Alessandro Teti
Castel di Sangro 1943-1945
Storia Documentata degli Avvenimenti Bellici
dal 1943 al 1945
Prefazione di Ezio Mattiocco
Alessandro Teti, Castel di Sangro 1943-1945
Copyright© 2013 Edizioni del Faro
Gruppo Editoriale Tangram Srl
Via Verdi, 9/A – 38122 Trento
www.edizionidelfaro.it – [email protected]
Prima edizione: ottobre 2013 – Printed in Italy
ISBN 978-88-6537-192-3
In copertina: foto di via Paradiso – febbraio 1944
Alla mia famiglia, Paola, Fabio, Melania
A mio fratello Nicola, silente sostenitore di questo lavoro
A tutti i caduti militari e civili che ci hanno donato un futuro.
“Sapere le vicende del piccolo angolo che ci vide nascere; sapere chi ci ha vissuto prima di noi e par quali
virtù, per quali difetti menò la vita ora più felicemente, ora più infelicemente, è cosa desiderata e nel tempo
stesso necessaria. Perché la conoscenza di ciò che più non è, insegna ciò che deve essere; nel senso che
apprendere quel che han fatto i nostri maggiori, è sapere ciò che dovremmo fare noi”
(Vincenzo Balzano, La Vita di un Comune del Reame)
Con il Patrocinio del Comune della Città di Castel di Sangro (Aq)
(Delibera n°23 del 13 febbraio 2013)
Medaglia di Bronzo al merito civile con la motivazione:
“Resisteva impavidamente ai bombardamenti e alle vessazioni del nemico invasore, subendo dure
perdite di vite umane e di beni materiali [Ottobre 1943 - Maggio 1944]”
Con il Contributo del
© Copyright 2013 - Alessandro TETI
Proprietà, riproduzione letteraria e fotografica riservata
Parte della documentazione fotografica senza indicazione di provenienza fa parte dell'archivio personale dell'autore
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INTRODUZIONE
La finalità di questo lavoro è incentrata nella ricostruzione, redatta sulla base di documentazione
originale, degli eventi bellici occorsi dal Novembre 1943 al Maggio 1944. Eventi che condussero
alla distruzione e alla liberazione di Castel di Sangro dall’occupazione tedesca, e dei quali cade
quest’anno il settantesimo anniversario.
Chi scrive ha sinceramente incontrato sostanziali difficoltà di metodo, stante la formazione tecnicopragmatica da cui proviene per via della propria professione. Per questa ragione, l’impostazione
del volume è fondamentalmente di natura cronologica: all’illustrazione degli eventi bellici, tanto i
circostanziati quanto i concernenti la comunità dell’Alto Sangro, si affiancheranno qua e là alcune
osservazioni storiche, mantenendole nei limiti consentiti ad un appassionatissimo dilettante quale
sono. Nessuna intenzione, in altre parole, di prestare queste pagine al dibattito erudito o
accademico, così come di sostituirmi a storici di nota fama e profonda conoscenza degli
avvenimenti, ai quali rimando il lettore che desideri attingere informazioni più preziose e puntuali.
Il contenuto del volume è, infatti, squisitamente rivolto al trasferimento di conoscenza di quegli
accadimenti storici, generalmente sconosciuti o dei quali si ha percezione distorta e lacunosa, alle
nuove generazioni castellane; evitando la disinformante retorica classica della quale si fa largo
uso. Tutto questo nella più totale convinzione che la non conoscenza della storia conduca
inevitabilmente ad una cattiva comprensione del presente.
I testi sono supportati da numerose immagini e mappe militari circostanziali, molte delle quali
inedite. Queste hanno lo scopo di offrire un chiaro supporto visivo al resoconto degli accadimenti,
unicità suggestive e di facile memorizzazione da parte del lettore.
È palese il mio vivo ringraziamento a tutti coloro che mi hanno incoraggiato, aiutato e che a vario
titolo hanno collaborato a questo lavoro; un ringraziamento particolare ai Sigg.ri: Ugo Del Castello
che inconsapevolmente mi ha fatto, per usare un termine a lui caro, da “apripista”; Dino D’Amico e
Ezio Mattiocco, memorie lucide degli accadimenti; Andrea Di Marco, compagno d'avventura nella
ricerca documentaria, la cui comune passione ha permesso lo scambio di notizie, informazioni e
documenti senza alcun pregiudizio ed esclusione.
Alessandro TETI
Gennaio 2013
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PREFAZIONE
I GIORNI DELL’IRA
Castel di Sangro, estate 1943: le massicce incursioni aeree su Napoli avevano portato in paese
masse di sfollati e, in certi momenti, sembrava esserci quasi allegria con tanta gente in giro per le
strade.
Il 27 agosto si celebrava la festa del Santo Patrono e nella tarda mattina c’era la banda in Piazza
Plebiscito; fu proprio durante il concertino che l’orizzonte fu solcato dalle formazioni di bombardieri
anglo-americani diretti su Sulmona. La terra tremò cupa e minacciosa quando lo scalo ferroviario
della vicina città venne sconvolto da uno dei più duri e cruenti attacchi aerei sofferti dall’Abruzzo.
Poi l’8 settembre: treni stracarichi di soldati allo sbando che scendevano e risalivano la Penisola e
la grande pietà delle donne di Castel di Sangro, in ininterrotta processione, per giorni e giorni a
correre verso la stazione con ceste colme di provviste per sfamare quegli uomini dalle barbe
incolte e dalle facce fuligginose, abbigliati in fogge da armata brancaleone in disarmo. Non
dimentichiamoci di quelle mamme, di quelle giovani spose con i loro pani odorosi proiettate in un
generoso slancio verso tanti sconosciuti con la sola speranza nel cuore che altre mamme, altre
spose di paesi lontani corressero anch’esse verso i loro uomini affamati e laceri per aiutarli a
ritornare a casa.
Ben presto le strade s’ingorgarono di automezzi e panzer in ritirata con i soldati della Wehrmacht
che se ne stavano stranamente buoni e, a sera, quando si accampavano nei pressi del Ponte della
Zittola, sotto i pioppi che incominciavano ad ingiallire, quasi facevano tenerezza allorché, nella
malinconia della notte incipiente, attaccavano quella loro canzone che raccontava di Lilì Marleen e
delle sue lunghe attese sotto il mitico fanale.
Il primo ottobre la guerra si fece paurosamente più vicina. Il mitragliamento aereo di un treno
carico di profughi, appena alle porte della città, fece da prologo. Poteva essere una carneficina,
per fortuna ci fu un solo ferito. Appena una settimana più tardi, però, l’attacco al trenino della
Sangritana fece anche dei morti.
Il tacito idillio con i tedeschi si infranse all’improvviso il 17 ottobre. Quell’anno cadeva di domenica.
La gente affollava numerosa le piazze, quand’ecco militari in assetto di guerra sbucare da ogni
dove; non più soldati immusoniti, ma feroci «SS» naziste con mitra e placca metallica sul petto che
rastrellavano uomini, vecchi o giovani che fossero, e sparavano sui fuggitivi; ci furono feriti e tanti
deportati.
Ebbe così inizio il calvario della gente del Sangro.
Il 31 ottobre, fulmineo, arrivò l’ordine perentorio di immediata evacuazione del paese, diramato
dall’alto comando tedesco. Non ci fu tempo e modo di organizzare una pur minima quanto
problematica resistenza, divisi e privi di mezzi e di collegamenti com’eravamo. Gli uomini uscirono
dai nascondigli e si accodarono alle lunghe file di donne, vecchi e bambini che si allontanavano
senza una meta precisa, curvi sotto il peso dei fardelli e annientati dall’incalzare degli eventi. Per
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tratturi e impervi sentieri si dispersero nelle masserie, sui monti, nei boschi e nei paesi vicini,
covando la segreta speranza di un pronto ritorno.
Poi il dies irae.
Era il 7 novembre. Di buon’onora, riecheggiò per la valle il fragore dei primi scoppi, boati terrificanti
che si susseguirono ininterrotti nelle ore successive. Mille e mille occhi scrutarono dai rifugi
l’orizzonte che andava velandosi di polvere e di fumo; e in mille e mille avvertirono l’angoscia del
disastro che si stava consumando: Castel di Sangro e i piccoli centri dei dintorni si sgretolavano
dilacerati dalle mine tedesche. Così per giorni e giorni, in quella prima decade di novembre.
Poi il periglioso rientro.
Era solo il «giorno dopo».
Il silenzio succeduto agli scoppi gravava su quelle rovine e nell’aria greve aleggiava ancora l’odore
acre della polvere. Con una carica di dinamite sotto ogni portone, casa per casa, rione dopo rione,
quasi l’intero abitato era stato diroccato e stalle e fienili dati alle fiamme, con metodica precisione
tutta teutonica. Strade ingombre di macerie, quartieri sconvolti, punteggiati qua e là da resti di
edifici sventrati che mostravano ancora gli interni con le masserizie e i ritratti di famiglia appesi alle
pareti: sembravano denudati, come violentati nella loro intimità, esposti alla cupidigia degli sciacalli
e degli ultimi guastatori avvinazzati che si aggiravano come avvoltoi in quello squallore.
Il 22 novembre, le truppe canadesi dell’8a armata tentarono un primo assalto alla rocca e con più
fortuna ritentarono due giorni dopo. I tedeschi ripararono oltre il corso del Sangro attestandosi
saldamente sulle alture. I Castellani tornarono in paese, ora occupato dagli alleati; dapprima in
pochi, poi sempre più numerosi, rintanandosi nei tuguri e nei ripari di fortuna. Tra cannonate, fame
e stenti d’ogni genere, cominciò la lunga penosa attesa di un’improbabile avanzata delle truppe
anglo-americane; sarà una sorta di lungo assedio di quell’insicuro avamposto presidiato solo da
una piccola guarnigione di fanteria britannica, sostituita poi dai fucilieri irlandesi, più tardi dai
polacchi della divisione «Karpachich», quindi dai giovanottoni della Reale Guardia Scozzese: così
giorno dopo giorno, mese dopo mese fino alle soglie dell’estate del ‘44.
E gli accadimenti di quei mesi di guerra raccontano, anzi documentano, queste pagine di
Alessandro Teti. Non il solito coacervo di incerte memorie, di melensi ricordi di seconda mano
alimentati dai racconti dei padri e dei nonni, non avventure di singoli, ma una corale vicenda di una
comunità, letta attraverso carte d’archivio, diari, memoriali d’epoca. Testimonianze preziose di quei
fatti, di piccole e grandi storie, di immani sofferenze, raccolte con certosina pazienza negli archivi e
nei rapporti dei combattenti dell’uno e dell’altro fronte, spesso messe a confronto con i ricordi dei
Castellani che vissero quei tragici momenti. Ormai, a distanza di settant’anni, siamo sempre più in
pochi a ritrovarci in queste pagine, a rileggere di quella maledetta guerra venuta da lontano, che ci
ritrovammo, nostro malgrado, “sotto casa” e bruciò il meglio della nostra gioventù.
Intensa la commozione nel ripercorrere tanti passaggi del dramma familiare, iniziato il primo
ottobre del ’43 col ferimento di mio padre mentre era alla guida di quell’inerme convoglio segnato
con la «croce rossa», che i caccia-bombardieri alleati ignorarono; l’esperienza tremenda del 17
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ottobre; il distacco straziante da genitori e parenti del 2 novembre, il freddo e la fame del lungo
inverno. Poi la militanza in quel gruppo armato di ex carabinieri, ex forestali, reduci e giovani del
paese, ufficialmente destinato dal comando militare ad assicurare l’ordine pubblico, ma in realtà
impiegato in lunghi e snervanti turni di guardia, in ricognizioni del territorio e nella guida delle
pattuglie alleate nella terra di nessuno ed oltre. Gli stringati resoconti britannici hanno solo un
accenno per quel “gruppo” senza nome e senza bandiera, che fu al loro soldo e operò con
discrezione, dando anche il proprio contributo di sangue. Durante uno dei cannoneggiamenti che si
intensificarono nel mese di maggio il Maresciallo Raimondo Piselli, in pratica il nostro comandante
operativo, fu investito da una gragnola di schegge: lo vidi per l’ultima volta mentre lo trasportavano
in barella agonizzante. Era il 12 di quel mese: morì il giorno dopo all’ospedale d’Isernia. Sarà poi
decorato di medaglia d’argento al valor militare. E non fu il solo del “gruppo” a rimetterci la pelle.
Lo scoppio di una mina, che lacerò il silenzio della notte ai primi di giugno, riecheggiando sinistra
per le forre e i valloni dell’Arazecca, si portò via Giuseppe Frabotta, il pescatore del Sangro, che
ogni notte guidava le pattuglie alleate al di là del “suo” fiume.
Compiti talora anche ingrati affrontammo in quei mesi: il Diario del comandante del 1st Battalion
Scots Guards, tenente colonnello G. A. D. Taylor, registra l’episodio dei «circa 60 civili profughi»
delle masserie di Villa Scontrone evacuati nottetempo da Castel di Sangro il 26 aprile. Li avevamo
rastrellati proprio noi del “gruppo” nella mattinata stanandoli dalle case; per lo più vecchi, donne e
bambini restii ad abbandonare il “natio loco”. Ci muovemmo con garbo e delicatezza per
allontanarli dal pericolo e non per far loro del male, ma la cosa non ci fece comunque piacere,
perché ci rammentava troppo da vicino quello che i tedeschi ci avevano già fatto mesi prima.
Per la via delle masserie, attraversò le linee anche il Generale Ezio Garibaldi, pronipote dell’Eroe
dei Due Mondi; nonostante la riservatezza degli alleati, la notizia trapelò e, chissà perché, gioimmo
a quella nuova.
E tanti altri fatti annotano quelle laconiche pagine che Alessandro Teti riporta provvidenzialmente
nella traduzione italiana: le tormente e le grandi nevicate dell’inverno, i volantini propagandistici
rivolti ai polacchi del generale Anders “sparati” con i lanciarazzi sul paese; i manifesti lasciati sulle
sponde del Sangro, per l’esattezza nella chiesa della Maddalena, tengo a precisare, visto che
toccava proprio a noi del “gruppo” attraversare il fiume per recuperarli. Ed ancora, i frequenti duelli
tra le opposte artiglierie con le granate che passavano sibilando sinistramente sulle nostre teste; il
solito cronista scozzese di quei giorni contava e registrava puntualmente quelle che cadevano
sull’abitato, mietendo vittime tra i civili più che tra i militari, tenendo separata, quale buon
ragioniere, la contabilità dei proiettili di grosso calibro dai colpi di mortaio.
Ricordi e ricordi, ravvivati da quelle notazioni, ricordi inevitabilmente tristi, come l’episodio del 2
maggio del ’44: «I mortai nemici hanno ucciso due civili»; quei “due” – che il comandante della
Scots Guards lascia nell’anonimato – erano Desta Gargano e Pietro Prete, personaggi
conosciutissimi in città, falciati a meno di cinquanta passi dall’angolo della chiesa dei Morti dove mi
trovavo.
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Erano già tanti i deceduti per fatti di guerra ed altri cadranno ancora sotto le cannonate e le
mitraglie, salteranno sulle mine e periranno di stenti. I loro nomi sono tutti doverosamente riportati
in questo libro, assieme a quelli dei soldati che non tornarono dai mari e dai campi di battaglia
d’Africa, di Russia e di Grecia.
Quando passata la bufera i Castellani si ricontarono, molti mancavano all’appello.
Ma forse non è il caso di divagare ulteriormente ed è tempo di lasciare la parola ad Alessandro
Teti e ai suoi testimoni, fedeli e affidabili, che hanno composto il mosaico cronachistico di quei
lunghi mesi, arricchito da un corredo iconografico di eccezionale valenza, senza dubbio il più
cospicuo e variegato di quanti proposti in questi settant’anni. Struggenti rimembranze per la
sempre più esigua schiera dei giovani d’allora, traccia sicura per i tanti che, nati dopo, non vissero
quei travagli.
Per sua stessa ammissione Alessandro Teti non è uno storico e neppure un saggista, ma,
nonostante la sua dichiarata modestia, ormai che lo voglia o no, almeno scrittore è diventato e può
essere ben fiero di questa sua “opera prima”.
Ezio Mattiocco
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Si ringraziano inoltre per gli aiuti a diverso titolo:
Comune della Città di Castel di Sangro
Biblioteca Comunale di Castel di Sangro “Vincenzo Balzano”
Fabio Teti, mio figlio, per il lavoro di editing e revisione
Corrado Miraldi per le traduzioni dall’inglese
Rosella Marino per le traduzioni dal tedesco
Ewa Ciborowska per le traduzioni dal polacco
Evelina Konczynska per le traduzioni dal polacco
Mara Prendin (Canada) per la collaborazione con gli Archivi canadesi
Susan Clark (Inghilterra) per la collaborazione con gli Archivi irlandesi
Richard Doherty (Inghilterra) per la collaborazione con gli Archivi inglesi
Richard O'Sullivan (Inghilterra) per la collaborazione con gli Archivi inglesi
Andrew Newson (Inghilterra) per la collaborazione con gli Archivi scozzesi
Paolo Paoletti
Carlo Gentile
Daniele Guglielmi
Lorenzo Tonioli
Marco Marzilli
Eduardo Balzano
Terzio di Carlo
Raffaele Buzzelli
Paolino Del Pinto
Carmine Riccio
Gentian Alpina Powell (USA)
Fabio D’Amico (Fotografo)
Salvatore Tambone
Roberta Ranieri
Maria Domenica Santucci
Manlio Mattamira
Gaetano Scarpitti
Francesco Scioli
Nicola Ricchiuto
Anna D’Angelo
Paola D’Angelo
Cosmo Marcantonio
Elio Petrarca e Famiglia
Guido D’Amico
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Austin J. Ruddy (Inghilterra)
July Bryce (Inghilterra)
Annette Morris (Inghilterra)
Nicolino Di Quinzio
Yuri Fantone
Maurizio Di Michele
Tomek Basarabowicz (Polonia)
Betty Anne McDorman (Canada)
Darren Crossman (Canada)
Maureen Naugler (Canada)
Famiglia Gentile (nelle persone di Vincenzo, Archimede, Amleto e nipoti) per aver lasciato con il
loro lavoro alla nostra comunità, una preziosa realtà fatta di immagini
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CAPITOLO I
IL CONTESTO E LE STRATEGIE
Il 3 settembre 1943 l’8a Armata britannica del Generale Bernard Law Montgomery, dopo l’invasione della
Sicilia, attraversò lo stretto di Messina, raggiungendo così il suolo europeo e mettendo in ritirata verso il
Nord la 29a Divisione Panzergrenadier tedesca.
L’obiettivo
del
Generale
Bernard
Law
Montgomery era quello di liberare la Calabria,
la Basilicata e la Puglia e di puntare verso il
Molise e l’Abruzzo assecondando, ad occidente
sulla direttiva Napoli-Roma, le operazioni della
5a Armata americana del Generale Clark.
L’8 settembre, alle ore 18:30, il Generale
Eisenhower, comandante in capo delle forze
alleate nel Mediterraneo, annunciava alla radio
la resa senza condizioni dell’Italia alle forze
Anglo-Americane.
Conosciamo tutti le conseguenze disastrose
che l’Armistizio, mal gestito dagli alti comandi
italiani in particolar modo dal Maresciallo
Badoglio, ha in seguito avuto sulla popolazione
civile
e
sull’esercito
abbandonati a se stessi.
Manifesto di propaganda Nazi-Fascista in lingua inglese
9
italiano,
entrambi
PERCHE’ IL SANGRO
Si trattava ora, per le forze contrapposte, di
organizzare delle strategie di attacco e di difesa;
cito una famosa frase di
Graham e Bidwell:
“…due eserciti alla ricerca di un campo di
battaglia”.
Nella nascente campagna d’Italia, i tedeschi, in
qualità di difensori, adottarono una strategia
basata sul principio degli “assi trasversali”, ossia
su
quelle
configurazioni
lineari
di
terreno
sfavorevoli agli spostamenti militari e che si
dispongono
normalmente,
cioè
a
90°,
alla
direzione di marcia del nemico. Questi “assi
trasversali” passeranno alla storia come “Linee”,
sviluppanti il proprio tracciato nei punti più stretti
della penisola, Toscana-Emilia Romagna e LazioAbruzzo.
La linea a Nord o Linea Gotica (Pisa-Rimini), fu
fortemente
sostenuta
dal
Generale
Edwin
Rommel, mentre la linea a Sud o Linea Gustav, fu
sostenuta dal Feldmaresciallo Albert Konrad
Kesselring (foto in basso). Hiltler le rese entrambe
effettive.
Le forze Anglo-Americane accettarono concordamente questa logica degli assi trasversali. Solo il Generale
Eisenhower propose una strategia differente, consistente nell’occupazione della Sardegna e della Corsica.
Questo avrebbe costretto i tedeschi a difendersi lungo tutto il versante tirrenico disperdendo le forze.
Winston Churchill, in virtù del suo interesse politico per i
Balcani, accettò però la logica degli assi trasversali,
intuendo subito che sugli Appennini si sarebbero decise le
sorti della campagna d’Italia.
La decisione tedesca di resistere sulla Linea Gustav, dalla
foce del Garigliano alla foce del Trigno, venne presa
nell’Ottobre 1943. Sul versante Adriatico la scelta ricadde,
ahimè, sul bacino del Sangro a valle del gomito di Alfedena
(da Alfedena il corso del Fiume Sangro punta in direzione
Nord-Est sino alla foce nell’Adriatico), con appoggio sul
versante sinistro della Maiella (Altipiani Maggiori), nelle
zone di Guardiagrele, Orsogna e Ortona.
Questo
era
dunque
l’asse
trasversale
stabilito
dal
Feldmaresciallo Albert Konrad Kesselring: montagne, valli
facilmente
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controllabili,
clima
poco
favorevole:
una
configurazione strategico-geografica perfettamente in grado di rallentare l’avanzata di carri armati e truppe
motorizzate.
Da parte Anglo–Americana l’obiettivo era,
invece, chiaramente Roma; per questo
motivo,
contrariamente
a
quanto
desiderato da Winston Churchill, si preferì
operare sul versante Tirrenico della Linea
Gustav, nonostante nei primi giorni di
Novembre 1943 venne ventilata l’ipotesi di
aggirare Roma occupando Pescara tramite
la direttrice su Avezzano.
Ma con l’avvento del Generale Harding a
Capo di Stato Maggiore delle forze AngloAmericane nel Gennaio 1944, la scelta
viene a interessare la zona individuata
dalla
linea
Garigliano–Cassino.
Con
questa decisione a partire dalla metà di
Dicembre 1943 sino al Giugno 1944, gli
Anglo-Americani si limitarono ad una
guerra di posizione sulla Linea Gustav
(conosciuta anche con il nome di Winter
Line), fatta eccezione per il periodo che
corre dall’Ottobre 1943 al Dicembre dello stesso anno, quando, al prezzo di fortissime perdite, superarono il
Fiume Sangro nel versante Adriatico e parzialmente nell’Alto Sangro, restando infine bloccati tra il valico di
Roccaraso e Castel di Sangro. Il generale inverno, per usare una definizione abusata, rimaneva il più forte.
La Linea Gustav venne definitivamente
sfondata dal Corpo d’Armata polacco
nel Giugno 1944.
In questi pochi mesi quindici centri
abitati furono distrutti e molti altri
seriamente
guerra
danneggiati.
urbana
Episodi
devastarono
di
Ortona
(definita la Stalingrado d’Italia), dove i
canadesi
sperimentarono
tattiche
destinate a fungere da esempio nei
manuali di addestramento militare a
venire. Le popolazioni dell’Alto Sangro e della Valle del Sangro pagarono a caro prezzo la scelta tattica del
Feldmaresciallo Albert Konrad Kesselring (foto in alto scattata in Abruzzo nel Novembre 1943), ma
soprattutto la rinuncia, da parte alleata, ad aggirare Roma occupando Pescara. Aggirare Roma era del resto
il vero sogno e obiettivo del Generale Bernard Law Montgomery che aveva già progettato di scrivere un libro
intitolato “El Alamein to Rome”; il concatenarsi degli eventi volle invece che il titolo del suo libro, scritto nel
1948, fosse “El Alamein to the River Sangro”.
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LE LINEE DIFENSIVE TEDESCHE
Nell'autunno del 1943 la guerra giunse
nella Valle del Sangro dal Molise dove i
tedeschi, sul Trigno, avevano contrastato
più
duramente
l'avanzata
alleata.
Le
truppe tedesche allestirono un'efficiente
linea di difesa invernale dall'Adriatico al
Tirreno passante sui massicci del chietino,
dell'aquilano (Altopiano e Parco) e del
Molise (Mainarde) e, più a Sud, sui rilievi
del cassinate. Le linee trasversali erano:
Linea Gustav, o Linea Invernale (Winter
Line) che divideva in due la penisola
italiana, estendendosi dalla foce del Fiume
Garigliano,
al
confine
tra
Lazio
e
Campania, fino a Ortona, passando per
Cassino; aveva come punti fermi avanzati
i Fiumi Sangro, Aventino, Volturno e
Garigliano.
Gli
alleati
arrivarono
in
prossimità della foce all'inizio di Novembre
mediante la strada statale n°16 Adriatica
che da Vasto conduce a San Vito Chietino
e che, con continui saliscendi, passava
per i centri abitati di Casalbordino-Torino
di Sangro e Rocca S.Giovanni (il corrispondente tratto litoraneo venne realizzato nei primi anni ‘50). Le altre
strade di accesso esistenti più a monte vennero difese per tutto il mese di Novembre, dopo di che gli alleati
poterono prendere possesso di tutta la Valle del Sangro, fatta eccezione del tratto di sponda sinistra corrente
da Alfedena a Civitaluparella. Si trattava delle traverse (Castiglione Messer Marino–Perano–Agnone–
Pescopennataro-Sant'Angelo del Pesco-Vastogirardi e San Pietro Avellana) che dalla strada statale n°86
(Staffoli-Agnone-San Salvo) scendevano alla provinciale Sangritana (Castel di Sangro-Torino di Sangro), la
quale solcava la valle quasi tutta in sponda destra.
Sia a Nord che a Sud la Linea Gustav venne ulteriormente rafforzata con altre linee difensive ulteriori:
Linea del Volturno (detta anche Linea Viktor): con inizio a Termoli; ad Est, proseguiva lungo la linea del
Fiume Biferno, attraverso gli Appennini, per concludere lungo la linea del Fiume Volturno ad Ovest.
Linea Barbara (detta anche Linea Ritardatrice): si sviluppava a circa 15 chilometri a Sud della Linea
Gustav, e alla stessa distanza a Nord della Linea del Volturno.
Linea Bernhardt (detta anche Linea Reinhard) ed eccezionalmente Linea Siegfried e Linea Westfalen): a
differenza delle altre non si estendeva da Est ad Ovest attraversando la penisola, ma consisteva in una serie
di salienti della Linea Gustav nella regione di Montecassino. Passava per le vette del Monte Camino-Monte
la Remetanea-Monte Maggiore, nel territorio di Rocca d'Evandro, e Monte Sambucaro, situato al confine fra
le tre regioni del Lazio, Molise e Campania. Sul versante Adriatico la Linea Bernhardt correva dalla Punta del
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Cavalluccio attraverso San Giovanni in Venere–Fossacesia–Santa Maria Imbaro–Mozzagrogna–Villa
Romagnoli–Castelfrentano–Guardiagrele–Pennapiedimonte–Stazione
di
Palena–Pescocostanzo
e
Roccaraso–Alfedena. Il suo margine avanzato (per i britannici “Linea Avanzata del Sangro”) si sviluppava
dalla stazione di Fossacesia verso il Castello di Sette e l’area a Sud di Sant’Eusanio–Casoli; e quindi, lungo
la
media
valle
del
fiume,
attraverso
Altino–Roccascalegna-Pizzoferrato–Gamberale–Pietransieri-
Roccacinquemiglia e l’area ad Ovest di Castel di Sangro. La Linea Bernhardt non era particolarmente
fortificata nelle zone montane, a differenza della Linea Gustav, ed era stata pensata dal comando tedesco al
solo scopo di rallentare l'avanzata alleata nell'avvicinamento a quest'ultima (Cfr. Giovanni Artese, La Guerra
in Abruzzo e Molise 1943-1944).
Linea Hitler, ribattezzata poi Linea Senger: era situata ad una decina di chilometri di distanza a Nord dalla
Linea Gustav e aveva la funzione di contenere eventuali cedimenti di quest'ultima. Dopo il crollo della
Gustav, avvenuto il 18 maggio 1944 la Linea Hitler riuscì a frenare lo slancio degli alleati che dovettero
fermarsi per riorganizzarsi in modo da superare l'ostacolo imprevisto. L'attacco finale, avvenuto tra il 23 e il
24 maggio, costò, nonostante la vittoria, ingenti perdite data la strenua resistenza tedesca.
Linea Caesar: fu l'ultima linea difensiva tedesca a protezione di Roma e si estendeva dalla costa tirrenica,
nei pressi di Ostia, fino ad arrivare sulla costa adriatica nei pressi di Pescara.
Quando la Linea Caesar, presidiata dalla XIV Armata tedesca, fu sfondata dalla 5a Armata americana il 30
maggio 1944, dopo lo sfondamento di Anzio e la conquista di Velletri, la strada per Roma fu finalmente
aperta. Le truppe tedesche della XIV Armata si ritirarono nella successiva linea di difesa Trasimeno dove si
riorganizzarono in attesa di ritirarsi sulla Linea Gotica.
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CAPITOLO II
OCCUPAZIONE TEDESCA DELL’ALTO SANGRO
Nei primi giorni di Ottobre 1943 le avanguardie della 5a Armata americana e l’8a Armata inglese erano già a
ridosso della Linea del Volturno (Napoli-Termoli), questo indusse i tedeschi a stabilire il loro principale
sbarramento sulla linea Garigliano-Sangro, poichè la morfologia del territorio permetteva una buona
difensiva per la stagione invernale in arrivo.
Tra il 15 e il 27 ottobre 1943 il Generale Traugott Herr (foto a sinistra)
della LXXVI Panzerkorps rimise in ordine le sue formazioni e le
schierò per la battaglia in arrivo. Egli aveva sotto il suo comando,
momentaneamente ed eccezionalmente, cinque Divisioni: la 16a
Divisione Panzer (Generale Sieckenius), la 26a Divisione Panzer
(Generale Von Luttwitz), la 29a Divisione Panzergrenadier (Generale
Fries), la 1a Divisione Fallschirmjäger (Generale Richard Heidrich foto
in basso a destra Fonte Bundesarchiv) e la 65a Divisione di Fanteria
(Generale Von Ziehlberg), quest’ultima appena arrivata in Abruzzo.
Non tutte le forze delle prime quattro grandi unità vennero schierate
sulla Linea Barbara; la 65a Divisione di Fanteria fu disposta, in parte, a
difesa della costiera tra Fossacesia e Pescara, mentre le restanti e più
cospicue unità furono schierate sugli avamposti del Fiume Sangro
(Stazione di Fossacesia-Casoli) e sulla Linea Bernhardt (San
Giovanni
in
Venere–Castelfrentano-Guardiagrele).
Correttamente
interpretando le intenzioni del Generale Montgomery, Herr
(l’esercito tedesco) dislocò le sue divisioni corazzate alle estremità
dello schieramento (sulle direttrici delle S.S. 16 e 17), la 1
a
Divisione Fallschirmjäger del Generale Richard Heidrich tra la
media Valle del Trigno e l’Alta Valle del Sangro, e la 29a Divisione
Panzergrenadier nell’alta Valle del Trigno. La 16a Panzer, infine,
tra la stazione di San Salvo e l’area di Lentella (Cfr. G. Artese, op.
cit.).
Darò maggior risalto alle vicende inerenti la 1a Divisione
Fallschirmjäger
del
Generale
Richard
Heidrich,
in
quanto
protagonista degli episodi bellici inerenti l’Alto Sangro, ivi
compreso Castel di Sangro.
Questo corpo di paracadutisti, composto principalmente da
volontari, era considerato un corpo di èlite del Terzo Reich
(paragonabile ai nostri paracadutisti della Folgore). Combatterono
con particolare tenacia ad Ortona e Montecassino, dove ricevettero dagli alleati l'appellativo di "Diavoli Verdi"
(Green Davils o Grunen Teufel) derivante dal colore delle uniformi mimetiche e dalla loro tenacia combattiva.
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Clamorosa fu l’operazione denominata “Quercia” (Unternehmen Eiche) del 12 settembre 1943, nella quale i
paracadutisti della 2a Divisione Fallschirmjäger e alcune SS del Sicherheitsdienst guidate dal
Sturmbannführer (Maggiore) Otto Skorzeny, liberarono Benito Mussolini imprigionato nell’albergo di Campo
Imperatore sul Gran Sasso (foto a destra Fonte
Bundesarchiv) per ordine del Re Vittorio Emanuele III.
L'operazione scattò alle 03:00 del 12 settembre,
quando
una
colonna
motorizzata
si mosse alla
volta
di
Assergi.
La partenza di 10 alianti DFS 230 della 2a Divisione Fallschirmjäger
(foto a sinistra Fonte Bundesarchiv) era prevista per le ore 12:30.
Dato il limitato spazio a disposizione per l'atterraggio, alle ruote
degli alianti furono avvolti dei rotoli di filo spinato per creare un forte
attrito con il suolo. Appena arrivati sopra l'albergo, i tedeschi videro
i soldati italiani, che consideravano loro nemici, accennare qualche
cauto saluto e, dopo l'atterraggio, mostrare piena indecisione nel
decidere se arrendersi o combattere, consentendo ai primi tedeschi
di gettare in un dirupo qualche moschetto sottratto loro. La
liberazione di Mussolini fu condotta perfettamente: avvenne, di
fatto, senza che venisse sparato un solo colpo. Se sul rifugio non ci fu praticamente nessuna reazione da
parte italiana, ad Assergi persero invece la vita due soldati italiani (eroi sconosciuti senza aver mai ricevuto
un’onoreficenza o un encomio), i soli che non si sottrassero al loro dovere in quella circostanza. La prima
vittima fu la Guardia Forestale Pasqualino Vitocco che aveva cercato di avvisare i Reali Carabinieri della
presenza della colonna tedesca: fu liquidato con una raffica di mitragliatrice. La seconda vittima fu il
Carabiniere Giovanni Natali che, di guardia nella stazione intermedia della funivia, visti arrivare i tedeschi
aveva iniziato a sparare rimanendo colpito a morte.
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CAsTel di sAngro 1943-1945