Alessandro Teti Castel di Sangro 1943-1945 Storia Documentata degli Avvenimenti Bellici dal 1943 al 1945 Prefazione di Ezio Mattiocco Alessandro Teti, Castel di Sangro 1943-1945 Copyright© 2013 Edizioni del Faro Gruppo Editoriale Tangram Srl Via Verdi, 9/A – 38122 Trento www.edizionidelfaro.it – [email protected] Prima edizione: ottobre 2013 – Printed in Italy ISBN 978-88-6537-192-3 In copertina: foto di via Paradiso – febbraio 1944 Alla mia famiglia, Paola, Fabio, Melania A mio fratello Nicola, silente sostenitore di questo lavoro A tutti i caduti militari e civili che ci hanno donato un futuro. “Sapere le vicende del piccolo angolo che ci vide nascere; sapere chi ci ha vissuto prima di noi e par quali virtù, per quali difetti menò la vita ora più felicemente, ora più infelicemente, è cosa desiderata e nel tempo stesso necessaria. Perché la conoscenza di ciò che più non è, insegna ciò che deve essere; nel senso che apprendere quel che han fatto i nostri maggiori, è sapere ciò che dovremmo fare noi” (Vincenzo Balzano, La Vita di un Comune del Reame) Con il Patrocinio del Comune della Città di Castel di Sangro (Aq) (Delibera n°23 del 13 febbraio 2013) Medaglia di Bronzo al merito civile con la motivazione: “Resisteva impavidamente ai bombardamenti e alle vessazioni del nemico invasore, subendo dure perdite di vite umane e di beni materiali [Ottobre 1943 - Maggio 1944]” Con il Contributo del © Copyright 2013 - Alessandro TETI Proprietà, riproduzione letteraria e fotografica riservata Parte della documentazione fotografica senza indicazione di provenienza fa parte dell'archivio personale dell'autore 1 INTRODUZIONE La finalità di questo lavoro è incentrata nella ricostruzione, redatta sulla base di documentazione originale, degli eventi bellici occorsi dal Novembre 1943 al Maggio 1944. Eventi che condussero alla distruzione e alla liberazione di Castel di Sangro dall’occupazione tedesca, e dei quali cade quest’anno il settantesimo anniversario. Chi scrive ha sinceramente incontrato sostanziali difficoltà di metodo, stante la formazione tecnicopragmatica da cui proviene per via della propria professione. Per questa ragione, l’impostazione del volume è fondamentalmente di natura cronologica: all’illustrazione degli eventi bellici, tanto i circostanziati quanto i concernenti la comunità dell’Alto Sangro, si affiancheranno qua e là alcune osservazioni storiche, mantenendole nei limiti consentiti ad un appassionatissimo dilettante quale sono. Nessuna intenzione, in altre parole, di prestare queste pagine al dibattito erudito o accademico, così come di sostituirmi a storici di nota fama e profonda conoscenza degli avvenimenti, ai quali rimando il lettore che desideri attingere informazioni più preziose e puntuali. Il contenuto del volume è, infatti, squisitamente rivolto al trasferimento di conoscenza di quegli accadimenti storici, generalmente sconosciuti o dei quali si ha percezione distorta e lacunosa, alle nuove generazioni castellane; evitando la disinformante retorica classica della quale si fa largo uso. Tutto questo nella più totale convinzione che la non conoscenza della storia conduca inevitabilmente ad una cattiva comprensione del presente. I testi sono supportati da numerose immagini e mappe militari circostanziali, molte delle quali inedite. Queste hanno lo scopo di offrire un chiaro supporto visivo al resoconto degli accadimenti, unicità suggestive e di facile memorizzazione da parte del lettore. È palese il mio vivo ringraziamento a tutti coloro che mi hanno incoraggiato, aiutato e che a vario titolo hanno collaborato a questo lavoro; un ringraziamento particolare ai Sigg.ri: Ugo Del Castello che inconsapevolmente mi ha fatto, per usare un termine a lui caro, da “apripista”; Dino D’Amico e Ezio Mattiocco, memorie lucide degli accadimenti; Andrea Di Marco, compagno d'avventura nella ricerca documentaria, la cui comune passione ha permesso lo scambio di notizie, informazioni e documenti senza alcun pregiudizio ed esclusione. Alessandro TETI Gennaio 2013 2 PREFAZIONE I GIORNI DELL’IRA Castel di Sangro, estate 1943: le massicce incursioni aeree su Napoli avevano portato in paese masse di sfollati e, in certi momenti, sembrava esserci quasi allegria con tanta gente in giro per le strade. Il 27 agosto si celebrava la festa del Santo Patrono e nella tarda mattina c’era la banda in Piazza Plebiscito; fu proprio durante il concertino che l’orizzonte fu solcato dalle formazioni di bombardieri anglo-americani diretti su Sulmona. La terra tremò cupa e minacciosa quando lo scalo ferroviario della vicina città venne sconvolto da uno dei più duri e cruenti attacchi aerei sofferti dall’Abruzzo. Poi l’8 settembre: treni stracarichi di soldati allo sbando che scendevano e risalivano la Penisola e la grande pietà delle donne di Castel di Sangro, in ininterrotta processione, per giorni e giorni a correre verso la stazione con ceste colme di provviste per sfamare quegli uomini dalle barbe incolte e dalle facce fuligginose, abbigliati in fogge da armata brancaleone in disarmo. Non dimentichiamoci di quelle mamme, di quelle giovani spose con i loro pani odorosi proiettate in un generoso slancio verso tanti sconosciuti con la sola speranza nel cuore che altre mamme, altre spose di paesi lontani corressero anch’esse verso i loro uomini affamati e laceri per aiutarli a ritornare a casa. Ben presto le strade s’ingorgarono di automezzi e panzer in ritirata con i soldati della Wehrmacht che se ne stavano stranamente buoni e, a sera, quando si accampavano nei pressi del Ponte della Zittola, sotto i pioppi che incominciavano ad ingiallire, quasi facevano tenerezza allorché, nella malinconia della notte incipiente, attaccavano quella loro canzone che raccontava di Lilì Marleen e delle sue lunghe attese sotto il mitico fanale. Il primo ottobre la guerra si fece paurosamente più vicina. Il mitragliamento aereo di un treno carico di profughi, appena alle porte della città, fece da prologo. Poteva essere una carneficina, per fortuna ci fu un solo ferito. Appena una settimana più tardi, però, l’attacco al trenino della Sangritana fece anche dei morti. Il tacito idillio con i tedeschi si infranse all’improvviso il 17 ottobre. Quell’anno cadeva di domenica. La gente affollava numerosa le piazze, quand’ecco militari in assetto di guerra sbucare da ogni dove; non più soldati immusoniti, ma feroci «SS» naziste con mitra e placca metallica sul petto che rastrellavano uomini, vecchi o giovani che fossero, e sparavano sui fuggitivi; ci furono feriti e tanti deportati. Ebbe così inizio il calvario della gente del Sangro. Il 31 ottobre, fulmineo, arrivò l’ordine perentorio di immediata evacuazione del paese, diramato dall’alto comando tedesco. Non ci fu tempo e modo di organizzare una pur minima quanto problematica resistenza, divisi e privi di mezzi e di collegamenti com’eravamo. Gli uomini uscirono dai nascondigli e si accodarono alle lunghe file di donne, vecchi e bambini che si allontanavano senza una meta precisa, curvi sotto il peso dei fardelli e annientati dall’incalzare degli eventi. Per 3 tratturi e impervi sentieri si dispersero nelle masserie, sui monti, nei boschi e nei paesi vicini, covando la segreta speranza di un pronto ritorno. Poi il dies irae. Era il 7 novembre. Di buon’onora, riecheggiò per la valle il fragore dei primi scoppi, boati terrificanti che si susseguirono ininterrotti nelle ore successive. Mille e mille occhi scrutarono dai rifugi l’orizzonte che andava velandosi di polvere e di fumo; e in mille e mille avvertirono l’angoscia del disastro che si stava consumando: Castel di Sangro e i piccoli centri dei dintorni si sgretolavano dilacerati dalle mine tedesche. Così per giorni e giorni, in quella prima decade di novembre. Poi il periglioso rientro. Era solo il «giorno dopo». Il silenzio succeduto agli scoppi gravava su quelle rovine e nell’aria greve aleggiava ancora l’odore acre della polvere. Con una carica di dinamite sotto ogni portone, casa per casa, rione dopo rione, quasi l’intero abitato era stato diroccato e stalle e fienili dati alle fiamme, con metodica precisione tutta teutonica. Strade ingombre di macerie, quartieri sconvolti, punteggiati qua e là da resti di edifici sventrati che mostravano ancora gli interni con le masserizie e i ritratti di famiglia appesi alle pareti: sembravano denudati, come violentati nella loro intimità, esposti alla cupidigia degli sciacalli e degli ultimi guastatori avvinazzati che si aggiravano come avvoltoi in quello squallore. Il 22 novembre, le truppe canadesi dell’8a armata tentarono un primo assalto alla rocca e con più fortuna ritentarono due giorni dopo. I tedeschi ripararono oltre il corso del Sangro attestandosi saldamente sulle alture. I Castellani tornarono in paese, ora occupato dagli alleati; dapprima in pochi, poi sempre più numerosi, rintanandosi nei tuguri e nei ripari di fortuna. Tra cannonate, fame e stenti d’ogni genere, cominciò la lunga penosa attesa di un’improbabile avanzata delle truppe anglo-americane; sarà una sorta di lungo assedio di quell’insicuro avamposto presidiato solo da una piccola guarnigione di fanteria britannica, sostituita poi dai fucilieri irlandesi, più tardi dai polacchi della divisione «Karpachich», quindi dai giovanottoni della Reale Guardia Scozzese: così giorno dopo giorno, mese dopo mese fino alle soglie dell’estate del ‘44. E gli accadimenti di quei mesi di guerra raccontano, anzi documentano, queste pagine di Alessandro Teti. Non il solito coacervo di incerte memorie, di melensi ricordi di seconda mano alimentati dai racconti dei padri e dei nonni, non avventure di singoli, ma una corale vicenda di una comunità, letta attraverso carte d’archivio, diari, memoriali d’epoca. Testimonianze preziose di quei fatti, di piccole e grandi storie, di immani sofferenze, raccolte con certosina pazienza negli archivi e nei rapporti dei combattenti dell’uno e dell’altro fronte, spesso messe a confronto con i ricordi dei Castellani che vissero quei tragici momenti. Ormai, a distanza di settant’anni, siamo sempre più in pochi a ritrovarci in queste pagine, a rileggere di quella maledetta guerra venuta da lontano, che ci ritrovammo, nostro malgrado, “sotto casa” e bruciò il meglio della nostra gioventù. Intensa la commozione nel ripercorrere tanti passaggi del dramma familiare, iniziato il primo ottobre del ’43 col ferimento di mio padre mentre era alla guida di quell’inerme convoglio segnato con la «croce rossa», che i caccia-bombardieri alleati ignorarono; l’esperienza tremenda del 17 4 ottobre; il distacco straziante da genitori e parenti del 2 novembre, il freddo e la fame del lungo inverno. Poi la militanza in quel gruppo armato di ex carabinieri, ex forestali, reduci e giovani del paese, ufficialmente destinato dal comando militare ad assicurare l’ordine pubblico, ma in realtà impiegato in lunghi e snervanti turni di guardia, in ricognizioni del territorio e nella guida delle pattuglie alleate nella terra di nessuno ed oltre. Gli stringati resoconti britannici hanno solo un accenno per quel “gruppo” senza nome e senza bandiera, che fu al loro soldo e operò con discrezione, dando anche il proprio contributo di sangue. Durante uno dei cannoneggiamenti che si intensificarono nel mese di maggio il Maresciallo Raimondo Piselli, in pratica il nostro comandante operativo, fu investito da una gragnola di schegge: lo vidi per l’ultima volta mentre lo trasportavano in barella agonizzante. Era il 12 di quel mese: morì il giorno dopo all’ospedale d’Isernia. Sarà poi decorato di medaglia d’argento al valor militare. E non fu il solo del “gruppo” a rimetterci la pelle. Lo scoppio di una mina, che lacerò il silenzio della notte ai primi di giugno, riecheggiando sinistra per le forre e i valloni dell’Arazecca, si portò via Giuseppe Frabotta, il pescatore del Sangro, che ogni notte guidava le pattuglie alleate al di là del “suo” fiume. Compiti talora anche ingrati affrontammo in quei mesi: il Diario del comandante del 1st Battalion Scots Guards, tenente colonnello G. A. D. Taylor, registra l’episodio dei «circa 60 civili profughi» delle masserie di Villa Scontrone evacuati nottetempo da Castel di Sangro il 26 aprile. Li avevamo rastrellati proprio noi del “gruppo” nella mattinata stanandoli dalle case; per lo più vecchi, donne e bambini restii ad abbandonare il “natio loco”. Ci muovemmo con garbo e delicatezza per allontanarli dal pericolo e non per far loro del male, ma la cosa non ci fece comunque piacere, perché ci rammentava troppo da vicino quello che i tedeschi ci avevano già fatto mesi prima. Per la via delle masserie, attraversò le linee anche il Generale Ezio Garibaldi, pronipote dell’Eroe dei Due Mondi; nonostante la riservatezza degli alleati, la notizia trapelò e, chissà perché, gioimmo a quella nuova. E tanti altri fatti annotano quelle laconiche pagine che Alessandro Teti riporta provvidenzialmente nella traduzione italiana: le tormente e le grandi nevicate dell’inverno, i volantini propagandistici rivolti ai polacchi del generale Anders “sparati” con i lanciarazzi sul paese; i manifesti lasciati sulle sponde del Sangro, per l’esattezza nella chiesa della Maddalena, tengo a precisare, visto che toccava proprio a noi del “gruppo” attraversare il fiume per recuperarli. Ed ancora, i frequenti duelli tra le opposte artiglierie con le granate che passavano sibilando sinistramente sulle nostre teste; il solito cronista scozzese di quei giorni contava e registrava puntualmente quelle che cadevano sull’abitato, mietendo vittime tra i civili più che tra i militari, tenendo separata, quale buon ragioniere, la contabilità dei proiettili di grosso calibro dai colpi di mortaio. Ricordi e ricordi, ravvivati da quelle notazioni, ricordi inevitabilmente tristi, come l’episodio del 2 maggio del ’44: «I mortai nemici hanno ucciso due civili»; quei “due” – che il comandante della Scots Guards lascia nell’anonimato – erano Desta Gargano e Pietro Prete, personaggi conosciutissimi in città, falciati a meno di cinquanta passi dall’angolo della chiesa dei Morti dove mi trovavo. 5 Erano già tanti i deceduti per fatti di guerra ed altri cadranno ancora sotto le cannonate e le mitraglie, salteranno sulle mine e periranno di stenti. I loro nomi sono tutti doverosamente riportati in questo libro, assieme a quelli dei soldati che non tornarono dai mari e dai campi di battaglia d’Africa, di Russia e di Grecia. Quando passata la bufera i Castellani si ricontarono, molti mancavano all’appello. Ma forse non è il caso di divagare ulteriormente ed è tempo di lasciare la parola ad Alessandro Teti e ai suoi testimoni, fedeli e affidabili, che hanno composto il mosaico cronachistico di quei lunghi mesi, arricchito da un corredo iconografico di eccezionale valenza, senza dubbio il più cospicuo e variegato di quanti proposti in questi settant’anni. Struggenti rimembranze per la sempre più esigua schiera dei giovani d’allora, traccia sicura per i tanti che, nati dopo, non vissero quei travagli. Per sua stessa ammissione Alessandro Teti non è uno storico e neppure un saggista, ma, nonostante la sua dichiarata modestia, ormai che lo voglia o no, almeno scrittore è diventato e può essere ben fiero di questa sua “opera prima”. Ezio Mattiocco 6 Si ringraziano inoltre per gli aiuti a diverso titolo: Comune della Città di Castel di Sangro Biblioteca Comunale di Castel di Sangro “Vincenzo Balzano” Fabio Teti, mio figlio, per il lavoro di editing e revisione Corrado Miraldi per le traduzioni dall’inglese Rosella Marino per le traduzioni dal tedesco Ewa Ciborowska per le traduzioni dal polacco Evelina Konczynska per le traduzioni dal polacco Mara Prendin (Canada) per la collaborazione con gli Archivi canadesi Susan Clark (Inghilterra) per la collaborazione con gli Archivi irlandesi Richard Doherty (Inghilterra) per la collaborazione con gli Archivi inglesi Richard O'Sullivan (Inghilterra) per la collaborazione con gli Archivi inglesi Andrew Newson (Inghilterra) per la collaborazione con gli Archivi scozzesi Paolo Paoletti Carlo Gentile Daniele Guglielmi Lorenzo Tonioli Marco Marzilli Eduardo Balzano Terzio di Carlo Raffaele Buzzelli Paolino Del Pinto Carmine Riccio Gentian Alpina Powell (USA) Fabio D’Amico (Fotografo) Salvatore Tambone Roberta Ranieri Maria Domenica Santucci Manlio Mattamira Gaetano Scarpitti Francesco Scioli Nicola Ricchiuto Anna D’Angelo Paola D’Angelo Cosmo Marcantonio Elio Petrarca e Famiglia Guido D’Amico 7 Austin J. Ruddy (Inghilterra) July Bryce (Inghilterra) Annette Morris (Inghilterra) Nicolino Di Quinzio Yuri Fantone Maurizio Di Michele Tomek Basarabowicz (Polonia) Betty Anne McDorman (Canada) Darren Crossman (Canada) Maureen Naugler (Canada) Famiglia Gentile (nelle persone di Vincenzo, Archimede, Amleto e nipoti) per aver lasciato con il loro lavoro alla nostra comunità, una preziosa realtà fatta di immagini 8 CAPITOLO I IL CONTESTO E LE STRATEGIE Il 3 settembre 1943 l’8a Armata britannica del Generale Bernard Law Montgomery, dopo l’invasione della Sicilia, attraversò lo stretto di Messina, raggiungendo così il suolo europeo e mettendo in ritirata verso il Nord la 29a Divisione Panzergrenadier tedesca. L’obiettivo del Generale Bernard Law Montgomery era quello di liberare la Calabria, la Basilicata e la Puglia e di puntare verso il Molise e l’Abruzzo assecondando, ad occidente sulla direttiva Napoli-Roma, le operazioni della 5a Armata americana del Generale Clark. L’8 settembre, alle ore 18:30, il Generale Eisenhower, comandante in capo delle forze alleate nel Mediterraneo, annunciava alla radio la resa senza condizioni dell’Italia alle forze Anglo-Americane. Conosciamo tutti le conseguenze disastrose che l’Armistizio, mal gestito dagli alti comandi italiani in particolar modo dal Maresciallo Badoglio, ha in seguito avuto sulla popolazione civile e sull’esercito abbandonati a se stessi. Manifesto di propaganda Nazi-Fascista in lingua inglese 9 italiano, entrambi PERCHE’ IL SANGRO Si trattava ora, per le forze contrapposte, di organizzare delle strategie di attacco e di difesa; cito una famosa frase di Graham e Bidwell: “…due eserciti alla ricerca di un campo di battaglia”. Nella nascente campagna d’Italia, i tedeschi, in qualità di difensori, adottarono una strategia basata sul principio degli “assi trasversali”, ossia su quelle configurazioni lineari di terreno sfavorevoli agli spostamenti militari e che si dispongono normalmente, cioè a 90°, alla direzione di marcia del nemico. Questi “assi trasversali” passeranno alla storia come “Linee”, sviluppanti il proprio tracciato nei punti più stretti della penisola, Toscana-Emilia Romagna e LazioAbruzzo. La linea a Nord o Linea Gotica (Pisa-Rimini), fu fortemente sostenuta dal Generale Edwin Rommel, mentre la linea a Sud o Linea Gustav, fu sostenuta dal Feldmaresciallo Albert Konrad Kesselring (foto in basso). Hiltler le rese entrambe effettive. Le forze Anglo-Americane accettarono concordamente questa logica degli assi trasversali. Solo il Generale Eisenhower propose una strategia differente, consistente nell’occupazione della Sardegna e della Corsica. Questo avrebbe costretto i tedeschi a difendersi lungo tutto il versante tirrenico disperdendo le forze. Winston Churchill, in virtù del suo interesse politico per i Balcani, accettò però la logica degli assi trasversali, intuendo subito che sugli Appennini si sarebbero decise le sorti della campagna d’Italia. La decisione tedesca di resistere sulla Linea Gustav, dalla foce del Garigliano alla foce del Trigno, venne presa nell’Ottobre 1943. Sul versante Adriatico la scelta ricadde, ahimè, sul bacino del Sangro a valle del gomito di Alfedena (da Alfedena il corso del Fiume Sangro punta in direzione Nord-Est sino alla foce nell’Adriatico), con appoggio sul versante sinistro della Maiella (Altipiani Maggiori), nelle zone di Guardiagrele, Orsogna e Ortona. Questo era dunque l’asse trasversale stabilito dal Feldmaresciallo Albert Konrad Kesselring: montagne, valli facilmente 10 controllabili, clima poco favorevole: una configurazione strategico-geografica perfettamente in grado di rallentare l’avanzata di carri armati e truppe motorizzate. Da parte Anglo–Americana l’obiettivo era, invece, chiaramente Roma; per questo motivo, contrariamente a quanto desiderato da Winston Churchill, si preferì operare sul versante Tirrenico della Linea Gustav, nonostante nei primi giorni di Novembre 1943 venne ventilata l’ipotesi di aggirare Roma occupando Pescara tramite la direttrice su Avezzano. Ma con l’avvento del Generale Harding a Capo di Stato Maggiore delle forze AngloAmericane nel Gennaio 1944, la scelta viene a interessare la zona individuata dalla linea Garigliano–Cassino. Con questa decisione a partire dalla metà di Dicembre 1943 sino al Giugno 1944, gli Anglo-Americani si limitarono ad una guerra di posizione sulla Linea Gustav (conosciuta anche con il nome di Winter Line), fatta eccezione per il periodo che corre dall’Ottobre 1943 al Dicembre dello stesso anno, quando, al prezzo di fortissime perdite, superarono il Fiume Sangro nel versante Adriatico e parzialmente nell’Alto Sangro, restando infine bloccati tra il valico di Roccaraso e Castel di Sangro. Il generale inverno, per usare una definizione abusata, rimaneva il più forte. La Linea Gustav venne definitivamente sfondata dal Corpo d’Armata polacco nel Giugno 1944. In questi pochi mesi quindici centri abitati furono distrutti e molti altri seriamente guerra danneggiati. urbana Episodi devastarono di Ortona (definita la Stalingrado d’Italia), dove i canadesi sperimentarono tattiche destinate a fungere da esempio nei manuali di addestramento militare a venire. Le popolazioni dell’Alto Sangro e della Valle del Sangro pagarono a caro prezzo la scelta tattica del Feldmaresciallo Albert Konrad Kesselring (foto in alto scattata in Abruzzo nel Novembre 1943), ma soprattutto la rinuncia, da parte alleata, ad aggirare Roma occupando Pescara. Aggirare Roma era del resto il vero sogno e obiettivo del Generale Bernard Law Montgomery che aveva già progettato di scrivere un libro intitolato “El Alamein to Rome”; il concatenarsi degli eventi volle invece che il titolo del suo libro, scritto nel 1948, fosse “El Alamein to the River Sangro”. 11 LE LINEE DIFENSIVE TEDESCHE Nell'autunno del 1943 la guerra giunse nella Valle del Sangro dal Molise dove i tedeschi, sul Trigno, avevano contrastato più duramente l'avanzata alleata. Le truppe tedesche allestirono un'efficiente linea di difesa invernale dall'Adriatico al Tirreno passante sui massicci del chietino, dell'aquilano (Altopiano e Parco) e del Molise (Mainarde) e, più a Sud, sui rilievi del cassinate. Le linee trasversali erano: Linea Gustav, o Linea Invernale (Winter Line) che divideva in due la penisola italiana, estendendosi dalla foce del Fiume Garigliano, al confine tra Lazio e Campania, fino a Ortona, passando per Cassino; aveva come punti fermi avanzati i Fiumi Sangro, Aventino, Volturno e Garigliano. Gli alleati arrivarono in prossimità della foce all'inizio di Novembre mediante la strada statale n°16 Adriatica che da Vasto conduce a San Vito Chietino e che, con continui saliscendi, passava per i centri abitati di Casalbordino-Torino di Sangro e Rocca S.Giovanni (il corrispondente tratto litoraneo venne realizzato nei primi anni ‘50). Le altre strade di accesso esistenti più a monte vennero difese per tutto il mese di Novembre, dopo di che gli alleati poterono prendere possesso di tutta la Valle del Sangro, fatta eccezione del tratto di sponda sinistra corrente da Alfedena a Civitaluparella. Si trattava delle traverse (Castiglione Messer Marino–Perano–Agnone– Pescopennataro-Sant'Angelo del Pesco-Vastogirardi e San Pietro Avellana) che dalla strada statale n°86 (Staffoli-Agnone-San Salvo) scendevano alla provinciale Sangritana (Castel di Sangro-Torino di Sangro), la quale solcava la valle quasi tutta in sponda destra. Sia a Nord che a Sud la Linea Gustav venne ulteriormente rafforzata con altre linee difensive ulteriori: Linea del Volturno (detta anche Linea Viktor): con inizio a Termoli; ad Est, proseguiva lungo la linea del Fiume Biferno, attraverso gli Appennini, per concludere lungo la linea del Fiume Volturno ad Ovest. Linea Barbara (detta anche Linea Ritardatrice): si sviluppava a circa 15 chilometri a Sud della Linea Gustav, e alla stessa distanza a Nord della Linea del Volturno. Linea Bernhardt (detta anche Linea Reinhard) ed eccezionalmente Linea Siegfried e Linea Westfalen): a differenza delle altre non si estendeva da Est ad Ovest attraversando la penisola, ma consisteva in una serie di salienti della Linea Gustav nella regione di Montecassino. Passava per le vette del Monte Camino-Monte la Remetanea-Monte Maggiore, nel territorio di Rocca d'Evandro, e Monte Sambucaro, situato al confine fra le tre regioni del Lazio, Molise e Campania. Sul versante Adriatico la Linea Bernhardt correva dalla Punta del 12 Cavalluccio attraverso San Giovanni in Venere–Fossacesia–Santa Maria Imbaro–Mozzagrogna–Villa Romagnoli–Castelfrentano–Guardiagrele–Pennapiedimonte–Stazione di Palena–Pescocostanzo e Roccaraso–Alfedena. Il suo margine avanzato (per i britannici “Linea Avanzata del Sangro”) si sviluppava dalla stazione di Fossacesia verso il Castello di Sette e l’area a Sud di Sant’Eusanio–Casoli; e quindi, lungo la media valle del fiume, attraverso Altino–Roccascalegna-Pizzoferrato–Gamberale–Pietransieri- Roccacinquemiglia e l’area ad Ovest di Castel di Sangro. La Linea Bernhardt non era particolarmente fortificata nelle zone montane, a differenza della Linea Gustav, ed era stata pensata dal comando tedesco al solo scopo di rallentare l'avanzata alleata nell'avvicinamento a quest'ultima (Cfr. Giovanni Artese, La Guerra in Abruzzo e Molise 1943-1944). Linea Hitler, ribattezzata poi Linea Senger: era situata ad una decina di chilometri di distanza a Nord dalla Linea Gustav e aveva la funzione di contenere eventuali cedimenti di quest'ultima. Dopo il crollo della Gustav, avvenuto il 18 maggio 1944 la Linea Hitler riuscì a frenare lo slancio degli alleati che dovettero fermarsi per riorganizzarsi in modo da superare l'ostacolo imprevisto. L'attacco finale, avvenuto tra il 23 e il 24 maggio, costò, nonostante la vittoria, ingenti perdite data la strenua resistenza tedesca. Linea Caesar: fu l'ultima linea difensiva tedesca a protezione di Roma e si estendeva dalla costa tirrenica, nei pressi di Ostia, fino ad arrivare sulla costa adriatica nei pressi di Pescara. Quando la Linea Caesar, presidiata dalla XIV Armata tedesca, fu sfondata dalla 5a Armata americana il 30 maggio 1944, dopo lo sfondamento di Anzio e la conquista di Velletri, la strada per Roma fu finalmente aperta. Le truppe tedesche della XIV Armata si ritirarono nella successiva linea di difesa Trasimeno dove si riorganizzarono in attesa di ritirarsi sulla Linea Gotica. 13 CAPITOLO II OCCUPAZIONE TEDESCA DELL’ALTO SANGRO Nei primi giorni di Ottobre 1943 le avanguardie della 5a Armata americana e l’8a Armata inglese erano già a ridosso della Linea del Volturno (Napoli-Termoli), questo indusse i tedeschi a stabilire il loro principale sbarramento sulla linea Garigliano-Sangro, poichè la morfologia del territorio permetteva una buona difensiva per la stagione invernale in arrivo. Tra il 15 e il 27 ottobre 1943 il Generale Traugott Herr (foto a sinistra) della LXXVI Panzerkorps rimise in ordine le sue formazioni e le schierò per la battaglia in arrivo. Egli aveva sotto il suo comando, momentaneamente ed eccezionalmente, cinque Divisioni: la 16a Divisione Panzer (Generale Sieckenius), la 26a Divisione Panzer (Generale Von Luttwitz), la 29a Divisione Panzergrenadier (Generale Fries), la 1a Divisione Fallschirmjäger (Generale Richard Heidrich foto in basso a destra Fonte Bundesarchiv) e la 65a Divisione di Fanteria (Generale Von Ziehlberg), quest’ultima appena arrivata in Abruzzo. Non tutte le forze delle prime quattro grandi unità vennero schierate sulla Linea Barbara; la 65a Divisione di Fanteria fu disposta, in parte, a difesa della costiera tra Fossacesia e Pescara, mentre le restanti e più cospicue unità furono schierate sugli avamposti del Fiume Sangro (Stazione di Fossacesia-Casoli) e sulla Linea Bernhardt (San Giovanni in Venere–Castelfrentano-Guardiagrele). Correttamente interpretando le intenzioni del Generale Montgomery, Herr (l’esercito tedesco) dislocò le sue divisioni corazzate alle estremità dello schieramento (sulle direttrici delle S.S. 16 e 17), la 1 a Divisione Fallschirmjäger del Generale Richard Heidrich tra la media Valle del Trigno e l’Alta Valle del Sangro, e la 29a Divisione Panzergrenadier nell’alta Valle del Trigno. La 16a Panzer, infine, tra la stazione di San Salvo e l’area di Lentella (Cfr. G. Artese, op. cit.). Darò maggior risalto alle vicende inerenti la 1a Divisione Fallschirmjäger del Generale Richard Heidrich, in quanto protagonista degli episodi bellici inerenti l’Alto Sangro, ivi compreso Castel di Sangro. Questo corpo di paracadutisti, composto principalmente da volontari, era considerato un corpo di èlite del Terzo Reich (paragonabile ai nostri paracadutisti della Folgore). Combatterono con particolare tenacia ad Ortona e Montecassino, dove ricevettero dagli alleati l'appellativo di "Diavoli Verdi" (Green Davils o Grunen Teufel) derivante dal colore delle uniformi mimetiche e dalla loro tenacia combattiva. 14 Clamorosa fu l’operazione denominata “Quercia” (Unternehmen Eiche) del 12 settembre 1943, nella quale i paracadutisti della 2a Divisione Fallschirmjäger e alcune SS del Sicherheitsdienst guidate dal Sturmbannführer (Maggiore) Otto Skorzeny, liberarono Benito Mussolini imprigionato nell’albergo di Campo Imperatore sul Gran Sasso (foto a destra Fonte Bundesarchiv) per ordine del Re Vittorio Emanuele III. L'operazione scattò alle 03:00 del 12 settembre, quando una colonna motorizzata si mosse alla volta di Assergi. La partenza di 10 alianti DFS 230 della 2a Divisione Fallschirmjäger (foto a sinistra Fonte Bundesarchiv) era prevista per le ore 12:30. Dato il limitato spazio a disposizione per l'atterraggio, alle ruote degli alianti furono avvolti dei rotoli di filo spinato per creare un forte attrito con il suolo. Appena arrivati sopra l'albergo, i tedeschi videro i soldati italiani, che consideravano loro nemici, accennare qualche cauto saluto e, dopo l'atterraggio, mostrare piena indecisione nel decidere se arrendersi o combattere, consentendo ai primi tedeschi di gettare in un dirupo qualche moschetto sottratto loro. La liberazione di Mussolini fu condotta perfettamente: avvenne, di fatto, senza che venisse sparato un solo colpo. Se sul rifugio non ci fu praticamente nessuna reazione da parte italiana, ad Assergi persero invece la vita due soldati italiani (eroi sconosciuti senza aver mai ricevuto un’onoreficenza o un encomio), i soli che non si sottrassero al loro dovere in quella circostanza. La prima vittima fu la Guardia Forestale Pasqualino Vitocco che aveva cercato di avvisare i Reali Carabinieri della presenza della colonna tedesca: fu liquidato con una raffica di mitragliatrice. La seconda vittima fu il Carabiniere Giovanni Natali che, di guardia nella stazione intermedia della funivia, visti arrivare i tedeschi aveva iniziato a sparare rimanendo colpito a morte. 15