igino pineschi IL CENTRO PARROCCHIALE Ricerche di progettazione 1960–2005 Copyright © MMIX ARACNE editrice S.r.l. www.aracneeditrice.it [email protected] via Raffaele Garofalo, 133 A/B 00173 Roma (06) 93781065 ISBN 978–88–548–2495–9 I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento anche parziale, con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi. Non sono assolutamente consentite le fotocopie senza il permesso scritto dell’Editore. I edizione: maggio 2009 INDICE Premessa 7 Complesso parrocchiale Gesù Operaio, Monterotondo 13 Complesso parrocchiale S. Giovanni Battista al Collatino, Roma 29 Complesso parrocchiale di S. Gelasio, Roma 49 Complesso parrocchiale di S. Giuliano Martire, Roma 107 Complesso parrocchiale di S.S. Cirillo e Metodio, Collatino, Roma 175 Complesso parrocchiale di S. Romano Martire, Roma 199 Bibliografia essenziale 291 5 CINQUE CHIESE E DUE CONCORSI PREMESSA Esiste quasi sempre un momento della vita nel quale i mortali rallentano la propria capacità di fare programmi per il futuro e preferiscono impegnarsi di più nelle riorganizzazioni dei propri ricordi e fare dei veri e propri bilanci. Questo succede generalmente alle persone un poco avanti con gli anni e con un vissuto ricco e consistente di avventure intellettuali, avvenute, ed al contrario un futuro sostanzialmente e prevedibilmente corto, incerto e labile, soprattutto per quanto concerne la possibilità di prestazioni ancora in qualche modo creative. In queste circostanze riesce più facile e produttivo guardare indietro piuttosto che avanti, o per lo meno risulta più confortante e rassicurante collocare e catalogare le cose fatte e meno divertente tentare di programmare nuove iniziative, a meno che queste possano essere affrontate e portate a termine in tempi brevi o possibilmente brevissimi e con poche energie da spendere. Io credo che in alcune persone rimanga viva la voglia di fare, ma nei più consapevoli c'è la constatazione della decrescente presenza delle forze necessarie. Mi accorgo che portando avanti, come si usa dire, questo discorso si rischia di cadere in una dimensione voluttuosa di autocommiserazione e di narcisismo. Ma non sono queste le mie intenzioni Un tema, effettivamente nella mia ricerca progettuale, si è ripetuto nel tempo ed ha certamente segnato periodi nei quali ho dovuto riflettere su contenuti e conformazioni dei progetti, con i quali tentavo di esplorarlo e definirlo: questo tema è quello di un edificio di culto inserito in un complesso parrocchiale. E devo aggiungere subito che per puro caso la prima occasione coincise con il mio esordio nella professione e l'ultima è praticamen7 te connotata dalla conclusione di questa mia avventurosa scorribanda nella dimensione creativa del progetto di architettura. Nella redazione di queste riflessioni, debbo ahimé oggettivamente constatare che sono assai poche le realizzazioni per una sofferta ed estesa attività progettuale, anche di tipo concorsuale, per cui assume maggior rilievo la ricorrente realizzazione di questo tema, in una accezione che mi appare dovuta a pura casualità. I riferimenti che si tentano di rintracciare nella storia dell'architettura moderna e contemporanea, su questo tema, offrono alla ricognizione critica un ampio spettro di soluzioni tipologico-formali che sono state il risultato, nel tempo, di ricerche architettoniche diverse, di influenze di contesti culturali, storici e geografici molto articolati che debbono essere indagati a fondo, a loro volta, per capire come e quanto abbiano condizionato l'intera produzione progettuale, del secolo scorso e di quello da poco iniziato Infatti sono numerosi i riferimenti che si possono fare all'opera dei maestri che hanno affrontato in modo originale ed inedito questa tematica. Non c'è che l'imbarazzo di una scelta molto ampia. Chi infatti non si è emozionato durante una esperienza diretta, (o mediata dalle riproduzioni fotografiche), delle opere di Le Corbusier, di F. L. Wright, di Asplund, di A. Aalto, di Michelucci, di L. Kahn o anche di architetti bravi ma non all'altezza dei maestri, come T. Ando, R. Meier, F. Gery, A. Siza e tanti altri, quando si sono cimentati con questo tema? Una considerazione preliminare, apparentemente ovvia e banale, è quella della diversa definizione del progetto per il solo edificio di culto, la chiesa e quali problematiche bisogna affrontare, invece, quando questa chiesa risulta inserita in un complesso parrocchiale. A parte tutte le naturali operazioni additive per i contenitori necessari ad assicurare tutte le funzioni di servizio delle opere parrocchiali, quelle per la catechesi e assistenziali, bisogna curare che non si instauri una specie di minore attenzione, di priorità di scelte formali e tipologiche che tenda a privilegiare l'edificio per il culto piuttosto che le opere parrocchiali con una dimensione progettuale di ordine secondario e di minore definizione formale quasi per una spontanea tendenza, (da non assecondare), a gerarchizzare le qualità spaziali e di posizionamento, a partire dalla logica stessa dell'assetto planimetrico del complesso parrocchiale. Tendenza che produce lo sforzo creativo maggiore nell'affrontare il progetto della chiesa e relega il resto ad una operazione di minor impegno, quasi lo si potesse operare con la mano sinistra (per un destromane, si intende!). Una ulteriore considerazione che riguarda la storia delle mie esperienze progettuali (alle quali sono poi seguite in modo consequen8 ziale le realizzazioni) è quella che riguarda le prime due chiese che rappresentano un po' il debutto nella mia attività di progettista e sono, di fatto, il frutto della collaborazione con l'ing. Anton Paolo Savio che, dopo la laurea, mi aveva offerto il ruolo di collaboratore, ben remunerato, con l'impegno di esplicitare il mio apporto, legando il mio nome alle realizzazioni delle opere prodotte insieme nel suo studio. Una modalità nobile e scarsamente diffusa negli studi professionali romani. A posteriori, debbo riconoscere di essere stato portatore, nella collaborazione, più di problemi che di certezze, ma riuscendo comunque a vivacizzare lo scambio dei punti di vista e arricchendo dialetticamente le fasi di ricerca. Il secondo e terzo progetto appartengono a due fasi distinte e lontane tra loro, anche per la realizzazione. La seconda esperienza progettuale, come sarà esplicitato più avanti, nasceva come il luogo di culto annesso ad un complesso residenziale e di formazione per giovani lavoratori, per essere poi adeguato a complesso parrocchiale. La terza esperienza appartiene alla storia degli esiti di un concorso, nel 1967, fatto con A. P. Savio, che doveva anche servire a formare un albo di progettisti di fiducia del Vicariato di Roma. In questa ipotesi progettuale, tra l'altro, si tentava di considerare i volumi edilizi delle opere parrocchiali come occasione per creare uno spazio propedeutico a quello liturgico della chiesa. Uno spazio che, prima e dopo la messa, fosse in grado di creare un momento per la socializzazione della comunità dei fedeli. Le elaborate vicende burocratiche che hanno preceduto l'attuazione, hanno avuto come conseguenza urbanistica che il complesso parrocchiale è stato realizzato in una realtà contestuale diversa da quella originale del concorso, che però ha permesso di mantenere la sostanza dell'impianto planimetrico. Il quarto ed il quinto complesso parrocchiale, realizzati a Roma, costituiscono una esperienza progettuale a sé stante. Possono essere forse definiti come il risultato di una personale maturazione e approfondimento positivo dei caratteri tipologici e dell'inserimento contestuale. Siamo nel 1993, affronto praticamente da solo, una prova che riconosco come determinante, per il mio percorso di progettista. Nel progetto di massima cerco l'ispirazione in modelli lontani ma anche riferimenti romani, sui quali cercherò di essere più esplicito più avanti. Per il progetto esecutivo e l'attuazione, trovo una impresa ed un assistente di cantiere veramente eccezionali. Riesco a elaborare soluzioni di dettaglio con una collaborazione e una disponibilità inusuale soprattutto se esercitata verso un progettista al quale non compete la direzione dei lavori. Questo complesso è quello di S. Giuliano sulla via Cassia. 9 Prima della quinta realizzazione, bisogna menzionare il Concorso per nuove chiese, bandito dal Vicariato di Roma nel 1994 per il Giubileo del 2000, per il quale con un gruppo di architetti ho partecipato con un progetto per la zona di Dragoncello, il complesso parrocchiale di S. Cirillo e Metodio, un bel progetto che però è stato solamente segnalato. Nel progetto si tentava di dare unità, attraverso un percorso architettonicamente ben individuato, allo spazio liturgico della chiesa e a quelli delle altre attività del complesso parrocchiale. Particolare importanza veniva attribuita alle suggestioni formali presenti nella vicina realtà storica-archeologica di Ostia Antica. Tra il 1997 ed il 2003 si colloca la mia ultima avventura progettuale della quale ho potuto seguire l'attuazione concreta. Il quinto ed ultimo progetto, come anticipato nelle prime notazioni di questa premessa, segna la conclusione del mio personale percorso di progettista. Progettato alla fine degli anni novanta, questo complesso parrocchiale, è stato realizzato in un periodo di tempo immediatamente successivo ad un momento per me assai critico al quale sono però sopravvissuto. Riuscendo poi, in qualche modo, a seguire i lavori del cantiere ho trovato ulteriori motivazioni per la mia riabilitazione motoria e la insperata conclusione di vedere ultimati i lavori. Una ulteriore notazione riguarda la struttura espositiva di questa documentazione. Tutti i documenti grafici e fotografici che è stato possibile ritrovare, comprese alcune immagini dei cantieri più recenti dimostrano la cura quasi maniacale posta nella definizione dei progetti, della loro fase esecutiva, delle realizzazioni e documentano il significato decisivo che assumevano nella mia scarna storia di realizzazioni, questi episodi concreti di attuazione. A queste immagini, disegni e foto, ho voluto attribuire il compito di descrivere in modo immediato e più comunicativo possibile le qualità formali, di luce, di grana e tessiture presenti nelle diverse situazioni, rinunciando a elaborate descrizioni verbali, troppo elucubrate, pretenziose e molte volte prive di riscontri, aggiungendo semmai esaurienti didascalie. Sono stati raccolti, inoltre, tutti gli scritti degli autori, con i quali sono state accompagnate le pubblicazioni dei complessi parrocchiali, sulle diverse riviste, ove sono state riscontrate come leggibili alcune intenzioni esplicitate nel programma progettuale ed altre valenze positive che, come spesso succede, non erano state nemmeno premeditate, ma solo intuite. Durante la mia attività didattica, presso la Facoltà di Architettura 10 di Roma "La Sapienza", dove ho esercitato il ruolo di docente di Composizione Architettonica e Urbana. mi è capitato più di una volta di seguire, come relatore, tesi di laurea su complessi parrocchiali. Alcune di queste tesi di laurea sono state valutate, dal Vicariato di Roma, degne di essere riconosciute come meritevoli e da premiare con borse di studio, predisposte per questi giovani laureati. Sarebbe interessante documentare le idee e le proposte contenute in questi progetti, ma non mi è sembrato corretto ed opportuno documentarle in questa sede. Nelle stesure degli esecutivi delle due ultime progettazioni, cioè S. Giuliano e S. Romano, ho avuto, come diffusamente avrò più avanti modo di esporre, la fortuna di collaborare con l'ing. Antonio Michetti, nella veste di "strutturista". Noto ed apprezzato collega nella Facoltà, lo avevamo ammirato da studenti per la sua capacità di trasmettere indelebilmente nozioni di scienza delle costruzioni. Lui riusciva a farle comprendere anche agli svagati poeti, più propensi ad apprezzare le sfumature di vagheggiati e onirici linguaggi formali. Nel rapporto tra professionisti, ti costringeva con logica ferrea a mettere a fuoco le intenzioni per una determinata volontà spaziale da esplicitare correttamente e trovare da solo soluzioni statiche delle strutture, che poi metteva sapientemente a punto, fino a condurle alla dignità di un compiuto ed espressivo linguaggio architettonico. Alla fine della raccolta del materiale di documentazione ho deciso, come già dichiarato, di minimizzare i miei apporti critico-metodologici cercando di far parlare il più spontaneamente possibile le immagini e i commenti a queste, formulate da progettista e non da un punto di vista storico-critico, appartenendo questo ruolo ad un altro settore disciplinare, nel quale riconosco una mia personale difficoltà a muovermi disinvoltamente e senza sospettosi pregiudizi. Anche se sono consapevole che non è possibile, fuori della storia e della storia dell'architettura, esercitare in modo corretto il mestiere di architetto. 11 GESU' OPERAIO CHIESA PARROCCHIALE a MONTEROTONDO 1960-1962 13 GESU' OPERAIO CHIESA PARROCCHIALE a MONTEROTONDO Debbo confessare che di questa prima esperienza progettuale ho ricordi vaghi ed incompleti anche perché non avendo seguito l'attuazione, la direzione dei lavori fu eseguita dall'ing. Anton Paolo Savio, debbo immergermi nei ricordi di una progettazione risalente a quasi mezzo secolo fa, nell'assenza più totale di immagini, anche fotografiche, di cantiere. Nella generalità delle prestazioni del progettista, la direzione dei lavori ed il cantiere, costituiscono una splendida opportunità di correggere valutazioni erronee o imprecise, avanzate nella fase progettuale e che solo l'attuazione può far comprendere e migliorare, con una adeguata e meditata conduzione dei lavori. Questa constatazione mi si è costantemente riproposta ogni qualvolta ho dovuto rapportarmi alla committenza del Vicariato di Roma, che per molti altri aspetti si era rivelato un interlocutore sostanzialmente corretto e occasione di fruttuose collaborazioni In questo caso l'incarico fu una iniziativa del Vescovo della Sabina che, come ho potuto appurare poi, estende la sua competenza territoriale anche sulle parrocchie di Monterotondo. Mi ricordo, con una comprensibile approssimazione, che la fase progettuale fu profondamente influenzata da almeno tre condizionamenti. Il primo dato, non certo trascurabile, fu il tempo estremamente ridotto da dedicare alla progettazione. La principale conseguenza fu uno stimolo positivo per l'attività propositiva, ma un dato negativo per il necessario approfondimento conoscitivo sulla ubicazione del lotto, per l'approfondimento dei rapporti che, comunque, si instaurano con il contesto costruito che, se non ricordo male, riguardava, allora, una situazione periferica di un tessuto urbano marginale di una qualità talmente modesta, che la reputammo trascurabile. Dell'importanza di questo rapporto ho avuto modo, nello svolgersi della mia attività professionale, di verificare l'assoluta necessaria presenza nel processo della progettazione e ne ho tenuto conto in tutte 15 Il centro parrocchiale le successive occasioni, non dimenticando di trasmettere tale necessità agli studenti, nelle diverse situazioni che la mia attività didattica proponeva. Il rapporto luogo e progetto è un dato che non può essere assolutamente trascurato, anzi costituisce un irrinunciabile punto di partenza per qualsiasi processo conoscitivo, per ben impostare l'iter progettuale, che deve sempre saper correttamente interpretare il "genius loci" anche quando questo appare come un complesso di negatività, che un buon progetto può essere in grado di riscattare. Il secondo dato, che influenzava chiaramente anche il terzo, era determinato dalla esigenza di una realizzazione di modesta entità economica che comportava una impostazione improntata alla massima semplicità, ad una attuazione articolata in più fasi, ad un uso di materiali di minor costo possibile. Per l’impostazione planimetrica, l'importanza delle opere parrocchiali fu ridotta al massimo, non fino al punto da minimizzare la presenza dei volumi edilizi, ma di affidare loro la funzione di qualificare lo spazio esterno della parrocchia, dato che l'ambiente circostante non era in grado di assolvere a questo compito. Inoltre la necessità di poter usufruire di uno spazio adeguato da utilizzare come "sagrato" poteva essere risolta, prolungando oltre l'edificio per il culto, con un semplice portico di collegamento tra la chiesa e le opere parrocchiali. La terza notazione basilare e determinante, per l'impostazione tipologica, è quella riguardante l'assenza di indicazioni liturgiche che scaturirono invece dal Concilio Vaticano II e non esistevano ancora standards minimi quantitativi e un programma definito e prescrittivo delle esigenze funzionali. Il complesso delle attività che si possono espletare in un centro parrocchiale veniva affrontato con la sensibilità e la competenza del progettista, ma spesso si perveniva a soluzioni molto soggettive, che tendevano a sottovalutare e a minimizzare la presenza delle opere parrocchiali ed il loro ruolo nel complesso. Malgrado l'assenza di indirizzi codificati, mi sembra meritorio aver anticipato, anche se ancora in maniera embrionale e timida, una tematica che ha avuto modo di essere esplorata poi, in modo più pertinente e cioè il dialogo che deve esistere tra il luogo di culto, la chiesa, e la struttura di tutte le funzioni necessarie a rendere utilizzabile una chiesa come centro parrocchiale. Un altro elemento positivo che esplicita il significato delle affermazioni precedenti è costituito dalla disposizione del sagrato, che viene a formarsi in forma raccolta e propedeutica alla facciata della chiesa, mediante una dislocazione strategica dei volumi dei servizi parrocchiali. Questa tematica verrà ulteriormente sperimentata nel concorso e per il centro parrocchiale di S. Gelasio. 16 Gesù Operaio Anche il panorama dei contributi offerti allora alla valutazione critica, dalle realizzazioni della Pontificia Opera per la Preservazione della Fede e la Provvista di Nuove Chiese in Roma, si presentava estremamente eterogeneo e difficile da decifrare nell'aspetto sia delle formulazioni tipologiche che delle sperimentazioni formali. Questo giudizio, sostanzialmente negativo, sulla varietà e diversità delle architetture presenti nel paesaggio urbano di Roma è certamente sintomo della varietà e frantumazione dei riferimenti storico-critici e della difficoltà oggettive del tema dello spazio sacro. La semplificazione delle aspirazioni progettuali dovuta alla dimensione assai ridotta del programma economico, ha fatto sì che ci si concentrasse sulla potenzialità espressiva di materiali poveri, adoperati a faccia vista. Fu quindi una scelta meditata quella di servirsi di murature di blocchetti di tufo listati e di cemento a faccia vista la prima per le strutture di tamponamento e la seconda per le strutturali portanti. L'infisso metallico, in ferro finestra, sottolineava, con la sua essenzialità, la posizione strategica delle aperture poste a sottolineare il passaggio dal tufo al cemento (a cavallo dei pilastri). In questa semplice proposta progettuale doveva essere esaltato il gioco geometrico del proporzionamento delle parti piene rispetto a quelle delle aperture. Mi rendo conto che la semplicità dell'impianto tipologico e delle soluzioni formali appaiono come contrapposizione netta a tutte quelle invenzioni strutturali esuberanti, che appaiono non sempre motivate da reali necessità compositive, specie quando si presume di riferirsi ad una sana interpretazione dei modelli formali appartenenti alla tradizione. Riconsiderando questo progetto, a distanza di quasi cinquanta anni, riscontro, nelle immagini, che questa serenità e pacatezza espressiva, legata essenzialmente al controllo e alla utilizzazione di materiali poveri, conferisca al linguaggio compositivo una libertà da una certa accanita ricerca di una malposta originalità, da conseguire a tutti i costi e un aggancio culturale più sano alla tradizione. Non sono riuscito a rintracciare i disegni esecutivi che, forse sono stati archiviati nello studio dell'ing. A.P. Savio, ma non ritengo che questi avrebbero potuto aggiungere molto a quanto mi è stato possibile reperire, di materiale grafico e fotografico, che si riferisce sostanzialmente alle fasi finali del cantiere della chiesa, appena terminata. Confesso che avrei potuto aggiornare con foto recenti questa documentazione, ma ho avuto il timore di avere difficoltà a rintracciare il luogo e soprattutto di dover constatare che in tutto questo tempo l'edificio potesse aver subito un serie di manomissioni, magari operate con le migliori intenzioni, che avrebbero distrutto il buon ricordo 17 Il centro parrocchiale che tutto sommato conservo di questo inizio dell'attività professionale. Anche perché questa verifica avrebbe avuto un senso se fatta in un tempo utile a correggere valutazioni sulle manutenzioni, sulla durata dei materiali e su tutte quelle circostanze che avrebbero potuto arricchire e orientare il bagaglio di conoscenze di un operatore nel pieno della sua attività e non a un estenuato vegliardo ancora disponibile a patetici consuntivi dei tentativi giovanili. Nel 2007, nel mese di novembre, sono riuscito a mettermi in contatto con Anton Paolo Savio, che mi ha confermato la carenza di documentazioni grafiche oltre a quelle rintracciate nel mio archivio. Mi ha inoltre comunicato la denominazione della chiesa, riportata anche nel sito della Diocesi di Roma come Parrocchia di Gesù Operaio appartenente alla Diocesi Suburbicaria di Sabina - Poggio Mirteto località Monterotondo (RM), esaudendo così per me, la voglia di saperne di più senza doverla rintracciare (e subire eventuali probabili delusioni). 18