igino pineschi
IL CENTRO PARROCCHIALE
Ricerche di progettazione
1960–2005
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ISBN
978–88–548–2495–9
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I edizione: maggio 2009
INDICE
Premessa
7
Complesso parrocchiale Gesù Operaio,
Monterotondo
13
Complesso parrocchiale S. Giovanni Battista al
Collatino, Roma
29
Complesso parrocchiale di S. Gelasio, Roma
49
Complesso parrocchiale di S. Giuliano Martire,
Roma
107
Complesso parrocchiale di S.S. Cirillo e Metodio,
Collatino, Roma
175
Complesso parrocchiale di S. Romano Martire,
Roma
199
Bibliografia essenziale
291
5
CINQUE CHIESE E DUE CONCORSI
PREMESSA
Esiste quasi sempre un momento della vita nel quale i mortali rallentano la propria capacità di fare programmi per il futuro e preferiscono impegnarsi di più nelle riorganizzazioni dei propri ricordi e fare
dei veri e propri bilanci. Questo succede generalmente alle persone un
poco avanti con gli anni e con un vissuto ricco e consistente di avventure intellettuali, avvenute, ed al contrario un futuro sostanzialmente e
prevedibilmente corto, incerto e labile, soprattutto per quanto concerne la possibilità di prestazioni ancora in qualche modo creative.
In queste circostanze riesce più facile e produttivo guardare indietro piuttosto che avanti, o per lo meno risulta più confortante e rassicurante collocare e catalogare le cose fatte e meno divertente tentare
di programmare nuove iniziative, a meno che queste possano essere
affrontate e portate a termine in tempi brevi o possibilmente brevissimi e con poche energie da spendere. Io credo che in alcune persone
rimanga viva la voglia di fare, ma nei più consapevoli c'è la constatazione della decrescente presenza delle forze necessarie.
Mi accorgo che portando avanti, come si usa dire, questo discorso
si rischia di cadere in una dimensione voluttuosa di autocommiserazione e di narcisismo.
Ma non sono queste le mie intenzioni
Un tema, effettivamente nella mia ricerca progettuale, si è ripetuto nel tempo ed ha certamente segnato periodi nei quali ho dovuto
riflettere su contenuti e conformazioni dei progetti, con i quali tentavo di esplorarlo e definirlo: questo tema è quello di un edificio di culto
inserito in un complesso parrocchiale.
E devo aggiungere subito che per puro caso la prima occasione
coincise con il mio esordio nella professione e l'ultima è praticamen7
te connotata dalla conclusione di questa mia avventurosa scorribanda
nella dimensione creativa del progetto di architettura.
Nella redazione di queste riflessioni, debbo ahimé oggettivamente constatare che sono assai poche le realizzazioni per una sofferta ed
estesa attività progettuale, anche di tipo concorsuale, per cui assume
maggior rilievo la ricorrente realizzazione di questo tema, in una accezione che mi appare dovuta a pura casualità.
I riferimenti che si tentano di rintracciare nella storia dell'architettura moderna e contemporanea, su questo tema, offrono alla ricognizione critica un ampio spettro di soluzioni tipologico-formali che sono
state il risultato, nel tempo, di ricerche architettoniche diverse, di
influenze di contesti culturali, storici e geografici molto articolati che
debbono essere indagati a fondo, a loro volta, per capire come e quanto abbiano condizionato l'intera produzione progettuale, del secolo
scorso e di quello da poco iniziato
Infatti sono numerosi i riferimenti che si possono fare all'opera dei
maestri che hanno affrontato in modo originale ed inedito questa
tematica. Non c'è che l'imbarazzo di una scelta molto ampia. Chi
infatti non si è emozionato durante una esperienza diretta, (o mediata
dalle riproduzioni fotografiche), delle opere di Le Corbusier, di F. L.
Wright, di Asplund, di A. Aalto, di Michelucci, di L. Kahn o anche di
architetti bravi ma non all'altezza dei maestri, come T. Ando, R. Meier,
F. Gery, A. Siza e tanti altri, quando si sono cimentati con questo
tema?
Una considerazione preliminare, apparentemente ovvia e banale, è
quella della diversa definizione del progetto per il solo edificio di
culto, la chiesa e quali problematiche bisogna affrontare, invece,
quando questa chiesa risulta inserita in un complesso parrocchiale. A
parte tutte le naturali operazioni additive per i contenitori necessari ad
assicurare tutte le funzioni di servizio delle opere parrocchiali, quelle
per la catechesi e assistenziali, bisogna curare che non si instauri una
specie di minore attenzione, di priorità di scelte formali e tipologiche
che tenda a privilegiare l'edificio per il culto piuttosto che le opere
parrocchiali con una dimensione progettuale di ordine secondario e di
minore definizione formale quasi per una spontanea tendenza, (da non
assecondare), a gerarchizzare le qualità spaziali e di posizionamento,
a partire dalla logica stessa dell'assetto planimetrico del complesso
parrocchiale. Tendenza che produce lo sforzo creativo maggiore nell'affrontare il progetto della chiesa e relega il resto ad una operazione
di minor impegno, quasi lo si potesse operare con la mano sinistra (per
un destromane, si intende!).
Una ulteriore considerazione che riguarda la storia delle mie
esperienze progettuali (alle quali sono poi seguite in modo consequen8
ziale le realizzazioni) è quella che riguarda le prime due chiese che
rappresentano un po' il debutto nella mia attività di progettista e sono,
di fatto, il frutto della collaborazione con l'ing. Anton Paolo Savio che,
dopo la laurea, mi aveva offerto il ruolo di collaboratore, ben remunerato, con l'impegno di esplicitare il mio apporto, legando il mio nome
alle realizzazioni delle opere prodotte insieme nel suo studio. Una
modalità nobile e scarsamente diffusa negli studi professionali romani.
A posteriori, debbo riconoscere di essere stato portatore, nella collaborazione, più di problemi che di certezze, ma riuscendo comunque
a vivacizzare lo scambio dei punti di vista e arricchendo dialetticamente le fasi di ricerca.
Il secondo e terzo progetto appartengono a due fasi distinte e lontane tra loro, anche per la realizzazione. La seconda esperienza progettuale, come sarà esplicitato più avanti, nasceva come il luogo di
culto annesso ad un complesso residenziale e di formazione per giovani lavoratori, per essere poi adeguato a complesso parrocchiale.
La terza esperienza appartiene alla storia degli esiti di un concorso, nel 1967, fatto con A. P. Savio, che doveva anche servire a formare un albo di progettisti di fiducia del Vicariato di Roma.
In questa ipotesi progettuale, tra l'altro, si tentava di considerare i
volumi edilizi delle opere parrocchiali come occasione per creare uno
spazio propedeutico a quello liturgico della chiesa. Uno spazio che,
prima e dopo la messa, fosse in grado di creare un momento per la
socializzazione della comunità dei fedeli. Le elaborate vicende burocratiche che hanno preceduto l'attuazione, hanno avuto come conseguenza urbanistica che il complesso parrocchiale è stato realizzato in
una realtà contestuale diversa da quella originale del concorso, che
però ha permesso di mantenere la sostanza dell'impianto planimetrico.
Il quarto ed il quinto complesso parrocchiale, realizzati a Roma,
costituiscono una esperienza progettuale a sé stante. Possono essere
forse definiti come il risultato di una personale maturazione e approfondimento positivo dei caratteri tipologici e dell'inserimento contestuale.
Siamo nel 1993, affronto praticamente da solo, una prova che
riconosco come determinante, per il mio percorso di progettista. Nel
progetto di massima cerco l'ispirazione in modelli lontani ma anche
riferimenti romani, sui quali cercherò di essere più esplicito più avanti. Per il progetto esecutivo e l'attuazione, trovo una impresa ed un
assistente di cantiere veramente eccezionali. Riesco a elaborare soluzioni di dettaglio con una collaborazione e una disponibilità inusuale
soprattutto se esercitata verso un progettista al quale non compete la
direzione dei lavori. Questo complesso è quello di S. Giuliano sulla
via Cassia.
9
Prima della quinta realizzazione, bisogna menzionare il Concorso
per nuove chiese, bandito dal Vicariato di Roma nel 1994 per il
Giubileo del 2000, per il quale con un gruppo di architetti ho partecipato con un progetto per la zona di Dragoncello, il complesso parrocchiale di S. Cirillo e Metodio, un bel progetto che però è stato solamente segnalato. Nel progetto si tentava di dare unità, attraverso un
percorso architettonicamente ben individuato, allo spazio liturgico
della chiesa e a quelli delle altre attività del complesso parrocchiale.
Particolare importanza veniva attribuita alle suggestioni formali presenti nella vicina realtà storica-archeologica di Ostia Antica.
Tra il 1997 ed il 2003 si colloca la mia ultima avventura progettuale della quale ho potuto seguire l'attuazione concreta.
Il quinto ed ultimo progetto, come anticipato nelle prime notazioni di questa premessa, segna la conclusione del mio personale percorso di progettista. Progettato alla fine degli anni novanta, questo complesso parrocchiale, è stato realizzato in un periodo di tempo immediatamente successivo ad un momento per me assai critico al quale
sono però sopravvissuto. Riuscendo poi, in qualche modo, a seguire i
lavori del cantiere ho trovato ulteriori motivazioni per la mia riabilitazione motoria e la insperata conclusione di vedere ultimati i lavori.
Una ulteriore notazione riguarda la struttura espositiva di questa
documentazione. Tutti i documenti grafici e fotografici che è stato
possibile ritrovare, comprese alcune immagini dei cantieri più recenti
dimostrano la cura quasi maniacale posta nella definizione dei progetti, della loro fase esecutiva, delle realizzazioni e documentano il significato decisivo che assumevano nella mia scarna storia di realizzazioni, questi episodi concreti di attuazione.
A queste immagini, disegni e foto, ho voluto attribuire il compito
di descrivere in modo immediato e più comunicativo possibile le qualità formali, di luce, di grana e tessiture presenti nelle diverse situazioni, rinunciando a elaborate descrizioni verbali, troppo elucubrate, pretenziose e molte volte prive di riscontri, aggiungendo semmai esaurienti didascalie.
Sono stati raccolti, inoltre, tutti gli scritti degli autori, con i quali
sono state accompagnate le pubblicazioni dei complessi parrocchiali,
sulle diverse riviste, ove sono state riscontrate come leggibili alcune
intenzioni esplicitate nel programma progettuale ed altre valenze positive che, come spesso succede, non erano state nemmeno premeditate, ma solo intuite.
Durante la mia attività didattica, presso la Facoltà di Architettura
10
di Roma "La Sapienza", dove ho esercitato il ruolo di docente di
Composizione Architettonica e Urbana. mi è capitato più di una volta
di seguire, come relatore, tesi di laurea su complessi parrocchiali.
Alcune di queste tesi di laurea sono state valutate, dal Vicariato di
Roma, degne di essere riconosciute come meritevoli e da premiare
con borse di studio, predisposte per questi giovani laureati.
Sarebbe interessante documentare le idee e le proposte contenute
in questi progetti, ma non mi è sembrato corretto ed opportuno documentarle in questa sede.
Nelle stesure degli esecutivi delle due ultime progettazioni, cioè S.
Giuliano e S. Romano, ho avuto, come diffusamente avrò più avanti
modo di esporre, la fortuna di collaborare con l'ing. Antonio Michetti,
nella veste di "strutturista".
Noto ed apprezzato collega nella Facoltà, lo avevamo ammirato
da studenti per la sua capacità di trasmettere indelebilmente nozioni di
scienza delle costruzioni. Lui riusciva a farle comprendere anche agli
svagati poeti, più propensi ad apprezzare le sfumature di vagheggiati
e onirici linguaggi formali. Nel rapporto tra professionisti, ti costringeva con logica ferrea a mettere a fuoco le intenzioni per una determinata volontà spaziale da esplicitare correttamente e trovare da solo
soluzioni statiche delle strutture, che poi metteva sapientemente a
punto, fino a condurle alla dignità di un compiuto ed espressivo linguaggio architettonico.
Alla fine della raccolta del materiale di documentazione ho deciso, come già dichiarato, di minimizzare i miei apporti critico-metodologici cercando di far parlare il più spontaneamente possibile le immagini e i commenti a queste, formulate da progettista e non da un punto
di vista storico-critico, appartenendo questo ruolo ad un altro settore
disciplinare, nel quale riconosco una mia personale difficoltà a muovermi disinvoltamente e senza sospettosi pregiudizi.
Anche se sono consapevole che non è possibile, fuori della storia
e della storia dell'architettura, esercitare in modo corretto il mestiere
di architetto.
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GESU' OPERAIO
CHIESA PARROCCHIALE
a MONTEROTONDO
1960-1962
13
GESU' OPERAIO
CHIESA PARROCCHIALE a MONTEROTONDO
Debbo confessare che di questa prima esperienza progettuale ho
ricordi vaghi ed incompleti anche perché non avendo seguito l'attuazione, la direzione dei lavori fu eseguita dall'ing. Anton Paolo Savio,
debbo immergermi nei ricordi di una progettazione risalente a quasi
mezzo secolo fa, nell'assenza più totale di immagini, anche fotografiche, di cantiere.
Nella generalità delle prestazioni del progettista, la direzione dei
lavori ed il cantiere, costituiscono una splendida opportunità di correggere valutazioni erronee o imprecise, avanzate nella fase progettuale e che solo l'attuazione può far comprendere e migliorare, con
una adeguata e meditata conduzione dei lavori.
Questa constatazione mi si è costantemente riproposta ogni qualvolta ho dovuto rapportarmi alla committenza del Vicariato di Roma,
che per molti altri aspetti si era rivelato un interlocutore sostanzialmente corretto e occasione di fruttuose collaborazioni
In questo caso l'incarico fu una iniziativa del Vescovo della Sabina
che, come ho potuto appurare poi, estende la sua competenza territoriale anche sulle parrocchie di Monterotondo.
Mi ricordo, con una comprensibile approssimazione, che la fase
progettuale fu profondamente influenzata da almeno tre condizionamenti.
Il primo dato, non certo trascurabile, fu il tempo estremamente
ridotto da dedicare alla progettazione. La principale conseguenza fu
uno stimolo positivo per l'attività propositiva, ma un dato negativo per
il necessario approfondimento conoscitivo sulla ubicazione del lotto,
per l'approfondimento dei rapporti che, comunque, si instaurano con
il contesto costruito che, se non ricordo male, riguardava, allora, una
situazione periferica di un tessuto urbano marginale di una qualità talmente modesta, che la reputammo trascurabile.
Dell'importanza di questo rapporto ho avuto modo, nello svolgersi della mia attività professionale, di verificare l'assoluta necessaria
presenza nel processo della progettazione e ne ho tenuto conto in tutte
15
Il centro parrocchiale
le successive occasioni, non dimenticando di trasmettere tale necessità agli studenti, nelle diverse situazioni che la mia attività didattica
proponeva. Il rapporto luogo e progetto è un dato che non può essere
assolutamente trascurato, anzi costituisce un irrinunciabile punto di
partenza per qualsiasi processo conoscitivo, per ben impostare l'iter
progettuale, che deve sempre saper correttamente interpretare il
"genius loci" anche quando questo appare come un complesso di
negatività, che un buon progetto può essere in grado di riscattare.
Il secondo dato, che influenzava chiaramente anche il terzo, era
determinato dalla esigenza di una realizzazione di modesta entità economica che comportava una impostazione improntata alla massima
semplicità, ad una attuazione articolata in più fasi, ad un uso di materiali di minor costo possibile.
Per l’impostazione planimetrica, l'importanza delle opere parrocchiali fu ridotta al massimo, non fino al punto da minimizzare la presenza dei volumi edilizi, ma di affidare loro la funzione di qualificare
lo spazio esterno della parrocchia, dato che l'ambiente circostante non
era in grado di assolvere a questo compito. Inoltre la necessità di poter
usufruire di uno spazio adeguato da utilizzare come "sagrato" poteva
essere risolta, prolungando oltre l'edificio per il culto, con un semplice portico di collegamento tra la chiesa e le opere parrocchiali.
La terza notazione basilare e determinante, per l'impostazione
tipologica, è quella riguardante l'assenza di indicazioni liturgiche che
scaturirono invece dal Concilio Vaticano II e non esistevano ancora
standards minimi quantitativi e un programma definito e prescrittivo
delle esigenze funzionali. Il complesso delle attività che si possono
espletare in un centro parrocchiale veniva affrontato con la sensibilità
e la competenza del progettista, ma spesso si perveniva a soluzioni
molto soggettive, che tendevano a sottovalutare e a minimizzare la
presenza delle opere parrocchiali ed il loro ruolo nel complesso.
Malgrado l'assenza di indirizzi codificati, mi sembra meritorio
aver anticipato, anche se ancora in maniera embrionale e timida, una
tematica che ha avuto modo di essere esplorata poi, in modo più pertinente e cioè il dialogo che deve esistere tra il luogo di culto, la chiesa, e la struttura di tutte le funzioni necessarie a rendere utilizzabile
una chiesa come centro parrocchiale.
Un altro elemento positivo che esplicita il significato delle affermazioni precedenti è costituito dalla disposizione del sagrato, che
viene a formarsi in forma raccolta e propedeutica alla facciata della
chiesa, mediante una dislocazione strategica dei volumi dei servizi
parrocchiali. Questa tematica verrà ulteriormente sperimentata nel
concorso e per il centro parrocchiale di S. Gelasio.
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Gesù Operaio
Anche il panorama dei contributi offerti allora alla valutazione critica, dalle realizzazioni della Pontificia Opera per la Preservazione
della Fede e la Provvista di Nuove Chiese in Roma, si presentava
estremamente eterogeneo e difficile da decifrare nell'aspetto sia delle
formulazioni tipologiche che delle sperimentazioni formali. Questo
giudizio, sostanzialmente negativo, sulla varietà e diversità delle
architetture presenti nel paesaggio urbano di Roma è certamente sintomo della varietà e frantumazione dei riferimenti storico-critici e
della difficoltà oggettive del tema dello spazio sacro.
La semplificazione delle aspirazioni progettuali dovuta alla
dimensione assai ridotta del programma economico, ha fatto sì che ci
si concentrasse sulla potenzialità espressiva di materiali poveri, adoperati a faccia vista. Fu quindi una scelta meditata quella di servirsi di
murature di blocchetti di tufo listati e di cemento a faccia vista la
prima per le strutture di tamponamento e la seconda per le strutturali
portanti. L'infisso metallico, in ferro finestra, sottolineava, con la sua
essenzialità, la posizione strategica delle aperture poste a sottolineare
il passaggio dal tufo al cemento (a cavallo dei pilastri).
In questa semplice proposta progettuale doveva essere esaltato il
gioco geometrico del proporzionamento delle parti piene rispetto a
quelle delle aperture. Mi rendo conto che la semplicità dell'impianto
tipologico e delle soluzioni formali appaiono come contrapposizione
netta a tutte quelle invenzioni strutturali esuberanti, che appaiono non
sempre motivate da reali necessità compositive, specie quando si presume di riferirsi ad una sana interpretazione dei modelli formali
appartenenti alla tradizione.
Riconsiderando questo progetto, a distanza di quasi cinquanta
anni, riscontro, nelle immagini, che questa serenità e pacatezza
espressiva, legata essenzialmente al controllo e alla utilizzazione di
materiali poveri, conferisca al linguaggio compositivo una libertà da
una certa accanita ricerca di una malposta originalità, da conseguire a
tutti i costi e un aggancio culturale più sano alla tradizione.
Non sono riuscito a rintracciare i disegni esecutivi che, forse sono
stati archiviati nello studio dell'ing. A.P. Savio, ma non ritengo che
questi avrebbero potuto aggiungere molto a quanto mi è stato possibile reperire, di materiale grafico e fotografico, che si riferisce sostanzialmente alle fasi finali del cantiere della chiesa, appena terminata.
Confesso che avrei potuto aggiornare con foto recenti questa
documentazione, ma ho avuto il timore di avere difficoltà a rintracciare il luogo e soprattutto di dover constatare che in tutto questo tempo
l'edificio potesse aver subito un serie di manomissioni, magari operate con le migliori intenzioni, che avrebbero distrutto il buon ricordo
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Il centro parrocchiale
che tutto sommato conservo di questo inizio dell'attività professionale. Anche perché questa verifica avrebbe avuto un senso se fatta in un
tempo utile a correggere valutazioni sulle manutenzioni, sulla durata
dei materiali e su tutte quelle circostanze che avrebbero potuto arricchire e orientare il bagaglio di conoscenze di un operatore nel pieno
della sua attività e non a un estenuato vegliardo ancora disponibile a
patetici consuntivi dei tentativi giovanili.
Nel 2007, nel mese di novembre, sono riuscito a mettermi in contatto con Anton Paolo Savio, che mi ha confermato la carenza di documentazioni grafiche oltre a quelle rintracciate nel mio archivio. Mi ha
inoltre comunicato la denominazione della chiesa, riportata anche nel
sito della Diocesi di Roma come Parrocchia di Gesù Operaio appartenente alla Diocesi Suburbicaria di Sabina - Poggio Mirteto località
Monterotondo (RM), esaudendo così per me, la voglia di saperne di
più senza doverla rintracciare (e subire eventuali probabili delusioni).
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