matrice forestale e quella dei sistemi d’alta quota,
sopra il limite del bosco, che in ecologia forestale viene chiamato limite freddo, ovvero dove
l’aumento della altitudine comporta l’azione disseccante del vento, l’aridità edafica (substrati
calcarei) e soprattutto l’abbassamento delle temperature, allungamento del periodo d’innevamento
e conseguente accorciamento del periodo vegetativo. A volte questo limite può essere anche creato
artificialmente mediante l’azione dell’uomo che riduce il bosco per far posto al pascolo.
E’ in questa fascia che si possono definire degli obiettivi specifici nella gestione/non gestione dei
sistemi forestali. A tal fine il Piano di Indirizzo Forestale redatto per i comuni dell’alta valle già indica
delle modalità gestionali completamente condivise dal presente piano di gestione della ZPS e dei
SIC, in quanto hanno come riferimento l’equilibrio biologico del bosco, inteso come ecosistema e
dunque il mantenimento dell’integrità della sua struttura e conseguente efficienza ecologica a
riguardo anche delle zoocenosi esistenti.
In questo scenario una menzione particolare va riservata ai cespuglieti. Il PIF sottolinea come questi
biotopi meritino una tutela particolare proprio in funzione dell’unicità funzionale e/o della rarità
che li caratterizza. Ci troviamo di fronte a potenziali habitat di interesse comunitario e prioritario
(mughete con rododendro su substrati calcarei). È tuttavia complesso il rapporto con altri habitat di
interesse comunitario e con le specie faunistiche connesse a tali ambienti. La presenza degli habitat
prativi è infatti un elemento di pregio per la ZPS e per i SIC e parte di questi alpeggi sono stati
realizzati dall’uomo in sostituzione di ambienti forestali e di arbusteto. In questo caso, dunque, il
Piano propone una regolamentazione e una gerarchizzazione dei rapporti fra habitat prativi e
arbustivi, a partire dalla salvaguardia degli elementi di interesse prioritario.
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5.6.
GESTIONE DEI FLUSSI TURISTICI
Il turismo rappresenta uno dei pilastri dell’attività economica all’interno della ZPS e dei SIC. Questa
presenza è generalmente ben inserita all’interno delle esigenze di conservazione dell’area protetta
e può concorre ad attrarre sul territorio risorse importanti per la conservazione e la valorizzazione
dei sistemi ambientali. Non di meno bisogna omettere il fatto che proprio la pressione turistica
possa, in alcune zone, costituire un elemento di disequilibrio e che in quanto tale vada meglio
regolamentata.
5.7.
SOSTEGNO DELLA CONSERVAZIONE DI SPECIE IN STATO NON OTTIMALE
Le specie di interesse comunitario, siano esse floristiche o faunistiche, costituiscono assieme agli
habitat i due punti focali dell’intera azione di conservazione disegnata dal presente Piano. Tutte le
strategie sopra descritte sono quindi finalizzate alla conservazione di questi elementi. Per tali
motivi, nel caso di specie di particolare valore o a rischio, sono previsti interventi mirati finalizzati
proprio alla tutela e al miglioramento delle prospettive di conservazione.
Conservare e ove possibile incrementare la
biodiversità dell’area protetta
Tabella sinottica
Obiettivo
generale
Obiettivi specifici
1. Investimento in conoscenza , sperimentazioni e
monitoraggi
2. Contenimento del disturbo derivante dalla presenza
antropica
3. Salvaguardia del pascolo come elemento di conservazione
della biodiversità
4. Ripristino delle condizioni di naturalità nei corsi d’acqua
captati
5. Mantenimento degli equilibri negli ecosistemi forestali
6. Gestione dei flussi turistici
7. Sostegno della conservazione di specie/habitat in stato
non ottimale
Azioni di Piano
1–2–3–4–5–6–7–8–
11 – 12 – 13 – 18 – 21 – 22 –
24 – 25 – 26 – 27 – 28 – 29 –
30 – 31 – 32 – 33 – 34 - 35
3 – 4 – 5 – 7 – 9 – 10 – 11 –
12 - 13 – 14 – 15 – 16 – 17 –
18 -19 – 20 – 21 – 22 – 23 –
24 – 34 - 35
1–2–3–4–5–6–7–8–
9 – 1613 – 14
9 – 10 – 11 - 35
15 – 16 – 17 – 18 – 19 – 34
5 – 6 – 7 – 8 – 21 – 22 – 23 –
24 – 25 – 26 – 27 - 35
Tabella 5.1: Coerenza tra obiettivo generale, obiettivi specifici e azioni di piano
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Numero
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9
10
11
12
13
14
15
16
17
18
19
20
21
22
Nome Scheda
Redazione delle schede d’alpeggio
Archivio degli alpeggi
Priorità di assegnazione degli alpeggi
Piani di Alpeggio
Interventi pilota per la conservazione della biodiversità in
alpeggio
Monitoraggio della biodiversità in alpeggio
Diversificazione dell’attività primaria in alpeggio
Interventi pilota di mantenimento diretto degli habitat prativi
Sviluppo della viabilità agro-silvo-pastorale
Gestione degli ecosistemi forestali arborei subalpini
Gestione degli alneti ad ontano verde e degli
arbusteti/cespuglieti in genere
Campagna di sensibilizzazione e educazione sui grandi carnivori
Mantenimento della qualità dell’ecosistema dei corsi d’acqua
in relazione ai Deflussi Minimi Vitali rilasciati
Regolamentazione delle operazioni di svaso, sghiaiamento e
sfangamento dei bacini artificiali ed opere di presa
Riequilibrio dei flussi turistici
Sostenibilità delle strutture d’alta quota
Ammodernamento dei bivacchi
Monitoraggio dei flussi turistici
Rafforzamento dei controlli sull’attività venatoria
Rafforzamento del controllo del transito dei mezzi motorizzati
Rete Ecologica e Valutazione di Incidenza
Tavolo di confronto per la valutazione dell’efficienza ecologica
Urgenza
Alta
Alta
Media
Alta
Tempi di realizzazione
3 - 5 anni
3 anni di realizzazione + 7 di mantenimento
2 anni
2 anni
Costo
€ 80'000
€ 15'000
€ 15'000
€ 18'000
Alta
5 anni
€ 103'000
Alta
Media
Alta
Alta
Media
3 anni
Da definire
Da definire
Da definire
Da definire
€ 15'000
€ 14'000
€ 50'000
€ 200'000
€ 200'000
Bassa
Senza durata
Nessun costo
Media
Alta
Da definire
3 anni
Alta
Senza durata
Bassa
Media
Media
Bassa
Alta
Alta
Alta
Media
Da definire
Da definire
Da definire
1 anno di realizzazione + 10 di mantenimento
10 anni
10 anni
Senza durata
3 anni
Terra Viva studio agroforestale – via del Carmine 2A, 27029 Vigevano (Pv)
€ 10'000
€ 75'000
Nessun costo
diretto per l’Ente Gestore
€ 200'000
€ 200'000
€ 185'000
€ 12'500
€ 150'000
€ 65'000
Nessun costo
€ 5'000
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della ZPS
Messa in sicurezza delle linee elettriche, delle teleferiche e dei
cavi sospesi
Marcatura a scopo di tutela di alberi scavati da Picidi e di alberi
ad elevato valore ecologico per la fauna saproxilica
Interventi pilota di miglioramento ambientale dell’habitat del
Gallo cedrone
Interventi pilota di miglioramento ambientale dell’habitat del
Gallo forcello
Interventi pilota per i miglioramenti ambientali per specie di
interesse comunitario
Monitoraggio degli habitat di interesse comunitario
Monitoraggio della flora di interesse conservazionistico
Monitoraggi floristici in habitat di interesse comunitario
Monitoraggio ecosistemico del ghiacciaio dell’Adamello e delle
zone periglaciali
Attivazione di un programma di monitoraggio faunistico
finalizzati all’aggiornamento del Formulario standard della ZPS
e dei SIC
Valutazione dello stato di conservazione della biodiversità della
ZPS e dei SIC attraverso lo studio di specie ombrello
Media
Da definire
Media
3 anni di realizzazione + 7 di mantenimento
€ 50'000
€ 12'500
Alta
Da definire
Media
Da definire
€ 70'000
Bassa
Da definire
Da definire
€ 150'000
Alta
Media
Alta
2 anni
Da definire
Da definire
€ 15'000
€ 10'000
€ 28'000
Bassa
Da definire
€ 10'000
Alta
Da definire
Da definire
Alta
Da definire
Da definire
34
Informazione, partecipazione ed educazione ambientale delle
comunità locali e dei turisti incentrata sulla fruizione
consapevole
Media
10 anni
35
Interventi pilota per la conservazione dei chirotteri
Media
Da definire
€ 50'000
€ 25'000
Totale
€ 2’033'000
Tabella 5.2: Tabella sinottica delle azioni di piano
Terra Viva studio agroforestale – via del Carmine 2A, 27029 Vigevano (Pv)
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PIANO DI GESTIONE ZPS IT 2070401 “PARCO NATURALE DELL’ADAMELLO”
PIANO DI GESTIONE SIC IT 2070006 “PASCOLI DI CROCEDOMINI – ALTA VAL CAFFARO”
PIANO DI GESTIONE SIC IT 2070012 “TORBIERE DI VAL BRAONE”
RELAZIONE - REV. 0
6. BIBILIOGRAFIA
6.1.
PUBBLICAZIONI, ARTICOLI E MANUALI
1. F. Casale, R. Dellavediva, P. Lenna, M. Perracino, A. Rampa, 2008 Atlante dei SIC della
Regione Lombardia - Fondazione Lombardia per l’Ambiente e Regione Lombardia, Milano
2. F. Casale, M. Brambilla, R. Falco, G. Bogliani, 2011 Atlante delle ZPS della Regione Lombardia
- Fondazione Lombardia per l’Ambiente e Regione Lombardia, Milano
3. F. Casale, 2010 Atlante dei SIC della Provincia di Brescia - Fondazione Lombardia per
l’Ambiente e Regione Lombardia, Milano
4. F.Perco, A.Borgo, S.Mattedi, M.Odasso, M.Ragusa, 2006 Piano di Settore Fauna del Parco
dell’Adamello – Comunità Montana di Valle Canonica Ente Gestore del Parco dell’Adamello
5. C. Lasen, 2012 Indicazioni di ordine metodologico e gestionale sulla conservazione e
valorizzazione delle risorse naturalistiche, con specifico riferimento alla componente vegetale
- Parco Naturale e Regionale dell’Adamello Bresciano (non pubblicato)
6. AA. VV., 2005 Censimento e caratterizzazione degli ambienti acquatici del Parco
dell’Adamello – Consorizio Comuni di Valle Camonica & Comunità Montana di Valle
Camonica
7. U. Ziliotto et all. 2004 Tratti essenziali della tipologia veneta dei pascoli di monte e d’intorni –
Regione Veneto, Accademia Italiana Scienze Forestali, Venezia
8. G. Egger et all. 2006 Schutzgebietsmanagement auf Almen in Nautra 2000 – Gebieten
9. M. Pilla, 2009 Metodologie e formazione professionale per la redazione e attuazione dei Piani
Pastorali Aziendali – Progetto di Ricerca
10. J. P. Jouglet, 1999 Les vègètations des alapages des Alpes françaises du sud – Cemagref
Editions
11. G. Egger et all. 2007 Der Naturschutzplan auf der ALM – Ein best practice Guide –
Naturschutz Land Salzburg
12. N. Bernard, S. Brochot, A. Brun 2007 Diagnostic et plan de gestion agri-environnemental del
alpages de Chavière-Lac Blanc et de La Motte – La Vanoise Parc National
13. Rolando, 2010 L’impatto delle piste da sci sulla biodiversità animale - Dipartimento di
Biologia Animale e dell’Uomo – Università degli studi di Torino
Terra Viva studio agroforestale – via del Carmine 2A, 27029 Vigevano (Pv)
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PIANO DI GESTIONE ZPS IT 2070401 “PARCO NATURALE DELL’ADAMELLO”
PIANO DI GESTIONE SIC IT 2070006 “PASCOLI DI CROCEDOMINI – ALTA VAL CAFFARO”
PIANO DI GESTIONE SIC IT 2070012 “TORBIERE DI VAL BRAONE”
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14. M. Timini, 2007 Meno vacche in alta quota e l’ambiente ne paga le spese – Supplemento a
L’informatore Agrario 15/2007 in collaborazione con SATA
15. M. Timini, Gestione economica dell’Alpeggio - Progetto pilota S.A.T.A. Regione Lombardia
16. S. Frattini, Torbiere e altre zone umide nel Parco dell’Adamello e nelle Orobie bresciane –
Natura in Lombardia, Regione Lombardia
17. Agnelli P., Russo D., Martinoli A. (a cura di), 2008. Linee guida per la conservazione dei
Chirotteri nelle costruzioni antropiche e la risoluzione degli aspetti conflittuali connessi.
Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare
6.2.
PIANI DI GESTIONE, FORMULARI RN 2000 E ALTRI MANUALI
1. Piano di Gestione del sito Natura 2000 SIC-ZPS IT3230083 “Dolomiti Feltrine e Bellunesi”
2. Piano di Gestione del sito Natura 2000 SIC-ZPS IT2040401 “Parco regionale delle Orobie
Valtellinesi”
3. Piano di Gestione del sito Natura 2000 SIC-ZPS IT2040028 “Valle del Bitto di Albaredo”
4. Piano di Gestione del sito Natura 2000 SIC-ZPS IT2080501 “Risaie della Lomellina”
5. Piano Territoriale di Coordinamento del Parco regionale dell’Adamello
6. Piano di indirizzo forestale “Alto parco” e norme procedurali per la gestione forestale del
Parco dell’Adamello – Piano approvato
7. Piano di Settore Agricoltura, Parco Regionale dell’Adamello - Studio preparatorio non
approvato
8. Piano di Settore Turismo e Viabilità 2009, Parco Regionale dell’Adamello - Studio
preparatorio non approvato
9. Piano di Settore Acque NTA del Piano Territoriale di Coordinamento 2003 – Piano approvato
dall’Ente Parco
10. Piano di Settore Turismo e Viabilità, Parco Regionale dell’Adamello - Studio preparatorio non
approvato
11. Regolamento d’uso per la concessione del marchio collettivo “Parco Adamello” –
Regolamento approvato con delibera
12. Predisposizione di studi di approfondimento naturalistici e di definizione di una rete
ecologica nell’ambito del piano territoriale di coordinamento della provincia di Brescia
Terra Viva studio agroforestale – via del Carmine 2A, 27029 Vigevano (Pv)
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PIANO DI GESTIONE ZPS IT 2070401 “PARCO NATURALE DELL’ADAMELLO”
PIANO DI GESTIONE SIC IT 2070006 “PASCOLI DI CROCEDOMINI – ALTA VAL CAFFARO”
PIANO DI GESTIONE SIC IT 2070012 “TORBIERE DI VAL BRAONE”
RELAZIONE - REV. 0
13. Natura 2000 Formulario Standard per le zone di protezione speciale (ZPS) per zone
proponibili per una identificazione come siti d’importanza comunitaria (SIC) e per zone
speciali di conservazione (ZSC)
14. Schede degli Habitat Rete Natura 2000
15. Scheda di progetto per monitoraggio della presenza di Lupo e Orso Bruno nel territorio del
parco e enelle aree limitrofe - Pro Natura e Parco dell’Adamello
16. Site Natura 2000 S43 Massif de la vanoise FR 8201783 et FR 8210032 Document d’iobjectifs
opèrationnel - La Vanoise Parc National
17. Metodologie e formazione professionale per la redazione e l’attuazione dei Piani Pastorali
Aziendali, 2009 Manuale Operativo – Regione Piemonte
18. Modelli di Gestione Forestale per il Parco dell’Adamello – Alessandro Ducoli - Quaderni del
Parco n° 6
19. “L’importanza della fauna saproxilica negli ecosistemi forestali” - Appendice al Piano di
indirizzo forestale “Alto parco”
6.3.
SITI CONSULTATI
1. Manuale Italiano di interpretazione degli habitat della Direttiva 92/43/CEE
http://vnr.unipg.it/habitat/index.jsp
2. Portale sullo stato di conservazione dell’avifauna italiana
http://www.uccellidaproteggere.it/
3. Portale Sistemi Verdi e Paesaggio Regione Lombardia
http://www.regione.lombardia.it
4. Portale del Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare
http://www.minambiente.it
5. Sintesi della legislazione dell’UE
http://europa.eu/legislation_summaries/environment/nature_and_biodiversity/l28076_it.h
tm
6. Sito ufficiale del Parco regionale dell’Adamello
http://www.parcoadamello.it/
Terra Viva studio agroforestale – via del Carmine 2A, 27029 Vigevano (Pv)
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RELAZIONE 01 - Parco dell`Adamello